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Giornalino quindicinale del Movimento Mariano della Beata Vergine Pellegrina n°8 del 20 Aprile 2013 Recitate il rosario tutti i giorni -Regina del Rosario - Fatima
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LA PROFEZIA DI “RATZINGER” “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più un grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti. Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”
(Joseph Ratzinger 1969)
Quella che avete appena letto è la (datata- risale al 1969 – eppure spaventosamente reale) profezia sul futuro del cristianesimo, stilata dall’allora giovane teologo bavarese Joseph Ratzinger. Questa riflessione concluse un ciclo di lezioni radiofoniche che l’allora professore di teologia svolse nel 1969, in un momento nel quale la sua vita e quella della Chiesa erano arrivate a snodi cruciali. Si tratta di cinque discorsi radiofonici poco conosciuti – ripubblicati tempo fa dalla Ignatius Press nel volume “Faith and the Future” – nei quali il futuro Papa delineava la propria visione sul futuro dell’uomo e della Chiesa. E’ soprattutto l’ultima lezione, letta il giorno di Natale ai microfoni della “Hessian Rundfunk”, ad assumere i toni della profezia. Ma cosa contiene davvero questa previsione? Un’ipotesi di impoverimento materiale radicale? Una dura prova cui la Chiesa verrà chiamata? Il rischio di veder messo a repentaglio le proprie ragioni e con esse i diritti di tutti i cattolici? Forse tutto questo. Ma noi ci vediamo anche altro. Ci vediamo, al culmine della sua messa in discussione, la possibilità della Chiesa di rialzarsi e ripartire da due elementi chiave del cristianesimo: la povertà (“Sarà povera e
diventerà la Chiesa degli indigenti…) e quei minuscoli agglomerati di fede dai quali era partita, come la Bibbia ci insegna (“Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”) . non ci è parso motivo di spavento o di preoccupazione, ma ragione dalla quale trovare forza perché c’è solo una cosa che il cattolico può fare dopo aver costruito l a Chiesa, ed è partecipare attivamente alla sua ricostruzione.
(tratto da: Missioni
Francescane)
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Il Santo Rosario In particolare, possiamo dire che la recita del S. Rosario fatta silenziosamente mentre si cammina o si viaggia, è stata l'occupazione più solita fra i Santi. Alcuni Santi lo dimostrarono anche esternamente passando di strada in strada con la corona sempre in moto fra le dita. S. Giovanni Battista de La Salle camminava sempre con la corona in mano; non solo, ma fece persino obbligo a tutti i suoi figli di percorrere le vie delle città recitando di continuo il Rosario. S. Luigi M. Grignion de Montfort ebbe il Rosario come compagno inseparabile dei suoi interminabili viaggi missionari, santificando con le Ave Maria le strade e le regioni della Francia. S. Filippo Neri, S. Felice da Cantalice, S. Alfonso de' Liguori, S. Antonio M. Claret, e tanti altri, non facevano certamente mistero del loro camminare o viaggiare recitando Rosari senza numero. Era bello vedere S. Leonardo da Porto Maurizio tornare la sera in Convento, dopo le fatiche apostoliche, recitando il Rosario tutto assorto e sereno. Lo stesso, era uno spettacolo edificante vedere il giovane S. Giovanni Berchmans con altri giovani confratelli recitare devotamente il Rosario per le vie della città. S. Carlo da Sezze, andando e venendo dalla campagna, recitava sempre la corona. E il Servo di Dio P. Anselmo Treves, se incontrava qualcuno per via, era solito chiedere: «Ha fatto buona passeggiata?... Ha seminato molte Ave Maria per la strada?». San Corrado da Parzhan, l'umile cappuccino della Baviera, radunava i ragazzi per le strade e recitava con essi il Rosario in pia processione che edificava tutto il paese. Santa Giovanna d'Arco era molto facile scorgerla tutta assorta mentre cavalcava accanto al suo re. Fu lo stesso re a chiederle una volta che cosa stesse «sognando» mentre cavalcava così raccolta e silenziosa: «Gentil Sire, - rispose l'eroina - sto recitando il Rosario». Ai nostri tempi, Santa Bertilla Boscardin a Vicenza, San Massimiliano M. Kolbe a Roma, Don Dolindo Ruotolo
a Napoli, attraversavano le vie della città recitando Rosari. S. Giuseppe Cafasso racconta che un giorno, al mattino molto presto, incontrò per le vie di Torino una vecchietta tutta raccolta. Il Santo si avvicinò e le disse: «Come mai, mia buona vecchietta, per la via a quest'ora?». «Passo a pulir le strade» - rispose la vecchietta. Stupito, il Santo chiese: «Che cosa vuol dire?». «Questa notte è stato carnevale, e si sono commessi tanti peccati. Perciò, io passo recitando il Rosario, per purificare le strade da tanti peccati». Bravissima vecchietta! Che dire oggi delle nostre strade?... Corruzione, scandali, sconcezze sui muri, sulle persone, nei gesti, nelle parole (bestemmie, turpiloquio), nelle canzoni... Non sarebbe, oggi, tanto più necessario passare con la corona del Rosario in azione per purificare queste strade del mondo appestate dal sesso?
