numero 26
Il Serale
28 ottobre 2013
Settimanale quotidiano
Cosa avete raccontato?
Il 19 ottobre e i media che lo hanno distorto
L’importanza d’essere lo 0,01
I
l fotogramma sullo sfondo di queste due pagine è tratto da un video del Tg2 che dura tre minuti e mezzo e ripropone per tre minuti e ventitrè immagini di copertura da diverse angolazioni di questa stessa scena. Se contiamo le persone inquadrate, che si scontrano ripetutamente con la polizia, non arriveremo a quaranta individui. Se si escludono poi i sette secondi in cui il servizio del telegiornale ha parlato del resto della manifestazione (esattamente il 3,36% del servizio totale) e se inoltre arrotondiamo per difetto a 40mila i partecipanti del corteo, la matematica ci dice questo: che dietro fotogrammi come questi la voce dell’inviato ha parlato per il 97% del suo racconto dello 0,01% dell’intera manifestazione. La domanda perciò sorge spontanea.
di Tommaso Brolino
Tutti insieme antagonisticamente
Occupanti, NoTav, NoMuos, sfrattati ecc... Evoluzione di un termine creato per comodità giornalistica, ma che indica tutti e nessuno. E non vuole dire nulla di Lorenzo Ligas
“A
ntagonista” è tradizionalmente l’opposto del “protagonista”. Se però i protagonisti di una manifestazione sono gli “Antagonisti”, e quindi le due parole coincidono, si avvìa un corto circuito lessicale difficile da digerire. Chi ha ascoltato il racconto «Antagonista» è diventato del 19 ottobre perciò o ha provato a capire un grande calderone come mai protagoniindistinto: ma non era sta e antagonista così due anni fa coincidessero oppure, più pigramente, si è fidato dell’accezione classica del termine e ha cercato inevitabilmente il “buono” da opporgli. “Antagonista” è una di quelle espressioni, come “guerra al terrore”, che non vogliono dire nulla: non viene specificato mai
rispetto a chi si è antagonisti, non viene specificato mai chi di preciso sia antagonista, insomma è una grande fonte concettuale alla quale si abbevera la stampa che non ha il tempo di raccontare nei dettagli la realtà. Tutti ricordano la manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma. A scendere per le vie della capitale sono gli Indignati, nel cui calderone finisce tutto: black bloc, universitari, facinorosi, mamme, papà e bambini. Gli scontri con la polizia sono indignati, il rogo della camionetta è indignato. L’etichetta esiste già, non c’è bisogno di ricorrere a nessun altro termine né di scomodare quella che già da più di un anno serpeggia tra gli organi di stampa: la cosiddetta “area antagonista”. Il ter-
mine è già sottoposto a un uso, blando, dei media e salta fuori per esempio quattro giorni dopo gli scontri romani, il 19 ottobre 2011: «Napolitano in visita a Pisa, contestato dagli Antagonisti» recita il titolo del Corriere Fiorentino. «Una trentina di studenti e precari hanno distribuito un volantino a pochi metri dalla Sapienza. I contestatori sono tutti appartenenti all'area dell'antagonismo universitario». Non sono fornite ulteriori specificazioni: chi legge deduce che antagonista sia un qualsiasi studente che distribuisca volantini e contesti la presenza del capo dello Stato. Antagonista è quando manifestante fischia. Nel febbraio 2012 Alessandro Sortino intervista Luca Abbà, il ragazzo salito sul traliccio in Val Susa. Obiettivo delle domande del giornalista di Piazzapulita è capire dove sia il confine tra l’attivismo e l’antagonismo ed ecco come risponde Abbà: «Il Movimento No Tav è fatto di tante componenti, tra cui anche alcuni partecipanti di quest'area "antagonista" che dici tu. [...] Ma questo non vuol dire che il movimento sia gestito da quest'area. Il ruolo dei centri sociali in questi anni c'è stato, ma è stato, non dico marginale, ma complementare». Dopo le proteste pisane, nelle parole del valsusino
