La protesta nel cortile

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numero 25

Il Serale

21 ottobre 2013

Settimanale quotidiano

La protesta nel cortile CosĂŹ si frena il dialogo del dissenso



La domanda giusta

O

gni grande opera costruita, appaltata o sospesa ha un impatto “personale” sul territorio nel quale viene contestata. Le problematiche ambientali sono identificative di quel progetto e, nonostante la capacità di fare rete da parte dei movimenti e dei comitati sparsi in tutta Italia, gran parte dell’opinione pubblica ben volentieri ignora i motivi per cui un gasdotto che arriva a San Foca (LE) debba riguardarla. cco il senso di questo numero: il minimo comune multiplo delle proteste non sta nelle specifiche tecniche dell’opera, ma nel modo con cui politici e attivisti non dialogano, nei giochi elettorali che strozzano e prendono in giro la cittadinanza, nei guinzagli mediatici e geopolitici che la comunicazione può ritrovarsi al collo. La domanda non è «se mi costruissero un rigassificatore, inceneritore, discarica, centrale nucleare, alta velocità cosa devo fare?», bensì: «Se dissento, mi ascoltano?».lSuspendisse sit amet tortor augue.

E

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di Tommaso Brolino


La gestione muta del dissenso

Manca la comunicazione tra chi protesta e chi vuole costruire, tra i cittadini e le aziende: tra i due la politica latita e gli investimenti scappano via di Alessandro Ricucci

I

n Italia si assiste ad un fenomeno alquanto singolare ogniqualvolta si dibatte sulla realizzazione di nuove infrastrutture. I cittadini del luogo che ospiterà l’opera si oppongono, i governanti si dividono, mentre le lobby che hanno interessi economici nella questione spingono per una risoluzione netta della queL’Italia ha stione, ignorando bisogno di le più elecolmare il deficit anche mentari regole della infrastrutturale democrazia e del che la separa dal dissenso. L’Italia ha sicuraresto d’Europa mente bisogno di colmare il suo crescente deficit infrastrutturale e l'elenco delle cose da fare è lungo: potenziare le reti energetiche e idriche, investire sui termovalorizzatori, sviluppare autostrade e ferrovie e rivedere la logistica, a cominciare dai porti. Tutto ciò è semplicemente una visione utopica, un obbiettivo irraggiungibile. Il perché lo spiega il "Global competitiveness report 20132014" del World Economic Forum. Per descrivere le cause

dell’arretramento dell’Italia gli analisti utilizzano queste parole: “mancanza di una chiara direzione politica che ha incrementato l’incertezza per il mondo del business e ha contribuito al calo di produttività”. Le infrastrutture sono fondamentali per ridurre i costi e i tempi di spostamento delle merci e «Mancanza di delle persone, per chiara direzione integrare i sistemi politica» si legge produttivi, per ganel rapporto di rantire la circolacompetitività zione delle informazioni. Non a globale 2013 caso sono uno dei principali pilastri che sostengono la competitività di un Paese. L’inglese Not In My BackYard (Non nel cortile dietro casa mia) e il suo leggendario acronimo, Nimby, è un fenomeno di protesta civile che si è diffuso in Italia negli ultimi dieci anni. Che siano impianti di riciclaggio dei rifiuti, rigassificatori, linee ad alta velocità, viadotti, servitù militari, impianti eolici, l’opposizione si rifugia in questo diniego: non nel mio cortile, non dietro


«Questo accade perché il sistema sociale si è progressivamente frammentato, una vera e propria polverizzazione sociale»

casa mia, non nei miei paraggi. Certo è che nessuno amerebbe avere un traliccio dell’alta tensione di fronte casa. D’altronde da qualche parte i tralicci devono sorgere, le discariche devono stare, i viadotti devono passare. E così nel Bel Paese si assiste giorno per giorno alla nascita di fronti opposti, lobby e nimby. Per le aziende, gli enti e i consorzi “nimby” è una sindrome da

