UN PONTE DI SOLIDARIETÀ DA L'AQUILA ALL'EMILIA

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UN PONTE DI SOLIDARIETÀ DA L'AQUILA ALL'EMILIA A cura di: Barbara Rossi, Ivana Trevisani


Ringraziamenti: Ringraziamo quanti hanno collaborato e sostenuto il progetto: “Terremoto ti scrivoâ€?, tra cui: le donne aquilane, ed in particolare Sonia Etere e Nicoletta Bardi, per i messaggi di solidarietĂ e vicinanza emotiva; Dario D'Incerti, per la preziosa collaborazione, Maria Silvia Cabri e il Direttore di Notizie, per il costante sostegno e la promozione portata avanti, a contatto con le popolazioni coinvolte dal sisma, Florio Magnanini e la redazione de la Voce, per aver sostenuto l'iniziativa Antimo Pappadia per il sostegno offerto al progetto il giornalista di raitre Nelson Bova Rinaldo Pace, per la realizzazione della pagina facebook e il blog Marina Bortolani, per la promozione e il patrocinio al progetto Paolo Paterlini e la redazione del Portico per aver patrocinato il progetto Gerardo Mastrullo, che da anni sostiene progetti socialmente di rilievo, come questo.

Š 2013 I diritti d'autore sono destinati alle popolazioni terremotate d'Emilia ISBN: Edizioni La vita Felice


"Una parola è morta quando viene detta, dicono alcuni. Io dico che comincia a vivere soltanto allora" . Emily Dickinson

Elia profeta sta in piedi sul monte e aspetta. E arriva un vento di violenza “che schianta montagne e spezza rocce”, ma voce di Dio non è in quel vento. E dopo il vento la terra si scuote con uno dei suoi terremoti di crosta, ma non c’è voce neppure in quel frastuono di attriti. E dopo di questi sorge un incendio e neanche lì, nel fuoco, c’è. Infine spunta una voce quasi muta, sottile come la polvere e i capelli. Solo allora Elia si copre la faccia e si mette in ascolto. Imparo dalle scritture antiche che dopo il molto chiasso bisogna esercitarsi a percepire il bisbiglio. Erri De Luca


Prefazione Massimo Daviddi


Introduzione Quelle che seguono sono lettere fatte di angoscia, di dolore, di paura ma anche di coraggio, di tenerezza, del darsi una mano, tra donne e uomini, coinvolti da questo e altri terremoti. Donne e uomini de L'Aquila scambiano pensieri e parole con gli emiliani. Quello che ne esce, giudicate voi, è pura poesia, quella poesia che rappresenta “un canto d'emergenza dei pensieri, nato da un sentimento” (Paul Celan), un canto o un grido d'emergenza, per parlare di amore, vita, solidarietà, valori, tenerezza, sorpresa, sofferenza, libertà, e tanto altro. Un canto bisbigliato però, che occorre ascoltare con attenzione. L'Aquila del dopo terremoto ci manda un messaggio importante: ciò che aiuta veramente a superare un ciclone come il terremoto è l'affetto, il sostenerci reciprocamente, il condividere con le parole il proprio sentire. Per questo abbiamo invitato uomini e donne a scrivere, a comunicare la propria esperienza di terremoto, perchè trovare le parole per dirlo è già un primo passo per rialzarci, per alzare lo sguardo e per condividere una sofferenza comune, per aiutare chi le parole non le trova a sentirsi parte di una comunità dove nessuno è lasciato a sentirsi solo. E' un'esperienza già sperimentata e condivisa a L'Aquila dopo il loro terremoto e pubblicata in due piccole raccolte di scritti. Chi ha deciso di percorrere questo viaggio, per condividere i propri pensieri e sentimenti, ha scritto a noi, personalmente, o alla casella: terremototiscrivo@libero.it Un editore, Baldini Castoldi, ha messo a disposizione delle persone terremotate alcune centinaia di copie di: Vita da campo, scritto dalle donne aquilane, quale ponte di solidarietà, per avviare il dialogo. Ma la catena della solidarietà non ha concluso il suo lavoro! Porta anche tu il tuo messaggio, e passa parola: non fermare la catena della solidarietà e dell'amicizia. Nessuno deve rimanere solo! Ci ha fatto molto piacere leggere i tanti contributi, e vedere che sono firmati, che nessuno ha scelto, pur potendo, l'anonimato! Che per noi vuol dire: voglio esserci anche io! Ebbene ci siamo, dopo quasi un anno di lavoro! I risultati di questo lavoro sono a disposizione di tutti, grazie alla collaborazione di alcuni giornali e di un editore, La vita Felice. I diritti d'autore ed eventuali guadagni andranno devoluti interamente alle persone terremotate. Resteremo in contatto. Buoni pensieri e parole a tutti tutte, ma soprattutto per ora, buona lettura. Nelle pagine che seguono troverete le testimonianze delle donne aquilane e degli emiliani coinvolti dal terremoto, ma anche di chi, in vario modo, ha cercato di allungare una mano. Barbara Rossi, Ivana Trevisani


I PARTE Corrispondenza col fronte


LETTERA DI UN’AQUILANA ALLE TERREMOTATE EMILIANE Ciao donne emiliane, la terra trema, le certezze crollano insieme ai muri, ai capannoni, insieme agli uomini, alle donne, con loro crollano i ricordi, gli amori, i progetti. Vorresti gridare ma non hai voce e poi se gridi i muri rimangono crollati, le persone sotto le macerie, i sogni frantumati. Eppure lo vorresti un abbraccio che ti dica ci sono qui per aiutarti… Eppure vorresti ritrovare anche quella forza che sempre ti ha tirato fuori dalle situazioni più difficili, quella forza che ogni volta pensavi di non avere. Un terremoto si sa può accadere, se ne parla e le scosse che hanno accompagnato quella più devestante ce ne hanno fatto sentire l’odore. Che odore ha un terremoto… L’odore della terra, quella terra amata, lavorata, faticata, sudata, l’odore della solitudine all’improvviso, di quella solitudine che improvvisamente ti fa sentire il vuoto intorno. L’odore della morte e della vita si mescolano insieme e l’odore potente della rabbia. Rabbia per chi non c’e’ l’ha fatta. I morti di una famiglia sono i morti di tutti. Si piange insieme, si è sconvolti insieme… Ci si arrabbia insieme… Intanto sul quello che provi e che conosci solo tu ci scrivono fiumi di parole, fiumi di dibattiti, e tu dici: “Quante parole vuote, queste cose le “sente” chi le prova”. Promesse che non saranno mantenute e lo sai… Lo sai perché questo non è il primo terremoto della tua vita. Che ne sanno cosa hai lasciato sotto le macerie. Abbandoni, dolori, rifiuti, ma anche amori travolgenti, viaggi, tutto quello da cui ti sei rialzata e che conosci anche tu. Già… ognuno sa quanti terremoti hanno devastato la propria vita… Ognuno lo sa… In fondo, donne emiliane, che importa se a conoscere queste verità interiori siete solo voi, siamo solo noi donne. Alla fine lo sappiamo che ci rialzeremo e scrollandoci la polvere ed asciugandoci le lacrime con il braccio, andremo di nuovo avanti. E voi donne emiliane, lo farete come lo abbiamo fatto noi. E continuiamo a farlo, donne forti le donne emiliane, coraggiose, tenaci… Altri si riempiono di parole la bocca e voi farete, agirete, superete… Come in fondo una donna vera fa sempre. Sempre. So che non mollerete, voi avete aiutato noi, noi aiuteremo voi, ed impareremo da voi. E molti impareranno da voi come ci si rialza da un terremoto, da lutti atroci che non ci sarebbero dovuti essere. Ma quanti lutti una donna sopporta nella vita e mai si veste di nero, ma mette il suo vestito di sempre quello di una guerriera della vita. Ciao donne emiliane. Coraggio. Vi voglio bene una ad una. Sonia Etere, 07.06.12 Cara Sonia sono rimasta senza parole leggendo le tue lettere. Ti ringrazio molto! Davvero, di cuore. Cercherò di diffonderle per quanto posso...chiedendo alle persone di rispondere...di scrivere, di dar voce a quel che sentono, e vediamo che succede! Ti faro' sapere.. Ti abbraccio! Forte! Barbara , 08.06.12


LETTERA APERTA Sarei giá li' se impegni di lavoro non me lo impedissero, ma stiamo facendo qualcosa da qui, per voi, come voi lo avete fatto per noi. Siamo un corpo unico, senza confini, senza barriere, senza limiti. Se una parte di questo corpo viene colpita, tutto il corpo ne soffre. Vi sono vicina. Conosco il dolore e lo sconcerto di girarsi indietro e non vedere piú nulla di quello che si conosceva e non parlo solo di case, ma di amori, frantumati e vinti, parlo di legami che si spezzano, parlo di abbracci cercati e persi, parlo di un orizzonte che diventa troppo profondo per dare speranza. Eppure la vita stessa ci spinge a sperare, a credere che sotto il vento gelido della paura e del panico c'e'' il vento della scoperta di se stessi, di quello che sotto le nostre personali macerie era nascosto. Senza paura guardiamoci dentro, guardatevi dentro e scopriremo e scoprirete che proprio sotto la paura c'e' il coraggio, quel coraggio che fa rialzare le gambe stanche, asciuga gli occhi bagnati, non fa sentire il bruciore delle ferite, quel coraggio che ci fa accorgere che malgrado tutto, oltre tutto siamo vivi. Vivi nel porgere un bicchiere di acqua e nel chiederlo, nel mangiare nello stesso piatto una minestra calda, a sorridere a chi non conosci. L'amore non é che un piegarsi insieme affinché uno possa poggiare le mani sulle spalle dell'altro e rialzarsi insieme... insieme... insieme...e se ci sono lacrime di dolore, di commozione o di paura si piangono insieme, come insieme si tornera a sorridere in quel sorriso che oggi sembra ancora lontano ma ritornerá. Improvviso, inaspettato. E si capirá che anche questa é passata. Bufera tra le altre, bufera di una vita operosa, dignitosa, faticata e amata, profondamente. Il panico é normale ma guardate oltre, oltre il panico c'e''un abbraccio a volte le braccia sono le nostre che abbracciano le nostre lacrime, le nostre solitudini ma anche le nostre forze. Coraggio gente della terra di Emilia. La vita dá scossoni imprevedibili ma non ci doma. Rialzate la testa con le lacrime e le ferite del cuore, ma con la tenacia operosa che vi contraddistingue! A presto. Un abbraccio, vi voglio bene dal profondo del cuore. Sonia Etere. L'Aquila. Forza. Fratelli e sorelle di vita. La vita é dolore come gioia, sberla in viso e carezza. La vita e gli eventi non li scegliamo, noi scegliamo come affrontarli. Voi avete dalla vostra parte l'onestá, la bontá la determinazione di chi conosce amore e sudore. È un onore per me rapportarmi con voi, esempi di forza. Sonia Etere, 09.06.12 Cara Sonia, sono commossa leggendo la tua lettera! Grazie davvero per le parole che ci doni! Barbara, 13.06.12 Ciao Barbara, io scrivo di getto e senza rileggere, scrivo quello che ho nel cuore. spero che possa aiutare altri. di sicuro aiuta me ed è forte di crescita personale incontrare anche solo attraverso una lettera la delicatezza regalata di altre persone. conosco il sapore del dolore della solitudine ed il bisogno scottante di un abbraccio, ma conosco anche la gioia di alzarsi ogni mattina per accogliere il


nuovo giorno, la gioia del sorriso di chi cerca di risolvere un problema e lo fa, di chi si sente tanto stanco da non aspettarsi più niente eppure arriva la cosa bella che ti rimette sulla strada della vita. un abbraccio barbara e grazie a te. Sonia Etere, 14.06.12 PENSIERI SPARSI Mi è sembrato di sentire la mia mano che metteva nero su bianco quello sconforto, quel caos. Addirittura avevo paura di leggerla. Mi dicevo: leggo con calma, ma mi sentivo una vigliacca, pensando com'è la notte per qualcuno.... Sono arrivata al punto di dormire solo un'ora, sul divano! ...Mi sento in colpa verso me e verso gli altri. Dormo sul divano pensando che così la paura del terremoto passa, invece non passa, dormo male, al mattino sono stanca e irritata verso gli altri! Non faccio il mio bene! Se deve succedere qualcosa, sarebbe meglio succedesse mentre vado verso la vita, anziché mentre mi nascondo! Stavo partendo per il mare, per una giornata lontana dal terremoto, quando ho letto un trafiletto su Monti, che aveva reso noto un documento dei vulcanologi, per cui potevano esserci altre scosse. Sono corsa in edicola, cercando su quale giornale fosse la notizia. L'ho trovata, ho comprato il giornale, mi sono letta l'articolo e siamo partiti. Giuro: ho passato una giornata d'inferno! Ho perso di vista le cose importanti. I terremoti che succedono nella vita sono tanti, è vero...ma come si fa a... Sara, 15.06.12 Anche aver la consapevolezza di provare paura è coraggio, anche dormire sul divano due ore perchè pensi di poter fuggire prima e la mattina sei stanca ed irritata non dal dormire sul divano, chissà quante volte lo abbiamo fatto per un figlio piccolo che non dormiva o un figlio grande che non tornava a casa o solo per stringere tra le braccia un ragazzo amato..solo ora non è così. si sta a dormire sul divano perchè la casa che sembrava solida non lo è, potrebbe non esserlo. perchè dormire sul divano non era solo attesa ma il non voler attendere una forza che non conosci che non fermi che non controlli. ti alzi irritata non per il divano che ti ha accolto, ma perchè la terra la senti nemica e tutti gli appuntamenti con la vita sembrano saltati e non sai cosa aspettare. puoi aspettare la paura finchè c'e'. un sentimento come un altro. la paura ti può mettere in salvo. la paura si può provare non è vigliaccheria è solo paura.paura che serra la gola, che stringe lo stomaco che piega le gambe che confonde i pensieri. poi un giorno ti alzi dal divano e sai che oltre la paura di per se' c'e' il coraggio di averla la paura e puoi così superarla ed uscire viva. viva con la paura di un evento rovinoso ed anche con la consapevolezza che anche questa volta ce la farai. un abbraccio. Sonia, 15.06.12


CHI SONO I TERREMOTATI? Sai che siamo terremotati? Oggi mio figlio e mio cognato sono andati a fare le analisi del sangue e non hanno pagato il ticket perchè siamo terremotati. La nostra casa non è venuta giù... Speriamo bene!...che sia stata fatta bene?! Maria, 16.06.12 LETTERA DAL FRONTE Qui le cose vanno meglio che altrove, non abbiamo avuto crolli o tragedie come nei paese vicini. Il centro è però ancora abbastanza fantasmatico: pochi negozi aperti, poca gente in giro. Tutte le attività previste per l'estate (cinema, concerti, spettacoli) sono stati annullati. Le chiese e i monumenti storici sono tutti inagibili. A 6 km da Carpi già ci sono segni molto più drammatici della catastrofe e ognuno di noi ha un amico o un parente che ha avuto danni gravi. La mia impressione è che qui siano tutti piuttosto rivolti ad affrontare i drammatici problemi dell'attualità.. Dario, 19.06.12 “Quando l’informazione latita” oppure “A proposito di anime morte” La potenza distruttiva della natura a qualsiasi latitudine dell’orbe terracqueo assume la stessa valenza simbolica e gli stessi connotati emotivi, perché dagli sguardi intimoriti e dai volti interrogativi si coglie il disagio profondissimo dell’uomo che ha perduto anche l’ultima Dea. E la speranza non è una virtù di poco conto, perché quando si spegne il desiderio o, diversamente espresso, il bisogno di raggiungere obiettivi, il bisogno di pianificare un futuro più o meno prossimo per sé o per la propria progenie, il bisogno di ancorare le proprie vite anche a riferimenti concreti e materiali, avanza un’altra potenza altrettanto distruttiva che corrode l’umano sentimento della vita. Di fronte ai desolati angoli di una città spenta che non sa più nemmeno identificarsi con il proprio luogo natale o che ha perduto quella baldanza, talvolta un po’ boriosa agli occhi dei forestieri ma che da decenni è lo statuto genetico dei carpigiani, in fondo così orgogliosi del loro patrimonio economico costruito con l’indefessa caparbietà della cultura contadina e in fondo nobilissima cifra di chi ha conosciuto i patimenti e le tribolazioni del dolore e delle privazioni, o quell’ostentazione che ha il sapore della rivalsa, l’ambascia impera. Il nostro prestigioso centro storico, ricco di glorie passate e impreziosito da una vivacità commerciale nota ai più, ha smarrito la sua bussola e i puntelli ai palazzi e le transenne proibitive perché solo uno speciale pass ne consente l’accesso e quella macroscopica lesione alla Cattedrale ricorda ferite antiche al cuore dei fedeli, spegne anche i più animosi intelletti e i più audaci spiriti. Carpi è un deserto di detriti, di calcinacci, di comignoli soli, come le anime dei pochi audaci rimasti in città dopo l’ultimo sisma del 29 maggio 2012; sì, perché i carpigiani sono fuggiti e nello smarrimento della fuga hanno creduto di lasciarsi alle spalle il pericolo, ma il pericolo continua a tremare, e trema con la terra e con i pensieri fugaci volti a un inesorabile ritorno: ma ritorno, dove? E come? E con chi? E a quale prezzo? E si continua a frugare nelle proprie risorse, intellettuali, economiche, affettive, ma i conti non tornano e nessuno sa veramente cosa fare: della propria vita e di quella dei propri familiari e dei ricordi di un quotidiano banale che


eppure non sembrava soddisfarti e tu rincorrevi altre mete illusorie, perché eri persuaso di non avere il bastevole, e ora invece sai che in realtà necessiti di poco: la tua famiglia, la tua abitazione ove albergano le fatiche di generazioni, il tuo sicuro posto di lavoro, garanzia di continuità e di vita. Ma chi può onestamente e in questa fase fornire anche la più minuta garanzia di sicurezza? Sicurezza nei luoghi di lavoro che, malgrado sia garantita da una copiosissima e dettagliata normativa, ormai appartiene anch’essa alla memoria storica: ogni voce assennata chiedendo garanzie, risponde all’impetuoso bisogno di certezze e di certificazioni firmate da garanti in grado di spendere le loro migliori competenze e le loro supreme energie, per fornire quelle sicurezze che nessuno può scientemente e onestamente fornire. Un sisma così anomalo presenta decisamente delle evidenti anomalie e, mi rincresce oppormi e contestare le teorie e i numeri di prestigiose firme scientifiche perché anch’io come tutti vorrei ingabbiare le mie paure nel contenitore della previsione e della prevedibilità, ma non mi riesce, perché la natura non è un’anomalia in sé e ogni evento è quasi sempre scatenato da uno squilibrio a cui segue un nuovo equilibrio, più solido e più duraturo e forse anche necessario, e perché mi tormenta il dubbio di un perniciosissimo artificio dell’uomo, che mentre sperimenta col calcolo razionale non riconosce, ahimè, ancora una volta la potenza imponderabile e in quantificabile e imprevedibile di quella natura selvaggia di leopardiana memoria, che in realtà, di veramente selvaggio ha partorito solamente l’uomo. E lo scacco finale spetta, la storia docet, a chi ignaro di tali arbitrii, ne paga le spese. E stavolta non sono bastevoli le fidejussioni bancarie e i prestiti e i mutui ipotecari e i tesori immobiliari, perché tutti i carpigiani hanno perduto tutto e le loro vite sono spezzate da lutti in elaborabili. Ognuno, in cuor suo, porta il vessillo di una sconfitta e ognuno continua a domandarsi chi ha deciso di iniziare una partita a scacchi con la morte, e mentre il Settimo Sigillo bergmaniano rimane sospeso e inghiottito in un’ ineludibile Verità Suprema, i carpigiani nel loro pragmatismo chiedono risposte concrete e interventi economici non solo umanitari, ma fattivamente volti a rimborsare le fatiche e i sacrifici di una vita o di più vite, perché le notizie fugaci e approssimative non ci convincono e ci amareggia l’evasione di chi cerca di transitare rapidamente su un’evidente massacro cittadino. A viva voce tutti chiediamo visibilità perché non si può eludere e rendere invisibile ciò che tutto è tranne che un fantasma della retorica o della paura. E restiamo in attesa. Ma ancora per poco, perché il poco ha oramai poco spazio. Lucia Freda


Gentile Sig. Terremoto, c'è una cosa che non hai capito della mia terra, ora te la racconto: Per chiamarci non basta una parola sola : Emilia-Romagna, Emiliano-Romagnoli, ce ne vogliono almeno due; e anche un trattino per unirle, e poi non bastano neanche quelle. Perché siamo tante cose, tutte insieme e tutte diverse, un inverno continentale, con un freddo che ti ghiaccia il respiro, e una estate tropicale che ti scioglie la testa, e a volte tutto insieme come diceva Pierpaolo Pasolini, capaci di avere un inverno con il sole e la neve, pianure che si perdono piatte all’orizzonte, e montagne fra le più alte d’Italia, la terra e l’acqua che si fondono alle foci dei fiumi in un paesaggio che sembra di essere alla fine del mondo. Città d’arte e distretti industriali, le spiagge delle riviere che pulsano sia di giorno che di notte, e spesso soltanto una strada o una ferrovia a separare tutto questo; e noi le viviamo tutte queste cose, nello stesso momento, perché siamo gente che lavora a Bologna, dorme a Modena, e va a ballare a Rimini come diceva Pier Vittorio Tondelli, e tutto ci sembra comunque la stessa città che si chiama Emilia-Romagna. Siamo tante cose, tutte diverse e tutte insieme, per esempio siamo una Regione nel cuore dell’Italia, quasi al centro dell’Italia, eppure siamo una regione di frontiera, siamo anche noi un trattino, una cerniera fra il nord e il sud, e se dal nord al sud vuoi andare e viceversa devi passare per forza da qui, dall’Emilia-Romagna, e come tutti i posti di frontiera, qualcosa dà ma qualcosa prende a chi passa, e soprattutto a chi resta, ad esempio a chi è venuto qui per studiare a lavorare oppure a divertirsi e poi ha decido di rimanerci tutta la vita… in questa terra che non è soltanto un luogo, un posto fisico dove stare, ma è soprattutto un modo di fare e vedere le cose. Perché ad esempio qui la terra prende forma e diventa vasi e piastrelle di ceramica, la campagna diventa prodotto, e anche la notte e il mare diventano divertimento, diventano industria, qui si va, veloci come le strade che attraversano la regione, così dritte che sembrano tirate con il righello. E si fa per avere, certo, ed anche per essere, ma si fa soprattutto per stare, per stare meglio, gli asili, le biblioteche, gli ospedali, le macchine e le moto più belle del mondo. In nessun altro posto al mondo la gente parla così tanto a tavola di quello che mangia, lo racconta, ci litiga, l’aceto balsamico, il ripieno dei tortellini, la cottura dei gnocchini fritti e della piadina e mica solo questo, sono più di 4000 le ricette depositate in Emilia - Romagna; ecco, la gente studia quello che mangia, perché ogni cosa, anche la più terrena, anche il cibo, anche il maiale diventa filosofia, ma non resta lassù per aria, poi la si mangia. Se in tutti i posti del mondo i cervelli si incontrano e dialogano nei salotti, da noi invece lo si fa in cucina, perché siamo gente che parla, che discute, che litiga, gente che a stare zitta proprio non ci sa stare, allora ci mettiamo insieme per farci sentire, fondiamo associazioni, comitati, cooperative, consorzi, movimenti, per fare le cose insieme, spesso come un motore che batte a quattro tempi, con una testa che sogna cose fantastiche, però con le mani che davvero ci arrivano a fare quelle cose li, e quello che resta da fare va bene, diventa un altro sogno. A volte ci riusciamo a volte no, perché tante cose spesso vogliono dire tante contraddizioni. Che spesso non si fondono per niente, al contrario non ci stanno proprio, però convivono


sempre. Tante cose tutte diverse, tutte insieme, perché questa è una Regione che per raccontarla un nome solo non basta. Ora ti ho raccontato quello che siamo, non credere di farmi o farci paura con due giri di mazurca facendo ballare la nostra terra, io questa terra l’amo e come mi ha detto una persona di Mirandola poche ore fa… "Questa è la mia casa e io non l’abbandonerò mai". Anonimo