abbiamo una declinazione dell’antagonismo universitario: i centri sociali. Questa rimarrà la definizione più precisa dell’inesistente area (area di cosa?); sono loro gli antagonisti, sono loro che quando c’è da presidiare fanno più “casino” degli altri. Del resto, come dice lo stesso Abbà: «Le persone dell'area antagonista hanno più dimestichezza nel trattare con la
Nel febbraio 2012 Alessandro Sortino intervista Luca Abbà: «Il Movimento Notav è fatto di tante componenti tra cui anche alcuni partecipanti di quest’area antagonista»
polizia, gestire occupazioni di strade e blocchi stradali...Interviene anche questa componente che in qualche modo supporta il movimento». All’inizio dell’anno scorso l’Antagonismo è perciò solo una componente della protesta e la
sua caratterizzazione è anche violenta. Alla fine dell’anno invece tutto è già scivolato di senso: gli antagonisti sono subito violenti. Testimone ne è la protesta del 2 dicembre 2012, quando «circa 200 persone riconducibili agli ambienti anarchici e antagonisti sotto il Palazzo del Governo ha lanciato pietre, mattoni, bombe carta e palloncini pieni di ver-
Nel dicembre 2012 «circa 200 persone riconducibili agli ambienti anarchici e antagonisti hanno lanciato pietre, mattoni, bombe carta e palloncini pieni di vernice»
nice bianca contro polizia e carabinieri: agenti e militari hanno dovuto riparare all’interno della Prefettura». Siamo a Livorno: due giorni prima viene negata a un gruppo di persone - in un articolo del Fatto Quotidiano indicati come «antagonisti e No Tav»
- la possibilità di contestare un comizio di Bersani. La protesta sfocia 48 ore dopo davanti alla Prefettura ed è «contro gli abusi della polizia»; solo il Corriere della Sera parlerà di centri sociali, mentre gli altri organi di stampa preferiranno definire gli autori dell’assedio come “antagonisti”. Ma la consacrazione violenta del termine è in realtà già arrivata qualche giorno prima: il 22 novembre finiscono agli arresti cinque persone accusate di devastazione e saccheggio durante il corteo del 15 ottobre a Roma. Quelli che un anno prima erano semplici indignati, o al massimo black bloc, diventano antagonisti: «Scontri corteo 2011: cinque arresti. I provvedimenti in ambienti anarchici, antagonisti e tifoserie» (Corriere della Sera), «Corteo e scontri Roma 2011: 5 arresti fra anarchici, antagonisti e tifosi» (Youreporter), «Sono scattate le manette per cinque persone vicine agli ambienti anarchici, ai movimenti antagonisti e alle tifoserie violente in seguito agli scontri di Roma del 15 ottobre 2011» (Il Sole 24 ore). La caratterizzazione mediatica è evidente e in più c’è l’occasione di strumentalizzare le tifoserie, che quando capita non si perde mai. L’uguaglianza però regge
