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MUSICA
ubiqua LE INFINITE VIE DELL’INTRATTENIMENTO DIGITALE, UN FENOMENO DESTINATO A FAR SENTIRE IL SUO PESO SULLE STRATEGIE DEI PRINCIPALI FORNITORI E GESTORI DI CONTENUTI ON LINE
novembre 2005
Supplemento al numero odierno de il manifesto
Campagna Abbonamenti 2006
Fatelo per la casa della libertà. www.ilmanifesto.it Vogliamo una casa che sia nostra e vostra, come lo è questo giornale. Per meglio difendere l’esistenza di una informazione audace e critica, per rilanciare una impresa autonoma e libera, per sfidare i prossim trentacinque anni della nostra vita. Il futuro del manifesto ha bisogno di un tetto: dobbiamo cambiare sede, vogliamo comprarne una. Quest’anno, chi si abbona al manifesto sostiene un progetto per una casa comune, un modo per restare indipendenti mattone dopo mattone e per contribuire a un’idea costruttiva: l’ultima casa a sinistra.
L’ultima casa a sinistra.
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il manifesto direttori Mariuccia Ciotta Gabriele Polo
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QUESTIONI DI GIGA
direttore responsabile Sandro Medici supplemento a cura di Francesco Paternò progetto grafico e impaginazione ab&c grafica e multimedia stampa Sigraf srl Via Vailate 14 Calvenzano [BG] chiuso in redazione: 16 novembre 2005
di Francesco Paternò n tempo si diceva la prova del budino. Adesso basta avere un figlio adolescente oppure una passione personale un po’ hi-tech e sentire - provare per credere - che in casa la musica non passa (quasi) più dalla casse collegate a un amplificatore. Nonostante non ci siano più né ovviamente il giradischi, né un mangiacassette ma un lettore di cd. Roba da modernariato: la musica proviene ormai dal computer e dalle sue piccole casse annegate dentro, con una caratteristica forse tipica dei nostri tempi veloci e allungati a dismisura: non finisce mai. Un’altra prova del budino o come la si vuol chiamare oggi si può fare anche a passeggio: basta portarsi un MP3, un riproduttore di musica digitale, e con “soli 4 giga!” (come urlerebbe un adolescente) hai in tasca e nelle orecchie un migliaio di pezzi. Vi raccontiamo quasi tutto in que-
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sto supplemento, grazie al sostegno non virtuale dei nostri amici e colleghi di Totem, (www.totem. to, to sta per Tonga, chiaro). L’invenzione più redditizia l’ha avuta con successo la Apple, che con il suo i-pod ha fatto letteralmente i soldi, tendenza e un pezzetto di futuro. Player portatili e musica sul pc di casa significano musica scaricata e giro di affari che impazza nel mondo, si calcola una spesa di 790 milioni di dollari nel solo primo semestre del 2005 cui l’Italia contribuirà alla fine del 2005 con circa 5 milioni di euro. Fin qui, sia chiaro, è il download a pagamento - l’acquisto diretto di brani nell’immensa discoteca virtuale mondiale - perché poi è guerra di bassa e alta intensità sulla condivisione free di musica. Il caso Napster non è chiuso, né si chiuderà con la fine - dopo una agonia di quattro mesi e una sentenza della Corte Suprema americana - del caso Grokster. L’intrattenimento vola insomma, mentre le notizie sulle relazioni pericolose tra informazione su carta e informazione sul web sono così così. Dipende da dove le si guardano: viste da un giornale venduto regolarmente in edicola come il nostro, la moltiplicazione delle fonti di infor-
mazioni e la loro accessibilità via internet non fanno bene ai bilanci della carta. Se cambiamo angolazione, on line le notizie corrono e crescono anche se, dice un’indagine di cui diamo conto in questo supplemento, c’è una cattiva predisposizione degli utenti a pagare per averle. Verrebbe da dire meno male, se non dovessimo prima suggerirvi di dare una letta anche a cosa succede nel mondo dei supercomputer o di infilarvi dritti per dritti dentro libri rigorosamente di carta in queste pagine segnalati. Tutta un’altra musica, ovviamente.
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COPYRIGHT
INFORMAZIONE
SUPERPC
BIBLIOMANIA
Autori di tutte le reti di Franco Carlini
Gli anni suonati e venduti di Michele Cerruti
Il caso Grokster non è chiuso di Gabriele De Palma
Caccia grossa al lettore di Raffaele Mastrolonardo
Il pirata dei tre continenti di G.D.P.
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Il calcolo più veloce del mondo di Paolo Anastasio
Ranocchi e agenti segreti di Geraldina Colotti
Simulando un cervello un po’ blu di Franco Carlini
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per avere tutte le informazioni sui cd, gli artisti, i concerti, e molto altro consultate musica.ilmanifesto.it
GANAIAN “THE THOMAS SANKARA CD” euro 8,00 Appassionato tributo alla figura del Presidente ribelle del Burkina Faso Thomas Sankara assassinato dai suoi avversari politici nel 1987. I discorsi di denuncia incentrati sullo sfruttamento dei popoli, sono campionati e posti su basi musicali etniche ed elettroniche che ne accentuano la forza sociale. Eugenio Finardi offre un' intensa interpretazione nell'unica reale "canzone" del cd.
MAURIZIO CARBONE “MADRE TERRA” euro 8,00 Un racconto fatto di relazioni e luoghi, di saperi e memorie, trasmesso attraverso tamburi, voci, corde e flauti. Un viaggio circolare dentro e attorno nostra madre: la Terra. In questo album, che attraversa diverse culture musicali, Maurizio Carbone incontra e ospita musicisti come Dom Um Romao, Garrison Fewell, Marcello Colasurdo, Marzuk Mejri e altri
LUIS BACALOV “LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DI CARLOS GARDEL” euro 8,00 La meravigliosa avventura di Carlos Gardel è un omaggio appassionato e struggente al grande compositore argentino, una vera e propria icona del tango in tutta l’America Latina. Il compositore Luis Bacalov (premio Oscar per le musiche de Il Postino) ha incluso in questo progetto molte delle composizioni che resero leggendario Gardel.
ACUSTIMANTICO “DISCO NUMERO 4” euro 8,00
AA.VV. “GE2001” euro 8,00 Compilation nata da un progetto di Supportolegale, sostiene finanziariamente la segreteria del Genoa Legal Forum. Il progetto è stato reso possibile grazie alla disponibilità di SUBSONICA, ASSALTI FRONTALI, ONDEBETA, MEGANOIDI, PUNKREAS, MEG, CLUB DOGO, PENTOLE&COMPUTER, BANDABARDO’, TETES DE BOIS, 24 GRANA, PSEUDOFONIA, RISERVA MOAC, FOLKABBESTIA, ELIO E LE STORIE TESE, RATTI DELLA SABINA, SIKITIKIS
Il quarto album degli Acustimantico presenta 11 brani selezionati dal loro nutrito repertorio ed eseguiti dal vivo Nei loro suoni confluiscono insieme musica d’autore, jazz, pop, folk arrangiati ed interpretati con personale classe, un-originalità che sa essere ancor più travolgente quando è su palco. Una rivelazione per molti, una conferma per chi li segue da tempo. Ospiti del cd Andrea Satta (Têtes de Bois) e Piero Brega.
BOULY SONKO ET LE BALLET NATIONAL DU SENEGAL “DIANBADON” euro 8,00
ARDECORE “ARDECORE” euro 8,00 Ardecore sono il cantante folk blues Giampaolo Felici insieme al leader degli statunitensi Karate Geoff Farina e la band romana Zu. Le diverse esperienze musicali si sublimano nella canzone romana, i famosi stornelli con i loro racconti di amori e coltelli, malavita e romanticismo. Fedeli alle originali, queste versioni non disdegnano un approccio noir, figlio di Nick Cave e Tom Waits.
Il canto, il ballo e il ritmo rappresentano l’anima della cultura senegalese. Dianbadon è collegato al progetto “Maison de la Culture” centro di interscambio culturale che si sta costruendo a Ndangane, nel sud del paese. Gli obiettivi sono preservare le tradizioni locali trasmesse in maniera orale, attraverso danza e canti, e sostenere questo luogo di interscambio e condivisione artistica.
FRATELLI DI SOLEDAD “MAI DIRE MAI” euro 8,00 Dopo nove anni di assenza MAI DIRE MAI è il ritorno discografico - ed insieme esordio per il manifesto cd - dei Fratelli di Soledad. Sedici tracce che si muovono fra ska, rocksteady, reggae, rock'n'roll, soul, funk, miscela congeniale alla band torinese che nel disco esprime le esperienze in tanti anni di attività dal vivo. Impegno ed ironia in un disco solare, profondo nei significati, leggero nelle emozioni.
