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Disturbi alimentari e pandemia

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Disturbi alimentari

e pandemia

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LA DOTT.SSA CHIARA DE PANFILIS:

“LA PANDEMIA HA PORTATO AD

UN NOTEVOLE INCREMENTO DEI DISTURBI ALIMENTARI”

Cosa intendiamo quando parliamo di

disturbi alimentari?

“I disturbi alimentari sono dei disturbi psichiatrici – afferma la professoressa Chiara De Panfilis, medico psichiatra e docente presso l’Università degli studi di Parma - che pur nascendo nella mente si manifestano nel corpo. La caratteristica distintiva dei disturbi alimentari, come ad esempio l’anoressia e la bulimia nervosa, si chiama, in gergo, impulso alla magrezza cioè la necessità per il soggetto che soffre di questi disturbi di controllare in modo strenuo il proprio peso corporeo. Nei soggetti che soffrono di disturbi alimentari l’autostima è unicamente influenzata da quanto riescono a mantenere basso il loro peso corporeo e, per loro, non esiste un peso che sia abbastanza basso”.

Come si manifestano i disturbi alimentari?

“Attraverso restrizioni alimentari; alcuni soggetti eliminano sempre più alimenti dalla dieta e arrivano a mangiare qualcosa che è assolutamente insufficiente sul piano nutrizionale. Altri soggetti hanno anche delle perdite di controllo sull’alimentazione, le cosiddette abbuffate. Se pensiamo che lo “scopo” del disturbo alimentare è avere un peso corporeo il più basso possibile è chiaro che il soggetto sarà molto disturbato da queste perdite di controllo e il disturbo sarà così grande che si sentiranno disgustati di sé, tanto da provare a mettere in atto delle strategie per evitare l’aumento di peso. A questo punto possono comparire sintomi molto gravi, come ad esempio le cosiddette condotte di eliminazione; questo può portare i soggetti a indursi il vomito oppure a utilizzare

farmaci tipo lassativo e diuretico o, ancora, a un’iperattività fisica esasperata”.

Esiste una cura per i disturbi alimentari?

“La cura esiste - ci tiene a precisare la prof.ssa Chiara De Panfilis -. È sempre possibile uscire dai disturbi alimentari, ma la cura per essere efficace deve essere multidisciplinare; il trattamento deve essere fornito da un’equipe di professionisti con diverse competenze che collaborano tra di loro e hanno obiettivi comuni. I professionisti devono essere sia di “area psiche”, perché il disturbo nasce nella mente, sia di “area soma”, perché se non si correggono le ripercussioni sul corpo non si può in nessun modo uscire dai disturbi alimentari. Si può curare un paziente affetto da anoressia o da bulimia nervosa semplicemente restando a livello ambulatoriale, facendo cioè le varie visite con i diversi professionisti. Se però non c’è evidenza di un miglioramento si passa a un livello di cura più alto che può prevedere delle strutture riabilitative esperte in disturbi alimentari dove i soggetti vivono h24, circondati da un’equipe multiprofessionale in maniera molto più intensiva. Se poi si nota un rischio di salute fisica, perché il disturbo si aggrava, allora il livello di cura sarà ancora più alto e sarà necessario fornire cure ospedaliere”.

Per quanto riguarda invece i familiari, qual è il modo migliore per stare vicino a una persona affetta da un disturbo alimentare?

“Le famiglie dei pazienti con disturbi alimentari si sentono spesso in trappola perché non sanno cosa fare o come comportarsi; esistono dei trattamenti basati sulla famiglia che letteralmente insegnano ai genitori, o chi per loro, come aiutare, anche nella pratica, i loro figli; ad esempio, come supportare i propri figli durante il completamento del pasto. Vengono anche organizzate delle sedute di gruppo che coinvolgono molti genitori, in cui viene spiegato il disturbo e come relazionarsi, soprattutto dal punto di vista emotivo, con i propri figli. La cosa più importante è aiutare i genitori ad aiutare il paziente a restare in trattamento e quindi insegnare ai genitori come sostenere la motivazione al cambiamento dei figli”.

Per quanto riguarda invece la pandemia, è stato riscontrato un incremento dei casi dopo il primo lockdown?

“La pandemia ha influito tantissimo, soprattutto in termini di incidenza di nuovi casi e di presentazione clinica dei nuovi casi. L’aumento è stato sostanziale soprattutto nella seconda parte del 2020 e per tutto il 2021 abbiamo poi assistito a un incremento drammatico, abbastanza condiviso in tutta Italia che ha posto dei seri problemi anche rispetto alle risorse. Per quanto riguarda Parma e provincia, se guardiamo il 2018 e il 2019, quindi prima della pandemia, l’incidenza dei nuovi casi era intorno ai 70 l’anno per tutte le fasce di età; già nel 2020 i casi sono passati a 95 e nel 2021 invece a 158. Tipicamente i disturbi alimentari esordiscono in adolescenza, con due picchi: uno intorno ai 13-14 anni e l’altro a cavallo tra l’adolescenza e la prima età adulta tra i 17 e i 18 anni. Sempre facendo riferimento ai numeri di Parma e provincia – continua la profesoressa - nel 2019 per i soggetti tra i 12 e i 17 anni i nuovi casi erano 28 e sono diventati 47 nel 2020 e 80 nel 2021; per quanto riguarda gli adulti entro i 35 anni di età da 33 nel 2019 sono diventati 45 e poi 70 nel 2021. Ci sono stati dei casi anche nella fascia di età più avanzata, cioè superiore ai 35 anni, in quanto i 4 del 2019, sono diventati 9 nel 2021”.

Quanto è importante sensibilizzare la popolazione sull’argomento?

“È fondamentale. Il carico nascosto dei disturbi alimentari è stato evidenziato dalla pandemia e ha mostrato la necessità di incrementare le risorse per affrontare questi disturbi. Spesso si può pensare all’anoressia o alla bulimia come cose adolescenziali e non dei veri e propri disturbi. Bisogna sensibilizzare la popolazione sull’argomento per permettere a tutti di essere a conoscenza della gravità di questi disturbi ma anche della possibilità che essi vengano curati, è importante che sia i ragazzi che gli adulti conoscano di cosa si tratta e le possibili strade di cura”.

di Ludovica Sarais

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