cessione di alcuni diritti individuali alle istituzioni, perché queste, legittimate dalla propria natura rappresentativa, possano progettare e realizzare il bene comune, venisse revocato. I singoli, i piccoli gruppi, si riprendono il diritto di far valere direttamente le proprie ragioni, di salvaguardare il proprio utile particolare, delegittimando i pubblici poteri. Questo accade perché in Italia, negli ultimi trent’anni, il sistema sociale si è progressivamente frammentato, tanto che è possibile parlare di polverizzazione sociale. Le piccole comunità e i singoli individui vivono come un

estirpare. Per i comitati oppositori nimby è una tutela, perché l’ambiente va difeso, pezzetto per pezzetto. È come se il patto di cittadinanza originario, che implica la

problema socialmente rilevante il proprio personale problema. Le contestazioni sono in continuo aumento (+3,4 per cento annuo) e, caso interessante, oltre la metà sono suscitate da progetti

La nascita di fronti opposti è quotidiana nel nostro Paese: lobby, nimby, aziende contro comitati, interessi contro ambientalismo. Le parti si affrontano da anni ma non si sono mai parlate


Il rigassificatore da 800 milioni di euro a Brindisi è sfumato tra permessi negati, ritardi politici e arresti per tangenti

non ancora autorizzati. I cittadini e gli enti locali insomma insorgono e si mobilitano anche di fronte a semplici ipotesi, ma pure, a molti anni di distanza dall'inizio della concertazione. Secondo i dati governativi, al momento sono oltre trecento le infrastrutture che subiscono contestazioni. L’acuirsi di questo fenomeno ha portato ad un progressivo ral-

tish Gas Italia che dopo undici anni di controversie ha rinunciato al progetto di un rigassificatore a Brindisi. Un investimento di 800 mln di euro che avrebbe creato un migliaio di posti di lavoro, sfumato tra permessi negati, ritardi politici, arresti per tangenti e polemiche ambientali. In Lombardia Decathlon, il gruppo francese leader nella produzione e vendita di articoli sportivi, dopo otto anni di estenuante ping-pong con gli enti locali lombardi, ha rinunciato a investire 30 mln di euro per un nuovo punto vendita, con tanto di parco sportivo aperto al pubblico, che avrebbe creato

lentamento nello sviluppo infrastrutturale. Le grandi multinazionali stanno abbandonando i loro investimenti in Italia. Basti pensare alla vicenda EniPower a Taranto, o alla Bri-

centinaia posti di lavoro a Brugherio. Il nostro non è l’unico Paese a vivere queste vicissitudini, ovviamente, ma sicuramente è quello che le gestisce peggio. In

Se agli interessi di chi investe si sommano quelli della politica e le battaglie dei cittadini, si ottiene un imbuto strutturale dal quale tutti fuggono; nessuno così investe più nel Bel Paese


Francia, ad esempio, in seguito alle virulenti proteste contro il tracciato dell’alta velocità LioneMarsiglia, il governo francese decise che la progettazione delle grandi opere dovesse essere sottoposta preventivamente ad un dibatti pubblico tra i soggetti interessati. Così nel 1995, grazie alla legge Barnier, fu istituita un’autorità indipendente denominata Commission Nationale du Debate Public che ha il compito di organizzare il dibattito. In pratica, una volta sviluppato un progetto, questo viene presentato, in tutte le sua parti dal promoL’Italia non è vente a una coml’unico Paese in missione speciale, cui Nimby e che riunisce tutti i soggetti interessati. lobby si Questi poi scontrano: le sei mesi di soluzioni altrove hanno tempo per studiare, sono più efficaci confrontarsi sulla situazione ed esprimere una loro valutazione. A questo punto il parere viene comunicato al promovente, che può rinunciare alla costruzione dell’opera o accettare le indicazioni e le modifiche suggerite dalla commissione in questa fase preliminare di discussione. O ancora, in caso contrario, non tenerne conto. In questo caso però, qualora sorgano contestazioni il promovente non potrà contare