Al mé teremòot ovvero Il terremoto di Mauro --- da idea iniziale del 25 giugno 2012 bozza non corretta v 29 del 28-6-2012 Ognuno di noi ha un SUO terremoto. Sensazioni, episodi, paure: tutti eravamo in un qualche posto, quando ci sono state le scosse grosse e non vediamo l'ora di dirlo a qualchedun altro, sia per illuderci di ottenere un salvacondotto apotropaico, sia per sfogarci un po' e anche perché, accidenti, anche noi siamo stati partecipi di un pezzo di storia, sia pur tragica, e il fatto deve essere ben testimoniato ai nostri cari, ma anche allo sconosciuto che ci capita davanti. In continuazione alterniamo il ruolo in commedia: diventiamo parte attiva o parte passiva degli impressionanti racconti che vengono evocati con studiata progressione drammatica. Ognuno di noi ha quindi un suo terremoto di cui terrà l'esperienza e il ricordo per sempre e tramanderà nel racconto ai propri figli o nipoti A un mese delle micidiali scosse di martedì 29 maggio tento di farmi un esame di coscienza su quanto è accaduto e su quanto MI è accaduto. Un bilancio esistenziale. Personalmente fino a dopo il terremoto delle 9 di martedì 29 maggio non ho avuto problemi; anche le precedenti scosse notturne del 20 maggio le avevo digerite bene ed ero tornato subito a dormire, dopo aver fermato con la mano il pendolismo insistente di vari lampadari oscillanti. Ma … ma ... la tripla scossa delle 13.00 mi (ci) ha colpito in un modo durissimo; è stato un colpo violentemente inaspettato. Ci ha picchiato .. dentro ... nel più profondo dell'animo: mi (ci) ha lasciato nella paura, nell'insicurezza. Tutte cose poco insite nella mente dei carpigiani. Negli anni ’60 si poteva carpigianamente intimare: “’Sa còostla … tutta la baraaca? “ (Cosa costa tutta la baracca?) e risolvere ogni seccatura con soldi, “comprando” in toto l’eventuale problema. Ma oggi domandare - “’Sa costeel al teremòot ? ” - non avrebbe senso; mancano innanzitutto validi interlocutori per la cessione dei sismi e forse anche i bèesi. (Chi vèecc’ i tachèen a finìir e chi nòov … in duv ini ? Quelli vecchi sono finiti e gli altri … dove sono ? ) Quando vedi la tua casa che si muove, il terreno che ondula e sembra di gomma e un rumore assordante ti martella la testa, il cuore, le orecchie e le gambe ... perdi ogni più consolidato punto fermo della tua vita e dei tuoi cari. Abbiamo sentito con le nostre orecchie le campane della Torre della Sagra suonare da sole; la stessa cosa, ci hanno riferito, è successo con campanile di San Francesco. Sono cose grosse ... enormi, in un primo momento superiori alla nostra capacità di comprensione. Ehee sì !!! Te la fai sotto ... completamente smarrito. Tanta paura, però niente panico … niente panico, ma reazioni misurate. L'angoscia di un centro storico deserto, dove comunque abitavo e continuavo ad abitare come residente. Parlare con persone che non ti avevano mai rivolto la parola, anche se stavano a pochi metri da casa tua. Cercare negli occhi delle persone una speranza di sicurezza che non potevano darti. Stare assieme durante il giorno, fare filosso (incontro colloquiale si persone) e anche un po' di baldoria, allontanando il pensiero della notte che comunque arriverà e ti riempirà di angoscia, di dubbi, di paure. Dormire in macchina, in tenda, a piano terra. Sei tu che devi scegliere e nel contempo lasciare


piena libertà ai tuoi familiari e amici di fare SOLO ciò che si sentono. I problemi coi bambini, ma soprattutto con gli anziani, che non vogliono assolutamente lasciare le loro case di sempre. La bandante ucraiana di tua madre resisterà o fuggirà via ? ... lasciandoti in un mare ancora più grosso di guai. Pensare che il 29 e il 30 maggio una città di 70 mila persone dorme fuori. E meno male che il tempo è mite. Come non ricordare i 15 sotto zero di pochissimi mesi fa. Alzarci alla mattina già vestiti, uscire in strada (desertissima) e pensare: " Anche questa notte è passata!! Andrà bene oggi? Cosa dice l'applicazione Iphone INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)? La zona rossa è un paesaggio scioccante da Day after. La Prefettura ci ha dimenticato, non ci manda nessuno. La s à mulèe a la guàaSa! (Ci ha mollato alla guazza!) C'è bisogno di un forte controllo sul territorio sulla zona rossa, perché non diventi terra di nessuno. Si sente dire che i Comuni devastati delle Bassa hanno chiesto la presenza dell'Esercito, ma hanno chiesto loro il conto per la dislocazione. Caxxo! Come se non pagassimo già abbastanza tasse anche per queste emergenze. Centinaia di allievi dell'Accademia di Modena potevano essere dislocati e fare esperienza sul campo. L'ordine pubblico è stato gestito da volontari: i ragazzi del liceo, splendidamente auto organizzatisi, difendono la loro (la mia) scuola da intrusioni indesiderate; le maestre degli asili vengono messe alcuni giorni agli incroci, poi tanti volontari che via via aumentano e danno la loro disponibilità. Si intuisce, si capisce che Carpi è un BENE COMUNE, di TUTTI. Vedere i parà della Folgore in congedo col baschetto rosso - granata, la mimetica e anche le stellette ... mi dà un senso di sicurezza; di appoggio ... di essere ITALIA. Sono SEMPRE stati presenti .. H24. Sempre gentili e disponibili. Si sentono in giro le stronzate più incredibili e la gente ha un impulso irresistibile a credere alle cose più inverosimili. Comincio a capire molto bene la caccia agli untori della peste del caro Manzoni. Bombe sotterrane, americani, russi, NATO, trivellazioni ... come se pochi metri cubi di gas potessero avere affetto su miliardi di tonnellate di sottosuolo spinto dalle dinamiche della tettonica a placche e da un nucleo terrestre incandescente di 6.000 gradi. Un fenomeno che la gente NON VUOLE capire a ogni costo. ** Io abito a Carpi in quella che era la zona rossa e lo sgomento della disabitazione è terribile. Non c'è la tua edicola, il tuo bar, il tuo tabacchino, il tuo forno. Meno male che tanti esercizi commerciali fuori della zona rossa hanno tenuto aperto anche con coraggio: i Conad, le Coop, tanti privati, tanti bar. Il NIK, vicino allo Sporting Club, con le sue splendide ragazze scollate e sorridenti, al mattino aiuta ad affrontare la giornate. Ma mentre fai colazione, senti sotto di te ( coi piedi e le gambe) la terra che ribolle, sobbolle con delle vibrazione che durano minuti e minuti. Chiedi al tuo vicino: " Ma lo senti?" e quello, con la faccia sgomenta e rassegnata, non vede l'ora di risponderti di sì. Sì le sente queste vibrazioni malefiche. Ma che diavolo succede qui sotto? Si fermerà ? Quando ? Ci sarà un altro colpo forte? Ti senti


la casa NEMICA. La TUA casa NEMICA ... pazzesco!! Ti attenti, le prime volte, a fare i gradini in circospetto silenzio, in punta di piedi, come la Pantera Rosa. Ridicolo! Ma è così! ** Al lunedì 11 giugno sono tornato in Comune (prima ero inutile) e in tre giorni abbiamo rimesso su in piedi il protocollo (nulla di eroico, ma importantissimo per i privati e i tecnici, chiamati a consegnare migliaia di pratiche edilizie sismiche), la posta in entrata e uscita e il giro dei messi per le notifiche delle ordinanze e l'ufficio atti amministrativi, con dei colleghi bravissimi, sempre presenti anche se con problemi sismici a casa loro e alcuni con le abitazione semi crollate). I nostri tecnici sono stati fantastici e si sono sottoposti a turni pesantissimi. I ragazzi del CED (Centro Elettronico) sono stati superlativi e sempre disponibili. Dal niente hanno ricreato la rete che ha consentito di lavorare con tutti i collegamenti necessari. Sono riusciti a risolvere problemi enormi, grazie alla loro competenza e inventiva. Ho convissuto i primi tre giorni con le assistenti sociali, condividendone la dislocazione d'ufficio in via Giusti. Non potrò mai dimenticarle ... per tutta la vita. Sono stato presente al lavoro delle assistenti sociali per aiutare le persone più deboli e più fragili: migliaia di persone con migliaia di problemi. Vi giuro hanno fatto il possibile e l'impossibile, senza mai perdere la calma, CON GRANDE PROFESSIONALITÀ, PAZIENZA e CUORE. Davvero BRAVE ... STUPENDE ... Un Paese civile si vede anche da queste cose! ** Nel pomeriggio di venerdì 8 giugno si diffonde veloce la notizia che l’indomani alle otto la zona rossa sarà revocata. Subito diffondo la cosa su Facebook, ottenendo una quantità di “Mi piace”. Il 9 giugno non resisto e alle 6,45 vado in Corso Alberto Pio. Quattro colonne del Portico del Grano sono cerchiate con fascioni di ferro. Gianni Luppi, il tabaccaio del Portico, ha già aperto: ” A voi èsser al primm! Ad avrìir !!!“ (Voglio essere il primo ad aprire!) Lentamente, cautamente la gente comincia ad arrivare; da soli, a coppie, in bici o piedi. Guardano, annusano, osservano i danni … non ci sono tante parole dire: ESSERCI dice già tutto! “ I perèen tante furmighìini !” (Sembrano tante formichine) osserva incuriosito e soddisfatto il nostro Gianni, sempre attento nell’esaminare e soppesare i comportamenti delle persone. Io una bella soddisfazione però me la prendo subito: vado al Caffè Teatro, mi siedo davanti, sotto gli ombrelloni, vista piazza, e mi gusto i più buoni cappuccino e brioche del mondo. Bravissime, come sempre Carla e Simona, che non vedono l’ora di servirmi di tutto punto come primo cliente. Mi sento un vero signore che si gusta la visione della sua Carpi riguadagnata, anche se molto ferita. *** Dopo un serio esame di coscienza ... sono soddisfatto di me stesso, ho fatto quello che dovevo fare e non potevo fare gran ché di più: *nonostante la paura, non mi sono fatto prendere dal panico idiota e imbecille; *ho protetto me, le tre mie famiglie e i miei amici nel limite delle mie forze e delle disponibilità logistiche e materiali; * la mia casa e il giardino sono sempre stati aperti a tutti; *ho controllato e tenuto sotto vigilanza la casa (ho dormito fuori solo le prime due notti allo


Sporting Club, poi sempre dentro a piano terra); *non ho creduto alle voci più assurde e incontrollate e le ho combattute con tutta la forza che avevo; * ho lavorato al meglio dando dei servizi (sia pure burocratici) alla gente; * ho ospitato in giardino 4 tende e sei /sette ospiti e alla sera decine fra amici e conoscenti che si sentivano soli. Ci siamo confortati a vicenda, anche se sapevamo che la notte arrivava e avrebbe lasciato ognuno di noi solo con se stesso; *ho aperto la pagina di FB dell'Istituto Comprensivo di Novi e Rovereto, (tutte le scuole sono giù o inagibili) su richiesta della mia amica Preside Rossella Garuti, per facilitare i contatti con gli studenti e per raccogliere aiuti e donazioni per ripartire il settembre con le lezioni; * poi il 20 giugno, con Anna, siamo tornati al nostro primo piano a dormire e subito a mezzanotte, appena coricati, TRUKKCC.. TUMM!!, un colpetto da 3,1 ! Ho aperto un occhio, tirato due maledizioni secche .. a i ò vultèe galòun .. Mò va bèin a caghèer !! E a i ò tirèe dritt a durmiir . (Mi sono girato e ho continuato a dormire)

Vignetta di Paolo Covezzi - giugno 2012


IL DOLORE E LA SPERANZA di Erminio Arletti - luglio 2012

La mia bicicletta colorata di bianco, adagiata contro un bellissimo roseto scarlatto, crea un soggetto che mi invita a fotografarlo a ricordo di un bel giorno, dove pedalata dopo pedalata, avevo superato le salite delle colline di Scandiano. Era il 19 di Maggio 2012 ed io ero di ritorno verso casa e già stavo pregustando il pranzo che mia moglie mi avrebbe presentato. La fame, dopo questo lungo giro, di certo non mancava ed essendo mia moglie un’ottima cuoca o come diciamo noi “ Rezdòra “, di certo avrei fatto adeguato onore al pasto. Ogni tanto mi fermavo a scattare qualche foto: maggio è il mese dove i fiori si vestono a festa e riprenderli è certamente un ottimo modo per sentirsi appagati da una giornata che ti ha reso sereno, dopo una settimana piena dei soliti problemi quotidiani stressanti. Durante il ritorno, mi aggrego ad un gruppo di amici ciclisti, accelerando così il ritorno. La giornata trascorre tranquilla con la famiglia, la “ Rezdòra “ non si è smentita, il pranzo come al solito è eccellente. Il resto di quel giorno trascorre tranquillo e dopo il saluto agli amici si va a nanna. “Bòna nòot!”.


Io e mia moglie eravamo profondamente fra le braccia di Morfeo; improvvisamente accade qualcosa che non riuscii subito a comprendere; mia moglie in preda al panico urlava, io svegliato di soprassalto, rimasi “anche se cosciente “ paralizzato come fossi stato in trance. Guardavo, grazie alla poca luce che attraversava la finestra il grosso armadio contorcersi, sembrava danzasse con il muro, che a sua volta pareva animato. Il letto ondeggiava come un materassino gonfiabile in balia delle onde; il forte cigolio stridulo dei muri in torsione mi davano l’impressione di una lotta tra titani, poi … improvvisamente il silenzio ... strano … angosciante. Accendiamo la luce, ci guardiamo in faccia. Sì ! Eravamo vivi. Il mostro che ci aveva terrorizzato sembrava essersene andato. Era la notte del 20 maggio, ore 4 e spiccioli ed il motivo di tutto questo trambusto lo “chiamano” TERREMOTO. L’effetto fu devastante con la forza dichiarata di 5’9 (?) gradi della scala Richter fu l’inizio di una catastrofe che purtroppo causò 27 vittime e che trasformò la vita a tanti cittadini emiliani, veneti e lombardi. Nei giorni seguenti altre fortissime scosse diedero il colpo mortale a quanto prima era stato risparmiato. Altre scosse più piccole si ripetevano incessantemente, mettendo a dura prova i nervi della popolazione, naturalmente compresi quelli del sottoscritto. Anche se personalmente la fortuna mi ha protetto lasciandomi solo ferite, consistenti in piccole crepe nell’abitazione non pericolose, ma ugualmente costose. Ma a tanti ha “rubato” la casa ed il lavoro; un vero dramma che ha rovinato tante famiglie con tanti posti di lavoro improvvisamente scomparsi. La catastrofe è stata immane, tanto che penso sia impossibile quantificare adeguatamente i danni in termini economici e psicologici. Forse con il tempo potrà essere stilato un bilancio complessivo che però sarà sempre approssimativo. Squilla il telefonino: è Moreno, il segretario del Carping Club Carpi, che preoccupato di quanto accaduto, mi chiede cosa fare. (Il Carping Club Carpi è un club di appassionati del campeggio del quale io sono il Presidente e dentro la cui sede sono rimessati un centinaio di camper). Il pensiero immediato fu che qualche socio sarebbe potuto arrivare per ritirare il proprio mezzo da usare come abitazione momentanea per paura di ulteriori scosse (in quel momento eravamo all’oscuro del reale portata del dramma). Ci rechiamo ad aprire la sede e da li a poco cominciarono veramente ad arrivare i proprietari dei mezzi, ma la sorpresa fu che non volevano ritirare i mezzi, ma usarli come abitazione all’interno del Club. Cosi cominciarono ad arrivare i soci con amici e famigliari, tanto che in breve il recinto del Club non ebbe più un solo posto libero. Attorno a Camper e Roulotte cominciavano a crescere tende, addirittura si dormiva sotto un gazebo portato da casa o dentro l’auto., L’importante era essere al sicuro dalle scosse. Alla fine ci siamo ritrovati in oltre 200 persone.” Mamma mia!!!” Riempita l’area del Club, alcuni Camper si adattarono nell’area esterna. Per chi non conosce la nostra sede, ci troviamo nelle adiacenze dell’uscita AutoBrennero. L’area è grande all’incirca come un campo di calcio, recintato con un portone carrabile ed uno pedonale. Detto questo, emergono subito i problemi, essendo il club un rimessaggio e non un camping con i necessari servizi. Ci siamo rimboccati le maniche, continue consultazioni con i capifamiglia, sistemazione di tutto il disponibile per l’utilità e la regolarità per tutti. Naturalmente, data la notevole inesperienza di ognuno di noi (io per primo) considerando che ci eravamo mai trovati ad affrontare un simile evento. ”Vade retro e non tornare!”


I problemi veri non tardarono ad arrivare. La condivisione degli spazi era sufficientemente accettata, ma le regole di convivenza avevano interpretazioni diverse e a volte bisognava intervenire con alterni risultati, ma alla fine ci siamo riusciti, anche se il sottoscritto ha rischiato ... contro chi ragionava soltanto con la forza e non con la testa e il buon senso. I servizi igienici erano soltanto due, per fortuna i camper ne sono dotati e questo ha facilitato le cose. Trattandosi di un’area di solo un rimessaggio, non c’era il servizio raccolta rifiuti; per questo motivo abbiamo subito informato il comando della Polizia Municipale della difficile situazione. Il Comando si è subito attivato in contatto con l’Azienda Aimag ed il servizio di raccolta rifiuti è partito immediatamente, quindi un sincero ringraziamento al Comando PM e agli operatori dell’Aimag. Ma restava il grande problema della sicurezza. Gli ospiti si erano organizzati in turni di guardia per controllare entrata e uscita di chiunque e che non vi fossero pericoli diversi, considerando che all’interno c’era tanta gente e che le vie di fuga dovevano sempre rimanere aperte. Dopo qualche giorno di esperienza ci siamo messi sulla buona strada e si è trovato “quasi” il giusto equilibrio e le cose hanno cominciato a funzionare al meglio. Ora, a distanza di oltre un mese, tanti sono rientrati nella propria casa rimasta agibile, vincendo quella paura che comprensibilmente li frenava. Però tra tutti questi problemi sono emerse anche degli aspetti positivi: la voglia di socializzare, di stare insieme e di cercare di alleggerire una situazione che per qualcuno era ed è ancora drammatica. Abbiamo visto i “nostri” ragazzi combattere il ricordo di quel mostro, rimanendo sempre insieme, rincorrersi, divertirsi nel campo giochi ben attrezzato che abbiamo rinnovato da poco e intitolato alla memoria del presidente storico del club Giovanni Giocolano. Tutto ciò ci dà il coraggio di perseverare nella lotta appena iniziata per dare a loro una speranza di un futuro che li aiuti ad affrontare l’esistenza in modo meno duro. All’interno della sede del Club si cercava in ogni modo di alleviare i problemi “esistenziali” degli ospiti e, grazie alle attrezzature esistenti, abbiamo cercato di fare il possibile. Abbiamo preparato di frequente delle cene per stare assieme, una scelta che ha avuto notevole successo, considerando la bravura del cuoco Francesco Solimene. Una persona forte di esperienze vissute come cuoco imbarcato su grandi navi; in più ci si è avvalsi della generosa disponibilità di diversi volontari. Ho parlato di cene e non pranzi, in quanto trattandosi di tavolata sotto una tettoia di lamiera il caldo degli anticicloni meteo Scipione e di Caronte non avrebbero permesso i pasti durante le ore assolate e torride. “Speriamo non arrivi anche il caldo di Mephisto! ” ha detto qualcuno. Sempre sul tema cena, abbiamo anche organizzato la festa della Guaza ed San Zvan (Guazza di S. Giovanni) con scenette, barzellette e cose simpatiche varie; il tutto organizzato dal “solito” Glauco Gasparini e con interpreti “nostrani”. Il cuoco e i volontari hanno continuato a prestare la loro preziosa opera. Solimene merita veramente i ringraziamenti di tutti, si è prodigato in maniera stupefacente: i suoi piatti a base di pesce e della tradizione campana hanno avuto il massimo gradimento da parte di tutti.


Il nostro impegno comunque non finiva dentro al recinto di “Forte Apache” (questo è il nome con il quale io l’ho definito). Guardando com’è formato, esso dà l’impressione di uno di quegli avamposti di frontiera che esistevano durante la conquista dell’west americano e che abbiamo visto in tanti film. Un grande portone di entrata, circondato da basse mura con vita sociale all’interno, a cui fa riscontro il nulla dell’esterno. Come prima ricordato, il nostro impegno continua con la ricerca di mezzi abitativi, siano essi camper o roulotte, ciò per poter ospitare qualche famiglia rimasta senza casa. Abbiamo inviato mail a tutte le associazioni di campeggiatori e come speravo qualcuno si è fatto vivo. Sono andato a prendere le roulotte, anche in paesini sperduti che, pure impegnandomi, forse non riuscirei a ritrovare. Vorrei ringraziare per il forte sostegno e la generosità il Camping Club di Parma nella persona del vice Presidente Luigi Ghezzi ed i suoi collaboratori che ci hanno permesso di consegnare le roulotte da loro reperite; un ringraziamento va poi a quei privati che hanno messo a disposizione il loro mezzo, a quei club di campeggiatori, i quali ci hanno informato di essersi attivati pure loro per lo stesso scopo e questo fa loro onore. Dà una certa soddisfazione interiore consegnare una roulotte ad una famiglia che ha perso la casa; la vedi felice di ricevere una cosa all’apparenza di poco conto, ma che in realtà ha un valore pratico inestimabile nella situazione del momento. Dentro quel contenitore di plastica e metallo si può proteggere la propria famiglia da tutti gli eventi atmosferici e ci si sente più sicuri. In quei momenti non so se il più emozionato è quello che riceve o quello che consegna, ma la cosa che ti appaga è quella di essere riuscito a renderti utile. Ora riflettendo, penso che ciò che noi siamo riusciti a fare mettendocela tutta, non è che una piccola modesta cosa di fronte agli immani eventi accaduti. Voglio soltanto augurare a chi sta soffrendo di questa situazione di risolvere nel più breve tempo possibile i loro problemi e che gli aiuti promessi arrivino realmente e presto. Vorrei chiudere questa mia relazione inserendo una foto eseguita all’interno del nostro club nel parco giochi dedicato a Giovanni Giocolano; essa non rappresenta la parte terribile del terremoto con rovine o gente disperata, già fin troppo usate, ma la gioia e il gioco dei nostri ragazzi. Mi auguro che l’allegria di questi giovani infonda la vera speranza per un domani più sereno. Una calorosa stretta di mano a tutti da parte mia e di tutti i soci del Carping Club Carpi. Erminio Ascari

Campo giochi Giovanni Giocolano


Il signor G. Il povero Signor G. è normale terremotato. Della sua casa è rimasto solo un boccone. Ma, si sa, meglio un boccone che morir di fame! E poi, ogni tanto viene la televisione. E’ intervistato anche mentre la sua casa viene quasi completamente abbattuta e tutti lo possono vedere al tg ! Meglio di così, anche la fama ! Ma al signor G. manca qualcosa: il contatore elettrico. Sbriciolato, ahimè dalle ruspe, insieme all’ala principale della sua villetta liberty. E l’Enel brancola nel buio ! Riuscirà finalmente il signor G. a riconquistare la luce e poter rientrare nel suo pezzo di casa? Accade a Concordia sulla Secchia, bassa modenese, nel cuore dell’Emilia terremotata. I guai del nostro signor G. iniziano il 20 maggio. La lunga scossa, la paura, gli oggetti più cari distrutti, i primi danni alla casa. Poi, terribili, devastanti , implacabili le scosse del 29. Sente sotto i piedi il terreno che scuote e ribolle, parte della casa crolla. Quindi la demolizione ad opera dei Vigili del Fuoco: si perdono tanti oggetti cari parte della sua vita, il suo mondo. Il terremoto è un evento naturale si sa, a suo modo innocente. Ma l’Enel ? Un tecnico dell’azienda fa un sopraluogo prima dell’abbattimento e si impegna con il sig. G. a far spostare al più presto il contatore. Ma la casa cadrà, senza alcuna rimozione. A questo punto il nostro protagonista finisce in un faticoso labirinto di estenuante burocrazia. Le risposte degli uffici temporanei dell’Enel sono vaghe e contraddittorie. All’inizio è stata chiesta, al sig. G., la somma di 500 euro per un nuovo contatore, come se la casa fosse appena costruita e lui, il terremotato, un nuovo utente ! Rassegnato, anche se incredulo, al povero G. non resta che accettare. Ma il giorno dopo, il tecnico, giunto per il lavoro, gli dice che, invece, essendo un vecchio utente, deve solo richiedere il ripristino delle forniture. Quindi per fare questa richiesta, il signor G. deve tornare a Mirandola. Per essere tra i primi, si reca presto al punto Enel e aspetta l’apertura dell’ufficio che è prevista per le ore 9.00. ma deve attendere che la persona “competente” prenda servizio alle ore 10.00 . Finalmente tocca a lui, ma la connessione web non funziona per tutta la mattina; nel frattempo gli viene dato un modulo che dovrà però essere vidimato dal comune di Concordia e poi riportato agli uffici Enel ! Così il nostro G. sarà costretto a continui viaggi tra il comune di residenza e Mirandola, Per non parlare poi delle lunghe ed estenuanti code in compagnia di tanti altri malcapitati ! Ma non doveva essere tutto più snello e semplice in questa situazione di emergenza ? A tutt’oggi il sig. G. non conosce il destino della sua pratica, né sa quando potrà, finalmente, rientrare in casa ed accendere la luce. Simonetta Cini


Sfollato numero 950 Mi confusero per: giornalista, benefattore, Presidente di un’ Associazione di Volontariato, fotografo, tour operator e perfino un cronista della radio. Pensate, neppure dopo aver esibito il mio cartellino di colore rosso fuoco (sul quale era certificato il mio stato di sfollato ), il Vice Capo del Campo si era persuaso del fatto che, nonostante somigliassi ad un Cicerone a disposizione di quegli “illustri visitatori”, ero semplicemente il terremotato numero 950. Il malinteso mi fece sorridere, ma anche riflettere! In effetti io, non usufruendo della maggioranza dei servizi erogati a favore degli sfollati e frequentando il Campo il minimo indispensabile, per i Volontari della Protezione Civile, della Croce Rossa e della Guardia Forestale (Istituzioni che in questi casi lavorano sempre in sinergia), ero un perfetto sconosciuto. Questo però, a mio avviso, non giustificava il fatto che gli incaricati preposti ad accompagnare gli “illustri visitatori”, continuassero a non credermi, anche perché l’autenticità del mio cartellino era assolutamente palese. Non so se contasse qualcosa ma, l’unica cosa che mi contraddistingueva dagli altri terremotati del campo e, al tempo stesso mi associava agli “illustri visitatori”, era solo l’abbigliamento. Indossavo un normalissimo pantalone bianco e una camicia azzurro-scuro, carina, ma non firmata. “Gli illustri visitatori” erano dei facoltosi benefattori toscani, miei conoscenti che avevano preso a cuore la condizione degli sfollati di Reggiolo ed erano venuti insieme al Presidente dell’Associazione di volontariato: -Dona Speranza - (il quale aveva coordinato gli aiuti) per visitare il campo e per conoscere personalmente i suoi ospiti. Comunque al di là del singolare equivoco, la visita procedette serenamente e, i volontari, come di consueto, si dimostrarono gentili, competenti e disponibili. Il vicecapo della Protezione Civile, a termine della visita, si preoccupò perfino di rifocillarci con acqua e succo di frutta. A proposito di sfollati, ma chi erano le persone che abitavano il Campo Salici di Reggiolo dopo il terribile sisma del maggio 2012? Un terremoto, come qualunque evento naturale, colpisce sempre tutti indistintamente. Ad essere coinvolte, sono le stesse persone che incontriamo quando ci concediamo la pausa per un caffè al bar, o che incrociamo durante una riunione condominiale, o che vediamo in fila al supermercato mentre facciamo la spesa. Quando un dramma come un terremoto violento colpisce una popolazione, tutte le persone, indistintamente dalla provenienza geografica, dal colore della pelle e dalla condizione economica, sono accomunate dalla stessa tragedia. Il trauma è il medesimo per tutti, ricchi e poveri, colti o analfabeti occidentali o extracomunitari, anche se, successivamente però, le differenze cominciano ad evidenziarsi. Nel Campo Salici di Reggiolo, ad una settimana dalle scosse del 29 maggio 2012 si contavano più di mille sfollati. In mensa e nelle tende si potevano osservare persone che appartenevano a diversi ceti sociali e svolgevano i più svariati mestieri: dal medico all’operaio, dal barista al contadino, dall’avvocato all’OSS. Dopo un mese e mezzo dall’evento sismico lo stesso Campo contava 244 unità di cui l’81% erano extracomunitari il 18% meridionali, mentre i reggiolesi si potevano contare sul palmo di


una mano. Ah, a proposito, a fine mattinata riuscii a persuadere i volontari che, nonostante frequentassi saltuariamente quel campo, ero veramente lo sfollato numero 950. Antimo Pappadia