DOUNIA “MONKEY” euro 8,00 Gli orizzonti sonori del gruppo italo palestinese passano attraverso una personale miscela di melodie, armonie, ritmi e suoni provenienti da ogni parte del mondo. Sonorità, sprazzi di luce in un lavoro affascinante ed essenziale. Dodici brani arricchiti dai contributi musicali di Riccardo Tesi, Gianni Gebbia, l'australiano Hugo Race, gli arrangiamenti d'archi di Francesco Calì. ALTRI TITOLI “New World” euro 8,00
I cd sono in vendita presso le librerie La Feltrinelli, acquistare con carta di credito telefonare ai RicordiMediastores, il libraccio e Melbookstore. numeri: 06/68719622 - 68719687. Per ricevere i Per informazioni su altri punti vendita e per cd aggiungere al prezzo 2,00 euro di spese postali
(fino a 3 cd) e versare l’importo sul c.c.p. n. 708016 intestato a il manifesto coop. ed. - via Tomacelli, 146 - 00186 Roma, specificando la
causale. Distributore per i negozi di dischi Goodfellas tel. 06/2148651 - 21700139. Informazioni sul catalogo 06/68719622-333
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di Franco Carlini hanno chiamato Web 2.0 volendo indicare una seconda versione, o se preferite una seconda ondata, del World Wide Web, dopo quella che divampò clamorosamente nel 1995, generando la famosa bolla Internet. La quale sarebbe poi scoppiata, con danni e fallimenti, nella primavera dell’anno 2000. Web 2.0 effettivamente è una felice espressione, adatta al giornalismo economico e di massa, ma di per sé non dice molto. Infatti in parte cela le novità, che sono qualcosa di più di un semplice proseguimento del web come l’abbiamo conosciuto finora, e in parte, invece, sottolinea eccessivamente la discontinuità. E poi, nella sua sintesi, oscura il fatto che non di solo web si tratta, e nemmeno della sola Internet, ma invece di fenomeni sociali ed economici che si dispiegano su diverse reti di comunicazione e che usano modalità di comunicazione non tutte comprese nel web. Volendo essere filologicamente precisi, ma ancora più ermetici, si potrebbe semmai parlare di IP, dove quello che conta è appunto l’Internet Protocol, ovvero la tecnica per trasmettere dei pacchetti di dati tra apparati diversi e con reti diverse. Tecnicamente si parla di Packet Switching, commutazione a pacchetto. La fase in cui stiamo entrando, insomma, è segnata dal trionfo (sì trionfo) di quel modo di trattare i dati che Vinton Cerf, Robert Kahn e una pattuglia di giovani laureati si inventò nel lontano autunno del 1969, poi perfezionandolo negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. E’ anche per questo, detto per inciso, che la televisione digitale terrestre come la si sta malamente avviando nel nostro paese, è discutibile: tecnologia arretrata, incompatibile con l’Internet, un vero vicolo cieco escogitato da inesperti ministeriali e aziendali. Sotto l’espressione Web 2.0 ci sono comunque diversi aspetti. Il più vistoso, tuttora in pieno sviluppo, è la crescita esponenziale della produzione autonoma di contenuti da parte di quelli che, se fosse una televisione sarebbero solo spettatori. Solo che in rete sono (siamo) anche autori. I contenuti possono essere i più diversi: si comincia con una valanga di brevi messaggi di testo (Sms); si prosegue chattando in rete con gli amici via Instant Messaging, poi magari ci si fa un blog personale, dedicato alle proprie vacanze (ma anche, perché no, alla difesa delle foreste o del pesce azzurro); si prosegue collegando la propria produzione di testi e immagini a quella di altri amici di web, animati dalle stesse passioni e magari quel blog viene citato da decine d’altri e a sua volta ne cita a decine, costituendo la forma più recente di comunità di rete. Questa recente esplosione è stata facilitata dalla crescita degli utenti della rete (se tutti i miei amici hanno la posta elettronica, anch’io sono sollecitato ad averla), dalla disponibilità di connessioni a banda larga (sempre accese in casa e in ufficio) che rendono normale e ovvio accedere alla rete per guardare l’orario dei treni come per controllare la posta in molti momenti della giornata, e infine dalla messa a disposizione di servizi e software che rendono non più facile, ma addirittura facilissimo, creare siti e blog personali, per di più gratuitamente. A monte di tutto ciò c’è
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anche il miglioramento continuo delle prestazioni dei computer, quanto a potenza di calcolo e disponibilità di memoria. Ma le tecnologie da sole non generano i grandi fenomeni sociali. Le esplosioni di entusiasmo partecipativo come quella cui stiamo assistendo nascono invece dall’esistenza di bisogni veri, magari prima repressi, che incontrano la disponibilità di “attrezzi” che li rendono infine possibili. E tra i bisogni primari che la società umana esprime da almeno 30 mila anni, c’è quella di prendere la parola e di essere in contatto, in relazione, con i propri simili. Se poi il tutto avviene in un contesto in cui la democrazia è stata sequestrata dagli apparati, dove i media tradizionali sono intrecciati con il potere - e quindi mediamente noiosi e/o demenziali - ecco che la voglia di parlare in proprio e in proprio produrre notizie, idee e socialità, trova un felice punto di appoggio. L’altra novità è che questi andamenti sociali non avvengono più soltanto sul web (che richiede comunque un Pc e una connessione telefonica), ma passano e si propagano anche per altre reti, prima di tutte quelle della telefonia mobile, ormai nel mondo ben più diffusa, avendo ormai raggiunto i due miliardi di utenti. Qui c’è confluenza di tecnologie
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ma anche conflitto di modelli: infatti il mondo dell’internet è abituato e strutturato per aprire tutti i gradi di libertà possibili, mentre quello degli operatori cellulari è a pagamento e comunque recintato e diretto da loro stessi. Quale dei due modelli vincerà? A essere ottimisti sembra inevitabile pensare che anche sul palmare mobile si potranno fare tutte le cose che oggi si fanno in rete, e quindi non solo consultare informazioni e scaricare musichette, ma anche produrne e diffonderne. Infine vale la pena di notare un ultimo aspetto: la digitalizzazione dei media ha inizialmente investito la musica, creando un subbuglio che non è ancora terminato (e di cui questo fascicolo rende conto, nei suoi ultimi contradditori sviluppi). Le case di musica sono state colte di sorpresa dalla condivisione dei file tra i loro utenti e hanno infilato un errore dietro l’altro. L’ultimo clamoroso autogol è quello di Sony BMG che ha nascosto nei suoi Dvd un software maligno che si insinua a sua volta nei computer degli utenti (tecnicamente si parla di un rootkit, ovvero di un aggeggio che lavora alla radice del sistema operativo, come molti virus). Questo rootkit serve a impedire che di quei brani vengano eseguite troppe copie e che essi non vengano trasformati in Mp3, da fruire eventualmente in movimento con un lettore portatile tipo iPod – non sia mai!. Una scelta del genere è quasi illegittima, perché impedisce al legittimo acquirente di fruire al meglio di quanto ha comprato. Ma a peggiorare la situazione c’è il fatto che quel software, come un virus maligno, non è facilmente eliminabile dal Pc e che la sua esistenza non è stata resa pubblica. A completare il disastro, uno dei massimi dirigenti, Thomas Hesse, ha dichiarato per radio: “Ma se l’utente medio non sa nemmeno che cosa sia un rootkit, perché la cosa dovrebbe importargli?”. La frase arrogante è stata messa in rete a eterno sputtanamento di un manager che non sa nemmeno che cosa sia la cura dei clienti. A seguire, nelle ansie dei detentori di vecchi business, è arrivata la banda larga, che già producendo cause legali e contromisure nel mercato dei film. Questo è il secondo passo di una messa in discussione delle filiere produttive e distributive tradizionali. La differenza è che Hollywood, avendo visto in anticipo quanto è successo nella musica, probabilmente commetterà qualche errore di meno e cercherà di proporre un modello accettabile di download dei suoi materiali. Ma gli interessi sono talmente corposi e così arcaica la cultura delle case cinematografiche che non è affatto detto che ne siano capaci. In Italia la famigerata legge Urbani sul copyright digitale è stata il frutto di un’intensa azione di lobbismo dei provinciali produttori cinematografici nostrani. Ma non è finita qui perché già si vedono i prossimi passi dell’onda digitale, che riguardano i libri e i giornali. Con meccanismi simili ma anche diversi, tocca ora alla carta stampata, di libro e di giornale, fare i conti con le reti digitali, per di più in una situazione di debolezza, dato che si tratta di mercati da tempo in restringimento. Ma è una messa in discussione salutare dalla quale i più lungimiranti usciranno avendo riplasmato se stessi mentre gli altri chiuderanno, come è giusto che sia.
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Siamo alla seconda ondata dopo quella del 1995 che generò la famosa bolla Internet. Adesso esplode la produzione autonoma di contenuti, dal web alla telefonia mobile
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GLI ANNI SUONATI E VENDUTI
Il fenomeno dell’intrattenimento digitale smuove cifre da capogiro. Un fenomeno caratterizzato da una irriducibile ubiquità
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di Michele Cerruti a ricchezza della posta attorno alla quale si scatenano le scommesse della mela morsicata e dei suoi fratelli-coltelli è ben descritta dai risultati delle indagini a tema condotte dalla Federazione internazionale dell’industria fonografica (Ifpi) e da Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana). I dati raccolti dalla prima delle due organizzazioni alla metà del 2005 parlano di un volume d’affari complessivo di 790 milioni di dollari, contro i 220 totalizzati a giugno dell’anno scorso. Trainato dal boom registrato negli Stati Uniti, in Giappone, in Gran Bretagna e in Francia, il segmento è quanto mai florido anche nel nostro Paese, dove al termine del 2008 dovrebbe valere circa 37 milioni di euro, a fronte dei 5 milioni della fine di quest’anno. È un mezzo abbaglio, tuttavia, pensare che la parte più sostanziosa di questo business transiti per l’acquisto diretto di brani e album dalle discoteche virtuali sul genere di iTunes (o dell’exfuorilegge Napster) e per la loro archiviazione sul Pc, su compact disc o su uno dei numerosi modelli di lettore MP3 portatili oggi disponibili. Le cifre, ancora una volta, aprono gli occhi su un fenomeno caratterizzato invece da una irriducibile ubiquità, destinata a far sentire il proprio peso sulle strategie dei principali fornitori-gestori di contenuti online. Il responsabile della divisione per lo sviluppo delle nuove strategie commerciali di Sony Bmg, Andrea Rosi, ha fatto notare all’ultimo Smau di Milano che l’80 per cento delle vendite di musica digitale lo si deve al download sui cellulari e che, al contrario, solo il 20 per cento sarebbe appannaggio degli store elettronici. Questo è un buon punto di partenza per considerare la complessità dello scenario, che vede i suoi protagonisti impegnati su un fronte sempre più ampio e convergente, che fagocita tecnologie e strumenti con l’obiettivo di dare vita a un’offerta globale. Si situano in questo quadro la recente alleanza fra Apple e Motorola e la rincorsa di un mastodonte tuttofare come Sony Corporation. Il vincitore, naturalmente, piglia tutto. Apple iTunes vs. Napster. Si potrebbe sintetizzare così la sfida fra le più diffuse modalità di acquisto e fruizione di musica dalla Rete oggi disponibili, notando a margine che mentre l’una ha goduto fin qui di una popolarità in crescita costante, l’altra si è trovata a fare i conti – dopo gli altisonanti proclami – con una preoccupante crisi di risultati. Al momento di annunciare quello che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello della propria gamma di servizi, Napsterto-go, il marchio magnificava infatti le caratteristiche originali dell’offerta: un numero potenzialmente illimitato di brani o di album completi accessibili per 14 dollari e 95 centesimi ogni 30 giorni. Un abbonamento, dunque, che intendeva contrastare (affiancandola) una tradizione consolidata di download liberi da qualsiasi clausola di sottoscrizione, legata al pagamento di una singola canzone o di un Cd e alla semplice installazione di un software ad hoc, rispettata tanto
