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Oltretorrente il “Quartiere mito”
Oltretorrente: il “Quarti ere mito”
STORIA, CURIOSITÀ E ITINERARI RACCONTATI DALLO SCRITTORE FRANCESCO DRADI
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Perché l’Oltretorrente
è definito “quartiere mito”?
«Il mito del quartiere nasce 100 anni fa con le barricate. Alla fine dell’800, a seguito della diffusione delle idee marxiste e del riscatto sociale, si forma una coscienza popolare. La Bormioli, nata nel 1750 con i Borbone, era in via dei Farnese e gli operai che ci lavoravano vivevano tutti in Oltretorrente. È qui che nasce la coscienza operaia a Parma: in Borgo dei Minelli c’erano i lavoratori a giornata, i facchini che lavoravano al mercato in Ghiaia; in Borgo Carra, invece, abitavano i carrettieri che andavano a prendere la ghiaia nei fiumi. Queste erano le professioni associate all’Oltretorrente: ma il quartiere non era solo questo. In via Bixio e in Via D’Azeglio c’erano molte botteghe artigiane, che permettevano ai proprietari di avere un reddito dignitoso. C’era quindi una dicotomia tra le due arterie ad “elle” del quartiere, dove vivevano gli artigiani, e i borghi più interni, abitati dagli operai. È questo che dà origine al mito del quartiere. Per cui chi vive qua se lo sente addosso».
Che valore ha questo quartiere per i parmigiani oggi?
«Ha un doppio valore. Da un lato si respira un clima di solidarietà e di ribellione verso l’autorità. Come dimostra la presenza di cinque circoli ARCI in Oltretorrente, che sono un luogo di ritrovo di sinistra, mentre in altri quartieri ce ne sono di meno. Dall’altro lato il benessere degli anni ‘50 ha cambiato radicalmente questo quartiere, così come è accaduto successivamente con l’isediamento e la nascita di una società multietnica in un passato più recente. C’è, a mio parere, quest’alchimia di convivenza che ogni tanto va in frantumi quando vengono commessi degli illeciti. Scatta, quindi, negli abitanti una voglia di sicurezza, di legalità e anche di repressione. Il problema dello spaccio è molto sentito, ma a differenza di altri luoghi qui c’è stata una risposta dei cittadini - soprattutto coloro che abitano su viale Vittoria - che si
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il “Quarti ere mito”
sono uniti in un comitato, Oltre Tutto Oltretorrente, che ha deciso di organizzare un presidio del territorio pacifico e non violento. Questa è un’azione molto significativa, perché parte dal basso e ha tirato fuori quel sentimento di solidarietà di un quartiere che contrasta l’illegalità tenendo insieme le persone».
Se dovesse individuarli, quali sono i luoghi più importanti di questo quartiere? Come si potrebbe strutturare un itinerario per conoscerlo al meglio?
«Un percorso importante in Oltretorrente potrebbe essere quello farnesiano. È curioso come siano qua le uniche due vestigia esterne rimaste. Il parco Ducale, che nel disegno originale non era così com’è oggi, presenta il laghetto - la peschiera - e il Tempietto d’Arcadia, che furono costruiti per i matrimoni dell’èlite. Inoltre, c’è la porta Santa Croce, che è l’unica rimasta intatta come era descritta nella metà del 500 e qua c’è ancora la scritta che omaggia Papa Paolo III, Alessandro Farnese. Di fronte alla caserma dei carabinieri, infine, in via delle Fonderie, c’è un tratto di muro che è la sezione più estesa delle mura farnesiane che è rimasta integra. Qui possiamo riconoscere la tecnica di costruzione tipica di queste parti».
Cosa ha significato per lei scrivere il libro “Guida di viaggio all’Oltretorrente”?
«Non saprei dirti cosa ha significato perché è ancora molto vivo ed è in ristampa una seconda edizione. È come se fosse tutto qua, esposto e aspettasse qualcuno che cominciasse a raccontarlo con un taglio divulgativo e popolare, nello spirito dei nostri tempi che è quello dei viaggiatori che vanno alla scoperta. L’idea di questo libro si è formata nel primo periodo della pandemia, quando non potevamo allontanarci oltre 200 metri da casa e allora ho iniziato a guardarmi intorno e a interrogarmi. Avendo quindi del tempo a disposizione, mi sono accorto che l’Oltretorrente è talmente ricco di storie popolari che non ci sono dall’altra parte della città, qui non ci sono i palazzi del potere o della cultura. Delle barricate non esiste più niente fisicamente. Non essendone rimasta traccia qui a Parma si è amplificata la memoria e ha assunto una dimensione mitologica di questa rivolta popolare.»
Come si può valorizzare questo quartiere?
«Secondo me, valorizzarlo significherebbe riuscire a farlo rimanere così com’è, riuscire a tenere attive le botteghe che sono presenti ancora oggi. Effettivamente ci sono una miriade di negozietti e di artigiani che ti permettono di avere tutto a distanza ravvicinata e facilmente raggiungibile a piedi. È chiaro che c’è stato un grande cambiamento, anche a livello di tradizione. In Oltretorrente c’è il primo negozio di tunisini che ha aperto a Parma, alla fine degli anni ’80, c’è il miglior kebab e il miglior cous cous della città. Il canapaio, che ha fatto un grande successo all’inizio, ha svolto anche la funzione di contrastare l’illegalità dello spaccio. Sono tutte attività che vent’anni fa non erano presenti. Questa caratteristica dell’Oltretorrente è un unicum: nel centro storico non trovi delle botteghe straniere e nei quartieri di periferia non trovi le botteghe artigiane che ci sono qua». di Agnese Capoccia
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