numero 28
Il Serale
Settimanale quotidiano
Cina in Africa
L’imperialismo nuovo
18 novembre 2013
G
li investimenti della Cina in Africa negli ultimi tre anni hanno visto ancora il dominio della Nigeria: 15,42 miliardi di dollari. Seguono staccati l’Algeria (9,23), il Sud Africa (6,64), la Repubblica democratica del Congo (6,55), il Niger (5,26), l’Egitto (3,27), la Libia (2,68), lo Zambia (2,49), il Sudan (2,21), l’Etiopia (1,9). Se i primi di questa classifica sono in testa per scontate ragioni petrolifere, tutti gli altri dimostrano che gli interessi cinesi nel continente intervengono a 360° nella vita del territorio e delle persone che ci abitano: i cinesi portano banche, case, telefoni e sopratutto infrastrutture, che poi tengono o vendono; così la possibilità di investire in qualsiasi campo l’Africa sia carente e in qualsiasi situazione geopolitica ha consacrato il dominio di Pechino e smantellato la storia: l’imperialismo nuovo non conquista, non rade al suolo, non svende. Si adatta.
di Tommaso Brolino
Pace e training: l’esercito furbo
La Cina è il solo Paese membro permanente Onu che non si schiera all’estero se non con i caschi blu, così l’influenza militare passa dagli addestramenti e dal peacekeeping
I
l primo viaggio di Xi Jinping da neopresidente è stato in Russia. Poi il tour diplomatico è continuato in Tanzania e Congo, ed infine in Sud Africa per la riunione dei Brics il 27 marzo 2013. Un caso? No di certo. Questo tour diplomatico è di fatto collegabile alla strategia di sfruttamento delle grandi risorse naturali africane che Pechino fagocita per il suo sviluppo industriale. Si tratta di una strategia di lungo corso, infatti la Cina da almeno dieci anni ha impostato la sua manovra estera su due fronti interconnessi: se il primo è l’Africa, dove sta avvenendo una vera e propria colonizzazione, dei mercati e delle risorse, il secondo è quello dei Brics, acronimo utilizzato in economia internazionale per riferirsi congiuntamente a Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Al club dei Brics partecipano nazioni che condividono una situazione economica in forte crescita e una grande popolazione. Pechino nei prossimi anni imporrà al tavolo dei Brics la sua strategia: la creazione di un fronte in grado di competere
di Luigi Loi
con i mercati americani e europei. Che ruolo Il Pla (People’s Liberation Army) in caso di bisogno può gioca l’Esercito Popolare di Liberazione cinese (People's Liberation Army o semplicemente Pla) richiamare 600 mln di uomini in questa strategia geopolitica? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare alcune premesse. Nell’ultimo decennio il Pla è diventato il secondo esercito più grande del mondo, in linea con il potere politico di Pechino: il numero potenziale di persone richiamate in caso di guerra, secondo una stima del 2003, potrebbe essere di 667.657.509 uomini, tra i 18 e i 49 anni di età. Ma questo immenso esercito che comprende attualmente 2.250.000 unità, ha dei nemici interni fortissimi: la nomenclatura del Partito Comunista che si vede minacciata dal Quello cinese è il peso politico dei propri generali, tornati in auge secondo esercito più dopo le proteste di Piazza Tienanmen. Nonostante questo il Pla e la Cina non grande del mondo con affermano il proprio potere per via militare, ma quasi 2 milioni di unità piuttosto seguono la dottrina politica e strategica che ha accompagnato il corso di riforme introdotte da Deng Xiaoping negli anni Ottanta: sviluppo pacifico, principio di non ingerenza nelle attività dei Paesi stranieri, in nome della difesa della sovranità nazionale cinese. Infatti sul piano internazionale il Pla ha partecipato a 23 missioni di peacekeeping con mandato dell’Onu, dispiegando 22mila caschi blu. Se l’impronta degli Usa nel Continente nero resta essenzialmente di carattere militare (vedi
Liberia . V
Uno dei punti più controversi dell’esperienza militare in Africa è il rapporto con le gerarchie militari del Sudan: da un lato la cooperazione con le Nazioni unite, dall’altro le armi fornite al regime di Al Bashir per fronteggiare la guerra civile in atto dal 2003.
Nigeria V.