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dalla rivale iTunes quanto da Msn Music di Microsoft. Un’ottima idea, adottata a propria volta da operatori come RealNetworks e il suo Rhapsody: peccato che, in questo caso, il sistema di protezione dei diritti digitali implementato dalla casa e targato Redmond (la piattaforma Drm di Microsoft denominata Playsforsure) renda impossibile l’utilizzo dei file in caso di mancato rinnovamento del canone. Il risultato è una mezza Caporetto, fra un totale di nuovi utenti largamente inferiore alle stime e ritmi di crescita molto più bassi di quelli della concorrenza, oltre a un buco di bilancio superiore ai 13 milioni e mezzo di dollari nell’ultimo trimestre. Le ragioni del flop vanno ricercate non soltanto nel metodo di vendita, ma anche nell’assenza, in casa Napster, di una gam-
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ma di gadget come i lettori iPod, con i quali la musica di “To go” è fra l’altro incompatibile. Il successo planetario del player con la mela è stato invece determinante per il boom delle transazioni basate su iTunes: le più recenti rilevazioni assegnano al servizio una base di utilizzatori che supera i 10 milioni di presenze, mentre l’ultima variante “Nano” del prestigioso dispositivo ha venduto 10 milioni di unità solo nei primi 17 giorni dal suo esordio nei negozi. In questo momento, rappresenta la prima fra le voci di introito della multinazionale di Steve Jobs. Al di là dei cavilli della tecnologia Playsforsure, la vicenda è istruttiva soprattutto per quest’ultimo aspetto: mostra infatti che proporre vetrine online attraenti e (a modo loro) convenienti, non è condizione sufficiente per il successo. Possedere una gamma di strumenti eterogenei e maledettamente cool (con tutto il rispetto per oggetti Napster-oriented come Creative Zen Touch, 10 mila canzoni in formato Windows Media Audio, o iRiver iFP 999, un gigabyte di memoria interna) sui quali fare viaggiare ovunque i contenuti erogati da un portale, può invece essere d’aiuto. L’inevitabile Apple è stata piuttosto fortunata con i suoi iPod di varia foggia, ma ha suscitato qualche perplessità il prodotto della sua alleanza con Motorola, il music phone Rokr. La capienza della memoria interna, unitamente alle limitazioni
R E G O L A M E N T A Z I O N E Nei primi sei mesi del’anno, il giro di affari mondiale dell’intrattenimento digitale è stato pari a 790 milioni di dollari, saranno 5 milioni di euro alla fine del 2005 nella sola Italia. La battaglia dei player nell’immagazzinamento dei brani e a un prezzo base tutt’altro che contenuto (250 dollari) hanno scoraggiato la clientela, che ne ha comprati “solo” 83 mila la settimana, convincendo i vertici del vendor telefonico a fare autocritica e a piazzare una versione “Lite” di iTunes sul più fortunato terminale Razr. La strada però è segnata: per i grandi fornitori di tecnologie l’obiettivo è promuovere il proprio business attraverso un ecosistema di servizi e strumenti digitali griffati con il loro marchio esclusivo. Telefoni, musica e diritti di riproduzione, lettori Mp3. Il colosso Sony, che di tutto questo ben di dio abbonda storicamente, si è trovato finora ad arrancare. Entrato in ritardo nel business della musica online con il portale Sony Connect, non ha raggiunto né col suo Walkman (alla cui gamma si sono recentemente aggiunti anche i modelli Nw-200 e Nw300 “Bean”, a forma di fagiolo) né con le vendite in Rete un suc-
cesso paragonabile a quello della prima della classe, vista anche l’iniziale insistenza sul formato proprietario Atrac 3 in sede di riproduzione. Fra le tattiche per una possibile rimonta, però, potrebbe rientrare l’insistenza sulla categoria dei music phone firmati Sony Ericsson: la joint venture ha recentemente messo sul mercato i capienti modelli W800i, esplicitamente indirizzati all’intrattenimento musicale con le loro 30 ore ininterrotte di riproduzione, o come gli analoghi W500i. La possibilità di acquistare e gestire contenuti musicali sarà ben presto soltanto una fra le tante prerogative di intrattenimento multimediale offerte dai big del settore e a spingere sulla diversificazione dell’offerta è ancora una volta Apple, che dopo aver presentato un fortunato ramo collaterale della casata iPod capace di archiviare e visualizzare le fotografie digitali (iPod Photo), mira ancora più in alto: al mondo dei video e a un futuro in cinemascope. Frutto della sua rinnovata vision è (immancabilmente) un inedito modello di iPod, l’iPod Video, in vendita dalla metà di ottobre con tagli da 30 e 60 gigabyte per un totale di 150 ore di filmati e per un prezzo massimo di 399 dollari. Fulcro dell’iniziativa, il portale iTunes, sempre meglio disposto a sistemarsi al centro di un habitat al 100 per cento multimediale e arricchito quasi in contemporanea di una apposita funzione per lo scaricamento di materiali filmati. Fra questi – è il peso delle alleanze – non mancano le produzioni Disney-Pixar e clip musicali come quello dei Black Eyed Peas che la società di Steve Jobs ha utilizzato a scopo dimostrativo nel corso di alcuni eventi a tema. Dopo essere stati proposti in versione non masterizzabile al costo base di un dollaro e 99, videoclip e simili (per esempio gli episodi del serial Tv “Desperate housewives”) hanno attratto la consueta audience da record: la multinazionale del Macintosh ha calcolato oltre un milione di clienti nel volgere di venti giorni scarsi, a fronte di una offerta che si aggira attorno ai 2.000 filmati scaricabili. Nonostante la cautela con cui gli analisti tendono ad avvicinarsi al fenomeno, la validità e la pericolosità del paradigma sono testimoniate dall’attenzione che esso sembra avere suscitato presso le grandi emittenti televisive di oltreoceano, alcune delle quali sarebbero pronte a intavolare una trattativa per veicolare le proprie soap opera e i propri talk show giovandosi della crescente popolarità del canale online.
IL FUTURO SECONDO SANDISK
UNA PLAY CON LE NOTE DENTRO Se nell’accennare alle alterne fortune di Sony, del portale Connect e dei suoi Walkman molte delle possibilità di riscatto della multinazionale erano state affidate ai music phone realizzati a quattro mani con Ericsson, va anche ricordato come l’arco dell’azienda nipponica possa contare su altre frecce affilate. Fra queste, un’insospettabile: la PlayStation Portable (PSP), che grazie all’applicazione PSP Media manager (disponibile pure su Internet a 19 dollari e 95 centesimi) può ospitare contenuti multimediali trasferiti direttamente dal Pc. Secondo gli addetti ai lavori, questa sarebbe la spia di un significativo ampliamento delle prospettive del super gadget ludico: “Il progetto – ha infatti dichiarato l’analista di Yankee Group Michael Goodman – era sicuramente e fin dall’inizio quello di rendere la PlayStation portatile un dispositivo multimediale, con scopi a breve termine legati alla dimensione videoludica, ma ben più lungimiranti di così sul medio-lungo periodo”. In tal senso, ha successivamente sottolineato il ricerca-
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tore, Sony non sembra voler combattere con Nintendo, ma attirare un pubblico più vasto con funzionalità avanzate”. Nel mirino, è la prevedibile conclusione, “ci sono Apple e il suo iTunes”. Difficile dire, in questo momento, se a Cupertino qualcuno stia dormendo sonni agitati, ma è certo che il potenziamento delle funzionalità musicali potrebbe imprimere una ulteriore accelerazione alle console da passeggio di Sony, che in soli 30 giorni e relativamente agli Stati Uniti, lo scorso settembre hanno venduto ben due milioni di esemplari. Dal canto proprio, Microsoft ha pensato a un futuro a sette note anche per la sua piattaforma Xbox 360, dichiarandone la compatibilità con gli iPod. Un’eventualità confermata, ma al tempo stesso resa problematica da un susseguente annuncio in base al quale nessun materiale proveniente da iTunes sarà riproducibile sulla console. Una marcia indietro non da poco, nel quadro di una situazione che resta però fluida e tutta da definire.
Il percorso segnato da SanDisk con la commercializzazione del suo “Gruvi” va in una direzione diversa sia rispetto ai servizi di distribuzione online proprietari sia rispetto alla stretta correlazione con una particolare tipologia di device, sebbene il gruppo si segnali a propria volta per la produzione di player quali Sansa M200. “Gruvi” è uno speciale supporto di memoria Usb (Universal serial bus) basato sulla tecnologia SanDisk Trusted Flash, fornito con contenuti precaricati e fruibili da una vasta selezione di dispositivi compatibili: lettori Mp3, personal computer o palmari, telefoni cellulari e fotocamere. Peculiarità tipica della soluzione, il fatto che i file memorizzati potranno essere trasferiti soltanto tempora-
neamente a un altro apparecchio, ma continueranno a risiedere in via definitiva sul supporto originale. Per il lancio promozionale del nuovo progetto l’azienda statunitense ha legato il proprio marchio alla lingua rosso fiammante dei Rolling Stones, che hanno messo in commercio una edizione Gruvi-based del loro più recente “A bigger bang”. Non solo: attraverso la scheda flash, sugli scaffali nel solo Nord America a un prezzo di poco inferiore ai 40 dollari, gli ascoltatori possono accedere a una collezione di vecchi classici del gruppo (fra i quali il best seller “Exile on main street”) e acquistarli in Rete dal Personal Computer di casa o in movimento.