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I consigli di don Camillo Tutte le stelle sono nostre “Non amareggiamoci per via dei milioni che non abbiamo: nelle sere serene mettiamoci alla finestra a guardare le stelle: sono miliardi, non milioni. E sono tutte nostre”
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- Preghiamo Salmo 102
Un uomo già avanti negli anni, solo con se stesso, tenta di fare il bilancio della propria vita e si rende conto di averla giocata nel modo sbagliato. Più riflette e più è colto dall’angoscia: il cumulo di peccati che ha commesso lo spaventa e gli toglie il respiro. Si sente un fallito. Lo terrorizza, soprattutto, il tremendo giudizio di Dio che lo attende. Sull’orlo della disperazione un giorno decide di andare al tempio e di confidarsi con un sacerdote. Questi lo ascolta, capisce il suo dramma e gli annuncia il perdono del Signore. Ascoltando le parole dolci e ispirate dell’uomo di Dio, il pellegrino sente rifiorire la speranza, esulta, intuisce che il Signore è buono e misericordioso. Tuttavia gli rimangono nel cuore ancora tanti interrogativi, è condizionato dall’immagine di Dio severo, irato, terribile che ha assimilato nella catechesi. Il sacerdote lo lascia sfogare, poi, pazientemente, gli apre la mente e il cuore alla scoperta dell’autentico volto di Dio. Il salmo 102 ha un efficacia garantita per guarire coloro che
vivono crisi di scoraggiamento e sono angosciati da rimorsi a causa dei loro sbagli e fallimenti.
C’è speranza per chi ha sbagliato
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
nella vita?
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
Benedici il signore, anima mia,
Perché egli sa di che siamo plasmati,
quanto è in me benedica il suo nome.
ricorda che noi siamo polvere.
Benedici il Signore, anima mia,
Come l’erba sono i giorni dell’uomo,
non dimenticare tanti suoi benefici.
come il fiore del campo, così egli fiorisce. Lo investe il vento e più non esiste
Egli perdona tutte le tue colpe,
e il suo posto più non lo riconosce.
guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita,
Ma la grazia del Signore è da sempre,
ti corona di grazia e di misericordia;
dura in eterno per quanti lo temono;
egli sazia di beni i tuoi giorni
la sua giustizia per i figli dei figli,
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.
per quanti custodiscono la sua alleanza e ricordano di osservare i suoi precetti.
Il Signore agisce con giustizia
Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e con diritto verso tutti gli oppressi.
E il suo regno abbraccia l’universo.
Ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli di Israele le sue opere.
Benedite il Signore voi tutti suoi angeli, potenti esecutori dei suoi comandi,
Buono e pietoso è il Signore,
pronti alla voce della sua parola.
lento all’ira e grande nell’amore.
Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere,
Egli non continua a contestare
suoi ministri che fate il suo volere.
e non conserva per sempre il suo sdegno.
Benedite il Signore, voi tutte sue opere,
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
in ogni luogo del suo dominio.
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Benedici il Signore, anima mia.
Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono; come dista l’oriente dall’occidente così allontana da noi le nostre colpe.
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L'ecumenismo
Perle di spirito L’ecumenismo è il Mercato Comune della fede.
- Fatima - Memorie di Suor Lucia 3. Forte impressione per Giacinta Ecc. Rev.ma, le ho già detto, negli appunti che inviai dopo aver letto il libro”Giacinta” che essa si impressionava molto per alcune cose rivelate nel segreto. Realmente era così. La visione dell’inferno le aveva suscitato un tale orrore, che tutte le penitenze e mortificazioni le sembravano niente, per riuscire a liberare di lì alcune anime. Bene. Adesso rispondo subito al secondo interrogativo, che da varie parti mi è arrivato. Com’è che Giacinta, così piccolina, si lasciò compenetrare e capì un tale spirito di mortificazione e penitenza? Mi sembra che fu: primo, per una grazia speciale che Dio, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, le volle concedere; secondo, guardando l’inferno e vedendo la disgrazia delle anime che vi cadono. Certe persone anche pie, non vogliono parlar dell’inferno ai bambini per non spaventarli; ma Dio non esitò a mostrarlo a tre, uno dei quali di 6 anni appena, e che lui sapeva che ne avrebbe avuto tanto orrore da, quasi oserei dire, debilitarsi per lo spavento. Spesso si sedeva per terra o su qualche sasso e pensierosa esclamava: “L’inferno! L’inferno! Quanta compassione ho delle anime che vanno all’inferno! E la gente la dentro, viva, che brucia come legna sul fuoco! E, tutta tremante si inginocchiava a mani giunte, per recitare la preghiera che la Madonna ci aveva insegnato: “O Gesù mio! Perdonate le nostre colpe, liberateci dal fuoco dell’inferno, portate in Cielo tutte le anime, specialmente quelle che più ne hanno bisogno.” Adesso, Ecc. Rev.ma Monsignore Vescovo, capirà perché a me restò l’impressione che le ultime parole di questa preghiera si riferissero alle anime che si trovano in maggiore o più imminente pericolo di dannazione. E restava così per lungo tempo in ginocchio, ripetendo la stessa preghiera. Ogni tanto chiamava me o il fratellino (come svegliandosi da un sogno): “Francesco, Francesco! State pregando con me? Bisogna pregare molto per liberare le anime dall’inferno! Ce ne vanno tante, tante!” A volte domandava: “Perché mai la Madonna non fa vedere l’inferno ai peccatori? Se lo vedessero non peccherebbero più, per non caderci dentro! Devi dire a quella Signora che
