Illegale e legittima

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numero 24

Il Serale

14 ottobre 2013

Settimanale quotidiano

Illegale e legittima

Storie di necessaria occupazione


L’occupazione è semplice


Q

di Tommaso Brolino

uesto è numero è dedicato a chi legge Occupazione con le K, a chi vi associa un colore vermiglio tra la toga e la falce, a chi vi lega il profumo dell’autogestione scolastica, della ragazzata. Occupare delle case abbandonate, delle scuole o degli edifici pubblici vuoti sarà illegale, ma è anche la naturale riappropriazione dello spazio urbano. Le storie qui raccolte raccontano di famiglie e di studenti che hanno ricostruito il proprio habitat e che in prima persona hanno deciso di proteggerlo da qualunque tipo di fauci; hanno preso pezzi di città migliorando il proprio quartiere perché stanchi di aspettare il successivo valzer di delibere e assegnazioni. Il welfare si frammenta, spaccato in mille utilissimi pezzi sparsi nelle città, perché dietro le occupazioni mancano le amministrazioni. Questo numero è dedicato anche a loro, afflitte da una curiosa forma di entusiasmo edilizio salvo poi sorprendersi e ordinare gli sgomberi: se si costruiscono case per nessuno la cosa più semplice da fare è riprendersele.


Il paradosso del cemento sfitto

Occupare è un reato e avere casa è un diritto: il confine si muove tra gli edifici costruiti per essere vuoti e lo “stato di necessità” di chi non sa che altro fare di Nicola Chiappinelli

N

ei prossimi tre anni saranno verosimilmente eseguiti almeno 300mila sfratti in tutta Italia. Tra il 2001 e il 2011 la popolazione italiana è cresciuta del 4,3%, gli edifici abitativi (dalle palazzine alle villette) sono aumentati dell’11%. Lo scorso giugno l’Associazione itaIn dieci anni la liana tecnico econopopolazione mica del cemento ha italiana è reso noto che il conaumentata del sumo di cemento 4.3%, gli edifici nel Paese è calato del 22,1% dal 2011 dell’11% al 2012, ovvero dimezzandosi rispetto al dato del 2005. Mischiate questi tre dati apparentemente sconnessi, e avrete pronto il terreno per una prima riflessione sul contesto in cui si sta estendendo il fenomeno delle occupazioni, sempre più vivo e pulsante nelle nostre realtà urbane (soltanto oggi a Roma, nella città in cui vivo, mentre scrivevo questo pezzo, sono stati occupati sei stabili abbandonati in varie zone della

città). Partiamo smistando il campo da equivoci: occupare è un reato. Violazione di domicilio; invasione di terreni, edifici o fondi altrui; turbativa violenta del possesso di cose immobili: sono queste le infrazioni punite, in maniera complessa e diversificata, dal nostro codice penale. E non è Rispetto al 2005 sempre necessario il consumo di che venga sporta cemento è la querela, a volte la metà, sceso dal forza pubblica è chiamata a proce- 2011 al 2012 del dere d’ufficio in se22,1% guito all’atto compiuto. La chiarificazione è d’obbligo sia perché il tema è di urgente attualità, e sia per rileggere meglio una notizia riportata alcuni fa in maniera pressoché uguale dalle maggiori testate nazionali: «Se si è veramente poveri occupare case popolari non è reato». Così recitava, ad esempio, il titolo dell’articolo di Repubblica.it che raccontava di questa sentenza con cui la Cassazione aveva «accolto il ricorso di una 38enne ro-


mana, sola e con un figlio a carico, condannata dal Tribunale e dalla Corte d'appello di Roma (a una multa di 600 euro, ndr) per il reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell'Iacp (Istituto autonomo case popolari)». Ne derivava che, «per i giudici della Cassazione, il "diritto all'abitazione" merita di essere annoverato tra i diritti fondamentali della persona» contemplati dal-

Corte riguardasse un caso specifico, e si limitasse ad annullare una sentenza per rinviarla ad un altro giudice, chiamato a stabilire se nell’occupazione vi fosse stato o meno il principio previsto dall’art. 54 del codice penale: “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.” La legge riconosce insomma lo stato di necessità (come può essere quello di una mamma sola «Per i giudici della Cassazione il un figlio a carico), ma solo se diritto all’abitazione merita di essere con circoscritta nel tempo e nello annoverato tra i diritti fondamentali spazio. L’ha ben spiegato una della persona» nuova sentenza della Cassazione, datata marzo 2012: una precaria l’articolo 2 della Costituzione: e ipotetica condizione di salute «La Repubblica riconosce e ga- non può legittimare l’occuparantisce i diritti inviolabili del- zione permanente di un immol'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la Secondo una sentenza del 2012 di fronte a casi circoscritti nel tempo, la Cassazione riconosce sua personalità». la possibilità di occupare per necessità Peccato che la decisione della