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UNA CRESCITA INARRESTABILE
IL CASO GROKSTER NON È CHIUSO
di Gabriele De Palma opo un’agonia di quattro mesi, iniziata con la sentenza di condanna che la Corte Suprema ha emesso nel giugno scorso, il celebre servizio di file-sharing sì è spento. La colpa di Grokster è stata di aver basato il suo business sull’infrazione delle leggi che tutelano il diritto d’autore. Non è stato condannato per essere un software p2p (che fortunatamente rimangono legali), non perché veniva utilizzato per infrangere il copyright (in tal caso ogni azienda i cui prodotti possono avere un uso illecito – dai farmaci alle armi – verrebbe chiusa) ma perché aveva costruito la sua fama grazie a slogan pubblicitari che erano quantomeno ambigui. Tutta la musica che vuoi strillava uno dei messaggi pubblicitari presenti sul sito. La sentenza della Corte Suprema aveva reso quindi Grokster perseguibile per i reati commessi dai suoi utilizzatori, responsabilità troppo scomoda per un’azienda. Ora allo stesso indirizzo appare un altro slogan Ci sono molti servizi di download legale, questo non è uno di quelli. Questo è in fin dei conti il risultato della reazione dell’industria dei contenuti (Riaa, Mpaa)
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agli effetti dello sviluppo tecnologico. Reazione orchestrata su tre temi ricorrenti. Innanzitutto le cause legali, sia contro gli utenti (la famosa campagna di cause “John Doe” ad anonimi condivisori di materiale d’autore iniziata nell’agosto 2003) che contro le tecnologie che abilitano una maggiore possibilità di fruire i contenuti (Napster prima, poi Grokster e Kazaa), avendo quale reale obiettivo finale i software peer-to-peer che incarnano alla perfezione gli ideali democratici della rete. Ognuno, grazie all’architettura del p2p, distribuisce i contenuti, diffonde conoscenza, si fa canale trasmissivo di condivisioni altrui, e il tutto con ampie garanzie per la sua privacy. Ci sono poi le azioni di lobby
I dati qui sotto (diramati dalla società di misurazione e monitoraggio del traffico internet Big Champagne, e approssimati al migliaio) testimoniano l’inarrestabile incedere dei servizi p2p, e si riferiscono alla media mensile degli utenti contemporaneamente connessi ai software di condivisione più usati. Il periodo considerato è quello che inizia con le prime cause legali agli utenti intentate dalla Riaa (agosto 2003). Non si può legittimamente parlare di effetto deterrente. MESE agosto 2003 ottobre 2003 dicembre 2003 febbraio 2004 aprile 2004 giugno 2004 agosto 2004 ottobre 2004 dicembre 2004 febbraio 2005 aprile 2005 giugno 2005
UTENTI 3.847.000 6.142.000 5.602.000 6.831.000 7.639.000 7.401.000 6.822.00 6.255.000 7.582.000 8.524.000 8.629.000 8.888.000
e medie, il che vuol dire che le major puntano decisamente alle prossime generazioni. Quelle precedenti dovrebbero finire in galera o sul lastrico (viste le leggi in vigore), ma ormai hanno capito che gli sforzi per convincerci sono vani. Hanno provato a dire che condividere i file è come rubare un cd in un negozio, che l’artista è un genio e che le sue profittevoli idee nascono da una magica dote congenita, senza commistione con le idee altrui. Ci hanno provato ma non siamo così ingenui, e se poi si leggono le tabelle secondo cui vengono divisi i proventi delle opere dell’ingegno non è facile credere che ci sia altro dietro queste ragioni oltre il tentativo di perpetrarsi del sistema così come è oggi, cioè anacronistico. Certo però che a dieci anni le persone sono più facilmente convincibili. In più i messaggi di queste lezioni sono avallati dall’autorità della scuola stessa, i corsi di educazione al copyright sono sovvenzionati dal Miur. Purtroppo l’educazione al copyright manca di un contraddittorio, non risultano dubbi
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IL PIRATA DEI TRE CONTINENTI
sul legislatore. Non solo gli uffici legali della major ma anche i loro lobbisti hanno aumentato le attività, e forse possono considerarsi i veri beneficiari del problema p2p. Le pressioni sui legislatori hanno due obiettivi principali: estendere la durata temporale della protezione e restringere, dichiarandole illegittime, le aumentate possibilità d’uso dei contenuti. Le argomentazioni messe in campo dalle major esaltano l’importanza della protezione dell’autore come incentivo economico alla creatività e ricordano – e questo ci sembra più plausibile e più interessante per il legislatore – che una buona parte dell’economia degli Usa e delle sue province europee sia basata sulla proprietà intellettuale. Purtroppo per gli utenti, le azioni di lobby vanno spesso a buon fine, e se non convincono questo legislatore, convinceranno il prossimo. Gli utenti invece hanno una rappresentanza non abbastanza organizzata, e meno armata (salvo che di argomenti). A completare il quadro – desolante – della reazione che ha portato alla chiusura di Grokster ci sono le campagne educative condotte nelle scuole elementari e medie (si veda il riquadro “Cattivi maestri dietro alla lavagna”). Elementari
Il celebre servizio di file sharing si è spento dopo una condanna della Corte Suprema Usa, con l’accusa di essere utilizzato per infrangere il copyright
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o incertezze sui temi esposti. Le campagne educative negli Usa, modello di riferimento di quelle europee, sono così: senza dubbi, tutto semplice e tutto a vantaggio delle major. Il che non sorprende, le hanno ideate loro queste lezioni. Tante omissioni (il fatto che con le regole attuali Disney avrebbe fatto uscire Pinocchio cinquanta anni più tardi) tante verità assai discutibili (la solita equiparazione proprietà fisica, proprietà intellettuale) insomma una mistificazione. Tutta la musica, legale. Questo potrebbe essere lo slogan del Grokster che rinascerà entro fine 2005 grazie all’accordo con Mashboxx, che l’ha comprato per 1 dollaro e ne farà un sistema di download legale. Mossa analoga a quella che ha visto Napster (il primo a fare dormire sonni inquieti alle major nel 1999) risorgere dalla sue ceneri qualche anno fa, legale e a pagamento con i file per il download dotati di sistemi di protezione anticopia e che ne tracciano gli spostamenti sulla reti p2p. Non sarà però la stessa cosa, non solo per gli utenti, ma per Grokster stessa. Il traffico di file sarà inevitabilmente irrisorio rispetto a quello precedente la sentenza. Sì, perché la cosa che dovrebbe fare riflettere è che nonostante la Riaa e la Mpaa (e tutte le federazioni di musica e cinema nazionali) ormai da qualche anno diffondano il terrore tra gli utenti, il p2p e lo scambio dei file continua a crescere. Inesorabilmente. gabriele@totem.to
di G. D. P
andolph Hobson Guthrie III è l’erede designato di una ricca famiglia statunitense, è uno di quei bambini “difficili”, che fin da piccolo si distingue per il suo particolare interesse per i macchinari e per essere poco socievole (gli viene diagnosticata la sindrome di Asperger, un tipo di autismo “altamente funzionante”). Ha una brillante carriera scolastica ed eccelle nell’IT. Cresciuto, prova a mettersi negli affari con discreta sfortuna, un uragano e un’alluvione distruggono completamente il suo business di barche e auto d’epoca. A quel punto fa un viaggio in Cina e arrivato a Shanghai ne rimane entusiasmato. Erano gli anni ’90 e il ragazzo, nemmeno trentenne, fiuta il profumo del boom economico che esploderà di lì a poco. Girando per le strade di Shanghai Randy scopre che si possono trovare a un dollaro tutti i cd e i film appena usciti sul mercato Usa: cd e dvd contraffatti ovviamente. Fiuta il
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business e ci si butta. Fa una prima lista di titoli delle ultime uscite hollywoodiane, e se li fa masterizzare. Si accorda con i fornitori e ottiene uno sconto sul prezzo: 60 centesimi a pezzo. Decide di “testare il mercato” provando a piazzare alcuni dvd su eBay. Le aste vengono chiuse più o meno a 3 dollari. Stabilisce che il prezzo è giusto – rimane un buon margine comprese le spese di spedizione – e inaugura la sua attività. Illecita, di pirata contraffattore. Apre un sito, registrato in Russia con il nome threedollardvd.com. Gli affari vanno bene, anzi benissimo, compra i dvd e li rivende in Usa a prezzi imbattibili. Nel giro di pochi mesi inizia ad assumere aiutanti cinesi, saranno otto alla fine sul suo libro paga. I dvd finiscono quasi tutti nelle case dei cittadini statunitensi, e qualcuno decide che il prezzo d’acquisto è così conveniente che rimane ampio margine per un ulteriore guadagno. I dvd di Randolph iniziano a popolare le bancarelle dei piccoli mercatini locali americani, dove iniziano i problemi. In un mercatino di un paese del Mississippi viene fatto un controllo sulla merce e gli agenti si accorgono subito dell’illegalità di quanto venduto. Chi vende i dvd si difende dicendo che li ha comprati su un sito internet e pensava fossero legali. La polizia fa le sue ricerche e scopre che il sito è russo, registrato da un residente in Cina. Non ci mette molto a risalire al nome di Randolph e inoltra il corpo del reato – una copia di Finding Nemo – alla
La breve storia di Randolp Hobson Gutrhrie III, l’uomo dei dvd a 3 dollari l’uno fra Stati uniti, Cina e Russia. Ascesa, caduta e due processi
ANGELI E CATTIVI MAESTRI Dall’anno scorso sono iniziate anche in Italia le campagne educative a favore del copyright nelle scuole italiane. Elementari e medie, con il contributo del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur), che notoriamente ha così tanti fondi da sovvenzionare simili fondamentali progetti educativi. Le prime erano condotte dalle Federazioni antipirateria (Fpm, Fapav e Bsa) e avevano come protagonista un angelo. Manco a dirlo trattasi dell’angelo del copyright, il che fa capire il grado di obiettività della comunicazione. Il tema del diritto d’autore e soprattutto della condivisione di file via internet è molto controverso e non è banalizzabile, nemmeno per dei bambini, in poche battute. Ci sono i diritti degli autori, indubbiamente, e vanno rispettati, ma ci sono anche i diritti dei consumatori, dei fruitori delle opere dell’ingegno, assai poco menzionati se non dalle associazioni dei consumatori e dall’opinione pubblica. Quest’anno la campagna “rispettare la creatività” è condotta da una nuova realtà tutta europea: l’European Music Copyright Alliance (Emca) che vede tra i promotori le italiane Siae, Associazioni Fonografici Italiani (Afi) e l’istituto per la tutela degli artisti interpreti ed esecutori (Imaie). Anche quest’anno la campagna è finanziata dal Miur. Le prime campagne educative hanno avuto luogo negli Usa. Non erano sovvenzionate dalle amministrazioni pubbliche e si svolgevano più o meno così: per una giornata i bambini venivano “istruiti” da educatori esterni alla scuola sulla necessità e la giustizia della difesa della proprietà intellettuale. La tecnica usata è, dopo un breve elenco di verità apodittiche, quella del gioco di ruolo. Metti i bambini a fare la parte di un celebre cantante, o di un regista, e fagli capire quanto avrebbe da perdere in caso di condivisione gratuita del materiale da lui faticosamente prodotto. Oppure mettili nei panni di un responsabile dell’industria di musica e cinema e fagli capire che se non guadagni quanto vorresti non potrai più produrre i film e i dischi. Mai nessuno che facesse mettere i bambini nei panni che molto presumibilmente vestiranno da grandi, cioè degli utenti. Urge controinformare.
