Fate il nostro gioco

Page 1

numero 4

Il Serale

26 marzo 2012

Settimanale quotidiano

Fate il nostro gioco

L’azzardo è una dipendenza da 80 miliardi


Scommesse sportive

Scommesse ippiche Lotto

Giochi numerici a totalizzatore nazionale Poker on line (cash) Poker sportivo e altri giochi di abilità on line Bingo Slot machine e apparecchi

Questa pagina “vale” 79,9 miliardi di euro, ovvero il 3,9% del Pil nazionale. Sono i soldi spesi in giochi dagli italiani lo scorso anno. L’area verde rappresenta la quantità tornata in tasca ai cittadini sotto forma di premi (scommesse, lotterie o partite di poker vinte, per esempio). È il cosiddetto payout, varia molto in base alla tipologia di gioco (nel poker

on line, che mette direttamente in competizione tra loro i giocatori, è quasi del 100%) e copre il 77% dell’area totale, ovvero circa 61,5 miliardi. I rimanenti 18,4 miliardi, rappresentati dalle aree rosse, sono andate agli erogatori dei servizi. Questi ne hanno a loro volta versato all’erario il 47%, ovvero quasi 7 miliardi di euro.


Giochi senza frontiere

Lotterie e scommesse in Italia valgono cifre da capogiro e crescono a velocità record. Lo Stato incassa e ringrazia di Nicola Chiappinelli quella che è la quarta industria del Paese

«B

isogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti». Petrolini forse non lo sa, ma la sua massima è stata seguita e messa in pratica più di quanto egli stesso non potesse ironicamente immaginare. Per una volta però non parliamo di tasse, ma di divertimenti. C’è una parola in Italia che farebbe pensare a tutto, tranne al fatto che si stia parlando della quarta industria del Paese (dietro a colossi come Eni, Enel e Assicurazioni Generali). Questa parola è “gioco”, e nel 2011 ha tirato fuori dalle tasche degli italiani 79,9 miliardi di euro. Nel gergo del mercato si chiama gaming, e raggruppa un universo vastissimo che va dalle lotterie alle scommesse sportive, passando per le slot machine, il

Bingo e i tornei di carte on line. Tutto rigorosamente autorizzato e gestito dallo Stato tramite l’Aams, l’autorità dei monopoli, ovvero l’ente che rilascia le concessioni e si pone come unico garante della trasparenza degli operatori del settore. A incassare, per conto dello Stato, ci pensa direttamente il capo del monopolio: il ministero dell’Economia e delle Finanze.

Dal 2003 a oggi l’industria del gioco d’azzardo è cresciuta mediamente del 23% ogni anno, dimostrandosi immmune e anzi favorita dalla crisi

L’industria dei giochi, dati alla mano, è il settore economico che ha fatto registrare la crescita più alta nell’ultimo decennio. Nel 2003 fatturava 15 miliardi di


Nel 2004 la spesa pro capite annua per il gioco ammontava a 425 euro. Da allora è più che raddoppiata, superando i mille euro già nel 2010

euro; nel 2007 i miliardi diventano 42; quattro anni dopo ecco che la cifra è quasi raddoppiata. A essere contenti sono soprattutto i governi: più i cittadini giocano, più l’erario incassa. Per metterla in termini più eleganti: «L’industria del gioco ha una partecipazione rilevante al Pil nazionale». A sottolinearlo è Ennio Lucarelli, presidente di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologie, il ramo della confederazione degli industriali in cui è confluita la neonata Federazione sistema gioco Italia, associazione che riunisce sotto un unico tetto tutte le principali imprese del settore ludico. Il passaggio sotto l’ala protettrice di Confindustria è una sorta di bacio accademico per le aziende dei giochi, che si sono viste così assegnare un ruolo chiave nella crescita del sistema produttivo nazionale. Questa maturazione è avvenuta infatti