bile per risolvere un’esigenza abitativa, tanto più per gli alloggi Iacp, destinati proprio ai meno abbienti. «Il 2013 ha fatto registrare un aumento del 25% di richieste di case popolari rispetto all’anno precedente». A dirlo, qualche settimana fa, è stato l’assessore alle politiche abitative della Regione Umbria, Stefano Vinti, colui al quale si deve il numero dei 300mila sfratti riportato in testa all’articolo. Si registra, per Vinti, «un boom allarmante che certifica l’aggravamento del problema casa nel Paese e che minaccia di continuare per ancora molto tempo». L’ultimo censimento Istat (aprile 2012), che ha fornito il dato iniziale sullo squilibrio tra aumento degli edifici e crescita demografica nazionale, ha anche spiegato come in questi dieci anni siano più che triplicate (71.101) le famiglie residenti in Italia che dichiarano di abitare in baracche, roulotte, tende o abitazioni simili. Ma non dimentichiamo che, stando alla sopracitata denuncia

Così l’assessore umbro Vinti: «Il 2013 ha fatto registrare un aumento del 25% di richieste di case popolari rispetto al 2012»

dell’organizzazione dei produttori di cemento (Aitec), «la crisi economica ha avuto impatto sull’industria del cemento più che su qualunque altro comparto». Eppure l’Ispra ha calcolato che tra il 1956 e il 2010 la percentuale di territorio italiano cementificato si è estesa dal 2,8% al 6,9%, al ritmo di più di sette metri quadrati al secondo. Per rendere più netta la misura: è come se ogni singolo cittadino avesse a disposizione un appartamento di 340 mq. Rimbalzano dati distanti, e portano fatalmente ad un’unica conclusione: in Italia si costruisce senza la necessità che qualcuno poi in quelle strutture debba metterci piede. Prendiamo le case. Nello Stivale, isole comprese, i prezzi delle abitazioni continuano a


Secondo l’ultimo censimento Istat (aprile 2012) sono più di 70mila le famiglie che risiedono in baracche o roulotte o abitazioni di fortuna

scendere in maniera stabile da almeno sei anni, eppure a metà 2012 ancora l’Istat ha registrato il più alto calo di trasferimenti immobiliari ad uso abitativo dal 2008 (-23%). In queste condizioni comprare casa è sempre più difficile, e proliferano allora gli alloggi invenduti: 694mila ad ottobre di un anno fa, raccontava Maurizio Bongioanni in un’inchiesta su Repubblica.it, ricordando nel contempo che «dall'altra parte, secondo Federcasa, ne servono 583mila per soddisfare l'esigenza di abitazioni popolari. Un conto che non torna. Ma non per l'Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) che persegue la costruzione di 328mila nuovi appartamenti ogni anno». Per comodità siamo costretti a concentrare il paradosso nella Capitale. A luglio scorso si sono stimate circa 250mila case ro-

mane sfitte. Dato che si gonfia se innaffiato da un altro numero, quello degli sfratti: 7mila quelli emessi nel 2012 a Roma, di cui 5mila per morosità; uno sfratto ogni 44 famiglie in affitto privato (la media nazionale è 1:74). È qui, soprattutto, che si scrive “occupazione” e si legge “unica alternativa”. E se le opinioni dei diretti interessati potrebbero sembrare scontate, riprendiamo allora un punto di vista politico, quello del neo-assessore alla Casa del Campidoglio, Daniele Ozzimo: «Siamo ovviamente contrari alle occupazioni, ma dobbiamo saper distinguere tra chi occupa spinto da disperazione e stato di necessità, e chi magari pensa a questa pratica come una qualsiasi attività associativa o di altra natura». A parte la distinzione, è evidente che la questione non può essere ridotta all’illegalità del gesto. Se la casa è un diritto, va riconosciuto a tutti. Ancor di più perché a far impallidire è la distanza tra chi una casa ce l’ha, e chi preferisce tenerla sfitta piuttosto che abbassarne il valore. Dei quasi 29 milioni di appartamenti censiti



dall’Istat in Italia, c’è infatti un 17% di abitazioni non occupate dai residenti; e non si tratta solo di case al mare o in montagna, ma anche di generici immobili tenuti vacanti. Case su cui per altro i proprietari hanno pagato ingenti somme di Imu. In questo circolo vizioso che rischia di fare perdere tutti, ecco l’idea di Dean Baker, condirettore del Center for Economic and Policy Research di Washington D.C., che in un’intervista a Linkiesta ha proposto di «colpire case, edifici e immobili lasciati sfitti attraverso un’imposta pari all’1 per cento del valore catastale», così da convincere i «proprietari di edifici vuoti a vendere o ad affittare, forzando i prezzi verso il basso». E se non si vuole andare fino agli Usa, basta volgere lo sguardo in Toscana,

per chi viene sfrattato non potendo pagare l’affitto. Ci sono zone d’Italia, rappresentate da decine di comitati e collettivi, che stanno combattendo per questo. Per il diritto alla casa e per la fine della cementificazione selvaggia. Di entrambi abbiamo esempi limpidi a Roma: da una parte le occupazioni, abitative o rivalutative di strutture abbandonate; dall’altra parte le organizzazioni,come l’Osservatorio Casilino, che lottano contro una sentenza del Tar che ha tolto il vincolo di tutela archeologica per l’area Comprensorio Casilino, lì dove la costruzione di nuovi appartamenti eliminerebbe l’ultimo polmone verde di Roma tra Porta Maggiore e la borgata Alessandrina, in una zona per altro a già altissima densità abitativa.