sulle istituzioni, perché preventivamente avvisato. Dunque il coinvolgimento passa attraverso una buona comunicazione, la quale passa attraverso progetti chiari e trasparenti con capacità di essere contrastati nello stesso modo. Anche i governanti italiani hanno cercato di risolvere la questione. Come? Creando il Nimbyforum, un osservatorio gestito dalla presidenza del Consiglio dei ministri, con l’ausilio dei ministeri dell’Ambientre, delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico. Peccato che il forum In Francia dal ‘95 sia patrocinato da la Commission Actelios-Gruppo national du Falck, Alpiq, Amiu, Amsa, Autorità per debate public l'energia elettrica e assicura il il gas, Autostrade confronto e la per l'Italia, Banco comunicazione Popolare dell'Emilia Romagna, Buzzi Unicem, C. m. c., Conai, Edison, Enel, Enìa, Federambiente, Ferrovie dello Stato, Gruppo Hera, Gruppo Italgest, Impregilo, Sei, Siemens, Sogin, Teseco, TRM, Waste Italia, Wisco, ovvero soggetti che direttamente o indirettamente sono economicamente coinvolti nella realizzazione di diversi progetti che subiscono contestazioni dai locali.


«Non nel mio bacino elettorale» C

di Flavia Orlandi

iò che distingue Roma da Napoli non è la capacità di gestire i propri rifiuti quanto quella di nasconderli sotto il tappeto. Nonostante un commissariamento partito nel 1999 per risolvere l'emergenza, e durato fino al 2008, la raccolta differenziata della capitale è ferma a meno del 25%. Gli impianti di Tmb (Trattamento Meccanico Biologico), obbligatori per decreto ministeriale dal marzo di quest'anno, non sono sufficienti e i rifiuti vengono trattati nelle altre arrabbiate provincie, spesso senza tornare indietro. I movimenti di protesta si sono allora moltiplicati. Spicca per anzianità il Coordinamento contro l'inceneritore di Albano, nato nel 2007. Tuttavia l'attenzione sul tema dei rifiuti è dif-

Sinistra e destra indifferenziate: storia della gestione dei rifiuti a Roma, strumento di trent’anni di promesse e campagne elettorali

fusa in tutta la provincia: Malagrotta, Valle Galeria, Divino Amore, Bracciano, Castelli Romani, Massimina, Guidonia, Cerveteri, Fiumicino, Colleferro. All'interno di ogni area ci sono comitati, associazioni, gruppi di protesta differenti e non necessariamente tra loro in comunicazione (anche perché ci sono orientamenti trasversali, dall'estrema destra all'estrema sinistra, Da Malagrotta a Colleferro partitici e antipartii comitati di cittadini si tici). Si è sviluppata sono organizzati contro la una struttura a rete spazzatura e chi ne abusa sull'intero territorio nazionale che permette la cooperazione durante manifestazioni e cortei, nonché la condivisione di utili informazioni e dibattiti in strutture che sono molto più grandi come il


Coordinamento nazionale rifiuti-energia. Cresce così l'influenza dei comitati sulle scelte politiche, ma non si tratta solo di una scelta strategica. È l'obiettivo stesso a essere comune: i territori non si pongono in competizione tra di loro per non ricevere grandi opere di dubbia utilità (not in my back yard), ma ne contestano la realizzazione stessa proponendo alternative più sensate dal punto di vista economico e ecologico. Oggi l'etichetta di egoismo locale sembra più un tentativo della Politica di sminuire le critiche al proprio operato avanzate dai cittadini che non un problema reale. Ma le istituzioni hanno la coscienza sufficientemente pulita per ignorare le voci contrarie? Tutti e tre i livelli istituzionali, Regione, Provincia e Comune, sono coinvolti nella gestione dei rifiuti. La Regione e la Provincia

per la scelta dei siti destinati a diventare discariche e per la progettazione dei grandi impianti di incenerimento. La raccolta dei rifiuti e quindi la differenziata sono di competenza comunale, anche se in presenza di un grosso impianto a caldo esistono “obblighi di conferimento” per mantenerne l'attività. Nel 2007, quando alla Regione si parlò per la prima volta di un nuovo inceneritore,

