chips e salsa novembre 2008

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Supplemento al numero odierno de il manifesto

TASTIERA FAI DA TE Grandi o piccole fino a scomparire. La nuova frontiera del downsizing, dai pc ai cellulari


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Asus Eee Pc

PC BONSAI, QUEL CHE SERVE DAVVERO

Nicola Bruno

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eggeri, piccolissimi e, soprattutto, a basso costo. La tendenza era già iniziata prima dello scoppio della grande crisi e ora, inevitabilmente, si rafforza. Si chiamano netbook, subnotebook, ultramobili o Mid (mobile internet device) a seconda delle preferenze lessicali (e di marketing) e sono la piccola-grande speranza dell’industria tech di limitare i danni in un periodo che, dal punto di vista dei consumi, si preannuncia duro. Di che cosa si tratta? Dispositivi di dimensioni ridotte ma sufficientemente grandi per consentire una navigazione agevole, dall’alta portabilità e soprattutto dal costo non proibitivo (meno di 500 euro). Secondo gi analisti di IDC se ne venderanno 10,8 milioni quest’anno e più di 20 il prossimo: di fatto, 1 portatile su 10 sarà low cost. Acer, Asus, Dell, Fujitsu, HP, Samsung, Toshiba, a colpi di sottrazione tutti i colossi si gettano in questa gara per la sopravvivenza. Che potrebbe però avere conseguenze fatali a lungo termine: e se gli utenti si accorgessero infine di non avere bisogno di troppa potenza, tante funzionalità e software sempre più esosi dal punto di vista della potenza di calcolo?

Oltre la crisi Secondo i dati diffusi dall’istituto di ricerca Gartner nel corso dell’ultimo trimestre c’è stato un vero e proprio boom di portatili, ormai arrivati a presidiare oltre il 50% del mercato, surclassando quindi i desktop casalinghi nelle preferenze d’acquisto. Gli analisti sostengono che a far da traino per questa tendenza ha contribuito in maniera rilevante l’arrivo nei negozi dei mini-laptop che, dopo tanti fallimenti, sono finalmente riusciti a convincere anche il pubblico di massa: solo in Italia nel primo semestre del 2008 ne sono stati venduti oltre 200.000, mentre a livello globale si parla di 7 milioni di pezzi consegnati. Segno che, nonostante uno scenario macro-economico tutt’altro che favorevole, la solu-

Ti accendo in un istante Se ne lamentano i consumatori e le ricerche di mercato lo confermano: i computer ci mettono troppo ad avviarsi. Non è solamente una questione di impazienza: è che nell’epoca degli smartphone e dell’internet sul cellulare ci siamo abituati a controllare la casella e-mail e accedere al web in pochi istanti, mentre se ci piazziamo di fronte al monitor del Pc i tempi necessari a svolgere i medesimi compiti si dilatano incredibilmente, anche se si tratta in realtà di una manciata di minuti. Il problema è ben noto anche ai produttori, che con la scusa di accontentare i consumatori si stanno adoperando per sviluppare soluzioni innovative con cui rilanciarsi sul mercato, alla ricerca di nuovi profitti. E se Asus ha scelto di bypassare Windows e dotare di un software rapido l’intera gamma dei suoi computer, Microsoft ha fatto ammenda riconoscendo che un sistema operativo è valido se si carica in meno di 15 secondi. Ma la cosa che più preme al popolo viziato dell’always-on, frustrato da pochi minuti d’attesa, è essere sempre connessi. Ed è per questo che anche giganti del settore come Dell, HP e Lenovo hanno imboccato la via dell’instant-on e sviluppato macchine che consentono di accedere solo a posta elettronica e internet (e solo a quelle) in meno di 30 secondi. Il più delle volte grazie al sistema operativo Linux. Tutte novità che i consumatori apprezzano, ma che alla fine potrebbero ritorcersi contro le aziende qualora gli utenti finissero col realizzare che, davvero, ciò di cui hanno bisogno è solamente essere connessi alla rete. E in questo senso un Pc è perfino troppo. (Alessandra Carboni)