poco: si protesta e si scende in piazza in ogni parte d’Italia e non si può sempre far coincidere le due cose. Così l’Antagonismo, dacché nel 2011 era una parte della protesta, viene elevato a grande famiglia che abbraccia chiunque scenda in piazza, protesti, dissenti. L’aggettivo diventa pian piano un’ossessione, dev’essere messo ovunque. Il 9 marzo 2013 i gruppi antifascisti fiorentini, compresi l’Anpi, organizzano un controcorteo in risposta alla manifestazione di destra in ricordo delle Foibe. Il giorno dopo La Repubblica di Firenze riporta i dissapori tra gli organizzatori e i rappresentanti di partito, ma il titolo, in un entusiasmante geyser di etichette, è questo: «Antagonisti, liti e "purghe" al corteo antifascista». L’1 giugno nella sala principale del Lem di Livorno un centinaio di cittadini si presenta per contestare Alfredo De Girolamo, presidente del Cispel Toscana; ma l’incontro fissato per quel giorno, tema la privatizzazione dell’acqua, era già stato spostato. Così i presenti occupano lo spazio per qualche ora: «Lem, antagonisti arrivano a un dibattito per contestare De Girolamo, “ma la stanza era vuota”». Il 7 luglio a Milano invece torna il neo violento dell’anta-
gonismo: «Expo 2015: Napolitano lancia la corsa, gli antagonisti i fumogeni», mentre il 24 luglio, sempre nel capoluogo meneghino «Un gruppo di antagonisti in presidio dopo lo sgombero dell’ex cinema Maestoso ha fatto irruzione a Palazzo Marino». La differenza tra i due eventi è che mentre la contestazione dell’Expo è stata condotta da cittadini comuni, ma non
Il 9 marzo 2013 diventano antagonisti anche gli antifascisti fiorentini, mentre il 7 luglio a Milano «Expo 2015: Napolitano lancia la corsa, gli antagonisti i fumogeni»
identificabili con nessun logo, l’irruzione al palazzo del Comune di Milano ha avuto dei protagonisti ben precisi: i ragazzi del progetto Ri-Make e gli occupanti del Cinema Maestoso, occupato e poi sgomberato. In questo caso però l’onomastica è
secondaria, sono tutti antagonisti. Così ancora il 9 settembre, ancora nella città di Pisapia, sappiamo chi protesta, ma l’aggettivo è prioritario; il Giornale infatti riporta: «Manette all’alba per due esponenti dell’area antagonista: i carabinieri di Milano hanno arrestato Lollo M. (30 anni) e Simone D. (26 anni), studenti alla facoltà di Scienze politiche che militano nel gruppo universitario "Ex Cuem", tra i più "agguerriti" dell’Università Statale». Accanto a loro viene rispolverata addirittura la definizione “no global”, diventata quasi vintage. La marcia mediatica di avvicinamento al 19 ottobre culmina con titoli come «Roma blindata si prepara al corteo degli Antagonisti» (Euronews.it, 18 ottobre), «Milano, antagonisti occupano la Borsa in vista del corteo No Tav» (Il Fatto quotidiano, 15 ottobre), «Corteo antagonisti, sale la tensione trovato furgone con spranghe e biglie» (Repubblica, 18 ottobre), «Cortei, 400 antagonisti da Torino» (Tgcom24.it, 19 ottobre). È il ribaltamento totale di ciò che il termine significava più di un anno fa e si completerà poi con il racconto di quel sabato: antagonisti tutti, indistintamente. Sono i No Tav e i No Muos, i migranti e i comunisti. E sono so-
prattutto i comitati di lotta per la casa, persone cioè che molto raramente si riconoscono in movimenti politicizzati e che anzi spesso non si possono identificare con nessuna etichetta se non con il nome del posto che occupano. Per far spazio alla comoda definizione di “Antagonisti”, il racconto di OccupyPortaPia è viziato in partenza, una narrazione coe-
La marcia mediatica di avvicinamento al 19 ottobre culmina con titoli come «Roma blindata si prepara al corteo degli Antagonisti» senza specificare chi essi siano
rente con la separazione brutale tra buoni e cattivi, senza nessun intenzione di descrivere quelle che invece sono state le reali voci corteo, sfumature ben più difficili da spiegare: i protagonisti.