I tre livelli istituzionali, Regione Provincia e Comune, hanno voce in capitolo nello smaltimento: così le responsabilità si scaricano e nessuno ascolta le alternative

a spingere perché l'impianto entrasse in agenda furono 10 comuni dei Castelli Romani che attraverso una lettera chiedevano la contemporanea chiusura della discarica di Roncigliano. Alla presidenza della Regione


La discarica di Malagrotta è stata ufficialmente chiusa, ma per realizzarne il “topping” verranno utilizzati altri rifiuti (la FOS, Frazione Organica Stabilizzata). L'inceneritore al suo interno è guasto da più di un anno senza che si sappia il perché (forse un difetto congenito della tecnologia che metterebbe in discussione l'impianto gemello previsto per Albano?). Per le periferie è aperta una lotteria a

perdere per una discarica “provvisoria” che minaccia di diventare una Malagrotta bis, mentre quella di Albano da tempo esaurita è ancora attiva, nonostante i miasmi nelle aree circostanti abbiano prodotto 35 malori proprio in questi ultimi giorni. Insomma dopo quasi 15 anni la risposta politica al problema dei rifiuti è ancora quella che l'Europa considera la più errata: la discarica.


c'era Marrazzo, ma anche il consigliere del Pdl Robilotta se ne fece promotore. Scelta condivisa, ma poi nel dicembre 2009, in corrispondenza della prima udienza dei ricorsi al Tar dei comitati e del picco di proteste in piazza, tutti declinarono le responsabilità. Gli stessi sindaci della lettera affiancarono ai ricorsi cittadini una comune richiesta di sospensione del progetto. Siamo infatti alla vigilia di alcune elezioni comunali, e la primavera seguente si terranno le elezioni regionali. La campagna elettorale è aperta e il candidato ad Albano del Pd Nicola Marini sostiene come il suo sia sempre stato “un no fermo e deciso”, in opposizione al sindaco del PdL in carica Marco Mattei. Eppure il progetto è della Regione, e la Regione è in mano al Pd, ma sono incongruenze che in prossimità del voto si spera passino inosservate. Le due candidate alla Regione, Renata Polverini e Emma Bonino, che sull'impianto avranno più voce in capitolo, mantengono sull'argomento una vaghezza bipartisan, cercando di rassicurare le comunità locali di “non voler far nulla contro di loro”. Passate le elezioni la poltrona regionale va al centrodestra, il comune di Albano al centrosinistra, ma l'ex sindaco

Mattei diventa Assessore regionale all'ambiente subito confermando il progetto, nonostante la richiesta di sospensiva firmata di suo pugno qualche mese prima. Renata Polverini delega le sue responsabilità sulla costruzione dell'inceneritore alla precedente amministrazione di centrosinistra e il progetto rimane in agenda. Si scatenano poi nuovi attriti tra Regione e Comune di

Prima delle elezioni ad Albano nel 2009 il candidato di sinistra sostenne «un no fermo» all’inceneritore contro l’avversario Pdl. Ma il progetto era della regione, in mano al Pd

Roma, ma essendo entrambi in mano al centrodestra in una prima fase si tenta il dialogo e spostamento delle responsabilità verso la Provincia, in mano al Pd. Gianni Alemanno critica il monopolio sui rifiuti, ma durante il suo mandato la situa-



zione non cambia, e alla vigilia del successivo approfitta della chiusura di Malagrotta per presentarsi come il sindaco anti-discarica, anche perché non va a lui la scelta del nuovo sito. E nonostante il commissario straordinario Goffredo Sottile nominato dal Governo la situazione rimane bloccata fino ad oggi. Se si guarda alla gestione dei rifiuti laziale dieci anni di commissariamento sono trascorsi lasciando intatto il monopolio delle discariche del lobbista Manlio Cerroni, a cui la Regione ha anche commissionato senza concorso pubblico la realizzazione dell'inceneritore ad Albano (finanziato dai cittadini tramite i Cip6 già da tempo dichiarati illegali). Il tutto senza che si investissero risorse adeguate né per la raccolta differenziata né per la filiera del riciclo. Il fatto che gli impianti di Tmb siano oggi inadeguati sia per numero che per funzionalità (invece di separare sono per lo più dei tritovagliatori) ne è un'ulteriore dimostrazione. Le politiche degli ultimi anni sono state all'insegna del lassismo quotidiano e del mantenimento dello status quo, salvo poi appellarsi a uno stato d'emergenza per legittimare scelte impopolari. Le strategie personali hanno governato l'intera vicenda: alleanze