dove l’assessore regionale al Welfare, Salvatore Allocca, ha pensato di istituire una tassa di scopo di 10 euro al mese su ogni immobile sfitto; il contributo alimenterebbe un fondo di garanzia

Succede, in Italia, che si concedano appalti a costruttori promettendogli in cambio premi di cubature. È questo il Paese dove non sono solo le occupazioni a essere illegali.

Se il diritto ad abitare è fondamentale e se le case costruite sono vuote, perché costruirne ancora? Solo a Roma esistono circa 250mila appartamenti sfitti mentre 7mila sono stati gli sfratti del 2012


Occupare con tutto il quartiere O

di Mauro Agatone

ccupare è per taluni un'arte. Per altri ancora, però, l'occupazione può essere al contrario, un'arte fatta per l'arte. È un caso reiterato quello che concerne l'utilizzo di spazi da dedicare alla cultura: teatri, cinema, sale da concerti tutti rigorosamente riabilitati e rimessi a nuovo come fossero usciti da un indulgente restauro, pronti per poter essere restituiti al fine per il quale erano stati originariamente concepiti, quello della nobiltà, della purezza e dell'indipendenza dell'arte. Sarà per gli ovvi, immensi confini geografici ma, nell'area di Roma, ritroviamo una serie di piattaforme che hanno avuto la fortuna di non finire al macero, incontrando altresì delle braccia – e soprattutto delle menti –

Il “Nuovo” Cinema Palazzo ha scongiurato l’apertura di una sala bingo. E questo grazie anche alla zona che lo ospita: San Lorenzo

salvifiche che ne hanno permesso la permanenza in vita o, come in altri casi, una vera e propria rinascita. Quello che vi raccontiamo è per l'appunto uno di questi fortunati casi, quello del Nuovo Cinema Palazzo. Per farlo abbiamo bisogno di fare un piccolo passo Il 15 aprile 2011 il comune indietro nel tempo, di Roma decide di fino al 15 aprile dismettere il Cinema 2011: è qui che coPalazzo e farne un casinò mincia tutto. Nasce un progetto, che è quello di dismettere uno spazio dedicato fino a quel momento a rappresentazioni dell'arte d'ogni genere per metter su un casinò, l'ennesimo in una città che in alcuni lati periferici già in questi anni sembrava trasformarsi in una sorta di Las Vegas


1(auto)distruggendo la fama di centro culturale tra i più longevi al mondo. San Lorenzo però, è un quartiere diverso da tanti altri: è vivo, popolare e popolato da persone che hanno fortemente a cuore il proprio lembo di terra e i propri spazi. Anche il fascismo si dovette arrendere alla forza dell'unione delle genti: qui la marcia su Roma incontrò l'impossibilità di accedere e fare la propria “regale passeggiata”: i fucili puntati dagli abitanti non lo permise. È per questo che i comitati e le libere associazioni di cittadini, di ragazzi e di volontari decidono di cominciare a incontrarsi per discutere il da farsi. Il Nuovo Cinema Palazzo non può morire così. Ancor di più se la morte è provocata per lasciar spazio a quel tipo di strutture che molto spesso sono vizio e stravizio di una fetta di popolazione che non riesce a rinunciarvi, terminando accalappiata con braccia e mani legate nella rete fatalmente tesa dall'usura e dallo strozzinaggio. Tutto ciò va impedito ed è per questo che San Lorenzo si schiera in battaglia. I ragazzi decidono di raccogliere le prime firme, 5mila in pochissime ore tra i residenti. C'è voglia di mettersi alla prova e soprattutto di provarci, di aprire le porte e rimaner dentro per costruire culturalmente con-

tro la decostruzione edilizia e sociale. Siamo ancora lì, il 15 aprile: mentre i ragazzi decidono di superare le barriere architettoniche e insieme la resistenza dei primi vigili che si recano sul posto per cercare di sgombrare il posto, a molti km di distanza un altro resistente fa parlare di sé. Nel peggiore dei modi, purtroppo: Vittorio Arrigoni, dopo