TERREMOTO IN EMILIA-ROMAGNA: NATURALE O INDOTTO? Testimonianza di una residente Quella notte mi ero svegliata di soprassalto verso le 3 (mi succede quando sono molto tesa), ed ero in dormiveglia a pensare al testo da scrivere per l’attentato di Brindisi, quando sentii dei rumori sempre più intensi provenire dall’armadio (posizionato sulla parete che dà al cortile interno). Come se qualcuno vi rovistasse dentro. Come facevano spesso in passato le mie gatte gemelle. Ma loro non c’erano più da tanto e l’ultima gatta con noi, Lilli, dormiva vicino a me. Allora? Saltai subito giù dal letto, chiamando mio marito: «Rosario, il terremoto, il terremoto». Prendemmo al volo le vestaglie e via giù per le scale dei quattro piani. Sì, non è una manovra saggia, è risaputo, ma eravamo impreparati e abbiamo reagito d’impulso. Erano le 4 e 4 minuti del 20 maggio. Davanti al portone non c’era nessuno, poi, provenendo da San Francesco, è comparso un folto gruppo di ragazzi e ragazze che parlavano vivacemente ad alta voce. «L’avete sentito?» li ho apostrofati io. «Sì, sì, e come! » risposero quasi in coro, mentre guadagnavano velocemente la piazza. Avremmo voluto andarci anche noi, ma, essendo a disagio, in desabillées, ci trattenemmo vicino al portone e, appena rassicurati minimamente, risalimmo in casa, ci vestimmo, chiamammo Lilli scappata sui tetti e restia a rientrare (al nostro richiamo aveva solo mostrato il capino dietro l’angolo del tetto, senza manifestare alcuna intenzione di scendere in terrazza), e poi di corsa in strada. A piazza Grande, nel frattempo, erano confluite molte altre persone, alcune con i cani al seguito (magari avessi potuto portarmi Lilli…). Chiacchiere varie per stemperare la preoccupazione, telefonate in entrata e uscita, fino alle 5, circa, quando alla spicciolata cominciammo tutti a rientrare. In internet circolava già la notizia. Si parlava di magnitudo 5.9 (poi dal servizio geologico degli Stati Uniti - l’Usgs - sarà corretta a 6.0) e dell’epicentro: San Felice sul Panaro. Per l’ipocentro prima si parlerà di 10,1 km di profondità, dopo si rettificherà con 5, 1. Ma ecco verso le 5, 35 la seconda scossa (3,3 di magnitudo), che inaugurò per le ore e i giorni a seguire una serie infinita (molte centinaia i bradisismi registrati) di abbandoni, rientri, dislocazioni in piazze varie e anche il temporaneo trasferimento nella vicina e disabitata casa di mio figlio maggiore, che, essendo al primo piano, ci sembrava garantisse una più rapida fuga. Ma quando speravamo che il fenomeno fosse finalmente rientrato (pesavano già tanto i 7 morti, i feriti, le distruzioni, i tanti sfollati nella Bassa) ecco il 29 maggio, alle nove, un altro terremoto, terribile (si saprà d’intensità 5.8 e con epicentro tra Medolla, Mirandola e Finale Emilia), durato 40 secondi, durante i quali l’impressione era che tutto intorno dovesse crollare, da un momento all’altro. Si attendeva la catastrofe. Questa volta io e mio marito lo vivemmo abbracciati nel vano di una porta, situata su un ampio muro portante, e per tutta la durata io ho urlato. Ho urlato a squarciagola come se volessi gareggiare in violenza col sisma, come se volessi coprire il suo sordo rumore di fondo, come se volessi domare quella bestia immonda che attentava alla nostra vita. Potevano sembrare urla di paura, ma non era così. Lo capii solo dopo. Le mie erano innanzitutto urla di rabbia. Evidentemente in quegli attimi, seppure in forma ancora inconscia, avevo di colpo metabolizzato tutta una serie di informazioni raccolte scrupolosamente dopo la


scossa del 20, e avevo maturato la mia scelta di campo: quell’evento non aveva un’origine naturale, ma umana, era legato alle attività del sito di stoccaggio del gas di Rivara, paesino sulla statale, tra Finale Emilia e San Felice sul Panaro, epicentro del primo sisma. Le mie urla erano contro chi, per puro tornaconto personale, passa sopra tutto e tutti, ignorando beni paesaggistici, architettonici, archeologici, realtà economiche fiorenti, in primis collettività numerose che andrebbero invece salvaguardate in toto. Contro chi rende la superficie terrestre una fetida gruviera, strafatta di pozzi (non a caso chiamati buchi da qualcuno…), che trema all’infinito e collassa in continue subsidenze (come dimenticare il Polesine?), lasciando intorno un inquinamento inverosimile anche radioattivo che compromette le forme di vita sicura per la nostra specie (un caso per tutti la Val D’Agri). Quindi, nel contempo, le mie erano urla che battevano all’unisono con la Terra che, stuprata ad oltranza, in crisi epilettica costante, gridava rispetto. Quel rispetto che sempre Leonard Seeber, docente alla Columby University, e massimo esperto tra i sismologi, spera esercitino i petrolieri nei riguardi del nostro pianeta, oltre a rendere le loro operazioni del tutto trasparenti. Ero arrivata a questa consapevolezza, incuriosita da una frase buttata lì con molto titubanza da una sfollata, durante un servizio televisivo, il 21 maggio: «Temiamo per quello che c’è sotto Rivara». Rivara… per me fino a quel giorno era solo una campagna NO GAS a cui, da convinta ambientalista, avevo aderito aprioristicamente (come al NO TAV), senza informarmi oltre. Scoprii dunque la volontà della Società petrolifera Ers (Erg Rivara Storage) di realizzare in quel luogo, alla profondità di 2800 metri, il più grande deposito di stoccaggio di gas acquifero d’Europa: 3,7 miliardi di metri cubi di metano per 19 pozzi d’estrazione; l’appoggio al progetto di Berlusconi (con un decreto ad hoc) e del suo ex ministro e senatore modenese Carlo Giovanardi (sostenuto da Cisl, Confidustria, Assopiastrelle, Nomisma e poi dall’attuale Governo tecnico e pare in passato anche da quello di Prodi). Ripercorsi la lunga battaglia oppositiva portata avanti dagli enti locali e dai comitati cittadini con il il no netto della Regione già a novembre 2011. E rilevai da sola, reperendo e confrontando mappe e piantine, la strana coincidenza dell’intensificarsi dell’attività sismica nei siti legati alla ricerca o coltivazione degli idrocarburi (petrolio e gas) in Italia e nel mondo, prima di riscontrare (sul sito “Lamont-Doherty Earth Observatory”, dipartimento di Scienze della Terra della prestigiosa Columbia University) che la correlazione era nota sin dagli anni ’60 e documentata negli eventi sismici occorsi in Arkansas, Texas, Oklahoma, e nel Regno Unito. A ulteriore conferma lo studio commissionato dal gruppo francese Chamberger a dei geologi russi e realizzato in campi estrattivi dell’Asia centrale. Dove si sosterrebbe la nascita di terremoti anche del 6°-7° grado della scala Richter in zone dell’Uzbekistan mai considerate a rischio sismico, e per fortuna spopolate. Ne parla in un video su youtube Maria Rita D’Orsogna, professore presso il dipartimento di matematica della California State University at Northridge, a Los Angeles, e da anni in prima linea nella difesa dell’ambiente, contro i petrolieri. Allibii poi per la sconcertante presenza in Emilia, secondo il Ministero delle Attività produttive, di ben «514 pozzi perforati, di cui 69 non produttivi e destinati ad "altro uso"» probabilmente per seppellirvi i liquidi tossici risultanti dalle trivellazioni, con o senza fracking. Ecco, in quei giorni frenetici seppi dell’esistenza soprattutto di questo sistema di perforazione chiamato fracking (l’hydraulic fracturing – fratturazione idraulica), nato nel 1947 e perfezionato nel 1949 dal gruppo Halliburton di Dick Cheney (l'ex presidente Usa), al fine di


estrarre da rocce sedimentarie porose quell’1% di gas che conservano. In che modo? Per indurre le rocce a spaccarsi e rilasciare il gas contenuto, vengono iniettate più volte sottoterra ad alta pressione quantità inverosimili di acqua, unitamente a sabbia e sostanze chimiche segrete (pare, radioattive e cancerogene). L’acqua dopo aver frantumato le rocce torna fuori contaminata e viene messa in vasche a cielo aperto (dette waste pits) o reiniettata nei pozzi dismessi (profondi oltre 3 km) e mantenuta dentro, ad una pressione così alta da spingerla sulle rocce intorno sino a poter interferire sugli equilibri delle faglie sismiche. Risultato? Un disastro ambientale notevole, per le falde acquifere e i terreni inquinati; per i miasmi tossici diffusi; per il consumo stratosferico di un bene così prezioso e raro come l’acqua; per le sane attività produttive distrutte; per l’attività sismica innescata o friggerata come preferiscono dire gli esperti. Questa pratica, diffusissima nel mondo, in Europa è stata bannata ufficialmente in Francia (11 luglio 2011), in Bulgaria (20 gennaio 2012), in Germania (7 luglio 2012), la Repubblica Ceca sta decidendo in merito e l’Inghilterra, che prima l’aveva salutata come rivoluzionaria, ora ci sta ripensando. Negli USA, lo stato dell’Ohio, che ospita 177 di questi pozzi, ha recentemente dovuto regolamentare questa pratica perché ritenuta responsabile di “una dozzina di terremoti”, in zona (la notizia è riportata dall’“Huffington Post” in un articolo del 9 maggio scorso); il New York State ha fissato una moratoria temporanea; solo il Vermont, per primo, di recente, l’ha vietata del tutto (16 maggio 2012). In Italia nessuna società ammette di farvi ricorso, ma in Emilia la prof. D’Orsogna, se non è riuscita a trovare prove di fracking, crede però di avervi individuato tra i pozzi dismessi «almeno 7 di reiniezione: Angelina, Cavone, Cotomaggiore (2), Minerbio, Spilamberto. Di questi, tre sono molto vicini all'area dei terremoti - Mirandola, Spilamberto, Minerbio». Per lei i più pericolosi. (Dal suo blog, altro pozzo, ma di preziose informazioni). Infine notai tutta una serie di avvenimenti, nei primi mesi del 2012, a dir poco, sorprendenti nella loro sequenza cronologica e possibile concatenazione logica. Ma tacqui fino al 31 maggio, quando, ormai convinta, sentii il dovere morale inderogabile di riportare sul mio blog, alla spicciolata, tutte le notizie che avevo trovato (e che qui in seguito proverò a riassumere) nella speranza di essere d’aiuto a comprendere quanto stava succedendo. Non è un blog molto seguito, ma non potevo fare altro (ho provato a mandare email di sollecitazione ai mass media più diffusi, ma senza successo). A dare il via alla documentazione, l’indicazione di un articolo di Giovanni Tizian (“L’impianto gas? Sull’epicentro”) introdotto da un mio laconico post “Cosa c’è sotto Rivara?” che rilanciava la paura molto diffusa da cui mi ero mossa, ed era anche un’invocazione di aiuto con quella sua lapidaria conclusione: «Se saltiamo tutti in aria, non mollate, continuate le indagini». Relative a cosa? Ovviamente al possibile legame tra trivellazioni (con o senza fracking) e gli eventi sismici della nostra zona. Allarmista? Catastrofista? No, in tutta onestà, solo realista. A dimostrazione, riporto qui brevemente i fatti salienti, relativi all’argomento e degni per me di nota in questa prima metà dell’anno, ma lascio a voi poi ogni commento. L’Emilia, in passato non considerata sismica (tranne il terremoto di Novellara -RE- del 1996), già a gennaio aveva registrato due forti scosse, mercoledì 25 e venerdì 27. Nel primo caso il centro del sisma, di magnitudo 4.9, era stato localizzato tra Brescello, Poviglio e Castelnovo


Sotto, nel Reggiano; due giorni dopo, alle 15.53, un sisma di magnitudo 5.4 aveva avuto per epicentro l’Alto Appennino parmense, tra Corniglio, Berceto e Monchio delle Corti. Nonostante questa ripresa sismica nella Regione, il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, il 17 febbraio, concede alla Società Ers il sospirato permesso di procedere a Rivara, frazione di San Felice sul Panaro (Mo) con altri studi di fattibilità, consistenti nella realizzazione di indagini sismiche tridimensionali, nella perforazione di tre pozzi esplorativi e in monitoraggi satellitari. In altre parole, autorizza trivellazioni con uso di cariche esplosive e pompaggio di acqua ad alta pressione, allo scopo di verificare la realizzabilità del maxi deposito all’interno della gigantesca cavità naturale nel sottosuolo di Rivara e comuni limitrofi. È facile immaginare che la Società, che non aspettava altro, abbia subito avviato se non incrementato le sue attività (nessuno sa bene cosa avviene nel suo impianto e persino le ricette delle pappine che si usano per le trivellazioni sono top secret). Sul web si teme il ricorso al fracking. Ma la Erg lo ha smentito categoricamente in un comunicato. Stop ulteriore dalla Regione che ad aprile formalizza il suo divieto. Intanto, come se fosse un problema cogente, che potesse scoppiare da un momento all’altro (prevedibile e previsto), il Governo tecnico, presieduto dal Prof. Mario Monti, vara il decreto legge n.59/2012 (sul riordino della Protezione Civile), in base al quale qualunque calamità naturale è interamente a carico del cittadino, e per il quale si suggerisce l’avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi da esse derivanti. Il provvedimento viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 maggio 2012 (verrà sospeso per l’evenienza in corso perché considerato – ma senza fondamento - scandalosamente sospetto). Il 20 e 29 maggio il boom sismico in Emilia, che registrerà uno sciame inverosimile di centinaia e centinaia di scosse, e nel corso del quale l’Erg Rivara Storage (Ers), ribadirà spudoratamente (il 22 maggio, per l’esattezza, come riporta “Il Fatto quotidiano”), di voler comunque, nonostante il sisma, portare avanti il progetto del deposito di gas. Il ministro dell’Ambiente Clini, invece, travolto dall’evidenza, il primo giugno, ritira definitivamente il suo permesso alla Ers. Ma per i tecnici tout court (si fa per dire, molte le incongruenze che sfoggiano), pressati, com’è facile immaginare, dai potenti petrolieri, bisogna proseguire sulla falsa idea di progresso in essi coincidente. Il resto è Medioevo. Lo disse espressamente, in un’occasione pubblica, l’ex ministro dello Sviluppo economico (ora richiamato da Passera, quale rappresentante del Ministero dello Sviluppo Economico per l'Afghanistan e l'Iraq) Paolo Romani: «senza energia si torna al Medioevo» (Romani è lo stesso che firmò il decreto “ammazza rinnovabili”, togliendo gli incentivi per l’uso di energia sostenibile, tra l’indignazione comprensibile degli addetti al fotovoltaico). Ed ecco che nel decreto legge del 4 giugno, relativo al primo pacchetto sviluppo, viene inserita una norma per sbloccare gasdotti e rigassificatori, fermati dalle Regioni. Il governo è palesemente con i petrolieri. I buchi (come Romani chiamava le trivellazioni), anche per il governo Monti, evidentemente, vanno fatti dappertutto (a San Foca, nello Ionio, alle Tremiti, in Basilicata, nel Lazio, in Toscana ecc. ecc. ecc.). Le proteste dei cittadini e degli enti locali sono all’ordine del giorno, riportate dalla stampa locale, ma totalmente ignorate dalla quella a grande diffusione. Molti cominciano a temere che il ricorso alle mazzette di cui è stata accusata anche l’Eni per convincere i politici all’estero (ne parla “la Repubblica” in un articolo) possa diventare una


pratica anche italiana (sempre che non lo sia già). Si delinea una frackingopoli? Ma per ora sono solo pure illazioni infondate. Il 5 giugno finalmente la Procura di Modena (nella persona del Procuratore aggiunto Lucia Musti) sollecitata dall’opinione pubblica sempre più impaziente, avvia una verifica sull’impianto di Rivara. C’è o no l’uso del fracking? Quanto è stato fatto in quel sito può aver provocato il terremoto, come sostengono, per altre realtà nel mondo, tanti studiosi di livello internazionale? No, anticipano in coro quelli locali, che indicono addirittura delle conferenze stampa per tranquillizzare la collettività. E il prof. Enzo Boschi, ordinario di Sismologia all’università di Bologna (raggiunto da Adnkronos) pontifica sulla nascita di una possibile nuova faglia; trova di particolare interesse che la magnitudo non sia andata oltre il 6.0 a conferma di quanto aveva sempre pensato «con un certo margine di confidenza», che cioè in Emilia «si possono generare terremoti al massimo di magnitudo 6 ma non oltre» e infine suggerisce di curare di più l’assetto urbanistico. Come a dire: i terremoti sono ormai inevitabili, potenziamo solo le strutture abitative. Ma si direbbe che anche Dio è dalla parte dei petrolieri. E il 6 giugno, quasi a punire la sfacciataggine dell’azione della Procura, ecco un nuovo terremoto, in mare questa volta , davanti a Ravenna (nel cui circondario è in costruzione un enorme deposito di gas), e vicino ad una piattaforma petrolifera. Pura casualità sostengono i più. Strani fuochi d’artificio, commenta qualcuno. Ma il disagio si diffonde. Tanta parte della collettività vuole vederci chiaro. Il 7 giugno il Movimento5stelle presenta al governatore Vasco Errani una formale richiesta per istituire una commissione speciale di ricerca e studio che “fornisca un’esatta conoscenza in merito alle attività estrattive o di reiniezione nel sottosuolo e l’eventualità di ingenerare eventi sismici”. Sul web e twitter si moltiplicano le richieste di trasparenza («non si può giocare con la vita delle persone» scrive qualcuno) e di tutela della sicurezza. Ma un comunicato di palazzo Chigi, l’8 giugno, butta benzina sul fuoco: si rende pubblico un rapporto della Commissione Grandi Rischi, in cui non si esclude l’eventualità di altre scosse, pari se non superiori (ma Boschi non aveva detto massimo fino a 6.0?) a quelle registrate e coinvolgenti realtà limitrofe. Come a dire: nessuno si senta al sicuro. Molti lo vivono come una minaccia. Panico generale. Sconcerto tra i sindaci e quello di Finale Emilia di primo acchito pensa di presentare una denuncia per procurato allarme. Anche il governatore Vasco Errani si inquieta, ma cerca di smussare le tensioni: «Sono solo dati statistici. I terremoti non si possono prevedere». Quelli di madre natura (che procede molto lentamente), sostengono alcuni sul web, ma non quelli indotti. E in Italia i terremoti sono diventati troppi per non sollevare dei dubbi più che legittimi. “Stampa libera” sul sito online ricorda che dall’inizio dell’anno fino al 20 maggio ben 632 sono stati i terremoti registrati e gli ultimi tutti in Nord Italia nelle zone vocate a Shale gas (gas di scisto) e interessate al fracking. Dal 20 maggio ad oggi il conto poi è aumentato vertiginosamente. 12 giugno cambio di guardia nella direzione generale dell’INGV (Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Centro nazionale Terremoti). Chi non aveva dimenticato le rettifiche del servizio Geologico degli Stati Uniti (Usgs) alle loro comunicazioni circa il primo sisma, si aspetta un esperto. Viene nominato invece Massimo Ghilardi, carabiniere di leva, laureato in Scienze motorie e in Sociologia politica, consigliere comunale Pdl a Chiari (Brescia), iscritto all'Albo dei promotori finanziari, già dirigente ministeriale al Miur. Su


Twitter le battute si sprecano. La più balorda: «Il prof di ginnastica che diventa direttore dell’Ingv? In caso di terremoto sa correre via veloce» Il 3 luglio La Erg, sentendosi spalleggiata dal governo, rilancia e deposita il ricorso al Tar: vuole Rivara a tutti i costi, nonostante l’evidente incompatibilità del luogo con un impianto di stoccaggio. Il PD avvia una raccolta firme, di cui ad oggi non si sa ancora l’esito. Il 4 luglio a Bologna, in Assemblea legislativa durante la discussione della risoluzione presentata dal consigliere regionale Movimento 5 Stelle, Giovanni Favia (il 7 giugno), viene resa nota una missiva spedita il 29 maggio dal governatore Vasco Errani al capo del Dipartimento nazionale di Protezione civile, Franco Gabrielli, e nella quale si chiede espressamente una Commissione d’inchiesta internazionale. «In merito al dibattito che si è sviluppato sulla Rete- scrive Errani- relativamente a possibili relazioni tra le attività di esplorazione finalizzata alla ricerca di campi di idrocarburi e l'aumento dell'attività sismica nell'area interessata a dette attività, chiedo di attivare la Commissione internazionale sulla previsione dei terremoti per la protezione civile». Esultanza da parte di chi fino a quel giorno era stato bollato di complottista, allarmista e produttore di favole metropolitane. Sembrerebbe in effetti una giusta conclusione, un primo avvio per un’Italia più pulita e ripulita dagli speculatori senza scrupoli. Sempre che, anche in questo caso, Roma non rappresenti il porto delle nebbie in cui tutto si offusca, s’insabbia e svanisce. Spero invece che chi leggerà questi appunti trovi chiarezza e si regoli di conseguenza. Intanto sul mio blog continuerò con la documentazione. Nadia Cavalera


Il Viaggio doloroso di uno specchio. Due fidanzati innamorati vanno in un negozio per completare l'arredamento della loro camera da letto. Cercano uno specchio, tra tante forme, rettangolari, quadrate.. ne scelgono una un pò particolare, arrotondata a mezza luna. Ecco, questo sta bene sul comò ! Questo specchio fa bella mostra di sè, si sente a suo agio, la stanza è bella , nuova , ordinata e ben rifinita. Le tende ricamate danno un tocco di raffinatezza, ma un brutto giorno un terremoto molto cattivo, arrabbiato, corre sotto terra all'impazzata...come un animale ferito, si ala, si contorce , urla , sposta e fa tremare tutto. La stanza bella che accoglieva lo specchio era al primo piano di un palazzo, una forte scossa seguita da un fragore, lo fa precipitare al piano terra. Lo specchio viene sbalzato dal suo posto d'onore, cade sul tappeto che attutisce il colpo. Nello sbalzo della caduta dell'appartamento , l'armadio si schiaccia e butta fuori i cassetti pieni di biancheria, sopra ad ogni cosa pietre, detriti, polvere rossa di mattoni.. Lo specchio ignaro proseguo il suo viaggio, non è ferito, ha solo qualche graffio, la sua bellezza,e la sua lucentezza, sono offuscate dalla polvere che la gru demolitrice sparge su ogni cosa. Lo specchio ha paura,si chiede " quale sarà la mia fine ?" "verrò anche io tritato, e maciullato dalla forbice della gru che inesorabile prosegue il suo lavoro di distruzione '" Ancora scosse... il cuore dello specchio ha paura, il suo battito si è fatto lento, non ce la fa più,si guarda intorno smarrito .. Dov'è finita la camera da letto che l'accoglieva ? Una tenda strappata pende da una finestra che non c'è più perchè il muro che proteggeva la stanza è caduto. Ora sono piccole scosse, 2,8 e 3.0 e in questo sussultare lo specchio è arrivato fuori dalla casa su un cumulo di macerie. Pensa " è la fine !"chiude gli occhi rassegnato ... ma quando tutto sembrava finito, un sabato mattina alle 9.00 riconosce una voce famigliare.. una nonna che l'aveva tante volte spolverato, si presenta sulle macerie con un vigile del fuoco, anche lei hai il caschetto di protezione, perchè c'è pericolo. La nonna sclama con gioia " eccolo eccolo il mio specchio" lo prende amorevolmente tra le braccia era tanto impolverato, non importa lo porta a casa con se . Ecco cosa è rimasto di un appartamento nuovo, un mazzo di chiavi e uno specchio. Malavasi Nanda - terremoto 29 Maggio 2012 Cavezzo – Modena


Il cammino sulle macerie "Che ci fanno lì quelle scarpe impolverate? Via, puliscile,lavale!" "No, non le toccare". Metto le scarpe sul tavolo e loro raccontano la loro storia...la mia storia:la prima volta che ho chiesto ai vigili del fuoco di accompagnarmi a vedere la parte nord della casa. Il palazzo era caduto ed il primo piano era sceso al piano terra. Il vigile del fuoco voleva dissuadermi dal visitare tale scempio..."Signora è zona rossa,non si può andare!" Io insisto,voglio solo vedere la camera da letto di mio figlio....e chino la testa. "Va bene, l'accompagno". Un passo dopo l'altro,con il casco in testa,seguo il vigile che apre una cancellata improvvisata. Camminare su quei rottami,che dolore...prima erano pietre vive di una casa,pareti che proteggevano la vita privata di una famiglia. Sotto ai piedi si calpestava di tutto...vetri...piatti rotti...tende bellissime che ho subito riconosciuto:le avevo lavate venti giorni prima e riappese con orgoglio. Ecco,fra le pietre di un muro caduto usciva l'angolo di un scendiletto;prima aveva il colore tenuo di un prato coperto di fiori,ora era di un colore indefinito:sembrava chiedese aiuto. Siamo arrivati! Il cuore si è fermato dallo strazio! Il letto è ancora lì con le lenzuola,i cuscini..la parete del bagno si è rovesciata sul letto..l'armadio è scoppiato!! Una mezza tenda vola senza essere appesa ad una finestra perché il muro non c'é più. Il vigile mi chiede gentilmente se desidero prendere qualcosa,ma è troppo pericoloso. Sono molto emozionata,accenno di no con la testa perché le parole mi muoiono in gola...gli occhi si velano di lacrime ma non c'è spazio per la commozione,bisogna guardare dove metto i piedi:ci sono ferri arrugginiti e vetri su tutto il percorso. Grazie care scarpe per avermi accompagnato su questo cammino doloroso. Grazie per aver rivisto la casa di mio figlio,ove sono andata tante volte a riordinare. La vita va avanti non ci si può fermare. Ogni giorno ci è richiesto un nuovo impegno per insegnare ai nostri figli e nipoti. Cercherò,con la luce della fede,di curare il mio cuore e la mia anima perché la vita è un dono meraviglioso che non va sciupato:desidero che chi mi sta accanto si accorga del profumo della vita. Malavasi Nanda,anni 70 Cavezzo (Modena)


Martedì 29 Maggio 2012 0re 9.00 Sono nel corridoio reparto notte..... un boato. La porta a vetri a tre ante si apre violentemente , mi sbatte a terra, mi rialzo con fatica tenendo le mani contro alle pareti.. capisco che qualcosa di grave sta succedendo.. "il terremoto". Il mio pensiero corre alle mie nipotine che ho appena accompagnato al campo estivo. Ritorno in camera, prendo la coroncina benedetta che avevo preso in Terrasanta e urlo forte, più forte del terremoto "Signore salva le mie bambine,prendi me ho 70 anni, ma salva le mie bambine.".. esco a fatica dalla mia casa. Faccio alcuni passi ed ecco un altro rumore strano che non avevo mai sentito.. crolla un palazzo lontano 300 mt dalla mia casa, una grossa nuvola di polvere mi invade. Capisco che la situazione è grave, corro come una pazza per raggiungere le bambine.. vedo la mia vicina di casa sanguinante ad un braccio.. un'altra coricata in terra.. vorrei aiutarle .. ma non posso... nel mio cuore c'è soltanto un pensiero.." le bambine ".. Arrivo trafelata al tendone, i bambini sono spaventati, piangenti.. ( Grazie al Signore, sono tutti incolumi) cerco Margherita,Letizia,Francesca, le rassicuro .. le abbraccio.. aiuto le maestre che desiderano portarli fuori, in un'area più sicura. Tutti per mano, ci portiamo al centro del parco, lontano dagli alberi. Facciamo un bel cerchio e cominciamo a cantare una bella canzone. Ogni tanto il rumore del terremoto si fa sentire come un grosso tonfo.... La maestra esclama " ma insomma questi vigili che rumore fanno a spostare queste gru.. basta non muovetele più !" Suona la sirena dell'ambulanza, poi arrivano i vigili del fuoco,perchè c'è stato un altro crollo proprio davanti ai bambini quando erano sotto al tendone.. ( una palazzina nuova costruita da appena 15 anni). In cielo un elicottero gira a bassa quota facendo rumore, assieme ai bambini diciamo una preghiera.. una Ave Maria affinchè la Madonna ci aiuti. Nel parco stanno arrivando i primi anziani del palazzo vicino, chi in carrozzella.. chi ancora in pigiama. Margherita e Letizia piangono, sono preoccupate per la mamma che è a casa con il loro fratellino Matteo nato da appena 15 giorni. Le rassicuro, andrò io dalla mamma e la porterò con il bambino lì nel prato insieme a loro. Torno a casa sempre di corsa , prendo la macchina , ma per le strade non si cammina.. è il caos.. è crollato un altro palazzo in via 1° Maggio .. più avanti 200 mt è crollato l'oratorio di S.Anna .. non si passa con la macchina .. devo cambiare strada, finalmente arrivo a casa di mia nuora, c'è tutto chiuso, mi si stringe il cuore .. dove sarà con un bambino così piccolo ? ( 15 giorni). Sapevo che doveva andare dal pediatra a Mirandola .. Mio Dio.. speriamo non sia andata .. Torno a casa con grande fatica.. avviso mio marito che non trovo Lara con il bambino , nel frattempo arrivano Barbara e Francesco ( gli altri miei figli). Si accordano insieme a mio marito per cercarla nel paese, gonfiano le ruote delle biciclette (che non usiamo mai) ed in tre partono per cercarla.


