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SENZA LUCE Climaticamente parlando, il mondo è in piena emergenza. Però consumiamo sempre più petrolio a 100 dollari al barile, qualcuno sogna ancora i reattori nucleari, scarso è l’investimento globale sulle energie rinnovabili. Un punto sulle scelte da fare e sulle sfide di oggi e domani
novembre 2007
Supplemento al numero odierno de il manifesto
IMMAGINIAMO UN FUTURO DOVE SIA L'UOMO A PRENDERSI CURA DELLA TERRA.
ENI 30PERCENTO. 24 CONSIGLI PER DIMINUIRE FINO AL 30% IL COSTO DELL’ENERGIA NELLA TUA FAMIGLIA E RISPARMIARE FINO A 1600 EURO ALL’ANNO. CERCALI SU ENI.IT
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• Energie
SOMMARIO
direttore responsabile Sandro Medici
ti ricordi
[4/5] l’intellighenzia dell’energia, Ultime da questo mondo di Guglielmo Ragozzino
[FRANCESCO PATERNÒ]
no nuke
[6] un agrocarburante nel motore di Lionel Vilain
[7] chi contesta il bluff di Marina Zenobio
[9] l’illusione nucleare, il grande ritorno di Giuseppe Onufrio
[10/11] don chischiotte e i giganti del vento spagnolo di Heikki Willstedt Mesa
[13] Bellezza in bicicletta Ambiente e salute di Luca Fazio
I
meteorologi sono i nostri amici. Se ne avete uno, avete un tesoro. In tempi di emergenza ambientale, con la terra a surriscaldarsi e noi a fare buchi nell’ozono un po’ di qua e un po’ di là, se vi consigliano di prendere la bicicletta nonostante la pioggia, credeteci, è la migliore delle strade possibili. Con questo supplemento proviamo a mischiare le carte sullo stato dell’arte del clima e sulle energie che usiamo tutti i giorni, per provare a dare alcune risposte e inventarci nuove domande. Un tempo si diceva “sui tavoli delle redazioni”, oggi con Internet è la nostra posta elettronica a rovesciarci per decine di volte al giorno le notizie, purtroppo
[15] se la terra diventa una patata bollente di Geraldina Colotti
quasi sempre pessime appena si tocca il grande tema dello sviluppo sostenibile. Capitano anche cose curiose: sotto il titolo “Tendenze”, uno clicca pensando alla moda e invece ti ritrovi l’ultima previsione della Fao sulle prospettive alimentari del pianeta 2008. In quest’ultimo Food Outlook c’è scritto grande così che
i prezzi mondiali dei cereali rimarranno alti per tutto l’anno a venire, soprattutto a causa dei problemi di produzione tra diversi paesi esportatori e del livello basso dello scorte. Che succede? Una cosa, sicuramente: il forte aumento del prezzo del petrolio sta spingendo all’insù i prezzi agricoli sia perché ha alzato i costi di produzione, sia perché ha fatto salire la domanda delle colture impiegate per produrre biocombustibili. Nel supplemento, troverete una analisi di benefici e costi di questo nuovo “tigre” messo nel motore, e ne saprete delle belle. In verità, delle brutte. Più divertente sarà scoprire invece attraverso le parole di un docente del Politecnico di Milano che mentre si va in bicicletta, si
direttori Mariuccia Ciotta Gabriele Polo
lascia una “impronta ecologica”. Bisognerebbe dirlo a Walter Veltroni, sindaco di Roma, che sta per avviare in gennaio il primo bike-sharing (letteramente, condivisione della bicicletta) sul modello parigino del “velib” (velo sta per bicicletta, lib per liberté). Alla voce energie rinnovabili, c’è una storia straordinaria di Spagna, dove un giorno il vento ha incrociato dei giganti con il sostegno del governo e dell’industria privata. Nel paese di Don Chisciotte, sembra quasi una fiaba se non fosse che è tutto vero e che a noi italiani fa anche un po’ invidia. Non a tutti: il nostro governo, visto all’opera al Wec di Roma (che qui raccontiamo), è sembrato interessato a energie come il solare o l’eolico più pro-forma che altro. Un amico di Greenpeace fa invece un punto sulla scommessa nucleare che qualcuno, anche in Italia, vorrebbe rilanciare. Pericoli irrisolti a parte, il nostro autore fornisce numeri e argomentazioni solide per ricordarsi di “no nuke”, sono passati vent’anni dal referendum italiano che mise al bando il nucleare a casa nostra, e sembra ieri. Buona lettura.
supplemento a cura di Francesco Paternò progetto grafico e impaginazione ab&c grafica e multimedia Tel. 06.68308613 studio@ab-c.it concessionaria esclusiva di pubblicità Poster Pubblicità srl Angelo Bargoni, 8 00153 Roma Tel. 06.68896911 Fax 06.68308332 stampa Sigraf srl via Vailate 14 Calvenzano [BG] chiuso in redazione: 22 novembre 2007 Le immagini che illustrano questo inserto speciale sono tratte dal sito http://www. worth1000.com. Il sito propone concorsi di elaborazione fotografica e contiene circa 9.267 gallerie con 336.529 immagini.
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Energie •
[3]
L’intelli
[GUGLIELMO RAGOZZINO]
Il Wec a Roma, come coniugare ambiente globale, ormai compromesso, e domanda di energia moderna proveniente da buona parte del pianeta.
1
. Dall’11 al 15 novembre si è tenuto a Roma il Wec, quanto a dire il Congresso mondiale dell’energia, il ventesimo della serie. E’ stato in uno di quei giorni che il petrolio, ritenendosi ancora e sempre signore dell’energia e pertanto infischiandosene di tutto il restante ben di dio energetico offerto dal Wec, ha raggiunto i 100 dollari al barile, tanto per ribadire “qui comando io!” per poi subito ritrarsi, come preso da un capogiro di fronte al baratro (o al picco).
2. Il Wec, un appuntamento triennale, avveniva per la prima volta in Europa, con 100 i paesi rappresentati. Nei fatti, si è trattato di una grande Fiera campionaria, come quelle di una volta, in cui gli espositori mostrano i loro
migliori prodotti attuali e futuri, cercando di vendere qualcosa e di capire a che punto sono gli altri: i rivali, i possibili alleati, i clienti, i fornitori: insomma il mercato. Il pubblico era costituito da altri espositori, da esponenti politici e diplomatici di varia estrazione e caratura, da centinaia di giornalisti e videoperatori, da decine e decine di addetti e addette agli stand, ai padiglioni e ai servizi: facevano funzionare nel modo migliore locomozioni, ristorazioni, informazioni, traduzioni, posta-
zioni. I più erano giovani precari, ragazzi e ragazze, che avevano trovato una settimana di lavoro discreto. Tutte queste categorie di persone hanno cercato di farsi un’idea sull’energia o di confermarsi nelle idee precedentemente ricevute. Vi era poi anche un pubblico di base, inevitabile nelle Fiere, costituito in prevalenza da curiosi e scolaresche. Il pubblico di base, o forse soltanto il suo esercito di riserva, costituito appunto da curiosi e scolaresche, era escluso dall’empireo dei dibattiti – che si susseguivano in giganteschi spazi, sempre desolatamente freddi e vuoti, anche alla presenza di mille persone. Così girava nei padiglioni lontani e se la cavava collezionando stampati e caramelle, gadget e ricordini, curiosando, o rincorrendosi nel caso delle scolaresche, nei saloni principali, chiamati intenzionalmente fuoco, acqua, aria, terra, i quattro elementi di un antica concezione del mondo.
3. Il problema su cui l’intellighenzia dell’energia era chiamata a riflettere, era semplice e al tempo stesso privo di soluzioni facili. Si trattava di coniugare ambiente globale, ormai compromesso, e domanda di energia moderna proveniente da buona parte del pianeta. L’organizzatore del Wec, Chicco Testa, in un articolo pubblicato, alla vigilia del congresso, su un periodico dall’improbabile testata di “Romacapitale”, ha provato a tratteggiarlo così: “Da un lato … il Prof. Rajendra K Pachauri Presidente dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici), neo vincitore del premio Nobel, esporrà in videoconferenza i principali risultati dell’ultimo rapporto Onu sui cambiamenti climatici,introducendo una ta-
vola rotonda dal titolo ‘Climate Change: A Lower Carbon World’. L’altro elemento in discussione è dato dalla drammatica cifra di 1,6 miliardi di persone nel mondo che ancora oggi non hanno la possibilità di utilizzare l’energia per scopi commerciali, compromettendo in tal modo qualsiasi possibilità di sviluppo economico e sociale”. In altre parole, c’è un problema di cambiamento climatico di origine umana. E poi ci sono miliardi di persone che chiedono un po’ di energia. Dargliene, significa aumentare il rischio di cambiamenti climatici irreversibili. E allora, che fare?
