Città per viaggiare LA CAPITALE DELLA THAILANDIA? IL VILLAGGIO DEGLI ULIVI, CHE HA MOLTE COSE IN COMUNE CON LA NOSTRA ORVIETO, MA ANCHE CON LOS ANGELES LE CUI STRADE CI SONO ORMAI FAMILIARI PER QUANTE VOLTE LE ABBIAMO VISTE NEI FILM. VIAGGIO NELLE METROPOLI ALLA RICERCA DEL SILENZIO
luglio 2005
Supplemento al numero odierno de il manifesto
The Power of Dreams
Emissioni CO2 177 g/Km. Consumi 14,9 Km/l nel ciclo combinato. Scade il 30/06/05
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IN QUESTO NUMERO
il manifesto
Un viaggio
direttore responsabile Sandro Medici
al silenziatore
CARLO LANIA
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IL SILENZIO DEL MODERNO VIAGGIATORE di Luciano Del Sette I TUFI DELLA CITTÀ PRIGIONIERA di Luciano Del Sette IL VILLAGGIO DEGLI ULIVI di Luciano Del Sette IL DÉJÀ VU DELLA CITTÀ DEGLI ANGELI di Luca Celada LO SPETTACOLO DELLE BELLE INTENZIONI di Gianfranco Capitta LE PARCHE DELLA PSICHE di Geraldina Colotti
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sempre così. Giunti alla mèta delle nostre vacanze ci immergiamo immediatamente in faticosissimi tour de force alla scoperta delle bellezze che la città che abbia scelto può offrirci. E come noi, la stessa cosa la fanno centinaia, migliaia di altri turisti ansiosi di vedere, sapere, capire. Faticosissimo. Eppure... eppure basterebbe così poco per cambiare la qualità del nostro viaggiare. Basterebbe guardarsi un attimo intorno, seguire quei due o tre vicoletti che si allontano dal
PERCORSI DI PACE IN TRENTINO di Igor Jan Occelli
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UN GIRO DI NOTE di Flaviano De Luca
centro, perdersi in qualche piazza per arrivare a scoprire luoghi altrettanto belli e importanti ma totalmente sconosciuti ai più. E per questo silenziosi, lontani come sono dal turismo di massa e dai torpedoni cotti dal sole. Ecco, il silenzio prima di tutto. Non ci crederete ma è possibile trovarlo anche nelle nostre metropoli e provare a farvelo scoprire è lo scopo che si propone l’inserto che avete tra le mani. Con la nostra solita presunzione, vi proponiamo così di viaggiare con noi da Bangkok a Orvieto passando
per Los Angeles scoprendo i punti in comune che possono avere tre luoghi così diversi tra loro. Dai templi buddisti alle splendide architetture di chiese del Duecento, ma anche alle strade sconosciute e allo stesso tempo familiari di LA, tante sono le volte che le abbiamo viste nei film. E nella pausa tra un viaggio e l’altro vi offriamo quanto c’è di buono da vedere, leggere e ascoltare nel nostro Paese, sia per quanto riguarda gli spettacoli teatrali che i concerti, o almeno quelli che sono riusciti a sopravvivere dopo gli ultimi tagli ai finanziamenti. Coraggio, l’estate è appena cominciata. E meno male.
direttori Mariuccia Ciotta, Gabriele Polo direttore editoriale Francesco Paternò supplemento a cura di Carlo Lania progetto grafico e impaginazione ab&c grafica e multimedia Tel. 06.68308613 studio@ab-c.it immagine di copertina di Laura Federici Illustrazioni a cura di ab&c grafica e multimedia concessionaria esclusiva di pubblicità Poster Pubblicità srl Via Tomacelli, 146 00186 Roma Tel. 06.68896911 Fax 06.68308332 stampa Sigraf srl via Vailate 14 Calvenzano [BG] chiuso in redazione: 16 luglio 2005
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a che è tutto questo chiasso all’interno del santuario? Si direbbe che vi sia un mucchio di gente, laggiùù. Dietro alla seconda fila di colonne c’è un gruppo di persone che parlano a voce alta, con accento britannico; mi pare persino di udire un tintinnio di bicchieri e il ticchettio delle forchette sui piatti di porcellana. Oh, povero, povero tempio, che cosa ti capita! È più insultante che essere messo a sacco dai barbari, subire questo eccesso di grottesco nella profanazione! Ci troviamo di fronte a una gioconda e grottesca tavolata d’una trentina di coperti, e i convitati dei due sessi appartengono a quella speciale categoria umana che frequenta “Thos. Cook & Son (Egypt Limited)”. Hanno in capo dei caschi di sughero e portano i classici occhiali verdi, bevono whisky e soda, mangiano a quattro palmenti delle vivande, dopo averle tolte da certi fagottelli di carta oleosa che poi gettano con noncuranza sui lastroni di pietra... Ebbene, questo succede ogni giorno, ci spiegano le guardie beduine in tunica nera, sino a quando dura la season. Uno spuntino presso il tempio di Osiride fa parte del programma of pleasure trip. Ogni giorno, a mezzodì, arriva una banda di turisti, a cavallo di irresponsabili ed infelici asinelli; quanto alle tavole ed ai piatti, essi sono conservati nel vecchio tempio!». Tra il 1907 e il 1909, Marie Julien Viaud, meglio conosciuto con lo pseudonimo letterario di Pierre Loti, redasse il diario di un viaggio, dal titolo La Sfinge e il Nilo, in cui esprimeva tutto il suo stupore rispetto alla cultura e alla storia egiziana e al “disturbo” di essa da parte dell’Occidente turistico. Il diario è stato tradotto e pubblicato, alcuni anni orsono, nella collana I Miraggi, per i tipi del Touring Club Italiano. Personalmente riteniamo che Loti fosse un presuntuoso, convinto, al pari di tanti cosiddetti viaggiatori del nostro tempo, di poter impugnare lo scettro di chi ha capito tutto e di essere il migliore sulle strade del mondo. Ma abbiamo scelto questo brano dal suo diario, vecchio di quasi un secolo, perché rispecchia una realtà sempre più evidente ai giorni nostri. Al supponente Pierre infondeva orrore il chiasso di una trentina di turisti: turisti di allora, si badi, e dunque e comunque costretti ad affrontare difficoltà che oggi manderebbero al tappeto molti di coloro che si considerano provetti globetrotter. Ma se Pierre fosse rimandato in terra, quali sarebbero le sue reazioni scontrandosi, in tema di viaggi, con un chiasso dive-
nuto caos totale tra la gli ultimi trent’anni del secondo e l’inizio del terzo millennio? Ai suoi tempi le agenzie turistiche si chiamavano, appunto, Thomas Cook, cui spetta, tra l’altro, la benemerita invenzione dei traveller‘s cheque, contante internazionale fino all’arrivo delle carte di credito. Nell’arco di mezzo secolo la crescita del business delle agenzie turistiche, l’evoluzione dei mezzi di trasporto, la possibilità di scelta delle destinazioni, sono divenute calderone enorme in cui si è consumato il rito della vacanza con crescente rumore a vario titolo. Il rumore delle mode (vado lì, vado là perché così si deve fare quest’anno), il rumore dei beach resort che hanno rubato terra e cultura ad ogni latitudine depositando balneatori e balneatrici, cui non interessa tanto sapere dove sono stati spediti, ma ciò che offre la ditta per divertirsi; il rumore dei souvenir che devono entrare nella valigia a costo di comprimerla fino allo spasmo delle cerniere, il rumore dei telefonini con le loro suonerie polifoniche in grado di arrivare ovunque salvo che nel deserto (ma durerà?), il rumore delle serate tipiche; il rumore della musica occidentale che crea stonature aberranti e fuori luogo prima di tutto geografico, il rumore della prostituzione in ogni sua forma là dove il sesso è merce facile e soprattutto poco dispendiosa. Tanto rumore per nulla, viene da dire. Salvo il rendiconto economico degli imprenditori. Il turismo si è andato svuotando nel tempo dei suoi veri valori, di conoscenza e di incontro di culture. E viene da sorridere rileggendo dei trenta britannici disprezzati da Loti, pur se ogni epoca della storia vive confrontandosi con i suoi parametri di riferimento. Degenerazione del turismo compresa. In questo inizio di millennio, però, il viaggio sta abbandonando il rumore e va rifugiandosi nel silenzio. Purtroppo questo avviene non per effetto di una positiva riflessione, di una maturazione. Avviene perché il silenzio è imposto dalla paura. Tutti noi, consciamente o senza avere il coraggio di ammetterlo, poniamo a tacere, isoliamo nel silenzio e nella solitudine di rapporti seppur estemporanei, tanti luoghi del pianeta in quanto siamo arrivati a pensarli pericolosi. Il trenta per cento della terra, o poco meno, ha perso contatti turistici con l’Occidente. Perché, ogni giorno, un elemento di insicurezza potenziale, un attentato, un conflitto etnico, un colpo di stato, una nuova e piccola guerra ci ammoniscono, ci convincono, che lì non si deve andare. Si badi: non stiamo parlando soltanto di grandi, tragici e assurdi teatri bellici quali l’Iraq, l’Af-
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Per partire, servono poche cose: documenti, soldi e un biglietto per la destinazione prescelta. Al limite, bastano un paio di buone gambe che seguano l’impulso di muoversi, conoscere, sperimentare. Poi, un’emozione tira l’altra… Parola di Christian Carosi, autore del volume Viaggiatori intelligenti, edito da Sonda nella collana “Le guide del nuovo benessere” (9,50 euro). Un vademecum per nomadi, poeti, naviganti e sognatori, amanti del “turismo responsabile”. Carosi, il viaggio ce l’ha nel sangue. E’ nato a Zurigo nel ’68, da madre tedesca e padre italiano del sud. I suoi si sono conosciuti su un treno, grazie a una coppia norvegese che andava a trovare il figlio in Sudafrica e che ha tradotto le loro con-
