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“SACCHI, LA FAVOLA DI UN VISIONARIO”
Il produttore Andrea Gambetta:
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umani e intimi. Nel film intervengono giocatori e uomini di sport che hanno fatto la storia del calcio e che hanno lavorato con Sacchi, come Gullit, Rijkaard, Maldini, Costacurta, Tassotti, Michele Uva, Ancelotti; persone che sono state ispirate dal suo modo di essere, dalla sua concezione del “gioco di squadra”, ed infine persone che lo hanno visto crescere nel piccolo paese di Fusignano. Il presidente della Fondazione Solares e produttore cinematografico Andrea Gambetta, spiega il perché della scelta di questo film e cosa significa fare il produttore oggi.
Crede che la figura di Sacchi a livello calcistico sia ancora attuale, è questo uno dei motivi per cui è stato scelto per il documentario?
“Credo proprio di sì, nonostante io non sia un appassionato di calcio, la figura di Sacchi era ed è ancora oggi un simbolo. C’è un calcio prima e dopo Sacchi e sicuramente è ancora un riferimento sia teorico che tecnico che continua ad influenzare molti. Questo documen-
Sopra Ruud Gullit, campione olandese e giocatore protagonista del Milan di Sacchi, che vinse per due volte la Coppa dei Campioni nelle stagioni 1988-1989 e 1989-1990. A destra, in alto, il produttore
Andrea Gambetta
tario vuole raccontare da dove nasce questa sua cultura della squadra come un gruppo, un’unione alla pari di tutti coloro che ne fanno parte. Pensiero che sicuramente si trova in contrapposizione al ruolo del grande campione rappresentato invece da Maradona. Per Sacchi il calcio è come una forma di arte, pretendeva un bel gioco e una vittoria per merito senza inganni o sotterfugi.”
Attualmente c’è un altro allenatore visionario e innovativo come lo è stato lui a suo tempo?
“Direi Ancelotti, è cresciuto con Sacchi e sicuramente ne è ancora in parte influenzato. Entrambi emiliano-romagnoli, una bella similitudine, e sicuramente il loro retroterra culturale è ciò che ha trasmesso ad entrambi quei valori che gli hanno permesso di arrivare lontano.”
Come si svolge il lavoro del produttore?
“Il produttore si occupa della parte “strategica” se vogliamo, dobbiamo reperire il budget economico per coprire tutti i costi, ma soprattutto valutare l’argomento in base a tale budget, in base al pubblico e anche a quelli per cui stai lavorando. La parte di analisi riguardante il pubblico è molto importante, bisogna capire chi sia il destinatario finale. Una volta fatto questo passaggio sarà più facile, per quanto possibile, sviluppare l’argomento scelto in modo che sia il più interessante e intrigante. Oggi sono disponibili numerosissimi materiali audiovisivi, diventa dunque difficile competere e ottenere l’attenzione del pubblico, è qui che entra in gioco il produttore con una strategia che aiuti non solo la realizzazione, ma anche la distribuzione della storia. Tutte queste analisi si svolgono sempre insieme al regista e all’autore perché, anche se bisogna cercare di ottenere il massimo dal budget a disposizione, è comunque importantissimo non snaturare l’argomento o il personaggio scelti.”
Quali sono le difficoltà di questo mestiere?
“Sicuramente si tratta di un campo in continuo cambiamento a livello di tecnologie, ma anche di contenuti. Restare al passo è sicuramente una sfida. Un altro fattore può riguardare il canale distributivo, ogni piattaforma ha i suoi standard. Le piattaforme globali cercano di imporre standard che possano essere validi per tutti i paesi quindi si perde un po’ di autenticità e si tende a creare opere “standardizzate”. Altre piattaforme possono avere standard diversi, ma che comunque in qualche modo limitano la tua libertà artistica. Quindi bisogna cercare di far coincidere l’idea dell’autore, la visione del regista, il budget e l’argomento con tutto ciò.”
Come avviene la scelta del canale distributivo?
“Come ho detto in precedenza, il produttore deve formulare una strategia che includa anche la distribuzione, da subito. Spesso si tende a trascurare questa parte. Si analizzano l’argomento e il budget, si realizza l’opera e poi però non si riesce a trovare un canale distributivo che la accetti. Quindi il lavoro di mesi, se non anni, va perduto. Nella strategia iniziale bisogna sempre includere la parte legata alla distribuzione, anche perché la scelta del canale è strettamente collegata all’argomento trattato, al pubblico e tutti i fattori legati alla visione dell’autore. Io faccio spesso l’esempio di Daniele Segre, che ha sempre fatto lavori indipendenti come “Morire di lavoro”, un bellissimo documentario, che ha fatto più di 150 serate tra circoli, cinema, sindacati e associazioni sul territorio. Oggi se si arriva a 30, 40 serate lo si considera un successo, quindi è logico che se da un lato una diffusione capillare sul territorio prima aveva anche la possibilità di un ritorno economico per coprire parte della produzione, oggi bisogna pensare in maniera diversa. La televisione o una piattaforma hanno sicuramente una possibilità ben maggiore di visibilità, certo poi manca il contatto con il pubblico. E’ tutta una questione di equilibrio fra i vari elementi da tenere in conto e, ripeto, senza mai snaturare la storia.”
Alcune immagini dei concerti che animeranno il Farnese Festival, a lato Fabio Biondi e l’orchestra Europa Galante