4. Lo stesso fascicolo di “Romacapitale” conteneva altri articoli significativi nella sezione dedicata alle energie: vi era un intervento di Al Gore, che aveva spartito il Nobel con l’Ipcc, dedicato al risparmio e alle energie rinnovabili, un paio di altri interventi, tra l’informativo e il pubblicitario, sul solare e sull’eolico, da parte di imprese del ramo e inoltre uno scritto di Pier Luigi Bersani, ministro dello sviluppo economico, cioè dell’industria, italiano. Bersani si limita a suggerire un approccio diverso da quello strettamente nazionale, indicandone piuttosto uno europeo. Secondo il suo punto di vista, l’Unione europea (Ue) si sta confrontando con tre obiettivi fondamentali: “Assicurare un livello adeguato di offerta in tutto il settore energetico, tanto nell’approvvigionamento di petrolio e gas naturale, quanto nella capacità di produzione di energia elettrica; definire e organizzare una politica energetica con dimensioni continentali e un mercato europeo integrato dell’energia; realizzare un processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia forte ed omogeneo in tutti gli stati membri che favorisca l’emergere di imprese con dimensioni europee”.
5. Il compito di ministro Bersani lo concepisce così. Gli spetta di garantire petrolio e gas: tanto petrolio e tanto soprattutto tanto gas e a un prezzo, se non ragionevole,
almeno congruo con quello pagato in altri paesi dell’Unione. L’atto politico più importante del Wec di Bersani è stato di conseguenza quello di inaugurare il padiglione di Gazprom, la compagnia di stato russa, mostrando così apertura e gradimento all’ingresso diretto di Gazprom nel mercato italiano. A parte questo il ministro espone altre preferenze del governo o sue personali: le reti elettriche devono essere continentali e le multinazionali devono poter agire a tutto campo, senza ostacoli di sorta. Anche se lo scritto è breve, Bersani riesce a far comprendere il suo limitato interesse e solo di facciata, per le rinnovabili. “E’ necessaria una maggiore collaborazione che coinvolga governo e imprese negli investimenti di grandi infrastrutture energetiche, nello sviluppo delle fonti rinnovabili, delle nuove tecnologie a zero emissioni per la produzione di energia”. L’ultima frase chiarisce anche meglio i riferimenti del ministro: grandi impianti, tanto centrali, che gasdotti e rigassificatori; omaggio di maniera alle rinnovabili”, come fossero la ciliegina sulla torta; accenno alle nuove tecnologie a zero emissioni, dove per nuove tecnologie potrebbe intendersi tanto il nucleare di nuova concezione, sempre atteso “per l’anno dopo”, quanto il carbone pulito, con le centrali a zero emissioni comunque capaci di sequestrare o interrare la Co2 e ingessare o cementificare il resto delle polveri e dei veleni senza disperdere nell’ambiente neppure un microgrammo di coke.
6. Il testo di Al Gore è la trascrizione di un passato discorso alla New York University, in cui riaffiora “la scomoda verità”. “Il massimo che pare politicamente fattibile è di gran lunga inferiore al minimo che sarebbe efficace per por fine alla crisi”. Due sono gli aspetti da notare. Il primo è quando il premio Nobel collega i pericoli dell’effetto serra con le azioni che possono essere messe in opera per mitigarne gli effetti. Si tratta del risparmio, di un uso razionale dell’energia, attraverso macchine e motori migliori, altre abitazioni. “Le nuove tecniche di architettura e di design stanno creando eccezionali opportunità per enormi risparmi di energia”. Al contrario di Bersani, Al Gore ritiene che è meglio imparare come risparmiare l’energia, piuttosto che averne in eccesso per un consumo assicurato.
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• Energie
zia dell’energia, ghenzia ultime da questo mondo 7. Dove Al Gore scivola è piuttosto nel suo elogio degli agrocarburanti. “Affidarsi maggiormente all’etanolo, al butanolo ed ai combustibili verdi e diesel non solo ridurrebbe il riscaldamento globale e migliorerebbe la nostra sicurezza nazionale ed economica, ma invertirebbe anche il trend di perdita di posti di lavoro e di reddito nelle zone dell’America rurale. Diversi importanti ‘blocchi’ per la soluzione della crisi climatica possono risiedere in nuovi approcci per l’agricoltura americana. Come sottolineato dal movimento ‘25by25’ (che ha l’obiettivo di garantire che entro il 2025 il 25% del combustibile usato in America per la produzione e il trasporto sia proveniente da fonti agricole americane) siamo in grado di rivitalizzare l’economia agricola allargando la sua missione primaria indirizzata verso il settore dei prodotti alimentari e tessili anche ai settori del carburante e dei servizi necessari all’ecosistema”.
8. Il passo di Al Gore è molto lungo, ma dobbiamo aggiungere le poche righe che seguono: “Allo stesso modo, dovremmo decisamente muoverci per fermare la deforestazione, dal momento
che essa è causa del mancato assorbimento di un quarto delle 10 mila miliardi di tonnellate di Co2 emesse ogni anno su scala mondiale”. E’possibile chiedere agrocarburanti e al tempo stesso deprecare la deforestazione? Le due attività sono strettamente connesse in Brasile, paese primatista nella produzione di etanolo per i trasporti. A livello internazionale è stato l’accordo tra i presidenti degli Usa e del Brasile, George W. Bush e Ignacio Lula Da Silva, basato sulla produzione brasiliana, in patria e in Africa, per servire il mercato motoristico degli Usa a preoccupare quasi tutti gli ambientalisti del mondo. Tutti meno uno: Al Gore, il premio Nobel.
9. La citazione 25by25 che riguarda gli Usa si rispecchia in quella dell’Ue: 20/20/20. E stato al Consiglio europeo di inizio marzo che è passato il principio del “20-20-20”: l’Unione Europea si impegna a ridurre del 20% le proprie emissioni di gas a effetto serra entro il 2020, a realizzare almeno il 20% di consumo di energia con fonti rinnovabili entro la stessa data e ad aumentare del 20% l’efficienza energetica. I capi di stato e di governo hanno concordato su questa scelta comune che riguarda poi ogni paese preso singolarmente. Sono tre decisioni importanti che avranno conseguenze sull’industria e sul modo
di vivere di tutta l’Ue. Per ridurre la produzione di gas serra del 20% occorre scegliere, in ogni paese, uno stile di vita più sobrio, in ordine al quale una Bentley da 320 chilometri orari che chiunque sarebbe libero di acquistare, posto che ne avesse i soldi, dato lo spirito libero e mercantile dell’Europa, dovrebbe essere talmente colpita dalle imposte e dalla pubblica riprovazione che neppure la regina d’Inghilterra potrebbe usarne una.
10. Presso alcuni governanti vi è di sicuro una arrière pensée nucleare inconfessabile. L’industria del settore, coalizzata con una parte dell’industria energetica, che ritiene insultante l’idea stessa della decrescita, cercherà nel nucleare una via di fuga tale da mantenere immutate le propensioni al consumo, aumentato, di energia. Il 20% di rinnovabili vorrebbe dire mettere in programma la produzione di energia eolica, solare, marina. Per ora nessuno ha mai tentato di infilare il nucleare tra le energie rinnovabili. In Italia però, attraverso lo scandaloso sistema del Cip 6, si sono fatte passare per rinnovabili o equiparate anche le energie ottenute bruciando il catrame. E’possibile che qualcuno stia pensando come far ripartire il nucleare, addossando una parte delle spese, altrimenti impossibili da affrontare, a qualche simile marchingegno, a una riedizione, riveduta e corretta,del Cip 6.