«sia sotto il profilo strettamente economico, sia sul piano occupazionale e dello sviluppo industriale», come evidenzia il recente rapporto del Censis “Gioco ergo sum 2”, che poi non può fare a meno di rilevare la straordinarietà del dato, se confrontato con «il quadro particolarmente allarmante di altri settori produttivi». “Quadro allarmante” vuol dire recessione, crisi, e conseguente calo dei consumi familiari. Ma è in questo contesto, come ricorda ancora il documento del Censis, che «la spesa per il gioco subisce un’impennata straordinaria a partire dal 2004, in coincidenza con un’offerta pervasiva ma sicura e controllata dei prodotti». Maurizio Fiasco, sociologo e collaboratore della Consulta nazionale antiusura, intervistato nel programma di La7 “Gli intoccabili”, ha ben spiegato che questo modello vincente di business si fonda sul principio che «è molto più profittevole prendere poco dai molti, che spremere molto i

Maurizio Fiasco, sociologo della Consulta nazionale antiusura osserva: «È più profittevole prendere poco dai molti, che molto dai pochi»


pochi»; così l’industria dei giochi ha mirato all’allargamento «a tutte le categorie sociali e a tutte le classi d’età». La battuta iniziale di Petrolini non è poi così lontana dalla realtà. Ecco allora il proliferare di giochi a pronostico, lotterie, slot machine e tornei di carte online. Secondo il Censis è riduttivo legare la crescita del settore all’aumento dell’offerta ludica; è invece da considerare «una consistente domanda [..] che indica un variegato bisogno di compensare il “disagio esistenziale” tipico delle società post capitalistiche». Disagio che spesso, però, si presenta maggiormente per gli effetti nefasti che produce il gioco su chi ne diventa dipendente. Da qualche anno i Sert curano anche i malati di gioco, ma dallo Stato non è ancora arrivata una risposta politica forte nella lotta alle ludopatie. Così finisce che ad arrogarsi il diritto di imporre divieti e limitazioni al gioco sono le amministrazioni locali, costrette però ad entrare in conflitto con lo Stato, unica autorità in materia. Massimo Passamonti, presidente della federazione Sistema

La crescita si deve anche all’estensione del gioco on line, operazione che ha «sottratto risorse alla criminalità organizzata»

Gioco Italia, ricorda che i grandi risultati del settore sono stati però ottenuti anche grazie all’estensione del gioco on-line, un’operazione di legalità che ha «sottratto risorse alla criminalità organizzata». L’invito quindi è a non demonizzare un mondo,

Massimo Passamonti, presidente della federazione Sistema Gioco Italia, nata a febbraio all’interno di Confindustria

quello dell’azzardo, che oltretutto nel solo 2011 ha versato all’erario oltre 9 miliardi di euro. Passamonti è chiaro: «Come settore siamo il primo contribuente italiano». E allo Stato va bene così. Resta solo da chiedersi quale sarà il prezzo da pagare per aver trasformato il Paese in un enorme casinò a cielo aperto

.


Mind the Gap

Disoccupati, pensionati, precari: il Gioco d’azzardo patologico coinvolge 800mila giocatori “dipendenti” e due milioni di giocatori “a rischio” di Pasquale Raffaele

«P

artiamo da una vicenda vera: la storia quotidiana di un giocatore patologico qualsiasi. Tutte le mattine all'apertura del bar di paese lui è già lì. Che importa se sono le 5.30 e lui lì non dovrebbe trovarcisi? Ha un ruolo pubblico. Non passa inosservato. E i compaesani infatti si accorgono della sua attrazione fatale per quelle macchinette dove passa tutti i giorni ore ed ore, spendendo soldi che forse non può permettersi di perdere. Su richiesta degli abitanti del paese, arriva una troupe televisiva che affronta, ridicolizza e persino ammonisce il nostro giocatore, trattandolo come un vizioso e non come una persona affetta da un disturbo del controllo degli impulsi severo e recidivante». Le parole di Daniela

Capitanucci, solerte presidente dell'And – associazione privata che si occupa di Azzardo e Nuove Dipendenze – immortalano lo status di una fetta crescente ed eterogenea di connazionali affetti da quella che è stata piuttosto pittorescamente definita dal dottor Giovanni Manin “sindrome da Jolly”.