Intanto torno ai giardini a piedi sempre di corsa, vedo Lara seduta in terra che sta allattando il bambino .. " Grazie Signore di questo dono " ( ci abbracciamo commosse). Nel frattempo il giardino si riempie di persone, i genitori sono tornati dal lavoro per riprendere i loro bambini, e tante, tante persone anziane. La terra continua a tremare, seduti sull'erba si sente il terreno alzarsi .. muoversi .. tonfi rumorosi.. ho l'impressione che il terreno possa aprirsi in una grossa voragine ed ingoiare tutti. Qualcuno porta un cestello d'acqua , è caldo, ci passiamo la bottiglia così uno all'altro, mancano i bicchieri.. non è il momento di fare storie ! I bambini consumano la merenda che avanzano nello zainetto, così è un modo per distrarsi ! Qualcuno ha portato una piccola cassetta con disinfettante, cerotti e garze. Si procede a qualche piccola medicazione. Si perde la cognizione del tempo... tutti ci guardiamo in faccia .. si vede solo smarrimento e paura.. C'è bisogno del bagno, si va dietro alle siepe.. è tardi quasi le 13, nessuno pensa di tornare a casa.. lì è un posto sicuro, sopra alla nostra testa c'è solo il cielo .. possibile che ci cada addosso? Arriva Barbara mia figlia, ed insieme diciamo di andare a casa di mia sorella Maura che abita dall'altra parte del paese. Dal centro non si può andare .. caduta la chiesa.. caduto un palazzo.. Più avanti ci hanno detto di tornare indietro, perchè è caduto un altro stabile ( Pacchioni) costruito da 10 anni. A piedi facciamo un lungo giro, perchè le vie d'accesso sono poche.. stiamo per arrivare .. un tonfo forte .. più forte degli altri .. le case ondeggiano come fuscelli..l'asfalto si alza.. io e mia figlia ci abbracciamo .. " è la fine". Poi ancora pochi passi.. nuovamente il terremoto con la sua forza tremenda ... andiamo vicino ad un cancello ove c'è Sofia ( una ragazza Down) che trema e piange. L'abbracciamo ... le facciamo compagnia... Arriviamo da mia sorella anche lei spaventata.. agitata..fuori di casa come tutti. Le chiedo come sta e se sono salvi tutti i suoi figli e nipoti, vedo la sua casa in piedi (non è poco).Dentro, quello che è accaduto non si sa , lo verificheremo fra qualche giorno, ora proprio entrare è troppo pericoloso per le continue scosse che si susseguono. Io e Barbara torniamo in silenzio guardandoci intorno, chiedendoci come sarà il nostro domani,che tutto intorno a noi è cambiato. Siamo a braccetto , sicuramente qualcosa si è rotto materialmente e qualcosa su queste macerie è nato, un qualcosa che ti fa pensare , preoccupare uno dell'altro, l'egoismo è uscito dalla durezza del nostro cuore, mi sento sicura .. sorretta da quel braccio giovane. Arriviamo in fondo alla strada principale, devo giare a destra.. un timore mi prende.. ci sarà ancora la mia casa ? Le gambe si irrigidiscono, ho paura a girare l'angolo, camminiamo ancora un pò.. Eccola , apparentemente tutta intera, una grande emozione mi prende, non riesco a trattenere le


lacrime di gioia. Noto gruppi di famiglie riunite nello stesso giardino, in tanti è più facile superare,è caldo, sono all'ombra, il pranzo sarà stato come il nostro " solo un pò di acqua", ci avviciniamo chiedendo loro come stanno, Maria mi chiede se ho trovato Lara con il bambino , con un sorriso rispondo sì ! Stanno bene , grazie ! Sono stanca Signore ..apri la tua mano ed accoglimi come un bambino piccolo affinchè io possa riposare un pò... Malavasi Nanda - 29 Maggio 2012 Cavezzo - Modena


14.08.2012 Salve sono Romana, oggi 14 agosto 2012 ho letto il Suo articolo sul giornale “Notizie”, sono un’abbonata, ed istintivamente ho avvertito il desiderio di raccontare la mia esperienza che credo resterà eternamente scolpita nella mia vita. Spero con questo gesto di allontanare per sempre la paura. La Fede mi ha sempre accompagnata e Dio protetta. Il terremoto è stato la mia distruzione di memoria ha portato nella mia vita tanti inattesi sconvolgimenti, dispiacere, disorientamento, cecità (ho accusato un calo della vista). Terrore e sempre se ne aspettano altri. La mia esperienza del mattino del giorno 29 : ero con mia nipotina Martina in casa a giocare, per trascorrere il tempo della mattinata, quando all’improvviso ha incominciato a tremare la terra. Eravamo in casa e Martina mi ha detto “nonna subito sotto al tavolo!!!!!”, ma io ho cercato con lei di uscire immediatamente fuori dalla casa. In casa c’era la guerra dei mobili, terraglie, bottiglie e tutto un subbuglio di altre cose…. Siamo arrivate in strada con l’aiuto di Dio, ma appena fuori dopo circa dieci minuti è arrivato mio figlio Sandro che lavora a Rovereto presso la filiale Unicredit Banca, il quale mi ha raccontato di essersi preoccupato di far uscire tutti i clienti e rimasto all’interno essendosi bloccate le porte d’emergenza si è salvato per miracolo trovando una via d’uscita dalla finestra. Poi è arrivata a casa Laura, moglie di Sandro, e tutti insieme per tranquillizzare Martina di soli sette anni siamo andati in campagna nella casetta di legno gentilmente messa a disposizione da un amico, prendendo con noi alcune cose da mangiare. Insieme a noi è venuto anche Albino il campanaro di Rovereto. All’una circa è arrivata un’altra scossa molto ma molto grossa. La terra ha incominciato a tremare un’altra volta. Albino seduto nella sedia è sobbalzato a terra. La terra tremava sempre. Il laghetto dove ci trovavamo in un minuto si è vuotato come una grande onda. Sandro, Martina, Laura e Albino sono scappati a Marina di Ravenna dove hanno un appartamento. Io ho deciso di restare con la speranza che fosse tutto finito e nonostante la grande paura provata e il terrore ancora presente. Ma quel maledetto terremoto ha incominciato ancora. Io ero sola in un posto nel quale non ero mai stata. La terra tremava, osservavo in lontananza tanta polvere alzarsi ed udivo forti boati. La terra tremava. Sono salita sulla mia macchina che improvvisamente rimbalzava come una palla. La casetta di legno, molto fatiscente, che ci ospitava si piegava sulla macchina e subito sono saltata fuori. La terra tremava, tremava tutto. I boati delle case che crollavano e tanta polvere. Mi trovavo in campagna ed ero sola, urlavo mentre sentivo la terra tremare come spari in mezzo alla terra, non vedevo niente ma li sentivo vicino a me. Io urlavo da sola, non mi attentavo a partire con la macchina perché avevo paura che la terra si aprisse. A un certo punto ho chiamato Dio, se era la fine del Mondo ci avesse preso, ma lo supplicavo di non farci più stare in angoscia. Dopo, non riesco a ricordare il tempo passato, è arrivata una macchina con il proprietario della bettola che ci ospitava, venuto perché gli avevano detto che Sandro non c’era ed io ero rimasta da sola. Questa persona mi ha rincuorata poi è ripartito con la moglie. Dopo un po’ di tempo mi hanno chiamata al cellulare, mi ero scordata di averlo con me, era Marco l’altro mio figlio preoccupato di dove fossi e dicendomi che lui era in strada. Marco andava dalla zia Imelde e mi


ha detto che aspettavano anche me. Con tanto terrore sono partita da quel posto ma prima di raggiungere Marco dalla zia Imelde ho voluto passare a vedere la mia casa. Piangevo, ho ringraziato Dio di avermela lasciata come l’avevo. Grazie a Dio anche se è presente qualche piccola crepa. Sono andata da Imelde. Erano tutti in cortile terrorizzati che mi aspettavano. Subito ci siamo abbracciati poi mi hanno detto della Chiesa che era distrutta, era crollato tutto il tetto della prima navata. Quella terribile mattina che il Parroco Don Ivan era rimasto sotto alle macerie nel tentativo di recuperare delle cose. Insieme a lui erano presenti anche i Vigili del Fuoco ma lui purtroppo era morto. Non ci volevo credere, ma le cose brutte sono sempre vere. E’ stato un giorno interminabile alla sera non si sapeva dove andare, allora tutti nelle proprie macchine. L’appartamento di Marco era inagibile, io in casa non potevo andare a causa dei miei problemi di salute. Per un mese ho deciso di andare a dormire a Modena dalle mie sorelle. Alla sera partivo da Rovereto con tanto caldo per passare la notte a Modena e al mattino presto ripartivo per tornare a Rovereto solo per vedere la mia casa e mio figlio Marco e mi sentivo rincuorata anche se la terra continuava a tremare. Non ricordo esattamente dopo quanti giorni siano passati i Vigili del Fuoco a vedere la casa. Sono Angeli con le ali, mi hanno detto di non entrare in casa ma che non era pericolosa. Dopo tre mesi circa sono rientrata nella mia casa, non descrivo la guerra presente all’interno, ma mi sentivo così stanca, triste e contenta allo stesso tempo. Rovereto distrutto. Le case sono quasi tutte crepate e inagibili. Io stanchissima sono entrata in casa sul mio lettone con tanta paura ma da allora vado in casa con la Grazia di Dio. Rovereto è un paese fantasma, distrutto, solo con la forza e la buona volontà. Forse un giorno ci incontreremo con le persone mancate. Romana Ansaloni


Adesso Basta. Andiamo Avanti di Marcello P Bellodi Nessuno sapeva. Nessuno si immaginava. Mai, fin da quando si ha memoria, nessuno ricorda una cosa simile. Arriva dalle viscere della Terra dove, da secoli ormai, si colloca l’inferno. Ti sorprende di notte, entra nella tua casa fino sotto alle coperte. Ti sveglia, ti lascia impotente e alla fine di tramortisce con un gancio al mento. È il panico, l’impotenza, la paura che sai già non ti abbandonerà mai. “Noi siamo al sicuro, abbiamo un cuscino di detriti che ha lasciato il Po” erano queste le parole che si dicevano. Il terremoto, una delle calamità naturali più distruttive per l’uomo moderno, arriva e in pochi secondi porta via tutto. Tempo, spazio e spirito. Sabato 19 Maggio 2012 – ore 22.40 Le luci della sala si stanno per abbassare, il film sta cominciando. Dark Shadows, l’ultimo film di Tim Burton, è uscito da una settimana. Siamo io, Greta (la mia fidanzata) e una manciata di buoni amici. È un sabato sera come un altro. Il film inizia con un po’ di ritardo, io sono stanco. È un periodo molto intenso: sto organizzando le ultime cose per la prossima pubblicazione del mio primo romanzo ed allestendo il mio nuovo negozio di vini. La trama del film non mi entusiasma, verso la fine perdo colpi e mi addormento per qualche secondo. Usciamo, è una bella serata di fine primavera. C’è solo qualche goccia di pioggia, è leggermente nuvoloso ma la temperatura è gradevole. È bello stare con gli amici, si ride, si scherza, ci si prende in giro. Io e Greta ci vantiamo di aver appena prenotato un week-end a Londra, a settembre. Lei non ci è mai stata. Domenica 20 Maggio 2012 – ore 01.30 Ci salutiamo dandoci appuntamento alla prossima volta. Io e Greta montiamo in macchina e ci dirigiamo verso casa, a Concordia sulla Secchia. Non abitiamo ancora insieme, è un passo che non abbiamo ancora fatto, lo abbiamo programmato però, in futuro ci piacerebbe. Lei abita in un palazzo ristrutturato in centro storico, io a poche centinaia di metri di distanza. È un’abitudine da tanto tempo, il sabato notte mi fermo a dormire a casa sua. Appena prima di salire in casa il cellulare mi segnala l’arrivo di un sms. È mio fratello: “Terremoto?” “No, non ho sentito nulla. Sono appena sceso dalla macchina. Sei sicuro?” “Sì, sì. Anche bello forte. Fa niente, buonanotte”. Ogni tanto capita un terremoto da queste parti. Non è un evento così frequente ma qualche scossa la si avverte. Mi viene in mente che a gennaio sono venute un paio di scosse, avevano epicentro in Lunigiana se non ricordo male, tra la Liguria e l’Emilia Romagna. Mancano pochi minuti alle 03.00 del mattino, siamo a letto e mi tolgo la voglia di vedere sul cellulare, collegandomi a internet, il sito dell’INGV. Infatti poco dopo l’una è stata registrata un scossa di 4.1 della scala Richter. Beh, è andato, penso. Io e Greta ci diamo un bacio e ci auguriamo la buona notte.


Buonanotte. Ore 04:03:52 Sto dormendo, sto sognando. Certo, mi sono appena addormentato. Sento sbattere forte, come se qualcuno stesse bussando con tutti e due i pugni sulla porta. La sensazione è quella di avere tutta la squadra di rugby neozelandese che scuote il letto. Mi sveglio e mi manca il respiro, capisco in un istante che è il terremoto. Alle orecchie arrivano tutti i rumori più spaventosi del mondo. Ci sono gli allarmi delle auto e un boato fortissimo. Il letto continua a scuotersi. Io sono disteso, bloccato. E’ buio. Filtra solo un po’ di luce dagli scuri accostati della finestra della camera al secondo piano di via Pace. Non riesco a muovermi mentre tutto si muove. Riesco solo a girare la testa verso la finestra e vedere il paesaggio che si sposta a destra e sinistra, sopra e sotto. L’unica cosa che mi riesce fare e mettere un braccio sopra Greta, come per evitare di alzarsi. E mi esce solo un filo di voce, anche le corde vocali sono bloccate. «Svegliati! Svegliati!» Sono venti secondi che durano una vita, anche le scene di distruzione dei film di Roland Emmerich durano meno. «Dai dai dai vestiti! Andiamo giù, dai!» le urlo. Lei mi guarda, non capisce. Non riesco a capire se ha capito cos’è successo. Cazzo. «E i gatti?» mi dice Greta mentre fa qualcosa. «Li mettiamo in bagno.» Io mi muovo al buio, cerco di recuperare almeno il cellulare e il Ventolin. Se mi viene una crisi d’asma sono fottuto. Mentre faccio questo mi infilo anche i pantaloni e sbatto violentemente contro la porta della camera. Sento un crick strano al petto e segue il dolore. Una costola. Merda. Greta è nel pallone, non trova i vestiti. Li ha davanti a sé. Un gatto è andato sotto il letto e allora io mi butto di pancia per terra. La costola, merda. Un dolore atroce. Recupero Roger per una zampa, Mia è già stata chiusa in bagno da Greta. «Dai scendiamo, dai!» Facciamo le scale due gradini alla volta. No, l’uscita davanti è meglio non prenderla. Da su via Pace, che è una strada a senso unico che attraversa tutto il centro storico. Se cade qualcosa ci arriva di sicuro in testa. Meglio l’uscita verso l’argine del Secchia. Attraversiamo il cortiletto interno. Ecco il cancello. Ci sono davanti dei calcinacci. Ho paura. Tengo aperto il cancello e dico a Greta: «Corri veloce e vai verso l’argine.» Passa lei poi passo io. C’è altra gente fuori, sbalzata giù dai letti ancora in pigiama. Cazzo fa freddo. Ci guardiamo in silenzio, sentiamo gli scuri sbattere. Sono altre scosse. Una dietro l’altra, di continuo. «I miei gatti, i miei gatti.» «I tuoi gatti stanno bene, sono in bagno» cerco di tranquillizzarla. Ma ho perso ogni certezza e non so neanche io cosa potrebbe succedere. Ogni mia parola è una preghiera a questo punto. «Io voglio i miei gatti.» Arrivano le prime notizie. Chi dice magnitudo 8, chi epicentro Pavullo. Non lo so. Mi sembra impossibile.


Cerco di chiamare i miei genitori ma le linee sono intasate. Rete occupata. Merda. Ho sempre più paura. Suona il cellulare: mamma. «Mamma! Mamma! Tranquilla! Sto bene! Sto bene! Stai tranquilla! Voi?» «Tutto ok! Siamo fuori!» Greta cerca di chiamare anche lei. Senta la sua mamma in lacrime. Stiamo tutti bene. Saranno state le 5.00 passate quando dico a Greta di provare a risalire. Proviamo. Entriamo in casa, raccogliamo un paio di cocci di vetro. Forse passano un paio di minuti e il mondo balla di nuovo. «Via! Via! Giù!» urlo. Torniamo fuori, questa volta su via Pace. C’è il prete con gli occhi sbarrati che dice che la chiesa non sarà più possibile aggiustarla. Un compaesano lo rassicura, ma ha un sorriso beffardo sulle labbra. Sembra essere felice che un pezzo della casa del Signore sia danneggiata. Ho l’impressione che lui creda più in Marx. Greta piange, vuole recuperare i gatti. Allora lo facciamo. L’operazione di recupero è lucida e veloce, meglio che i Marines. Eccoli i gatti nei loro trasportini pochi secondi più tardi. Greta mi guarda e sorride. Meno male. Li sistemiamo in auto e fuggiamo dal centro, andiamo a casa mia. Riesco anche a recuperare il cellulare sul quale riesco a navigare in internet. Su Facebook le prime foto del disastro. Chiese crollate e campanili pendenti. Le informazioni ufficiali sono che l’epicentro è vicino a Finale Emilia, circa ad una ventina di chilometri da noi, magnitudo 5.8 della scala Richter. Verrà poi arrotondato a 6.1 dagli americani. Ore 10.00 Io e Greta ci siamo divisi. Lei è andata a trovare i suoi genitori, io sono rimasto a casa con i miei. Stiamo in salotto, al piano terra. Guardiamo la tv. Ci sono dei morti. Operai che facevano i turni di notte. Cazzo. Mia madre mi offre una camomilla ma lo stomaco è scomparso dal mio corpo. Non riesco a riconoscere neanche uno stimolo. Penso solo che ho voglia di fumare. Ho smesso a novembre. Sento gli amici, sono spaventanti ma grazie al cielo stanno bene. Aspettano come tutti che arrivi mezzogiorno. Le autorità sono passate consigliando di rimanere fuori di casa almeno per sei ore. Scosse continue si suggono, piccole e medie. Le sento tutte. Siamo in veranda e stiamo pranzando. Riesco a mangiare controvoglia un piatto di lasagne. Cerco di convincere Greta a dormire lì da me, a piano terra. Se non altro è più sicuro. Non vuole, preferisce tornare a casa. Vorrei non capirla e obbligarla a stare da me, ma lei si sente più sicura a casa sua. A parte qualche calcinaccio e la Chiesa, Concordia sembra salva. È Finale Emilia, San Felice, Sant’Agostino e San Carlo le zone più colpite. Faccio un giro a piedi, ho bisogno di smaltire l’adrenalina del mattino. Scopro che anche il teatro è crepato e la torretta della stazione dei Carabiniere è stata evacuata e recintata perché è in pericolo di crollo. Torno a casa ma non riesco a stare in nessuna stanza. Sento tremare sempre. Non capisco se sono le gambe o la terra. Allora mi metto in giardino e provo a leggere. Appoggio la schiena al muro e una forte scosse mi sorprende all’improvviso. Era un 5.1. Non ceno, non riesco. Greta è a casa e dice che dormirà vestita sul divano. Si è annuvolato e sta per piovere. Siamo tutti in salotto, io e la mia famiglia, e guardiamo gli aggiornamenti sul


terremoto. Diversi morti e tanti paesi che conosco molto bene sembrano sotto bombardamento. Che disastro, cazzo. Si avvicina l’ora di dormire e nessuno sembra tranquillo in casa. La scelta è una sola: dormire in macchina. Per fortuna la mia auto, una Ford Focus del ’99, ha la possibilità di abbassare i sedili posteriori e creare così un immenso porta bagagli. Io, mio fratello e Jack, il cane, dormiamo lì. Mia madre e il suo compagno nell’altra macchina. Sembra incredibile ma dormo. Piove che dio la manda e la mia costola è molto, molto dolorante. Però dormo. Crollo. Svengo. Non lo so cosa sia successo di preciso. So solo che al mattino, con la macchina piena di condensa, non mi pare vero. Qui, in una zona dove almeno quattro generazioni si sono raccontati di stare tranquilli, non è mai avvenuto un terremoto distruttivo. Magari qualche inondazione, quella del Secchia, quella del Po. Mai una cosa simile. Non riesco a piangere. Ma rimango in silenzio, non c’è altro da dire. Penso a Greta. Lunedì 21 Maggio 2012 – ore 10.21 Compro un pacchetto di Pall Mall azzurre. Vaffanculo voglio fumare. Finisco il pacchetto ne compro un altro e finisco anche quello. Le scosse di assestamento, o repliche come le definisco i sismologi, continuano con il ritmo di una o due all’ora. E in casa si sentono. Allora esco all’aria aperta, dove il cielo non può rovinarmi addosso. Ho passato due anni di lavori precari e, ora che sto per aprire la mia enoteca a Carpi, arriva il terremoto e ferma tutto. Ci diamo qualche giorno per vedere come andare avanti ma il negozio deve aprire, ho bisogno di soldi. Succede anche che il mio romanzo d’esordio sta per essere pubblicato a Luglio. Bel momento per il terremoto. Controllo il sito dell’INGV e tengo monitorata ogni scossa guardando i vari epicentri e la magnitudo. 2.3 – 3.4 – 4 – 2.1 e vattelapesca. Non si fermano. Greta va a lavorare, ha l’ufficio a Modena. Là è tranquillo. Io non lo sono. La parole “tranquillo, relax, riposo” sembrano appartenere ad un’altra vita. Il paese cerca di tornare alla normalità ma è difficile. Sono tutti stanchi, nessuno ha dormito. Si ha solo la forza di contare i danni e programmare come andare avanti. Sento al telegiornale i nomi dei paesi che ho sempre frequentato ed è davvero strano. Qui non è mai successo niente se non odore di merda nelle estati afose e nebbia grigia in inverno. Il grano e il mais sono appena cresciuti nei campi. Martedì 22 Maggio 2012 – ore 3.37 Non riesco a stare in casa. Non riesco a dormire. Circa due ore fa ho tentato di mettermi tranquillo sul divano in salotto, vestito e con le scarpe ai piedi, ma non c’è niente da fare. Il mio corpo vuole essere vigile. La mia omeopata, sapendo quanto sono ansioso, mi aveva prescritto uno spray non più di due settimane fa. Me lo spruzzo sotto la lingua ma non conta. Esco di casa e passeggio. Faccio tutto il paese a piedi, due volte. Mi metto le mani nei capelli e continuo a non crederci. Quanto tempo passerà prima che passi la paura? Quanto tempo prima di tornare alla normalità? Non posso rispondermi ma mi auguro si una passaggio veloce. Passo davanti anche a casa di Greta, guardo in alto verso le finestre del secondo piano. La luce


è accesa. Chissà se dorme. Di sicuro non era al buio e avrebbe avuto la tv accesa. Non la voglio lì. Non la voglio da nessuna parte. La voglio con me lontano da qua. Sono quasi le 5.00 del mattino quando oltre l’orizzonte le luci dell’alba prendono il posto dell’oscurità. Rientro in casa, faccio appena in tempo ad appoggiare la testa sul cuscino che mi addormento. Dormirò appena quattro ore durante le quali si susseguiranno almeno cinque scosse di lieve entità. Giovedì 24 Maggio – ore 11.50 Anche stanotte non ho dormito, ho vagato di nuovo per il paese cercando di diluire l’ansia. Era quasi mattino quando mi sono seduto su una panchina del parco ad accarezzare un gatto. Sembrava non curarsi molto del terremoto. La sera prima io e Greta abbiamo cenato insieme a casa sua. Ho usato tutta la mia forza di volontà per non farle notare il mio disagio a stare lì dentro, così in alto. Quella era una casa piena di bei momenti, di ricordi meravigliosi. Mi sentivo così in imbarazzo a provare tutta quell’ansia. Abbiamo cenato ma sapevo già che quel pasto l’avrei digerito con difficoltà. Non osavo immaginare quanto tempo ci sarebbe voluto per smettere di avere quei pensieri. Dopo le mie tre ore di sonno mi arriva un messaggio di Christian: “Ti va di fare un giro al lago? Ci lasciamo alle spalle il terremoto.” “Ok.” Un paio d’ore più tardi siamo a Bardolino. Lì sembra che nessuno sappia cosa sia successo un centinaio di chilometri più a sud. Sediamo su una panchina ad aspettare che il tempo passi. Non siamo in vacanza, è più una fuga. Ragioniamo, pensiamo, ricordiamo. «Sai, ho letto che c’era stato un terremoto a Trieste, era successo in giugno di non so quale anno. Beh, a settembre, è arrivata una scossa ancora più forte» mi dice Chrstian. «Ah bene, ci mancherebbe solo quello. Così è volta buona che mando tutto a fare in culo e me ne vado a Porto Rico a vendere banane.» «È sismico anche là. Ti sei già dimenticato di Haiti?» Cazzo. Venerdì 25 Maggio 2012 – ore 21.29 Siamo in un ristorante in provincia di Mantova, appena sotto al Po. Ci siamo ritrovati in alcuni amici per esorcizzare il terremoto. Non che fossi molto contento di chiudermi in un ristorante ma la struttura in cemento armato mi conforta. Marco non l’ha sentito il terremoto, era ad Amsterdam con la sua fidanzata. Michele dice che la fabbrica biomedicale per la quale lavora non ha subito grossi danni, si è staccato qualche pannello del controsoffitto. Si parla delle bestie rimaste sepolte dalle stalle crollate. Delle forme di parmigiano andate rovinate. Dell’aceto balsamico rovesciato per terra. Nel ferrarese sono spuntanti delle crepe dalle quali è uscita della sabbia proveniente dal vecchio corso del fiume Reno. Pare che San Carlo, una frazione di Sant’Agostino, stia letteralmente sprofondando. Annuncio che ho ricominciato a fumare in un “oh” di disapprovazione. Domenica 27 Maggio – ore 17.46


Non sono riuscito a dormire da Greta. Lei ha capito. Siamo partirti e siamo andato al lago. Là si riesce a pensare a qualcos’altro. Ci gratifichiamo mangiando una coppa gelato gigante a Desenzano. Ancora una volta mi ritrovo su una panchina a fissare il lago, a lasciare che il tempo faccia il suo corso e faccia smettere tutte queste piccole scosse che non ne vogliono sapere di cessare. Sotto ai nostri piedi c’era ancora energia pronta a sprigionarsi. Commentiamo la notizia che a Ferrara, quasi cinquecento anni prima, era venuto un terremoto analogo. Si dice ci fossero voluti oltre quattro anni per permettere alla terra di assestarsi. Lunedì 28 Maggio 2012 – ore 10.17 Sto entrando nello studio del mio medico. Le poche ore di sonno mi stanno facendo impazzire. Sono nervoso. Mi risulta difficile anche programmare i prossimi interventi da fare in negozio a Carpi. L’apertura è imminente e io non riesco a capire quello che devo fare. Il dottore mi prescrive del Lexotan, 10/15 gocce prima di dormire. Lui consiglia di partire con 5 per le prime volte. Certo. C’è un operaio su un tetto che mette a posto delle tegole. Se viene una scossa (ce ne sono state più di trenta stanotte) lui è nella merda fino al collo. Quella sera prima di addormentarmi sul divano prendo 20 gocce di Lexotan e le scosse non le sento, dormo. Martedì 29 Maggio 2012 – ore 4.10 Mamma mi ha chiesto di accompagnarla a Grosseto per lavoro. Lei ha un ginocchio gonfio e non riesce a guidare. Si tratta di star via una notte. Non sono tranquillo quando partiamo, lascio Greta a casa. Il sole deve ancora sorgere. Percorriamo tutta la Parma-La Spezia e scendiamo lungo la costa toscana. Sono le 8.00 quando Greta mi manda un messaggio col buongiorno. Lei va a lavorare più tardi stamattina. Verso le 9.00 vengono i pompieri per controllare un paio di crepe in casa. Secondo quello che si dice se non sono ad X non sono pericolose. Ore 09.02 Siamo a pochi chilometri da Grosseto. Ci fermiamo in un bar per prendere qualcosa da mangiare. Mamma va in bagno e io guardo una foto appesa al muro. Ritrae due signori anziani abbracciati al comandate Francesco Schettino, Costa Concordia 2011. Passano trenta secondi e Federica Panicucci annuncia che c’è appena stata una forte scossa in provincia di Modena. Panico. Chiamiamo subito a casa ma i telefoni sono fuori uso. Greta. Papà. Alessandro, mio fratello. Michele. Christian.