11. L’industria dovrebbe invece puntare soprattutto sulla terza
delle riduzioni previste, quella inerente al risparmio. Qui si dovrebbe verificare la capacità di progettazione e di invenzione di ogni paese e ogni comunità, di ogni industria e ogni università dell’Ue. Attraverso la ricerca di soluzioni meno energivore, anzi capaci, come probabilmente le abitazioni e forse i mezzi di trasporto, di rendersi autosufficienti o quasi, potrebbe cambiare l’aspetto delle città e i tempi della vita. Ogni persona avrebbe finalmente la certezza di contare, di poter scegliere. Più in generale, progettando un’energia diversa, cambierebbe di fatto anche il lavoro e le attività di svago e poi la forma delle città, e infine i rapporti tra le persone. La semplice condivisione di un mezzo di trasporto, il grado minimo di risparmio energetico, diventerebbe occasione di amicizia e di nuovi legami umani tra le persone che oggi vivono, senza conoscersi, in una stessa via, in una stessa casa.
12. Ma non finisce qui. La previsione del Consiglio europeo di marzo è una riduzione del gas serra del 30% in caso di accordo generale (leggi: con gli Usa) per arrivare al 60% entro il 2050, una percentuale che potrebbe salire all’80% nel caso di un accordo internazionale. Il 2050 sembra così lontano, ma in realtà non c’è tempo. Per sostituire, tutti insieme, petrolio gas e carbone che oggi fanno girare il pianeta, occorrono molte idee, buona volontà e coraggio. Tutte cose che si apprendono poco alla volta, lentamente.
In mostra, tra l’altro, la scarsa attitudine del nostro governo verso le energie rinnovabili, il basso concetto di risparmio e l’alto concetto del consumo garantito Energie •
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PRODUZIONE DI Produzione BIOCARBURANTI NEL 2005 di biocarburanti nel 2005
Agrocarburanti contro petrolio: i termini dell’equazione AGROCARBURANTI CONTRO PETROLIO: I TERMINI DELL’EQUAZIONE Filiera degli agrocarburanti
Filiera petrolifera
Pericoli da tenere presenti CARESTIE, MALNUTRIZIONE, PERICOLO PER LA SALUTE
Canada
Utilizzazione di una risorsa determinata
CAMBIAMENTO CLIMATICO
Stati uniti
Esaurimento della risorsa
Cina Svezia Germania Danimarca Francia Spagna
Colombia
Polonia
Italia
Concorrenza con le colture alimentari
Rep. ceca Slovacchia Austria
Deforestazione
La filiera in dettaglio:
India
La filiera in dettaglio:
Monocoltura
Produzione agricola 1
Prospezione ed estrazione
Utilizzazione di ampie superfici agricole
Brasile
30 Miliardi di litri prodotti nel 2005 16,5
Etanolo
Trasformazione
industriale 1
Raffinazione
Distribuzione
Distribuzione e trasporto
10 Etanolo Biodiesel
Emissioni di gas con effetto serra
Uso di macchine agricole
20
2 0,5 0,1
Trasporto
Produzione e uso di fertilizzanti
Miliardi di litri per anno 40
Biodiesel
Uso finale (trasporto su strada )
Sostituzione della benzina e del diesel
0 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005
Fonti: Dati EarthTrends du World Resources Institute, 2007 (secondo Worldwatch 2006; Us Department of Energy, 2006); «REN21, renewables 2006 global status report», Worldwatch Institute; «F. O. Licht world ethanol & biofuels report 2005».
Nessuna emissione di gas a effetto serra
Uso di benzina e di diesel
Uso finale (trasporto su strada)
In blu: il pericolo principale di un uso massiccio di benzina e di diesel
In rosso: le maggiori preoccupazioni
Altre conseguenze da tenere in considerazione
1. Se queste fasi si effettuano nel quadro produttivistico che prevale attualmente
UN agrocarburante nel motore [Lionel Vilain *]
S
u scala mondiale, le superfici agricole rappresentano 1,4 miliardi di ettari. Calcolando una tonnellata di agrocarburanti per ettaro coltivato, e supponendo che cessi qualsiasi produzione alimentare, potremmo teoricamente produrre un massimo di 1,4 miliardi di tonnellate di equivalente petrolio, mentre il consumo mondiale è oggi di 3,5 miliardi di tonnellate. In questa ipotesi, evidentemente assurda (perché i bisogni alimentari non sono comprimibili), non potremmo comunque soddisfare più del 40% dei nostri bisogni di carburante. Questo semplice calcolo dimostra che, contrariamente a certe promesse, gli agrocarburanti non possono rappresentare che un aiuto marginale ai bisogni energetici.
In Francia, l’obiettivo molto ambizioso di incorporare il 10% di agrocarburanti nei carburanti convenzionali presuppone la messa a coltura di qualcosa come 2-3 milioni di ettari, cioè circa il 20% delle superfici arabili. Ne nascerà una concorrenza feroce tra produzione alimentare e produzione energetica, che condurrà necessariamente all’importazione di etanolo da canna da zucchero brasiliana e da olio di palma indonesiano o malese. Circoleremo allora in modo più pulito... grazie alla deforestazione massiccia dell’Amazzonia e delle foreste tropicali asiatiche. Il Brasile, come l’Indonesia, sono infatti pronti ad accaparrarsi i mercati di agrocarburanti perché i loro costi di produzione sono irrisori rispetto ai costi europei. Inoltre, l’efficienza energetica della trasformazione in etanolo della canna da zucchero o dei frutti della palma da olio è molto superiore alla trasformazione del grano francese, del mais o della barbabietola. Perché la canna da zucchero è una pianta perenne, che dura da otto a dieci anni (e la palma cinquant’anni), il che riduce notevolmente i costi energetici della lavorazione del terreno e della messa a dimora annuale. Sovvenzioni mascherate D’altra parte, contrariamente alle filiere europee, i sottoprodotti della canna servono da combustibile alle unità di fermentazione e distillazione, che consumano una parte notevole dell’energia prodotta. Oltre alle centinaia di litri d’acqua necessari all’irrigazione, bisogna poi iniettare 1 litro di petrolio per produrre 1,3 litri di equivalente petrolio sotto forma di etanolo di mais, grano o barbabietola, contro una produzione di 5 litri per l’etanolo
biocarburanti, non potranno mai sostituirsi ai carburanti convenzionali. La loro capacità di ridurre il riscaldamento climatico è molto contestata. Analisi e numeri sulla risposta alla penuria energetica che piace tanto soprattutto a Bush [6]
• Energie
L’AVVENIRE RADIOSO DEGLI AGROCARBURANTI L’avvenire radioso degli agrocarburanti Consumo mondiale di agrocarburanti da oggi al 2030 Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio
Proiezioni
150
Secondo due scenari energetici: Scenario di riferimento (business as usual) Scenario di politica alternativa (accresciuto ricorso alle energie rinnovabili)
125
100
75
Parte dei paesi dell’Ocse
50
25
0
2004
2010
2015
2030
Fonte: World Energy Outlook 2006, Agenzia internazionale dell’energia (Iea).