F
AttivitĂ militari in Africa
SudanV Guinea Equatoriale V
V
Repubblica dem. del Congo
F Zimbabwe V
l’ausilio logistico a Francia e Gran Bretagna nella Nato per il rovesciamento di Gheddafi, le azioni mirate i raid contro Al Shabaab in Somalia, l’addestramento degli eserciti africani dell’area sahariano-saheliana in chiave antiterrorismo, la flotta di droni con base in Niger), la Cina dal canto suo ha imposto la propria presenza in Africa attraverso un modello economico territoriale che prevede la costruzione di vaste opere infrastrutturali in cambio all’accesso privilegiato alle risorse petrolifere, agricole e minerarie nei Paesi in cui impone il proprio partenariato: gli scambi economici tra Cina e Africa sono stimati in 160 miliardi annui, il quadruplo dei miliardi che scorrono verso gli Stati Uniti. L’esercito cinese in questi anni non è stato a guardare con le mani in mano, anzi, dal 2002 ad oggi il Pla, sulla base di diversi accordi e protocolli internazionali ha investito in progetti di esercitazioni e addestramenti congiunti in 31 paesi del mondo, «per salvaguardare la sicurezza e la stabilità regionale e per modernizzare continuamente le truppe», stando al cosiddetto Libro bianco 2013 del Pla (la pubblicazione dei dati relativi alla struttura dell’Esercito di liberazione del popolo giunto ormai all’ottava edizione). A dicembre 2012, sono 1.842 i soldati cinesi che operano in nove
A dicembre 2012 sono 1842 i soldati cinesi che operano in nove missioni africane Onu
«Per salvaguardare la sicurezza e la stabilità e per modernizzare di continuo le truppe»
missioni delle Nazioni Unite. Citiamo sempre Ingegneri, tecnici e medici: dal Libro bianco: 78 sono osservatori militari ed l’esercito di Pechino non porta solo armamenti ufficiali, altre 218 unità tra ingegneri e medici per la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO). Altre 558 unità tra ingegneri e personale medico per la missione delle Nazioni Unite in Liberia (UNMIL). 338 unità nella Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica del Sud Sudan (UNMISS) e infine 315 unità ingaggiate come personale tecnico per la missione congiunta tra Unione africana e Nazioni Unite in Darfur (UNAMID). La Cina è l’unico Paese membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che non Gli unici soldati cinesi schiera truppe all’estero, se non sotto il vessillo in Africa sono quelli in delle Nazioni Unite. E per il momento non intende fare diversamente: quando i fucili missione sotto il tacciono i soldi si moltiplicano grazie alla vessillo dell’Onu cooperazione pacifica e alla forza dello Yuan, che è in assoluto il fucile più pericoloso di Pechino.
Tu chiamalo se vuoi: soft power
Telefonia e media sono i campi con cui i cinesi convincono governi e industriali africani a stare al gioco di Pechino: dai maxi schermi per le campagne elettorali alla distribuzione capillare di smartphone
«L
ei si preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla, io sono un'autorità su come far pensare la gente. Ci sono i giornali per esempio, sono proprietario di molti giornali da New York a San Francisco». Dice Welles interpretando il magnate della stampa Charles Foster Kane. Apparecchiature Anche senza scoed elezioni: Cctv modare Quarto poquello che la in Zimbabwe ha tere, Cina sta esercitando supportato la in Africa non è solo campagna di un potere forte, che passa attraverso ceMugabe mento, approvigionamento energetico e materie prime. Per arrivare a conquistare tali mercati non ci vuole solo quello che i politologi chiamano “hard power”. Al contempo, e con un lavoro costante a trama fitta, è necessario convincere industriali e politici facendo leva sul cosiddetto “soft power”. E magari ammansirli. L'hanno fatto gli Stati Uniti con Hollywood e fast food, lo sta facendo la Cina da qualche anno, intensificando scambi culturali,
di Marta Bonucci
aprendo centinaia di istituti Confucio, puntando sui brevetti “made in China”. E ovviamente ricorrendo al quarto potere. Nel continente nero la Cina sta investendo non poco, anche dal punto di vista mediatico e con diversi espedienti. In Zimbabwe, nel corso delle elezioni, China Central Television ha fornito alla tv di Stato apparec- La China Central chiature per i mega Television nel schermi montati 2012 installa il nelle maggiori città suo quartier per permettere ai generale a cittadini di seguire la campagna elettoNairobi, Kenya rale di Mugabe – un personaggio, per chi non ne avesse sentito parlare, al potere dal 1980, accusato tra le altre cose di repressione del dissenso, corruzione, persecuzione delle minoranze etniche, appropriazione personale degli aiuti internazionali e violazione dei diritti umani. All'inizio del 2012, sempre CCTV ha dato vita al suo A sinistra, il logo del colosso informatico Huawei: nel 2013 ha collaborato con Microsoft per lanciare Huawei4Afrika