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Mpaa, che lo passa alla Mgm, casa produttrice del film in questione. Alla Mgm il nome di Rundolph è già noto: è il protagonista di un dossier in preparazione per convincere il governo che la Cina è la patria della pirateria e che bisogna fare qualcosa per arginare il fenomeno. Nel 2004, dopo che il governo ha deciso di affidare anche all’FBI la tutela del copyright, il governo americano chiama Pechino per informarlo dell’accaduto e chiedendo sostegno per un’operazione antipirateria internazionale. Il governo cinese, per usare un eufemismo, non si è mai curato troppo delle lamentele e delle minacce statunitensi. Oramai da qualche anno è in cima alla lista nera, stilata dal governo americano, tra le nazioni che favoriscono la pirateria. Non ha mai reagito in nessun modo, se non con vaghe dichiarazioni d’intenti; non trae alcun vantaggio dallo stroncare un’attività che sostiene molti dei suoi cittadini (ed è forse l’unica nazione che può permettersi di ignorare il can che abbaia). Ogni tanto la polizia locale fa una retata per le strade e brucia qualche migliaio di cd e dvd (si stima circa l’1 per cento del totale), nessun arresto, nessuna indagine. Questa volta però la situazione è diversa dal solito: il pirata in questione non è un cinese, è un americano, ricco per di più. Pechino coglie la palla al balzo e spicca un mandato di arresto per Randolph. Nella sua casa a due piani vengono trovati 120 mila dvd, materiale per l’imballaggio e la spedizione. Viene processato e condannato a due anni e mezzo di carcere e a un risarcimento di 60 mila dollari (probabilmente finite nelle tasche dei cinesi…). Sconta parte della pena in una piccola cella insieme a efferati delinquenti, poi quest’autunno viene estradato negli Stati Uniti dove agli arresti domiciliari aspetta di essere giudicato dalle autorità Usa dove le pene sono molto più rigide che in Cina. Il processo è previsto per il prossimo gennaio. Questa storia insegna alcune cose importanti. Innanzitutto fa capire con chiarezza che i cinesi non sono interessati a limitare il fenomeno ma hanno colto l’occasione di fare bella figura e di farla fare anche all’Fbi. Non sono state fatte indagini per cercare di risalire ai fornitori di Rundolph, che rimane l’unico colpevole condannato. Per un po’ di tempo potranno usare questo precedente per replicare alle accuse di mancata collaborazione contro la pirateria. Infine la storia ci rammenta la differenza tra un pirata vero e un condivisore. Il pirata vero è un contraffattore, produce materiale illegale e ci lucra sopra, sottrae proventi alle industrie che investono per la produzione dei contenuti rubandogli i clienti, che in questo caso erano in larghissima maggioranza statunitensi. Chi condivide i file non guadagna nulla, chi li scarica “guadagna” un contenuto in formato compresso (quindi più scadente dell’originale) per cui paga già una tassa sui mezzi e i supporti di registrazione. Differenza che sembra molto più netta rispetto a quanto palesato dalle pessime leggi vigenti.
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CACCIA GROSSA AL LETTORE
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di Raffaele Mastrolonardo attiva notizia (numero uno) per il mondo della carta stampata. Gli ultimi dati sulla circolazione dei quotidiani Usa non sono incoraggianti. Secondo il rapporto dell’Audit Bureau of Circulation, reso pubblico lo scorso 8 novembre, la diffusione dei giornali è calata del 2,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2004 e dell’1,9 per cento dalla precedente rilevazione, realizzata il marzo scorso. Dalle nostre parti le cose vanno meglio, ma solo di poco. Secondo il Quinto rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione in Italia, i lettori abituali dei quotidiani sono scesi al 38 per cento della popolazione (erano il 42,3 per cento nel 2001). Principali imputati del declino, su entrambe la sponde dall’Atlantico, i soliti noti: i media elettronici verso cui i lettori si indirizzano sempre di più. In questo panorama fosco c’è però qualche margine di consolazione per gli alfieri dell’informazione cartacea. La buona notizia è che la maggior parte dei transfughi approdano presso le edizioni online degli stessi media. Dopo tutto, in rete la credibilità e la reputazione contano forse più che nel mondo reale e gli utenti si indirizzano laddove pensano di trovare fonti affidabili. Nei primi 15 posti della classifica globale dei siti di news di settembre 2005 redatta da Nielsen/NetRatings figurano così le edizioni web dei maggiori quoti-
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diani Usa. Mentre nel Belpaese, secondo Audiweb, Repubblica. it ha ricevuto nel mese di ottobre più di 5 milioni e 300 mila visitatori unici. E Corriere.it si è fermato alla rispettabile cifra di 4 milioni e 660 mila. Niente male, dunque. Il problema (cattiva notizia numero due) è che questi utenti non sembrano disposti a pagare per quello che leggono, almeno per le news generaliste. Sono di nuovo i dati americani a rivelarlo. La spesa per contenuti online continua a crescere, si legge nel Rapporto sui contenuti virtuali a pagamento realizzato dall’Associazione degli editori online degli Stati Uniti. Nella prima metà dell’anno gli statunitensi hanno speso 986,8 milioni di dollari (133 milioni in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), mentre i consumatori di contenuti a pagamento online sono cresciuti del 15,6 per cento. Peccato che a essere esclusa dalla crescita sia proprio la categoria “General News”, calata del 13,8 per cento rispetto alla prima metà dello scorso anno. Cambia il medium e muta anche la propensione degli utenti, che in rete diventano più avari e selettivi. Eppure qualcosa per uscire da questa empasse bisogna pur farla. Anche perché la pubblicità comincia a ristagnare e non sempre basterà la moltiplicazione di inserti e settimanali a reggere la baracca. Negli Usa, dove i cicli cominciano qualche anno prima che da noi, Goldman Sachs fa sapere che gli introiti derivanti da pubblicità per i quotidiani cresceranno solo dell’1,7 per cento nel terzo
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Chi legge i giornali su Internet e chi ancora li acquista in edicola, la cattiva disposizione degli utenti a pagare per l’informazione. Anche se la spesa per contenuti on line continua a crescere, secondo uno studio dell’Associazione editori statunitensi
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trimestre dell’anno, la peggiore performance degli ultimi ventiquattro mesi (cattiva notizia numero tre). Una strada per fronteggiare la crisi è quella di provare lo stesso la via dei contenuti a pagamento. A dispetto dei sondaggi e dei numeri. Recentemente, il New York Times ha tagliato la testa al toro e ha lanciato il servizio TimesSelect: 50 dollari annuali per il privilegio di leggere sul web gli editoriali del quotidiano della Grande Mela. Il ragionamento dietro la mossa, sulla carta, è corretto: con il crescere dell’affollamento di voci, aumenta anche il valore delle opinioni autorevoli. “Nei prossimi anni, in rete la notizia sarà sempre di più considerata come scontata, come un dato di base. Il valore risiederà nelle opinioni, che dipendono dalla credibilità di chi le emette”, spie-
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ga Mario Buccich di Casaleggio & Associati, la società di consulenza che aiuta Beppe Grillo nella gestione del blog più di successo del panorama italiano. Se la strategia è corretta, non è detto che la scelta tattica sia all’altezza. “Il modello di business per gestire questa nuova fase è ancora tutto da inventare, può essere la pubblicità come i contenuti a pagamento. Nessuno lo sa ancora”, conclude Buccich. Forse è per questo che il giornale più prestigioso del mondo ha dovuto incassare le critiche di Jay Rosen, titolare di PressThink, uno dei blog più letti tra chi si interessa alle problematiche dell’informazione di inizio millennio. “Se tutti leggono un editorialista, questo lo rende ancora più richiesto. […] L’accesso online esclusivo intacca la percezione di ubiquità che è parte e ingrediente del potere di una grande editorialista”. Insomma chiudere i propri opinionisti dietro un velo di dollari, può essere controproducente. “Opinioni esclusive non sono più preziose di quelle che hanno grande circolazione, anzi è forse vero il contrario”, conclude Rosen. La decisione controversa del New York Times è il segnale che siamo ancora in un periodo di sperimentazione. In cui i quotidiani più avveduti fanno le prove per non rimanere spiazzati quando i tempi saranno maturi per la grande transizione dalla carta al bit. E quando, inevitabilmente, la torta pubblicitaria del web diventerà più appetitosa. Nei prossimi 3 anni gli inserzionisti americani riverseranno in rete dal 15 al 20 per cento del
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Uno studio del Washingon Post sulle proprie edizioni dice quanto il rapporto tra carta e on line non sia lineare. Lettori sottratti al giornale, costi dell’infrastruttura web, un break even che si allontana, una via virtuale che non è senza rischi loro budget (con un incremento che va dal 5 all’8 per cento), secondo Carat Americas, società specializzata in servizi per i media. Nell’universo virtuale i giornali devono fronteggiare formidabili concorrenti come Google e Yahoo!, che al momento si aggiudicano ciascuno il 27 per cento degli introiti delle inserzioni virtuali. Qualcosa bisogna pur fare, dunque. E per chi non può contare sulle economie di scala di New York Times e Wall Street Journal la strada dei contenuti a pagamento non è praticabile. Meglio allora prendere spunto
LETTORE, TI SEGUO OVUNQUE La seduzione del web non riguarda soltanto i giornali e non interessa solamente le parole. Anche televisioni e immagini sono coinvolte nella partita. Recentemente il network NBC, primo tra i grandi broadcaster americani, ha messo sul web gratuitamente il proprio telegiornale della sera. La mossa arriva a pochi mesi di distanza dal varo del primo blog dell’emittente, interamente dedicato al lavoro della redazione nella confezione delle notizie del giorno. Sulla stessa falsariga il Washington Post ha appena avviato il proprio servizio di Video Podcasting. Vale a dire la distribuzione via web di video giornalistici che possono essere fruiti sul computer o trasportati su lettori multimediali. L’idea, come ha recentemente spiegato il direttore l’editore del New York Times, è attrezzarsi per seguire i lettori su tutti i supporti che questi desiderino: carta, web, video o audio.