COSTI DI PRODUZIONE COMPARATI Costi di produzione comparati Dollaro per litro equivalente di benzina 0
0,20
0,40
0,60
0,80
1,00
1,20
Etanolo estratto dalla canna da zucchero (Brasile) Etanolo estratto dal mais (Stati uniti) Benzina tradizionale
Etanolo estratto da piante da cellulosa
Etanolo estratto da altri cereali (Europa)
1,40
Questo articolo è stato scritto per “L’Atlante per l’ambiente”, volume edito da Le Monde Diplomatique e in dicembre in vendita anche nelle nostre edicole con il giornale, edito in italiano da il manifesto
chi contesta il bluff
[MARINA ZENOBIO]
E brasiliano. In Francia, come negli Stati uniti, le filiere di agrocarburanti industriali sono in realtà sovvenzioni mascherate ai produttori di cereali. Il Brasile si dice pronto a mettere colture energetiche su altri 14 milioni di ettari (cioè praticamente la superficie arabile francese). Naturalmente, queste superfici saranno sottratte alla foresta, con tutte le conseguenze prevedibili sulla biodiversità, sull’erosione dei suoli e sul regime delle piogge. Il secondo aspetto importante riguarda le emissioni di gas ad effetto serra. Si sente spesso dire che sarebbero neutre, perché il carbonio emesso dalla combustione degli agrocarburanti proverrebbe dall’atmosfera, via fotosintesi. Questo sarebbe vero, se non ci fossero i trattori per arare, la distribuzione di concimi e pesticidi, le macchine per raccogliere e trasportare i raccolti verso gli stabilimenti di trasformazione, e se poi questi funzionassero con energia rinnovabile. Così non è, ovviamente, e il bilancio non può quindi essere neutro. Secondo l’Agenzia per l’ambiente e il controllo dell’energia (Ademe), dall’aratura alla combustione nei motori, gli agrocarburanti riducono dal 30% al 40% le emissioni nette rispetto alla benzina. Ma, se provengono da colture tropicali, il bilancio sarà catastrofico: la deforestazione tramite debbiatura si traduce nello sprigionamento nell’atmosfera del carbonio organico degli alberi, così come nella mineralizzazione dell’humus della vecchia foresta. Secondo il Global Canopy Programme, la deforestazione rappresenta il 25% delle emissioni totali di carbonio e costituisce una delle principali fonti di gas ad effetto serra. Gli agrocarburanti sono presentati come una delle soluzioni ecologiche del futuro. Con la deforestazione indispensabile per soddisfare simultaneamente i bisogni alimentari e quelli energetici, potrebbero essere ancor peggio delle energie fossili e far perdere di vista la cosa essenziale: la necessità di bloccare la deforestazione, rivedere le necessità di trasporto e diminuire il consumo energetico. ●
* agronomo, consigliere tecnico per l’agricoltura presso France Nature Environnement, ha diretto la pubblicazione di La Méthode IDEA. Indicateurs de durabilité des exploitations agricoles, Educagri, Parigi, 2003.
se si smorzasse l’euforia di chi pensava di aver trovato nei biocarburanti la panacea contro l’effetto serra sul nostro pianeta? Solo fumo negli occhi, un bluff? Questo sembrano dire i risultati di una recente ricerca del Global subsidies iniziative (Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile, Gsi nell’acronimo inglese) con sede a Ginevra. Più che una risposta reale contro il riscaldamento globale, i miliardi di dollari investiti in Usa e in Europa per promuovere la produzione di biocombustibili servirebbero solo a sovvenzionare, con la scusa delle ricerche di settore, potenti corporazioni agroindustriali. Non solo la maggior parte dei metodi per produrre carburante distillando alcuni vegetali aiutano ben poco a ridurre le emissioni di gas serra – responsabili del cambiamento climatico in corso sul nostro pianeta – ma coltivare le materie prime necessarie come mais, canna da zucchero, soia, palma africana (sono queste le principali coltivazioni da cui si raffina etanolo e biodiesel), richiede una grande quantità di acqua, un uso massiccio di pesticidi e provoca la deforestazione di paesi tropicali. Se pare poco, si può aggiungere che l’espansione dei biocombustibili, incentivata con finanziamenti pubblici, provocherà entro il 2020 un aumento tra il 20 e il 40 per cento del prezzo degli alimenti, almeno secondo l’International food policy research institute (Ifpri- Istituto internazionale per la ricerca sulle politiche alimentari) di Washington. Analizzano la questione da
punti di vista diversi i due centri di ricerca, ma la conclusione è la stessa. In sintesi, anche per Ronald Steenblik – direttore delle ricerche del Gsi – utilizzare prodotti destinati all’alimentazione per produrre carburante è un’idea stupida, giustifica i finanziamenti elargiti alle company agroindustriali e distrae dal problema reale, cioè la riduzione delle emissioni di gas serra. Alla loro si è aggiunta, lo scorso 25 ottobre da New York, la voce di Jean Ziegler - relatore speciale all’Onu sul diritti all’alimentazione e fervente sostenitore della teoria che vede la produzione di biocombustili come un disastro totale per i popoli che già soffrono la fame che ha chiesto all’Assemblea del palazzo di vetro di adottare una moratoria di cinque anni sull’utilizzo della terra in coltivazioni destinate alla produzione di biocombustibili. Affermando anche che i prezzi di alcuni alimenti, dell’acqua e della terra in diversi paesi in via di sviluppo sono già in costante aumentato. Le ricerche di cui Steenblik è coautore hanno evidenziato che produrre combustibile partendo da mais, soia o canna da zucchero è incredibilmente costoso e che il contributo governativo per i paesi che rientrano nell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) - tra questi tutti i paesi industrializzati - ha raggiunto nel 2006 gli 11 mila milioni di dollari. Oltre il 90 per cento di tale contributo è andato a Stati uniti e Unione europea e, sempre secondo il dossier del Gsi, alla fine dei quest’anno raggiungerà una cifra variabile tra i 13 e i 15 mila milioni di dollari, incrementandosi parallelamente all’espansione industriale. Ma per raggiungere una proporzione di produzione di biocombustibili equivalente al 25-30% di quanto necessario per i trasporti, si do-
vrebbero spendere oltre 100 mila milioni di dollari ogni anno, un investimento che avrebbe senso se si ottenesse una riduzione importante delle emissioni di biossido di carbonio, oggi a quota 6,4 miliardi di tonnellate ogni anno. Steenblik ha però calcolato che, per produrre la quantità di etanolo richiesta per ridurre l’equivalente di una tonnellata di biossido di carbonio si spendono minimo 2980 dollari. Altri studi hanno dimostrato che l’impatto ambientale della produzione di mais, del suo trasporto e trasformazione in etanolo, si traduce in una piccola riduzione di emissioni di gas serra; in comparazione con i combustibili fossili, in certi casi i risultati possono essere addirittura più scoraggianti. Da un lavoro pubblicato a settembre sulla rivista inglese Chemistry world, firmato da Paul Crutzen (premio Nobel per la chimica 1995) e dal suo collega Keith Smith (docente presso Università di Edinburgo), si desume che l’aumento dei coltivazioni di colza per la produzione di biodiesel e di mais per l’etanolo, può rilasciare nell’ambiente tra il 50 e il 70% in più di emissioni di biossido d’azoto, con buona pace dei benefici ottenuti dal non uso dei combustibili fossili. In Europa, circa l’80% del biocombustibile proviene dalla colza, mentre gli Usa utilizzano soprattutto mais per fabbricare
etanolo. Le ricerche di Crutzen e Smith hanno determinato che la distillazione di questi vegetali libera nell’aria oltre il doppio, di quanto finora supposto, di un potente gas serra, l’ossido nitroso, e questo a causa del massiccio uso di fertilizzanti che contengono azoto. Ciò nonostante lo scorso gennaio, il presidente Usa George W. Bush ha fissato per il paese un meta di produzione pari a 132 mila milioni di litri di biocarburante da raggiungere entro il 2017: cinque volte di più che il livello attuale. Se non ci saranno ripensamenti, ha messo in guardia l’Accademia nazionale di scienze statunitense, raggiungere tale meta significherà condannare i fiumi americani ad una contaminazione estrema e provocherà un’importante riduzione dell’acqua in diversi stati. Inoltre, l’impiego addizionale di fertilizzanti contribuirà all’espansione di piante acquatiche che producono zone morte, come quelle già esistenti nel Golfo del Messico. Ma perché tutto questo? Una risposta ha provato a darla Walter Hook, direttore esecutivo del Policy trasportation and development institute di New York, secondo il quale, da una dichiarazione rilasciata a Ips, i sussidi per l’etanolo in Usa puntano più ad assicurarsi i voti dei potenti gruppi di pressione agroindustriali che non ad ottenere benefici ambientali.