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Piccoli e leggeri, ultravisti con tutte le diottrie, sono i pc che pesano un chilo. E che stanno mettendo sottosopra i produttori: e se gli utenti si accorgessero così di non aver più bisogno di troppa potenza? zione low-cost si è rivelata la proposta giusta nel momento giusto. Una lettura che trova conferma anche nelle ottime performance registrate da chi ha investito per primo in questo business. Parliamo dei colossi di Taiwan, Asus e Acer, i due leader indiscussi del comparto subnotebook: a rompere il ghiaccio ci ha pensato per prima Asus, con il lancio l’anno scorso dei giocattolosi Eee Pc (si veda scheda accanto); poi è arrivato il concorrente Acer con il più solido Aspire One (si veda scheda accanto). Sarà stato un effetto della crisi o la capacità di arrivare prima degli altri, fatto sta che sia Acer che Asus hanno raddoppiato le consegne di notebook negli ultimi tre mesi: il primo è arrivato a scalzare un colosso come HP dalla prima posizione in Italia; mentre Asus scalpita al terzo posto, forte di una crescita del 162%, dovuta in larga parte al successo degli Eee Pc.

Corsa al mini Facile capire perché, a fronte di questi numeri, tutti i big del computing (e non solo) si sono improvvisamente lanciati nella produzione di portatili low-cost: da Hp a Dell, passando per i produttori di cellulari (Samsung), quelli di processori (Intel con il suo Classmate) e software (Olidata). Nel giro di un anno ha così preso piede un’offerta quanto mai diversificata e competitiva. Ce n’è per tutte le tasche (dai 200 ai 500 euro), i gusti (dai 7 agli 11 pollici; equipaggiati con il più economico sistema operativo open-source Linux o il più familiare Windows), e gli utilizzi (educational, professionale). Secondo gli analisti di Gartner, una maggiore concorrenza, unita agli effetti della crisi economica, porterà ad un ulteriore consolidamento del comparto: l’istituto prevede che nei prossimi mesi tra famiglie ed imprese rallen-

Giunto in Italia a inizio 2008, Asus Eee Pc è stato il primo vero netbook, coniugando l’esigenza di mobilità a una fascia di prezzo decisamente bassa. Prima di Asus, tutti i numerosi tentativi di ridurre peso e dimensioni dei portatili sono miseramente falliti, sempre a causa del prezzo troppo elevato, superiore anche a duemila euro. Oggi l’offerta della famiglia Eee Pc è differenziata per prestazioni, dimensioni, colori e sistema operativo (Windows o Linux). Monitor: da 7 a 10” Peso: 1 kg Prezzo: 200-400 euro

Acer Aspire One

In vendita da luglio, Acer Aspire One ha immediatamente riscosso successo anche tra il grande pubblico per il design più curato rispetto ai modelli di Asus, pur mantenendo un prezzo contenuto. Così come il concorrente, Acer ha qualsiasi tipo di connettività: WiFi, Ethernet, lettore di schede di memoria, webcam e microfono integrato. È possibile scegliere tra la versione con Windows Windows Xp e Linux e tra disco a stato solido (Ssd) oppure hard disk. Monitor: da 8,9” Peso: 1 kg Prezzo: da 300-400 euro

JumPc

Non solo per svago o per lavoro. I netbook nascono anche per scopi educativi, come il computer da 100 dollari dell’iniziativa One Laptop Per Child destinato ai paesi in via di sviluppo, ma non solo. Oltre all’Olpc e al Classmate Pc (promosso attivamente da Intel), l’italiana Olidata ha sviluppato un mini-laptop adatto per i più giovani: colorato, resistente agli urti e dotato dell’interfaccia Magic Desktop, una scrivania virtuale illustrata e adatta ai bambini. Monitor: 7” Peso: 1,3 kg Prezzo: 200-300 euro (box a cura di Marina Rossi)


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e direttore responsabile Sandro Medici Via A. Bargoni, 8 00153 Roma tel. 06687191 www.ilmanifesto.it direttori Mariuccia Ciotta Gabriele Polo

terà l’acquisto di pc desktop e notebook di fascia alta, mentre aumenteranno le vendite dei cosiddetti netbook: «Se il mercato globale dei Pc inizia ad accusare l’impatto della crisi economica, il segmento dei mini-notebook sta registrando una forte crescita» spiega l’analista di Gartner Mika Kitagawa «Dal momento, però, che si tratta di una novità, è troppo presto per capire se il segmento emergente creerà nuove opportunità di mercato, o se cannibalizzerà i dispositivi che appartengono alla fascia di prezzo più alta».