Il Gap è definito come una “malattia psichiatrica” già nel 1980 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)

Il Gap (Gioco d'azzardo patologico) ottiene una prima “investitura” ufficiale nel 1980, quando l'Organizzazione mondiale della Sanità lo cataloga come malattia psichiatrica: de


Le ludopatie non sono annoverate fra i disturbi ai quali devono corrispondere i Lea, livelli essenziali di assistenza sanitaria

facto, una patologia che, in quanto tale, richiederebbe un approccio preventivo di natura strutturale ed educativa – per capirci, alla stregua di qualunque altra dipendenza, come avviene per alcool, tabacco e droghe nei Sert. Ciononostante, le ludopatie non sono al momento annoverate fra i disturbi ai quali devono corrispondere livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea), vale a dire le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di ticket. Dunque, nel settore pubblico, rarissime -pressoché uniche- le eccezioni: l'Ospedale Molinette di Torino e il Policlinico Gemelli a Roma. Il nosocomio capitolino ha inaugurato nel 2006 un apposito day hospital, all'interno del reparto che già si occupa dei casi di tossicodipendenza e di abuso da alcool: all'epoca, i ludopatici in cura presso questa pionieristica realtà costituivano una sparuta “rappresentanza”, una ventina di pazienti in tutto. Luigi Janiri, docente di psichiatria all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e autore dello studio (pubblicato

sulla rivista Comprehensive Psychiatry) che ha avviato in Italia terapie ad hoc per uscire dal tunnel del gioco, sottolinea che la “scarsa consapevolezza del pericolo” in tutti gli aspetti della vita quotidiana costituisce il principale campanello d'allarme per individuare il potenziale ludopatico, aggiungendo: «Il disturbo associato al gioco d'azzardo tende ad associarsi alla perdita di controllo, a comportamenti violenti verso gli altri e verso se stessi, e a comportamenti compulsivi. Atteggiamenti che sono innalzati anche dalla voglia di novità, e dalla ricerca di sensazioni nuove». Lo psichiatra equipara poi il gioco patologico alle dipendenze da sostanze stupefacenti. Per altri aspetti è stupefacente anche un'ulteriore

Il disturbo tende ad associarsi alla perdita di controllo, a comportamenti violenti e compulsivi verso gli altri e verso se stessi


Un esercito di 100mila giovani leve ogni anno: tra i ludopatici, la condizione più preoccupante è quella dei minorenni

anche un'ulteriore considerazione, soltanto in apparenza contraddittoria rispetto a quanto già detto, che aiuta a far luce sulla psiche del giocatore patologico: «Il desiderio di perdere è più forte della vincita. Vincere non spinge a giocare ancora, perdere motiva un impulso inarrestabile». Stando alla Ricerca nazionale sulle abitudini di gioco degli italiani condotta dal Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (Conagga) a fine novembre 2011, 800mila soggetti sarebbero dipendenti da gioco d'azzardo, mentre quasi due milioni di giocatori vengono catalogati come “a rischio”. Aspetto niente affatto secondario è l'estrazione sociale dei ludopatici, dal momento che cresce la fetta di lavoratori precari (9,1

%), disoccupati (9,5%) e pensionati (11,1%). All'interno del campione che ha dichiarato di aver giocato almeno una volta nell'ultimo anno (il 71% degli interpellati), la maggioranza (76,4%) è di sesso maschile, a fronte di un 67,6% di giocatrici. Cifre che comunque mostrano abitudini piuttosto divergenti: mentre gli uomini giocano in prevalenza a Totocalcio, slot machine, scommesse nelle agenzie, videolottery, casinò e giochi di carte, le donne prediligono Superenalotto, Lotto, Gratta e Vinci, giochi telefonici, lotterie e il neonato Win for Life. Ad ogni modo, la condizione insindacabilmente più scottante risulta quella dei minorenni patologici, un esercito capace di reclutare all'incirca 100mila giovani leve. Eloquente il quadro delineato dal dottor Luca Bernardo, direttore del dipartimento di Pediatria dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano: «Molti ragazzi tra i 12 e 17 anni giocano d'azzardo, spendendo circa 30-50