Panico. Il cellulare di Greta squilla. «C’è appena stata una scossa fortissima!» mi dice piangendo. Non riesce a parlare. Io sto per vomitare. Torniamo a casa, di volata. Ripercorriamo la strada appena fatta a tutta velocità. Mamma ha paura che esageri con l’acceleratore. Riusciamo in un qualche modo a metterci in contatto con tutti. Papà è ok, è sceso di casa di corsa. Alessandro è a scuola a Carpi, sta bene. Michele è ok. Christian se l’è schivata per un pelo. Era uscito dall’ufficio qualche secondo prima, se fosse stato lì durante la scossa gli sarebbe crollato il controsoffitto addosso. Papà al telefono mi dice che a Concordia è crollato tutto. Merda. Via Pace è un disastro, gli edifici si sono sbriciolati. Tutto il tetto della chiesa è venuto giù. La gente sta evacuando il centro storico. L’epicentro è tra Mirandola, Cavezzo e Medolla. 5.8 della scala Richter. Ci vorranno più di quattro ore per tornare a casa e io sono inutile. Io e Greta ci sentiamo ancora un paio di volte. La sua voce è rotta dal panico e dalla paura. Di nuovo i gatti sono rimasti su in casa. Non ha fatto in tempo a metterli nelle gabbiette che aveva preparato a fianco alla porta di ingresso proprio in caso di necessità. Dice di essere caduta, forse, non ricorda. Nel momento della scossa era appena uscita dalla doccia, ha appena fatto in tempo a infilarsi una maglia e scendere in strada. Ore 12.58 Abbiamo appena passato l’uscita di Reggio Emilia quando Greta mi chiama e con ancora più panico e ancora più singhiozzi mi dice che c’è stata un’altra scossa. Fortissima. Così tanto che la gente in strada si è dovuta sedere per terra per non perdere l’equilibro. Ho pianto cercando di tranquillizzarla. Non abbiamo fatto in tempo a finire la conversazione che altre due scosse radono al suolo ciò che a Concordia non era ancora crollato. Tre scosse 5.4, 4.9 e 5.2 nell’arco di dieci minuti. Piango e il panico mi prende la gola. A Carpi, appena prima di uscire dall’autostrada, vedo un muretto di cinta tutto crollato sulla corsia di emergenza. Paghiamo il pedaggio ma rientriamo subito perché ci informano che non è possibile raggiungere Concordia da lì. Sia Novi di Modena che Rovereto sono rase al suolo. Quindi prendiamo l’uscita di Pegognaga e, vagando per piccole strade di campagna, arriviamo a Concordia. Una fabbrica, vicino a dove vado a correre, ha la facciata completamente divelta. E’ morto un uomo, leggo da internet sul cellulare. Colpito da calcinacci mentre usciva dalla banca in centro. Un altro morirà d’infarto poco dopo. Greta mi ha detto che sarebbe stata al parco comunale vicino a casa mia. Tutto il paese è al parco “Pertini”. Tutti piangono e si disperano. Ci sono auto e ambulanze ovunque, vigili del fuoco e protezione civile. Cazzo, siamo in guerra. Sento una signora urlare al proprio padre anziano di andare in Toscana. Il teenager magrebino che singhiozza e vomita sul prato. Vedo anche i miei vicini di casa che mi guardano senza dire una parola.


Scorgo Greta in lontananza, corro verso di lei e la abbraccio come mai ho fatto prima. È molto, molto provata. «Andiamo via, andiamo a lago! Adesso andiamo via!» le dico tirandola per un braccio. «E i gatti? I gatti sono su! Li devo andare a prendere!» «No! Non ti faranno mai salire. Andiamo a lago, i gatti stanno bene.» In realtà non lo so. Ho paura che la sua casa si sia sbriciolata come le altre con le ultime scosse che sono venute. Greta piange, non si da pace. Allora le prendo il viso tra le mani, la guardo negli occhi e le sussurro: «Ascolta, andiamo a lago, domattina ti riporto qui e andiamo a prendere i gatti. Promesso.» Lei mi guarda, ha tutto negli occhi. «Promesso?» «Promesso.» Saliamo in macchina, premo sull’acceleratore. Siamo a lago prima di sera. Martedì 30 Maggio 2012 – ore 14.12 Greta, accompagnata da un pompiere, ha recuperato Roger e Mia. Stanno bene e mi sciolgo in un pianto liberatorio. Alcuni mesi dopo… Siamo tornati a Concordia. Adesso viviamo insieme. Non era il modo con cui gliel’avrei voluto chiedere a Greta di convivere. Avevo pensato a qualcosa di più romantico. La sera, quando mi metto a letto, non ci credo. Non ci crederò mai. Non può essere successo. Non qui. Se faccio girare un mappamondo e lo fermo con un dito, non punterò mai Concordia sulla Secchia. Il terremoto è l’argomento più frequente. Una volta quando non si sapeva cosa dire si parlava del tempo, ora di parla di eventi sismici. Sono diventati termini comuni: epicentro, inagibile, demolizioni. Questo mostro ci ha tolto tanto, ma per alcuni è stata anche un’opportunità di cambiamento. È stato causa e motivo di chiusura di tanti capitoli di vite mediocri, di vite che non avevano il coraggio di cambiare. È stato fonte di disperazione. La Bassa, che io ho sembra visto nel mio immaginario come una specie di vecchio West. Di lunghe e larghe distese di nulla. Dove proprio l’unica cosa che accadeva era il nulla. Poi un giorno è successo tutto. È incredibile come il cambiamento non si sviluppa attraverso il tempo, ma è questione di pochi secondi. Alcuni momenti e la vita cambia. È nell’arco di pochi istanti che lo spermatozoo feconda l’ovulo, che si da alla vita un figlio, che si sviluppa un bacio, che ci si innamora, che si uccide una persona, che si sprigiona un orgasmo, che si delude una persona, che si elabora un offesa, che finisce un matrimonio, che la terra si muove e il castello di carte cade giù. Miliardi di anni di evoluzioni e pochi secondi per cambiare. Adesso basta, andiamo avanti. Ogni sera prima di dormire prendo 10 gocce di Lexotan.


Sai, hanno tirato giù il tuo bar. Io ho cominciato a conoscerti lì, noi ragazzine passavamo davanti al bar in bicicletta sempre velocemente, tirandoci la gonna sulle ginocchia, perché voi eravate sempre tutti lì, sotto la tettoia a fare i commenti su chi passava. Io vedevo che tu mi guardavi e una volta mi hai fermato, mettendo la mano sul manubrio della mia bicicletta, nel portapacchi c’era seduta mia sorella, che ero andata a prendere a scuola, lei si è spostata di lato per vedere e io mi sono sbilanciata, sono arrossita e anche impappinata. Ci dividevano tante cose: idee; età; le tue esperienze; la mia inesperienza. Ma tu, proprio davanti al bar, ad un amico hai detto mentre io passavo: “quella lì me la sposo”. Fra di noi c’è sempre stato il bar, anche quando ero incinta, allattavo o i bambini erano piccoli. Ho dovuto dividerti con il bar. Dai proprietari storici ne sono passati tanti di baristi. Dalla coppia di mezza età ai giovani soci che si credevano di fare i soldi semplicemente turnando, non sapevano quanto tempo e fatica richiede un bar. Poi c’è stato quello che prima ha avuto un ristorante, poi altri ancora e adesso i cinesi e tu sempre lì, non sei mancato un giorno. Anche se stavi male un giro lo dovevi fare. Dovevi timbrare il cartellino giornaliero dicevo io per farti arrabbiare. Abbiamo litigato per il bar. Se succedeva qualcosa a casa, di sera, come portare o andare a prendere qualcuno dei ragazzi, o come quella volta che il più grande, imitando la “slot-machine” ha ingoiato 100 lire, che era poi meglio se erano 200, l’ha detto anche il dottore, la moneta era più piccola e sarebbe passata per la gola e anche più in fondo. Comunque c’era da andare al pronto soccorso, dovevo telefonare al bar. Mi rispondeva il barista e mentre ti cercava sentivo i rumori dei bicchieri, delle tazze, delle voci e delle risate. Anche più avanti col cellulare, a parte le volte che lo lasciavi in macchina, il tempo che rispondevi sentivo gli stessi rumori dei bicchieri, delle tazze, le voci e le risate. Quanto tempo mancato alla famiglia e ai figli, ma eri così e allora ho imparato a convivere con il bar e a sorridere delle battute mentre passavo e tu eri appollaiato su una “pirla” di sedie di plastica e fumavi l’ennesima sigaretta e col tuo modo di difenderti da chi diceva che era meglio se stavi un po’ a casa che c’era tanto da fare. Hanno tirato giù il tuo bar, invece la nostra casa non ha una crepa: per forza l’ha costruita il papà, dicono i ragazzi. Ma la frattura più grande l’abbiamo dentro. La terra che ha tremato ha accelerato quello che speravamo o piuttosto volevamo fosse lontano, così da poter festeggiare i nostri quaranta e i tuoi settanta e vedere dopo quella “sghibbia” della Zoe, come la chiamavi tu, la nascita di Milo che, dai, un po’ ti stimavi e lo dicevi al bar che avresti avuto un nipotino. Vedessi com’è dolce, ha il sorriso che gli parte dagli occhi, a volte succedeva anche a te che volevi fare il rospone ma gli occhi ti tradivano. Han tirato giù il tuo bar e anche tu te ne sei andato. Se ci fosse stata una qualche forma di funerale, impossibile in quei momenti, non ci sarebbe stato neanche il luogo dove fare una sosta come fanno in quelli che si fermano davanti ai monumenti con la banda. I nostri ragazzi hanno detto che tu dovevi essere finalmente libero ed era farti un torto rinchiuderti nel cimitero, che poi a te non piaceva, il cimitero, non ci entravi mai e non ci saresti entrato mai, neanche morto. Ti hanno accompagnato con le chitarre e le canzoni che amavi e adesso stai scorrendo nel


Secchia e vai verso il mare. Amavi il secchia, il tuo fiume, sì, tuo anche quello perché lì ci sei nato e lì hai imparato a nuotare. E io sono qui, con la fronte appoggiata all’inferriata e le dita delle mani infilate nella rete metallica e guardo lo spazio vuoto. Il nulla del tuo bar. Hanno portato via anche i rottami e adesso si vede un po’ di pavimento, quello stracalpestato. Ma ci pensi quante persone, in quanti anni sono passate li sopra?! Lo vedo ondeggiare ma solo perché piango. Penso a tutto quello che non c’è più. Sai, Vittorio, hanno tirato giù il “Bar Sport”, si, proprio il tuo bar.


Vicissitudini La prima lunga scossa del 20 maggio, la paura, gli oggetti più cari distrutti, primi danni alla casa. Va bene. Poi quelle terribili, devastanti , implacabili del 29. Sentire sotto i piedi il terreno che scuote e ribolle, parte della casa crollata. Va bene. E poi la demolizione della casa da parte dei Vigili del Fuoco: vederla ferita, straziata, abbattuta. La perdita di tante cose care e di parte della tua vita. Va bene. Perché il terremoto è, a suo modo, innocente; non ha coscienza del male, è un evento naturale. Ma quello che rivela un progetto di una mente perversa e che non può essere assolutamente accettato è ciò che dipende dalla burocrazia e dagli uomini e che gettano te, povero terremotato, in una dimensione Kafkiana e ti fanno prigioniero nel castello. Esempio: a seguito dell’ordinanza del Sindaco un tecnico Enel fa un sopraluogo e assicura che ci avrebbe mandato al più presto qualcuno per spostare i contatori, visto che la demolizione sarebbe avvenuta due giorni dopo. La casa è stata demolita ma non si è visto nessun tecnico Enel. E così i contatori sono andati distrutti….. ovviamente. Ed ora, per riavere il riallaccio con un contatore nuovo, prima mi dicono che devo pagare 500 euro… poi invece che si deve fare una richiesta per il ripristino forniture, ma non si sa quanto costerà.....Tutto questo con continui viaggi tra il Comune di residenza e quello dove ha sede l’ufficio Enel provvisorio…… e le lunghe estenuanti code. Ma non doveva essere tutto più snello e semplice in questa situazione di emergenza ? Per poter ripristinare lo stato precedente al terremoto (non solo per l’Enel), è un vero e continuo calvario. Questo no, non lo posso proprio giustificare. Non va bene. Simonetta Cini


Terremoto La fretta, si sa, è una cattiva consigliera: “la gatta frettolosa fece i micini ciechi” (dice il proverbio), ma anche l’attesa troppo prolungata non è giusta ed è usurante. Venti giorni forse possono sembrare pochi, ma sono un’eternità e una tortura per chi vorrebbe salvare ciò che ancora resta, per chi aspetta che l’ingranaggio della messa in sicurezza e dei puntellamenti si metta in moto. Perché non si abbatte ciò che è oramai irrecuperabile e pericoloso? Esempio per tutti: la torretta dei carabinieri, di cui tutte le autorità preposte hanno deciso l’abbattimento, è ancora al suo posto, impedendo così a molte famiglie di rientrare nelle proprie case, e questo perché non si sa ancora a chi spetta il lavoro di abbattimento! Perché non si puntella e non si mette in sicurezza ciò che ancora può essere salvato? Perché non si tolgono le macerie ? Perché si manda l’esercito che non si può impiegare perché non ci sono i soldi per pagarlo? (ma poi non lo paghiamo già ?) Perché non si decide finalmente di intervenire? Cosa si aspetta e chi si aspetta? Questa situazione di attesa è divenuta insopportabile, la gente vuole fare, vuole muoversi, non vuole rimanere ad aspettare inoperosa. O forse si deve aspettare che sia il terremoto a decidere, e che, continuando scossa dopo scossa, faccia piazza pulita e il deserto totale? Coraggio Emilia non fermarti, fai vedere che sei viva e presente, fai vedere la tua capacità di reazione la tua tenacia e la tua determinazione nel raggiungere ciò che vuoi! Forse non ci sono i soldi ? ma allora tutti quelli di cui si sente parlare dove sono e dove vanno? Per favore non assistiamo anche ora alla solita beffa, se ci sono i fondi usiamoli, e subito. La gente chiede, fa domande, ma le risposte sono vaghe, poco chiare, depistanti, la gente vuole fatti e invece si sentono solo parole, parole, parole…. Simonetta Cini


TELEFONATA ALLE ORE 4.25 Trasalii. Il trillo nella notte risucchia i sogni, è allarme e presagio funesto. Allungo la mano in basso, alla mia destra e, afferrando incerta l’apparecchio, mi siedo svelta sul letto. “Antonè! Antonè ma c’è stato il terremoto lì da te?” No ma’ , io non l’ho sentito, mi sveglio ora…. Meno male… Chissà dov’è stato…La scossa qui è stata forte, non hai idea! Chissà dov’è venuto…Ho pensato anche che fosse stato da te…. State attenti! Siete tutti giù? Tutti tutti! E chi ci sta in casa! Siamo tutti fuori! Ci metto del tempo a riprendere sonno. Penso a tutti loro, ai miei, agli amici, alle persone più colpite. Chissà dov’è venuto. Perché il terremoto arriva come una bestia inattesa a sconquassare la quiete, a far scricchiolare ogni cosa con le sue fauci potenti, a scardinare per farsi strada seminando terrore. Nel novembre ’80 prese tanti noi della terra calda di tufo e solfatare, dei boschi e monti freddi dell’entroterra che non conoscono il libeccio né la trasparenza e i colori di cui fa dono il grecale. Penso a mio padre che in terra tellurica ci è nato e ci ha lavorato, che in napoletano ha litigato o discusso di calcio e di politica, che in tedesco ha comunicato per lavoro, che in latino ed italiano ha citato autori per trasmettere pensieri alti e nobili. Penso a mio padre che si ritrova nell’Emilia di sua moglie, di mia madre, tra gente che usa un dialetto con le sue vocali aperte e con sonorità a richiamare le truppe napoleoniche, così distante dai richiami al catalano, allo spagnolo e al greco del partenopeo con cui tante volte si è raccontato e si racconta ancora del terremoto di Casamicciola. E avrà di certo pensato, correndo via da casa verso uno spazio aperto, “pare o’ terremoto e’ Casamicciola!” Verso le 6.30 circa… Mi risveglio da un sonno leggero, accendo tv e radio sperando di non trovare conferme. Le immagini sul comune di Sant’Agostino non lasciano dubbi: immagini di macerie, di ingombri e ferite negli edifici avvolti in quello che viene percepito da chi guarda come un silenzio insidioso e drammatico.

Nei giorni a venire mi parlano con intensità delle loro e delle altrui traversie, degli smarrimenti, delle fatiche, dei senza tetto, delle notti in tenda o in macchina. Percepisco una socievolezza nuova e un’angoscia che ha trovato facilmente dimora in ciascuno di loro. L’altra scossa, come un colpo di coda fa il resto. Radica paure e conferisce al presente e al futuro un’incertezza smisurata cui nulla possono gli argini della ragione. A distanza di alcuni giorni dall’ultima scossa . Cesarina Antonella tutto è giù! Sono stata a Cavezzo, alla Motta, a Rovereto, a Mirandola…I campanili, le case, la mia chiesa, la nostra casa sembra che non abbia subito nulla, ma se ti avvicini vedi le ferite: non ho più i miei punti di riferimento. Neppure al cimitero della Motta si può entrare… non si può andare a trovare il nonno. Niente, niente. Quello che è rimasto in piedi, anche quello che è rimasto su verrà buttato giù. La Via di Sotto con le case del cinquecento, del settecento…


Ti ricordi la casa della signorina Pia? E quella dei Lodi? Te le ricordi che belle? Finito, non c’è più niente. Niente. Fabrizio Io in casa non ci torno. Ce ne siamo andati subito a Fossoli dove abitano i miei suoceri e abbiamo piantato la tenda. I bambini ne sono contenti, sai come sono… e poi, con l’estate, si divertiranno. Ma con l’ultima scossa è stato forse peggio, anche se eravamo già sotto la tenda: la campagna sembrava attraversata da una grande biscia sotterranea che muoveva la superficie. Sembrava il mare: spaventoso. Prima di ottobre non rientro. Io e Greta ci stiamo proprio organizzando bene. Anna Per Rovereto no si passa. Sassi, calcinacci, crepe, inclinazioni innaturali, crolli, crisi di nervi. E’ un caos. Siamo tutti accampati nel giardino della Margareth. Lei è forte. lo sai, ma con i bambini è dura. Io posso entrare in casa a prendere ciò che mi serve solo accompagnata dai vigili del fuoco. Ma non mi sembra che ci siano dei danni a vederla così. Lo sai quanti sacrifici abbiamo fatto io e Paolo per la nostra casa! La casa della Margareth invece ha subito, sai? Si vede…Chissà…Non sarà più come prima…. Francesco Zia lo sai che c’è stato il terremoto? Siamo scesi di corsa io e la nonna. Via via, diceva la nonna! Zia, lo sai? Non era mica una esercitazione! Quelle le abbiamo fatte a scuola con le maestre. Zia, tutto si muoveva. Io lo so com’è il terremoto. Zia, forse dopodomani papà e la mamma mi portano al mare. Augusto Il palazzo si muoveva: sentivo i sassi che si muovevano nei muri mentre correvamo giù dalle scale. Anche il ferro si sentiva…In casa è caduto di tutto. Meglio non attaccarsi troppo alle proprie cose, vero? Ce lo siamo detto un sacco di volte. Vedi, basta un terremoto e tutto si rompe e finisce. La fabbrica poi chissà se la rivediamo. Non ci posso pensare….Verrò da te, sì, figurati se non veniamo…fammi organizzare e partiamo. Antonella Conte


VOCI E RISONANZE A PROPOSITO DELL’ESPERIENZA DEL TERREMOTO NELLA BASSA MODENESE URLA “Le urla di donne e bambini: questo per me è stato il terremoto. Non sono mai stato pessimista. Non ho temuto che crollasse tutto, che perdessimo ogni cosa perché per me il terremoto come apocalisse, come distruzione colpisce il nostro Sud”. FRAGILITA’ “Sonni fragili e leggeri ancora oggi come in quei giorni”. ESILIO “Ho vissuto come in esilio; l’esilio dalla mia casa, dalla mia intimità, da quei ritmi che oggi riconosco come l’ancora cui era aggrappata la mia semplice quotidianità. Essere straniera nella mia terra, avere perso di colpo quei riferimenti che avevano accompagnato la mia crescita ” PAURA “Per giorni ho sofferto di una paura costante. Era una paura sottopelle che mi metteva in costante allerta e che mi rendeva guardinga, sempre. Anche oggi mi ritrovo ad osservare il lampadario, a smettere di respirare se una vibrazione mi coglie all’improvviso, qualsiasi sia la sua origine, come se qualcosa di sinistro e oscuro possa inserirsi nella mia vita e darle una nuova forma, comunque incontrollabile e indesiderata” CAMBIAMENTO “Ci ha colpiti all’improvviso il cambiamento, un cambiamento del carattere e dello sguardo. Credo che la gente non sia più la stessa” FATICA “Il miscuglio colorato di genti e di etnie che abitavano il campo autogestito nei giardini pubblici ha caratterizzato almeno un mese della mia vita da terremotato. Ma non era una festa pur avendone – da una certa prospettiva – le sembianze; era tutto una fatica sostenuta per qualcuno dalla fede e, per altri, dalla speranza che ogni cosa ritornasse a posto, che l’ordine individuale e collettivo riprendessero la loro naturale forma” SNODO “Fu pervasiva la percezione che la mia esistenza fosse ad uno snodo” SOSPENSIONE “ Si impadronì di me una sensazione di sospensione: il tempo non era più lo stesso ed io mi ritrovavo a muovermi come se avessi smarrito la mia mappa interiore” Antonella Conte


TERREMOTO TI SCRIVO “TERREMOTO SEI ARRIVATO E CI HAI SCONVOLTO LA VITA” E’ arrivato in sordina durante la notte del 20 maggio ,quando proprio era la festa del Patrono della mia città , e ci ha svegliato di soprassalto; il letto tremava violentemente . Ci ha fatto riversare tutti nelle strade e nelle piazze, ma pensavamo che come altre volte finisse lì. Noi in Emilia Romagna siamo abituati ai terremoti da una botta e via. Invece il giorno dopo dai telegiornali abbiamo saputo che gravi danni si erano avuti nel Ferrarese, però pensavamo di nuovo che finisse lì, anche perché per una settimana non si è fatto più sentire. E noi abbiamo ripreso la nostra vita di sempre convinti che a noi ancora una volta non toccasse. Invece martedi 29 maggio alle nove si è fatto risentire e ancora più forte alle 13,20. Questa volta abbiamo visto i palazzi oscillare, abbiamo visto le macchine saltare sull’asfalto, i televisori cadere per terra assieme a tutti ciò che era in bilico sui mobili, i muri sgretolarsi. Questa volta ci ha preso la paura vera. Allora tutti siamo scesi in strada per cercare luoghi all’aperto, mentre le sirene suonavano all’impazzata. Sono state lesionate le nostre chiese, le scuole, l’ospedale, diverse abitazioni nel centro storico e non. E siamo stati fortunati; in paesi vicini è andata molto peggio. Abbiamo dormito in macchina, nei garage, sotto le tende sempre con un occhio chiuso e uno aperto e ogni minima vibrazione era un sussulto. Siamo scappati al mare o in montagna quando non era ancora stagione di ferie e ci siamo sentiti ancora peggio, perché eravamo lontano dalla nostra casa che abbiamo scoperto, ora che l’avevamo persa o rischiavamo di perderla, che era il bene più prezioso dopo la nostra vita e quella dei nostri familiari. Però abbiamo riscoperto altri valori, come la solidarietà e l’amicizia. Ci siamo sentiti meglio nel condividere la paura coi nostri vicini di casa, quando tutti assieme scendevamo dopo anche una piccola scossa, come pure nel condividere con loro pane e salame o una pizza fredda nel giardino condominiale. Le famiglie si sono riunite. Chi era messo meglio dava ospitalità a chi era messo peggio e si dormiva in tanti in una camera o in un garage come non accadeva dal dopo guerra. Per non parlare dei volontari che sono accorsi in nostro aiuto, delle tante manifestazioni che sono state fatte per raccogliere fondi per la ricostruzione, delle donazioni via sms. Ora a cinque mesi dal terremoto abbiamo recuperato il nostro bel centro storico, parzialmente l’ospedale e le scuole e questo grazie anche alla nostra forza che ci ha permesso di non piangerci addosso, ma di attivarci per la ricostruzione. Presto speriamo di poter rientrare nelle nostre chiese abituali per dire una preghiera o di ritornare nel nostro bel teatro o di poter usufruire a pieno del nostro ospedale. Sono certa che ci riusciremo. Adesso però che tutto è ritornato normale, la gente sembra ritornata quella di sempre. La gente ha fretta; non c’è più il tempo di scambiarsi due parole . Ognuno è ritornato nelle proprie case, mangia alla propria tavola. Sembra ci si sia già dimenticati di quello che è accaduto solo alcuni mesi fà e che aveva avvicinato gli uni agli altri. La paura però è rimasta. Ad ogni minima vibrazione dei vetri, ad ogni cigolio dei mobili, ad ogni rumore strano il cuore salta in gola. C’è anche chi, e non sono pochi, che alla sera prepara ancora su una sedia borsa, scarpe e giubbotto, pronti per la fuga.


Speriamo non ce ne sia mai pi첫 bisogno. Rosanna.