supplemento a cura di Francesco Paternò chiavette Usb che permettono la connessione in mobilità dietro il pagamento di un abbonamento flat. Il matrimonio tra netbook e le chiavette 3G ha subito funzionato: la promessa di connettività ovunque, con prestazioni minime e a prezzi abbordabili, ha raggiunto anche il grande pubblico. A cominciare dagli utenti che svolgono gran parte delle proprie attività in rete e non hanno più bisogno di un processore potente per ascoltare la musica su servizi come Last.fm, comunicare via messenger con gli amici, utilizzare i programmi per la produttività online (come Google Docs) per scrivere una tesina o un documento di lavoro. In fondo basta un investimento di 300 euro e una chiavetta 3G da 20 euro al mese per essere sempre attivi online. Per quanto stia dando una boccata d’ossigeno ad un comparto bloccato dalla crisi dei consumi,

Effetto boomerang Rispetto agli attuali smarphone di grido (come il Googlefonino di HTC, il Nokia XPress e l’iPhone di Apple), i subnotebook permettono un’esperienza di navigazione decisamente migliore, oltre alla possibilità di utilizzare molti dei programmi che girano solitamente su un pc. Eppure, per quanto l’ultima generazione abbia fatto passi in avanti in quanto a potenza dei processori, le prestazioni dei portatili tradizionali sono ancora lontane. È per questo che, in un primo momento, i mini-notebook hanno attirato per lo più chi, per esigenze di mobilità, era alla ricerca di un secondo laptop più leggero. Ma poi è esploso un altro fenomeno che ha contribuito ad allargare il mercato: lo sdoganamento delle

c’è però un dubbio che ora tormenta l’industria hi-tech: non c’è il rischio, cioè, che il successo dei mini-netbook scateni un effetto boomerang, facendo crollare le vendite di pc e portatili di fascia media che attualmente garantiscono margini migliori di guadagno? Si aggiunga a ciò la disponibilità di sempre più servizi online che permettono di svolgere gran parte delle funzioni prima appannaggio dei software desktop, e si fa presto a capire perché nei prossimi mesi potremo vedere i prezzi scendere ulteriormente. Fino a quando, cioè, non ci sarà più differenza di costi e funzionalità tra un notebook e un subnotebook. Il che, almeno dal punto di vista dei consumatori stremati dalla crisi economica, non sarebbe di certo una cattiva notizia. Per le grandi case, beh questa è un’altra storia.

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chiuso in redazione: 20 novembre 2008

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Un solo pc per 30 persone

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Emanuela Di Pasqua

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configgere la povertà nel mondo diffondendo tra le nuove generazioni dei Paesi in via di sviluppo una cultura informatica, consentendo loro di emanciparsi e di partecipare alla comunità globale attraverso internet: questo è il sogno di Nicholas Negroponte e di Abdul-Muyeed Chowdhury, uniti da un obiettivo comune e separati da due visioni del divario digitale dichiaratamente diverse. Negroponte, con il suo One Laptop Per Child (OLPC), ha già inviato 5mila portatili in Etiopia, 100mila in Rwanda, 8mila ad Haiti e 10mila in Mongolia. Ora il suo obiettivo, ha dichiarato a una folla di informatici in un recente incontro, è fare in modo che il prossimo miliardo di bambini tecnologicamente esclusi sia anche l’ultimo. E a sostegno della sua iniziativa, che sta per sbarcare in Europa, c’è il programma G1G1 (give one get one), che consente ai consumatori occidentali di acquistare un laptop da 399 dollari regalandone contestualmente uno ai Paesi poveri. Il give one get one (ribattezzato: “compri due prendi uno”) si basa insomma sulla solidarietà del Nord del mondo nei confronti del Sud. Ma se il buon cuore dei ricchi non farà sentire la propria voce sostengono alcuni - il computer studiato da Negroponte si rivelerà ancora troppo caro per certe nazioni. Ne è convinto, fra gli altri, Abdul-Muyeed Chowdhury, del Bangladesh Rural Advancement Committee (BRAC), secondo il quale non basta un pc per combattere il divario tra la massa di computer e connettività che sommerge i Paesi sviluppati e l’analfabetismo informatico dei Paesi in via di sviluppo, anche se si tratta di un portatile a basso costo come quello progettato da Negroponte per il Mit. Nei Paesi dove la povertà significa un guadagno giornaliero che oscilla tra 1 e 2 dollari, un computer, per quanto economico, non può