mostri l’inferno a tutta quella gente (si riferiva a quelli che erano alla Cova d’Iria al momento dell’apparizione). Vedrai come si convertono.” Dopo, mezzo scontenta mi chiedeva: “Perché non hai detto alla Madonna che mostrasse l’inferno a quella gente? – “Mi sono dimenticata,” risposi. “Neppure io mene sono ricordata,” diceva con aria triste. Alle volte domandava pure: “Che peccati fa quella gente, per andare all’inferno?” - “Non so! Forse il peccato di non andare a messa la domenica, di rubare, di dire brutte parole, d’imprecare e di bestemmiare.” – “E così, soltanto per una parola, vanno all’inferno?” – “Chiaro! E’ peccato…” – “Cosa costerebbe loro stare zitti e andare a Messa? Quanta compassione sento per i peccatori! Se potessi mostrar loro l’inferno!” improvvisamente, alle volte si stringeva a me e diceva: “Io vado in Cielo; ma tu che rimani qui, se la Madonna ti lascia, dì a tutti com’è l’inferno, perché non facciano più i peccati e non vadano là.” Altre volte, dopo essere stata un po’ di tempo a pensare, diceva: “Quanta gente che cade nell’inferno! Tanta gente nell’inferno!” Per calmarla dicevo: “Non aver paura! Tu andrai in Cielo.” – “Io sì, ci vado” diceva calma “ma vorrei che anche tutta quella gente ci andasse!” Quando per mortificazione non voleva mangiare le dicevo: “Giacinta! Dai, mangia adesso.” – “No! Offro questo sacrificio per i peccatori che mangiano troppo.” Quando era già ammalata, io andavo qualche volta a messa, e le dicevo: “Giacinta! Non venire, tu non puoi; oggi non è domenica!” – “Fa niente! Ci vengo per i peccatori che neppure la domenica ci vanno.” Se le capitava di sentire qualcuna di quelle parolacce che certa gente sembrava vantarsi di pronunciare, si copriva la faccia con le mani e diceva: “O mio Dio! Questa gente non saprà che col dire queste cose può andare all’inferno? Perdonala, o mio Gesù, e convertila. Certamente non sa che così offende dio! Che pena, Gesù mio! Io prego per loro.” E andava ripetendo la preghiera insegnata dalla Madonna: “O Gesù mio! Perdonate…, ecc.
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- Il Catechismo Maggiore di San Pio X-
Parte II
DELL’ORAZIONE CAPO I Dell’orazione in generale. 253. Di che cosa si tratta nella seconda parte della Dottrina cristiana? Nella seconda parte della Dottrina cristiana si tratta dell'orazione in generale e del Pater Noster in particolare.
254. Che cosa è l'orazione? L'orazione è una elevazione della mente a Dio per adorarlo, per ringraziarlo, e per domandargli quello che ci abbisogna. 255. Come si distingue l'orazione? L'orazione si distingue in mentale e vocale. L'orazione mentale è quella che si fa con la sola mente; l'orazione vocale è quella che si fa con le parole accompagnate dall'attenzione della mente e dalla divozione del cuore. 256. Si può distinguere in altro modo l'orazione? L'orazione si può anche distinguere in privata e pubblica. 257. Qual'è l'orazione privata? L'orazione privata è quella che ciascuno fa in particolare per sé o per altri. 258. Qual'è l'orazione pubblica? L'orazione pubblica è quella che si fa dai sacri ministri, a nome della Chiesa, e per la salvezza del popolo fedele. Si può chiamar pubblica anche l'orazione fatta in Comune e pubblicamente dai fedeli, come nelle processioni, nei pellegrinaggi e nel sacro tempio. 259. Abbiamo noi speranza fondata di ottenere per mezzo della orazione, gli aiuti e le grazie di cui abbiamo bisogno? La speranza di ottenere da Dio le grazie, di cui abbiamo bisogno, è fondata nelle promesse di Dio onnipotente, misericordioso e fedelissimo, e nei meriti di Gesù Cristo. 260. In nome di chi dobbiamo domandare a Dio le grazie che ci sono necessarie? Noi dobbiamo domandare a Dio le grazie che ci sono necessarie in nome di Gesù Cristo, come Egli medesimo ci ha insegnato e come pratica la Chiesa la quale termina sempre le sue preghiere con queste parole: per Dominum nostrum Jesum Christum, cioè: per il nostro Signore Gesù Cristo. 261. Perché dobbiamo domandare a Dio le grazie in nome di Gesù Cristo? Noi dobbiamo domandare le grazie in nome di Gesù Cristo, perché essendo Egli il nostro mediatore, solo per mezzo di lui noi possiamo avvicinarci al trono di Dio. 262. Se l'orazione ha tanta virtù, che vuol dire che molte volte non sono esaudite le nostre preghiere? Molte volte le nostre preghiere non sono esaudite, o perché domandiamo cose che non convengono alla nostra eterna salute, o perché non preghiamo come si deve. 263. Quali sono le cose che dobbiamo principalmente domandare a Dio? Dobbiamo principalmente domandare a Dio la sua gloria, la nostra eterna salute e i mezzi per conseguirla.