In foto cataste di lotterie e gratta e vinci sui quali molti ragazzi tra i 12 e i 17 anni giocano d’azzardo, spendendo circa 30-50 euro al mese


euro al mese in gratta e vinci, slot machine e poker online». Spaventosi i dati snocciolati dallo specialista, secondo i quali la diffusione del gioco d'azzardo fra i minori cresce a una media del 13% annuo. Tristemente, in questa poco onorevole graduatoria primeggiano –a conferma di un più generale e ormai atavico quadro di arretratezza dell'area- le regioni meridionali: su tutte Campania (con il 57,8% di “baby” giocatori), Basilicata (57,6%) e Puglia (57%). Numeri che stridono, e non poco, con la campagna “Giovani & Gioco” lanciata nel novembre 2009 nelle scuole superiori dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (Aams), l'organo del ministero dell'Economia e delle Finanze addetto alla gestione del gioco pubblico; scopo precipuo dell’iniziativa è infatti «sensibilizzare i ragazzi non ancora maggiorenni sui rischi del gioco patologico facendo si che ciascuno possa diventare un adulto in grado di comprendere che la misura è la migliore soluzione per giocare divertendosi ed evitare pericolose conseguenze». Un paio di perle tratte dal dvd dif-

Le regioni del sud scommettono di più: su tutte Campania (con il 57,8% di “baby” giocatori), Basilicata (57,6%) e Puglia (57%)

fuso negli istituti scolastici, sapiente miscuglio di pura pedagogia e – soprattutto – di spiccato funambolismo lessicale, attirano immediatamente l'attenzione: «Evolve chi si prende una giusta dose di rischio, mentre è punito chi non rischia mai o chi rischia

È necessario «sensibilizzare i ragazzi non ancora maggiorenni sui rischi del gioco e sul fatto che la misura è la soluzione per divertirsi»

.

troppo!», oppure «Ci si attacca alla rete, al cellulare, alle slot machine o ai videopoker parcheggiati nei bar per dare risposta al primordiale bisogno di vincita che l'essere umano ha in sé». Antropologia da bar, anzi, da sala giochi dei bar


La fallacia di Montecarlo è l'incorretta attribuzione di significato ad alcuni eventi che l'individuo crede porteranno ad una vincita


La distorsione del dolore

Come funziona la dipendenza dall’azzardo e con quali tipologie di approccio: Mauro Enrico Orrù* ci spiega cosa succede nella testa dei giocatori più incalliti

P

UOI SPIEGARCI COSA SONO L’ILLUSIONE DI CONTROLLO, DEFINITA DA LANGER NEL 1975, O L'ASPETTATIVA DI SUCCESSO PERSONALE E LA COSIDDETTA FALLACIA DI MONTECARLO CHE COHEN INDICA NEL 1972, CHE SONO I DUE FATTORI PORTANTI DELLA TUA RICERCA?

di Luigi Loi

Il paradigma teoretico adottato per questo studio è quello di Ladouceur e Walker, che categorizza l'irrazionalità del giocatore d'azzardo in due fattori: l'illusione di controllo è, nella definizione di Langer (1975), la credenza che le abilità dell'individuo possano influire sull'esito di eventi determinati dal caso. Il classico esempio sono quei giocatori che pensano di essere "bravi" a tirare i dadi. La fallacia di Montecarlo è invece l'incorretta attribuzione di significato ad alcuni eventi che l'individuo crede porteranno ad una vincita. L'esempio di questa sindrome è la comune credenza che si possa avere un giro fortunato, o che se si perda un certo numero di volte prima o poi si vincerà, o che il lunedì è un giorno sfortunato per giocare. Entrambi i gruppi di credenze sono stati osservati e riportati in vari tipi di giocatori *Psicologo, ha conseguito il Master in (casinò, ippica eccetera). Lo studio Psicologia delle Dipendenze presso la Lmu di Londra. Ora lavora nel marketing di un’ che io ho condotto era volto azienda che promuove il gioco responsabile all'analisi della relazione tra la gravità del problema di gioco e l'esistenza delle distorsioni cognitive nei giocatori online. In parole povere, si voleva analizzare se persone che hanno un problema di


«Nei Paesi dove il gioco è stigmatizzato, più individui sono spinti a farne uso»