18, 19 e 20 ottobre: Scopertura mediatica quotidiana
Prima, durante e dopo il cosiddetto #assedio ai palazzi del potere: la sollevazione popolare che i giornali nazionali italiani non hanno raccontato
S
ei giornali: uno moderato (Corriere della Sera), uno progressista (La Repubblica), uno liberale (Libero), uno del Pd (L’Unità), uno di Berlusconi (Il Giornale), uno di opposizione (Il Fatto Quotidiano). Sei quotidiani nazionali letti per tre giorni, per provare a rappresentare la quasi totalità dell’opinione pubblica nostrana (ipotizziamo un Sei quotidiani e buon 70%). Sei modi diversi di sei modi diversi snobbare e svuotare di snobbare o un evento al fine di raccontare male ridurlo una notizia l’evento della trattabile. VENERDÌ 18 OTTOcapitale BRE. Roma, centro di interessi e di comando, da una settimana è anche coagulo di proteste. Hanno manifestato, quasi nell’ordine: le organizzazioni “contro la devastazione ambientale e contro le nocività”, il mondo della scuola, i lavoratori della Croce Rossa, la Cgil Lazio contro le stragi nel Mediterraneo, le mobilitazioni contro il caro vita, l’Usb e i Cobas. Per il giorno dopo, però , è atteso l’ultimo atto, quello più importante. Il corteo lanciato dai movimenti
di Nicola Chiappinelli
per il diritto all’abitare, e sostenuto da una marea di sigle e comitati (a partire dai più conosciuti No Tav e No Muos) radunati, per la prima volta così palesemente per una manifestazione italiana, sotto una firma social: l’hashtag #19o. E che ci fosse bisogno di cancelletti e tweet per sapere cosa stava succedendo, e perché tanta gente aveva deciso di mettersi in viag- Hashtag e tweet, gio per la Capitale più utili della proprio in quel fine stampa: il giorno settimana, lo si era prima nessuno capito appunto parla della guardando, quel venerdì mattina, le manifestazione prime pagine dei sei giornali di cui sopra: non una parola, non un titolo, non un vago accenno agli eventi previsti il giorno dopo. Eppure ricordiamo tutti le colonne impegnate dedicate ai fatti di Gezi Park, o di Piazza Tahrir, o delle strade del Brasile durante la rivolta che mise a rischio il circo della Confederations Cup lo scorso giugno. A sinistra, sfilano i Comunisti italiani insieme a migranti, movimenti di lotta per la casa, sindacati e studenti universitari
18 ottobre
Ma il nostro è uno Stato democratico militante, uno di quelli dove le proteste, se non sono canalizzate da partiti o media, non possono avere velleità da prima pagina. Così, per stimare il livello di Prima dell’inizio considerazione dato del corteo pochi al #19o dall’inforsiti ne parlano; si mazione mainbisogna legge solo di un stream, cercare altrove, superficiale e online. Ma a generico «allarme ossia qualche ora dall’inisicurezza» zio degli eventi, i pochi siti disposti a trattarne si limitano al massimo alla solita superficiale analisi del cosiddetto “allarme sicurezza”. Ne è esempio il modo in cui Corriere.it e Repubblica.it assemblano la vicenda dei 5 ragazzi francesi (con precedenti per turbativa d’ordine pubblico) espulsi da Roma alla vigilia del corteo, e la notizia della scoperta di un furgone pieno di bastoni in un’altra zona della città. Unico titolo vuol dire stessa notizia. La disinformazione è operativa. SABATO 19 OTTOBRE. Roma si sveglia con due grandi sorprese: un caldo e una calma silente, entrambe da mattinata di fine estate. Il nostro 70% di Belpaese si sveglia e capita davanti ad uno dei sei quotidiani menzionati a inizio articolo. Tre di questi continuano a ignorare che di lì a
poco migliaia di persone attraverseranno Roma per il diritto alla casa e a una vita dignitosa. Le altre tre prime pagine si fanno invece notare per altrettanti tipi di banalizzazioni: «Paura per il corteo» scrive il Corriere, anticipando che si concentrerà solo sull’ordine pubblico; stesso approccio per L’Unità, che annuncia il «rischio infiltrati nella piazza dei centri sociali»; non molto diversa anche l’impostazione de Il Fatto Quotidiano, che inserisce la notizia sotto una vignetta di Vauro, relegandola quindi a priori all’esperienza di una parte estrema e marginale del dibattito politico; e al solito allarme black bloc aggiunge una strana precisazione dai No Tav: «Non è il nostro corteo». Ma che non lo fosse lo sapevano tutti, o almeno chiunque era riuscito ad abbeverarsi alla fonte di canali informativi non superficiali. E quella che pare quasi una presa di Rimbalza invece distanza, è invece l’ovvia presa di semplicemente una distanza del sottolineatura dogruppo NoTav: vuta alle istanze più «Non è il nostro generali della manifestazione. Una corteo» non-notizia, quindi, che diventa abilmente titolo da prima pagina. Un nuovo specchio che riflette immagini distorte.