264. Non è lecito il domandare anche beni temporali? Si, è lecito domandare a Dio anche i beni temporali, ma sempre con la condizione che siano conformi alla sua santissima volontà, e non siano d'impedimento alla nostra eterna salute. 265. Se Iddio sa tutto ciò che ci è necessario, perché si deve pregare? Sebbene Iddio sappia tutto ciò che ci è necessario, pure vuole che noi lo preghiamo, per riconoscerlo come datore d'ogni bene, per attestargli la nostra umile sommissione e per meritarci i suoi favori. 266. Qual'è la prima e migliore disposizione per rendere efficaci le nostre preghiere? La prima e miglior disposizione per rendere efficaci le nostre preghiere è di essere in istato di grazia, o non essendovi, almeno desiderare di rimettersi in tale stato.
Medjugorje Martedì 30 giugno 1981: settimo giorno Martedì 30 Giugno i veggenti vengono convocati da padre Jozo. In parrocchia trovano anche Tomislav Pervan che con rudezza li interroga. Il suo consiglio è di affidarli all’esorcista. Le autorità governative, intanto fanno sapere che la chiesa è l’unico luogo dove si può pregare: popolo e veggenti devono essere allontanati dalla collina. Verso le due pomeridiane, due signorine di nome Mirjana e Ljubica propongono ai ragazzi di fare una breve gita distensiva in automobile. L’idea non dispiace e tutti, tranne Ivan, accettano. Le due signorine agiscono per conto del regime, allo scopo di allontanare i veggenti e così modificare il corso degli eventi. Ivan, timido e impacciato com’è, preferisce rimanere a casa. La giornata trascorre in allegria, addolcita da pasticcini e succhi di frutta. Già durante il viaggio, i ragazzi capiscono che quelle due li stavano ingannando, istigate da qualcuno, riportavano a spasso perché non potessero andare sulla collina delle apparizioni. Però lungo la strada i ragazzi chiedono di fermare l’auto perché volevano pregare la Madonna. sono circa le sei del pomeriggio. Le donne fingono di non capire, ma alla minaccia dei veggenti di buttarsi fuori dall’auto, esse si fermano. E lì la Madonna appare ai ragazzi. Sull’orizzonte blu della collina, immersa nella luce, ecco apparire la Gospa, che poi viene verso di loro, vicinissima. Le due accompagnatrici restano abbagliate dal fenomeno luminoso. “Ti dispiace che non siamo sulla collina?”, chiedono alla Gospa. Ella risponde: “Non ha importanza” – “Ti dispiace se non torniamo alla collina, ma ti aspettiamo in chiesa?”. Risponde la Madonna: “Sempre alla stessa ora. Andate nella pace di Dio.” Ivan,
che non è andato alla gita, non osa salire subito, da solo, al luogo delle apparizioni. Solo all’ultimo momento esce di casa e si dirige verso la collina. Vede la Madonna. Ella si intrattiene un poco con lui, poi lo saluta. Pare che agli altri veggenti la madonna, abbia domandato di Ivan, e chiesto dove fosse. Gli altri cinque giungono in chiesa poco prima che giunga la gente che scende dal colle; i ragazzi amareggiati cercano di nascondersi da tutte quelle persone che si erano raccolte sul Podbrdo per aspettare in vano loro e la Madonna. si rifugiano in canonica, dove trovano padre Jozo, il quale non risparmia rimproveri per la passeggiata e coglie l’occasione per interrogare di nuovo i ragazzi. Padre Jozo sente il peso della sua responsabilità e vuole vederci chiaro. L’interrogatorio si protrae fino alle ore ventuno. I ragazzi capiscono soltanto più tardi che non devono agitarsi tanto, che è inutile affannarsi, che è meglio lasciare fare al cielo. La conversione è una strada lunga e faticosa, anche per i veggenti.