ghanistan, una larga porzione dell’Africa. Nel silenzio viene avvolto l’Iran, fino a ieri meta emergente per incontrare una cultura immensa; nel silenzio scivola parte del Sud America martoriato dal debito internazionale e dalle tragedie che esso scatena; nel silenzio indotto dal timore molti stanno via via relegando il Marocco, la Turchia, l’Egitto, la Siria, la Giordania. Verso tutti i Paesi citati, e tanti altri, dobbiamo, invece, produrre rumore. Un rumore positivo, che faccia sentire forte il messaggio di speranza per superare preconcetti, falsi allarmi, pressappochismo informativo che nasce delle cronache di tanti media. Fa eccezione il rumore dello tsunami, presto dimenticato e messo a tacere in nome dell’esotismo delle spiagge, delle avventure erotiche, dell’abbronzatura. Non era passato un mese da un cataclisma naturale che ha pochi precedenti negli ultimi cento anni, e già si vedevano i surfisti tornare a misurarsi con l’Oceano, le signore e i signori ricoperti di creme solari, gli alberghi e i ristoranti, i bar e le discoteche pronti a riprendere la loro attività. “Dobbiamo tornare a vivere” é il messaggio che si continua a tentare di far passare. Messaggio ipocrita. Il business del turismo, dalle parti dello tsunami, riguarda una stretta minoranza. In quanto tempo, e con quali
mezzi, i poveri cristi che hanno viste rase al suolo le loro capanne riusciranno a restituirsi un tetto degno di tale nome? Chiedetelo alle Ong che lavorano e faticano da quelle parti. Detto questo, e tanto ci sarebbe ancora da dire, torniamo al silenzio, positivo, che i due esempi nelle pagine a seguire cercano di raccontare. Abbiamo preso due realtà paradossalmente contrapposte: Bangkok e Orvieto. Il paradosso non è tale fino in fondo, ne leggerete. Qualche tempo fa, una ricerca condotta con encomiabile scrupolo di domande e di parametri di riferimento ha evidenziato come, in chi viaggia, stiamo parlando degli italiani, l’esigenza di ritrovare il silenzio stia diventando sempre più forte. Ciò non va inteso nel senso della richiesta di isolarsi nel ventre di luoghi sperduti, in qualunque parte del mondo essi siano. Anche perché questa scelta si sta rivelando comunque sempre più difficile. Pensate a Ushuahia, in Patagonia. Lì si veniva, fino a pochi anni orsono, con la certezza del silenzio e il fascino di potersi sentire ai confini dell’Indefinito geografico. Adesso Ushuahia e la Patagonia sono divenute “località alla moda”. E Bali, solo trent’anni fa? La sua progressiva rovina culturale ha acceso un dibattito assurdo tra coloro che sostengono
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versazioni. E lui, viandante instancabile che non regge lavori sedentari, comunica in questa guida notizie storiche, riflessioni, e tanti consigli pratici per “partire con il piede giusto” e imparare a “riconoscere la meta”. Ma nel bagaglio di molti, ogni anno c’è sempre un posto per Clupguide, la collana De Agostini ideata nel ’79 dalla Cooperativa Universitaria del Politecnico di Milano e che da allora ha prodotto 80 titoli. Da vent’anni, le guide incrociano manualistica e cultura e invitano a costruire il proprio viaggio, a reinventare ogni giorno le piste battute. Un “classico” in abito scuro ma per nulla paludato, e che ora torna in veste colorata, deciso a non far rimpiangere il nero a cui aveva abituato il lettore. Ogni volume è pensato da un autore “malato di città”, non arriva a 20 euro e propone storie, itinerari, informazioni aggiornate. All’interno, quattro sezioni per
ALLA RICERCA DI VIE DI FUGA, MENTALI E FISICHE, CHE CI PORTINO LONTANI DALLA RESSA E DA RITO DI DOVER CONSUMARE IL TEMPO LIBERO che basta evitare Legian e Kuta, Ubud e Tampaksiring per ritrovarsi nella Bali vera. Peccato che, vera, Bali lo fosse, in un tempo molto vicino, totalmente. E l’arcipelago di Los Roques, avamposto roccioso dei Caraibi, in Venezuela? Meno di quindici anni sono bastati a consegnare al giro di affari del turismo un paradiso ecologico che, per quanto difeso con i denti anche localmente, ha già dovuto cedere a compromessi. Il silenzio, secondo i parametri della ricerca, corrisponde alla possibilità di trovare vie di fuga prima di tutto
mentali. Poi anche fisiche, dove con tale aggettivo si intende l’isolamento dal frastuono, dalla ressa, dal rito del dovere del consumo del tempo libero nelle sue varie forme. Silenzio, vale a dire pace. Non è un caso che l’agriturismo, pur se ridimensionato dai problemi economici che il nostro Paese sta vivendo, costituisca tuttora la formula di vacanza in crescita di preferenze. Non è un caso che l’Italia minore disperda un popolo di felici turisti in una rete di itinerari dove capita di viaggiare da soli per chilometri e chilometri. E non
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Vedere, Conoscere, Scoprire, Vivere. Matteo Merzagora e Silvie Coyaud invitano a visitare Parigi, Dipinta nei colori multietnici o tradizionali, la Ville lumière diventa nella guida “il racconto insieme di Parigi e di chi l’ha guardata e l’ha restituita sui palcoscenici, sugli schermi, sui quadri, nei palazzi e nei libri”. Un oceano di nuovi sguardi e passi perduti. Nello sguardo di Laura Magni, New York è invece “la Città per definizione: mobile, seducente, inafferrabile”. Una metropoli che non dorme, dove la felicità può essere “un prato di plastica” e il “sogno americano” si specchia nell’iconografia dickensiana che persiste in certi quartieri e si confronta con una Chinatown in continua espansione. Ma l’invito è anche per recarsi a Berlino, a Amsterdam o viaggiare in Croazia, in Irlanda, in Svezia. Chi non ha i mezzi, potrà sempre viaggiare con la mente sfogliando le gallerie di foto che, in ogni guida, offrono un anticipo sulla vacanza.
è un caso, fate attenta esplorazione tra gli scaffali delle librerie, che prolifichino titoli dedicati a itinerari trasversali (in Italia, in Europa e nel mondo) sottesi da un identico concetto: vi diamo l’opportunità di ritrovare la pausa mentale, il piacere di recuperare voi stessi, anche soltanto per una manciata di giorni. Il silenzio della vacanza è divenuto un’esigenza fondamentale, urgente, quasi invocata, in opposizione ai bagordi estivi intesi come anestetici da assumere tutti insieme. Valeriana contro rimedi chimici, volendo usare una metafora medicinale. Non è misantropia il silenzio, tutt’altro. Chi lo cerca, in esso recupera il piacere del rapporto con persone prima di allora sconosciute. Basta ritrovarsi, restando nei confini dell’Italia, a camminare per un paese, a visitare una chiesa impreziosita da affreschi, oppure incrociarsi a faticare lungo la salita di un borgo, a sedere al tavolo di un bar o di una trattoria, per avviare il motore delle chiacchiere. A volte è una richiesta di informazioni, altre il “ma voi da dove venite?”, altre ancora “conoscevate già questo posto?”. Il motore acquista giri, nasce l’invito invita ad unire i tavoli, si ritrova il piacere di scambiare impressioni. Parlare, continua ad essere positivo lato del silenzio tanto inseguito. D’altra par-
te, quando i viaggi di frontiera, ben più lontani e possibili di oggi, ben diversi nei loro ritmi, raccoglievano al termine di una giornata il popolo dei vagabondi, dei long distance voyagers, pochi erano quelli che rifiutavano (ed erano malvisti) di comunicare agli altri le loro esperienze passando attraverso un giro di birra da pagare a turno e una mappa da confrontare sul tavolo di un albergo modesto. Tra i mille discorsi si avvertiva il silenzio. Un meraviglioso e rassicurante silenzio interiore, nato sul filo di strade differenti che, per un breve momento, si erano trovate a convergere. Salvo poi tornare a dividersi. Ma con qualcosa in più ad averle disegnate. Sul finire di un discorso, di una serie di piccole riflessioni rispetto a un tema così importante quando si parla di viaggi (pensateci, lo è davvero, crescerà, diventerà una vera e propria esigenza per le generazioni prossime venture), vogliamo tornare a parlare di libri. Dalla nostra biblioteca di casa, quasi dimenticato, in una ricerca per scrivere in queste pagine, abbiamo sfilato un volume. Si intitola Viaggiatori del Settecento nella Svizzera italiana, a firma di Renato Martinoni, Armando Dado Editore, 1989. In copertina, un gentiluomo agghindato, con alle spalle un paesaggio fatto di verde e di montagne innevate, guarda un punto indefinito, certamente pensa, certamente è avvolto dal silenzio. Cita in apertura l’autore, un testo di Laurence Sterne: «Per poco spirito che un uomo abbia, non potrà evitare di accompagnarsi a questo e a quello nel cammino, e di fare cinquanta deviazioni, e ci saranno sempre, ad allettarne lo sguardo, paesaggi e prospettive che non potrà fare a meno di fermarsi a guardare. Inoltre avrà versioni da conciliare, aneddoti da raccogliere, iscrizioni da decifrare, tradizioni da vagliare, personaggi da evocare» Trecento anni fa come oggi, il silenzio è fatto di deviazioni, paesaggi, aneddoti, iscrizioni, tradizioni, personaggi. E minuscole storie da raccontare o da tenere per sé.
silenzio
del moderno viaggiatore
[4] il manifesto • città per viaggiare
città per viaggiare • il manifesto [5]
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Per chi rimane a Roma d’agosto, o per chi la sogna, seduto in qualche angolo di mondo da cui vorrebbe partire, consigliamo l’ultimo libro di Marco Lodoli, Isole (Einaudi, 13,50 euro). Una “guida vagabonda” della città eterna, che raccoglie e rielabora le impressioni dell’autore, comparse sulle pagine romane di “Repubblica” in forma di racconto o brevi reportage. Al ricordo di un emporio sparito, si affianca la descrizione dei nuovi negozi dove tutto costa un euro, “eroiche trincee della miseria” per l’italiano medio che, dietro gli abbagli berluscoidi, a fine mese stringe un pugno di mosche. E un refolo di utopia vibra nel disegno sbiadito, che si individua ancora sul muro di un palazzo. Sul lungotevere Tor di Nona, un asino che vola ricorda un periodo di piena e sogni – quello degli anni ’70 – in cui gli asini mettevano le ali per transitare dal cielo dei citrulli a quello dei poeti, improbabili e certi nel futuro veggente dell’immaginazione. Nel disincanto affollato del
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presente, lo sguardo dell’autore restituisce una qualche melanconica speranza: quella di far giungere a quell’asino volante altra biada e un po’ di vento, libero dagli scarichi delle nostre disillusioni.