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essere la soluzione per stringere la forbice tecnologica tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha. Soprattutto, non ha senso sforzarsi subito di dare alle persone un computer personale. Chowdhury ha dunque optato per una soluzione alternativa e, a suo dire, meno costosa, realizzata dall’azienda nComputing di Redwood City, nel cuore della Silicon Valley. Utilizzando una delle tendenze informatiche del momento, la virtualizzazione, il progetto propone a Internet café e luoghi pubblici di accesso nei Paesi poveri piccoli terminali da 70 dollari che utilizzano la potenza di calcolo di un solo vero pc. In questo modo un unico computer fa lavorare contemporaneamente fino a 30 persone. Ma cos’è esattamente la virtualizzazione? Si tratta di una tecnologia che permette di creare macchine virtuali separate su di uno stesso hardware o computer fisico, in modo da suddividere le risorse di una macchina. Citrix, VMware e la stessa Microsoft sono leader nello sviluppo di software dedicati, che permettono di creare uno o più ambienti virtuali in un solo computer, implementando un’unica piattaforma su un numero variabile di altri terminali. Promettendo maggiore efficienza e risparmi energetici, la virtualizzazione è la nuova frontiera dell’informatica, specie per i server aziendali e i data center. Non mancano però le ricadute e le applicazioni sui computer casalinghi. Nel caso degli Internet café pensati da Chowdhury ogni postazione contempla un monitor, una tastiera e un mouse connessi a una scatola nera che finisce dentro l’hub di un pc. Le risorse di una macchina sono così suddivise tra più persone. Per il momento la guerra tra i due differenti approcci è a vantaggio di Chowdhury, in trattativa con 5mila scuole dello stato indiano dell’Andhra Pradesh, alle quali nComputing dovrebbe fornire terminali per 1,8 milioni di studenti. Il progetto di virtualizzazione del desktop infatti vanta al suo attivo, solo negli ultimi mesi, già un totale di 1 milione di apparecchi venduti, contro i 700 mila dell’OLPC. Da parte sua, Nicholas Negroponte risponde con altrettanta disapprovazione alle fantasiose alternative ai pc economici, inadatte a suo dire a risolvere il digital divide. Secondo il guru del web il suo laptop è disegnato apposta per consentire ai bambini di imparare ed è stato progettato intorno all’utente, dall’interfaccia grafica al software, dal materiale indistruttibile al design flessibile con gli angoli che gli fanno assumere diverse sembianze (da portatile standard a lettore di libri elettronici fino a console di gioco). Per dirla con le parole di Negroponte alla rivista Forbes, «tra le due risposte al divario digitale c’è la stessa

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differenza esistente tra un campo da tennis e un paio di scarpe da ginnastica». La verità è che forse le due soluzioni non si escludono a vicenda: una è molto orientata ai bambini e punta soprattutto alle generazioni future, mentre l’altra si preoccupa di includere nella rivoluzione digitale anche le persone attualmente emarginate a causa dei costi proibitivi, sostituendo al concetto di proprietà quello, meno ambizioso ma più realistico, di utilizzo. «Per anni abbiamo detto che i pc sono supercomputer. Ma quando abbiamo occasione di scoprire veramente la mole di lavoro che possono fare rimaniamo comunque stupiti», ha dichiarato Chowdhury. Del resto lui viene dall’India e conosce bene, e dal di dentro, il problema della forbice tecnologica, della povertà e della mancanza d’accesso, ben più del padre dell’informatica low cost Negroponte. Inutile, a suo dire, fornire ai suoi connazionali dei deliziosi portatili perché nelle zone rurali dell’India la gente non ha nemmeno i tavoli. Intanto per risolvere il divario digitale c’è una terza risposta, per quanto sembri un po’ una sparata: il governo indiano da tempo ha annunciato di voler regalare il collegamento Adsl gratuito all’intera popolazione e di aver intenzione di commercializzare un laptop al prezzo di soli 10 dollari. E tra le proposte più disparate per aprire le porte della tecnologia all’altra metà del mondo si profila all’orizzonte un nuovo mercato per i colossi tecnologici. www.totem.to

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La forbice tecnologica tra il nord e il sud del pianeta. Ecco cosa viene proposto perché il prossimo miliardo di bambini tecnologicamente esclusi sia anche l’ultimo

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Il dito e il nuovo credo

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Gabriele De Palma

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Touchscreen

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e lavorate su un tradizionale computer, pc o Mac che sia, saprete quanto sporca può diventare una tastiera. E se non ve ne siete mai accorti – ma davvero non notate il sudore rappreso sui tasti più usati? - provate a ribaltarla sulla scrivania e vedrete cosa ne esce. Tra capelli, cenere (per quei viziosi che ancora non si sono arresi), batuffoli e briciole si può considerare la tastiera come la migliore rappresentate del «silos per riporvi i frutti del mio corpo» cantato da Elio e le storie tese tempo addietro. Eppure fino a un paio di anni fa pensare di farne a meno era poco più che una speranza da igienisti, o da irriducibili futuristi: i primi prototipi “lisci” sempre immancabilmente “quasi pronti” per la distribuzione commerciale guadagnavano le pagine delle riviste specializzate, e nessun utente medio avrebbe creduto che un telefono o un computer potessero darsi senza i 12 o 105 tasti che ci permettono di interagire con la macchina.