«la lunga marcia» Tratto dal “Diario di un missionario saveriano”
- UNA LUNGA NOTTE IN SIERRA LEONE P.M.Guerra
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In questa settimana i combattenti sono andati in perlustrazione in varie direzioni per trovare una via sicura per continuare la marcia verso la capitale. Il punto difficile della marcia era l’attraversamento del fiume Little Scarcies, in questo punto largo 300 metri. L’altra sponda era strettamente vigilata dalla Difesa Civile. Dopo 10 giorni i combattenti trovarono un punto quieto e ci mettemmo in marcia. Otto canoe trasportarono 7000 persone in una notte e io con loro. Anche se la mia situazione era migliorata, tuttavia altri “trattamenti speciali” mi aspettavano: lunghe marce di notte, al buio, in fila indiana, in numero di 7000, per sentieri sconnessi e paludi, sempre a marcia sostenuta, dalle 9 di sera alle 6 del mattino. Di giorno cercati e bombardati dagli aerei e dalle artiglierie, di notte dovevamo passare in mezzo al fuoco degli sbarramenti nemici: mentre infuriava la battaglia ai bordi della strada, noi civili dovevamo passare in mezzo di corsa per arrivare prima dell’alba al campo designato. Nei sospirati momenti di riposo ero confinato su una stuoia, seduto o disteso, sotto guardia armata, col permesso di andare in bagno a 10 metri di distanza a fucile spianato. Di notte poi mi toglievano anche le scarpe, perché non fuggissi. Questo per 67 giorni. Ma da tutto questo mi ha salvato il Signore. Un proverbio africano dice: “Il diavolo ha la coda lunga, ma Dio ha gli occhi grandi”.
Attraversato il fiume “little Scarcies” abbiamo continuato la marcia fino a tarda notte per sentieri nell’alta savana. Questa era zona molto frequentata dalla difesa civile che combatteva per il governo, quindi zona pericolosa per i “pellegrini della morte” che volevano arrivare alla capitale in piena forma, perciò i ribelli adottarono misure di precauzione estrema, che imposero a noi civili uno stress al limite del collasso. Allo stesso tempo, riflettendo su queste tattiche, mi convinsi sempre più dell’impossibilità delle forze governative di eliminare questo movimento con un azione militare. Si viaggiava a piedi per sentieri della foresta passando da un villaggi all’altro da cui ci si riforniva di cibo e vestiario. Si viaggiava in fila indiana vigilati da un battaglione di Polizia Militare, di notte, al buio ed in silenzio per non essere localizzati. Il buio era un grosso problema per me. Gli indigeni hanno gli occhi da gatto. Se la cavano bene di notte, ma io anche ad occhi completamente spalancati proprio non vedevo nulla. Allora sono ricorso a degli stratagemmi: alcune notti mi ero messo davanti un bambino con la veste bianca. Andava meglio. Il bambino era contento di aiutarmi e qualche volta nel trambusto della partenza veniva a cercarmi per potermi aiutare. Ma anche lui era un prigioniero e non era sempre libero di scegliere e… sfortunatamente l’ho perso. Mi aiutò anche un piccolo combattente che si portava dietro il suo Kalashnikov, alto come lui. seriamente conscio del suo ruolo, lo avevo nominato mia guardia del corpo. Anche questo fu un aiuto temporaneo. Dovetti poi aiutarmi con un asciugamani bianco. Io tenevo un capo e la mia guardia del corpo mi precedeva tenendo l’altro capo, così seguivo come un cieco. Però anche i nativi faticavano ed occasionalmente si sentivano tonfi di casse dei portatori che cadevano al suolo. A questo punto eravamo 7000 civili prigionieri, in maggioranza donne e bambini, più facili da controllare. Ognuno portava un fardello. Cibo, attrezzi per cucinare e per dormire, armi e casse di munizioni. L’itinerario era fissato alla perfezione alla partenza dai combattenti, con punto di arrivo, chilometraggio e velocità di marcia. Tutto era calcolato al limite del collasso. I deboli venivano eliminati per la strada al momento del collasso. Non si lasciavano testimoni per la strada. L’obbiettivo era colpire la capitale e il programma dichiarato e scritto sui muri di molti villaggi era: “Non risparmiare anima viva”. I combattenti poi agivano sotto l’influsso devastante della droga, che si procuravano localmente e che esaltava l’eccesso del loro naturale gusto per il macabro. Questo spiega gli eccidi efferati computi nelle loro operazioni. I comandanti disapprovavano questi eccidi, ma loro davano solo l’obiettivo finale da raggiungere; i dettagli erano lasciati ai combattenti, che ci precedevano per aprire la strada e noi ci si trovava di fronte al fatto compiuto…
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Gentilissima Famiglia Borciani… A pochi
anni dalla nascita del Gruppo Mariano, che si ritrova tutt’ora tre
volte al mese per la recita del Rosario, si formò su sollecitazione dell’allora parroco Don Bellani il Gruppo Mariano Invisibile composto da coloro che pur dichiarandosi devoti alla Madonna non riescono a frequentare quei momenti di preghiera comunitaria che si tengono in chiesa o nel Santuario, , per motivi più svariati. Da qualche tempo poi ha preso corpo un’altra realtà mariana che, per il piacere di dargli un nome, la si potrebbe chiamare Gruppo Mariano Esterno formato quei devoti provenienti da parrocchie vicine che fisicamente (come gli amici di Novellara) o spiritualmente (come gli amici di Fabbrico e Guastalla) si uniscono a noi nella preghiera del Rosario alla B. V. Maria. Poi c’è l’ultimo nato che è il gruppetto del Rosario Pellegrino: persone sempre pronte a portare il S. Rosario (verrebbe quasi da dire portare “il profumo di Maria”) nelle case. Tutti questi aspetti di devozione formano oggi il “Movimento Mariano”, ma c’è ancora una realtà di cui la nostra fede ci assicura l’esistenza. E’ quella che potremmo chiamare col nome di Gruppo Mariano Celeste, ovvero coloro che in questi 12 anni da quando è iniziata la devozione hanno pregato “insieme a noi” la Madonna e che oggi continuano a pregare per noi “insieme alla Madonna”. Mi permetto di ricordarli sperando di non dimenticare nessuno, partendo proprio da coloro che hanno creato le condizioni perché la devozione mariana prendesse corpo: don Pietro Baracchi e, come già citato, don Giancarlo Bellani, continuando con l’ultimo salito al Cielo poche settimane fa: Romeo Ferretti, poi l’Anna Neri, Mario e Maria Balestrazzi, Lina Zini, Guido Zoccolo, Giuseppe Codecà, Laura Guerra e Osanna Borciani in Beltrami. Quest’ultima è stata tra i primi che hanno costituito e frequentato quello che oggi chiamiamo Movimento Mariano, formato ora da un totale di 72 persone.
