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“C’era una volta..il nonno” Novantotto. Un secolo di storie familiari
“C’era una volta... il nonno”.
Novantotto. Un secolo di storie familiari
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UN LIBRO DI RICORDI, ANEDDOTI, MA ANCHE PRECISE INTERESSANTI RICOSTRUZIONI STORICHE. VALERIO CERVETTI: “UN NONNO SI RACCONTA AL NIPOTE, INIZIANDO DALLA STORIA DEI PROPRI NONNI”
Quella che giunge fino alle orecchie del piccolo Manuel è una storia che arriva da lontano. Parte da Parma e da Modena: i protagonisti sono Celideo e Rosa (da Gattatico); Giuseppe e Brigida, detta Rosina. I loro figli, Bruna e Gianni, saranno i genitori dell’autore Valerio Cervetti, che crea un originale memoriale tra biografia e autobiografia, attraversando due guerre, tre generazioni e molte esistenze. Il libro è dedicato a Manuel, il figlio di sua figlia Irene, probabilmente per lasciare al piccolo nipote una storia già scritta, se mai un giorno avrà quella curiosità che ha avuto lui di comprendere da dove viene, per capire meglio in quale direzione andare. Radici solide, per crescere robusti e dritti, come lo erano i nonni materni e paterni. “L’idea era quella di raccontare come cambia il mondo a distanza di sessant’anni, attraverso la descrizione della vita dei miei nonni, i miei genitori ed infine la mia storia, a mio nipote Manuel”. Così lo storico Valerio Cervetti riannoda il filo, tornando indietro allo sbarco del nonno paterno nel continente americano agli inizi del ‘900 fino ad arivare agli anno Ottanta, l’Università, la prima fidanzata, l’impegno politico nel aprtito comunista e il lavoro in Comune, ma anche i viaggi americani dello Cervetti. Un parallelismo tra due migrazioni distanti sessant’anni, così simili, ma così diverse: una per necessaria sopravvivenza, l’altra per formazione personale. “Vedi Manuel, adesso diventa un po’ complicato”, “Caro Manuel, ora ci dobbiamo fermare e ti devo spiegare meglio”. “Manuel, è difficile capire, ti sembrerà strano”. Cervetti inventa un artificio letterario, ma non rinuncia a intrecciare racconti intimi, come le lacrime di fragilità del padre Gianni svelate al figlio per la prima volta, con avvenimenti storici e sociali: la politica, la povertà, l’amore, la guerra. Nel libro non ci sono bilanci, non si giudica nessuno, c’è sentimento, ma non sentimentalismo o moralismo. Si cerca di raccontare la vita, con le sue conquiste e le sue improvvise e brusche cadute. Ma torniamo al lavoro dello storico.
A quali fonti ha attinto per la stesura del libro? Sono suoi ricordi o ha consultato dei documenti scritti?
«Molte delle esperienze citate sono frutto della mia memoria, di eventi che ho vissuto e a cui ho assistito personalmente. La mia fonte orale principale è stata senza dubbio mia madre, che mi ha rivelato molto anche su mio padre, più taciturno rispetto a lei, e sui miei nonni materni e paterni. Ho anche trovato dei libri tra le cose di mio nonno, appartenenti alla biblioteca Vittorio Veneto (tra cui “Ultime lettere di Jacopo Ortis), che presentavano alla fine alcuni conti fatti a mano. Ulteriori notizie le ho apprese grazie a mia cugina Cristina, la quale ha rinvenuto un quaderno di mio nonno paterno con aneddoti e avventure».
Come descriverebbe lo stile che ha adottato?
«È un linguaggio accessibile ma non banale. Ho sfruttato traduzioni di un pensiero dialettale, dando alle memorie un ritmo appetibile».
Ha fatto leggere il manoscritto a qualcuno prima di farlo pubblicare?
«Si, ho chiesto il parere di tre, quattro persone. Un primo incoraggiamento l’ho ricevuto da una mia amica, anche lei scrittrice; altri sono stati amici di infanzia e la casa editrice bolognese che ha preso a cuore il mio libro fin dalla prima lettura».
Se non ci fosse stato
“Novantotto. Un secolo di storie familiari”, edizioni EPIKA, verrà presentato da Valerio Cervetti il 14 ottobre alle ore 18 presso la libreria Feltrinelli.
come spediente la nascita di suo nipote Manuel, avrebbe comunque scelto di esporre gli avvenimenti familiari sotto forma di testo?
«Sicuramente Manuel mi ha donato lo stimolo di perpetuare la storia di famiglia e di lasciar lui un vero e proprio “mémoire”. In realtà altri spunti mi sono venuti anche pensando alla famosa citazione di Flaubert “Madame Bovary sono io”, l’idea di variare l’io narrativo che diventa anche un dialogo con me stesso. Il libro vuole essere anche una sorta di risarcimento nei confronti di mio padre. Un uomo timido e riservato, confuso dalla guerra e da quello che stava succedendo in Italia considerato a torto vicino al fascismo. Era solo un uomo prudente, quando è morto, votava partito comunista». di Chiara Carolina Conte