Un tema energetico smontato punto per punto da studiosi e da diversi centri studi internazionali. Ecco cosa dicono sugli agro/bio l’Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile di Ginevra (Gsi) e l’Istituto internazionale per la ricercasulle politiche alimentari di Washington (Ifpri) Energie •
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• Energie
l’illusione nucleare, il grande ritorno
[Giuseppe Onufrio*]
L
a ripresa del dibattito sul nucleare è provocato da alcuni fattori: il primo è dovuto alla scelta dell’amministrazione Bush di introdurre nel 2005 forti incentivi pubblici per evitare un crollo del settore per mancanza di investimenti (privati) in nuovi impianti; il secondo fattore è l’interesse francese a trovare nuovi ordinativi al di fuori della Francia, dov’è in costruzione un solo reattore. La questione della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra viene aggiunta per dare un tocco di verde, ma si tratta di un trucco piuttosto maldestro. Infatti, anche se si raddoppiasse da qui al 2030 il numero degli attuali 439 reattori funzionanti nel pianeta, sostituendo anche quelli che andranno a fine vita per raggiunti limiti di età, la riduzione globale delle emissioni sarebbe inferiore al 5% e occorrerebbe aprire un nuovo reattore ogni 2 settimane. E a un costo stimato in 3.000 miliardi di dollari, cifra che verrebbe sottratta ad alternative più efficaci e meno rischiose come l’efficienza e le fonti rinnovabili. 1. Il caso statunitense Negli ultimi 30 anni gli investimenti nel nucleare si sono concentrati negli Usa sul ripotenziamento di vecchi impianti, ma nessuna nuova centrale è stata completata. Per convincere gli investitori privati a tornare a costruire nuove centrali nel 2005 è stato introdotto un incentivo di 1,8 centesimi di dollaro per kWh fino a 6.000 MW di nuovi impianti, e altri incentivi finanziari e coperture assicurative. Se si tratta di un nuovo tipo di reattore vengono concessi prestiti a tasso agevolato fino all’80% del costo della centrale. Secondo le più recenti stime del costo industriale dell’elettricità prodotte dal Dipartimento dell’energia USA (DOE), il kWh da nuovo impianto nucleare costa 6,3 centesimi di dollaro (in valuta del 2005) contro i 5,5 del gas e i 5,6 del carbone. L’eolico avrebbe un costo superiore, 6,8 centesimi al kWh. E’ interessante qui notare che l’incentivo concesso al nucleare è oltre il doppio della differenza con le fonti convenzionali. Questo pacchetto di incentivi sta producendo una trentina di richieste di accesso per nuovi reattori. Ma una analisi recentissima di Moody’s, agenzia di rating che ammette di essere pacatamente pronucleare, è piuttosto pessimista sull’effettiva realizzabilità di nuovi impianti.
il dibattito si è riacceso, è forte anche in Italia. Una notizia, tra le altre: se anche si raddoppiasse entro il 2030 il numero deigli attuali 439 reattori funzionanti nel pianeta, la riduzione globale delle emissioni sarebbe inferiore al 5% La valutazione è che da qui al 2015 negli Usa verranno costruite una o due centrali al massimo. Una delle motivazioni addotte è che il costo effettivo di investimento è circa il doppio di quanto l’industria presenta e cioè da 5.000 a 6.000 $/kW, rispetto ai 700-900 $/kW per il gas. Queste valutazioni sono suffragate peraltro da un dato storico: una indagine del DOE del 1986 mostrò come per 75 reattori il costo finale totalizzò 145 miliardi di dollari a fronte di 45 previsti inizialmente. 2. Il caso finlandese La francese AREVA sta costruendo un reattore EPR (European Pressurized Reactor) a Olkiluoto in Finlandia. Se nel progetto originale uno degli obiettivi per contenere i costi era quello di comprimere i tempi di costruzione in 5 anni, dai ritardi già accumulati, la sfida è già
stata persa con oltre due anni di ritardo finora registrati. Per questa ragione i 3,2 miliardi di euro di costo iniziale sono saliti ad almeno 4 per 1600 MW, e dunque 2500 €/kW al momento. Per cercare di fare in fretta si rischia di fare male e di ridurre i livelli di sicurezza. I ritardi sono dovuti ad alcune delle modifiche richieste dall’ente di sicurezza nucleare finlandese (STUK) che ha riscontrato numerosi problemi, con circa 1500 non conformità. Solo alcuni però sono stati corretti. Tra le altre: — la base di cemento non soddisfa i criteri di qualità richiesti; — il contenitore a pressione (vessel) del reattore era stato realizzato da una azienda subappaltatrice polacca specializzata nella costruzione di chiglie di pescherecci. Le qualità delle saldature non soddisfaceva i criteri di sicurezza;
— i ritardi più recenti annunciati dalla TVO sono dovuti sia ai problemi riscontrati nei condotti che collegano l’isola nucleare al circuito secondario che per rinforzare ulteriormente la struttura di contenimento per proteggere il reattore da eventi esterni, come la caduta di un aereo. 3. Il caso italiano Mentre si chiacchiera sul ritorno al nucleare, la principale azienda italiana investe pesantemente su questa fonte. E anche nelle versioni più antiquate della tecnologia. Il piano di investimenti Enel in Slovacchia ha come elemento principale il completamento di due unità nucleari a Mochovce (unità 3 e 4) con un investimento previsto di circa 1,9 miliardi di euro, per un totale di 880 MW. Considerato il fatto che si tratta di unità parzialmente già costruite, si arriva a una stima complessiva di 2700 euro/kW: un costo simile a quello valutato attualmente per il reattore finlandese, per acquisire tecnologia sovietica degli anni ’70. Si tratta di due reattori ad acqua pressurizzata la cui progettazione di base risale agli anni ’70. In Finlandia due unità dello stesso tipo di quelle da completare a Mochovce entrarono in funzione tra il 1977 e il 1980. All’epoca il governo finlandese, ritenendo che il livello di sicurezza non fosse adeguato, riprogettò l’impianto in modo da poter collocare le due unità in un sistema di contenimento della Westinghouse e adottando i sistemi di controllo della Siemens. La centrale di Mochovce, 30 anni dopo, non avrà alcun sistema di protezione da eventi esterni: per Enel la caduta di un aereo è un evento improbabile.
In quale paese un argomento di questo genere potrebbe essere accettato? La parte degli edifici è infatti già costruita e modificarla costerebbe troppo. Così, mentre in Finlandia l’autorità di sicurezza chiede di rinforzare il guscio di contenimento della centrale francese, a Mochovce per Enel se ne può fare del tutto a meno. Oltre a Mochovce Enel partecipa alla gara per un altro reattore a Belene, sempre di concezione sovietica, sito in zona sismica. Se andasse in porto Enel spenderebbe circa 4.5 miliardi di euro in nucleare sovietico contro 3,3 miliardi in fonti rinnovabili. Un primato ragguardevole. In conclusione, dopo oltre 60 anni il nucleare civile non ha risolto nessuno dei suoi problemi fondamentali: la gestione di lungo termine delle scorie, la proliferazione atomica, la limitatezza della risorsa Uranio. E la “sicurezza intrinseca” è ancora oggetto di studio. E questo pur avendo assorbito gran parte delle risorse di ricerca e sviluppo in campo energetico dei Paesi OCSE: il 46% tra il 1992 e il 2005, oltre al 12% per il nucleare di fusione mentre a tutte le fonti rinnovabili è andato solo l’11%. Forse è ora di cambiare strada.
*direttore campagne Greenpeace
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l 19 marzo del 2007 è stata senza dubbio una giornata molto ventosa in Spagna. L’affermazione va al di là del dato meteorologico. Si è, infatti, raggiunto un nuovo record di produzione di elettricità grazie all’eolico: quasi il 25% dell’elettricità prodotta nel territorio peninsulare spagnolo, senza cioè contare le isole che hanno sistema elettrici autonomi. Quel lunedì, l’eolico è anche stato la principale tecnología produttrice, più di quelle convenzionali come il carbone (17%), il nucleare (22%) o il gas (10%). Ma il ruolo dell’eolico nel sistema elettrico spagnolo non è confinato alle giornate ventose: di media, gli 11.000 MW eolici installati nel 2006 hanno fornito un 8,35% di tutta l’elettricità prodotta nella penisola. Ma come si è riusciti a passare da un magro 0,36% nel 1997 all’attuale 8,35% in nove anni, con l’obiettivo per il 2020 di arrivare a un 25-30%?