con la popolazione ai livelli istituzionali più bassi, silenzi e “colpi di decreto” per quelli più in alto, incapacità di comunicazione tra i vari livelli, anche quando appartenenti allo stesso schieramento. L'inceneritore e la nuova discarica sono stati unicamente uno strumento dialettico per accrescere il consenso e screditare l'avversario, ma mai dei problemi affrontati alla ra-

Dieci anni di commissariamento sono trascorsi lasciando intatto il monopolio delle discariche a Manlio Cerroni: senza investimenti né cambi di rotta sostenibili

dice. Se allora di egoismo si vuole parlare questo va cercato nella politica: «non nel mio bacino elettorale» (specie quando si vota).


Movimento perso in partenza

La Trans Adriatic Pipeline è il gasdotto che dalla Turchia approderà nel Salento al posto del Nabucco: ecco perché il Comitato No Tap ha poche possibilità di spuntarla

I

di Marta Bonucci

l nome, No Tap, fa pensare alla sorellastra del più celebre movimento. Associazione immediata e “mediata” da giornali, telegiornali e compagnia cantante. Fatta questa premessa, dimenticatevi della Val di Susa e di spostatevi in Salento. Tra San Foca e la riserva naturale Le Cesine. Se non avete mai visitato la zona, armatevi di zaino o, se non potete, digitate questi nomi su Google immagini. Fatto? Ecco, proprio quel tratto di costa sarà il punto d'approdo del gasdotto Tap, acronimo di Trans Adriatic Pipeline. Inizialmente si era pensato a un'area industriale, per poi ripiegare su un tratto di costa, che è oasi del Wwf e ospita specie protette. Cittadini e autorità locali si sono messi di traverso, e hanno dato vita a un comitato: No Tap. Ne avete sentito parlare? Se la risposta è no, Cittadini e associazioni si non fatevene una colpa. Lo stesso comitato si è battono dal 2012 per far scagliato da subito contro la mancanza valere le proprie ragioni, ma d'informazione ufficiale e la disinformazione sul nessuno su scala nazionale ha tema. Nel No Tap ci sono cittadini e mai affrontato l’argomento


amministrazioni comunali, con annesso stuolo di artisti locali pronti a firmare petizioni e cantare contro il gasdotto. A metà ottobre il E la loro non è una battaglia facile. A Senato ha ratificato febbraio il Consiglio dei ministri ha ratificato l'accordo per l'avvio dei lavori. Il testo è passato l’accordo con Albania al Senato, che dopo aver congelato il dossier e Grecia per i lavori per aggiornamenti tecnici, ha ratificato giovedì l'accordo con Grecia e Albania per il passaggio del gasdotto. Nel frattempo, al ministero dell'Ambiente è arrivato l'incartamento sulla Valutazione d'impatto ambientale del progetto, su cui possono essere presentate osservazioni e critiche entro il mese di novembre. Gli interessi in gioco - Sembrerebbe che la storia principale verta appunto sull'impatto ambientale. Questo è il tasto su cui batte il comitato. Gli azionisti del Tap rassicurano: «Il progetto è sicuro e a impatto ambientale complessivamente basso». E per lavarsi la coscienza hanno messo sul piatto 5 milioni di euro di compensazioni economiche. Ma la main story è un'altra, e a sua volta bipartita. E parla di investimenti e politica, che poi altro non sono se non le due facce della Il progetto del Tap sostituisce stessa medaglia. Al tempo in cui di Tap ancora quello del Nabucco che avrebbe non si sentiva parlare, gli uffici di Bruxelles invece dovuto risalire i Balcani