«Il Regno Unito è lo Stato con la legislazione più permissiva del mondo»

gioco più serio avessero ideazioni e credenza più erronee di altri giocatori la cui vita è meno affetta dal gioco. PERCHÉ HAI SCELTO UN APPROCCIO COMPARATIVO PER IL TUO LAVORO, CIOÈ VARI GRUPPI DI GIOCATORI DI DIVERSE NAZIONALITÀ? La metodologia e le pratiche di reclutamento dei partecipanti sono basate su due supposizioni. Il medium adottato, un questionario online, garantisce l’anonimità del partecipante e risulta un esperienza più organica per l’individuo: un giocatore online si trova ad interagire con internet per lunghi periodi e ad avere dei periodi di attesa durante il gioco ad esempio l’interruzione tra primo e secondo tempo in una partita di calcio. Inoltre, si è voluto investigare se lo status legale del gioco d’azzardo online influisse sulla gravità del problema e delle cognizioni relative al gioco. Si sono scelti tre paesi dove la legislazione in materia di gioco online varia dalla più permissiva al mondo (Regno Unito), a un mercato mediamente regolato e dove tuttora persiste la presenza del gioco cosiddetto “in nero” è consistente (Italia) ed un paese dove il gioco online è in una situazione di monopolio e il gioco nero raggiunge volumi molto grandi (Grecia) perché altri operatori non possono ottenere una licenza. Penso che sia corretto sostenere che la libera disponibilità di determinate cose, facilità l’uso delle stesse, come sostenuto da Griffiths: in paesi o società dove il gioco d’azzardo è meno stigmatizzato più individui ne fanno uso, il che aumenta la possibilità di problematiche legate al gioco. PUOI FARCI ALCUNI ESEMPI DI DOMANDE POSTE NEL QUESTIONARIO LIBERO CHE HAI SOTTOPOSTO AI GIOCATORI?


Il questionario non è libero. Ho scelto di utilizzare due strumenti largamente validati in molte popolazioni ma mai usati specificamente in Italia e Grecia. Ogni partecipante inoltre doveva fornire informazioni quali genere, età, metodo di gioco preferito e importo giocato tipicamente in una settimana. Il Problem Gambling Severity Index consiste di nove domande la cui risposta varia da “mai” (0 punti) a “quasi sempre” (3punti). Sulla base del punteggio totale, il partecipante viene categorizzato come un giocatore non patologico (0 punti), a basso rischio (1-2 punti), a rischio moderato (3-7 punti) o patologico (8 o più punti). Alcune domande in questo strumento sono: Pensando agli ultimi 12 mesi, quante volte ti è capitato di giocare più di quanto potessi permetterti di perdere? Oppure pensando agli ultimi 12 mesi, quante volte hai rigiocato per cercare di rivincere i soldi persi in precedenza? Ancora quante volte hai avuto dei soldi in prestito o venduto delle cose per avere dei soldi da giocare? Il secondo questionario il Gamblers’ Beliefs Questionnaire contiene 21 domande, con risposte da “sono completamente d’accordo” a “sono completamente in disaccordo”, volte a misurare le distorsioni cognitive legate all’illusione di controllo e la fallacia di Montecarlo. Per ogni partecipante vengono calcolati tre punteggi: un totale di tutte le domande ed un punteggio per ciascun fattore. Alcune domande sono: considero il gioco d’azzardo una sfida? Se sto giocando e perdendo, devo continuare a giocare per non perdere l’opportunità di vincere? LE DIFFERENZE CHE HAI RISCONTRATO TRA I GIOCATORI PROVENIENTI DALL'ITALIA E AD ESEMPIO

«Il “Problem gambling severity index” serve a catalogare secondo il grado di dipendenza»

«Il “Gamblers’ Beliefs Questionnaire” è usato per misurare le distorsioni cognitive»


DALLA GRECIA E DALL'INGHILTERRA?

«La dipendenza dal gioco è maggiore in italiani e greci e minore in Inghilterra»

In questo studio, abbiamo osservato una differenza statisticamente significativa nell’incidenza di problemi di gioco tra le tre popolazioni, laddove sembra che l’incidenza sia maggiore in giocatori italiani e greci e minore nei partecipanti del Regno Unito. Per quanto riguarda le distorsioni cognitive, entrambi i fattori hanno maggiore incidenza sul gruppo Britannico che negli altri due gruppi. Inoltre, non si è rilevata una differenza significativa nella presenza di ideazioni erronee tra i vari tipi di giocatori britannici, il che suggerisce che in un paese dove il gioco d’azzardo è più disponibile e meno stigmatizzato, le credenze su di esso sono generalmente più fallaci ma non legate alla dipendenza dal gioco. Nei partecipanti italiani si è rilevato che i giocatori online patologici mostrano più idee fallaci dei giocatori non problematici, come dimostrato in altri paesi ed in altri tipi di giocatori. Lo stesso profilo è stato rilevato nei partecipanti greci. CI SONO PROBLEMATICHE DIASTATICHE CHE SI

SOMMANO ALLE GIÀ PRESENTI PROBLEMATICHE DI GIOCO, NELLE ESPERIENZE DA TE OSSERVATE?