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da alcuni esprimenti che vengono dai territori di frontiera dell’informazione digitale di questo primo scorcio di millennio. All’incrocio tra il cosiddetto citizen journalism e il bisogno di informazione locale si moltiplicano negli Stati Uniti siti informativi a raggio limitatissimo prodotti dagli stessi cittadini. Il principio di base che ispira queste esperienze è semplice: nessuno conosce la propria città o il proprio quartiere meglio di coloro che lo abitano. Un esempio è quello di backfence.com, piattaforma che permette alle comunità locali di aprire un proprio portale in cui i cittadini sono i soli produttori di contenuti. Dalla ricerca di un imbianchino ai risultati del torneo di basket gli argomenti trattati in questi siti di comunità rimangono rigorosamente entro i confini di un paese o di una cittadina, in quella periferia dell’informazione che sfugge anche ai quotidiani locali. Stessa filosofia anima getlocalnews.com, dove l’ambito dell’informazione locale è definito dai codici di avviamento postale delle varie comunità. La speranza di queste iniziative, almeno in teoria, è ragionevole: il trend della pubblicità online va verso la localizzazione. Secondo Jupiter Research, il 27 per cento degli investimenti pubblicitari online in Usa è ormai di natura territoriale. In alcune varianti poi, e qui la faccenda diventa ancora più interessante per i quotidiani assediati dalla rete, la via locale al citizen journalism online si lega alla cellulosa. Accanto al web talvolta fa capolino un’edizione nella vecchia e cara carta. Blufftontoday. com, sito di giornalismo partecipativo mediato da una redazione, offre una selezione dei contenuti internet in un quotidiano a colori
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formato tabloid e distribuito gratuitamente ai residenti di Bluffton, South Carolina. Dati i costi aggiuntivi imposti dalla stampa e dalla distribuzione, questo modello è legato a quotidiani tradizionali. Lungo tale strada si muove, ad esempio, YourHub.com, collegato al quotidiano Denver Post in Colorado. Ogni settimana una selezione delle foto e delle storie sono pubblicate in 15 edizioni cartacee con una selezione dei contenuti del portale recapitate settimanalmente a casa degli abbonati del Denver Post e del Rocky Mountain News, quotidiani a cui l’iniziativa fa capo. Non solo cattive notizia dal web, dunque. Ma anche spunti per nuovi modelli di business. Anche a rischio di vedere cannibalizzato un po’ del proprio core business. Come rivela una analisi di Matthew Gentzkow, economista dell’Università di Chicago,
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che ha studiato la relazione tra edizione cartacea e virtuale del Washington Post tra il 2000 e il 2004, il rapporto tra stampa e online non è lineare. Nel caso del quotidiano americano l’online avrebbe sottratto alla carta circa 29.000 lettori, su un totale di 1,8 milioni. Unita ai costi dell’infrastruttura web, questa perdita avrebbe inciso negativamente sui profitti del giornale per circa 20 milioni di dollari all’anno fino al 2003 quando la crescita della pubblicità online ha ridotto l’impatto sui profitti a 2 milioni annuali, lasciando sperare in un prossimo futuro “a costo zero”. La via virtuale dei quotidiani non è senza rischi (e senza costi), dunque. Gentzkow non ci dice però che cosa sarebbe successo ai profitti del Washington Post se non si fosse mai avventurato sul web. raffaele@totem.to
INEDITE ALLEANZE L’era dello sconvolgimento digitale distrugge i business consolidati e spinge verso alleanza inedite. Tra queste quella tra un baluardo del giornalismo tradizionale come l’agenzia di stampa Associated Press e Microsoft. La divisione video di AP metterà a disposizione dei suoi clienti non solo notizie scritte ma anche video. Per il primo trimestre del prossimo anno il servizio sarà gratuito. Le due società si divideranno i proventi della pubblicità provenienti dalle testate che ricorreranno al servizio. L’azienda di Bill Gates fornirà il software per la lettura dei video, il supporto tecnico e il network e si occuperà della vendita di pubblicità. L’iniziativa partirà fornendo 50 video al giorno su questioni nazionali, internazionali, tecnologia e finanza. All’agenzia resterà il completo controllo editoriale sui contenuti. “La combinazione consentirà agli investitori di raggiungere meglio quella grande massa di persone che ormai si rivolge all’Internet per l’informazione”.
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IL CALCOLO PIU’ VELOCE DEL MONDO
L’ultimo prodotto della Ibm, Blue Gene, è un calcolatore che occupa uno spazio di quasi duecento metri, uno spazio gigantesco come le sue potenzialità
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di Paolo Anastasio l mercato dei supercomputer è sotto i riflettori, grazie al nuovo record di velocità messo a segno da Blue Gene/ L, il supercomputer di Ibm più potente del mondo. Un calcolatore in grado di indirizzare fino a 280,6 trilioni di calcoli in virgola mobile al secondo (teraflops). Una capacità di calcolo pari a quella sviluppata da 10.000 satelliti meteorologici. Il rivale più diretto, il Columbia di Silicon Graphics (SGi), non supera i 52 teraflops. Il supercomputer, installato al Lawrence Livermore National Laboratory, ha più che raddoppiato la performance della precedente versione di Blue Gene/L, ferma a 136,8 teraflops. Nel contempo, Ibm ha presentato un altro supercomputer, meno potente, l’Asc Purple, che insieme a Blue Gene/L rientra in un progetto del Dipartimento Usa dell’Energia, che intende utilizzare i due mega-elaboratori (realizzati con un budget complessivo di 290 milioni di dollari) nel quadro di una commessa governativa del 2002, per simulare in 3D scenari post atomici creando mondi virtuali alle prese con le conseguenze di un attacco nucleare. In passato, il settore dei supercomputer era appannaggio di case specializzate come Cray, Hewlett-Packard e Silicon Graphics, forti di una storica competenza ingegneristica. Lo sviluppo di sistemi cluster e la crescente disponibilità di processori sempre più potenti ha cambiato i rapporti di forza, consentendo ad aziende meno specializzate, fra cui Ibm, di entrare di prepotenza nella classifica della Top 500 (www. top500.org), che mette in fila i supercomputer più potenti del pianeta. Si tratta di un mercato di nicchia, che rappresenta circa il 10 per cento del giro d’affari complessivo dei normali Pc, considerati ormai una commodity. Una nicchia sì, ma molto ambita, punta di diamante del calcolo informatico, legato a doppio filo con il mondo della ricerca scientifica avanzata. La performance dei super cervelloni è tarata su esigenze complesse. Basti pensare alle simulazioni tridimensionali che riproducono il cervello umano, o agli studi molecolari delle proteine passando per la genomica. Si tratta di simulazioni 3D, in grado di sostituire a volte totalmente i test normalmente condotti in laboratorio. Con enorme guadagno di tempo e di risorse. Il mercato dei supercomputer ha fatto passi da gigante dagli anni ’70. Trent’anni fa, le performance dei supercomputer vettoriali – allora dominati
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dalla casa americana Cray – erano dieci volte inferiori a quelle dei normali desktop usati al giorno d’oggi. “Da allora, sono stati sviluppati sistemi alternativi all’architettura vettoriale utilizzata dalla Cray”, spiega Marco Briscolini, della divisione Deep Computing di Ibm Italia. “L’architettura dei supercomputer ha privilegiato il concetto di network, grazie al collegamento di tanti piccoli calcolatori uniti fra loro in ottica di rete che consentono migliaia di operazioni singole all’interno della stessa architettura”. Lo sviluppo di un singolo processore ad hoc avrebbe consentito di sviluppare sì la stessa potenza di calcolo garantita dall’aggregazione di diversi computer, ma ad un prezzo molto superiore. Si è così passati all’ottica del cluster. Una logica in voga anche oggi, che consente di sviluppare reti di calcolo a buon mercato, basate su un semplice principio: la somma delle performance di diverse macchine equivale a quella prodotta da un super processore. L’evoluzione dei cluster negli anni ’90 ha poi portato al boom dei “calcolatori massivamente paralleli”, capaci di interagire fra loro aumentando esponenzialmente la capacità di calcolo. Rispetto ai calcolatori vettoriali, il vantaggio dei cluster è legato all’utilizzo di diversi processori aggregati, che comportano un notevole contenimento dei costi di realizzazione e di manutenzione dei calcolatori. Usati soprattutto nel settore della climatologia a lungo termine, per lo studio di scenari come l’evoluzione dell’effetto serra e le sue conseguenze sulla calotta polare vengono utilizzati anche in diverse altre applicazioni che riguardano, per esempio, la fisica dello stato solido, la chimica computazionale, con la possibilità di simulare in 3D strutture molecolari fini come le proteine.
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Per finire con l’ingegneria delle auto, grazie alle simulazioni di “crash analysis”, che consentono alle diverse case automobilistiche di condividere studi e sperimentazioni sulle conseguenze meccaniche ed aerodinamiche post incidente. Il progetto Blue Gene/L si inserisce nel filone dei cluster dei “calcolatori massivamente paralleli”. Partito alla fine degli anni ’90 nei laboratori di Ibm, il progetto si basa sull’utilizzo di normali processori PowerPC, gli stessi utilizzati nel cuore di normali desktop da tavolo. “Il progetto risale alla fine degli anni ’90”, racconta Briscolini. Inizialmente, l’architettura di Blue Gene/L era stata concepita in modo dedicato per il settore della bio-informatica (simulazioni di proteine, genoma ecc.). L’obiettivo era quello di indirizzare fino a 1.000 teraflop a costi contenuti in spazi limitati, che non occupassero una piazza d’armi. Ogni singolo rack di Blue Gene/L contiene 2.048 processori e occupa circa un metro quadrato di superficie per due metri di altezza. I processori dialogano fra loro internamente all’architettura, e sono nel contempo interoperabili con il centro di calcolo dove si trova il supercomputer. “Tra i vantaggi di Blue Gene, al di là delle prestazioni, si trovano anche il consumo contenuto di energia elettrica, pari a 20 – 25 kilowatt e la scarsa produzione
D E L L E di calore”, continua Briscolini, precisando che un rack di Server Intel o Amd normalmente consuma di più (25 – 40 kilowatt). L’installazione più conosciuta di Blue Gene, presso il Lawrence Livermore National Laboratory, occupa una superficie di 100/200 metri quadrati, a fronte di una capacità di calcolo di 360 teraflops. Ad oggi, sono circa una quindicina le altre installazioni già attive che lo ospitano. E si attesta intorno alla decina il numero di nuovi supercomputer che vengono realizzati ogni anno da Ibm, in un mercato la cui nicchia prevede la realizzazione di soluzioni ad hoc, sviluppate da Big Blue in stretta collaborazione con il cliente per esaudire specifiche esigenze, che variano a seconda dei diversi campi di applicazione.