Nabucco doveva essere la risposta europea alla dipendenza energetica dal dominio russo

A giugno di quest’anno il progetto è invece abbandonato e gli viene preferito il Tap

deputati all'energia hanno cercato per anni di diversificare gli approvvigionamenti di gas, onde evitare la dipendenza dalla Russia. Anche perché (e questo non ditemi che non lo sapete!), la regina del freddo tende ad aprire e chiudere i rubinetti a proprio piacimento, soprattutto nei mesi invernali. Ecco, a Bruxelles hanno cercato di cambiare aria, e hanno proposto un progetto dal nome verdiano, Nabucco: un corridoio continentale attraverso l'Europa balcanica, che attraverso varie diramazioni portava dritto dritto all'Austria. Nabucco è stato definito per anni come il 'flag project' della strategia energetica europea, e il fatto che a Mosca non piacesse rende bene l'idea della portata di tale progetto. E infatti, partorito nel 2002, Nabucco ha perso la vita a giugno di quest'anno, quando all'opera di verdiana memoria si è preferito la meno ambiziosa Tap. Con grande soddisfazione del monopolista Gazprom. La sconfitta di Nabucco rappresenta uno scacco alla politica energetica europea. Ed è chiaro che a giocare la partita più importante non sono i politici ma i cartelli di compagnie petrolifere. I due progetti, infatti, sono gestiti da diversi gruppi: nella squadra di Nabucco, figuravano la turca Botas, la bulgara Beh, l'ungherese FGSZ, l'austriaca Omv e la rumena Transgaz; mentre a realizzare la Tap ci penseranno l'inglese BP, l'azera Socar, la norvegese Statoil (ognuno col suo 20% di azioni), la belga Fluxys (16%), la francese Total (10%) e in misura minore la tedesca E.On e Axpo. E a siglare i contratti con la società azera si sono aggiunti Enel, Hera, Shell, Bulgargas, Gasnatural Fenosa, Depa e Gdf Suex. UNA CAUSA PERSA? - Visti gli interessi in ballo e il nutrito gruppo di aziende coinvolte, la


battaglia del comitato No Tap è difficile, se non persa in partenza. Le amministrazioni comunali hanno una posizione chiara contro il progetto, istituto una commissione speciale dedicata agli approfondimenti tecnici e chiesto al consiglio regionale di esprimersi negativamente. Gli attivisti hanno manifestato, ma la loro voce non è arrivata, se non forse sporadicamente ai notiziari nazionali. Solo il sen. Giovanardi ha dato, suo malgrado, una certa visibilità alla protesta quando, intervistato da Radio Capital a inizio ottobre, se n'è uscito così: «Su una spiaggia vicino a Lecce ci sono cinque persone che dicono che il gasdotto non deve passare di qua perché noi abbiamo la spiaggia. Diamo ragione a loro, torniamo alla civiltà agro-silviopastorale dove si campava 32, 33 anni». Sono parole indicative del modo di far politica in Parlamento, della disinformazione costante, e indicative soprattutto del criterio con cui nei palazzi romani vengono giudicati i problemi del Paese. I cittadini protestano? Sono pochi, non importa. Il territorio coinvolto è patrimonio dell'Unesco? No, e allora chi se ne frega. Stavolta rivolgersi all'Europa non serve a nulla. Anche se non ha il nome di un'opera verdiana, non significa che la Tap non abbia l'avallo ufficioso dell'Ue. Lo dimostrano due fatti: il primo è che la Commissione ha inserito il gasdotto fra i progetti di interesse comune, quelli che potrebbero beneficiare di fondi Ue e procedure accelerate (e accentrate in un unico Stato). Il secondo fatto, invece, non è così lampante: una delle due sedi italiane della Tap si trova a Roma, in via IV novembre, sede degli uffici di rappresentanza di Commissione e Parlamento europeo.