A lei che prima di lasciarci aveva deciso di donare i suoi organi e che rappresenta
questo
gruppo
“Celeste”,
dedichiamo
lo
spazio
seguente
riportando la lettera dell’anonimo paziente che ha ricevuto il suo rene, anticipata dalla lettera del Centro Riferimento Trapianti Emilia Romagna che “filtra” i rapporti tra donatore e ricevente. Con questo, ci rammenta che se in terra hanno avuto “… una scintilla di divina grandezza…” immaginiamo quanto bene possono farci ora dal Cielo. Grazie Osanna! Bologna, 12 Marzo 2013 Gentilissima Famiglia Borciani. abbiamo ricevuto con notevole ritardo la lettera che il paziente trapiantato con uno dei reni donati dalla Signora Osanna ha scritto per la famiglia del suo donatore. Vi confermiamo che ad oggi il paziente è in buone condizioni di salute. Queste notizie per Voi saranno la conferma che l’atto di straordinaria solidarietà civile che avete compiuto acconsentendo alla donazione degli organi della Vostra congiunta ha permesso a questa persona di iniziare una nuova vita. Con profonda stima Lorenza Ridolfi «Diabetico da oltre 25 anni ho dovuto combattere quotidianamente una guerra fatta di poche vittorie e molte sconfitte. Ipoglicemizzati orali, diete sempre più restrittive -uno dei sacrifici più difficili da attuare- quote d’insuline crescenti e decrescenti sull’onda di qualche esito positivo, purtroppo sempre raro. Questo il calvario di questo mio ultimo quarto di secolo di vita. A dicembre 2007 l’attacco più feroce: nessuna alternativa alla dialisi. Ed allora a giorni alterni per cinque ore immobile con due aghi infilati nel braccio a pensare quale potesse essere il mio destino, l’evoluzione del mio male, il modo sereno o agitato, doloroso o indolore di arrivare alla fine del mio passaggio in questo mondo. E nei giorni senza dialisi tenere conto di un bicchiere d’acqua in più, di un piccolo eccesso alimentare, di entrare in un bar senza un senso di colpa per un –ormai illegittimo- modesto stravizio di gola. Pensare, focalizzando sovente o pesantemente la nostra attenzione su una ferita reale o virtuale che ha colpito il nostro essere spesso infetta con il virus di una depressione quella consolidata convinzione di essere invincibili personaggi
assisi come quercia sulla cima di un monte per riscoprirsi invece alberi dal un tronco contorto con poche foglie e scarse radici. E questo scoprire all’improvviso la nostra vulnerabilità ci rende cinici e soli, depressi e affranti oltre ogni ragionevole umano pensiero. Si tenta di porvi riparo rispettando i suggerimenti ed i consigli di tutti –medici compresi- nella speranza non di vincere il male ma quantomeno di arginarlo, di rallentarne la progressione, di frenarne la corsa. Ed ecco che la sfortunata sorte di un altro essere umano si trasforma per noi in una inattesa – anche se inconsciamente desiderata- fonte di salute, di benessere, di vita. Esiste una sacrale bellezza nell’esercitare – attraverso la donazione di una parte di sé- un potere capace di allontanare il dolore e la sofferenza dal volto di un essere e restituire ai suoi occhi spenti la luce serena di una pacata sopportazione di un male, di un disagio, di una ferita. E bisogna possedere una favilla di divina grandezza per offrire ad un uomo, sconfitto nell’impari lotta con l’umana rassegnazione, un aiuto per il suo percorso di vita per affrontare una strada divenuta –per effetto di questo “pregevole dono”- più lunga, sempre meno erta e sempre più illuminata da qualche raggio di sole e ridargli una insperata e non più disperata vitalità. Questo è quanto il vostro compianto insostituibile congiunto pervaso da un impagabile sentimento di fraterna disinteressata umanità ha fatto per me. La legge non vuole che ci sia alcun contatto fra donatore e ricevente ed io intendo uniformarmi al rispetto di queste disposizioni. Rivendico solo con orgoglio la volontà di fare un buon “uso” di quanto mi è stato donato nella convinta certezza di non disgiungere mai la “ritrovata” mia egoistica voglia di vivere con la serena consapevolezza che quanto più lontana sarà la mia fine tanta più vita avrò potuto –perdonate la mia presunzione- donare idealmente al vostro congiunto. Per 16 anni ho lavorato come volontario in una struttura adibita al trasporto infermi. Nei miei turni di notte mi capitava spesso di trasportare qualcuno al Pronto Soccorso dell’Ospedale della mia città. Al mattino quando attraversavo la città per andare al lavoro era frequente vedere i manifesti funebri con i nomi dei pazienti trasportati la notte prima. Sono stato un uomo fortunato se penso che il non aver sempre visto il nome di un trasportato vuol dire che forse qualcuno è vissuto una settimana, un giorno, forse solo un’ora in più per mio piccolo merito. Un proverbio ebraico recita: “Un’ora di vita è sempre vita.” Io ho avuto di più, molto di più. Grazie da un riconoscente ricevente al suo “donatore”. »