Quando il terremoto da sempre ti ha spaventata la cosa che non vorresti accadesse mai è essere vegliata nel cuore della notte da un boato assordante e lo scricchiolio delle mura di casa che sembra si spezzi in due con i tuoi figli che dormono; ma invece di prenderei bimbi e scappare tu rimani paralizzata, come se qualcuno ti avesse legato le gambe; strano eh!!!!!!!!! Speri che finisca presto, speri che il prima possibile questo rumore smetta e che non succeda mai mai più; ma hai la spaventosa sensazione che purtroppo non sarà così........ I bambini fortunatamente in quel momento non avendo mai vissuto l'esperienza del terremoto non se ne rendono conto; vengono svegliati dalle urla del papà ed io sempre immobile a sedere sul letto. Nei giorni successivi la paura è tanta, di notte si dorme male ma vedi che all'apparenza sembra tutto abbastanza tranquillo, fino a quella maledetta mattina.... Il bimbo grande a scuola, i due più piccoli pronti per l'asilo, quando ricomincia tutto di nuovo, senti quello spaventoso boato che ti entra nel cervello e non ti lascia più ma prima che tu riesca a rendertene conto comincia a caderti tutto addosso. Corri a scuola a prendere tuo figlio, vedi il terrore negli occhi dei bambini, sei nel panico e non sai cosa fare ma nel momento in cui hai i tuoi bimbi accanto per quanto sia possibile sei più tranquilla, ma sei isolata, non riesci a comunicare con nessuno e finchè non hai notizie di tuo marito e dei tuoi cari non sarai serena anche perchè l'unico suono che si comincerà a sentire ininterrottamente è quello delle sirene, sirene e ancora sirene. Con la scossa dell 12.54 pensi che il mondo stia finendo che la terra ti risucchi e si porti tutto dietro. La sera scappi, porti via i bimbi perchè è stata una giornata infernale, la terra non smette mai di tremare e tu non riesci nemmeno più a pensare; scappi dalla tua città ma non dalla tua mente, perchè non vivi più; ogni minimo rumore al quale prima non avresti mai fatto caso adesso ti fa morire, morire di paura, sembra che il cuore ti esploda. Di notte non dormi più e quando ti corichi speri di addormentarti il prima possibile e di non svegliarti nel cuore della notte, perchè così se viene qualche scossetta forse non la senti. Vedi i tuoi figli anche mentre giocano coprirsi le orecchie con le mani e gridare" mamma c'è il terremoto!", perchè adesso purtroppo lo conoscono bene, sanno cos'è e hanno paura. "Bimbi il terremoto è andato lontano, non c'è più!" e mentre lo dici speri che sia così perchè non vuoi più rivivere quei momenti e non più rivivere quelle sensazioni. Cerchi di riprendere in mano la tua vita e provi a tornare alla normalità............. Un abbraccio a tutte le persone che hanno perso i propri cari, la propria casa e la tranquillità. Barbara da Carpi


LA MIA CASA TREMA Tutto è cominciato la notte del 20 maggio, quando, in pochi attimi ancora immersi nel torpore del sonno, abbiamo dovuto prendere atto che il nostro brusco risveglio era stato causato da una scossa di terremoto di intensità, per noi emiliani, incredibile. Moltissimi i cittadini che hanno vagato per il centro del piccolo paese forse per vedere eventuali danni, o forse spinti dal desiderio di scoprire la reazione di altre persone per trovare che tutti eravamo sgomenti allo stesso modo. Nonostante ciò, pochi temerari sono tornati a dormire e non si sono curati della scossa che è seguita nella stessa mattinata; ma gli altri, rimasti scioccati dall'evento, hanno dormito per qualche sera nelle stanze più vicine alla porta d'ingresso. Io credo che la maggior parte di noi modenesi, non molto ferrati in materia “terremoto”, abbia dato l'evento per finito, ovvero: “le gnu e le belée che andèe”; anche se non si parlava d'altro, continuando la vita quotidiana con la solita routine, ritenendosi fortunati visti i danni subiti dai vicini comuni del ferrarese. La mattina del 29 ero sdraiata sul mio letto. Ancora in pigiama, guardavo un quotidiano on-line sullo smartphone, quando due grosse braccia hanno afferrato la mia casa, l'hanno scossa da una parte all'altra, su e giù e io correvo verso la porta, con i mobili che barcollavano, i vasi che cadevano alle mie spalle, sentivo i cocci infrangersi sul pavimento, le tapparelle ondeggiare e per la prima volta nella mia vita ho sentito il rumore dei muri. Quel suono ha spezzato qualcosa dentro di me, hanno acceso la consapevolezza che esiste una forza che può rompere anche i muri di una casa, così si è spenta la mia sicurezza. In quel momento mi sono sentita come una cavia in gabbia mentre la mano del ricercatore la sta per afferrare, rassegnata ad un destino di cui non è padrona. Riuscivo a pensare soltanto ai miei genitori e ai miei parenti, chiedendomi se loro fossero illesi. Forse per la prima volta nella mia vita ho vissuto la paura. Non sapevo che ci sarebbe stata un'altra scossa poche ore dopo, precisamente all'una del pomeriggio e che l'epicentro di quella sarebbe stato proprio il mio paese, Novi di Modena. Quel giorno, quel 29 maggio 2012 la terra d'Emilia ha tremato ininterrottamente per ore e all'una di quel pomeriggio credo che tutti i novesi abbiano pensato all'apocalisse. Le urla giungevano ovunque, la disperazione era nell'aria e tutti ci siamo chiesti “come facciamo ad andare avanti?”. Io e la mia famiglia abbiamo messo in piedi un campo privato nel giardino di una delle nostre case. Abbiamo montato quattro tende e grazie alla solidarietà di amici e conoscenti abbiamo recuperato un camper e una baracca da cantiere. Usufruendo di due gazebo, tre garage, una doccia costruita all'aperto con tre pali e un bagno chimico, abbiamo vissuto all'aperto per un mese in circa diciotto persone. Io credo che la nostra forza fosse proprio lì, in quel numero così elevato per uno spazio piccolo


e inadeguato. Legami familiari quasi perduti si sono rafforzati e parlando di quello che ci stava succedendo, di quello che stavamo provando abbiamo tentato di ristabilire un equilibrio precario che vacillava ad ogni nuova scossa. Soprattutto quella della domenica successiva che ha fatto definitivamente crollare la torre già martoriata della nostra piazza. Ho visto tutti disperarsi per quel crollo, un simbolo d'identità perduto. Io non riuscivo a rammaricarmi per quella perdita, il mio pensiero andava a tutte quelle persone che continuavano a perdere le loro case a causa di quelle scosse e mi rendevo conto che mai come in quel momento i simboli per sentirci uniti erano stati così inutili. Erano decenni che la nostra comunità non si sentiva tale e proprio un evento catastrofico ci ha fatto provare il bisogno di condividere. Conoscenti che non si salutavano da anni si sono fermati per strada a parlare; vecchi amici si sono abbracciati per farsi forza; innumerevoli chiacchierate sul disastro hanno allungato le passeggiate per il paese martoriato; inaspettate visite di cari residenti in comuni lontani hanno fatto aggiungere posti a lunghe tavolate apparecchiate all'aperto. Sono stati questi i migliori calmanti dall'effetto di gran lunga migliore a quello dell'En e dello Xanax, perché oltre a calmare l'anima hanno scaldato il cuore. I controlli nelle case sono stati tempestivi e, fortunatamente, la mia e quelle degli altri ospiti del nostro campo sono risultate agibili. Ma ci mancava il coraggio di tornare. Così abbiamo prolungato la nostra permanenza all'aperto. Poi il caldo ha dato una spinta ai nostri pavidi cuori e siamo rientrati. Molte volte mi è tornata alla mente la prima frase della minacciosa prefazione che Primo Levi antepose a “Se questo è un uomo”, rivolta a tutti noi che non possiamo dimenticare gli orrori della seconda guerra mondiale. Recita così: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case...”. No. Noi non viviamo più sicuri nelle nostre tiepide case segnate da crepe che cerchiamo maldestramente di nascondere. E ora anche noi abbiamo bisogno di non essere dimenticati. Elisa Turci Novi di Modena, 29 Agosto 2012


Vita da campo dei Salici Sono le 3 di notte del 21 Luglio 2012…torno al campo e le luci della mensa sono tutte accese…”un’altra scossa? Accolgono altra gente fuori casa?” Per fortuna mi sbagliavo…era solo il Ramadan! Attenti, come in ogni occasione, gli addetti ai lavori anche questa notte son qui. Ogni esigenza cerca di essere accolta, ogni richiesta cerca di essere soddisfatta, provano ad alleviarci le giornate, a sollevarci gli umori, a capire i bisogni, ad ascoltare gli sconforti….talvolta ci riescono, talvolta….. Sono trascorsi due mesi dalla prima scossa che ci ha cacciato fuori di casa, anche se in principio la nostra risultava agibile. Il 29 maggio sera dovevamo tornare a casa. Forza e coraggio saremmo tornati nel nostro letto, nella nostra camera dalla quale non riuscivamo ad uscire quella notte. Purtroppo non abbiamo più avuto il tempo di decidere perché il 29 mattina l’incubo è tornato, alle 13 è tornato ancora e sembrava proprio che tutto sarebbe sprofondato da un momento all’altro. “Incredibili tutte queste scosse” - “Assurdo” - “Non ne possiamo più” - “basta è un incubo” Queste le citazioni più frequenti della folla. Chi avrebbe mai pensato che senza casa ci si sentisse così: senza più alcun equilibrio, come camminare lungo una linea quando prima avevi la strada intera…e bisogna stare attenti a non cadere, a non cedere mai. mancano i propri riferimenti, tutto diventa necessario, nulla di quello che avevi è più sotto controllo. Mai avrei pensato di “desiderare” un cassetto dove riporre le maglie, un comodino su cui appoggiare il mio libro, stendere il bucato in terrazza, prepararmi la colazione, fare uno spuntino prima di andare a letto, fare la spesa, le lenzuola matrimoniali anziché due letti singoli….adesso mi ritrovo a non poter accendere le luci quando alla sera torno in tenda per non svegliare gli altri, la colazione viene servita negli orari in cui io ancora dormo, devo infilarmi il pigiama sotto le lenzuola o nell’antitenda (l’unico posticino che abbiam potuto adibire a camerino), ovviamente non puoi specchiarti, fai la doccia con i sandali, la mattina il risveglio è il solito: afa afa afa. Quante sensazioni stra-positive sa regalare la propria casa, quanta intimità, senso di famiglia, di calore, di protezione, di rifugio. Ma io queste cose le sapevo! Non avevo bisogno di una prova così ardua! E’ necessario che però io ringrazi assolutamente qualcuno…qualcosa. La tenda ha saputo però darmi sicurezza durante le successive scosse. Qui nulla può accaderci. Il cuore parte all’impazzata ma rimani a letto, non scappi via perché qui nulla può crollare. Tiri più su il lenzuolo, speri che la tua casa non l’abbia “sentita troppo” e provi a tornare a dormire. La Branda ha sostituito egregiamente il sedile dell’auto. Le gambe hanno trovato un vero sollievo dopo 5 notti di macchina e ne ha beneficiato anche il lavoro il giorno dopo. I Pompieri …che scoperta! Ed io che credevo spegnessero solo il fuoco e poco altro…più volte sono state le nostre guardie del corpo. Insieme a me hanno raccolto quanto poteva servirmi ma poi ti accorgi che tutto può servirti, nulla vorresti lasciare. avrei voluto chiudere in un pacchetto la mia casa per portarla tutta con me. Avevo voglia di mettere a posto tutto anziché portare via, prepararmi un caffè e dar da bere alle mie piante. Un grazie particolare ai


Vigili del Fuoco di Frosinone! Il Capo Campo sempre presente, i primi giorni non riuscivo a capire quand’è che andava a dormire tanto che lo vedevo lì a lavoro. L’organizzazione è stata perfetta, ogni giorno migliorava qualcosa. Il Capo Campo non si è mai stufato di darmi spiegazioni, ha sempre speso del tempo con ognuno che lo cercava….e lo cercavano anche 10 persone al minuto! Protezione Civile e Croce Rossa che cercano di renderci la tendopoli dignitosamente abitabile. Durante gli Europei di calcio si è potuto tifare Italia! I vicini di letto e di tenda, qualcuno ex vicino di casa. Quanta gente ho conosciuto, quanta gente ho apprezzato, quanta gente ho riscoperto. Quando tutto sarà realmente finito e torneremo nelle nostre adorate case organizzeremo una grande festa di condominio! Grazie a mio marito che mi ha sempre convinto ad avere fiducia nel nostro futuro, una sicurezza che magari aveva poco lui stesso ma che preferiva dare completamente a me per farmi stare bene. Alle nostre famiglie sempre pronte ad aiutarci ma soprattutto ad ascoltare i nostri sfoghi, provando a farci vedere oltre il terremoto, oltre questo brutto stop che proprio non ci aspettavamo. Lo sappiamo che in qualche modo faremo…diciamo che avremmo volentieri fatto a meno! Ma quante cose non avremmo capito? Quante cose non avremmo imparato ad apprezzare? Quante priorità cambiano e quante passano in secondo piano? Un vigile del fuoco diventato poi un amico l’ha definito TERREMOTION…mi piace già di più come termine. Una cosa di cui sono certa è che la serenità sarà la conquista più difficile…. Imma Grauso (27 anni) Viale delle Tende N° 53! Reggiolo


PARTE II POESIE


20 Maggio 2012

Notte funesta, impetuosa, travolgente che buttavi giÚ dal letto tutta la gente la qual si riversò di fretta nei cortili, nelle piazze come uccelli impauriti,uno stormo di gazze. Ancora molti non avevan compreso che un evento funesto molte cose aveva leso ed in un balen tolto le vite ad alcune persone che lavoravan in una fabbrica: buone, buone. Il cielo era buio ed il sol non era ancor spuntato, ma tante auto giravan:sembrava un paese fatato, strano, incomprensibil colpito da una mano crudele che sparge del mal e offre da bere del fiele. Alcune persone durante le prime luci del giorno, mentre se ne stavano ad una radio intorno appresero con grande sgomento che tanti paesi eran stati distrutti in un solo momento. Chiese abbattute, torri pendenti, ma di certo non erano fatiscenti; case senza tetto e travi per terra assomigliava ad un bombardamento durante la guerra. La mano crudele non contenta di ciò il dÏ 29 altre vite,case e capannoni accasciò; provocando alle persone una grande ed ulteriore paura con molte scosse forti in tutta la pianura.


Da allora c’è chi alloggia nel campo della Protezione Civile nella roulotte o in tenda dietro al cortile; le persone si arrangian nei migliori dei modi e si raccontan tra lor, del misfatto,tanti episodi.

Questo evento nella gente non ha provocato ribellione ma al contrario: fatto fiorir solidarietà, collaborazione; come da tempo non riuscivamo più a notare e che per la nostra società ha un effetto davvero salutare. Infin tra le persone par diminuita la distanza: è scomparsa, lasciando il posto alla carità e alla speranza di rivedere tutto com’era il giorno diciannove con tanti opifici,chiese e case nuove.

Stefano Mantovani


SE QUESTO È PIANGERSI ADDOSSO Vedo una coperta colorata, con un ciuffo di pelo nero, sul verde prato, arcobaleno sconfitto. Vedo una signora, all'alba, smarrita nella camicia da notte, fantasma tra condomini. È una fortuna essere vivi. Vedo una gamba fuggita dal baule, ai piedi di un palazzo. Ma se cade il palazzo, si salverà? Nessuno lo può dire. È una fortuna avere un'auto. Sento bisbigli tra cespugli di alloro: c'è gente che dorme, o almeno ci prova. È una fortuna avere un giardino! Sento il mio amico, rimasto senza casa e senza lavoro. È single, e in tenda non c'è posto per ora. Le tende, sono per le famiglie. È una fortuna avere una famiglia. Vedo strade spaccate, che odorano di rabbia e lacrime. Sputano piaghe. Vedo l'ombra rotta dei castelli, là dove bambina andavo a giocare. La terra trema ancora, la gente urla e piange. Il mio amico è pellegrino nella sua terra, tra la casa di un amico e l'altra. Borbotta, cerca i terremotati veri, quelli che avranno gli aiuti. Per ora, tra una casa e l'altra, paga l'aumento della benzina, per aiutare i terremotati che non conosce. In emilia diciamo che a volte è meglio tacere che parlare. È una fortuna poterlo dire. Barbara Rossi


Povera Emilia Povera Emilia con le gambe rotte stramazzata al suolo spaccato dall’umano terremoto tallonato ancora come allora dalla famelica subsidenza della terra che cerca l’antica consistenza (: è lo stallo alla deriva il mallo da mangiare in vita) E tutto per la mazzetta prepotenza di affaristi misti per l’indolenza sospetta di politici stitici Ora il tuo lavoro decoro di brava gente ubbidiente che tiene botta nella precaria rotta punta il futuro nel recupero del passato vagheggia di ritornare a prima Ma le macerie deleterie e le sabbie di scabbie letali intorno hanno stralunato la tua dolce piana Povera Emilia mia un tempo così salda e sana È la battaglia la tua prossima faglia 30 giugno 2012 Nadia Cavalera


NOI SU QUESTA TERRA Noi, che abbiamo perso il dialogo con la natura, che la sfruttiamo a dismisura, noi, che non ci curiamo dei guai che le rechiamo, sicuri decidevamo delle nostre vite, or siam costretti all’angolo a leccarci le ferite. Noi, così forti e potenti, ora ci ritroviamo fragili e impotenti di fronte a tali imprevedibili eventi.

Luciana Tosi giugno 2012 Poeta dialettale, che nell’esperienza da terremotata si esprime anche in lingua. Luciana Tosi Nata Carpi il 30-1-46 abita a Carpi in via Sallustio,10 -41012 tel.059691643….cell.3389170175 verdeprato@virgilio.it www.lucianatosi.it Autorizzo l’uso dei miei dati e i miei testi solo per utilizzo iniziativa raccolta testi terremoto.


INCREDULA Boato assordante di belva inferocita. Incredula dentro alla forza prepotente, che aggredisce violentemente, m’assale la paura, non c’è tempo per un qualsiasi ragionamento, solo desiderio di fuggire, scappare. Sentivo e vedevo la casa crollare. Io, che mi ritenevo padrona della mia vita, ora mi sento inerme, di fronte all’improvvisa violenza di una terra impazzita.. Luciana Tosi giugno 2012


Dopo il terremoto Passano i giorni si placa la tempesta, non possono esser giornate a festa, ma di resoconto. Si raccolgono le briciole di una vita intera, e si tamponano le ferite delle menti. Si annodano i fili dei ricordi spezzati dalla furia degli eventi. Luciana Tosi giugno 2012


Stà tera (al teremoot) Sta tera, acsè robùsta e delicheda. Acsè pêra e despêra, acsè frèda, e riscaldeda, la per ferma ma l’è agiteda. Sta tera, fata d’sàbia, d’aqua, ed tùtt ed gnìnt, tra inferen e paradìs, le in bàlìa dl’agìnt, Sta tera, acsè brùta acsè bèla, acsè meltrateda la se anch arvulteda. Lè, cla sa vìst a nàser e a murìr, le pròunta a quacêrès dopo l’ultem respìr. Luciana Tosi Questa terra Questa terra, / così robusta / e delicata, / così pari / e così dispari, / così fredda / e così riscaldata, / sembra ferma, / ma è agitata. / Questa terra, / fatta di sabbia / e d’acqua, / di tutto / e di niente, / tra inferno e paradiso, / è in balia / della gente. / Questa terra, / così brutta / così bella, / così maltrattata / lei s’è ribellata. / Lei, che ci ha visto / nascere e morire, / è pronta a ricoprirci / dopo l’ultimo respiro. Luciana Tosi


PARTE III RI-COMINCIARE


Reggiolo 21/07/2012 21/07/2012: Quasi due mesi dopo il terremoto, stamattina ho trovato il coraggio di entrare in casa mia ed è stato come ripiombare in un incubo che sembra non avere fine. Di Reggiolo si è parlato forse troppo poco, lo stabile di casa mia è stato dichiarato inagibile e ancora non sappiamo –venti famiglie- quale sarà il nostro futuro. Si parla di una ricostruzione lenta, si metterà tutto al suo posto, ma niente sarà più come prima. Nessuno mi ridarà più le cose che con mio marito e con tanti sacrifici, avevamo comprato. Ci si fa forza dicendo che l’importante è essere ancora vivi, certo che sì, ma la nostra dignità dov’è finita? Viviamo in un campo allestito dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa, ma siamo numeri. Non abbiamo più dei nomi, solo numeri per registrare le nostre entrate ed uscite. Si fa la fila per ogni cosa, anche per i pasti,ed è lì che forse si tocca il fondo. Sentirsi rifiutare un pezzo di formaggio perché hai già preso l’insalata non è bello; avere solo una merendina a colazione quando magari ne mangeresti volentieri un’altra ti fa sentire una cosa di poco conto. Ciò non toglie nulla al lavoro egregio che tutti hanno fatto e continuano a fare per noi; persone deliziose anche se poche in realtà, che sono state capaci di piangere con me quando mi hanno salutato poiché andavano via per lasciare il posto ad altri volontari. Ma noi tutti rivogliamola nostra vita, le nostre case! Vivere con tanta gente non è sempre facile, si ha voglia di volere spazi propri per riordinare le idee o anche solo per poter piangere. Certo la solidarietà tra di noi c’è, personalmente ho avuto modo di conoscere tanta gente eccezionale magari, chissà,mi mancheranno anche se so che ormai saranno importanti per me e non le perderò più di vista. La domanda che mi pongo è un’altra: “riuscirò a dimenticare tutto?” Credevo di sì ma rientrare in casa stamane anche solo per pochi minuti mi ha fatto tornare indietro a quei giorni. Danni ne avevo già subiti il 20 maggio, ma almeno lo stabile era ancora agibile. Ma le scosse del 29 maggio hanno distrutto in una manciata di secondi tutta la mia vita e quella di altre persone. Si ha la voglia di ricominciare, di sistemare le cose, ma mi accorgo che è la mia mente ad over accettare la cosa. Forse devo ancora rendermi conto di cosa è successo, che non ho più una casa e che almeno per un paio d’anni non potrò più rientrare nel mio appartamento. le mie cose sono tutte sparse sul pavimento e non ho avuto il coraggio e la forza di spazzarle via.Gli psicologi del campo fanno un ottimo lavoro, ma è dentro di te che devi trovare la forza di reagire. Se solo la terra smettesse di tremare sotto i nostri piedi Forse sarebbe tutto più facile. Ad ogni movimento torna la paura; paura che si cerca di esorcizzare quando ci ritroviamo dopo cena tutti in cerchio e magari parlando delle nostre esperienze riusciamo anche a riderci su. Ma poi vai in tenda, dove non c’è riposo perché c’è sempre chi entra e chi esce e ti fa svegliare dopo che con tanta fatica sei riuscita ad addormentarti, dove sempre un bimbo piange disperato ed allora ti viene anche rabbia perché a casa tua c’era pace, silenzio , solo il russare di tuo marito che pure ti era insopportabile, ma adesso non so cosa darei per udire solo quel suono. Ti alzi al mattino per andare al lavoro e sei più stanca di prima, vai in cerca del bar per un caffè perché al campo la cucina è chiusa e al lavoro devi dare sempre il massimo . per quanto può durare tutto questo? Dove sono gli aiuti che a gran voce si pubblicizzano? Ci si arrangia da soli,come si può, ci si aiuta come meglio ci si riesce. Lo staff dei volontari sta facendo grandi cose, c’è una persona che vorrei menzionare, anche se non so se posso farlo.


Forse se leggerà queste parole capirà perché tante volte gli è stato detto. E’ la persona che ha organizzato tutto, che ci ha dato un riparo ed ha allestito tutto il campo, a lui tutto il mio ringraziamento e la mia ammirazione. E noi andiamo avanti, giorno dopo giorno,tra mille difficoltà sperando di non essere dimenticati ora che il terremoto non è più notizia di apertura di TG. E come ci diciamo tutti da due mesi. Siamo vivi e miracolati, il resto non conta … forse ….. NOTO GIUSEPPINA viale RESPIGHI 8 REGGIOLO 3394544349


Il mio terremoto Il terremoto per me è un mostro con tre teste, una per ogni parte di me. Come moglie il terremoto è stato un disastro, ci sono stati danni, crolli, crepe nelle proprietà della famiglia di mio marito. Come individuo, come singola persona, il terremoto è stato la paura che ti coglie di sorpresa, la paura che non ti aspetti, che non sei pronto ad affrontare, che mai penseresti di dover affrontare…noi siamo cresciuti con la convinzione che il terremoto fosse un problema di altri, non nostro. Noi credevamo “di essere al sicuro”, credevamo che la nostra zona non fosse zona sismica…credevamo…ed invece…sbagliavamo. Come mamma, invece, il terremoto, questo terremoto è stato, e sempre sarà, uno scqualo con la cq. Verrà il giorno in cui parlerò del terremoto con i miei bambini. Non so quando sarà, ma so esattamente cosa racconterò. Il mio ometto l’ha vissuto, stava finendo la prima elementare, la mia Principessa, due anni, era troppo piccola per rendersi conto di ciò che stava succedendo. Racconterò cosa è successo, racconterò le scosse, racconterò che non lontano da noi ci sono stati crolli e vittime. Racconterò la corsa in auto con il papà a prenderli a scuola, racconterò che ci siamo trasferiti per un mese a vivere dai nonni perché a casa loro, che abitano al piano terra, il terremoto si sentiva di meno. Racconterò tutto, perché è giusto che sappiano cos’è il terremoto e cosa è successo. Ma a loro non racconterò mai la paura. Quella no. Della paura loro non sapranno mai niente. Quella paura che mi è entrata dentro, nell’anima e nel cervello e che non vuole andare via, di quella no, con loro non ne parlerò mai. Non racconterò che il 29 maggio, finita la scossa, mentre scappavo per le scale di casa nostra, vedevo quei tre piani, quegli scalini che invece che diminuire aumentavano sempre di più. Non racconterò che mentre scendevo, in quella dimensione dilatata, dove un secondo ti sembra lungo un’eternità, ho avuto la lucidità di pensare che se fossi stata con loro due, mai e poi mai sarei riuscita a scappare. Non racconterò che quel gioco che facevamo per le scale, io con la mia Principessa in braccio e il mio ometto a fianco, quella gara a chi arriva prima, lanciati in una corsa disperata era in realtà una sorta di esercitazione, per scappare, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno…Non racconterò che i “tacchi”, le scarpe col tacco alto, le ho sostituite con delle ballerine non di certo per un fantomatico mal di schiena…no i tacchi li avevo abbandonati perché con le ballerine si corre più agevolmente, soprattutto se hai una bimba di due anni in braccio. Non racconterò i pensieri che hanno affollato la mia mente mentre correvo a scuola. La paura di trovare un cumulo di macerie. La paura di non riabbracciare più i miei cuccioli. Non racconterò nemmeno la sensazione di impotenza che ho provato quando sono tornata a scuola, a metà giugno, dopo che l’anno scolastico era stato interrotto proprio il 29 maggio, a prendere lo zaino del mio bambino. Quell’aula abbandonata, i quaderni e i libri aperti sui banchi, i fogli di un compito in classe bruscamente interrotto. E il pensiero che il mio cucciolo si era riparato sotto quel banco. Da solo. Era lì sotto da solo. Certo io non potevo esserci…però ci ho pensato…eccome…in quel momento, in quel pericolo, lui era da solo, io non c’ero, non ero lì a proteggerlo. Racconterò invece che quando sono andata a recuperare lo zaino, sul banco ho notato subito il foglio del compito in classe, un compito sulle “parole difficili” con la c, la q e cq. E quella parola…scqualo…scritta con cq. E racconterò anche la spiegazione che mi ha dato il mio


bambino. “Mamma se tutte le parole che derivano da acqua si scrivono con cq, anche squalo deve avere la cq, visto che lo squalo vive in acqua”. E, senza voler mancare di rispetto a nessuno, senza voler essere irriverente nei confronti di chi ha subito ferite ben più profonde delle mie, probabilmente mi scapperà un “benedetto terremoto che ci hai salvato da uno scqualo con cq”. Ballerina Bianca


Generi di prima necessità di Marco (e Marcella) Manicardi L'altro giorno abbiamo smontato e caricato e spostato letti e armadi dalla casa inagibile dei nonni, poi abbiamo chiuso a chiave per sempre la porta. Ma prima di farlo, prima di girare per l’ultima volta la chiave nella toppa, col cuore che piangeva, io e mio padre siamo andati nel solaio tutto crepato e abbiamo tirato fuori la macchina da cucire della nonna. Quando gliel’abbiamo portata, forse per la prima volta da tantissimo tempo, ho visto gli occhi di mia nonna inumidirsi. Ha sorriso e ha detto «oh, là, questa è proprio la mia». È una vecchia CASER fissata su un tavolino di legno tarlato, con la pedaliera in metallo, che forse è di ghisa, secondo me. L’ha comprata nel ’53 già usata. «Non l’ho proprio comprata» dice mia nonna dopo qualche minuto di silenzio e contemplazione, «l’avevo vista da una signora, mi piaceva, l’ho scambiata con un una cassetta di mele.» Dopo, mia sorella ha scritto una cosa su facebook. Una cosa che fa così: Poi ti ritrovi a svuotare e smontare completamente la camera dei nonni, perché lì, nella loro casina che per loro era come un castello, per niente moderna ma tenuta con tanto amore, piena di ricordi e di abitudini… ahimè, non ci potranno più vivere. Guardo negli occhi la nonna che, per non pensarci, sta a casa mia a cucinare qualsiasi cosa gli sta passando per la testa e poi guardo negli occhi il nonno, che invece è là a guardare il figlio e i nipoti che smontano e caricano sul furgone un pezzo della sua vita. Entro in casa e prendo una M&M’s (che adora), gliela porto, la mangia ma è arrabbiato, il cuore è spezzato. Li vedo, sono abbattuti, delusi, arrabbiati con un nemico invisibile che in pochi secondi (un po’ per volta) gli ha portato via tutto ciò che con fatica e sudore si erano costruiti per poter vivere una vecchiaia serena. Li vedo così, con reazioni diverse, ma entrambi seri e in silenzio. Cercano di farsene una ragione, che in realtà non si faranno mai. Cercano di non far vedere troppo la sofferenza che stanno provando, ma che negli occhi si vede comunque, solo per non far stare peggio noi che gli siamo vicini. Ci penso e l’unica cosa che mi viene da fare è piangere, ma non mi faccio vedere. Io, come mio fratello, in quella casa ci sono cresciuta. Se non tutti i giorni, al massimo ogni due giorni, andavo là per fare due risate e soprattutto per fargli fare due risate. Dopo sì che erano felici, dopo sì che anche io ero felice sapendo di averli resi felici. Da oggi non potrò più dire “vado dai nonni”; da oggi non potrò più fare arrabbiare la nonna presentandomi all’ultimo secondo a casa sua per pranzo o per cena, senza averla avvisata almeno qualche ora prima; da oggi non potrò più andare là e dire “dai nonno, vieni con me! – e lui perplesso: ma indua? – Nonno non preoccuparti, andiamo!” e anche se un po’ nervoso per non averlo avvisato prima, veniva sempre. Ci ripenso e l’unica cosa che mi viene da fare è piangere, ma non mi faccio vedere.