La sala è dedicata a Vittorio Arrigoni, morto il 15 aprile a Gaza. «Ci è venuto dal cuore, spontaneamente intitolare a lui il nostro lavoro»

mesi di minacce, pestaggi e intimidazioni viene ucciso a Gaza da un gruppo estremista jihadista salafita. «Ci è venuto dal cuore, spontaneamente – racconta Stefano, uno dei ragazzi che danno anima e cuore al progetto NCP – intitolare a Vittorio



il nostro lavoro». È così che la – ora – Sala Arrigoni prende finalmente forma, sostanza e anche un nome nuovo, come nuova è l'era che si spalanca davanti e le prospettive annesse. Tanti sono i tentativi di far cessare le attività: più volte viene staccata la luce e sono innumerevoli gli scontri innestati da una politica che il nostro amico non esita a definire totalmente assente e ancor peggio incurante dei bisogni del territorio. Quel territorio che loro difendono a spada tratta, con le unghie e con i denti, trovando anche una incredibile vittoria nel febbraio dello scorso anno, quando un giudice dà ragione ai cittadini mostrando la legittimità dell'occupazione di uno spazio che è, semplicemente, bene comune. È una sentenza storica, una data che forma un precedente importantissimo a livello non solo italiano, ma anche europeo. Parecchie sono infatti le reti di occupazioni che mantengono i contatti e cooperano fra loro, in Italia e anche, ultimamente, all'estero, in un tentativo ambizioso di realizzare un piano comune europeo forte nella possibilità di schierarsi contro sgomberi e tentativi estremi del capitalismo 2.0. Da quella data, ancora più forte e unito è il cerchio che si è stretto in favore

della tutela di una cultura che in Italia è decisamente troppo bistrattata e ridotta a carta straccia: le firme e le partecipazioni simboliche – e non retribuite – di artisti di grande spessore nella Sala Arrigoni sono testimonianza viva del cuore più che mai pulsante di un'Italia bella e pura, che non si arrende, che lotta e che dà coraggio. E soprattutto, che vince.

La Sala Arrigoni tutela la cultura: firme e partecipazioni gratuite sono la testimonianza del successo di un progetto fatto non per se stessi ma per la comunità che lo ospita

Ringraziamo Stefano e tutti i ragazzi della Sala Arrigoni per la disponibilità.


Il condominio nella scuola

Affitto alto e nel 2009 la Vespucci resta vuota. In meno di 5 mesi il Comitato popolare di lotta per la casa occupa e ora dà casa a più di cento persone di Elisabetta Specchioli

A

Roma c’è un quartiere che si chiama Centocelle. Si stringe tra la Casilina e la Prenestina, nella periferia orientale della città; qui le strade portano i nomi di fiori e piante e poiché la metro c tarda così tanto ad arrivare da sfumare in utopia, si lascia ancora attraversare dai tram di pasoliniana memoria. Nel suo L’elementare cuore popolare, in Amerigo via delle Acacie, Vespucci è nel aveva sede una scuola elementare quartiere di intitolata ad AmeCentocelle, tra Vespucci il cui via Casilina e via rigo canone di locazione Prenestina costava al comune di Roma più di 400 mila euro annui. Troppi davvero. Così, nel gennaio 2009, la scuola viene chiusa e l’edificio resta vuoto e abbandonato come una balena di cemento. Poco tempo dopo, il 22 Maggio, il Comitato popolare di lotta per la casa decide di occuparlo, riqualificarlo e fare di quei 5 piani l’abitazione per 47 nuclei familiari, circa 120 persone che ancora oggi vivono con dignità negli appartamenti

ricavati dalle ex aule. Dignità è la parola chiave attorno cui dovrebbe vertere il discorso sulle occupazioni a scopo abitativo. E più volte ce l’hanno ripetuta Giulia e Silvia che in un rovente pomeriggio di inizio Ottobre ci hanno gentilmente aperto le porte di casa loro. Una nelle occupazioni c’è diventata grande, l’altra ha scelto di farci crescere il suo splendido bambino; entrambe sono qui dall’inizio e davanti a un caffè ci hanno raccontato come funzionano le occupazioni organizzate dal comitato popolare. La premessa doverosa ai fini della comprensione è che occu-

Occupare è l’extrema ratio per molti e in via delle Acacie la popolazione è variegata: ci sono anziani, migranti, famiglie con bambini

pare è l’extrema ratio per molti. Non è un’alternativa, è la scelta obbligata di chi non ne ha altre. Nell’occupazione ci sono anziani che vivono con 600 euro di pensione, famiglie di migranti, fami-


glie italiane sfrattate che non potevano più permettersi di pagare affitti esorbitanti e giovani lavoratori precari o che il lavoro l’hanno già perso. Appartengono a fette di popolazione da sempre marginalizzate a cui nell’ultimo decennio si è aggiunta buona parte di quel famoso ceto medio che per le pressioni della generale crisi economica si è ritrovato impoverito, insolvibile e infine senza un tetto sulla testa. Eˋ bene chiarire infatti che Il disagio abitativo non è un problema esploso all’ improvviso, ma disoccupazione e casse integrazioni l’hanno acutizzato; la drastica ri-