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SIMULANDO UN CERVELLO UN PO’ BLU
di Franco Carlini n punto luminoso si accende sullo schermo in una precisa posizione e va a colpire la retina. Qui, nei fotorecettori, il segnale ottico diventa elettrico e da lì comincia a viaggiare all’indietro nel canale ottico, transitando per diverse stazioni di elaborazione, fino alla corteccia visiva. Qui un neurone riceve l’informazione e si mette in agitazione, ovvero passa a uno stato eccitato, a sua volta “sparando” dei segnali elettrici verso i “colleghi” a lui collegati. I fisiologi li chiamano neuroni On-Off. Se invece di un punto, sul monitor si accende una barra, i neuroni OnOff coinvolti saranno di più e a valle di loro ce ne sarà un altro che si accende quando “vede” una barra. Complicando ulteriormente le cose, nella corteccia visiva troveremo neuroni che “sparano” segnali solo di fronte a barre verticali, altri per barre inclinate di tot gradi e più oltre ancora neuroni che reagiscono alla presenza nel campo visivo di oggetti in movimento, o di angoli eccetera. Così funziona, lo sappiamo da tempo, il trattamento dell’immagine nel nostro cervello: un’informazione sparpagliata,
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T R I D I M E N S I O N A L I
raccolta dai recettori della retina, viene successivamente elaborata per passi e il risultato non è una fotografia punto per punto del mondo esterno, come in una pellicola, ma una rappresentazione elettrica del mondo esterno, scritta nel codice che il cervello capisce. Detta in altre parole ancora: un’immagine nel cervello viene descritta attraverso l’eccitazione coerente e simultanea di una vasta popolazione di cellule. Là fuori sono ci sono dei fotoni che rappresentano forme e colori, mentre dentro la scatola ci sono N neuroni che in sintonia tra di loro sono attivi. Come il lettore può immaginare le cose sono più complicate di come qui descritto troppo sinteticamente. Per esempio ci sono canali specializzati per il colore e altri che evidenziano i contorni, ma grosso modo le cose vanno appunto così. Lo sappiamo bene fin dagli anni 70 del secolo scorso quando David Hubel e Torsten Wiesel, premiati col Nobel per la medicina nel 1981, esplorarono con infinita pazienza le attività elettriche dei neuroni nella corteccia di scimmie o di gatti (anestetizzati), “impalando” le singole cellule con un microelettrodo che agiva come una sonda. La cosa interessante è che questi neuroni specializzati non sono distribuiti a caso nella corteccia, ma sono fisicamente vicini per “colonne”. Si chiamano così perché scendendo in profondità con gli elettrodi (parliamo di decimi di millimetro) si incontrano in maniera ordinata neuroni che operano in maniera simile, per esempio risultando sensibili a diverse angolazioni della barrastimolo. Dunque questa architettura è nota, ma solo a grandi linee e arrivare a una descrizione di dettaglio anche di una sola colonna è impresa disperata. Una colonna del nostro cervello è un cilindretto di un terzo di millimetro di diametro e alta 3 millimetri e contiene circa 10 mila cellule. Ognuna di loro proietta connessioni con le vicine, in numero variabile da mille a diecimila. Stiamo parlando dunque di cento milioni di connessioni la cui attività va studiata. Come farlo? Una strada è quella intrapresa in Svizzera all’École Polytechnique Fédérale di Losanna dal professor Henry Markram, simulare su di un computer sia i singoli neuroni che una intera colonna. Ma per fare una cosa del genere occorre un computer molto potente e il primo della classe, che l’Ibm ha messo a disposizione, è il famoso Blue Gene. In omaggio allo sponsor scientifico l’intero progetto è stato chiamato Blue Brain. Il primo passo sarà usare un singolo processore per rappresentare un singolo neurone. Ma nel frattempo la conoscenza delle cellule nervose si è fatta molto più complicata, rispetto a quanto si credeva qualhe anno fa: le attività elettriche che svolge seguono regole diverse, per esempio i segnali possono viaggiare sia avanti che indietro. E questi segnali non sono passivi (come una corrente che si propaga in un filo di rame), ma attivi, nel senso che vengono continuamente rigenerati lungo la fibra del neurone, grazie all’apertura di canali (o porte) che
lasciano entrare e uscire ioni carichi tra il dentro e il fuori della cellula. Anche i contatti con gli altri neuroni, le sinapsi, hanno molte e diverse modalità di funzionamento, usando sia segnali elettrici che l’emissione di molecole, i neurotrasmettitori, che a loro volta attivano il neurone successivo. Si capisce come serva un singolo processore (in pratica un Pc) per simulare tutto ciò. E poi occorre connetterli in colonna, ma come? Usando le informazioni raccolte con la microscopia elettronica e con l’elettrofisiologia, per ipotizzare i legami. quale neurone parla con quale altro e perché e quando. In pratica decine di migliaia di parametri, una complessità di calcolo paragonabile a quella dei sistemi per le previsioni climatiche. Questa ricerca è appena agli inizi. Se tutto andrà come
previsto, nel giro di tre anni sarà disponibile il modello funzionante di una singola colonna della neocorteccia. Sarà un successo se, a fronte degli stessi stimoli, si comporterà come una vera colonna di neuroni. Per arrivarci occorre non solo programmare Blue Brain nella maniera adeguata, ma sperimentare su di esso, variando le configurazioni fino a trovare quelle che meglio approssimano, sul silicio, il comportamento in vivo di un tale assembramento di neuroni. Oggi è presto per dirlo, ma l’obbiettivo ambizioso sarebbe di avere un intero cervello simulabile sul computer, la qual cosa, ci tiene a precisare il gruppo di ricerca, non ha nulla a che fare con l’Intelligenza Artificiale: sarà “solo” una riproduzione, ma realistica fino a livello micro, delle singole connessioni. La cosa è comunque non sarebbe possibile con le potenze di calcolo oggi disponibili, per quanto grandi esse siano. Per farlo occorrerà sperare che la famosa legge di Moore produca i suoi benefici effetti. Questa legge empirica, formulata negli anni sessanta da Gordon Moore, uno dei fondatori della Intel, dice che la potenza di calcolo dei processori raddoppia ogni anno. Se le cose continueranno in questa maniera, e se contemporaneamente cresceranno le conoscenze modellistiche sul cervello, sarebbe possibile avere la simulazione di un’intera corteccia umana attorno al 2015. Stiamo parlando di 100 miliardi di neuroni, ovvero di 100 miliardi di processori. Oggi Blue Brain nella sua configurazione più ampia è fatto di 64 scaffali (rack) ognuno dei quali ospita 1.024 processori doppi. La strada è ancora lunga.
Il trattamento dell’immagine, dai colori ai contorni, tra singoli processori e singoli neuroni
information technology • il manifesto • [13]
C A R T A
RANOCCHI E AGENTI SEGRETI
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di Geraldina Colotti ati biometrici, impronte digitali, firme elettroniche, telecamere dal cielo e dal suolo, controllo del flusso telematico, informazione embedded e censure. A quindici anni dalla nascita del web, come cambiano le tecnologie informatiche nell’epoca dei conflitti globali? Agenti segreti, aerei fantasma, tecnologie sofisticate, luoghi di tortura, e, come una colonna sonora, una canzone degli Eagles, Hotel California: “Puoi chiedere il conto quando preferisci, ma non puoi andartene”, dice la canzone. Ma non si tratta di un film. Hotel California denomina l’ennesima missione sporca dei commando della Cia: un network internazionale di centri di tortura. In un volume tra fiction e inchiesta - Operazione Hotel California, edito da Feltrinelli -,
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T E C N O L O G I E
il giornalista del Corriere Guido Olimpio racconta i dettagli di un intrigo, già emerso dalle pagine dei quotidiani internazionali: il rapimento di 150 persone, sospetti estremisti islamici, prelevati dai servizi segreti nordamericani in ogni parte del mondo, in barba alle leggi vigenti nei singoli paesi, e poi trasferiti in luoghi segreti di tortura. Quei luoghi privi di giurisdizione si trovano in Egitto, in Giordania, in Marocco, in Uzbekistan, al chiuso dell’inferno di Guantanamo... Ma non solo. Come ha scritto Patricia Lombroso sul nostro giornale, i partner di Washington in questa impresa sembrano essere molto più numerosi. Sul prigioniero, spogliato di tutto, si sperimentano supplizi mille volte peggiori della morte: scariche elettriche, acqua bollente, strappo delle unghie, blocchi di cemento sulle ginocchia, amputazioni. I non-luoghi dell’orrore: un’intera rete, sparsa in tutto il mondo, pronta a inghiottire centinaia di futuri desaparecidos. Uno di questi è Abu Omar, imam della moschea di via Quaranta a Milano, rapito in pieno giorno nei pressi della sua abitazione. E’ il 17 febbraio del 2003. Le dichiarazioni di alcuni testimoni
mettono però gli inquirenti italiani sulle tracce degli 007 e della loro rete di copertura. Un improvviso ritorno della “sindrome di Sigonella” li spinge fino a chiedere l’estradizione dei componenti il commando nordamericano. Olimpio porta il lettore in medias res con gli occhi di un agente nordamericano, uno dei rapitori. Da mesi, la spia aspetta il contatto con “l’antenna”, la sede centrale della Cia, che si trova in una località straniera. Osserva “i corrieri qaedisti che transitano dalla Malpensa sulla rotta Golfo Persico-EuropaAmerica Latina”. Segue “gli iraniani che fanno la spesa di tecnologia proibita”. Controlla
I N F O R M A T I C H E
BIBLIOMANIA
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“l’invasione cinese”, i “nugoli di 007 , travestiti da venditori di cianfrusaglie”, inviati a Milano “per copiare di tutto: dalla formula industriale al design”. Da bravo travet dei misteri, assolve insomma ai compiti di routine, però si annoia. Ma finalmente, il display del cellulare annuncia l’arrivo di una chiamata sconosciuta. E’ il contatto. L’agente doppio trasferisce sulla pen drive il materiale che gli serve, passa al pc collegato a Internet e invia su una delle sue caselle di posta elettronica tutta la documentazione necessaria. Poi, tramite un contatto di fiducia, si procura una dozzina di schede telefoniche per cellulari. Operazioni rapide, dovute allo
Sfogliando tra montagne di libri, partoriamo un topolino che racconta di intrighi internazionali, di deportazioni, di chiamate sconosciute e di una infinita serie di doppi
N E L L ’ E P O C A
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sviluppo delle nuove tecnologie. Nel frattempo le “rendition”, le “consegne speciali”, vengono autorizzate dai vertici della Casa Bianca e realizzate con una flotta di mini aerei fantasma dotati di tecnologie ultrasofisticate: celle volanti per gli interrogatori particolari, che fanno scalo nelle basi militari, prima di far rotta verso i centri di tortura. Affittare uno di quei jet – calcola il giornalista - costa “oltre 5.000 euro all’ora”. Per rapire Abu Omar gli 007 hanno speso circa un milione di euro. Quanto costano allora ai contribuenti le “consegne speciali” di circa 150 attivisti islamici? Tantopiù che alla greppia dell’”insicurezza” non mangia solo la Cia: non è l’unica a muoversi sul terreno di caccia. Punta di lancia nelle operazioni di sicurezza è anche la Smu (Special Operation Command): soldati del Pentagono – rileva il giornalista -, già sperimentati in numerose operazioni simili nel passato. E che dire degli agenti privati, delle imprese coinvolte nel settore della sicurezza? E delle compagnie, legate al mondo di Internet o alle grandi catene commerciali che “non si sottraggono alla richiesta di assistenza fatta dal governo federale”? Ma già il Pentagono pensa di istituire una nuova unità di sicurezza: un “team rosso” – rivela Olimpio - formato da scrittori alla Tom Clancy, da registi o sceneggiatori, incaricati di immaginare “cosa potrebbero fare i terroristi”. E’ un’idea del Dsb, l’organismo dei consulenti privati di alto livello.