quartier generale a Nairobi, il primo di una serie. E sempre la capitale del Kenya ospita la sede di corrispondenza di Xinhua, la maggiore e più antica delle agenzie di stampa uffi-
La capitale keniota ospita anche la sede di Xinhua, la più grande agenzia di stampa della Repubblica popolare cinese
ciali della Repubblica popolare cinese. Che lentamente si è conquistata diverse fette del continente africano, aprendo una ventina di uffici fra Rwanda e Città del capo, e il cuore degli aspiranti giornalisti africani, destinando loro migliaia di borse di studio. L'associazione “Giornalisti senza frontiere” ha definito Xinhua la più grande agenzia di propaganda al mondo. Voci di corridoio affermano che da lei
passino informazioni che i governi occidentali delegano a diplomatici e ambasciate. Di certo, Xinhua diffonde un terzo delle notizie riportate in Cina da Google News. Non ne esce indenne la carta stampata, che schiera China Daily, il più grande quotidiano cinese in lingua inglese, che è partita all'attacco lanciando il settimanale Africa Weekly. Tv, agenzie di stampa, webmagazine e compagnia cantante vengono impiegati dal Dragone in primo luogo per ingraziarsi governanti, creando rapporti economici duraturi e solidi. Uno dei tanti strumenti, dunque, per rafforzare una partnership commerciale, quella Cina con l'Africa, che è già la più forte nel continente. Ma i media servono
Il network di Xinhua lentamente ha conquistato il continente nero, aprendo quasi venti uffici tra Rwanda e Città del capo
soprattutto a veicolare messaggi, plasmando l'opinione pubblica. E per far circolare questi messaggi servono infrastrutture di comunicazione, di cui l'Africa certo non abbonda. E qui en-
L’Africa è a digiuno di infrastrutture: qui entra in gioco Huawei, il maggiore fornitore di apparecchiature di telefonia
trano in campo il vero colosso cinese, Huawei, il maggiore fornitore di apparecchiature di telecomunicazioni mobili non solo in Cina ma a livello mondiale, e Zte, la terza azienda al mondo per vendita di dispositivi GSM. Per primeggiare nell'arte del ''come far pensare la gente'', oggi, ci vogliono infrastrutture. Ed è quello che stanno facendo Huawei e Zte in Africa: le due aziende stanno divorando i mer-
cati di telecomunicazione del continente vendendo i propri prodotti a prezzi inferiori rispetto ai colossi occidentali. Peccato che, secondo gli analisti, molti dei contratti con le due aziende sarebbero stati finanziati, in parte o in toto, con prestiti a basso interesse da parte del governo cinese. A dimostrazione del fatto che si tratta di investimenti cui Pechino tiene parecchio, e non certo per bontĂ d'animo. Nasce ad esempio nel 2011, grazie al supporto di Huawei, il progetto di diffusione di contenuti attraverso cellulari e smartphone (il cui utilizzo, per inciso, sta crescendo esponenzialmente in Africa). E indovinate chi mette insieme questo progetto? Huawei, certo, l'opera-
I colossi cinesi divorano i mercati africani, vendendo i loro prodotti a prezzi inferiori rispetto ai concorrenti europei e americani
Huawei4Afrika è il telefono fatto «dagli africani per gli africani», è la punta di un più ampio progetto di sviluppo della tecnologia mobile
tore africano di rete mobile Safaricom e Xinhua, che ormai non ha più bisogno di presentazioni. L'idea di fondo è semplice: la popolazione rurale, buona parte di quella complessiva, non ha tele-
Buona parte della popolazione non ha tv né pc, ma ha i telefoni: un grande mercato da sviluppare grazie agli operatori locali come Safaricom
visioni né computer, ma ha i cellulari. E allora usiamo gli mms e teniamoli sempre aggiornati. E sempre a proposito di telefonia mobile, torna in campo Huawei, stavolta col supporto di Windows. I due, infatti, sono pronti a lanciare '4Afrika', un nuovo modello smartphone appositamente creato per il mercato, e che sarà venduto inizialmente in Angola Egitto, Costa d’Avorio, Kenya, Marocco, Nigeria e Africa del Sud. Ovvia-
mente a prezzo ridotto, intorno ai 100 euro. Agenzie di stampa, giornali, televisione, internet e telefonia. Ecco schierato l'esercito del soft power cinese. Esercito che indica una strategia che, anche allargando la prospettiva, non cambia. Che il continente nero ad oggi non navighi nell'oro non è un segreto. Eppure di oro, come di ben più succose materie prime, ne è ricchissimo. Inoltre, si tratta di un mercato in espansione. Valutazioni fatte dalla Cina come dagli USA, che non a caso corteggiano sempre più l'Africa nera. Ma il colonialismo, lo si evince dai libri di storia, non è mai andato giù ai colonizzati. Non a lungo, almeno. E così la Cina non ha dimenticato di tralasciare sugli strumenti che più di tutti servono a plasmare l'opinione pubblica. I media, in ogni forma.