ANDANDO OLTRE IL SUO DUOMO E I BAZAR DI SOUVENIR PER AMMIRARE LOGGE, STRADINE E CHIESE CON AFFRESCHI DEL DUECENTO
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er rendervi conto di quanto Orvieto sia “prigioniera” dal punto di vista turistico del suo duomo, dovete compiere due semplici e piacevoli operazioni. La prima consiste nel raggiungere la piazza dove l’edificio, iniziato il 13 novembre del 1320 forse su disegno di Arnolfo di Cambio, dà spettacolo. Qui siederete ai tavolini del dehors delle Cantine Foresi e ordinerete un bicchiere di bianco orvietano. Tralasciate letture di giornali e di libri, e dedicate il tempo dell’aperitivo a osservare il viavai della folla di turisti italiani e stranieri. Un flusso interminabile. Così denso e continuo da rendere impossibile anche la più approssimativa delle stime numeriche. Dall’occhio nero di uno dei portoni del duomo, entrano ed escono centinaia e centinaia di persone. Nella piazza si aggirano coppie che provano a rinverdire i fasti del Grand Tour versione terzo millennio, gruppi con guida/ bandierina in testa sbarcano dai bus e arrivano trafelati, bambini piangenti perché hanno smarrito papà e mammà in un colpo solo. Tutto intorno il bazar dei souvenir: ceramiche (belle alcune e molte dozzinali), e specialità enogastronomiche vendute a caro prezzo, bar, ristoranti, alberghi “camera con vista”. Finito di sorseggiare il vostro bianco? Bene. A questo punto scatta l’operazione numero due. Salutate il duomo e prendete in senso contrario la via a lui intitolata. Anche qui i negozi si sprecano, la folla si accalca, i residenti con permesso di transito auto fanno del loro meglio per non finire sui giornali dopo aver arrotato qualcuno seppure ai dieci all’ora, velocità massima consentita da tanta concentrazione di umanità. Ora infilatevi in una strada laterale qualsiasi. Non avrete percorso più di cinquanta metri quando una stra-
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LUCIANO DEL SETTE
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na sensazione vi avvolgerà. Il frastuono delle voci si è trasformato prima in un brusìo sempre più tenue, poi si è azzerato. Sentite il rumore dei vostri passi. In giro il cane c’è e ha quattro zampe, alternativa l’incontro con un gatto. Ma, soprattutto, è come se Orvieto si fosse “rimpicciolita”. Di fronte al duomo voi eravate Davide e lui Golia. Adesso, in questa strada, Topolino a fianco di Pippo. Un rapporto decisamente più alla pari, l’inizio di un percorso che può essere affidato al caso o ragionato con una guida. Ma che, al di là della scelta con o senza manuale di viaggio, vi farà comprendere, lo abbiamo detto all’inizio, quanta Orvieto bella, nobile, tranquilla, sconosciuta al turismo, ci sia negli immediati paraggi del suo monumento più celebre. Succede anche per altre città d’Italia. Pensate a Pisa con il Campo dei Miracoli e la Torre. Tutti lì: fotografia, salita con leggero giramento di testa per via del cammino circolare e arrivederci. Perdendo, in tal modo, l’occasione di contemplare l’Arno da una murata che non sia fiorentina, girare in un centro storico stupefacente anche nella sua sottile patina di oblio, fermarsi a consumare un pasto in un’autentica trattoria come Sant’Omobono nella piazza omonima. Ma torniamo a Orvieto. Poiché, quando si fa un’affermazione, occorre esibire prove della sua verità, e visto che siamo in zona ferie, stileremo per voi un piccolo taccuino di viaggio con esempi eloquenti di ciò che potrete scoprire, al quale viene affidato il compito supplementare di servire da stimolo a esplorare la cittadina più in profondità. A proposito di profondità: sta iniziando a registrare un notevole incremento di visitatori la “Orvieto underground”: percorsi sotterranei che si compiono al seguito di una guida esperta e autorevole in materia. L’underground unisce all’utile della crescita culturale il dilettevole di una temperatura che, anche in estate, richiede l’accortezza di dotarsi di maglione. Noi, però, restiamo in superficie. E prima di citare alcuni punti di riferimento meritevoli, vogliamo invitarvi a camminare con l’occhio rivolto alle abitazioni antiche: tufo dei muri, pie-
della città prigioniera [6] il manifesto • città per viaggiare
tra a disegnare la sagoma delle finestre ad arco acuto o a incorniciare i portoni di ingresso; giardini e orti appena oltre un cancello, terrazze riempite di fiori, scalinate esterne che montano fino a una loggetta, passaggi soffittati a cassettoni di legno dipinto, case che corrono lungo le mura un tempo di difesa e hanno davanti la vastità commovente del panorama. Ora, il duomo è davvero lontano. Annotatevi come luoghi imperdibili via della Commenda, dove al numero 2 c’è una casa con bifora e portale gotico; il 6 di via Pianzola, con un arco in legno affrescato; via Ripa Serancia, piccolo e intatto mondo medioevale; il camminamento di vicolo Malcorini, con una stupenda vista sui tetti di Orvieto. Gli etruschi li incontrate in via Pozzo della Cava. Al civico 15/18, un complesso etrusco è visitabile tutti i giorni previo appuntamento telefonico allo 0763/341234; il civico 28 corrisponde a un ristorante che, oltre al menu, propone una passeggiata sotterranea (senza obbligo di sedersi a tavola) con arrivo davanti a un pozzo profondissimo. Nel corso degli scavi vennero ritrovati anche forni per la cottura delle ceramiche risalenti all’epoca medioevale e una quantità impressionante di frammenti, molti dei quali di gran pregio, esposti oggi in bacheche. Due le chiese da non perdere. La prima è san Francesco, i cui interni, stravoli dal barocco, sono preceduti da un portale centrale duecentesco. Entrate e accettate l’invito dei volontari di Salvalarte, branca di Legambiente che lotta per difendere i beni artistici, a compiere una visita della chiesa. Il cui gioiello è un ciclo di affreschi del ’300 scoperti in una cappella accanto al coro, sotto uno strato di calce. La seconda è san Giovenale, con le pareti e le colonne quasi interamente coperte di affreschi datati dal ’200 al ’500. Notate gli omini vestiti in nero ai piedi di alcuni di essi. Sono i ritratti dei committenti. Azzardiamo che adesso siano le sei del pomeriggio. Tornate da Foresi, tornate a sedervi e a ordinare un bicchiere di Orvieto. Il duomo è chiuso, la piazza è sgombra. Anche qui, la città, finalmente, ha il suono del silenzio..
nche quest’anno il Trentino propone ai propri ospiti l’opportunità di trascorrere le vacanze in un territorio che unisce alle meraviglie della natura tante iniziative culturali che valorizzano la storia e le peculiarità di questa regione. All’interno di un cartellone che ogni estate si fa più ricco abbiamo scelto tre festival di qualità, organizzati dalla Trentino S.p.A.(la società di marketing territoriale),particolarmente interessanti. Si spazia dalla musica alla cultura passando per l’enogastronomia.
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PARLIAMO DI PACE SULLE DOLOMITI TRENTINE Una delle novità dell’estate trentina è rappresentata da Dolomiti di Pace. Nove incontri con scrittori, filosofi, attori, religiosi ed esperti, ospitati da altrettanti luoghi simbolo del Primo Conflitto Mondiale. Forti, prati e camminamenti che poco meno di un secolo fa videro fronteggiarsi gli eserciti italiano e austriaco, e che oggi sono luoghi di grande relax. Gli autorevoli personaggi che dal 1° luglio hanno cominciato a portare sulle montagne trentine le proprie testimonianze parlano di convivenza e dei problemi che oggi l’umanità deve risolvere se vuole davvero che la pace non rimanga uno slogan. Ciascuno dal proprio punto di vista indaga su temi quali la povertà,la fame, la salute, l’ambiente, l’istruzione, la convivenza
tra popoli, culture e fedi diverse. Le tappe sono state individuate lungo il Sentiero della Pace, un unicum del Trentino, che si snoda per oltre 300 chilometri sul fronte della Prima Guerra Mondiale, dalla Marmolada al Passo dello Stelvio, dagli Altipiani di Folgaria e Lavarone all’Adamello. Luoghi ideali dove meditare, ritemprando il corpo e nutrendo l’anima. Giunta al giro di boa,“Dolomiti di Pace” ci riserva
ancora quattro appuntamenti. Il primo è quello con Ottavia Piccolo e Gabriele Vacis, venerdì 29 luglio al Rifugio Damiano Chiesa sul Monte Baldo:la prima è una delle attrici più raffinate ed eleganti del mondo teatrale e cinematografico nazionale, il secondo è architetto e regista,nonché fondatore della Cooperativa Laboratorio Teatro Settimo e insegnante di lettura e narrazione orale alla scuola “Holden” di Torino.
ALLA SCOPERTA DEI PRODOTTI Un modo originale per parlare di prodotti enogastronomici e per raccontare tutte le fasi di lavorazione che precedono la loro consumazione è senza dubbio “AgriCulture”, un festival pensato per promuovere la cultura e l’agricoltura del territorio attraverso una serie di eventi interattivi, che si ripetono in sei località diverse del Trentino, quali Levico, Cavalese, Lavarone, Fiera di Primiero, Canazei e Rabbi. Agli spettatori protagonisti viene chiesto di presentarsi all’appuntamento ben disposti a passeggiare, degustare, cucinare e persino zappare. Il percorso è fatto di otto tappe,ciascuna dedicata ad un prodotto diverso, ciascuna teatro di un diverso spettacolo proposto secondo i canoni della cosiddetta performing art. Si comincia dai canederli (grossi gnocchi di pane), che l’ospite impara a confezionare portandosi a casa il frutto degli esperimenti pronto per essere gettato in pentola. Si prosegue con i formaggi, degustati mentre viene rappresentato un racconto epico, e con le mele, da addentare mentre va
in scena un racconto realistico. Di farina e ortaggi si parla seguendo una performance da strada, i vini Chardonnay e Marzemino vengono degustati assistendo ad un’opera lirica in forma multimediale. Trote, salumi e brindisi concludono la passeggiata che ci ha portato a conoscere tutte le eccellenze della produzione trentina. Due le modalità di fruizione: la prima, dalle 10 alle 18, immerge lo spettatore in un museo interattivo delle produzioni tipiche trentine consentendogli, grazie a una mappa dei luoghi e degli orari,di scegliere autonomamente le rappresentazioni e quando vederle. La seconda, in due cicli dalle 18 alle 20 e dalle 21 alle 23, prevede che gli spettatori divisi in gruppi itineranti assistano simultaneamente alle varie performance. L’evento si ripete con la stessa formula a Fiera di Primiero venerdì 29 luglio, a Canazei venerdì 12 agosto e in Val di Rabbi (una laterale della Val di Sole) venerdì 26 agosto. Info: 0461 839000 www.trentino.to
Mercoledì 10 agosto al Forte Luserna (sugli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna) diranno la loro Marina Ponti, Eveline Herfkens e Silvestro Montanaro. La prime due lavorano per le Nazioni Unite, occupandosi della “Campagna a favore degli obiettivi di sviluppo del millennio”,mentre il terzo è un giornalista di Rai Tre già nello staff di “Samarcanda”, “Sciuscià”e “Drug Stories”.