Solo Giovanardi ha portato, suo malgrado, visibilità nazionale alle proteste salentine


«Terrorista» è il Comitato

di Teresa Olivieri

Dai NoTav black bloc a Rodotà “cattivo maestro”: il vizio dei media di dipingere a tinte fosche qualsiasi tipo di dissenso

«C

hi è il nostro lettore? È un uomo tranquillo, onesto, amante dell’ordine, che lavora, produce, crea reddito; ma è anche un uomo stanco, scoglionato: i suoi figli invece di andare a scuola fanno la guerriglia per le strade, i suoi operai sono sempre più prepotenti, il governo non c’è, il Paese è nel

caos. Apre il giornale per trovare una parola serena, equilibrata». Ha fatto scuola la lezione dell’onnipotente caporedattore interpretato da Gian Maria Volontè in Sbatti il mostro in prima pagina, pellicola del 1972 in cui Marco Bellocchio svelava la coe-

sione irrimediabile tra il sistema politico e quel giornalismo che ne dovrebbe essere “cane da guardia”. E se nel film il redattore alle prime armi, Roveda, finisce per opporsi a questa industria della notizia artificiosa e strumentale, la realtà informativa italiana negli anni si è fatta meno scrupoli, soprattutto nel trattare i cosiddetti movimenti nimby, ovvero quelli nati in reazione allo sventramento di un pezzo di paesaggio per la costruzione di una grande opera o di qualsiasi altra struttura imposta e non condivisa con la comunità. A partire dai No Tav, l’anima pulsante della Val Susa che si batte da quasi un ventennio per opporsi alla costruzione di quell’alta velocità da Torino a Lione che nel novembre scorso la Corte dei conti francese definì difficilmente raccomandabile. La lotta contro il Tav è costituita da un movimento trasversale e ampio che mette insieme vecchi e giovanissimi, sindaci e contadini, elettori di sinistra e di destra. Eppure, se si facesse una ricerca degli articoli scritti in questi anni sulla questione, nove


su dieci conterrebbero almeno una volta le parole “terrorismo”, “violenza” o “black-bloc”. Perché parlare dei contenuti politici ed economici della vicenda è discorso ambientalista o ideologico. Perché sensazionalismo e pressapochismo pagano e proteggono; e ci sono termini che indirizzano la cronaca in un binario da cui non la smuove più nemmeno l’evidenza dell’opera di distorsione fatta dai media. Partiamo dal caso di Luca Abbà, l’uomo salito sul traliccio per cercare di ostacolare i lavori nel cantiere, e caduto essendo rimasto folgorato dall’alta tensione: Luca entra in coma, ma la notizia, che causerebbe un naturale moto di simpatia verso il ragazzo sfortunato e i motivi del suo gesto, passa quasi in secondo piano nei tg; oppure viene lanciata sbrigativamente; o ancora viene usata da testate schierate come Il Giornale per parlare della caduta di “un cretinetti”. Negli stessi giorni scoppia il caso di Marco Bruno, purtroppo per lui meglio conosciuto per quel video, pubblicato (pieno di omissioni) sul sito del Corriere, in cui parla con un celerino a volto coperto, arrivando a definirlo “pecorella”. Delle altre parole pronunciate da Marco, del “vi vogliamo bene comunque”, della bastonatura e

del polso rotto al ragazzo da parte degli addetti al servizio d’ordine, nessuna traccia. Marco ha subito nel tempo tante minacce, è stato oggetto di numerosi attacchi giornalistici pieni di falsità (a chi volesse saperne di più è consigliata la lettura del libro Nemico pubblico), e si ritrova invischiato in un processo a cui nessuna testata dedicherà un solo secondo, so-

Dal caso di Luca Abbà, l’attivista salito sul traliccio, fino al «Pecorella vuoi sparare» di Marco Bruno: giornali e tv lasciano spazio al gesto e mai al contesto che lo genera

prattutto in caso di mancata condanna. Una coincidenza che riflette bene la “non volontà” di spiegare il dissenso no-tav è quella che riguarda l’inchiesta che è costata un bel paio di manette alla dirigente umbra del Pd