Ecco, nei giorni appena successivi alle scosse, giravo sempre col cane al guinzaglio e una borsina con dentro il computer, il caricabatterie del cellulare, la carta di credito e due o tre libri, anche se era un periodo che leggere era fatica. Son fatto così. Mio suocero, Gianfranco, che non è mai uscito dalla sua casa piena di crepe, nella zona rossa di Carpi, che non c'è stato proprio verso di farlo uscire, anche se ci abbiam provato, ma niente, quando gli abbiamo chiesto cosa gli serviva, ci ha detto: sigarette e Lambrusco. E noi glieli abbiamo portati. «Siete la mia protezione civile», ci ha detto. È fatto così. Mia nonna, Ada, sfollata in un camper davanti a casa dei miei, a Novi di Modena, quando siamo andati a recuperare le sue cose col carriolino e lei ha iniziato a capire che forse non sarebbe mai più rientrata nel posto in cui ha abitato per almeno cinquant’anni, ecco, le prime cose che ci ha fatto portar fuori, prima ancora dei vestiti e dei giabanini di valore, sono state: il casco per la permanente (perché le signore son signore in ogni situazione), l’asse per la sfoglia (perché «tua madre ha un tavolo che non va mica bene»), due o tre mattarelli e farina e uova (perché anche se casca il mondo bisogna fare delle torte). È fatta così. Ed è proprio vero, mi vien da pensare, quello che diceva un mio amico cantautore un paio di giorni dopo la prima scossa del 20 maggio, e cioè che «l’unica cosa positiva di un disastro è che ti fa riconsiderare le priorità, e non so se sia il karma, lo ying e lo yang o chissà che cosa, però è indubbio che ti rimette a posto il cervello per quel che vale la pena di avere e vivere. Poi, piano piano, ti scordi tutto e ritorni un cretino. Chissà quale delle due è la nostra vera indole.» Siam fatti così.


2012: Un anno senza primavera Non voglio dimenticare quello che abbiamo vissuto in questa maledetta primavera dell’anno 2012; passeranno i giorni, i mesi e gli anni e le sensazioni sbiadiranno e perderanno concretezza e drammaticità. Raccontando su questi fogli quello che è successo mi auguro che, anche a distanza di tempo, riuscirò a restituire emozione ai miei ricordi e a fare tesoro di quello che questa terribile esperienza mi ha suo malgrado insegnato. Tutto comincia nella notte tra un sabato e una domenica di maggio, il 20 maggio, per la precisione. La primavera del 2012 è stata inclemente e ci aveva sommersi di pioggia e grigiore in ognuno dei week end e delle festività che il calendario ci ha proposto. Sfidando condizioni meteo indecenti ci siamo regalati comunque alla fine di aprile un imprevisto viaggio a Parigi che ha aperto una finestra di incanto ed emozione che rimarrà come un piccolo spiraglio positivo in questo anno sfortunato. Era l’anno della 5° liceo di mia figlia Giulia, che a causa di verifiche e prove d’esame non è potuta venire con noi in Francia. Era l’anno della comunione d mio figlio Simone; il 13 maggio piove, ma la cerimonia nella nostra bella San Nicolò è stata piacevole, poi abbiamo festeggiato in famiglia. Il pranzo a casa nostra è stato buono e abbondante e nelle foto sorridiamo felici con nonni, zii e cugini (sono venuti a trovarci anche Andrea e Beba con i gemelli). Poi arriva il week end successivo, quello del 19 e 20 maggio, ancora freddo e piovoso e, per rallegrarci un po’, abbiamo chiamato gli amici di sempre da noi per il sabato sera. Andiamo a dormire rilassati dopo prolungate chiacchiere. All’improvviso, alle 4 di notte, uno spaventoso boato ci sveglia e la casa comincia a scuotersi violentemente per interminabili secondi. L’impressione era quella di un treno che stesse passando al piano superiore. Nel mio letto grido e istintivamente mi copro la testa con le braccia immaginando il crollo del soffitto da un momento all’altro. Il rumore sovrasta ogni cosa e inghiotte ogni possibile ragionamento. Quando finisce, vedo Simone in piedi a fianco del nostro letto e urlo chiamando Giulia, immaginandola già in pericolo. Arriva anche lei e ci abbracciamo per darci un po’ di conforto. Per terra vediamo dappertutto pezzetti di intonaco ad imbiancare i pavimenti con la loro polverina sottile e dopo i primi momenti di smarrimento, Giulia si mette a spazzare per terra per ripristinare un minimo di ordine. La aiuto anche io e poco alla volta ci rilassiamo quel tanto che ci permette di tornare a letto. Alle 5 un’altra forte scossa ci sveglia di nuovo, ci alziamo e guardiamo giù per strada per vedere se i nostri vicini erano usciti: qualcuno è fuori, ma il freddo di quella notte ci fa comunque preferire restare a casa e di provare a riposare ancora un po’. Le nostre esperienze passate, almeno di noi 2 adulti, ci avevano insegnato che dopo la scossa, se nulla di grave è successo, ci si può permettere di pensare che il peggio è passato e si può provare a rilassarsi. Simone si trasferisce nel lettone col papà ed io mi sdraio nel letto di Simone, senza riuscire a riprendere sonno profondamente. Verso le 6.30 mi alzo e in cucina accendo la radio, spostando la sintonia da Radio Deejay a Radio Bruno, per capire cosa era effettivamente successo intorno a noi. Già a quell’ora un cronista stava descrivendo la drammatica situazione di paesi come S. Felice


sul Panaro, Mirandola e Finale Emilia che hanno purtroppo ospitato sotto di loro l’epicentro di questo tremendo terremoto. Chiese, campanili e molti capannoni industriali sono crollati e le macerie hanno ricoperto impietosamente i luoghi centrali della vita di quei paesi, a noi così vicini. Sette persone purtroppo hanno perso la vita e solo l’orario notturno, ha permesso di non trovarsi di fronte ad una strage. A Carpi la situazione è meno grave e noi ci dedichiamo alle pulizie di casa per rimuovere la quantità di calcinacci depositati su ogni superficie e contiamo le crepe che disegnano con il loro zigzagare tutti i contorni dei soffitti, preventivando con dispiacere la spesa necessaria per porre rimedio al danno. Nel plumbeo pomeriggio usciamo per una passeggiata in centro ed osservare con i nostri occhi la città: sono crollati alcuni merli del castello e in piazza vengono disposte transenne per impedire il passaggio a fianco dei portici e sotto al castello. Camminiamo al centro della piazza e sotto una pioggia sottile scambiamo sguardi sbigottiti con gli altri passanti. Nel mio negozio a fianco del Duomo c’è solo qualche scatolina caduta, nulla di più. La domenica scorre con il telegiornale di sottofondo, ma la percezione è comunque quella di una grave disgrazia che dopo avere prodotto i suoi effetti distruttivi piano piano si allontana. Il lunedì le scuole restano chiuse per precauzione, ma il lavoro procede regolarmente.

Nei giorni che seguono avvertiamo con ansia lo sciame sismico, che comunque sappiamo essere la normale fase di smaltimento dell’energia che la scossa principale ha liberato. In un paio di occasioni, le scosse sono abbastanza forti da fare uscire i bambini da scuola in orari anticipati. Tuttavia, ci sembra ancora che tutto ciò rientri nella normale evoluzione e, facendoci forza di alcune esperienze passate, aspettiamo fiduciosi che la nostra terra si a poco a poco tranquillizzi. Il mercoledì Giulia comincia a lamentarsi per un forte mal di gola e i suoi linfonodi si ingrossano dolorosamente nel collo. Cominciamo la terapia antibiotica che, rivelandosi inefficace, si potenzia con un paio di giorni di iniezioni. Al sabato la febbre di alza e le tonsille sono talmente gonfie che fa fatica a passare l’aria. Facciamo un prelievo di sangue, ma intanto mi sento molto in ansia per l’aspetto terrificante della sua gola. La domenica, in preda alla paura che i rantoli del suo faticoso respiro peggiorassero ulteriormente, la porto da un otorino, che le diagnostica la mononucleosi, diagnosi poi confermata dai risultati degli esami. La terapia con cortisone non produce effetti immediati e ci prepariamo a trascorrere giorni difficili con febbre alta, nausea, inappetenza e fatica terribile a respirare. Dopo un week end finalmente con il sole, ma dominato dall’ansia, il lunedì vado in negozio e lavoro normalmente, sperando in giorni migliori. La sera telefono alla prof. di spagnolo di Giulia per avvertirla che dovrà restare assente per un tempo indefinito: la preparazione della maturità si preannuncia molto faticosa …


Il mattino dopo, quello del martedì 29 maggio, lasciamo Giulia a letto e io e mio marito Afro accompagniamo Simone a scuola. Dobbiamo andare a portare la vecchia tv della nonna Edda in discarica e quindi alla CNA a ritirare la dichiarazione dei redditi. La discarica apre più tardi e quindi andiamo negli uffici della CNA, quelli al terzo piano sopra l’ex Coop in viale Peruzzi. Aspettiamo una decina di minuti, poi l’impiegata ci riceve in ufficio. Chiede la carta di identità ad Afro per fotocopiarla e, mentre si alza, un nuovo boato ci sovrasta ed il mondo comincia a scuotersi con una violenza spaventosa. I muri e il pavimento si muovono sospinti da una forza brutale producendo un frastuono assordante e l’istinto è solo quello di urlare e di scappare verso l’uscita. Sento la voce di Afro che mi grida di non scendere dalle scale e riesco a fermarmi sul pianerottolo vicino ad un pilastro di cemento. Quando il pavimento torna ad essere un appoggio stabile, mi butto distrutta su una sedia: appena il cervello riprende a funzionare viene invaso dal terrore per le persone care. Piangendo cerco di telefonare a casa, ma il telefono non funziona e ci precipitiamo al parcheggio, lanciando una occhiata sgomenta alla grossa crepa verticale che si è aperta nell’edificio della CNA. Afro va a scuola a prendere Simone e mi fa smontare all’incrocio vicino a casa. Raggiungo correndo casa nostra che con enorme sollievo vedo ancora in piedi e vado ad abbracciare Giulia e mia madre in preda al panico, ma incolumi. Capiamo subito che stavolta i danni sono molto, molto più gravi rispetto alla settimana scorsa e subito comincia a suonare incessante la sirena dell’autoambulanza, che andrà avanti senza sosta per tutta la giornata e durante la notte. Ci renderemo conto più tardi che stavano evacuando l’intero ospedale e trasportando i malati nei paesi limitrofi. Con i nervi a fior di pelle cerchiamo di contattare amici e parenti, rimanendo in ascolto della radio che trasmette quello che sembra un vero bollettino di guerra. Tutte le scuole, gli edifici pubblici, i luoghi di lavoro vengono evacuati simultaneamente ed il traffico si paralizza. Apprendiamo che l’epicentro si è spostato tra Cavezzo, Novi e Medolla e che il “canaletto” è stata chiusa al traffico per consentire il passaggio dei mezzi di soccorso. Stavolta il tributo di vite umane nei paesi dell’epicentro è molto più alto, soprattutto per il crollo di tanti capannoni industriali che alle 9 del mattino erano già in attività. Mio padre rientra dal suo abituale giro in bici e racconta di avere perso l’equilibrio perché la strada all’improvviso ha cominciato a sollevarsi in solide, impossibili onde. Simone e Afro ritornano sani e salvi e, finalmente riuniti, ci prepariamo a trascorrere la mattinata in giardino, non avendo il coraggio di tornare a nessuna delle normali attività. Il cielo il 29 maggio è stato molto più clemente rispetto alla terra ed ha concesso all’Emilia una giornata di primavera azzurra e tiepida, come se la natura volesse farsi perdonare per la ferocia con cui ci stava trattando. Io prendo la bici e raggiungo Marcella in negozio e, dopo avere controllato che tutto fosse a posto, le dico di andare a casa e chiudiamo tutto. La mia socia Cristina si era già precipitata dalla sua bimba a Bomporto e solo verso mezzogiorno riesco a sapere che anche loro stanno bene. Ogni tanto qualcuno di noi prende il coraggio di entrare di corsa in casa per prendere una maglietta, un paio di occhiali, le ciabatte o l’acqua. Casa dei miei a piano terra diventa la base


per lavarsi un po’ ed utilizzare il bagno. Poco prima dell’una decidiamo di preparare qualcosa da mangiare. Dopo avere sistemato il tavolo di plastica nel prato, in una grottesca parvenza di allegra festicciola, entro nella cucina di mia madre per mettere l’acqua a bollire e cuocere la pasta. In quel momento veniamo sorpresi da una nuova indescrivibile scossa: ci precipitiamo tutti in strada, vicino alla palestra e quello che vediamo e sentiamo è terribile, impossibile, inaccettabile. L’asfalto della strada si alza e si abbassa furiosamente e scuote con violenza spaventosa il lampione di fronte a noi facendolo oscillare come fosse di gomma. Gli alberi non sono più fermi al loro posto, ma si piegano, si curvano sotto la spinta di un immane vento sotterraneo. Il mondo perde ogni riferimento, si trasforma in un luogo alieno, sconosciuto e terrificante. Urla si levano da ogni parte, ricordo in particolare quelle provenienti dalla casa dei Po. Non appena il respiro ritorna in gola, a distanza di 5 minuti, un’altra spaventosa scossa ci toglie le ultime speranze di riprenderci. Il mio pensiero elabora una invidia immensa nei confronti di chi già si trova nella tranquillità dell’altro mondo, non riuscendo ad immaginare altra prospettiva che quella di una fine imminente. Cerchiamo di mantenere l’equilibrio mentre sotto i nostri piedi la terra prende vita e ci fa sentire come marionette in balia di una forza immane e misteriosa. Finalmente smette e lentamente, traballando, torniamo in giardino e non abbiamo la forza di parlare. Guardiamo le case intorno a noi, increduli di vederle ancora al loro posto. La radio ha smesso di trasmettere per qualche minuto (la sede è a poche centinaia di metri da noi), poi si riorganizzano velocemente sotto una tenda e quello che racconta in seguito ci lascia senza parole. Cavezzo, Mirandola, Novi, Rovereto e tanti altri piccoli paesi nella “bassa” sono pressoché distrutti e il bilancio di vite perdute cresce ora dopo ora; avrebbe potuto essere peggiore se la scossa del mattino non avesse tenuto la maggioranza delle persone fuori dagli edifici. La magnitudo è stata di 5.9 della scala Richter. Ci guardiamo senza capacitarci di quello che è accaduto e cerchiamo di renderci conto che dobbiamo comunque restare lì senza altri strumenti se non la speranza ad esorcizzare una paura assoluta e inaffrontabile. Fortissima era, almeno per me, la sensazione di totale irrealtà, come se stessimo vivendo una scena di un film catastrofico, ma con la angosciosa consapevolezza che purtroppo non eravamo spettatori, ma protagonisti della catastrofe. Simone sembra essere rimasto quasi indifferente e addirittura ha voglia di mangiare come se tutto fosse normale. Trova il suo amico Pietro che, insieme ad altri nostri vicini, sono riuniti in strada all’ombra di un albero, e con lui trascorre il tempo giocando a calcio. Giulia ha la febbre e in condizioni già pesanti, sopporta il trauma del terremoto senza parlare (la sua gola comunque non glielo permette). Afro come sempre riesce a mantenere la calma e si offre di andare anche su in casa a recuperare i vari oggetti che si rendono necessari. Per fortuna gli viene concesso il pomeriggio di ferie (non so come avrei fatto senza avere sott’occhio lui, così controllato). Io non riesco a pensare e lo stomaco mi si chiude inesorabilmente come poche volte mi è capitato. La paura mi sovrasta e cresce ad ogni nuovo scossone che viene a ricordarci, nel caso ce ne fosse bisogno, che nulla siamo di fronte a questo brutale mostro sotterraneo, indifferente e sordo ad ogni sofferenza, libero di distruggere in pochi secondi la vita e le opere dell’uomo. Non potevo fare niente, se non aspettare, insieme alle persone care, che il tempo trascorresse,


con l’angoscia che, inesorabile, sarebbe arrivata la sera, portandosi dietro paure ancora più irrazionali. Più tardi ci raggiungono mio fratello, mia cognata Stefy e mia nipote Francesca, che increduli, ci raccontano che proprio oggi hanno dovuto assistere alla morte del loro cane, aggiungendo ulteriore dispiacere allo stress pazzesco che già attanaglia tutti. Le scosse si succedono a decine quel lungo pomeriggio, e le notizie alla radio accrescono lo sgomento per i terribili danni che il nostro territorio ha subito e che nei giorni a seguire mettono in ginocchio ogni attività. Ospedali, scuole, luoghi di lavoro, supermercati, chiese, palazzi antichi: nelle zone più vicine all’epicentro in gran parte è tutto crollato; a Carpi non ci sono crolli, ma si capisce subito che i danni sono comunque gravi e tutto si ferma. Solo i primi soccorritori si attivano in fretta per montare le prime tende per le persone che non hanno più una casa dove potere dormire. Le strade, all’imbrunire, si riempiono di auto parcheggiate che diventano rifugi provvisori. I più fortunati tirano fuori i camper o le roulottes o montano tende nei parchi. Decidiamo anche noi che dormire in casa è una prospettiva impossibile e, non trovando altre soluzioni, allestiamo le nostre automobili creando dei letti più o meno scomodi con coperte e cuscini. Le parcheggiamo nel prato e, a due a due, proviamo ad affrontare una inquietante notte. Io sono nella Punto con Giulia che ha un respiro molto faticoso e aggiunge ansia a quella alimentata dalla interminabile serie di movimenti della terra sotto di noi.

Il mattino arriva, nonostante tutto, e mi faccio coraggio a tornare a casa per lavarmi velocemente, molto velocemente. La nostra casa è imbiancata di nuovo da minuscoli pezzettini di intonaco e muri e soffitti sono adesso percorsi da ragnatele di nuove crepe sottili. In camera di Giulia ha fatto la sua comparsa una brutta crepa orizzontale nel muro esterno. Per fortuna si rivelerà anche questa inoffensiva. Siccome la casa continua a tremare e la paura è incontrollabile, rimando le pulizie e preferisco accompagnare Giulia ad una visita di controllo: la dottoressa, anche lei sconvolta dallo stress, riesce a confermarmi che cambiare aria le avrebbe fatto certamente bene. A casa, mia madre mi dice che mio fratello e famiglia sono appena partiti per Cattolica e sento dentro di me un bisogno irrefrenabile di scappare dalla nostra città, che all’improvviso perde ogni connotazione affettiva per diventare un luogo pericoloso da cui allontanarsi il più possibile ed il prima possibile. Appena Afro ritorna dal lavoro, all’ora di pranzo, lo supplico di potere partire: velocemente decidiamo e prenotiamo un appartamentino vicino a mio fratello e preparo i bagagli come meglio posso, cercando molto faticosamente di concentrarmi. Alle cinque siamo pronti e per stasera partiamo soltanto io con i ragazzi, mentre Afro ci raggiungerà tra 2 giorni nel week end. Riesco a guidare senza incidenti raccogliendo le ultime energie e mi accorgo di avere lasciato a casa tutto il necessario per la cena, che avevo accuratamente preparato. Ci fermiamo quindi a fare la spesa e, stremati, arriviamo a casa, che mi sembra molto più “casa” nel senso di rifugio, luogo di riposo e tranquillità rispetto alla nostra. Finalmente ci sentiamo al sicuro e, senza riuscire a cenare per la forte crisi di emicrania, mi sdraio sul letto e mi addormento profondamente.


Ci godiamo questi 4 giorni di calma, con un sole caldo ma non opprimente, il paese carino e senza troppi turisti (quelli che incontriamo, sono quasi tutti provenienti dalle zone terremotate), ma soprattutto quello che percepiamo con chiarezza intorno a noi è l’atmosfera di normalità che abitualmente si da per scontata, ma che in questa occasione riconosciamo come un elemento imprescindibile per vivere. La nostra calma apparente viene disturbata da diversi messaggi di allarme diffusi via sms, email e social network, provenienti da sedicenti e sconosciute fonti che, con la fantomatica pretesa di riuscire a fare previsioni precise surclassando geologi e sismologi, annunciano nuove imminenti e fortissime scosse. A queste notizie il cervello cerca di reagire pensando che nessuno è mai riuscito a prevedere i terremoti e che, se fosse stato possibile, l’avrebbero già fatto per quelli del 20 e del 29, ma lo stomaco inevitabilmente si avvita su se stesso e la paura si rinnova più potente di qualsiasi ragionamento. Successivamente scopriamo che lo scopo della diffusione di questo allarmismo era quello di fare uscire le persone dalle case e lasciare campo libero ai maledetti ladri.

Purtroppo 4 giorni finiscono in fretta e la domenica mattina ripartiamo: facciamo tappa alla Decathlon di Rimini per cercare una tenda; sono esaurite. Per fortuna mio fratello riuscirà a trovarla al Grandemilia. Arriviamo a casa e purtroppo ci troviamo di fronte ad una nuova emergenza: mio padre sta male e devo portarlo al Pronto Soccorso che è stato allestito sotto tendoni montati nel parcheggio dell’Ospedale. Comincia così il suo calvario con il ricovero all’Ospedale di Baggiovara in attesa dell’ennesima operazione. La sera ci aspetta una nuova forte scossa di magnitudo 5 e il mio stato ansioso raggiunge di nuovo i massimi livelli. Anche stanotte trascorre in macchina, in attesa di montare la tenda il giorno dopo. La mattina dopo cerco di andare in negozio: via Duomo è chiusa poiché il torrione della cattedrale è pericolosamente fratturato e sembra ci sia possibilità di crolli. Passo sotto i nastri che chiudono il passaggio e riesco ad entrare per prendere un po’ di prodotti da vendere da casa. Non ci sono danni, ma mi informo e apprendo che, per ripristinare la normale viabilità occorreranno mesi. La nostra attività prende così il colpo di grazia e mi fa maturare nella decisione di recedere dalla società. Mi preparo così ad affrontare un avvenire incerto e nebuloso, con altra ansia che si aggiunge a queste mie faticose giornate. Più tardi voglio rendermi conto di come la mia città si sia trasformata e provo a fare un giro attorno al centro: ogni accesso al centro storico è chiuso con transenne e volontari sono lì a impedire a qualunque intraprendente di entrare. Tutte le chiese hanno subito gravi danni e sono state chiuse, si sono salvate soltanto quelle di recente costruzione. La mia S. Nicolò non fa eccezione ed è circondata da transenne e anche il giardino esterno è inaccessibile: la croce sulla punta della facciata è tristemente piegata in avanti, a testimoniare l’inevitabile resa di fronte alla violenza della natura. Sembra di essere su un altro pianeta, non riconosco più i miei luoghi e mi sento disorientata e sconcertata. Nell’area vicina alle piscine viene allestito velocemente un campo della Protezione Civile per


ospitare ed assistere le migliaia di persone che hanno la casa inagibile. Tendopoli improvvisate nascono in ogni parco, aiuola o giardino privato. I controlli dei Vigili del Fuoco cominciano subito e le case e gli edifici inagibili si moltiplicano a dismisura, bloccando con i nastri bianchi e rossi la vita e il lavoro di tante persone. Le scuole restano chiuse e presto esce l’ordinanza che non verranno più riaperte: l’anno scolastico si interrompe così, brutalmente, con due settimane di anticipo. Tutte le attività tipiche di questo periodo dell’anno vengono cancellate, le feste di fine anno, le cene di classe, i saggi, i mercati in piazza, il cinema all’aperto, i campi gioco, i compleanni … ; ci sentiamo privati di un pezzo della nostra vita. Numerose polemiche si sono succedute a movimentare il clima già abbastanza scosso dalla nostra terra: quella del valore della magnitudo che sarebbe stata volutamente abbassata per non avere diritto all’accesso ai finanziamenti statali, quella delle trivellazioni di Rivara per la costruzione di un gigantesco deposito di gas che sarebbero la causa stessa del terremoto, quella della destinazione degli aiuti raccolti dalle varie iniziative di beneficienza e dei ritardi dell’intervento dello Stato, quella della utilità della visita del presidente Napolitano e di quella del Papa. Nonostante tutto ciò, andiamo avanti faticosamente, e giorno dopo giorno assistiamo alla riorganizzazione da parte di associazioni, istituzioni, enti e moltissimi privati che con tanta buona volontà lavorano per ripristinare, uno dopo l’altro i tanti servizi che si erano improvvisamente interrotti. Il centro storico, dopo la prima settimana, viene parzialmente riaperto e facendo la gimcana nei passaggi tra le transenne, guardiamo da vicino con i nostri occhi i segni lasciati dal sisma. Via Duomo resta chiusa al passaggio delle macchine e si passa soltanto sul piccolo marciapiede delimitato da un alto reticolato di metallo a ricordare la pericolosità della cattedrale, lì vicino. A metà giugno riapriamo il negozio, ma non viene quasi più nessuno e la tristezza mi accompagna in queste bollenti e solitarie giornate. Molti negozi, inagibili, si riorganizzano con container o tendoni, altri si trasferiscono in altre zone o in altre città. L’economia è in ginocchio e non sono sola a sopportare questa fase così deprimente della nostra vita. Il presente è scoraggiante, il futuro è sconosciuto e faccio molta fatica ad avere pensieri positivi. Tuttavia lo slogan che ci accompagna in queste difficili giornate è “teniamo botta” e, con la maglietta benefica, nata da una geniale iniziativa di Radio Bruno, andiamo avanti. Qualcosa succederà e magari sarà anche qualcosa di meglio.