ha fornito dati mortificanti: tra il 2000 e il 2010 i canoni d’affitto a Roma sono aumentati del 150%, mentre il livello della retribuzione netta è abbondantemente calato; nel 2011 gli sfratti emessi nella sola capitale sono stati 6.668 di cui 5.330 per morosità, 7.206 le richieste di esecuzione presentate all’Ufficiale giudiziario, di cui 2.343 eseguite. Ci si ritrova così, nel 2013, con 30 mila famiglie che presentano domanda per l’assegnazione di una casa popolare. La presentano all’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale) le cui liste però sono bloccate dal 2008 e

duzione delle capacità reddituali delle famiglie si è aggiunta, peggiorandolo, a un problema strutturale permanente: l'assenza di politiche abitative, soprattutto quelle mirate alle fasce mediobasse e la conseguente carenza di un'offerta di abitazioni in affitto a prezzi sostenibili. La sintesi dello studio condotto nel 2012 da Cgil e SUNIA (Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari)

che nell’assegnare procede per estrazione (sic!). A questo quadro desolante si somma la particolare storia urbanistica di Roma. Quando è diventata capitale del Regno, ha avuto inizio la costruzione dei quartieri di edilizia popolare che, destinati alle fasce socialmente più deboli, sono divenuti una ghiotta occasione per rilanciare l’attività edilizia in toto, lasciata

Dal 2000 al 2010 gli affitti sono aumentati del 150% e nel 2013 sono state addirittura 30mila le famiglie a presentare all’Ater domanda per l’assegnazione di una casa popolare


in mano ai privati, i cosiddetti palazzinari che a suon di cemento sono diventati i nuovi imperatori dell’Urbe. Loro però piuttosto che bruciarla, hanno preferito soffocarla col calce-

«Le occupazioni come questa non sono fini a se stesse, ma vogliono creare un modello valido ed efficace. E dunque replicabile»

struzzo e il risultato sono 100 mila immobili vuoti, da utilizzare come merce di scambio nel triste Monopoli bancario, a fronte di un’iniziativa pubblica ridotta a una manciata di alloggi. Il vergognoso paradosso l’abbiamo già spiegato: persone senza case e edifici vuoti. Proprio gli edifici vuoti, abbandonati a un fisiologico declino, sono i luoghi deputati alla realizzazione del progetto abitativo promosso dal Comitato popolare.

Ci spiegano le ragazze che le loro occupazioni non sono finalizzate esclusivamente a rimediare un tetto per chi non ce l’ha: la questione non è banalmente quantitativa, ma qualitativa. Il Comitato cerca di produrre un modello valido, efficace e dunque replicabile. E ci stanno effettivamente riuscendo se si considera che ai loro sportelli si rivolgono anche i servizi sociali per segnalare famiglie in piena emergenza. Il principio ispiratore è quello della giustizia sociale, del diritto alla casa che si concretizza nell’autocostruzione; selezionati in base alle esigenze, gli occupanti riqualificano gli stabili in cui andranno a stare. Come spese, viene richiesta la somma necessaria per l’acquisto dei materiali, poi ci si dà una

Le famiglie ospitate in via delle Acacie si tassano di 100 euro per contribuire alle spese di manutenzione dell’edificio


mano gli uni con gli altri: ognuno mette a disposizione le proprie capacità. Si costruisce la propria casa, quella degli altri e si forma così un tessuto sociale in cui gli occupanti sono inseriti totalmente. E’ una crescita collettiva: s’impara a stare con persone di una cultura completamente differente, si impara ad avere rispetto per il prossimo. Lo statuto parla chiaro: nesforma di vioLa scia tracciata suna lenza è consentita. in via delle Non è semplice, ma Acacie funziona si lotta tutti insieme anche grazie allo nella sanissima convinzione la dignità statuto interno merita di esche regola la vita umana sere valorizzata. della comunità All’occupazione di via delle acacie, a ulteriore riprova che il modello creato e difeso dal Comitato funziona, ha fatto seguito quella di un’altra ex scuola, la Hertz di Anagnina. Qui, sempre attraverso l’autocostruzione, gli occupanti hanno ricavato 22 appartamenti tutti rigorosamente a norma. Come ci dice Giulia, sono esempi di <<eccellenza dell’occupazione>> e forte di questa consapevolezza, il Comitato è riuscito a sottoporre il proprio progetto abitativo all’attenzione del Parlamento europeo. Ciò che si chiede non è la legalizzazione, concetto che non

ha molto senso giacché riesce davvero difficile considerare criminali coloro che vengono denunciati per “morosità incolpevole”, ma legittimazione, riconoscimento dell’efficacia di una soluzione ben più decorosa dei residence, dove in 30 mq vivono più famiglie, nella sostanza più simili a un domicilio coatto che a delle case e che costano al comune migliaia di euro al mese. Insomma, le occupazioni come le intende e le gestisce il comitato popolare sono innanzitutto una risorsa sociale e il comune, che paga loro le utenze, risparmia cento volte tanto. Peccato che quei soldi ancora non si riesca e non si voglia utilizzarli in un modo che metta dignitosamente fine al disagio abitativo. Quando a fine giornata ce ne andiamo, nel cortile dell’ex scuola elementare Vespucci, ci sono i bambini che giocano a pallone; ci sono anche quattro signori che seduti a Un’altro edificio un tavolino giocano scolastico, la a carte. Nel mio paHertz di lazzo invece c’è la Anagnina, ha signora del quarto seguito la piano che dopo tre anni, ancora mi Vespucci chiede se abito lì. E non ha l’Alzheimer.