qualificato. Inoltre, circa 1,6 miliardi di abitanti delle zone rurali e delle bidonville non ha nemmeno l’elettricità, e si tratta di oltre un quarto della popolazione mondiale. Per contro in Bangladesh, anche se il 90% dei 68.000 villaggi non ha telefono, i finanziamenti di una organizzazione privata che fornisce piccoli crediti ai contadini poveri, hanno permesso a centinaia di villaggi di avere un cellulare collettivo. Con il microcredito, alcune donne hanno creato un servizio di telefonia itinerante. Un sistema in uso anche in Argentina e in Costa d’Avorio. L’avanzata delle nuove tecnologie sembra dunque inarrestabile anche fra “i dannati del villaggio globale”. Ma porterà sviluppo per tutti? Un libro di Massimo Ghirelli – L’Antenna e il baobab, edito da Sei – compie un viaggio nella comunicazione fra Nord e Sud del mondo, e si sofferma, a mo’ d’esempio, sul videoregistratore, un prodotto che in pochi anni ha conosciuto un’enorme diffusione in diverse aree del Sud del mondo. Naturalmente, il 90% dell’hardware mondiale è prodotto in Giappone da Sony e Matsushita, mentre il 90% del software si produce negli Usa, e viene esportato in tutto il mondo. Ma la Sony vende il 20% del prodotto in Medioriente: in Kuwait, dove il 92% delle case ha un registratore, o in Egitto, dove il mercato dei videoregistratori, ogni anno registra una crescita di circa 23%. Nel Maghreb, la percentuale di abitazioni che hanno un registratore è del 35%, superiore a quella dell’Italia. Secondo i dati di Ghirelli, il Marocco conta 1250 videoshop, l’Algeria 1000, la Tunisia 600. Il prodotto è diffusissimo anche in Cina e nel Sud est asiatico, e nell’America latina, dove proliferano i media alternativi. Anche il satellite sta prendendo
*** Il nuovo “inconscio tecnologico”, prodotto dal digitale, sarà marchiato dall’”insicurezza” e dalla “guerra duratura”? In un gustoso libretto - La prospettiva del ranocchio, edito da Bollati Boringhieri – la frusta di Altan, l’ottusa rotondità dei suoi nasuti personaggi, sfoglia il catalogo di orrori e indifferenze di un mondo “adultocentrico”, ma senza bussola e incapace di orientare. E una IV classe di scolari torinesi, sotto la guida della sociologa urbana Elisabetta Forni, commenta i temi delle sue vignette, interroga i “valori” del presente. Quelli di Altan sono bambini ipertecnologici, in bilico tra reale e virtuale, tra allarmi veri e bisogni del mercato. Quelli reali, non appaiono poi molto diversi e, a volte, la loro percezione degli adulti non si discosta troppo da quella messa in scena dal vignettista. “Erediteremo un mondo pieno di insidie, minacce e ignoti pericoli”, dice un piccolo a un’amichetta. “Un vero videogame”, esclama lei. Nella scena di fianco, due adulti imbolsiti guardano la televisione. “Non si sa più cosa è vero e cosa è finto”, dice l’uomo in poltrona, rivolto alla moglie. “Qui o lì dentro?” chiede lei indicando lo schermo. Guerre virtuali e guerre vere, morti reali e morti immaginate. Come assumere “la prospettiva del ranocchio” e reperire al contempo le informazioni adatte in un mondo in cui “il valore dell’essere si identifica in quello dell’essere visti”?
C O N F L I T T I
Zanichelli, s’intitola Il sistema globale. Comprende 7 moduli per altrettante aree tematiche e percorsi di approfondimento, che rendono accessibile ai più giovani le complesse dinamiche della globalizzazione capitalista. Il punto C è dedicato allo sviluppo tecnologico. Spiega che, nel mondo, le regioni più sviluppate sul piano economico, la cui popolazione equivale al 20% di quella mondiale, totalizzano l’84% della spesa mondiale per la ricerca e lo sviluppo. Alle regioni meno sviluppate, dove pur vive l’80% della popolazione mondiale, va invece appena il 15,6% della spesa. Solo un ristretto numero di paesi ricchi detiene
perciò il monopolio delle nuove tecnologie, protette da brevetti depositati da grandi gruppi transnazionali, e orienta la ricerca secondo il proprio profitto. E solo un piccolo gruppo di paesi fabbrica ed esporta i prodotti ad alta tecnologia: più dell’83% dell’esportazione high-tech proviene “da appena 25 paesi”. E così – mostra il volume con tanto di grafici e diagrammi - anche se internet si estende quasi in ogni paese e l’uso del cellulare si va diffondendo anche nel Sud del mondo, sono molte le aree escluse dalle tecnologie della comunicazione e informazione (digital divide): mancano le infrastrutture e il personale
Progetti didattici da aggiornare mensilmente via internet, microcrediti che creano un servizio di telefonia itinerante per almeno due continenti, un libro che è un viaggio nella comunicazione
G L O B A L I
la stessa strada. Nonostante il predominio dei grandi gruppi transnazionali e la pressione del settore militare, che finanzia circa il 60% dell’intero investimento, nelle aree povere si diffondono le antelle paraboliche collettive. Ma quanto contano i lavoratori nella progettazione e nella messa in pratica delle nuove tecnologie? L’uomo precario, un’approfondita analisi sulle trasformazioni del lavoro “nel disordine globale” condotta da Joaquin Arriola Palomares e Luciano Vasapollo (Jaca Book), rileva che, nei negoziati collettivi di quasi tutti i paesi, quando si discute di “re-ingegneria nei luoghi di lavoro” o di progetti tecnologici automatizzati, non vengono invitati i lavoratori. Seppur mascherate da un linguaggio accattivante e postmoderno, le nuove tecnologie restano al servizio del profitto, servono al controllo dei sistemi lavorativi e all ’”economia di guerra” a dominanza nordamericana. Oggi gli Usa premono perché l’Unione europea mantenga gli impegni presi nell’ambito della politica di difesa europea (Esdp) e della forza di rapida reazione (Rrf). Al centro dell’ipotesi di riforma economico-finanziaria del bilancio Ue, ci saranno perciò le spese militari, presentate come costi per “beni pubblici indivisibili”. In questo clima, non è un caso che i dati degli Eurobarometri (le ricerche compiute dalla Commissione Europea) indichino che, a Est come a Oves dell’Europa, esercito e polizia, sono le istituzioni più apprezzate dai cittadini (insieme a quelle religiose). Parlamento, partiti e sindacati, risultano invece in fondo alla scala del gradimento. In questo quadro, dicono gli autori, l’unico “keynesismo” possibile, sembra essere quello militare. E così, da una vignetta di Altan, compare un tronfio generale, carico di medaglie e galloni. “Pace! – tuona - E poi con cosa giuocano i bimbi: con i ragionierini di piombo?”
*** Un ottimo progetto didattico multidisciplinare, aggiornato mensilmente via internet (http://www.zanichelli.it/ materiali/dinucci), insegna ai ragazzi a comprendere i fenomeni che caratterizzano il mondo attuale. Il libro, ideato da Manlio Dinucci, edito da
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_L’ INVASIONE _GIORNO 10: Sto…veramente…per…perdere…la testa. Troppi server. Troppi sistemi operativi. Troppi database. Non c’ è niente di integrato. _GIORNO 11: Ho trovato la risposta. Un Sistema iSeries: server, storage, software e sicurezza in un’ unica soluzione integrata*. È unico nel suo genere. E rende tutto più semplice.
IBM.COM/TAKEBACKCONTROL/iSERIES/IT
*I server IBM eServer iSeries possono gestire contemporaneamente differenti sistemi operativi e ambienti applicativi, quali ISM i5/OS, Linux, Microsoft Windows (tramite un adattatore IXA o IXS), Java, WebSphere e Lotus Domino. L’ultima generazione di iSeries può gestire anche il sistema operativo IBM AIX 5L. I sistemi operativi Linux, Microsoft Windows e AIX 5L devono essere acquistati a parte. IBM, il logo IBM, AIX 5L, eServer, Domino, iSeries, i5/OS, Take Back Control e Websphere sono marchi registrati di IBM Corp. negli Stati Uniti e/o in altri Paesi. Linux è un marchio registrato di Linus Torvalds negli Stati Uniti e/o in altri Paesi. Microsoft e Windows sono marchi registrati di Microsoft Corporation negli Stati Uniti e/o in altri Paesi. Java è un marchio registrato di Sun Microsystems negli Stati Uniti e/o in altri Paesi. Altre denominazioni ivi citate, prodotti e nomi di servizi possono essere marchi registrati dei rispettivi titolari. © 2005 IBM Corp. Tutti i diritti riservati.