Piccolo schermo Oggi non è più così. In principio fu l’iPhone a sparigliare gli equilibri presentando il primo schermo a tocco – anzi più corretto dire a tocchi (multi-touch) – e per giunta a tocco di dita e non di pennina, come da tempo proponevano i costruttori di smartphone e Pda. «Basta intermediari tra l’uomo e lo schermo», proclamava Steve Jobs presentando il telefono Apple, «da oggi si usa il migliore puntatore disponibile: il dito». Nonostante tutte le difficoltà che si possono presentare nel maneggiare lo schermo dell’iPhone, doppi tocchi, applicazioni che partono senza volere, tutti i grandi produttori si sono accodati inseguendo il nuovo credo. Htc, Nokia, Rim, Lg, Motorola offrono oggi, a meno di due anni dal lancio del melafonino, modelli analoghi e privi di tastiere Qwerty o a nove tasti. E pensare che proprio sulla mancanza di tastiera e sulla scomodità di usare quella virtuale dell’iPhone, gli avversari di Apple contavano di difendere le loro quote di mercato. E giustamente visto che scrivere un sms su uno schermo multitocco non è cosa per tutti polpastrelli. Ma la trasposizione virtuale della tastiera fisica è solo un ibrido del passaggio che sta avvenendo tra l’epoca della tastiera e quella in cui non ci sarà più. Una fase di

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transizione poco felice. Ci sono già ottimi software di riconoscimento vocale che permettono di dettare i testi al telefono (Google ne ha presentato poche settimane fa). Insomma il mercato e i centri di ricerca e sviluppo stanno disegnando un mondo in cui le tastiere fisiche o virtuali saranno oggetti vintage o destinate a chi proprio non può farne a meno.

Gorilla Arm Ma se la storia degli schermi a tocco, che possiamo considerare l’inizio della fine delle tastiere, comincia almeno dal punto di vista del mercato di massa con l’iPhone, nei laboratori è stata covata per molto più tempo e su schermi dalle dimensioni più grandi. I primi esperimenti di un interfaccia video risalgono agli anni sessanta, ma si è dovuto attendere lo scadere dei primi brevetti perché i progetti diventassero patrimonio comune (agli ingegneri di tutto il mondo) perfezionandosi progressivamente fino ai risultati odierni. E se nel piccolo è stata Apple, per schermi di dimensioni più grandi è Microsoft a spingere con più insistenza. Surface, che riprende un progetto in origine sviluppato da Philips, è un tavolo-schermo su cui si interagisce direttamente senza passare per una tastiera e in cui si lanciano i programmi e si consumano i contenuti col semplice tocco della mano. Li si può vedere in azione nelle hall di alcune prestigiose catene di hotel, erogare informazioni sulla struttura alberghiera, sulla città e sulle attività con cui ci si può intrattenere, oggetti non da vendere al pubblico ma con cui il pubblico interagisce. Analoghi schermi a tocco, generalmente presentati non come tavolo ma come parete sono diventati di

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Una transizione poco felice dall’epoca della tastiera all’uso dei polpastrelli. Tutti i produttori sono in corsa e potrebbe essere questo l’unico e definitivo pigia pigia

uso comune entrando in Posta, sono lo strumento con cui in stazione si evitano le code alla biglietteria analogica, quella dotata di addetto in carne ed ossa, e sempre più vengono utilizzati in occasione di eventi per promuovere una merce. Per arrivare a sviluppare prodotti funzionanti ed effettivamente usabili la strada non è stata del tutto lineare. I primi oggetti con schermo a tocco che uscivano dai laboratori di ricerca erano decisamente troppo raffinati per le capacità