Una colata vi seppellirà
di Raffaella Colombi
Investimenti cresciuti e tonnellate prodotte in loco: il cemento cinese in Africa ha già superato la crisi
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el luglio 2012 la BBC, la televisione pubblica britannica, pubblicò un servizio in cui per la prima volta si vedeva un’enorme città africana, corredata di strade, scuole e ospedali, completamente deserta. Quello che però rendeva davvero uniche quelle immagini non era tanto il fatto di trovarsi di fronte
all’ennesima, enorme, cattedrale nel deserto quanto piuttosto che quelle immagini fossero state girate nella prima città fantasma africana interamente costruita da imprese cinesi. In rete non è difficile trovare immagini di Nuova Ciudade de
Kalimba, sessanta chilometri a sud di Luanda, capitale dell’Angola, e a un primo momento verrebbe da chiedersi perché quelle migliaia di appartamenti, circa ventimila in totale, regolarmente messi sul mercato da Delta Imobiliaria siano rimasti praticamente del tutto invenduti. La risposta è più facile di quanto non si pensi: in Angola ancora oggi buona parte della popolazione vive con circa due dollari al giorno mentre il prezzo di un appartamento a Kalimba ha un prezzo medio che si aggira attorno ai 120 mila dollari. Secondo i responsabili vendite invece sembrerebbe che il problema maggiore legato ai mancati contratti siano le difficoltà burocratiche che le banche creerebbero per la concessione dei mutui sostenendo che il prezzo degli appartamenti rispecchi effettivamente il loro valore di mercato. Sia come sia, sta di fatto che dopo un anno dalla sua inaugurazione e della messa sul mercato della prima tranche di 2.800 appartamenti ne siano stati acquistati solo 220 e la quasi totalità delle persone
che ci vivono sono di nazionalità cinese, mentre gli angolani che si aggirano per la città sono quasi tutti parte del personale di manutenzione. Da alcune interviste fatte a Luanda si scopre che per loro Kalimba è come una specie di sogno irrealizzabile, un luogo tranquillo, pulito e sicuro (oltre che lussuoso) dove andare a vivere, un paradiso per una classe media che in Angola ancora non città quasi del tutto disabitata da esiste. cui non riesce a trarre nessun guadagno. L’unica soluzione che Se le cose stessero davvero il presidente José Eduardo Dos così, sembrerebbe che l’investi- Santos è stato in grado di tromento di tre miliardi e mezzo di vare, con una mossa puramente dollari fatto dal Cina Africa De- volta al consenso politico, è stata velopement Fund, un fondo di quella di dichiarare che una investimento cinese che opera parte consistente degli appartain Africa, nato nel 2006 durante menti verrà utilizzata per l’houuno degli incontri del Forum sing sociale; attualmente però China-Africa Cooperation, sia non è stato ancora presentato stato un enorme fiasco. Se in parte lo fosse, le conseguenze Nel 2010 viene ultimata Nuevo Ciudade de non ricadranno certo sulle soKalimba in Angola: la città, costruita con tre cietà asiatiche investitrici; infatti l’accordo con l’Angola prevede miliardi di fondi cinesi, è però deserta perché nessuno può permettersi di viverci il pagamento dell’intera cifra in petrolio, materia prima che il Paese africano ha in enormi alcun progetto in tale direzione. quantità essendo il secondo esportatore al mondo dopo l’AQuesto in Angola è però solo rabia Saudita. Questo però crea l’ultimo e più imponente proun duplice problema al governo getto edilizio che la Cina ha reaangolano visto che da una parte lizzato nel continente africano deve saldare l’intera somma alla grazie al China-Africa DeveloCina e dall’altro si trova con una pement Fund. A partire dal 2006
settori di maggio interesse restano l’housing e soprattutto l’industria del cemento.