S.cu.p!, l’ibrido utile Dai faldoni alla boxe: il miracolo di un ex archivio al servizio della comunità

D

di Flavia Orlandi

ietro la Basilica di Santa Croce, nel quartiere San Giovanni di Roma da quasi due anni al civico 5 di via Nola non c'è più un edificio vuoto lasciato alla ruggine, ma S.cu.p!, Sport e Cultura Popolare. Marco, uno degli occupanti mi guida attraverso la struttura, un immobile di diversi piani dai muri colorati e le stanze piene di voci. È in corso un'assemblea all'esterno sul nuovo palinsesto della radio, alcuni ragazzi giocano sotto il canestro da basket in cortile e una bambina raccoglie lombrichi dentro una scatola per poi portarmeli e sfidarmi a toccarli. Marco mi spiega che la loro «non è un'occupazione a scopo abitativo ma neanche un centro sociale anni Novanta», uno spazio che spesso esclude chi non fa politica. S.cu.p! nasce dentro un edificio abbandonato di proprietà del Ministero dei Trasporti, sede fino a qualche anno fa degli archivi della motorizzazione, e ospita oggi una palestra popolare, una biblioteca pubblica composta da oltre 7mila libri regalati dagli abitanti del quartiere, nonché spazi gratuiti per lo studio con computer e connessione internet e per i giochi dei più piccoli. Le attività sono orientate agli abitanti della zona, con un'offerta trasversale per le varie età: dai bambini che giocano nel cortile o fanno sport nell'area

In via Nola 5 c’erano gli archivi della motorizzazione: le pile di carta hanno fatto spazio a una palestra, una biblioteca e spazi gratuiti


adibita a palestra, passando per gli adolescenti che vengono a studiare e a passare del tempo nel bar all'aperto, fino agli adulti che partecipano ai corsi di lingua o a quelli di ginnastica posturale. Il tentativo è quello di aprirlo al quartiere in modo che lo percepisca come suo, che “lo liberi” dall'uso (mancato) a cui era stato destinato. Per farlo S.cu.p! cerca di coinvolgere la comunità locale nella sua gestione. Sul sito gli occupanti spiegano così le loro intenzioni: «Il tema è la ricchezza dei nostri territori in un'epoca di crisi europea; la scommessa è intravedere la luce alla fine del tunnel, ma soprattutto praticare un lavoro quotidiano di relazioni, cooperazione, solidarietà, fantasia, conflitto, per colmare il vuoto lasciato dalla politica». S.cu.p! Si richiama al pensiero zapatista, si definisce «mondo di sotto che si organizza, un mondo eterogeneo che ha come denominatore comune una sensibilità verso il vuoto». La metropoli contemporanea si configura sempre più come una trama di perimetri chiusi e percorsi negati. L'accesso ad alcuni di essi è regolato dal mercato e ancora più che in passato lo spazio è merce. Una trasformazione prodotta dalla minore attenzione che l'attore politico rivolge allo spazio pubblico. In “tempi di crisi” quello di battere cassa diventa l'imperativo assoluto, il cittadino un consumatore e il tempo

«Un lavoro quotidiano di relazioni per colmare il vuoto lasciato dalla politica»


libero una miniera d'oro. Il risultato? I luoghi di incontro non sono più la strada o la piazza, dove ordinanze sempre più restrittive impediscono il “bivacco”, quando non la sosta. E se il centro è costretto nella difesa del “decoro pubblico”, nei quartieri periferici, messi su carta più dai costruttori che dai politici, l'incontro spontaneo tra persone non sembra neanche contemplato. La socializzazione si trasferisce quindi nei centri commerciali, nei bar, nei ristoranti, nelle palestre, creando nuove esclusioni sociali tra coloro che non possono permettersi l'accesso. Stare con gli altri non è più gratis. E si può facilmente intuire chi ne trae vantaggio. Una società di individui soli di fronte ai loro televisori (o computer e smartphone, per una socialità tutta virtuale) favorisce il controllo sociale, l'omologazione, la paura del diverso, la creazione di pubblici capri espiatori. E quindi l'ordine politicamente inteso. Il tutto a svantaggio della qualità della vita: scompaiono le comunità di quartiere, si sviluppano la diffidenza reciproca, l'individualismo, la solitudine, l'esclusione. Una trasformazione che per molti rappresenta un'ulteriore emergenza, accanto a quella abitativa, a cui il fenomeno contemporaneo dell'occupazione cerca di rispondere. Oltre all'ormai diffuso problema della perdita dello spazio privato, quello della casa, si è infatti sviluppato anche quello della