I primi passi fin dagli anni 80 Se Don Chisciotte tornasse a cavalcare le steppe spagnole rimarrebbe stupefatto dalla mole dei generatori eolici che hanno sostituito gli antichi mulini di vento. Le macchine di 2 MW che s’installano attualmente misurano quasi 100 metri di altezza e 60 metri di diametro. Ma non sempre e stato così. Il primo generatore eolico moderno sperimentale (100 Kw) viene installato nel 1981 nella zona dello stretto di Gibilterra (Tarifa) dove il vento soffia con forza la maggior parte dell’anno. Questa caratteristica meteorologica l’ha fatto diventare un paradiso per i surfisti e per…l’energia eolica. Il promotore del parco era il ministero dell’Industria che all’epoca, come la maggior parte dei governi europei, era alla ricerca di fonti alternative di energia per far fronte all’aumento del prezzo del petrolio. Dal 1983 l’Istituto Nazionale dell’Industria (INI) comincia a finanziare un ambizioso progetto con la Associazione Nazionale dell’Industria Elettrica (UNESA) per lo sviluppo di parchi eolici commerciali che ha, come primo risultato, la costruzione di un parco di 5 generatori di 24 Kwh nella zona del Empordá Catalana. Gia nel 1989 si costruisce il primo parco con più di 1 MWh di potenza (7 aerogeneratori di 150 kWh) sempre nella zona dello Stretto. Il primo impianto strettamente commerciale,
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il parco della nissan Il mondo dell’auto si sta muovendo verso una produzione che tenga sempre più conto dell’impatto ambientale. Lo fa sia con modelli che abbiano minori emissioni e minori consumi, sia con interventi nella fase a monte. A fine 2007, lo stabilimento della Nissan di Sunderland nel Regno Unito amplierà le dimensioni del proprio parco eolico con l’aggiunta di due nuovi aerogeneratori. La costruzione inizierà in dicembre e porterà a otto il numero totale di turbine installate. I nuovi aerogeneratori saranno collocati a sud del parco, accanto a quelli già esistenti. Quando opererà a pieno regime a gennaio 2008, la “wind farm” soddisferà il 6% circa del fabbisogno energetico annuale della sede produttiva, l’1% in più rispetto alla situazione attuale. Il risparmio ottenuto ammonterà a quasi 1 milione di sterline l’anno (in base alle condizioni meteorologiche) e andrà a compensare il rincaro dei costi energetici. Parallelamente, si ridurranno le emissioni di anidride carbonica in atmosfera: le centrali elettriche che alimentano la fabbrica genereranno fino a 4000 tonnellate di CO2 in meno ogni anno. Il permesso per l’ampliamento è stato concesso dalle autorità municipali di Sunderland in seguito a uno studio di fattibilità che ha tenuto conto anche del parere dei residenti locali, assicurando inoltre la piena conformità a severe linee guida in materia di inquinamento acustico. A differenza di molti altri parchi eolici, quello di Nissan è interamente circoscritto all’interno di un’area industriale in piano, per ridurre al minimo ogni possibile impatto sull’ambiente circostante. Il sito ospita anche la specie protetta del tritone crestato. Prima del via ai lavori, Nissan trasferirà temporaneamente i tritoni in un’altra zona del parco, sotto la supervisione del DEFRA britannico (Department for Environment, Food and Rural Affairs). Terminata l’installazione, i tritoni torneranno ad abitare l’area originaria intorno alle turbine. La “wind farm” di Sunderland è il primo esempio di centrale eolica di Nissan in tutto il mondo; la sua espansione si inquadra nell’ambito del piano ambientale Nissan Green Program 2010. Varato nel dicembre del 2006, il programma ha tre priorità: riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalle attività e dai prodotti di Nissan nel mondo, riduzione degli altri gas inquinanti e intensificazione del riciclaggio.
La Spagna si muove a grandi passi verso l’energia eolica, per la produzione di elettricità per 4 milioni di famiglie e come motore di sviluppo sostenibile. Un inizio in sordina nel 1981, il balzo nel 2002 e il futuro all’estero, alla ricerca di nuovi mercati
don chisciotte nel vento spagnolo
[Heikki Willstedt Mesa*]
frutto di un accordo tra Stato e impresa privata, è il parco Planta Eólica del Sur di 20 MW costruito nel 1992 e che è ancora in funzione. Un chiaro quadro legislativo Già nel 1994 il governo spagnolo decise che il settore delle rinnovabili doveva ricevere un trattamento specifico nella legislazione sull’energia. Nel Decreto Reale 2366/94 si fecero i primi passi per facilitare l’inclusione di queste energie nel sistema elettrico e si vararono le prime sovvenzioni dirette alla produzione elettrica con questo tipo di tecnologie. Il seguente passo è stato l’approvazione del RD 2818/1998 dove finalmente si è adottato un sistema di sovvenzione diretta alla produzione elettrica a partire di fonti rinnovabili. Nel RD si è anche stabilita l’obbligatorietà per il sistema elettrico di acquisto di tutta la produzione da queste tecnologie. Questo sistema, già allora utilizzato in Germania con molto successo, ha fatto convergere verso il settore delle rinnovabili l’interesse di molti investitori nazionali e internazionali, che hanno visto nella stabilità economica intrinseca nel sistema una garanzia per l’ottenimento di benefici superiori ad altri settori. Il quadro legislativo d’appoggio è stato emendato nel 2004, e recentemente nel maggio di quest’anno (RD 661/2007) per modulare meglio le sovvenzioni per ogni tipo di tecnologia per la
produzione elettrica rinnovabile. Al di là di qualche incertezza degli investitori per questi cambiamenti, il sistema ha mantenuto l’idea di fondo, che è lo sviluppo delle rinnovabili fino a farle diventare competitive rispetto a quelle convenzionali, e il governo ha anche cambiato gli obiettivi di incremento delle rinnovabili facendone un polo di sviluppo economico e industriale. Nell’ultima revisione del Ministero dell’Industria per l’area eolica si è passati da un obiettivo per il 2010 di 9.000 MW a 20.155 MW.
una delle “grandi” ha avuto due effetti principali: da una parte ha funzionato come catalizzatore per passare dai circa 1000 MW installati l’anno ai 1500-2000 successivi. La maggior parte dell’incremento è dovuta ai parchi eolici costruiti da Iberdrola o acquisiti da altre aziende. A partire di questa decisione, Iberdrola è diventato il principale investitore in parchi eolici in Spagna, e l’azienda elettrica con più MW eolici al mondo, il che ha provocato una profonda scissione con i suoi antichi soci, sostenitori delle soluzioni energetiche convenzionali.
2002, l’anno del settore elettrico
Il salto internazionale
Fino al 2002 la maggior parte dei parchi eolici era stata sviluppata principalmente da piccoli e medi imprenditori. Anche se le tre grandi elettriche spagnole avevano tutte già installato quantità non disprezzabili di installazioni, nei loro piani di sviluppo futuro, l’eolico non aveva un ruolo preponderante. Ma qualcosa cambia nel panorama elettrico quell’anno: la seconda maggiore azienda elettrica, Iberdrola, decide nel suo Piano Strategico 2002-2007 di basare la propria crescita sull’eolico e, in parte anche sui cicli combinati a gas. Questa decisione da parte di
Grazie al boom sperimentato sin dal 1999, l’industria eolica spagnola ha incominciato a cercare nuovi mercati oltre le proprie frontiere. Aziende spagnole hanno già installato parchi in diversi paesi europei, negli Stati Uniti o in Cina. Questi ultimi due mercati sono considerati strategici per tutte le aziende del settore. Da una presenza internazionale quasi nulla, nel 2006 si è passati a un volume di esportazioni per un valore di 1.600 milioni di euro mentre il mercato nazionale sviluppava un fatturato di 3.700 milioni.