il fondo, joint venture di diversi gruppi industriali cinesi, ha costruito nuovi quartieri e città in Sierra Leone, Zambia, Zimbabwe, Egitto, Nigeria e Mozambico che però in dimensioni e costi non si avvicinano ai numeri di Nuova Ciudad de Kalimba. Il precedente più ambizioso si trova in Mozambico, con un investimento di 880 milioni di dollari per dieci-
Nuovi quartieri in Sierra Leone, Zambia, Zimbabwe, Egitto, Nigeria e in Mozambico: il China-Africa Development Fund dal 2006 si dedica soprattutto a housing e cemento
Da come si può intuire dalla scelta dei pagamenti in petrolio quello delle città fantasma africane made in China non è semplicemente una questione di speculazione edilizia ma riguarda un complesso e diversificato piano di investimenti cinesi in Africa che in termini monetari ha significato un passaggio da un miliardo di dollari guadagnato nel 1980 ai più di 163 miliardi nei primi dieci mesi del 2012, attestando la Cina al secondo posto nella classifica dei partner commerciali del continente africano dopo gli USA, superando Francia e Gran Bretagna, partner storici legati al passato coloniale. Il passo decisivo nell’aumento degli introiti è avvenuto proprio nel 2006 quando a Pechino il primo ministro dell’epoca Hu Jintao ha creato il CADF, oltre ad avere concesso prestiti ai paesi africani per un valore di 5 miliardi di dollari.
mila appartamenti, scuole, un centro commerciale e un ospedale. Quindi non è certo un caso GLI IMPIANTI PER LA PRODUche il fondo abbia quattro sedi ZIONE DEL CEMENTO in Africa: A Johannesburg (SuInsieme alla costruzione di dafrica), Accra (Ghana), Adis quartieri e intere città, la Cina Abeba (Etiopia) e Lusaka (Zam- ha prima venduto e poi iniziato bia) e per quanto diversificati i a costruire impianti per la pro-
duzione del cemento. Di primaria importanza nel Paese, l’industria del cemento cinese ha conosciuto recentemente una forte battuta d’arresto dovuta da un lato dalla crisi e dall’altro da esigenze di natura ambientale. Già nel 2009, per la prima volta, circa il 25% del cemento prodotto dal gigante asiatico è rimasto invenduto, causando enorme preoccupazione anche nelle più alte sfere del governo che considera cemento e acciaio i due settori chiave dell’economia cinese. L’allora primo ministro Wen Jabao vista la situazione rilasciò subito un comunicato ufficiale in cui spiegava che in base alle disposizioni elaborate, la manovra sarà incentrata sullo sviluppo del settore dell'acciaio, del cemento, del vetro, del carbone, del silicio e dell'eolico. Sono previsti stretti controlli circa l'accesso al mercato e verranno rinforzati gli organi di supervisione ambientale. Le banche saranno autorizzate a emettere prestiti ai settori interessati solo nell'assoluta osservanza delle attuali politiche industriali. Infine importanti agenzie governative saranno incaricate di monitorare la sovrapproduzione industriale e di rilasciare informazioni chiave, quali la scala di operazioni, la domanda pubblica e le politiche
aziendali del governo. Eppure anche questa stretta sui controlli non è bastata a fermare il declino dell’industria cementizia e la percentuale del cemento invenduto nel 2010 è aumentata ulteriormente fino ad arrivare ad oggi, 2013, periodo in cui il governo preoccupato per il rischio dello scoppio di una bolla speculativa simile a quella statunitense ha prima de-
Nel 2009 la battuta d’arresto del settore ha frenato le ambizioni degli asiatici, che hanno rallentato e imposto dal 2013 lo stop per 5 anni alla costruzione di edifici oltre i 25 piani
cretato lo stop per 5 anni alla costruzione di grattacieli, edifici cioè che superino i 25 piani o i 125 metri, ma non solo, a partire dal luglio di quest’anno sono entrate in vigore nuove norme che regolano le emissioni di monossido di azoto prodotto dagli im-
trollato e non più in così forte espansione.