Dopo di loro salgono sul palco di “Dolomiti di Pace” Gianfranco Cattai e Nicoletta Dentico, mercoledì 17 agosto alla Baita Monte Cauriol sul Lagorai: il primo si occupa di cooperazione internazionale da oltre vent’anni e oggi è presidente del “Comitato Cittadella della solidarietà”di Torino, la seconda è impegnata sui temi della cooperazione allo sviluppo e dei diritti umani,
dapprima con l’organizzazione italiana “Mani Tese”, successivamente con “Medici Senza Frontiere”. Il gran finale, alla Campana dei Caduti, è previsto per la serata di mercoledì 24 agosto. È affidato a padre Matteo Zuppi, rettore della Comunità di Sant’Egidio, ad Ali Mohamed Gedi, Primo Ministro della Somalia, ad Abdirisak Osman Hassan Julirie, Ministro della pianificazione dello stesso paese, a Luisa Diogo, Primo Ministro del Mozambico,e a Mario Raffaelli, rappresentante del Governo italiano per la Somalia. Gli incontri iniziano alle ore 14 tranne quello della Campana del Caduti in programma alle ore 21. In occasione di ciascun incontro è possibile effettuare un’escursione con le Guide Alpine del Trentino. La partecipazione all’escursione e all’incontro è libera e gratuita. Info: 0461 839000 www.trentino.to
LE EMOZIONI DELLA MUSICA IN QUOTA della notte seguendo le guide pronte ad accompagnarvi. La partecipazione alle escursioni e ai concerti è libera e gratuita. Per informazioni potete consultare il sito www.isuonidelledolomiti.it
Giusto all’undicesima edizione,il festival estivo di musica in quota “I Suoni delle Dolomiti” continua a regalare emozioni uniche a chi assiste ai concerti del suo cartellone.L’idea di fondo è semplice e affascinante: unire le grandi passioni per la musica e la montagna, per l’arte e l’ambiente in un ciclo di concerti all’insegna della libertà e della naturalità. La formula prevede un’escursione a piedi dal fondovalle fino a radure e conche nei pressi dei rifugi,teatri naturali in cui la musica viene proposta in piena sintonia con l’ambiente circostante. Al Festival partecipano musicisti di fama internazionale e amanti della montagna che nel rispetto dell’ambiente si uniscono al pubblico e raggiungono a piedi i luoghi dei concerti,strumento in spalla.In
cammino verso l’arte e la natura. È difficile descrivere le sensazioni che si provano quando la musica fluttua fra gli alberi, scivola sui prati, rimbalza sulle rocce e fugge verso mete ignote portata dal vento. L’unico modo per scoprirlo è assistere ad uno di questi concerti. Uniche sono anche le emozioni che si provano partecipando alle “Albe delle Dolomiti”, quattro appuntamenti davvero particolari inseriti nel calendario de “I Suoni delle Dolomiti”. In questo caso musicisti e pensatori sono chiamati a trovare le note e le parole giuste per salutare l’arrivo del nuovo giorno in uno scenario che si illumina lentamente e assume i colori di un grande affresco naturale. Per partecipare basta trascorrere la notte in rifugio, oppure muoversi nel cuore
IL PROGRAMMA: ➠ Sabato 30 luglio ore 14 - Dolomiti di Brenta, Rifugio Giorgio Graffer Faraualla ➠ Martedì 2 agosto ore 14 - Parco di Paneveggio Pale di San Martino, Carigole Sarah Chang & Friends ➠ Giovedì 4 agosto ore 6 - Dolomiti di Fassa, Rifugio Sasso Piatto Vinicio Capossela e Mario Brunello (L’Alba delle Dolomiti) ➠ Sabato 6 agosto ore 14 - Monti Lessini, Malga Fratte Antonella Ruggiero, Coro Valle dei Laghi, Coro Sant’Ilario ➠ Martedì 9 agosto ore 6 - Dolomiti di Brenta, Rifugio Tosa e Tommaso Pedrotti Giovanni Lindo Ferretti e Paolo Fresu ➠ Giovedì 11 agosto ore 14 Presanella, Rifugio Giovanni Segantini John Zorn ➠ Giovedì 18 agosto - Dolomiti di Fassa, Tamiòn Ballaké Sissoko ➠ Sabato 20 agosto ore 14 - Pale di San Martino, Rifugio Rosetta Giovanni Pedrotti Gianni Coscia e Gianluigi Trovesi
INFORMAZIONE COMMERCIALE
IN TRENTINO UN’ESTATE FRA NATURA E CULTURA
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Frammenti d’Italia per voce di scrittore nel volume Le finestre sul cortile (Quiritta, 13 euro), curato da Stefania Scateni, caposervizio cultura del quotidiano L’Unità. Lo sguardo dei 49 autori che “si affacciano alla finestra” è la chiave che apre brulicanti solitudini o scopre ferite riposte nelle pieghe del paese. Beppe Sebaste riporta il ricordo di un’amica poeta, testimone di un fatto di cronaca nella Milano ringhiante e giustizialista. L’occhio pietoso della protagonista accoglie l’ultimo respiro del ladro in fuga. Nel racconto di Aldo Nove c’è invece un condominio milanese che non espone più bandiere della pace. Lì uno scrittore solitario e onanista, che è stato visto mentre “compartecipava attivamente” a un porno scaricato da internet, scruta i vicini dietro le tapparelle abbassate. Nel racconto ironico e feroce di Carlo
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ono le cinque del pomeriggio di un qualsiasi giorno dell’anno. Il tuk tuk, il triciclo a motore principe dei mezzi pubblici nella metropoli, si blocca su una sopraelevata. L’ingorgo è ciclopico, difficile ipotizzare quando comincerà a sciogliersi. La nuvola di monossido di carbonio, densa e velenosa, costringe a tappare naso e bocca con un fazzoletto. I clacson divengono assordanti. Il caldo impasta sudore e smog, rendendo la temperatura insopportabile. Succede, non solo alle cinque del pomeriggio, in qualsiasi giorno dell’anno. A Bangkok. Come tante altre megalopoli del mondo, soprattutto del Terzo Mondo, qui le contraddizioni sono divenute la moderna essenza della città. Ma a Bangkok iniziano dal nome. Era il 1782 quando re Rama I, padre della più importante dinastia thai, scelse un villaggio di pescatori per dare al Paese una capitale che, per dimensioni urbane e bellezza dei monumenti, riproducesse i fasti di Ayutthaya, distrutta appena due decenni prima da un’invasione birmana. Bang, “villaggio”, kok, “ulivo”, albero che all’Occidente richiama subito la parola pace. I primi residenti, artigiani e commercianti, si stabilirono in un’area battezzata Sampheng e che oggi corrisponde a Chinatown. Rama fece costruire i klong, i canali, e Sanam Luang, grandioso complesso di templi e di edifici pubblici. Tanta perfezione ispirò al sovrano un nuovo nome: non più Bangkok (pur se i pescatori e i contadini continuarono a chiamarla così), e invece un nome di 147 lettere. Cominciava con Krungthep e terminava con prasit. Troppo lungo. I nuovi residenti si fermarono a Krunghtep, “città degli angeli”. Villaggio dell’ulivo, città degli angeli. Nel guscio angusto del tuk tuk verrebbe quasi da sorridere, se non fosse per il sudore, le esalazioni, l’immobilità che fa sentire intrappolati. Certo, un tempo neppure troppo distante, anche qui regnava la quiete. Ma a cancellarla con sempre maggior celerità contribuirono prima Rama IV con l’apertura di duecento chilometri di grandi arterie tra cui la New Road; poi, tra il 1868 e il 1910, Rama V e Rama VI stravolsero il disegno urbano originale e avviarono Bangkok verso la modernizzazione. Ad essa diedero un contributo fondamentale due architetti italiani, Manfredi e Rigotti. Nel 1860, la città degli angeli contava trecentomila abitanti. Oggi sono più di sei milioni. I klong, i canali dentro i quali scivolavano le barche dei venditori di quello che sareb-
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Bordini, Roma è una finestra “da cui non si vede niente”, anche perché l’io narrante non guarda più fuori. Nel vuoto di un presente saturo di oggetti e voyeurismo, vive una realtà virtuale, specchiandosi nel piccolo schermo. E a quello ricorre quando, sotto le finestre, sente “un andirivieni inquietante di ambulanze”. Gli scrittori – dice Giulio Ferroni nell’introduzione – ci aiutano a guardare “con un’attenzione tanto più necessaria quanto più sembra esclusa dalla nostra vita vorticosa, dagli schermi e dalle finestre virtuali che riempiono le nostre giornate”.
Il villaggio degli ulivi thailandesi LUCIANO DEL SETTE gli edifici religiosi, o passeggiano tra i viali chiacchierando a bassa voce. E poi la gente, i fedeli. Nella dimensione del tempio buddista non esiste traccia di quel senso di timore che molte chiese cattoliche infondono. Coppie di giovani si tengono per mano amoreggiando con discrezione, una scavatrice è parcheggiata in attesa di riprendere il suo lavoro, i bambini si rincorrono per gioco. Dentro, la sensazione di pace si dilata. Nessuna immagine del Buddha, per quanto immensa, per quanto moltiplicata infinite volte, comunica oppressione. Il Buddha, disteso, in piedi, nella posizione del fior di loto, piccolo o gigantesco, è sempre suggeritore di tranquillità. L’ulivo e gli angeli sono i fedeli che accendono incensi, depongono petali di fiori sulle statue, liberano dalle gabbie gli uccellini come voto di buon augurio; sono i ragazzi che dimenticano di indossare il bomber in finta
be divenuto famoso come “floating market”, mercato galleggiante, sono stati, in grandissima parte, seppelliti dall’asfalto. Ciò che ne resta è poca e turistica cosa. L’ulivo e gli angeli. Sembrerebbe impossibile scoprirne ancora le tracce in mezzo al caos perenne e imperante. Non è così. Un primo indizio arriva nella stagione dei monsoni, quando la violenza dei rovesci fa scappare i turisti da Sanam Luang. Invece di scegliere la fuga, basta cercare riparo sotto la tettoia di un tempio (wat). Improvvisamente soli, si viene avvolti dal concerto dei mille piccoli sonagli appesi tra le volute degli edifici, che il vento e la pioggia fanno cantare all’unisono. I templi. È questa la pista da seguire per ritrovare l’ulivo e gli angeli. La cinta delle loro mura possiede la magia di isolare, in senso acustico e non soltanto mistico, chi entra. Il verde è avvolgente, i bonzi pregano all’interno de-
pelle e di avere in tasca telefonino e walkman per inginocchiarsi, chiedere, pensare. Chi è straniero abbassa la voce. Per rispetto e non per reverenza. Dunque cercate i templi, quelli meno citati dalle guide turistiche. Ad esempio Lak Muang, dove il 21 aprile del 1782, 54 minuti dopo il sorgere del sole, come gli astrologi avevano raccomandato, fu collocato il sacro pilastro (il Lak Muang) in forma di lingam, l’organo sessuale maschile, simbolo della fertilità. Qui si continua a venerarlo, qui si adempie a un voto offrendo danze in costume eseguite da travestiti e vecchie ballerine di corte accompagnati da orchestre thai. Oppure andate in Phra Chan Road, al Wat Mahathat, lungo le cui mura esterne si dipana il percorso di un incredibile mercato degli amuleti. Gli spazi sono più modesti di altri templi, le immagini del Buddha gigantesche, i fedeli in preghiera seduti sulle stuoie una visione emozionante. O, ancora, contemplate Il Buddha in oro massiccio venerato a Wat Trimir, nella Chinatown tra Yaorawat e Chaoren Krung Road. In apparenza modellato usando modesto stucco, venne trasportato da un tempio raso al suolo. Giacque per vent’anni sotto una tettoia nella zona del porto, finché si decise di ricollocarlo. La catena della gru che lo stava sollevando si spezzò, provocando una lunga crepa nella statua. La lasciarono lì, rimandando il lavoro al mattino seguente. Ma un acquazzone notturno sciolse lo stucco di superficie e gli operai si ritrovarono davanti alla più preziosa opera di arte religiosa della Thailandia: tre metri di altezza per cinque auree tonnellate di peso. In seguito fu scoperta, nel basamento, una chiave che permetteva di scomporne le varie parti. L’ulivo, gli angeli, Bangkok, Krungthep. Grazie ai templi, esistono e resistono ancora.