Grazie allo sviluppo maturato negli ultimi dieci anni, il settore dell’energia eolica è diventato un motore importante dell’economia spagnola e si calcola che si sono creati 35.000 nuovi posti di lavoro. Per il 2010 si spera di arrivare ai 90.000-100.000 posti di lavoro diretti e indiretti. Il governo, dopo un periodo di incertezza sul grado d’appoggio necessario per lo sviluppo delle rinnovabili, ha compreso che esse possono essere un importante motore di sviluppo economico sostenibile e uno strumento fondamentale per il compimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Attualmente la Spagna ha incrementato le proprie emissioni di un 48% rispetto a 1990, mentre il suo obiettivo era di non sorpassare un aumento del 15%. Per questo il settore delle rinnovabile è diventato strategico nell’agenda del governo per la prossima legislatura. La realtà eolica spagnola attuale è frutto delle iniziative promosse dai soggetti pubblici e grandi società private. Non solo l’eolico spagnolo ha evitato l’emissione di 8,4 M di tonnellate di CO2, ma anche di importanti quantità di altri contaminanti atmosferici. Lo sviluppo dell’energia eolica è un importante fattore per
un futuro più sostenibile della società spagnola ma deve essere attuato con il rispetto per l’ambiente, specialmente per zone ad alto valore ecologico e specie particolarmente vulnerabili. Per questo, benché il WWF Spagna appoggi lo sviluppo dell’eolico, a volte è stato necessario opporsi a impianti eolici che non avevano tenuto dovuto conto dell’impatto sull’ambiente e si e riusciti a frenarli o a far cambiare la loro pianificazione. In generale, è necessario che i promotori dei parchi eolici finanzino più studi sull’impatto degli impianti dopo la costruzione, per avere un’idea chiara su come migliorare i progetti futuri. L’altro aspetto da sviluppare è lo sfruttamento dell’energia eolica da parte dei comuni cittadini (con impianti progettati per soddisfare le necessità di singoli piccole imprese o cittadini), che
è ancora praticamente assente. Per questo dal WWF appoggiamo il progetto del ministero dell’Industria di promuovere questo tipo di sviluppo e chiediamo che si faciliti l’installazione dei piccoli aerogeneratori per i cittadini.
*Esperto di energía e cambiamenti climatici, WWF Spagna **Fonte per i dati relativi al settore eolico: AEE, Associazione Imprenditoriale Eolica Spagnola
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20-09-2007
12:39
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bellezza in bicicletta ambiente e salute
[luca fazio]
C
on un po’ di fortuna, se vi perdete per le strade dell’estrema periferia nord di Milano, tra il pronto soccorso di Niguarda e il cimitero di Bruzzano (e siete ancora vivi), può capitarvi di incontrare uno strano ciclista che si muove nel traffico. Pedala sul suo risciò, a volte solo, altre volte con un passeggero, e contemporaneamente vi sbatte in faccia la sua incontrovertibile verità pennellata sul dididietro: “Io con un piatto di pasta faccio 25 chilometri e voi?”. Il tassista in risciò fa parte della schiera di quegli eccentrici visionari che alla fine “hanno ragione loro”, e c’è poco da ridere, perché sulla straordinaria capacità delle due ruote a pedali di muoversi nello spazio utilizzando pochissima energia si è tenuto un seminario molto serio nell’ambito della prima Conferenza nazionale sulla bicicletta che si è svolta Milano lo scorso 9 novembre. E non c’è altro carburante che fa muovere le gambe: l’alimentazione. Lo studio - intitolato L’impronta ecologica della mobilità
ciclistica - è stato presentato da Stefano Caserini, docente al Politecnico di Milano, dove svolge attività di ricerca sull’inquinamento dell’aria e sui cambiamenti climatici, e dirigente della FIAB, la Federazione Italiana Amici dalla Bicicletta. Caserini è quasi stufo di ripetere una banalità che nel mondo scientifico è unanimente data per scontata - “anche se l’unico problema, soprattutto a livello nazionale e locale, è far seguire alle parole i fatti” - e cioè che la bicicletta può giocare un ruolo fondamentale per la diminuzione dei fattori inquinanti che concorrono al riscaldamento globale. E’ un fatto riconosciuto a tutti i livelli scientifici in Europa e negli Stati Uniti, lo afferma anche il IV rapporto Climate Change 2007 dell’IPCC, che il trasporto non motorizzato è utile per risolvere il problema del riscaldamento climatico. Per questo motivo Caserini ha pensato di valutare anche il consumo di energia di chi va in bici: “Diciamo che ho voluto mettere la ciliegina sulla torta per dimostare che la bicicletta è un mezzo di locomozione imbattibile nelle aree urbane”. Professore, non diamo niente per scontato... Non ci sono dubbi sul fatto che uno spostamento in bicicletta non produce emissioni dirette di gas a effetto serra e ha emissioni infinitesime di Pm10 (le polveri dovute all’abrasione del pneumatico o dei freni...). Un’automobile, invece, produce 120-150 grammi di CO2 al chilometro e dai 30 ai 100 milligrammi di PM10. Ma i benefici legati ad un uso quotidiano della bicicletta non sono dovuti solo al fatto che non ha emissioni ed è il mezzo di trasporto più efficiente dal punto di vista energetico: non possiamo trascurare gli effetti benefici sulla salute delle persone, che sono di gran lunga superiori ai rischi dovuti all’incidentalità dell’andare in bici: uno studio Usa ha quan-
tificato il risparmio in spese sanitarie, considerato che è dimostrato che i ciclisti si ammalano meno...E poi c’è la decongestione del traffico e il recupero di spazi di socialità nelle città: insomma, anche se le auto andassero ad acqua minerale e emettessero petali di rosa, sarebbe comunque più conveniente spostarsi in bici nelle città. Eppure tutti sostengono che pedalando in città si respirano più gas nocivi Questa è una leggenda metropolitana. Ci sono studi europei che dimostrano il contrario, l’esposizione ai gas inquinanti è maggiore per chi sta chiuso nell’abitacolo di un’auto, e magari in coda. Può non valere se il ciclista pecorre arterie particolarmente trafficate, ma mediamente è così. Cosa si intende per impronta ecologica di uno spostamento in bicicletta? L’Impronta Ecologica (I.E.) è un concetto utilizzato a livello internazionale per quantificare in modo aggregato l’impatto dei diversi tipi di attività umana sull’ambiente. E’ utile perché permette di cogliere in modo intuitivo l’area complessivamente utilizzata da una determinata popolazione per produrre le risorse che essa consuma, quindi è possibile calcolare il “consumo di terra bio-produttiva” delle diverse attività umane. Compreso quanto consuma andare in bicicletta. Quindi il punto è che anche chi va in bicicletta consuma energia? Sì. Con una dieta mediterranea, non particolarmente carnivora, l’impronta ecologica di uno spostamento medio in bicicletta (5 chilometri) è almeno di 1/10 inferiore rispetto a tutti gli altri mezzi di trasporto. Il consumo energetico di uno spostamento in bicicletta non sportivo varia da 10 a 20 a kJ/km, mentre il consumo di energia di uno spostamento motorizzato dipende molto dal grado di affollamento del veicolo, 500-5000 kJ/km in automobile, 100-1000 kJ/km sui mezzi pubblici, 1000-5000 kJ/ km in aereo. Insomma, quanto a efficienza e sostenibilità non c’è paragone. Il consumo di energia durante una pedalata è solo 5-10 volte quello di una dormita della stessa durata...
Cibo invece di benzina. Ma allora per macinare più chilometri è necessaria un’alimentazione aggiuntiva. Questo fatto potrebbe “appesantire” l’impronta ecologica del ciclista? Dipende. Dalla lunghezza dello spostamento, dalla velocità e dalla potenza della pedalata, dal tipo di bicicletta e di percorso e anche dalle “riserve” energetiche di un singolo individuo. Per farla breve, per uno spostamento urbano di 5 chilometri, che è il percoso medio casa/lavoro, non è richiesta un’alimentazione aggiuntiva. Insomma, i pedalatori incalliti devono mangiare di più e quindi sentirsi un po’ in colpa? Niente sensi di colpa, ma a livello globale da anni si sta ra-
gionando sulle conseguenze ambientali dei diversi tipi di regimi alimentari. Se lo spostamento in bicicletta richiede più energia, allora l’impronta ecologica dipende nettamente dal tipo di alimentazione, la dieta carnivora per esempio è un fattore che “appesantisce” l’impronta ecologica. Bisognerebbe considerare quanto petrolio è stato consumato per la coltivazione del cibo, per il trasporto etc...e considerare che da un ettaro di terreno si producono in media 500 kg di cereali ma 40 kg di carne. Va bene, ma se uno si mangia due bistecche e va in macchina... Direi che è peggio. Lo stesso impatto, naturalmente, va considerato per ogni altra attività umana. E la bicicletta rimane di gran lunga il mezzo di trasporto con la minore impronta ecologica.