-il Vangelo – GESU’ GUARISCE IL CIECO
Gesù si avvicinava alla città di Gerico che distava da Gerusalemme poco più di venticinque chilometri. Gerico, la città incantevole che Antonio aveva donato a Cleopatra per le sue villeggiature, si trovava lungo l’ultimo tratto del Giordano, in mezzo a un’oasi di folti palmeti. Risorta sulle antiche rovine di un vecchio villaggio dei Cananei, che gli scavi archeologici hanno oggi rimesso alla luce, si trovava al centro di orti e giardini, che, per il clima mite, producevano tutto l’anno datteri dolcissimi, banane, melagrane, mandorle, arance. A Gesù e i discepoli, che stavano attraversando quel luogo meraviglioso, discutendo animatamente, giungeva il profumo del balsamino: negli orti i contadini stavano incidendo i rami dell’arbusto con un coccio per raccogliere le gocce di linfa, che solidificata sarebbe divenuta mirra dorata e profumata. Un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente domandò che cosa tesse accadendo. Gli risposero: “Sta passando Gesù: il nazzareno.” Allora il cieco cominciò a gridare: “Gesù abbi pietà di me.” Quelli che camminavano con Gesù sgridavano il cieco e gli dicevano che tacesse, ma lui gridava sempre più forte: “Gesù figlio di Davide, abbi pietà di me.”Gesù allora si fermò e chiese che gli conducessero il cieco. Quando l’uomo gli fu vicino gli domandò: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”Egli rispose: “Signore, fa che io veda.” Gesù gli disse: “Riacquista subito la vista, la tua fede ti ha salvato.” Subito il cieco vide di nuovo e cominciò a seguire Gesù lodando Dio. E tutta la gente a vedere questo miracolo lodava Dio. (Lc 18,35-43)
ZJZZJZJZJZJZJZJ Festeggiano il loro onomastico: il giorno 26 aprile Alda Ferrari il giorno27 Antonietta
Campadelli e il 29 Antonella De Simone . Formulando i nostri più sentiti auguri rivolgiamo alla Madonna una preghiera a favore delle loro necessità e per le loro famiglie
ZJZZJZJZJZJZJZJ M LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II AGLI ANZIANI
“ Mi indicherai il sentiero della vita gioia piena nella tua presenza ” (Sal 16 [15], 11) 15. Non mancano, nella cultura dell'umanità, dai tempi più antichi ai nostri giorni, risposte riduttive, che limitano la vita a quella che viviamo su questa terra. Nello stesso Antico Testamento, alcune annotazioni nel Libro di Qoelet fanno pensare alla vecchiaia come ad un edificio in demolizione ed alla morte come alla sua totale e definitiva distruzione (cfr 12, 1-7). Ma, proprio alla luce di queste risposte pessimistiche, acquista maggior rilievo la prospettiva piena di speranza, che emana dall'insieme della Rivelazione, e specialmente dal Vangelo: “ Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi ” (Lc 20, 38). Attesta l'apostolo Paolo che il Dio che dà vita ai morti (cfr Rm 4, 17) darà la vita anche ai nostri corpi mortali (cfr ibid., 8, 11). E Gesù afferma di se stesso: “ Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno ” (Gv 11, 25-26). Cristo, avendo varcato i confini della morte, ha rivelato la vita che sta oltre questo limite in quel “ territorio ” inesplorato dall'uomo che è l'eternità. Egli è il primo Testimone della vita immortale; in Lui la speranza umana si rivela piena di immortalità. “ Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell'immortalità futura ”.(21) A queste parole, che la Liturgia offre ai credenti come conforto nell'ora del commiato da una persona cara, segue un annuncio di speranza: “ Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo ”.(22) In Cristo la morte, realtà drammatica e sconvolgente, viene riscattata e trasformata, fino a manifestare il volto di una “ sorella ” che ci conduce tra le braccia del Padre.(23) UUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU
Totale offerte pervenute : € 407 UUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU
Legnate matrimoniali / parte seconda …”Io non posso darti l’assoluzione se prima non fai quello che devi fare.” Disse don Camillo. “Me ne rendo conto,” rispose la ragazza. Questa è una delle solite storie di paese e per capirla bene bisognerebbe abitare un po’ nelle case basse della piana lungo il fiume, sentire sul cervello il sole di luglio, veder spuntare, qualche sera d’agosto, la luna enorme e rossa dietro l’argine. Tutto pare immobile, nella piana della Bassa, e uno ha l’idea che non succeda mai niente dentro
quelle case rosse o blu dalle finestre piccole. Invece succedono più cose che al monte e nelle città perché quel sole dannato va dentro nel sangue della gente. E quella luna rossa e smisurata non è la solita luna gelida degli altri posti, ma scotta anch’essa , la notte, scalda il cervello dei vivi e le ossa dei morti. E, d’inverno, quando il freddo e la nebbia premono sulla piana, il caldo immagazzinato durante l’estate è ancora tanto che la gente non ha il cervello sufficientemente fresco per ripensare alle cose fatte durante l’estate e così, ogni tanto, una doppietta sputa fuoco da dietro una siepe, o una ragazza fa quel che non dovrebbe fare. Paolina tornò a casa e, quando la famiglia ebbe finito il rosario, si avvicinò al padre. “Papà,” disse, “vi debbo parlare.” Gli altri andarono per conto loro e la ragazza e il vecchio Rocchi rimasero soli davanti al camino. “Di che cosa si tratterebbe?” domandò sospettoso il padre. “Si tratterebbe di pensare a mio matrimonio.” Il Rocchi scrollò le spalle: “Non ci pensare, non sono affari tuoi. Quando sarà ora troveremo il tipo adatto.” – “E’ ora,” spiegò la ragazza. “E ho anche trovato il tipo adatto.” Il Rocchi fece due occhi grandi così. “Fila a letto e che non ti senta mai più parlare di queste cose!” urlò. “Va bene,” rispose la ragazza. “Il fatto è che ne sentirete parlare dagli altri.” – “Hai dunque dato scandalo?” gridò atterrito il Rocchi. “No, ma lo scandalo scoppierà. Sono faccende che non si possono nascondere.” Il Rocchi agguantò la prima cosa che gli capitò sottomano: e disgraziatamente si trattava di un mezzo palo. La ragazza si accucciò in un angolo, cercando di ripararsi la testa, e rimase lì, immobile e silenziosa sotto il temporale di legnate. Fu anche fortunata nella sua disgrazia perché il palo si ruppe e allora l’uomo si calmò. “Se hai la disgrazia di essere ancora viva allora alzati!” disse il padre. La ragazza si levò. “Nessuno sa niente?” domandò il Rocchi. “Lui lo sa…” sussurrò la ragazza. E qui il vecchio perdette ancora l’indirizzo di casa e cominciò a pestare con un bastone cavato fuori dalla fascina appoggiata al camino. Quando anche la seconda ondata fu finita , la ragazza tornò su. “Lo sa anche don Camillo,” sussurrò la ragazza. “Mi ha negato l’assoluzione…” L’uomo si scagliò ancora sulla ragazza. “Se mi ammazzate succederà uno scandalo peggiore,” disse la ragazza, e il vecchio si calmò. “Chi è lui?” domandò il vecchio. “E’ il Falchetto,” rispose la ragazza. Se avesse detto. «E’ Satanasso in persona» la cosa avrebbe fatto meno colpo. Il falchetto era Gigi Bariga, uno dei più importanti soggetti dello stato maggiore di Peppone. Era l’intellettuale della faccenda, quello che preparava i discorsi di propaganda, organizzava i comizi e spiegava le direttive federali. Era quindi ancora più scomunicato di tutti gli altri della banda perché capiva più di tutti gli altri. La cosa era orrenda. La ragazza aveva ormai preso troppe botte: il padre la spinse sul letto, poi le risedette vicino. “Adesso basta, picchiarmi,” disse la ragazza. “Se mi toccate mi
metto a urlare e faccio uno scandalo. Io debbo difendere la vita di mio figlio.” Verso le undici di notte il vecchio Rocchi cedette alla stanchezza. “Non posso ammazzarti, non posso metterti in un convento dato lo stato in cui ti trovi,” disse, “Spostatevi e andate sulla forca tutti.”…
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- I nuovi orari col Rosario –
Primo Sabato del mese alle ore 17,30 : … Santuario della B.V. Pellegrina
13 del mese: ore 17,30 :…………………………….Chiesa
Parrocchiale
Campagnola
Terzo Sabato del mese: ore 16,30 :….Cappella della casa di riposo Baccarini
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LA CATECHESI DELLA MADONNA
«1»
…Adorate senza interruzione il Santissimo sacramento dell’Altare. Io sono sempre presente quando i fedeli sono in adorazione…