L’ex motorizzazione è diventata una risposta creativa alla solitudine metropolitana


decostruzione dello spazio pubblico. E qui entrano in gioco i progetti come S.cu.p! Nel tentativo di coinvolgere i residenti locali gli occupanti hanno anche ipotizzato un possibile Attività ricreative e “bando” per ricevere proposte su nuove future produttive: S.cu.p! destinazioni per le stanze ancora vuote del accoglie i precari e dà grande edificio. C'è ancora spazio per la loro un lavoro creatività. Dentro l'area S.cu.p! periodicamente si sviluppano eventi speciali, la cui organizzazione non è sempre gestita dai più “assidui”. Per questo motivo le mura dell'antica motorizzazione ospitano diverse assemblee cittadine, laboratori di teatro per bambini, corsi per l'installazione di impianti solari, cineforum estivi, e addirittura seminari di psicologia orientati alle famiglie. Tra gli eventi fissi c'è il mercatino del biologico che si tiene la prima domenica di ogni mese, mentre come strutture stabili si possono contare l'osteria popolare esterna e lo studio di registrazione della webradio Radiosonar.net. Una serie di attività produttive che permettono a Marco di parlare del secondo obiettivo politico di questa occupazione: coinvolgere gli esclusi dal mondo del lavoro, chi della precarietà ha fatto una condizione esistenziale, i “bamboccioni” Dai corsi al mercato biologico, qualificati che attraverso la pratica chi tiene un’attività riesce ad dell'autoreddito possono trasformare le attività avere anche un reddito



dello stabile in una fonte di seppur minimo sostentamento. L'occupazione di S.cu.p! é avvenuta il 12 maggio 2012. Dopo circa nove mesi, il 25 gennaio 2013 gli occupanti vengono sgomberati. Anche gli agenti che mettono i sigilli non sembrano entusiasti: sul comunicato ufficiale sono riportate addirittura le parole di un poliziotto che mentre aiuta gli sfrattati a portare via i materiali della biblioteca si dice dispiaciuto perché il posto era “molto curato, molto vissuto”, ma lo sgombero era inevitabile perché su quel locale vuoto si erano sviluppati da un po' di tempo interessi privati. Lo stabile infatti dopo anni di inutilizzo è stato inserito in un Fondo Immobiliare, e la vendita affidata all'Agenzia del Demanio, ente economico creato dal Governo D'Alema per la gestione dei beni immobili pubblici sulla base di “logiche aziendalistiche”. Un'operazione che è andata a svantaggio delle stesse casse pubbliche: l'Agenzia del Demanio infatti ha prima venduto questo spazio (8800 mq al centro di Roma) alla F&F Immobiliare - agenzia formalmente inattiva, con capitale sociale di soli 10.000 euro, fondata pochi mesi prima dell'acquisizione - ad un prezzo nettamente inferiore al valore di mercato, per poi tornare ad affittarla a caro prezzo, per altro senza destinarla ad alcuna attività. Un giro d'affari poco chiaro per il quale gli occupanti non hanno voluto arrendersi allo sgombero: dal 10 febbraio, dopo due settimane nel deposito Atac abbandonato di via Monza, S.Cu.P! è tornato a via Nola.


«Welfare in progress»

Il Tufello e l’esperienza di Puzzle: colmare a 360° il vuoto lasciato dalle amministrazioni


L

’istantanea che meglio di qualunque arida descrizione verbale immortala il concetto di fondo di Puzzle è una cassetta della frutta dipinta di un acceso verde speranza: una piccola struttura di compensato ripensata, riempita di libri e collocata su un muro, l’ingegno umano applicato alle piccole cose del quotidiano che restituisce alla vita un oggetto desueto, rinnovandolo. Riciclare e riqualificare è possibile, anche per strutture ormai in disuso, anche per una vecchia sede ASL del Municipio IV sommersa da scartoffie, polvere e perdite idrauliche. Questo semplicissimo principio anima i ragazzi di Lab Puzzle quando, il 19 febbraio 2011, pongono fine a oltre 2 anni di deperimento del complesso di via Monte Meta 25, quartiere Tufello. In barba ai continui rinvii del Campidoglio occupano la struttura per restituirla alla vita. Collettivi studenteschi della Sapienza - su tutti Ingegneria e Medicina - in testa al corteo in una mattina soleggiata e pungente dell’inverno capitolino, ostracismo delle forze dell’ordine al minimo storico, atteggiamento insolitamente conviviale di chi pare aver colto la nobiltà dell’iniziativa malgrado gli obblighi imposti dalla divisa. Inizia

l’avventura, i pezzi di Puzzle cominciano a comporsi.