Che la due ruote sia il mezzo di trasporto più efficiente dal punto di vista energetico è un dato scontato. Ma il mezzo serve anche ad altro, come a sviluppare una “impronta ecologica” per ogni spostamento in bicicletta. Di che si tratta? Risponde il professor Stefano Caserini del Politecnico di Milano Energie •
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se la terra diiventa una patata bollente
[Geraldina Colotti]
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uattro passi in libreria, per ritrovare fra le pagine… l’energia giusta. Piccoli passi, per cominciare: fino all’omonima collana della Motta junior e al volume Lo sviluppo ecosostenibile, di Catherine Stern, illustrato da Pénélope Paicheler e tradotto da Stefania Baldoni. Un omino verde e un maialino mostrano le storture di un modo di sviluppo basato sul profitto, dove il “20% degli abitanti si accaparra l’80% delle risorse”. Intanto, la terra è diventata una patata bollente. Come mai? Con parole adatte ai giovanissimi, ma senza indorare la pillola, il maialino spiega: è colpa dei gas a effetto serra, dell’eccessiva concentrazione di anidride carbonica, che gli umani producono bruciando energie fossili come il carbone, il petrolio e il gas. Dall’inizio del secolo, le emissioni di CO2 dovute all’uomo sono aumentate del 50%, e hanno incrinato il delicato equilibrio dello strato di gas che, come i vetri di una serra, cattura i raggi del sole e li trasforma in calore a circa 12 km dal suolo. Come evitare il disastro? L’omino verde non ha la bacchetta magica. Propone, sì, un decalogo dei comportamenti individuali, ma spinge anche i giovani lettori a confrontarsi con soluzioni più generali: produrre “motori meno avidi”, sostituire “quando possibile le energie fossili con quelle rinnovabili” e nel frattempo “catturare” l’anidride carbonica per immagazzinarla in “pozzi” sotterranei… Dalla casa editrice Giralangolo-Edt, arriva invece Il pianeta lo salvo io!, di Jacquie Wines et Sarah Homes: la carica dei… 101 suggerimenti “pratici, veloci e un po’ folli” per scoprire gli ecocrimini, calcolando, per esempio, l’impronta ecologica secondo le indicazioni del Wwf. Si saprà allora qual è la parte di risorse non ricostituibili, consumate da un singolo, da una famiglia, da un paese. Secondo
i calcoli più recenti, l’impronta ecologica dell’umanità è di 2,2 ettari globali pro capite, quella dell’Italia, 3,8 ettari. Parametri per ridurre, o almeno compensare, le emissioni di anidride carbonica… Ma come compensare individualmente l’equilibrio già compromesso dell’ecosistema? Avanzando di un’altra “virgola” incontriamo diverse scuole di pensiero. Virgola è la collana Donzelli che pubblica un pamphlet di marca francese, Catastrofi climatiche e disastri sociali, di Pascal Acot. Un certo ambientalismo - scrive Acot – “ricatta moralmente” il singolo, ma non cambia i sistemi e non distingue le responsabilità. Le “impronte ecologiche” si basano su un concetto astratto di Uomo e Donna che mette sullo stesso piano “sia il presidente di Union Carbide sia i 12.000 morti della fabbrica di Bhopal, e anche i pescatori dell’Asia del sud…” Del resto, lo strumento di analisi che dovrebbe permettere di valutare l’impronta ecologica, prende in esame “solo l’uso eventuale di un veicolo 4 x 4, non la degassificazione di una petroliera o le conseguenze ecologiche del bombardamento di un campo petrolifero in Iraq”. Coniugando scienza e politica, spiegazioni tecniche e ragioni sociali, l’autore mostra dunque la responsabilità del neoliberismo nelle recenti catastrofi “naturali”: le politiche di Bush hanno colpito le popolazioni povere di New Orleans con la stessa ferocia del ciclone Katrina. La povertà de-
gli haitiani, che tagliano le foreste per procurarsi il carbone di legna, ha spianato la strada all’uragano Jeanne, che ha travolto più di 2.000 persone. Come non vedere invece che la piccola Cuba tenuta sotto embargo, durante i 6 uragani più forti che l’hanno colpita tra il ’96 e il 2002, ha avuto “solo” 16 morti? Scommettere sul capitale sociale anziché sul capitale tout court porta a scommettere su un’”ecologia della liberazione”. Ma senza troppe illusioni. Sembra invece ispirarsi a un localismo cosmopolita di marca anglosassone, il volume Calore!, scritto dall’ambientalista inglese George Monbiot, nota firma del Guardian (Longanesi). Naomi Klein consiglia di “leggerlo assolutamente” per la sua “incredibile padronanza dei dati scientifici e una fiducia incrollabile nell’uomo”. Tra scienza, inchiesta e racconto, la vena icastica di Monbiot non risparmia né quelli che vorrebbero “tornare al Pleistocene”, né chi “predica la moderazione ai paesi più poveri” per giustificare la propria inazione: anche se le emissioni pro-capite della Cina sono in aumento – sostiene – si tratta ancora di piccole quantità, rispetto alle nostre. Per questo, Calore ha come terreno d’indagine il Regno unito, anche se contiene un’appendice statistica sui dati di altri paesi. Al vaglio, le energie rinnovabili in tutte le loro applicazioni: pannelli solari termini o fotovoltaici, fonti di calore sotterranee studiate dalla geotermia, o reti di calore alimentate dall’energia della mate-
ria che costituisce il vivente - la biomassa. E rimedi forse peggiori del male, come gli agrocarburanti, a cui il volume dedica uno dei capitoli migliori. Quanto sia complicato affrontare il problema del “biocarburante”, emerge anche dal saggio L’economia del Brasile – dal caffè al bioetanolo: modernità e contraddizioni di un gigante, di Carlo Pietrobelli ed Elisabetta Pugliese (Carocci). Il Brasile copre quasi la metà delle esportazioni mondiali di “bioetanolo”: una produzione destinata a crescere dopo l’accordo con gli Usa firmato quest’anno a Camp David. Nel 2006, la produzione di canna da zucchero per combustibile interessava circa un milione e mezzo di contadini. E proprio sulla creazione di posti di lavoro, nonché sull’alleanza con i paesi poveri, punta il governo Lula per intensificare la produzione delle biomasse: fidando anche sulla coltivazione di soia geneticamente modificata. Invece, per molti ambientalisti, gli agrocarburanti, impoverendo intere aree agricole, contribui-
scono più ad accelerare la catastrofe ambientale, che ai bisogni energetici. Al contrario, Stefano Carnazzi, di LifeGate, nel suo libro Le energie rinnovabili (Xenia), calcola che, in Italia, il bioetanolo arriverebbe a coprire “un terzo dei combustibili necessari per l’autotrazione!”. E vanta le virtù dell’alcol etilico “ il biocarburante che mostra il miglior compromesso tra prezzo, disponibilità e prestazioni”, già adottato in alcuni Paesi del Sudamerica. Presto, la Embraer (il quarto produttore mondiale di aerei), potrebbe mettere in produzione il Neiva Ipanema, il primo aeroplano di serie specificamente ad alcol… Problemi di simile portata non si risolvono mantenendo lo stesso modo di pensare, dice citando Einstein lo scienziato tedesco Hermann Scheer. I suoi volumi Il solare e l’economia globale, e Autonomia energetica (Edizioni Ambiente), offrono un quadro d’insieme, partecipe e rigoroso, delle risorse rinnovabili nelle società del Terzo millennio. Scheer, parlamentare di un paese che è già avanti nel settore, non nasconde però le difficoltà di gestire, almeno a breve, un simile cambiamento su larga scala. Uno degli ostacoli? La “debolezza da integrazione” di molte Ong ambientaliste, che non svolgono più un ruolo propulsivo nel cambiamento sociale.
Il riscaldamento del pianeta s’incrocia con le emissioni di anidride carbonica, si salvi chi può... Quattro passi in libreria, per ritrovare tra pagine di carta (riciclabile?) l’energia giusta Energie •
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Multienergy. È questa la sfida che ERG, sempre di più, lancia al futuro. Il primo Gruppo indipendente italiano, quotato in Borsa dal 1997, che da 70 anni opera con successo nel mondo dell’energia. Dalla raffinazione del greggio alla
distribuzione e vendita di prodotti petroliferi, alla produzione di energia elettrica ai grandi investimenti nelle fonti rinnovabili e nel gas: sono queste le molteplici attività di un nome sinonimo di passione ed impegno. Perchè ERG significa energia.
M O LT I P L I C H I A M O L E N O S T R E E N E R G I E .