19 ottobre
DOMENICA 20 OTTOBRE. Il durante/post di una manifestazione dovrebbe essere più facile da raccontare, semplicemente perché maggiori sono le immagini e le fonti, e più ampio è lo spazio concesso dall’informazione. Ma ecco che, puntualmente, è qui che si vengono a costruire i peggiori vuoti di realtà nella distanza tra accadimento e racconto. Non che un corteo rinominato “sollevazione generale” sia una matassa facile da districare, ma se omissioni e mezze verità c’erano state nei giorni precedenti, a seguito del #19o queste sono state amplificate e usate strumentalmente in un’unica direzione: la sovraesposizione dei pochi e raggrumati attimi di tensione emersi da una manifestazione di oltre 6 ore, per la quale si può ora accertare che non vi è stata alcuna convalida di arresto. E se ci sono stati scontri e momenti di caos, l’occhio dei media era lì ad aspettare il fattaccio, a dare manforte, in prima fila con l’infiltrato “antagonista”, oppure un passo avanti, a rinfocolare quel virus che qualcuno il giorno dopo ha chiamato «feticismo dell’immagine». Il solco tracciato è sempre lo stesso: la generalizzazione della violenza come pretesto per non prendere sul serio il malcontento manifestatosi da Piazza San Gio-
vanni a Porta Pia per voce di oltre 70mila precari, disoccupati, sfrattati o semplicemente ignorati poveri cristi di questo ghetto di mondo chiamato Italia. Adesso vediamo il nostro 70% di opinione pubblica cosa ha colto di tutto ciò dalle sue sei prime pagine. A parte Il Giornale berlusconiano, dalle altre torri d’avorio della carta stampata nostrana lo schema applicato è sempre lo stesso: “La protesta blocca Roma”, spinge il Corriere, “in migliaia per la casa e il lavoro, ma i violenti volevano il sangue”, rilancia Il Fatto, così è “guerriglia” per La Repubblica e “corteo rovinato dai violenti” secondo L’Unità. Alla fine il premio di inquadratura più fedele alla realtà è, a sorpresa, quella di Libero, che certo definisce i precari e disoccupati scesi in strada come dei “marci su Roma”, ma nell’ambito della libertà d’espressione che gli compete è anche la sola testata a centrare, con un breve occhiello, il punto vivo della giornata: “Prove di rivolta sociale”. In un clima in cui il conflitto all’interno della società viene silenziato e arginato con forza, che ci sia chi lo riconosca e lo chiami per nome è in fondo una buona notizia. L’unica.