DAL BASSO VERSO L’ALTO Il Municipio IV non può abdicare in toto al proprio ruolo – ormai prettamente nominale di presidio sociale del territorio, così stabilisce un accordo di massima con gli occupanti: i piani superiori - terzo, quarto e quinto più parte del primo -

di Pasquale Raffaele

«Dal 19 febbraio 2011 Puzzle si è raccontato in molti modi» Cliccando qui sopra si arriva al video “Puzzle si racconta”, da cui sono tratte le citazioni dei ragazzi di via Monte Meta 25

vengono destinati al progetto di alloggio dei ragazzi, la parte inferiore dell’edificio rimane all’amministrazione dietro la promessa di utilizzarla per attività di carattere sociale. Proposta che rimane sul piano dei meri propositi, a distanza di più


che possono crearlo da sé e offrirlo agli altri».

di due anni e mezzo dal patto il vistoso contrasto fra le condizioni dell’area studenti e quelle immutate dell’area in mano al Municipio illustrano due visioni antitetiche dello Stato Sociale, specchio fedele della stessa ripartizione del palazzo: dilatorio, passivo e “basso” il secondo, propositivo, vivo e “alto” il primo. Il Welfare si fa da sé, Welfare in Progress, come sintetizza la

«Siamo nati per sopperire alle carenze dello Stato sociale che arriva dall’alto, ma anche per far capire ai cittadini che possono crearlo da sé e offrirlo agli altri»

scritta che campeggia sul civico 25; Welfare dal basso, come ribadisce Simona, studentessa di Medicina in prima linea nell’iniziativa: «Siamo nati per sopperire alle carenze dello Stato sociale che arriva dall’alto, ma anche per far capire ai cittadini

APERTURA - I ragazzi si rimboccano le maniche, le difficoltà dei primi 4 mesi – caos primigenio, assenza di riscaldamenti, servizi al piano terra che richiedono “trasferte” anche soltanto per scolare la pasta – lasciano spazio a idee che col tempo si trasformano in progetti concreti e tangibili nel segno dell’apertura ad ambienti extra-universitari, come nel caso dello sportello contro la precarietà abitativa e dei corsi d’italiano per migranti (che accolgono studenti dai 10 ai 60 anni), primo passo verso l’integrazione. Il tempo di mettere in piedi un efficiente autofinanziamento grazie a una festa universitaria con raccolta fondi e arrivano le riparazioni dell’impianto elettrico e idraulico, pile di vecchi documenti e sporcizia fanno posto a servizi perfettamente funzionanti, lavatrice, scaldabagno. La parola-chiave è sempre apertura, Puzzle si propone di comporre, superare gli steccati ideologici e spalancare le porte a tutta la cittadinanza. Alessia, studentessa di medicina poco più che ventenne alla ricerca di un alloggio, racconta delle sue iniziali perplessità sulla connotazione politica dell’iniziativa,


perplessità superate dalla successiva esperienza diretta e tangibile della convivenza in Puzzle: «Qui viviamo pressappoco come in un qualsiasi appartamento studentesco, siamo una decina e tocchiamo con mano i momentanei disagi che possono derivare da una convivenza allargata, ma ormai ho imparato a conoscere i piccoli difetti quotidiani dei miei coinquilini e viceversa, così non mi incazzo più quando trovo la tazzina di Marco accanto al lavello perché so che ce la lascia per riutilizzarla».

AGGREGAZIONE – Condivisione declinata nelle forme più disparate. Condivisione di oggetti inutilizzati e destinati alla discarica - «Un abitante del quartiere ci ha lasciato un vecchio televisore che stava per buttare» – ma, soprattutto, di conoscenza: «Qui ci aiutiamo tutti, così chi è più bravo ai fornelli insegna a chi non sa neppure preparare il sugo, chi se la cava con gli impianti elettrici dà una mano a chi è digiuno in materia, c’è chi è bravo nei piccoli lavori di riparazione». Condivisione a braccetto con aggregazione: uniti per far fronte comune contro la crisi dispiegata in tutte le proprie declinazioni, uniti per contrastare la recessione econo-

mica e morale di una società sempre più incanalata nel solco di un cieco individualismo imperante. Ne emerge anche un ripensamento dell’attività politica, sana e secondo le proprie possibilità, proveniente da un basso virtuoso che dovrebbe generare invidia e ammirazioni ai piani alti. «Fare politica – come spiega Maurizio, studente di ingegneria tuttofare – è cer-

«Qui ci aiutiamo tutti. Così chi è più bravo ai fornelli insegna a chi non sa neppure preparare il sugo, chi è bravo nei lavori di riparazione dà una mano a chi ne è digiuno»

care di cambiare lo status quo attuale della società attraverso le azioni e le interazioni quotidiane, è non sentirsi mai ‘arrivati’ e mettersi in gioco tutti i giorni».


Settimanale quotidiano

Antonio Usalla


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