SULLA PISTA DEI TEMPLI PER RITROVARE LE VERE ORIGINI DI BANGKOK. LUOGHI DI CULTO LE CUI MURA ISOLANO IL TURISTA IN SENSO MISTICO E ACUSTICO città per viaggiare • il manifesto [9]
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n elicottero ronza in cerchio nella notte. Puntato in basso come lo sguardo di un rapace inchiodato sulla preda, il faro alogeno fa risaltare le palme stagliate in nero sul cielo tinto di verde e violetto dal bagliore dei neon, un immagine stranamente, perversamente poetica. Il volo notturno delle pattuglie aeree del LAPD è l’haiku “noir” di Los Angeles, la “definitiva” immagine poliziesca di questa città debordante, piatta, dispersiva contemplabile solo dall’alto, dagli elicotteri che dal cielo scandagliano l’oscurità piatta. Per facilitare il loro compito molti edifici recano l’indirizzo dipinto sul tetto e i mezzi pubblici ugualmente sul tetto hanno i numeri delle targhe dipinti in grande, una segnaletica invisibile ai cittadini che fa invece della città un quadrante da battaglia navale per le manovre di polizia. L’immagine iconica della città è dunque aerea; quella che si ha inizialmente sorvolando la distesa di case nell’approccio all’aeroporto, a ridosso della spiaggia di Playa del Rey, un volo sulla città che dura quasi mezz’ora e che da una misura della vastità di questa “regione urbana” disposta su 10000 chilometri quadrati a base di casette monofamiliari con giardino. In mancanza di un vero skyline, un profilo urbano ben identificabile, l’immagine classica, inequivocabile della città è dall’alto, come coltre di luci stesa verso un punto di fuga all’orizzonte, quella dei film di Spielberg, per una città la cui lettura necessariamente passa per le immagini del suo doppio di celluloide. “LA non è solo meta di migliaia di immigranti”, ha detto nell’insediarsi il mese scorso Antonio Villaraigosa, primo sindaco ispanico di una città in cui più della metà della popolazione ormai parla spagnolo, “ha anche milioni e milioni di persone che vi abitano pur senza metterci mai piede, con l’immaginario”. Arguta riflessione del neoeletto primo cittadino sul fiume di immagini che la sua città proietta sul mondo come un effluvio di sogni e desideri, quella mediasfera cioe’ di cui sono cittadini tutti coloro che attingono all’incoscio mediatico collettivo a prescindere dall’effettivo domicilio anagrafico. Da qui l’impressione diffusa per chi visita la città di “aver già visto questa scena” o “vissuto questo momento”, deja-vu fulminanti provocati dalla sgommata di una volante dell’LAPD che accende d’improvviso le sirene o dal cancello della Paramount sbirciato fuori dal fine-
Niente può allontanare da voi la paura di volare? Tranquilli: con poca spesa e alla velocità del virtuale, si può sempre viaggiare con Tina Spacey, A spasso sul google taxi (Cooper, 15 euro). Spacey racconta il cyber-amore fra “un tipo strambo” con voce di computer e una giornalista appesa alla rete. Una storia al crocevia di generi letterari, shakerati in una divertente mistura di pettegolezzi, sensazioni e baci virtuali. E se poi, come per la protagonista, “tutta la poesia fosse andata in frantumi”, si potrà ritrovarla fra le pagine. I versi di Lucio Martelli, Altrove e Dintorni (Galleria dell’Oppurg, 10 euro) vi porteranno nella Riviera dei fiori, tra “olivi grigi e venti frondosi”: in bilico – scrive Gianluca Paciucci nell’introduzione – tra la moltitudine e il
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Bamboo Hirst incrocia storia e vissuto in un’autobiografia romanzata, Blu Cina (Piemme, 15,90 euro), che prende avvio nella Shanghai degli anni Trenta. In partenza per un viaggio a ritroso che dall’Europa la riporterà nei luoghi dell’infanzia, l’autrice ricostruisce le atmosfere del periodo, l’arrivo di un diplomatico fascista incaricato di trovare le prove che la Germania fornisce armi al Giappone e anche ai nazionalisti di Chiang Kai- shek. Dall’incontro del diplomatico con una cinese, nasce l’autrice, che resterà nel paese fino ai 13 anni. Poi partirà alla ricerca del padre, fuggito in patria quando i comunisti di Mao instaurano la Repubblica popolare cinese. Ma lui non la vorrà. Bamboo crescerà in un’orfanotrofio italiano, nel rimpianto di un’infanzia “blu Cina” e in quello della rivoluzione e delle grandi trasformazioni che non ha vissuto. “L’utopia – scrive Bamboo nel suo stile pulito e av-
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COME LUOGO FISICO, LOS ANGELES MA SI REPLICA MILIONI DI VOLTE COME LOCATION DI CENTINAIA DI FILM
strino della macchina - flashback a scene di film o telefilm assorbiti nell’infanzia che riaffiorano come memorie impiantate in un romanzo di Philip K. Dick. Se come luogo fisico dunque Los Angeles è eternemente sfuggente (there’s no “there” there, secondo la celebre massima di Gertrude Stein) ha risonanza universale come location, attraverso i fotogrammi che l’hanno ritratta in diecimila pose. Nella capitale dell’effimero, dove l’unico vero monumento è una grande scritta di lamiera bianca su una collina cespugliosa, ogni angolo quasi rimanda ad un “ciak”, dai frenetici inseguimenti dei Keystone Kops di Mac Sennett che girava sulle allora brulle colline di Los Feliz, ai corti di Stanlio e Ollio che consegnavano un pianoforte sulla scalinata di Silverlake, ora ribattezzata musical steps in onore del celeberrimo sketch, alle casette di legno di
Edendale dove su Hyperion boulevard Walt Disney aveva costruito il suo primo studio e in cui è possibile leggere l’affinità naturale con Topolinia, alle ville sfiorite su Sunset Boulevard, quelle di Viale del Tramonto, capolavoro di Billy Wilder, il genio viennese che più di molti altri aveva colto l’essenza eterea della città ma anche il suo fascino più sinistro perfettamente reso nelle strade notturne di Fiamma del Peccato, scritto non a caso assieme all’altro massimo interprete della LA “noir”, Raymond Chandler. La città che ama ricordare i suoi film insiste nel dimenticare se stessa, una compulsione che la porta a cancellarsi, come ha spiegato Norman Klein nella sua essenziale “History of Forgetting”. Demolendo interi quartieri per sostituirli con altri, pensati per durare vent’anni per poi soccombere alle ruspe e rinascere in altre
della città degli angeli
incarnazioni dove è davvero impossibile, come diceva Thomas Wolfe, “tornare a casa” poiché sono buone le probabilità che questa sia stata sostituita ormai da un centro commerciale o da un complesso multisala. Nonostante questo, proprio per questo è il luogo ideale invece per un’archeologia dell’immaginario come aveva capito l’intraprendente archeologo che era riuscito a farsi sovvenzionare sulle dune di sabbia di Guadalupe – un paio d’ore a nord dopo Santa Barbara - gli scavi di antichi reperti egizi - quelli sotterrati su questa spiaggia da Cecil B. Demille dopo aver completato le riprese de I Dieci Comandamenti nel 1923. Mentre l’architettura “vera” viene spesso trascurata (si veda lo stato di degrado in cui versano alcuni capolavori locali come la Ennis Brown house di Frank Lloyd Wright) le scenografie invece sono riverite, oggetto di tour e parchi a tema, il più famoso dei quali, Universal Studios, ne mantiene una pregevole collezione, dal Bates Motel e la casa vittoriana dove Anthony Perkins viveva con l’enigmatica invalida madre in Psycho alla strada suburbana devastata dal jumbo precipitato - appena costruita da Spielberg per la Guerra dei Mondi. Una scena di fumante distruzione fin troppo realistica con case squarciate, auto carbonizzate nei garage, vestiti, bambole e giocattoli ammucchiati a casaccio nell’area di un campo di calcio che è subito diventata l’attrazione preferita del parco grazie al fascino che i losangelesi hanno per le catastrofi da quando la loro città venne ripetutamente distrutta da alieni, mutanti o insetti giganti durante gli anni ruggenti della fantascien-
za dei b-movies, anni ’50. In parte si tratta del piacere perverso di immaginare il proprio annientamento ma la passione ha una componente più reale in quella che Mike Davis ha definito Ecology of Fear, l’ecologia della paura che determina le quattro stagioni di Los Angeles: inondazioni, smottamenti, incendi e terremoti. Le catastrofi naturali fanno parte dell’etos losangeles quanto l’edonismo dei suoi cittadini. Edificata nell’arco praticamente di 100 anni in una conca semiarida ad alta attività tellurica senza caratteristiche naturali (baie, insenature, porti naturali, fiumi) che suggerissero l’idoneità per una grande città, LA è una metropoli improbabile sin dall’inizio, una città accidentale. Come risuccchiata in orizzontale dalla semplice abbondanza di terreno a buon mercato, quella che cento anni fa era in sostanza una distesa di agrumeti è cresciuta come coalescenza di piccoli centri periferici in una grande suburbia, 100 città - in realtà il tessuto urbano contiene 87 municipi indipendent - in cerca di un centro. La dilagante edificazione orizzontale che ha fatto della frammentarietà il proprio ma-
nifesto urbanistico e dell’assenza di stile unitario il proprio stile architettonico. La metropoli è un monumento all’effimero, frutto non di piani regolatori bensì, come sempre ostentato dalla sua narrativa fondante, dall’esuberante spontaneità di un capitalismo solare che ne ha determinato l’espansione lungo gli assi delle arterie autostradali in grado di trasportarne i cittadini sempre più lontano dal centro costruendo residenze in “tempo reale”. Il movente era speculativo ma dall’inizio la metropoli più nuova dimostrò un estro che prefigurava la sua posizione di capitale dell’immaginario. Giusto cento anni fa Abbott Kinney incarnava la figura dello speculatore visionario quando bonificò una palude vicino a Marina del Rey, trasformandola in canali, aggiungendo porticati con capitelli veneziani e battezzandola Venice. Per completare l’effetto scenografico importò un paio di gondole con gondolieri inaugurando il prototipo
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volgente – è come l’ago della bussola” senza il quale non si può navigare”. Il romanzo di Bernardo Carvalho, Mongolia (Feltrinelli traveller, 14 euro), va sulle tracce di un fotografo scomparso sui Monti Altai. Un diplomatico brasiliano inviato in Cina avrà suo malgrado il compito di ritrovarlo e di affrontare una Mongolia per nulla ospitale. Prima traccia, un diario, scritto dal fotografo in forma di lunga lettera mai spedita. Ma altre voci verranno presto ad aggiungersi, complicando una “quête” che terrà il lettore col fiato sospeso e lo sospingerà su piste impervie e luoghi desertici, dove in ogni momento può esplodere una violenza sanguinosa. Anche Andrew Marshall segue la pista di un diario nel volume Birmania Football Club, tradotto da Anna Airoldi (Instar libri, 17 euro). Il diario è quello di George Scott, “uno degli ultimi
È SFUGGENTE E QUINDI NON ESISTE
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“due”, tra emozioni vibranti e critica sociale. Nel volume C’è un padre (Manni, 12 euro), i versi di Luigia Sorrentino visitano “universi istantanei”, dove “una musa svestita” cerca “un germe di tenerezza col piglio della condottiera”. Un volo poetico sul tema del padre che, per scarti e duelli, si accorda al ritmo dell’estasi o a quello del silenzio. E per concludere, un’immersione nella parola poetica e filosofica di Mauro Fabi, proposta nel volume Il motore di vetro (Palomar, 12 euro). L’io straziato osserva gli orrori del presente ma non volge lo sguardo e medita sui grandi temi dell’esistenza, preda di un “desiderio struggente” di “essere cosa”. Con gli occhi di un vecchio ormai invisibile a tutti, seduto sulla panchina di un parco deserto, osserva la vita volgergli le spalle. Lungo un viaggio di arsure e fresche rocce “dal riflesso di malva”, si leva così il grido dell’essere in lotta con la morte.