PARTE IV DARE UNA MANO


Mercoledì 18 luglio 2012. Conferenza stampa a Medolla con Barbara Rossi e Ivana Trevisani. I cartelli stradali. Quelli non mentono, indicando i km. che ci separano da lì. Da quei luoghi feriti. Percorrendo le strade, leggendo quei cartelli che indicano sempre più vicino quel dolore, dentro senti crescere il tuo. Siamo così vicini. Gli occhi non si abituano a certe immagini. E nemmeno il cuore. La prima curva. la prima casa distrutta. Eppure l'hai già vista, altre volte sei passata da lì. Non importa. ogni volta la stessa sensazione. Silenzio ti imponi. Il respiro manca. Tende colorate, un arcobaleno di tende variopinte nei giardini. Hanno creato i colori per associare le tende alle vacanze. e ora quei colori quasi stridono nell'atmosfera in bianco e nero che ci circonda. Si sono dati dei nomi, i campi: nomi spontanei, buffi o simpatici. Tutti inneggiano alla speranza. Campi che riuniscono persone, vite, storie. Le chiese distrutte. Sulla strada vedo una piccola chiesa: resta solo la sua piccola facciata con ancora appeso l'avviso relativo al mese di Maggio, gli orari del Rosario. Dietro quel muro, solo macerie. Strade assolate e desolate. Case abbandonate. Le tendine colorate alla porta preparate per l'estate. Il giardino arido. i roseti senza vita. i gerani spettro di se stessi; eppure ci sono c'erano anche quel giorno, piantati da poco in attesa di fiorire e colorare le giornate. Restano intatti ma privi di colore. Le tende diventano monocolore e rigorosamente allineate: è un campo strutturato, la protezione civile. Mentre entriamo nel campo Molise a Medolla, ci guardano come estranei che invadono un luogo dove tutto e tutti ormai si appartengono. Quasi si deve chiedere permesso per entrare in quella dimensione con il suo equilibrio. Da difendere. Non facciamo rumore, il loro rumore è il loro equilibrio. La gente timidamente si avvicina, la curiosità, la novità. che succede, si chiedono. chi sono questi, si domandano. si avvicinano. Si siedono. iniziano storie, racconti, lacrime, dolori, amarezze, vita. Dove è finita e dove inizia la vita. Tornano portando altra gente. Mani che si stringono, identità che si presentano, si delineano i ruoli, le origini. storie diverse si sovrappongono. resta comune il sentimento che percorre, filo invisibile, ognuno di loro. la paura. il dolore. la speranza. Sono Angeli della terra questi volontari, ci dicono. quel martedì mattina quel 29 Maggio, la terra ci ha fatto paura. chi prova questa paura, atavica, viscerale, non dimentica. Forse voleva comunicarci qualcosa quel giorno la nostra terra. guardo queste persone che, estranee, condividono vita ora. ci offrono acqua fresca, sorrisi, parole. ci offrono vita. La terra ci ha spaventati, ci ha resi profughi nella nostra terra, esuli in patria, ci ha allontanati dalle nostre case. ma in un modo a noi incomprensibile, la terra ci ha uniti. Maria Silvia Cabri di Carpi.


Quei giorni in Emilia con il Bibliobus Il Bibliobus dell'Aquila nasce all'indomani del terremoto del 6 Aprile 2009, grazie alle donazioni di libri giunte da tutta Italia con l'obiettivo, in quei duri mesi, di portare un momento di sollievo attraverso la lettura. Scambio di libri, quindi di cultura, di racconti, di parole: è attraverso le parole che è possibile costruire ponti verso il futuro, realizzando il presente della propria esperienza. É così che, appena saputo del sisma che ha colpito l'Emilia, ci è venuto spontaneo tentare di nuovo di portare quell'aiuto che, seppur piccolo, tanto aveva dato alle numerose persone che hanno vissuto le dure realtà delle tendopoli. Il Bibliobus parte il 13 Luglio, con il suo carico di libri donati. Parte e, con base a Mirandola, si sposta per un mese nei paesi colpiti dal sisma: Cavezzo, Camposanto, Finale Emilia, Concordia, San Possidonio, San Felice sul Panaro, San Biagio, fino a Carpi, girando nei campi e nei centri estivi per bambini, senza sosta, con l'unica paura di trovarsi sprovvisti del prezioso carico che ad ogni uscita viene saccheggiato. C'è tanta sorpresa negli occhi delle persone quando diciamo che i libri che portiamo sono in regalo, c'è chi ci ringrazia commosso, chi si commuove ritrovando un libro tanto amato e magari perduto, chi ce ne dona a sua volta. Le giornate volano tra campi e centri estivi ogni giorno diversi. In ogni campo ci sono animatori, tra Protezione Civile, Scout, Telefono Azzurro, Save the Children, che si occupano di organizzare attività per tenere impegnati i bambini, dei quali si avverte spesso il disagio, ma anche la voglia di raccontare “il loro terremoto”. Siamo partiti, come sempre in queste occasioni, senza sapere a cosa andassimo incontro. E no, aver vissuto il terremoto del 2009 non aiuta: ogni luogo, ogni persona ed ogni catastrofe che colpisce ha la sua storia, le sue piccole e grandi particolarità che rendono tutto ogni volta diverso, ogni volta nuovo. Siamo partiti sapendo che non troppo distante da noi c'erano persone che in quei pochi, lunghissimi istanti, avevano visto il futuro ridursi, farsi sempre più incerto, instabile, proprio come la terra sotto i piedi che non smette di tremare. Siamo partiti con la voglia di aiutare queste persone, a noi lontane e vicine, di conoscere questa diversità, di trovarla nell'incontro e nello scambio. Ancora una volta il caldo, in tenda e fuori, la sabbia e la ghiaia della tendopoli, il terreno sempre instabile in cui i conflitti e le tensioni che animano la vita di tutti i giorni si amplificano. In particolare, nei campi si sono trovate a convivere realtà diverse, tante le etnie presenti e tante le difficoltà a superare questi momenti di disagio. Questo il segno di una società in movimento, in continua espansione. Il terremoto ha portato a galla questo mondo complesso, del quale spesso, durante quella che ci affanniamo chiamare “normalità”, ignoriamo le sfaccettature. Un continuo mettersi in discussione, giorno per giorno, con i nostri libri donati a fare da tramite tra le realtà, tentando di soddisfare le richieste, dai libri in lingua, a quelli dei compiti estivi per


bambini e ragazzi e non riuscendo purtroppo sempre a soddisfarle ma cercando in tutti i modi di non lasciare niente di intentato. Torniamo all'Aquila con una nuova consapevolezza, la consapevolezza di poter fare nel nostro piccolo qualcosa di buono e positivo per alleviare la pesantezza di queste situazioni, sapendo che attraverso un libro è possibile non solo aiutare, ma anche donare libertà . Martina, Edoardo e Matteo - in Servizio Civile Nazionale presso l'Associazione Bibliobus L'Aquila


Reagiamo insieme ai sismi che hanno colpito l’Emilia Solidarietà significa sicurezza Essere solidali è per noi un valore benefico, irrinunciabile per vivere meglio quotidianamente e anche per affrontare insieme i sismi che stanno colpendo la terra in cui viviamo, le zone tra Ferrara e Modena. Stiamo scrivendo in queste spaventose e tragiche ore conseguenti alla scossa sismica delle ore 9 del 29 maggio, cui ne sono seguite altre in tutta la giornata, che ha fatto altre decine di vittime, che si vanno ad aggiungere alle sette del sisma del 20 maggio scorso. Danni che si aggiungono ai danni. Più di seimila sono gli sfollati che si sommano ai settemila di ieri. Siamo solidali con tutte le persone maggiormente colpite, con le amiche e gli amici di Ferrara, Mirabello, San Carlo, Sant’Agostino, Cento, Finale Emilia, San Felice sul Panaro, Mirandola, Camposanto, Medolla, Cavezzo…. Le vittime dei sismi sono in prevalenza persone che stavano lavorando in capannoni e aziende di quella laboriosa ed efficiente pianura emiliana che non si ferma mai, neanche per preservare la vita di fronte alle costanti scosse che da nove giorni colpiscono queste terre. Abbiamo bisogno di rimettere al centro la vita (qui come ovunque) sottraendoci alle logiche padronali e borghesi per cui sono più importanti le cose delle persone. Hanno detto che bisognava tornare alla normalità in fretta per non sopperire alla paura, ma la loro normalità è fatta di sfruttamento e non c’è posto per l’umanità. Ciò ha significato mettere a rischio la vita per salvare la produzione o un servizio, l’economia di una regione e non le persone che ci vivono. Chi ha preferito non andare al lavoro in queste pericolose zone, come alcuni di noi, ha ricevuto da parte di alcuni padroni e padroncini di aziende e cooperative minacce di licenziamento o di ingiustificata assenza. Denunciare questo non significa non comprendere il danno di chi ha perso gli strumenti del proprio lavoro come tanti agricoltori e piccole aziende. Quasi tutte le vittime sono operai ed operaie e diversi di loro sono immigrati, tra i più ricattati e ricattabili per le condizioni in cui sono tenuti. Suonano ora funesti gli elogi alla “classe operaia che vince la paura e pensa all’azienda”, come ha scritto qualche giorno fa una delegata Fiom sul giornale locale. Dipende da noi sentire, pensare e progettare la priorità della vita, anche se bollette, affitto, mutui e le banche non si arrestano e lo stato non garantisce più nulla. Come è stato scritto da un giornalista di una testata locale a seguito della fugace visita di Monti “nel governo dei tecnici non è contemplata l’umanità”. Solidarietà umana significa unirsi ed agire assieme per affermare il riconoscimento e la difesa della comune umanità di tutte le persone (come recita la piattaforma dei Comitati solidali antirazzisti). Così stiamo provando a fare, stringendoci ed attivandoci per capire con le persone come essere protagoniste di una reazione positiva, accogliendo la paura come un’emozione umana, e sentendoci beneficamente solidali ed utili perciò non impotenti. Importante e decisiva è stata la reazione e la solidarietà che tanta gente ha attivato fin dal 20 maggio, ancora prima dell’arrivo dei soccorsi. Fondamentale è stato il lavoro dei Vigili del fuoco. Notevole è stata la solidarietà che le persone hanno attivato nei giorni seguenti anche fuori dagli ingranaggi della Protezione civile di cui tanto hanno parlato i mass media. Protezione civile che, malgrado i tanti sforzi dei volontari, risulta spesso alle persone burocratica e militaresca nel funzionamento. Dai check-point all’ingresso delle tendopoli, al fornaio di zona che non ha potuto offrire il pane che aveva appositamente preparato per gli sfollati. Ritornano alla mente le vicende vissute dalle persone de L’Aquila, a cui ci sentiamo nuovamente vicini. In alcuni paesi


sono stati allestiti gli stand e le cucine che normalmente vengono usati per le sagre e le feste locali; in altri le persone hanno deciso di sistemarsi in tenda nei campi sportivi organizzandosi autonomamente per restare vicini alle proprie case; molti si sono offerti di ospitare chi è rimasto senza abitazione. Il fare insieme è una consuetudine delle persone che vivono in queste zone, soprattutto nei paesi, e nell’emergenza del terremoto è stata una risorsa positiva. Vogliamo sostenere le persone conoscendole e capendo con loro di cosa hanno bisogno. Vi chiediamo sostengo e aiuto per far riflettere tutte e tutti sulla priorità della vita e sulla solidarietà umana che può difenderla. Informiamoci e capiamo insieme i modi per preservarla attuando tutte le misure di sicurezza necessarie nei luoghi di lavoro e di vita. Stiamo cercando di capire quali sono le esigenze delle persone maggiormente colpite per trovare assieme i modi migliori di aiutarle. Ferrara, 29 maggio 2012 Comitato solidale antirazzista – Camaleonte


SOLIDARIETA' CON LE PERSONE COLPITE DAL TERREMOTO IN EMILIA Prima di tutto difendiamo la vita contro il cinismo padronale e statale Una nuova scossa di terremoto ha colpito questa mattina la zona del modenese. Purtroppo ci sono – al momento – 15 vittime, molte delle quali mentre erano al lavoro, diversi feriti, più di ottomila sfollati. Sono tante le persone che vivono nella paura a causa dello sciame sismico. Siamo vicini alle persone ed alle comunità così duramente colpite da questa tragedia e ai tanti che fin dai primi momenti si sono impegnati spontaneamente per curare, soccorrere e aiutare chi era in difficoltà. È sulla base di questo slancio umano solidale che può crescere l'aiuto e la vicinanza più concreta per fronteggiare questa tragedia. Se il terremoto è un evento naturale, non lo sono altrettanto le conseguenze e le responsabilità della mancata cura e prevenzione. Per questo denunciamo con forza il cinismo e la prepotenza di cui stanno dando prova le istituzioni ed i padroni. Non c'è da fidarsi delle istituzioni statali, come purtroppo ci hanno insegnato le drammatiche vicende de L'Aquila. Per padroni e speculatori il terremoto è un'occasione da sfruttare per fare soldi. Il Presidente del Consiglio Monti con gelida freddezza ha dichiarato che bisogna tornare rapidamente alla normalità. Nonostante gli allarmi della stessa Protezione civile, i padroni hanno voluto che si continuasse a lavorare nei capannoni proprio in ragione del “ritorno alla normalità”. Mettono al primo posto la produzione, trattano le persone che lavorano come merci, antepongono le esigenze dei loro guadagni alla salvaguardia della vita delle persone. In tanti – tra cui non a caso numerosi immigrati, i più sfruttati – sono morti oggi per questo motivo: è una strage con precise responsabilità padronali. Eppure, in diversi casi i lavoratori avevano denunciato il pericolo anche rifiutandosi di andare al lavoro. Sarebbe bastato ascoltarli e decidere di sospendere le attività lavorative per salvare delle vite. Per questo siamo solidali con coloro che si stanno rifiutando di andare al lavoro nonostante i ricatti dei padroni. Perciò è necessario anche superare quelle logiche ossessive verso il lavoro e la produzione che purtoppo appartengono a tante persone. L'intervento della Protezione civile sta significando imporre una logica di militarizzazione, di controllo e di ostacolo all'autoattività, all'autogestione e all'iniziativa diretta e solidale della gente comune. Ora più che mai c'è bisogno di solidarietà diretta, indipendente e autorganizzata per difendere e salvaguardare la vita, per decidere in comune le scelte più adeguate in relazione alle esigenze delle persone, per costruire vicinanza e solidarietà umana, per affrontare insieme questa tragedia e difendersi dalla prepotenza statale e padronale. Perciò sosteniamo l'iniziativa solidale e indipendente di tante persone, quella dei Comitati Solidali e Antirazzisti e dell'Associazione “3 febbraio”, delle associazioni di volontariato perché possa crescere e svilupparsi la solidarietà umana. Roma, 29 maggio 2012 ore 19,30


30/06/2012 Un sabato dei tanti al parco dei salici a Reggiolo. Fa caldo, molto caldo, ma vogliamo non pensarci. Mercedes, presidente della LIPU di reggio Emilia, ha avuto una idea geniale da proporre ai bambini ospiti del campo-tende da quel 29 maggio che ha sconvoltola loro vita. Con la collaborazione delle GGEV presenti al campo l’idea diventa un fatto: Si deve pensare al futuro, alla ricostruzione e alla conquista della libertà che quelle maledette scosse hanno rubato a tutti. Pietra su pietra si costruisce un muro. Diamo ai bambini delle pietre, resti di case crollate e con pennelli e tempere si invitano a renderle belle, colorate, espressive, rinnovate con tinte vivaci, come i ragazzini sanno ben fare. Ed ecco alla presenza del sindaco di Reggiolo, la Sig.na Barbara Bernardelli costruirre un muretto a secco è immediato... Nel frattempo alcuni uccelli, rinchiusi dentro a capaci scatoloni aspettavano il loro momento: un gheppio, un merlo, una poiana, alcune civette, uno storno …….. erano in attesa …. Anche per questi uccelli la vita era stata difficile. Erano stati trovati in cattiva salute, ma curati amorevolmente e portati a star bene …… proprio come gli ospiti del campo. Bimbi e uccellini avevano forse qualcosa in comune? Certo che sì! In un attimo la loro vita è stata disturbata da un evento imprevedibile …. Ed ora? Diamo la libertà ai volatili, visto che la loro salute è in ottimo stato. Che bello vederli uscire dalle mani chiuse dei bambini questi bellissimi esemplari e via ! Prendere il volo, liberi nel cielo azzurro, volare volare a riprendersi quella libertà che a lungo non hanno potuto godere! Proprio questo accadrà anche a tutti gli ospiti del campo, tornare a vivere in una casa vera, come quella che le terribili scosse hanno rubato! Vogliamo condividere con un momento piacevole e simpatico? Fette di cocomere per tutti offerte dalla ditta Cagna e Benelli !!!!! Giovanna Minari volontaria GGEV Reggio eMILIA


Reggiolo ( RE)

20/07/2012

“La libertà al Campo dei salici” Ricostruire un muretto del nostro futuro Pietra su pietra con vivi colori e pennello sicuro, i bambini si impegnano con passione usano il rosso,il verde, il giallo, il marrone! ….. Oggi al campo una bella iniziativa organizziamo! Tutti insieme lavoriamo e ci crediamo! ….. Mercedes, della LPU, con le GGEV è presente E questo bel progetto ha creato … grande mente! Or la “sindachessa” è ben presto arrivata E tutti, dopo averla presentata. L’hanno salutata. In attesa che i bimbi finissero con i loro pennelli Il gheppio, la poiana, lo storno, il passero cioè gli uccelli Se ne stavano rinchiusi ad aspettare con tensione Il bel momento della loro liberazione Così dalle mani aperte dei bimbi gli uccelli in volo È stato bello vederli fuggire in un attimo solo! I bambini e gli uccellini desideravano una cosa I primi la loro casa e gli altri di volar senza posa. I bambini e gli uccellini volevano ritornare Alla loro vita, ai loro nidi e poter ritrovare La loro felicità che fa rima con libertà! La GGEV Giovanna Minari


PARCO DEI SALICI

20/06/2012

Il pilastro del campo è Rosanna Gentile, carina, affettuosa con Giovanna C’è sempre anche Alessandro sul posto a controllare Serio, compito,rigoroso, la gente a far passare Oggi è pure arrivato Francesco da lontano È venuto a salutare e a darci la mano L’Anna tanto è stanca dal giorno della scossa Sempre a Reggiolo è, vorrebbe darsi una mossa Andare a passare una settimana al mare Per riprendere iato ed andare a riposare Non parliamo della nostra Presidente Sempre attiva, pronta capace ed efficiente Accompagnata dal suo fedele Nino Che ha una gran pazienza, da frate certosino. Che fare? da quando il terremoto ci ha sconvolto L’associazione, le GGEV han lavorato molto. Continueremo finchè ce ne sarà bisogno Finchè terminerà questo triste e brutto sogno. La GGEV Giovanna Minari


APPENDICE


Ricordo del terremoto del 1980 A lovestruck romeo sings the streets a serenade Laying everybody low with a lovesong that he made Finds a streetlight steps out of the shade Says something like you and……. La fine del mondo!!! E’ l’unica cosa a cui riesco a pensare. Anzi, neppure riesco a pensare più. I miei sensi sono catturati, invasi dalle percezioni più strane e violente che abbia mai avuto. Lo stereo sembra che viva di vita propria, sobbalza, e il 33 giri non emette più le amate note che già si stavano spalmando sulla mia tristezza di sedicenne respinta in amore… la voce di Mark Knofler si trasforma in un lugubre gemito, come se la puntina, graffiando il vinile, scarnificasse un corpo vero....Mi distraggo, sono le orecchie a essere occupate da un lungo, gelido sibilo, è penetrato nel cervello, ma non mi dà il tempo di decodificarne il significato, che qualcos'altro sta producendo uno spaventoso, inaudito rumore.....come se una gigantesca mano abbia afferrato le pareti della mia stanza da letto e le stia accartocciando….mi attraversa l’impotenza del foglio di carta cestinato. Devo trovare il coraggio di guardare, di fissare un punto. Ma, intanto, c’è una parola da qualche parte nella mia mente, l’ho letta, l’ho sentita tante volte, però non credo di conoscerne il vero significato….ora forse lo sto intuendo e non riesco a pronunciarla. Va bene, ho trovato il coraggio di guardare, devo sapere come va a finire, se il palazzo che intravedo dai vetri della finestra ce la fa a piegarsi un altro po’….no! ora sta tornando indietro… ha ripreso a venire in avanti. Si decida che vuole fare!! …e anche il pavimento della stanza!! Va su e giù come una molla, ogni volta che scende si risucchia un pezzetto del mio cuore. Ti prego non ti spezzare…. Sono rannicchiata ancora sul letto, da quando si è interrotta la canzone. Quanto tempo è passato? Proprio quel disco doveva rovinarsi, quello del mio infelice, presuntuoso amore. Al diavolo lui e tutto il resto, io qua non ci resto. Ecco, la parola non aleggia più, è esplosa nella mia testa insieme al boato che viene dalla strada, insieme alle grida che - possibile che li sento solo ora! - sovrastano lo scricchiolio delle pareti, mentre quell’impietosa mano non si decide a smetterla e i vetri scoppiano, impazziti, in ogni direzione. Va bene lo penso, sono scalza, non importa, va bene mi arrendo e scappo, lo dico: TERREMOTOOOO!!!! Sono nel corridoio, vado verso l’ingresso, le porte dell’armadio sulla sinistra mi si sbattono sulla faccia, fracasso di oggetti che cadono, qualcosa mi colpisce un piede…devo uscire da qui, ora ho davvero paura, mamma e papà… che state facendo? Perché non sono con me, invece che da zia Rosa? Non vanno mai a trovarla!! …la porta…però se la chiudo?...e poi? Le chiavi, eccole. Sembra che non tremi più….. Esco…Cos’è!? Bambini, tanti, dall’appartamento di fronte, scappano, sembrano indemoniati, due mi si buttano a dosso, strillano e giù tutti insieme per le scale. Come li facciamo cinque


piani così? I vetri e io a piedi scalzi…sembro un fachiro, non mi ferisco. Gradini, gradini, non finiscono mai! Non strillate così, bambini! Un altro piano….un altro, ecco l’androne d’ingresso, il portone spalancato….persone da ogni parte, spingono, imprecano, piangono, pregano, supplicano. Sono fuori, ma è l’inferno anche qui, calcinacci ovunque, aria pesante, densa di polvere, auto schiacciate sotto pezzi di cornicioni,ovunque gente che si muove freneticamente e tutti a gridare quella parola. C’è un ragazzo che perde sangue dalla fronte… Volti devastati dallo spavento, voci che chiedono: “Dov’è stato? Qualcuno sa dov’è stato?”- “Deve essere qui vicino, è troppo forte” – “Io non ne ho mai sentito uno così!”. Che ore sono? penso. E’ buio, è freddo, io sono con il mio jeans e la mia felpa, scalza a battere i denti, sono sola, vedo persone note, nessuno si accorge di me…papà, mamma, dove siete? State bene? Il dirimpettaio di casa sta strillando alla moglie che vuole tornare su a prendere la lavatrice…è impazzito!! Lei lo prende a schiaffi, lui si calma. Mi avvicino, ho bisogno di parlare anch’io, di gridare, di piangere anch’io. Sono invisibile in questo terremoto?? “Irpiniaaa”, strilla un tipo agitando una radiolina, “è in Irpinia”. Poi incolla l’orecchio all’apparecchio e quelli vicino a lui fanno silenzio. Riesco a sentire dei rumori gracchianti, voci confuse, concitate, si scambiano informazioni, ordini. “L’epicentro pare sia Lioni”. Cos’è Lioni? Poi ancora “E’ distrutta….anche Laviano, non c’è più una casa in piedi…7°… 7°…no 8°, non si capisce niente….morti….tanti morti…tanti paesi ….distrutti”. Non ce la faccio più, non so di cosa parlano, ho freddo, ho paura….poi una mano mi tocca la spalla. “Vieni, stai insieme a noi”….e scoppio a piangere. Salerno, 23 novembre 1980 Paola D'Angelo


Postfazione Emila è stata una sorella per noi e non solo per noi aquilani. La gente di Emilia è stata nel cuore di tutti: la loro forza, il loro coraggio, la loro voglia di ricominciare oltre ogni cosa! Un grazie ai contributi è doveroso, ma niente è come l'avere un esempio di forza di rimanere legati alla terra, quella terra che ha tremato, apparentemente traditrice perchè ha tolto vite, ha tolto speranze e sogni. Ma le vite rimangono nel cuore e resteranno come una bandiera per tutti quelli che penseranno nella vita futura di arrendersi, avranno un motivo di più per non farlo. Chi resta ha sempre un motivo di stare in questa vita. a volte la vita sa essere dura, faticosa a volte sembra crudele, eppure ha un suo senso che non si sa subito, ma si capirà con il tempo. vivere pienamente è già coraggio e voi cari emiliani tutti, fratelli di vita, lo avete e lo avrete sempre oltre ogni cosa, oltre ogni avversità. sapete come noi che la vita in un attimo toglie in un attimo dà ciò che non ti aspettavi. È come partire per un viaggio in cerca di un tesoro con una mappa in mano ed essere sicuri della strada, ed ad un tratto la mappa di rompe da un lato e la figura non è completa...non si rinuncia al tesoro, si va ancora avanti a cercare l'ora della vita, si usa a volte non un disegno certo, ma quello che abbiamo immagazzinato, nelle esperienze, negli errori, nelle cadute e nel modo che abbiamo adottato per rialzarci. Lì sta la nostra forza, il nostro coraggio a camminare con una mappa spezzata. Un abbraccio e vi voglio bene con il cuore!. Un abbraccio lungo, pieno, sincero come a voler togliere o diminuire la paura, il dolore, la fatica e il freddo che rompe le ossa, che entra nelle vene, un abbraccio che toglie il freddo delle tende, dell'attesa, delle perdite e mettere un po' di speranza un pò di voglia di sentirlo insieme quell'abbraccio unico tenace e vero tra tutti...tutti che porti calore e asciughi le lacrime tutti insieme ognuno asciuga quelle dell'altro, ognuno disegna un sorriso sul volto dell'altro. alla fine è il terremoto di tutti, su quelle macerie siamo saliti insieme da quelle macerie abbiamo ricominciato e non si sa in un abbraccio chi stringe di più! Di sicuro fa bene a tutti!. Ci sentiamo uniti comunque vada la vita da oggi in poi. Uomini e donne di Emilia, uomini e donne d'Italia e non solo che intorno all'Emilia si sono uniti. il vero grazie a voi Emiliani. Grazie Emilia. Non dimenticare di dire "ti voglio bene" quando lo sentite: ha valore in quel momento, domani sarà un colore un pò sbiadito! Con stima affetto e gratitudine Sonia Etere L'aquila


INDICE − − − − − − −

prefazione Introduzione I PARTE : Corrispondenza col fronte II PARTE: poesie III PARTE: ricominciare IV PARTE: dare una mano Appendice


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