pianti di produzione del cemento. Con una media di 880 mg per metro cubo la qualità dell’aria attorno agli impianti era diventata insostenibile e la crisi del settore ha dato l’opportunità al Ministero dell’ambiente di dare un’importante stretta ai regolamenti. Il limite della presenza di monossido di azoto nell’aria è stato più che dimezzato con 450 mg per metro
Una risposta alla crisi del settore è arrivata dalla produzione locale del cemento: la prima struttura vide la luce nel 2010 in Sudafrica con un investimento di 1,65 mld di dollari
cubo per gli impianti esistenti e di 320 mg per metro cubo per le nuove strutture. Per gli industriali è stato un altro duro colpo dopo che alcuni impianti, definiti improduttivi dal governo, sono stati chiusi in presenza di un mercato interno iper con-
Una risposta a questa prima crisi del settore è arrivata proprio dall’Africa, come si è visto, continente in cui l’espansione edilizia è all’inizio e in cui la Cina sta giocando uno dei ruoli principali ma non solo: viste le limitazioni dell’industria interna, il Dragone sta diventando uno dei primi Paesi a impiantare in Africa una delle prime mega strutture per la produzione del cemento. La prima è stata edificata nel 2010 in Sudafrica, finanziata dal China-Africa developement Group, dal Jidong Developement Group e dalla società americana Continental Cement (che nel 2008 aveva acquisito le licenze per lo sfruttamento delle cave di calcare) per un investimento totale di 1,65 miliardi di dollari. L’impianto una volta costruito, completo di strutture e macchinari importati direttamene dalla Cina, è stato consegnato ad una società locale che ne gestirà la produzione. L’esempio però è servito ai cinesi per capire che il mercato africano ha fortissime prospettive di crescita e che, visti i mutamenti del mercato interno, oltre che per abbassare i costi di produ-
zione sarebbe meglio produrre e vendere cemento direttamente in Africa. I numeri sono impressionanti, solo nel 2012 la Cina ha importato in Africa 112 milioni di tonnellate di cemento, il 26% in più del 2011; per questo motivo nel maggio di quest’anno è stato inaugurato in Etiopia il primo impianto per la produzione del cemento costruito e gestito direttamente dalla Northen Heavy Industries, società cinese che ha già investimenti diversificati in 13 stati africani, soprattutto Angola e Tanzania (nel 2012 solo con l’esportazione di macchinari industriali in Africa ha incassato 500 milioni di dollari). Costato 70 milioni di dollari e iniziato nel 2008 entrerà a pieno regime solo alla fine di quest’anno con una previsione di produzione di 1,4 milioni di tonnellate entro 2015. Dentro questo immenso impianto ci lavoreranno 750 persone, di cui solo un decimo provenienti dalla Cina. La Northern Heavy Industries non ha certo intenzione di fermarsi e attualmente sta valutando altri progetti simili, come la costruzione di un altro impianto gestito direttamente in Chad e di un altro in Angola gestito in joint venture. Le parole del portavoce del-
l’Nhi Wang Cumin sono emblematiche e sembrano sottolineare come la Cina sembri riuscita a trovare un modo per mantenere profitti alti senza far scoppiare la bolla speculativa nel mercato interno: «[In Africa] L’industria del cemento sarà uno dei nostri principali interessi nei prossimi 10 anni, in cui la bassa competizione nel settore ci sta dando il vantaggio del migliore posizio-
Nel 2012 la Cina ha importato in Africa 112 milioni di tonnellate di cemento, per questo nel maggio scorso è nato il primo centro di produzione gestito direttamente dalla NHI
namento in questo tipo di industria».
Come tu mi vuoi
Nigeria, Sudan e Nord Africa: cosĂŹ cambia il business energetico della Cina a seconda dello Stato in cui si trova
S
e il mercato cementizio è affare della Cina e della Cina sola, il business energetico ha una flotta ben agguerrita di concorrenti: dai russi agli americani passando per gli indiani, la guerra fredda per petrolio e gas sgocciola da nord a sud del continente, minacciando l’impero cinese. Prova ne è il Mozambico: nel 2010 vengono scoperti giacimenti di gas naturale per più di 2800 miliardi di metri cubi. La previsione aumenta fino a 7mila nel 2013, ma i cinesi sono fuori dal podio delle compagnie: prima c’è Ongc (India), seconda Anadarko (Usa) e terza Eni (Italia). La Cnpc (China national petroleum corporation), la più grande azienda cinese del settore energetico che non aveva permessi di prospezione nell’ex colonia portoghese, così prova a entrare dal portone di servizio; se infatti sono ancora aperte le trattative per acquistare una quota delle concessioni indiane, a fine luglio di quest’anno Cnpc ha comprato un 20% dell’offshore italiano per 4,2 miliardi di dollari, diventando il secondo protagonista del giacimento dell’Area 4, che nel 2011 Scaroni definì «La più grande scoperta della nostra storia». Tuttavia la peculiarità della cavalcata di Pechino in Africa
non è la concorrenza, bensì i modi e i tempi diversi che essa ha avuto a seconda delle regioni. Eccezion fatta per il Sudan, dove Cnpc ha messo le tende nel lontano 1995, gli investimenti cinesi nell’energia africana appartengono tutti agli anni 2000: in Chad, in Algeria e in Niger nel 2003, in Tunisia nel 2004, in Libia nel 2005, in Nigeria nel 2006. E poi in Angola nel 2009, in Egitto e in Madagascar l’anno successivo; una copertura impressionante, resa possibile grazie anche agli altri denti del dragone oltre la più importante Cnpc: Cnooc (China national offshore oil corporation), Sinopec, Yangchang e Sinochem.