di quartiere “a tema” che un secolo dopo avrebbe trionfato a Las Vegas. Con queste premesse storiche, l’arredo urbano della città è legato più al marketing che all’architettura come confermano i mega cartelloni pubblicitari disposti sulla Sunset Strip, quasi una galleria attraverso cui guidare. Il budello d’asfalto negli swinging anni 60 fu il cuore della Los Angeles notturna e qui si affacciano tuttora locali storici come il Whisky e il Roxy o i più franchise e recenti come l’House of Blues di Dan Akroyd oltre ad alcuni hotel chiave: lo storico Chateau Marmont, il Mondrian con il suo Sky Bar sulla terrazza e lo Standard con le sue signorine in bikini languidamente sdraiate nelle apposite scatole di vetro nella hall, dietro al DJ. In questi locali si distilla quell’ineffabile misto di languore e narcisismo che a Los Angeles è stata brevettato, un’atmosfera sempre molto casual che fiorisce di preferenza al bordo di una piscina affatto increspata, come un tempo lo faceva nei oarties di Hearst Castle o nelle ville di Mary Pickford ed Erroll Flynn, quell’ineffabile “abbraccio soft”, come lo definisce Bernardo Bertolucci, capace di sedurre ogni visitatore casuale o illustre come Thomas Mann, Igor Stravinsky, Berthold Brecht, o Luis Bunuel e Sergei Eiszenstein, tutti per un periodo mangiatori del loto hollywoodiano. Il trionfo democratico di LA è stato di venderla, o almeno la sua illusione, come accessorio di ogni villino monofamiliare con giardino, le backyard che in assenza di un vero spazio pubblico sono il fulcro della vita sociale di questa città a misura di automobile.
Dal parabrezza dell’auto che è imprescindibile, unico accessorio per navigarla, la città scorre come un film: road movie urbano che può iniziare perché no, sulla PCH, la Pacific Coast Highway - lungo le spiagge “mitologiche” del surf, Topanga, Zuma e Malibu. Andare a caccia di case – e non solo le ville delle star indicate sulle mappe vendute dai ragazzi messicani sui marciapiedi di Sunset boulevard - è uno dei passatempi più fruttuosi di questa capitale dimenticata dell’architettura. Ecco a Malibu la villa dei papiri, riproduzione fedele dell’originale di Ercolano, voluta da Paul Getty per sistemarci la propria collezione di antichità, vera questa, quantunque spesso di provenienza meno che limpida. Ecco poco oltre, a Pacific Palisades, anche la casa di Charles e Ray Eames, leggendaria coppia di architetti, designer simbolo del look West Coast. Quella di laboratorio architettonico d’avanguardia è un’altra vocazione della città e l’atelier degli Eames è uno dei luoghi fondamentali della sperimentazione modernista. La casa, visitabile come molte altre, venne progettata dagli stessi Eames come parte del programma “Case Study Houses”, un concorso indetto dalla rivista architettonica Arts and Architecture Magazine di John Entenza a metà degli anni quaranta come sfida ad una generazione di architetti. Venticinque dei quali, fra cui Richard Neutra, Eero Saarinen, Craig Ellwood e Pierre Koenig produssero case spesso entusiasmanti, documentate nelle splendide foto di Julius Schulman e visitabili come parte di uno dei molti tour architettonici disponibili. Ma le radici moderniste della città sono più profonde, cominciano col lavoro di Frank Lloyd Wright che nel primo decennio del novecento costruisce qui una mezza dozzina di case del “periodo Maya” come la Ennis-Brown e la Hollyhock e passa poi per i suoi discepoli innanzitutto Rudolph Schindler, il maestro minimalista austriaco, trapiantato californiano la cui casa di West Hollywood è ora museo della fondazione PAK. Oltre alla vita architettonica, molte di queste case hanno ovviamente una vita parallela su celluloide come location di film e vengono continuamente recuperate da nuovi registi come Quentin Tarantino e PT Anderson, autori anche loro di proprie “archeologie” losangelesi. Perfino il cimitero di Hollywood, oasi di pace a ridosso del muro di cinta della Paramount, dove riposano Cecil B Demille, Rodolfo Valentino, Douglas Fairbanks, Tyrone Power John Huston, ha una ricca vita filmica. E’ un altra storia losangelese: fallito negli anni novanta, è stato rilevato da un intraprendente gestore che ne ha fatto il primo cimitero virtuale. Oltre a trovare una sistemazione al caro defunto, il tipo possiede anche uno studio di postproduzione in grado di confezionare per ogni cliente una biografia video che viene poi messa su internet ad imperitura memoria. Ogni estate l’Hollywood Cemetary è anche sede di una rassegna di cinema all’aperto in cui il pubblico stende coperte fra le lapidi e sul muro del mausoleo e guarda vecchi film noir.
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imperialisti immuni dal senso di colpa”, il primo a introdurre il calcio in Birmania nel 1879. Con precisione e leggerezza, tra scampati pericoli, esilaranti descrizioni e un attivo di sette viaggi, l’autore racconta l’incontro con militari feroci e monaci insoliti, che lo accompagnano oltre la frontiera thailandese. Un’altra strana guida lo condurrà poi nei territori dei wa, “i cacciatori di teste” dove oggi prolifica il traffico di ogni droga. Occasioni per ricordare il destino di Aung San Suu Kyi, leader del movimento democratico, da anni agli arresti domiciliari, e per mostrare “l’agonia di un popolo senza nazione” in un paese passato da colonia britannica a dittatura militare.
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empi magri per la scena, che pure sarebbe di per sé golosa e sopraffina, con la sua curiosità di apparecchiare il mondo scoprendone aromi impercettibili con i nudi sensi. Ma oggi le belle intenzioni affondano nelle paludi, i festival nelle polemiche, i finanziamenti nei tagli del ministero e degli enti locali, a loro volta mutilati nei bilanci. E’ un panorama desolante quello che si apre con l’estate, che pure era la stagione delle scoperte e delle rivelazioni. La pigrizia prende le grandi istituzioni europee, figurarsi quanto può colpire la provincia italiana, da sempre malata di elefantiasi delle intenzioni e di immobilismo del coraggio e dell’azzardo. I teatri che hanno presentato i cartelloni (in media bruttissimi e “disincentivanti”) si schermano questa volta dietro il fatto che manchi la materia prima, ovvero titoli e progetti che almeno sulla carta eccitino il programmatore e lo spettatore. In aumento c’è solo il calor bianco delle polemiche e degli attacchi personali, che oltre ad essere un cattivo spettacolo, sempre, si rivela dannoso, e maschera spesso mire inconfessabili. Che fare, che vedere? A parte il festival itinerante di musica sulle Dolomiti, resta ben poco di rassicurante o promettente per la “spettacoloterapia”, intesa ovviamente dalla parte dello spettatore. Intanto ci sono le poche e immediate tappe da non perdere, titoli singoli e occasioni di tradizione, che non deluderanno in nessun caso. La comunità di Monticchiello si mette in scena tra le sue splendide mura fino quasi a ferragosto; ad Anghiari si racconta e si gusta la memoria locale servita su Tovaglia a quadri dal 12 al 19 agosto. Poi ci sono i grandi raduni per riappropriarsi del piacere slow della letteratura (a Mantova la seconda settimana di settembre), della memoria attraverso la diaristica (a Pieve Santo Stefano nello stesso fine settimana); della creatività (festival della Mente, a Sarzana nel primo week end, sempre di settembre). A cercare disperatamente un titolo, in mezzo alle offerte forsennate e a pioggia di città e assessorati, l’unica certezza è quella del 10 agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro, dove debutta Luca Ronconi che lavora a reinventare niente meno che il Barbiere di Siviglia (l’aveva già fatto a Parigi, ma qualche decennio fa, e tutti gridarono al capolavoro). E proprio seguendo Ronconi, vena aurea dello spettacolo italiano, si può arrivare ai due grandi appuntamenti del volgere dell’anno. Tra settembre e ottobre, si tiene per la prima volta a Roma il Festival dei teatri d’Europa, e sarà il più robusto, almeno numericamente, tra quelli organizzati finora. Quella dei Teatri d’Europa è una associazione tra istituzioni nazionali di peso (non necessariamente pubbliche) lanciata da Giorgio Strehler quando dirigeva il primo di questi enti, il parigino Odeon. Ogni nazione dovrebbe mandare il meglio, in una sorta di concorso virtuoso che aiuti a stabilire i nuovi territori del teatro. A Roma la manifestazione si articolerà su tre spazi, l’Argentina, il Valle e l’India, dove sarà Mario Martone col suo Edipo a Colono a inaugurare il tutto. Diversi
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Prima dei computer, quando le assistenti di volo si chiamavano hostess, il cinema dedicava ai piloti pellicole piccanti: sembrava che, in attesa di un altro decollo, non facessero che… volare da un letto all’altro con grande soddisfazione. Ma oggi che l’unico pensiero dei piloti è spesso come conservare il posto di lavoro, tiene ancora il cliché? E’ una delle domande a cui risponde, con ironica precisione, il volume di Patrick Smith Chiedilo al pilota (Fusi orari, 12 euro). Dietro l’apparenza scanzonata, Smith - uno del mestiere – offre ritratti efficaci e brevi flash storico-sociologici su aeroporti e compagnie, e raccoglie il fastidio dei passeggeri tormentati dai controlli ossessivi dopo l’11 settembre.