20 ottobre
OccupyPortaPia non esiste
Dalla confusione sull’incontro con Lupi alle difficoltà di raccontare le richieste dell’acampada: analisi dei servizi di quattro telegiornali nazionali nei giorni dopo il 19 ottobre
L
a sera del 19 Ottobre, quando ormai il corteo aveva concluso il suo giro, manifestanti e rappresentanti dei movimenti hanno dato vita a Occupy Porta Pia, un’accampamento di circa un centinaio di tende per presidiare la piazza antistante il ministero delle Infrastrutture. Le tende ci sono rimaste fino al 22 ottobre, quando nove delegati dei movimenti della casa hanno incontrato il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi per presentargli un documento, articolato in dieci punti, in cui erano raccolte le loro proposte: blocco generalizzato degli sfratti, blocco dell’aumento degli affitti, fermare pignoramenti e sgomberi, l’invito a riutilizzare il patrimonio pubblico e quello privato tenuto sfitto, oltre a quello degli enti previdenziali e dei fondi immobiliari, chiedendo inoltre di fermarne la vendita. Tra le richieste c’era poi quella di realizzare un piano straordinario di emergenza per l’edilizia residenziale pubblica, quella di garantire l’alloggio agli studenti, il trasferimento
di Elisabetta Specchioli
delle risorse destinate a grandi opere e grandi eventi ad un fondo destinato a garantire il diritto alla casa e infine, il riconoscimento dello ius solis. L’incontro con il ministro c’è stato, ma ha lasciato i movimenti completamente insoddisfatti: «Lupi non ha risposto alle nostre richieste sul blocco degli sfratti, rimandando tutto alla conferenza Stato Regione del prossimo 31 Ottobre» ha dichiarato Andrea Alzetta di Action diritti in movimento a NewsTown.it , definendo l’incontro un’ «interlocuzione complicata». Come hanno raccontato tutto ciò i principali telegiornali nazionali? Per rispondere a questa domanda, ci siamo prodotti in una breve analisi dei servizi andati in onda tra il 20 ottobre, il giorno successivo alla manifestazione e il 22, quando i movimenti hanno incontrato il Ministro; inoltre, ci siamo limitati alle edizioni serali, poiché stando ai dati raccolti dal Censis, l’86,4 % degli italiani ricorre al telegiornale per informarsi e tipicamente le edizioni più seguite sono quelle dell’ora di cena, come confermano i dati Auditel. Il Tg 1 diretto da Mario Orfeo ha dedicato all’acampada di Porta Pia il servizio d’apertura dell’edizione serale del 20 Ottobre, circa quattro minuti così suddivisi: poco più di un minuto di collegamento dalla piazza; un servizio di circa un minuto e mezzo in cui venivano illustrate attraverso le “voci” degli «indignados italiani» le ragioni della protesta e la notizia del futuro incontro con Lupi; infine, un servizio di poco meno di un minuto che avrebbe dovuto chiarire chi fossero gli occupanti, ma che in pochi secondi è diventato la cronaca degli scontri del 19 ottobre. Nell’edizione del 21, Orfeo ha dedicato a OccupyPortaPia poco più di un minuto e
Alzetta: «Lupi non ha risposto alle nostre richieste, rimandando tutto al 31 ottobre»
«Un servizio di poco meno di un minuto dovrebbe dire chi siano gli occupanti»
mezzo di servizio, che non aggiungeva nulla a quelli del giorno precedente e in cui si ribadiva l’imminenza dell’incontro col ministro. Arriviamo così al 22 Ottobre, giorno dell’annunciato incontro a cui l’edizione delle 20.00 non fa alcun accenno. Più scarna l’attenzione dedicata all’occupazione della piazza da parte del Tg5. Circa un minuto e mezzo di servizio in onda il 20 ottobre in cui dopo aver riferito la notizia dell’acampada, aver fatto un accenno alle motivazioni e al venturo confronto col ministro, l’accento si sposta sugli scontri del giorno prima e sui disagi provocati alla città. Analogo il servizio trasmesso il 21: circa due minuti equamente suddivisi tra la descrizione dell’acampada ormai agli sgoccioli e quella degli scontri di due giorni prima, con annessa breve intervista a una cittadina romana che perentoriamente definisce «inutili» le manifestazioni. All’edizione del 22 l’acampada e il confronto con Lupi scompaiono definitivamente dal radar di Clemente Mimun. Il TgLa 7 rispetto ai due precedenti ha dedicato uno spazio maggiore alle vicende di Occupy Porta Pia, mandando in onda il 22 ottobre un servizio di due minuti dedicato alle motivazioni e alle proposte dei movimenti; il telegiornale diretto da Enrico Mentana è stato inoltre il solo a dedicare un servizio sull’esito del confronto tra movimenti e ministro. Infine il Tg2 il 23 ottobre manda in onda un servizio di circa un minuto e mezzo, in cui molto in breve si accenna all’incontro tra movimenti e ministro, per poi dedicarsi ai fermi del 19 ottobre e al sit in davanti regina Coeli.
Settimanale quotidiano
Giammaria Papini