I
n Nord Africa gas e petrolio hanno fatto da battistrada per commerci e investimenti più
di Lorenzo Ligas
In Algeria, Libia ed Egitto le estrazioni di gas e petrolio hanno funzionato da battistrada per insediarsi nel territorio e da base vicina per lanciarsi nei mercati europei
estesi. In Algeria e in Libia la Cnpc ha investito 390 e 460 milioni di dollari mentre in Egitto la Sinochem ha messo sul piatto ben 2 miliardi; il tutto dopo una prima tornata, nel 2003, di permessi di ricerca su un’area che nel Paese di Camus, ad esempio,
è poco più di 22mila chilometri quadrati. Il piano commerciale poi si è gradualmente spostato dal settore energetico verso trasporti, ferrovie e strade, e soprattutto apparecchiature, tecnologie e costruzioni. Così anche in Egitto, dove Sinochem ha utilizzato i buoni rapporti con Mubarak su gas e petrolio per sviluppare altro, nel 2006 venne approvata la realizzazione congiunta della centrale nucleare di Al-Daaba, il che estese all’area militare, e in particolare alla costruzione dei K-8E, la cooperazione tra i due governi.
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a stabilità politica dei regimi nordafricani ha aiutato lo sviluppo di questi progetti lineari sul territorio; quando invece la stabilità politica è venuta a mancare, la penetrazione cinese non è stata da meno, cambiando forma e adattandosi alla situazione del luogo.
Al Bashir è a capo del Sudan dal 1989. Sotto il suo regime si consuma dal 2003 il massacro in Darfur contro cui l’Onu più volte ha tentato di intervenire
È il caso ad esempio del Sudan, dove il regime di Al Bashir ha dovuto fare i conti con la sanguinosa guerra civile che a più riprese ha devastato il Darfur e in cui la Cina ha un ruolo duplice. Pechino con le sue truppe è presente, come nel
Armi e petrolio: in Sudan il business energetico di Pechino ha dovuto fare i conti con la guerra in Darfur e il ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza Onu
resto dell’Africa, nella missione Onu UNMIS del 2011 che accompagnò nel luglio di quell’anno il Sudan de sud verso l’indipendenza. Tolta questa punta dell’iceberg, i legami tra Cina e Kharthoum vivono tutti attorno al petrolio: le scorte del
Sudan rappresentano infatti il 7% del fabbisogno interno cinese, senza contare che nel 2007 Cnpc investì quasi cinque miliardi di dollari nel Paese in un momento in cui il 90% delle armi sudanesi erano di importazione cinese e la guerra era agli apici; a maggio dello stesso anno la Cina utilizzò il suo peso come membro permanente Onu per evitare pressioni delle Nazioni Unite sul regime che stava operando in Darfur un vero e proprio massacro. Il petrolio di Kharthoum perciò questo vale: 178.200 km quadrati di permessi di estrazioni in cambio di armi e “protezione” nelle sedi Onu. Del resto, come descritto da una nota del Council on Foreign Relations: «La Cina viene in Africa con quello che un analista potrebbe definire “pacchetto completo”: soldi, esperienza tecnica e l’influenza come membro permanente del Consiglio di sicurezza per proteggere il Paese ospite da sanzioni internazionali». l filo doppio che lega energia e politica, Africa e Cina, in Nigeria ha dato invece esiti diversi. Il Paese di Babangida, Okocha e Kanu vive per il 95% delle sue entrate commerciali grazie al petrolio: per la precisione, 90% di upstream (estrazione) e 5% di downstream
I
(raffinazione). Il business energetico è da sempre l’unica leva che i vari governi hanno avuto per attirare capitali dall’estero, soprattutto alla fine degli anni Novanta, quando ancora non si sapeva nulla delle riserve di gas del Mozambico e quelle di petrolio nigeriane erano in assoluto la pista di atterraggio preferita dalle compagnie. Da maggio del 1999 a maggio del 2007, dopo anni di incertezze politiche, la democrazia sbarca ad Abuja con il neo presidente Olusegun Obasanjo. È lui che sterza il Paese e lo fa entrare nel terzo millennio, passando alla storia soprattutto per la sua politica energetica: “Oil for infrastructure”. Il Paese, a cavallo di secolo, è vuoto: non ci sono strade né ferrovie né tantomeno grandi raffinerie; l’idea
Oil for infrastructures e Oil for cash: due modi di concepire gli investimenti in Nigeria corrispondono a due stagioni politiche diverse. E nel 2010 se ne è aperta una terza