Lo spettacolo GIANFRANCO CAPITTA
delle belle intenzioni
gli spettacoli belli, come il cechoviano Ivanov del magiaro Tamas Ascher, e per la prima volta a Roma un’opera della rivelazione lettone Alvis Hermanis. Tra i diciotto spettacoli da undici diversi paesi, la presenza più commovente è quella di Roger Planchon, padre del teatro europeo in Francia: ha preso un testo giovanile di Cechov, Lo spirito della foresta, che lo scrittore russo aveva ripudiato dopo avervi attinto per lo Zio Vania della maturità, e lo ha restituito al pubblico. Chi l’ha visto assicura che si tratti di una rivelazione, benché più che centenaria. Il più rischioso sarà certo La rose et la hache che George Lavaudant ha tratto da una riscrittura shakespeariana di Carmelo Bene. Le foto minacciano il calco anche dell’iconografia di Bene: da vedere con le cautele del caso. A chiudere il festival, a fine ottobre, sarà la ripresa dello spettacolo sulla vecchiaia erotica che Ronconi ha tratto da Leautaud per Albertazzi e Proclemer. Ma a quel punto Ronconi sarà ben altrimenti affaccendato in vista del traguardo olimpico cui sta lavorando da parecchio tempo. Torino infatti, che ospiterà a febbraio prossimo le Olimpiadi invernali (e le cronache hanno già battuto ampiamente la grancassa dei problemi, dei disavanzi e delle sostituzioni gestionali) ha affidato a lui una sorta di parallela
TRA POLEMICHE E FINANZIAMENTI DIMEZZATI, CACCIA A CIÒ CHE RESTA DELLA SCENA TEATRALE ITALIANA.
olimpiade dello spettacolo. La cosa ha suscitato polemiche enormi, sia per la ciVfra rilevante (sette milioni e mezzo di euro, garantiti dal comune) sia per le modalità del finanziamento che appariva tortuoso e che solo ultimamente ha trovato una sua prassi. Quindici miliardi di vecchie lire sono una cifra da sballo per un settore vicino alla canna del gas, ma sono stati i ds torinesi in prima fila a sostenere la validità e la realizzabilità dell’evento. Che evento comunque sarà, incanalato attraverso le procedure dello stabile torinese. Lo dice anche lo stesso regista, che si schermisce dietro il fatto che “sarà l’ultimo grande progetto che potrò realizzare”. Titolo programmatico del progetto ronconiano: “Domani”. Evento per i testi, all’apparenza disparati e non scontati, e per i luoghi cui sono legati, spesso spazi storici che sono stati recuperati per l’occasione, o ne saranno battezzati, come le ex Fonderie Limone di Moncalieri. Dei cinque testi, alcuni sono capolavori della storia del teatro, sebbene generalmente poco frequentati, come lo shakespeariano Troilo e Cressida, racconto della guerra di Troia dagli innumerevoli (e insostenibili) personaggi. Sarà lo spettacolo inaugurale, il 2 febbraio ai Lumiq Studios, dove dal 6 partirà anche Lo specchio del diavolo, testo sull’economia commissionato a Giorgio Ruffolo. In quella stessa settimana, all’Astra, La trilogia della guerra di Eward Bond, mentre a Moncalieri un altro testo “non teatrale” proporrà in scena la politica. E’ Il silenzio dei comunisti che da Einaudi avevano pubblicato Vittorio Foa, Miriam Mafai e Alfredo Reichlin (che sulla scena saranno per la cronaca Luigi Lo Cascio, Maria Paiato e Fausto Russo Alesi). Ultimo testo, anch’esso “anomalo”, Biblioetica, Dizionario per l’uso, scritto da Gilberto Corbellino, Pino Donghi e Armando Massarenti. Centinaia gli attori, grandissimo l’impegno, per un mese e mezzo in cui in scena andrà la contemporaneità. Le Olimpiadi sono solo un pretesto e non saranno gli sciatori con i piedi gonfi dagli scarponi ad affollare le sale. Ma quando si saranno placate le polemiche e si apriranno i sipari, forse per una volta il pubblico col proprio mondo si troverà davvero sul podio. Ovvero in scena.
le città mille pere viaggiare una rotta • il manifesto [13]
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PERCORSI DI PACE IN TRENTINO IGOR JAN OCCELLI
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er chi non pensa alla vacanza come a una fuga, a un bisogno di divertimento per forza necessario, per tutti coloro che amano le passeggiate e la cultura il Trentino è il luogo ideale. Nelle montagne che il celebre architetto Le Corbusier ha definito « le più belle architetture naturali del mondo», saranno proprio la natura e la cultura a farla da padrone con due importanti manifestazioni, «Dolomiti di pace» e « I Suoni delle Dolomiti». «Dolomiti di pace» è qualcosa di nuovo: una serie di incontri sul tema della pace accompagnati dalla natura e da filosofi, giornalisti, scrittori e politici. Più che una manifestazione è una sorta d’avventura: un percorso nel tempo passato e presente. Svago e riflessione. Con tante particolarità che la contraddistinguono. In primo i luoghi. Gli incontri si svolgono lungo il Sentiero della Pace: uno snodo di 350 km sul fronte della Grande Guerra. Dalla Marmolada al Passo dello Stelvio. Da questo alla Campana di Rovereto: la campana più grande del mondo, simbolo esemplare di pace, costruita fondendo i cannoni delle nazioni che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale. Tutti gli incontri avranno per scena il conflitto bellico: forti, trincee, cittadine militari, faranno da location a questa manifestazione. Che però non vuol essere una riflessione storica. Non un viaggio nel passato. I luoghi sono solo un pretesto, un’ombra, una montagna sullo sfondo di un paesaggio: impongono di non scordare e invitano a riflettere. Lo scopo della manifestazione è tutto presente. Quali sono i problemi di oggi, quali le iniziative per fronteggiarli, quali futuri ci troviamo di fronte, queste sono le domande a cui si cercherà di rispondere. Le risposte verrano dai partecipanti: gente comune e celebri personaggi. E qui un’altra particolarità. La manifestazione non vuole fare dei congressi, non ha una vocazione accademica. Per cui bisogna scordarsi palchi, sedie distanti dagli oratori, e tutte le cose che pongono chi parla su un piano differente da chi ascolta. In «Dolomiti di Pace» si cammina, ci si siede sull’erba, si mangia, si parla faccia a faccia. Tutti a dialogare e a cercar di capire come costruire nuovi percorsi di pace. In totale nove gli appuntamenti, cinque a luglio e quattro ad agosto. Sono già intervenuti padre Ibrahim Faltas, il rettore della basilica della natività di Betlemme, Alessandro Baricco e Giulio Giorello, filosofo e firma del Corriere della Sera. Per gli altri ( 27, 29 luglio e 10,17, 24 agosto) l’importanza degli ospiti non è da meno. Saranno presenti Roberto Salvan, direttore dell’Unicef Italia, lo scrittore Erri de Luca, l’attrice Ottavia Piccolo, Silvestro Montanaro, giornalista della Rai, Nicoletta Dentico, presidente dell’osservatorio italiano sulla salute globale, ma anche politici come il primo ministro della Somalia, Ali Mohamed Gedi, quello del Mozambico, Luisa Diogio, e altri ancora. La seconda è una manifestazione storica per il Trentino. « I Suoni delle Dolomiti» è giunta infatti alla sua undicesima edizione. Anche qui la natura la fa da padrona con la musica al proprio fianco. artisti di fama internazionale si esibiscono nelle radure e nelle conche presso i rifugi. Si assiste così all’armonia perfetta fra suono e ambiente. Mario Brunello, famoso violincellista che si autodefinisce montanaro, è quello che più incarna lo spirito della manifestazione e infatti si esibirà più volte. Oltre a lui saranno presenti John Zorn, Ballakè Sissoko, Antonella Ruggiero, Vinicio Capossella, Paolo Fresu e altri autori. Da segnalare come proprio il trombettista sardo, che ormai calca la scena jazz mondiale, sarà autore di nuove performance duettando con Lella Costa, Mario Brunello e Giovanni Lindo Ferretti, in tre distinte occasioni. Naturalmente entrambe le manifestazioni sono gratuite. Inoltre la regione Trentino ha messo a disposizione guide alpine che permetteranno agli ospiti di compiere escursioni per visitare le montagne circostanti senza dover pagare niente. Tutte le informazioni sono disponibili chiamando il numero 0461/83900 o visitando il sito www.trentino.to
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Le parche
GERALDINA COLOTTI
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Tre libri per un viaggio tra fondamentalismi e inquisizioni, che dal passato si proietta sul presente. Il marchio della strega, di Ermanno Gallo (Piemme, 16,90 euro), è un saggio in forma di racconto, scorrevole e documentato, che torna alle origine del Malleus Maleficarum, il manuale dell’Inquisizione sulla caccia alle streghe e le sue applicazioni, opera di due inviati del pontefice Innocenzo VIII. Con immagini scelte e qualche tocco di colore, l’autore ricostruisce il clima e il contesto che, in Europa, portò al rogo migliaia di donne – ostetriche, guaritrici o popolane invise per i loro costumi liberi e la loro bellezza – e si prolungò nei secoli, fino al 1800. In controcanto, la figura di Frate Fabrizius, un inquisitore anomalo
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che osserva con disgusto il crescere dell’isteria persecutoria e della delazione di massa, ma non sa intervenire. In controluce, la colonizzazione del Nuovo Mondo, luogo dell’”antitesi alla creazione divina”, dove la schiavitù degli esseri considerati inferiori non viene condannata dai teologi. Gran parte dell’America centrale, allora, “si trasformò in un’immensa prigione” influenzando e mutando, in Occidente, l’iconografia del Male. Nella frattura epocale che si proietterà ben oltre il XVI secolo – scrive Gallo – occorreva un capro espiatorio su cui scaricare la responsabilità. Un meccanismo che, in altre forme, torna a riverberarsi nelle ossessioni securitarie postnovecentesche. Sullo stesso tema ruota anche il romanzo di Mario Boffo Femmina strega (Stampa alternativa, 10 euro), che mette in scena lo scontro fra dogma e femminile. Gatti, corna, intrighi e torture, sono gli ingredienti di una storia a tinte forti
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FLAVIANO DE LUCA
della psiche
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Roma, a margine del convegno Dialogare con l’islam, organizzato al Campidoglio dalla psicoanalista junghiana Lidia Tarantini (è in libreria l’omonimo volume, edito dalla Biblioteca di Vivarium), incontriamo la sociologa marocchina Fatema Mernissi, autrice di Karawan, dal deserto al web (a cura di Elisabetta Bartuli,Giunti, 12 euro). Nel volume, un viaggio da Marrakesh fino alle oasi di Zagora con una Carovana civica seguendo i luoghi in cui le donne tessono i tappeti, compare in filigrana un Marocco di computer e paraboliche, ecologia e comunicazione: lontano dagli stereotipi, inesistente nelle guide del turismo di massa. Nel volume, lei sostiene che esisterebbe un nesso fra l’abilità di tessere delle madri marocchine e quella di navigare in internet dei figli. E’ un’ipotesi o una suggestione? E’ una ricerca che conduco da anni suscitando il fastidio di qualche accademico. Nel Marocco di oggi, un paese in grande trasformazione, una nuova lettura del passato coniuga i racconti degli ex-detenuti politici all’antichità preislamica, ritrova l’Africa cartaginese e romana, la cultura berbera. Il tappeto è l’elemento di raccordo. La suggestione viene dai miti, che a volte condividiamo con l’Europa. Ulisse è passato per lo stretto di Gibilterra, dove ci piace credere risiedesse la grotta di Calypso, che lo trattenne lì per 7 anni. Ma intanto Penelope tesseva la tela che lo teneva legato a Itaca, al Mediterraneo, al ritorno. In concreto, Penelope è anche Zineb Kadmiri, madre di un prigioniero politico a cui aveva insegnato l’arte di tessere e la forza di resistere. Donne come Zineb – “casalinghe” considerate analfabete e improduttive – hanno portato il Marocco ad essere il quinto fornitore mondiale di tappeti già negli anni ‘80. Quando è stato liberato, il figlio ha tessuto un tappeto insieme a Zineb. Oggi si occupa di comunicazione e di civismo, come molti altri suoi compagni, e ricorda il lavoro della madre nei libri che scrive. Le ragazze continuano la tradizione, ma ora sanno di essere artiste non solo artigiane, e vendono i tappeti direttamente su internet. I nuovi eroi della gioventù marrakshi sono i Cosmocivici. Chi sono i Cosmocivici? Pescivendoli, contadine, ecologisti, senza lavoro che se ne inventano uno e lo mettono al servizio degli altri. Persone come Ahmed Zainabi, l’organizzatore della Carovana civica che nel
2003 ha attraversato il paese e che tornerà a fine 2005. Da quel viaggio è nata la prima guida turistica ai siti archeologici del deserto, scritta dagli abitanti. I Cosmocivici sanno coniugare libri, internet, solidarietà e creatività: l’antitesi dei Cosmocrati, che accumulano soldi fornendo consulenze alla Banca Mondiale. In Australia, ci sono oltre 35.000 emigrati marocchini, negli Stati uniti 70.000, e anche da voi siamo la comunità più numerosa. I Cosmocivici lavorano perché i nostri giovani restino. In che modo? Avete mai sentito parlare di Mehdi Saïd? Saïd, professore di idrogeologia, è direttore del Dalìl al-Internet, un giornale bilingue, modesto e grigiastro, che si definisce ‘il primo quindicinale marocchino sulla Rete’. Costa l’equivalente di 0,5 euro e arriva a vendere 15.000 copie senza pubblicità. Secondo i redattori, ha successo perché risponde a tre esigenze giovanili: imparare a usare il computer (e le lingue e la rete), trovare un lavoro e un marito ideale (la diffusione dei “matrimoni elettronici” è problema molto dibattuto da noi). Chi acquista il Dalìl? I ragazzi delle classi popolari. Non hanno computer, fanno colletta per i 5 o 7 dirham necessari a un’ora d’accesso al web negli internet café. In Marocco, dove il “fai da te” ha tradizioni millenarie, presentare il computer come un qualunque oggetto artigianale e il giornale come la guida facile e divertente per accedervi, dev’essere stato determinante. Nelle librerie di Marrakesh capita che sia il prodotto più venduto, insieme al corso di inglese audio della Larousse. Ma questo non interessa le telecamere a caccia di sangue e violenza. E’ probabile, invece, che un giovane arabo che non possiede niente conosca il più lontano dei vostri progetti culturali: gli basta cliccare su un motore di ricerca o accendere uno dei mille canali tv, accessibili con una parabolica che costa 100 euro e un decodificatore più o meno dello stesso prezzo, diffusissimi da Casablanca al deserto. Su decine di canali televisivi ad accesso gratuito, si può ascoltare un corso di lingua, e i ragazzi se ne servono. Nei mercatini più sperduti, la scelta di manuali che insegnano lingue straniere “senza maestro” è incredibilmente ampia. Compete con certa letteratura, pubblicata a suon di miliardi dai sauditi per proporre ai giovani musulmani variazioni su un fondamentale dilemma esistenziale: rasarsi o non rasarsi? Nel libro, consiglio al turista in cerca di arcaismi di cercare nel suq la carovana dei Cosmocivici, che viaggia in senso inverso a quello del neocolonialismo.