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Nokia, un lab per giovani creativi I giovani talenti italiani che, oltre a una passione per il cellulare, pensano di avere anche qualcosa da dire su design, moda e musica hanno un nuovo palcoscenico su cui esibirsi, messo a disposizione da un’iniziativa sperimentale di Nokia. Si tratta dei Trends Lab, un progetto interattivo internazionale che raccoglie i contributi realizzati tramite telefonino dai giovani creativi: giunto in Italia alla sua terza edizione l’evento, nato come laboratorio video-musicale, quest’anno si è evoluto dando spazio a ulteriori forme espressive, in particolare alla moda e al design. I Lab sono stati animati da una serie di attività e incontri off e online, alcuni svoltisi anche su corsi Second Life, a cui hanno partecipato artisti e ospiti che con i loro interventi hanno stimolato concorsi e contributi originali da parte degli utenti. Così, gli aspiranti registi hanno potuto mettere alla prova la propria bravura inviando un cortometraggio al concorso NCinema. Gli appassionati di videoclip, utilizzando l’applicazione VJ Flash Mobile, hanno creato animazioni video mixando filmati direttamente dal cellulare. Mentre con il software Face Traking, i designer in erba hanno progettato al computer accessori come cappelli, parrucche e occhiali da applicare ai volti delle persone fotografate o riprese attraverso i telefonini. Nell’arco di un anno, il sito nokiatrendslab.it ha avuto la funzione di catalizzare le informazioni su appuntamenti, news dal mondo, strumenti e materiale relativo ai vari concorsi, compresa l’assegnazione dei primi premi. Giovedì 20 novembre tutta l’esperienza maturata nel 2008 è culminata con la consueta serata celebrativa che, come ormai da tradizione, è stata animata dai lavori dei partecipanti e durante la quale sono stati messe a disposizione del pubblico le tecnologie multimediali dei Lab. In questa occasione inoltre sono stati presentati i lavori dei migliori creativi di ogni categoria, con la collaborazione di alcuni nomi famosi del background artistico internazionale che si sono uniti alla festa contribuendo con performance musicali e sperimentazioni originali. Valentina Tubino

umane. La videata di interazione era verticale e con icone troppo piccole. L’uso di tali strumenti si rivelò decisamente stressante per le braccia e il nascente mercato rimase tale solo in potenza. Per superare l’enpasse venne presa a prestito l’analogia con i primate, il braccio del gorilla. I progettisti capirono che i movimenti delle braccia umane non potevano esser troppo fini, pena una fatica che allontana l’uomo dalla macchina, e così si affermò il criterio per realizzare schermi a tocco in base a cui l’interfaccia doveva essere a prova di braccio del gorilla (gorilla arm, appunto). L’espressione viene usata ancora oggi a sottolineare l’importanza dell’usabilità in ogni progetto in cantiere.

Nel solco di Spielberg Risolti i problemi da primate, anche per quanto riguarda il mercato consumer sono arrivati i primi pc a tocco. La prima a invadere questo campo è stata Hp, che recentemente ha presentato il modello TouchSmart iQ, e si attende l’imminente trasposizione

B degli schermi intelligenti e sensibili sui netbook, di gran moda visti anche i prezzi contenuti. La gara è tra la stessa Hp e Asus, l’obiettivo è offrirli in tempo utile perché diventino pacchetti da mettere sotto l’albero di natale. Microsoft sta evolvendo il Surface in un oggetto un po’ più abbordabile per le tasche degli utenti: secondo le indiscrezioni si aggirerà sui 1500 dollari. Il nuovo schermo (che però ancora rimpolpa le fila dei prototipi) si chiama Oahu (dall’hawaiano ‘punto di raccolta’) e potrebbe essere lanciato insieme all’erede di Vista, Windows 7. Sempre dai research lab di Redmond giunge un’evoluzione ancora più avveniristica, Sphere. Trattasi di un globo al centro del quale un proiettore anima il materiale traslucido circostante, trasformandolo in un vero touchscreen a 360 gradi. Esattamente come per Surface, basta utilizzare due dita per allargare o deformare un’immagine, per dipingere o disegnare, scompaginare le fotografie: un’interazione quasi naturale, che l’iPhone sta promuovendo ad abitudine comune. E il prossimo passo sarà lo schermo senza tastiera e senza tocco. Sono già in circolazione ed è italiana l‘azienda che li produce, la milanese iO Technology, la stessa che produce i proiettori che trasformano muri e pavimenti in immagini interattive (si sono visti come scenografie nelle emittenti tv). Per interagire con le icone sullo schermo basta sventolare le braccia in perfetto stile Minority Report (il film di Spielberg; nel racconto di Philiph K. Dick non

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c’è traccia di schermi olografici). Il software di tale interfaccia è tutto italiano e le evoluzioni possibili sono pressoché infinite. Al momento hanno uno scopo più ludico che altro ma il futuro è alle porte e non sembra proprio prevedere tasti da pigiare. www.totem.to

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