di Obasanjo è perciò quella di fare un patto con le compagnie che vogliono gli idrocarburi nigeriani, ossia petrolio per infrastrutture, petrolio in cambio di sviluppo. Nel 2005, la prima tornata di assegnazioni dei permessi è emblematica oltre che
V
Tunisia AlgeriaV
Niger V
NigeriaV
Gabon V
Angola V
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AttivitĂ energetiche in Africa V Egitto V Libia VChad VSudan
Tanzania V
Mozambico V
F
V Madagascar
un disastro: il vincolo di investire sul territorio spaventa tutte le compagnie occidentali e l’asta riesce ad assegnare poco più di un terzo delle 70 concessioni a disposizione; di queste quasi la metà delle compagnie rinuncia perché non riesce a rispettare l’accordo di investire anche nel downstream. Al secondo tentativo, a maggio, e dopo una visita di Hu Jintao ad Abuja, le concessioni hanno un solo acquirente, ovvero l’unica azienda che può permettersi infrastrutture e raffinerie: Cnpc. Forti dell’appoggio sopratutto politico, le compagnie cinesi iniziano a costruire ferrovie e strade, come la Lagos-Kano (1315 km), mentre Cnpc s’impegna con un investimento di due miliardi di dollari nel riassetto della raffineria di Kaduna; nel 2007, al quarto turno di assegnazioni, entra in gioco anche Cnooc che s’impegna nella co-
Yar’Adua ha svenduto al miglior offerente i giacimenti petroliferi. Dopo di lui, il presidente Jonathan ha provato a riprendere le politiche di Obasanjo
struzione della centrale elettrica di Mambilla. Nel 2007 però cambia il governo e la rotta s’inverte: Obasanjo non riesce a candidarsi per la terza volta e al suo posto sale al potere Umaru Musa Yar'Adua.
Yar’Adua ha cambiato le regole del predecessore riducendo il Paese a un’asta a cielo aperto: così i nigeriani nel 2012 sono scesi in piazza contro prezzi dell’energia
Stesso partito, ma etnia diversa, Yar'Adua cambia i giochi: dalla politica di “oil for infrastructures” si passa a quella di “oil for cash”, che trasforma il business petrolifero nigeriano in una semplice asta al miglior offerente. Rientrano così in gioco
tutte le vecchie aziende specialiste dell’upstream, una lista gigantesca di oltre 50 nomi che non hanno alcuna intenzione di sviluppare insieme ai loro profitti anche il territorio. Ecco perché c’è un abisso tra i ricavi delle estrazioni e quelli della raffinazione, perché viene indetta un’asta ogni due mesi, ecco perché l’energia aumenta di prezzo sullo stesso territorio in cui viene prodotta, ecco perché è nata l’anno scorso la grande protesta popolare di Occupy Nigeria. La Cina, di fronte ad “oil for cash”, si è adeguata: se Pechino continua a concedere prestiti in cambio della sicurezza di avere nel 2015 200mila barili di greggio al giorno, le aziende si sono defilate dall’impegno infrastrutturale ma hanno continuato a tenere sotto scacco il settore: le aziende specialiste del downstream sono ufficialmente nigeriane, ma le quote di maggioranza sono per lo più in mano a Cnpc, Cnooc e Sinopec. Con il cambio di presidenza nel 2010, Jonathan Goodluck, anche sotto le pressioni di un’opinione che si è resa conto dello sfruttamento di Pechino e della corruzione con cui i fondi venivano gestiti, è tornato sui passi della politica di Obasanjo, riaprendo il discorso infrastrutturale esat-
tamente da dove era stato interrotto (ferrovie e strade). Anche perché se Abuja può contare solo sulle riserve petrolifere e sul regime fiscale molto allentato, altri come Libia o Sud Africa possono attirare investimenti anche in altri mercati come quello bancario e della telefonia. l futuro problema della Nigeria e i timori del nuovo presidente sono più che altro, ora che i vecchi giacimenti si stanno esaurendo e ora che il Mozambico ha mostrato che è percorribile la via del gas naturale, assicurarsi che Pechino non lasci la Nigeria. Del resto la presenza cinese nel resto del continente è già capillare ed è andata aumentando negli ultimi tre anni: nel 2010 Sinopec ha speso 2.46 miliardi in Angola, bissando quest’anno con un investimento di 1.52 miliardi. Sempre nel 2010, Yangchang è sbarcata in Madagascar mentre l’anno dopo Cnpc ha investito poco più di un miliardo di dollari nella costruzione in Tanzania di un gasdotto strategico al confine con il Mozambico. E poi ancora Niger, Libia, Chad e Tunisia sono gli altri Paesi in cui la Cina detta le regole in mercati energetici minori e ancora da sviluppare.
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Pedro Pastorius