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IL MAROCCO DELLE TESSITRICI DI TAPPETI, MA ANCHE DEI LORO FIGLI CHE NAVIGANO IN INTERNET
iubbino K-Way, materassino di gomma, fornello Camping Gaz, sacco a pelo, borraccia, sedia sdraio, zampirone antinsetti....come una filastrocca l’arrivo delle vacanze segna il ritorno di cose e attrezzi generalmente depositati in cantina, per il resto dell’anno. E naturalmente le carte, napoletane o piacentine, da utilizzare nei momenti d’ozio, sul traghetto o in un pomeriggio di pioggia in montagna, e i mazzi francesi, di solito due, per potersi lanciare nel ramino, scala quaranta o burraco (decisamente in ribasso la canasta) a più persone. Gli under 26 preferiscono decisamente altre carte: l’Inter Rail ferroviaria (purtroppo diventata più cara e divisa in zone), la prepagata bancaria (per poter prelevare denaro contante anche all’estero) e l’immancabile Summer Card telefonica (per inviare messaggi sms e parlare a prezzi molto contenuti). E poi le cartine, nel senso di mappe e non solo...C’è chi parte con la Vespa del fratello maggiore e chi s’industria coi corsi d’educazione ambientale, chi con la vacanza studio per praticare la lingua straniera e chi andando a trovare gli amici di famiglia con una casetta alle Svallbard. Al di là delle diverse consuetudini, taccuini e agendine sono pieni di indirizzi utili, disegnini, date di concerti da seguire, ritagli di giornali incollati, locali caratteristici e non. Agli impenitenti ritardatari, ecco alcuni luoghi e giorni da marcare sul calendario, tra il mare e la montagna, con l’unico filo conduttore della buona musica da ascoltare. Nella prima settimana d’agosto, un paesino dell’entroterra
garganico, Carpino, in provincia di Foggia, si trasforma nella capitale della musica popolare e delle sue contaminazioni, con un pullulare di stage, laboratori, concerti e proiezioni filmate. Sette giorni di follia, allegria e divertimento, dall’1 al 7, per la decima edizione del Carpino Folk Festival (www.carpinofolkfestival. com) con la presenza, tra gli altri, di Carlo Faiello, I Tamburi del Vesuvio, Opa Cupa, Folkabbestia, Faraualla, Alfio Antico e l’inevitabile gran finale coi Cantori di Carpino, un trio di anziani agricoltori e musicisti legati alle tradizioni locali. La settimana successiva, dal 10 al 17, ecco lo Sziget Festival di Budapest, (www. szigetfestival.it), ribattezzato dagli organizzatori “Woodstock sul Danubio” che si tiene proprio su un’isola verde, Obuda, nel centro della città, diventato un appuntamento sempre più conosciuto e apprezzato da studenti, ecologisti e giovani autostoppisti europei. Con una decina di palchi dove si alternano musicisti di vario genere, danzatori, spettacoli teatrali e artisti gitani. Il biglietto d’ingresso (tutta la settimana costa 110 euro, quello giornaliero intorno ai 20) consente di assistere ai concerti, a tutte le attività collaterali, compreso il campeggio gratuito (con uso di docce e sanitari). In programma alcuni
LUOGHI E GIORNI ALL’INSEGNA DELLA BUONA MUSICA DA MARCARE SUL CALENDARIO. TRA IL MARE E LA MONTAGNA
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e picchi di erotismo che ha per protagonista una donna e il suo persecutore. A premessa, un saggio dell’autore inquadra il conflitto secolare fra streghe e inquisitori nella lotta tra il potere vincente del maschio e quello femminile. E suggerisce quel che avrebbe potuto essere un altro “approccio alla vita” a dominanza del femminile. Ironico e suggestivo, “l’ethic thriller” di Ennio Cavalli, porta il lettore da Londra a Gerusalemme sulle tracce dei Quattro errori di Dio (Aragno,13 euro) e a bordo di un vecchio taxi. Punto d’avvio, la scoperta di un antico manoscritto che svela il primo errore divino. Protagonisti, due amanti in crisi, che si ritrovano poi al Cairo, entrambi confrontati all’enigma, al bisogno di trascendenza, e ai fondamentalismi. Chi ci bombardò per niente? Si chiedono Martha e Omar. Il loro grido rimbalza e si perde “tra stalattiti di cartapesta” nel circo del presente.
gruppi di tendenza come Franz Ferdinand, Underworld, The Hives, Morcheeba, the Brand New Heavies, Korn, gli svedesi Mando Diao, Roots Manuva e superstar come Juliette and the Licks, Nick Cave and the Bad Seeds, Natalie Imbruglia, i giamaicani The Wailers and T.O.K. Anche la scena metal sarà rappresentata da Brainstorm, Saxon e Obituary. Per la world music si esibiranno Yossou N’dour, Zap Mama, Tinariwen, Klezmatics, Oi Va Voi, Mory Kante, Khaled e Enzo Avitabile, uno dei tre artisti italiani (gli altri sono Almamegretta e Prozac+) chiamato a esibirsi nella patria di Puskas e Cicciolina. Chi vuole immergersi nelle “più belle architetture naturali del mondo” (parole di Le Corbusier) non potrà mancare alla tradizionale rassegna in cammino verso la montagna e la musica. Stiamo parlando dei Suoni delle Dolomiti (www.isuoni delledolomiti.it), originale binomio di natura e musica con i concerti che avranno luogo anche nei pressi
dei più caratteristici rifugi alpini del Trentino, nel massimo rispetto dell’ambiente circostante. Al festival ci saranno autori ed esecutori attivi in diversi ambiti, dalla classica al jazz, dalla world music alle musiche di confine, con la presenza assicurata del violoncellista Mario Brunello, musicista e montanaro che rappresenta bene lo spirito della manifestazione. Martedì 2 agosto la straordinaria violinista di origine coreana SarahChang interpreterà musiche di Dvorak e di Ciajkovskji, col suo sestetto in uno dei luoghi più suggestivi e carichi di simbolismi del Trentino: il Parco di Paneveggio (località Carigole), la leggendaria foresta dei violini, dove negli anni scorsi si sono fatti ascoltare violinisti come Uto Ughi, Salvatore Accardo, Viktoria Mullova e Gidon Kremer. Sabato 6, a Malga Fratte (Monti Lessini), tornerà fra le cime dolomitiche un’altra versatile voce femminile dal forte impatto emozionale: Antonella Ruggiero, accompagnata da due tra i più rinomati cori alpini della regione, il Coro Valle dei Laghi e il Coro Sant’Ilario. Poi l’enfant terrible della scena jazzistica statunitense, ovvero il sassofonista John Zorn, impegnato in una delle sue rarissime solo performance (giovedì 11, al Rifugio Segantini, sulla Presanella, a quota 2371 metri), nonché quelli con un altro musicista africano, il maliano Ballaké Sissoko, virtuoso della kora (giovedì 18, Tamiòn, sulle Dolomiti di Fassa) e la collaudata coppia formata dal clarinettista Gianluigi Trovesi e dal fisarmonicista Gianni Coscia (sabato 20, al Rifugio Rosetta e Giovanni Pedrotti, Pale di San Martino). Da ricordare anche l’incontro con Giovanni Lindo Ferretti, alle 6 del mattino di martedì 9 agosto, un saluto al sorgere del sole, al Rifugio Tosa e Tommaso Pedrotti, Dolomiti di Brenta. Dalle vette al fantastico mare blu della Calabria, premiato ripetutamente da Legambiente, per il Roccella Jonica Festival (www.roccellajazz.it), dal 20 al 27 agosto, con puntate anche a Reggio Calabria, Gerace e Gioiosa, diretto da Paolo Damiani. In cartellone Wayne Shorter Quartet, Pietro Tonolo Trio, Stefano Bollani Quintet, Noa Acustic Band & Solar String Quartet, Michael Nyman Band, Kenny Wheeler, Paolo Rossi e Gianmaria Testa.
Un giro
di note le mille e una rotta • il manifesto [15]
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