Maria Rita Lorenzetti per l’infiltrazione mafiosa nella Tav toscana. Sulla cronaca dell’arresto della Lorenzetti Claudio Giorno, veterano No-Tav, polemizza su quel che riporta Franca Selvatici sull’edizione fiorentina di Repubblica: «Non si capisce (o si capisce sin troppo bene) perché una cronaca così istruttiva, sulla seconda agonizzante Repubblica, non venga ripresa sulle pagine nazionali», scrive Giorno su “Democrazia Km Zero”. «Forse per impedire che ai No Tav della valle di Susa risulti lampante il collegamento tra i termini usati da chi tenta da mesi di delegittimarne l’azione di denuncia che da venticinque anni indica nell’associazione a delinquere di stampo politico-mafioso le vere motivazioni di mezzo secolo di grandi opere piovute su un piccolo fazzoletto di pianura incastonato tra le montagne?». Il potere, a cui strizza l’occhio

l’informazione, riesce nell’intento di “occultare” la parola Tav a discapito del solito giro di mazzette a cui sono soliti i politici nostrani. Ma il ruolo dei mezzi d’informazione non si arresta. Al clou si arriva quando ai No Tav vengono accostate le famigerate Brigate Rosse. Si parte dai magistrati che iniziano un’opera di condanna ad azioni definite terroristiche fino alle famose lettere che sarebbero state inviate da Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi, militanti delle cosiddette “nuove Brigate Rosse”, in cui invitano il movimento No Tav a «compiere un altro salto in avanti, politico-organizzativo, assumendone anche le conseguenze, o arretrare». Il documento firmato dai due detenuti, intitolato «Contro la repressione, nuova determinazione», è stato pubblicato su internet e sottolinea la «valenza antagonista di portata generale» del movimento contro l’alta velocità. E parla di ”simpatiche consonanze” fra i No Tav imputati nel maxi processo di Torino e la loro «dimensione di prigionieri rivoluzionari e dei nostri processi politici». Nonostante i No tav respingano il messaggio e l’accostamento, nessuno si affretta a controllare: ma si tratta di una bufala.


tratta di una bufala. «Il documento - si legge direttamente in un articolo su notav.info del 23 settembre scorso - si può leggere in rete, ma ad un’attenta lettura pare molto arduo riassumerlo come ha fatto Ansa e come poi a ruota hanno fatto molti altri media. [...] La lettera risulta copincollata in buona parte, e in particolare proprio nella parte che nomina il movimento NoTav, dal sito Operai Contro [...]. Infine Davanzo e Sisi, non fanno parte né delle Br né delle Nuove Br, erano in un gruppo di persone accusato di preparare atti terroristici».Nessuno poi dei giornalisti che hanno scritto su questa storia ha alzato il telefono o ha scritto a uno dei legali dei due terroristi per informarsi bene sull’accaduto. Infine la gogna di un altro personaggio che ha messo dei pungoli sulla questione, il costituzionalista Stefano Rodotà che ha affermato: «La mia storia di contrapposizione alle Brigate Rosse parla chiaro, non ho mai avuto un dubbio. La mia è una distanza totale, altro che giustificarle, da persone rimaste prigioniere di una cultura che ha provocato quello che ha provocato. Sono in assoluto dissenso con ogni manifestazione di violenza in Val di Susa. Sono cose

deprecabilissime ma non bisogna guardare solo a questi fenomeni per distogliere l'attenzione sul fatto che serve una riflessione politica». È stato tacciato subito di essere un “cattivo maestro”. La chiave di interpretazione di questi recenti casi di cronaca giornalistica è fondamentalmente una e sola: se di Tav si deve parlare, è importante che lo si faccia distinguendo la natura del conflitto dai mezzi con cui questo è portato avanti. Il rischio, altrimenti, è risvegliare negli animi dei connazionali l’idea che sia possibile non solo lottare, non solo pensare di vincere contro le architetture politico-economiche del Paese, ma farlo conquistandosi anche le simpatie della popolazione. “Parlatene male ma parlatene” è ancora un buon consiglio, anche per la stampa.


Settimanale quotidiano

Antonio Usalla


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