«La maggior parte di chi ha partecipato al test ha acccesso a internet e ha un conto»

In nessun campione si sono osservate variazioni nell’incidenza del gioco patologico o delle ideazioni dovute a genere, tipo di gioco, importi spesi ed età media, il che potrebbe suggerire che il problema è generalizzato. Una considerazione da fare è comunque che molto probabilmente la maggior parte dei giocatori che hanno partecipato appartiene a simili estrazioni socioeconomiche avendo accesso ad una connessione ad internet, carte di credito e capaci di operare il loro conto gioco online. LE CONCLUSIONI DEL TUO LAVORO?


Questo lavoro è servito a corroborare la tesi che vi è una correlazione tra distorsioni cognitive e gioco problematico, che a cognizione corrisponde comportamento. Ci sono delle differenze tra giocatori in diverse nazioni e differenze tra giocatori problematici e non. Questo studio suggerisce delle aree di indagine che possono essere approfondite con metodologie più qualitative che quantitative: ora sappiamo che giocatori in diverse nazioni presentano diverse incidenze di gioco patologico e distorsioni cognitive, ma quale è la direzione di questa correlazione? L’ambiente influenza il comportamento di gioco patologico che gradualmente livella le ideazioni o viceversa, la componente sociale influenza le cognizioni relative al gioco che muovono il giocatore verso l’estremo patologico dello spettro d’analisi? Una ulteriore ricerca è sicuramente necessaria e si suggerisce che sia eseguita in paesi dove lo status legale del gioco d’azzardo è in via di cambiamento ad esempio Spagna, Francia e Danimarca

.

«C’è una correlazione tra distorsioni cognitive e gioco problematico»


L’ultima delle dipendenze

Le videolotterie arrivano in Italia nel 2010: sono più sicure, garantiscono più guadagni e producono nuovi giocatori di Lorenzo Ligas

B

ar, ciliegie, prugne, campanelle e sette numerici oggi valgono 44,9 miliardi di euro. Tra varianti e modelli base, tutti conoscono le comma 6 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps), altrimenti dette slot machines. Ma, come pure il miglior democristiano, anche le “mangiasoldi” si sono evolute con conseguenze dannose. Nel gennaio 2008 le slot, registrate negli archivi Aams sotto la voce “Apparecchi” e nel Tulps come comma 6a, contribuiscono da sole al 40% delle entrate lorde del monopolio con una media di 1 miliardo e 800 milioni di euro. Vista la facile corruttibilità dei sistemi di gioco e della meccanica stessa degli apparecchi, nell’aprile dello stesso anno fanno il loro esordio le cosiddette

Newslot, giuridicamente conosciute come le comma 6a. I loro obiettivi sono chiari fin da subito: diversificare l’offerta dei giochi e impedire la manomissione del sistema, specie tramite l’utilizzo di una scheda elettronica che riconosce solo i segnali del provider di rete e in assenza dei quali (quindi in stato di ma-

Prima le Slot, poi le Newslot e nel 2010 anche le Videolotterie, regine d’Europa: l’industria degli “apparecchi” è sempre incinta

nomissione) si blocca automaticamente. Pur continuando a contribuire in modo decisivo agli incassi erariali, le Newslot ci mettono però poco tempo a riconoscere anche “altri” segnali:


Da 500 milioni del 2010, le Vlt hanno fatto incassare all’erario quasi un miliardo e mezzo di euro nel solo mese di dicembre proliferano perciò telecomandi “svuota-hopper” (l’hopper è la cassa di una slot), schede elettroniche false, macchinari costruiti apposta per essere manomessi. Nel maggio 2009 la sfida è persa e le Fiamme Gialle annunciano un’evasione erariale di oltre 25 milioni di euro. Sotto la spinta di chi chiede maggior sicurezza per i giocatori e per i concessionari, nel 2010 si affacciano in Italia le Videolotterie, presenti sul mercato europeo dal 2006 e su quello mondiali da metà degli anni ’90, chiamate più sinteticamente Vlt e riconoscibili a occhio nudo per l’assenza di tasti. Questa nuova generazione di slot, le comma 6b, provano a risolvere il problema della corruttibilità del sistema, poiché eliminano le schede elettroniche e basano tutto sulla rete dell’Aams. Il gioco avviene quindi completamente online e la vincita è costituita non più dalle monete contenute nell’hopper, ma da un voucher da riscuotere alla cassa del gestore. E dal punto di vista delle tasche del monopolio di stato le videolotterie diventano in meno di un anno la leva in grado di spingere i guadagni

degli “apparecchi” fino al 57%: da 555 milioni del mese di gennaio a quasi 1 miliardo e mezzo del mese di dicembre. L’incredibile incremento delle giocate è tanto più sorprendente se si considera che le giocate alle Vlt non tolgono giocatori alle vecchie Newslot: un esercito di nuovi clienti ha popolato le sale bingo e le sale scommesse e si è subito affezionato al nuovo giocattolo. Qual è il segreto del successo delle Vlt? Se il sistema sembra infatti essere immune dalle manomissioni del passato ed è quindi possibile dichiararlo più sicuro, la sicurezza del giocatore in termini di dipendenza dalle macchine da gioco ne esce invece fortemente ridimensionata; e le differenze con le Newslot lo dimostrano. Non esiste più il

Le Vlt risolvono alcuni problemi di sicurezza che affliggevano i vecchi apparecchi, ma hanno aumentato la dipendenza di chi gioca



tempo partita (che con le comma 6 oscilla tra i 4 e i 7 secondi) e non esiste più, aggravato lo scorso luglio dallo sdoganamento del cash online, il massimo di denaro introducibile nella macchina, massimo che con le vecchie slot ammontava a 2 euro (1 euro a partita). Le Vlt inoltre permettono non solo di inserire una qualsiasi quantità di denaro, ma prospettano al giocatore vincite fino a 5mila euro a partita, subito rimborsabili grazie all’emissione del voucher, piatto ben più ricco rispetto ai 100 euro a partita offerti da una Newslot. La dipendenza da è più forte ed è Le Vlt aumentano Vlt anche spronata dalla il monte delle presunta percenvincite a 5mila tuale di vincita dieuro di cui 1000 chiarata dall’Aams: 85% contro il 75% sono subito delle vecchie macrimborsabili chine. A questo ingrazie ai voucher centivo si aggiunga che, mentre alle vecchie comma 6 era vietata l’offerta del gioco del poker e dei suoi surrogati, le videolotterie possono comprenderlo in tutte forme. Da soli tuttavia questi dati non spiegano del tutto il successo numerico delle Vlt. Occorre un ultimo tassello, o meglio, un’ultima deroga agli articoli del Tulps che regolavano più fermamente le Newslot: in 100 metri quadrati

ora possono infatti essere collocate ben 30 macchine, 10 in più rispetto alla disciplina riguardante le comma 6 (nel cui caso c’è anche l’obbligo di diversificare il tipo di slot). Novomatic ad esempio, l’azienda austriaca regina nella produzione di videolottery in Italia, dall’ottobre 2010 all’ottobre 2011 ha messo sul mercato quasi 30mila Vlt che portano a un totale di circa 70mila se sommate a quelle di altre aziende. E le altre compagnie sono: Barcrest (Inghilterra), Bally (Usa), Spielo (Canada), Inspired (Inghilterra). Sono questi i maggiori produttori e, come si nota, La legislazione è sono tutti esteri. L’Ipiù elastica talia è ferma alla rispetto alle produzione di Newslot; ferma per modo Newslot: in 100 di dire, dal mo- mq possono stare mento che il giro di ben 30 Vlt, 10 in affari legato ai macpiù delle Slot chinari di vecchia generazione è sì stato minacciato, ma al contempo quasi per nulla intaccato dall’arrivo delle Vlt

.

Novomatic è l’azienda regina della produzione europea e italiana di Vlt: nel solo ottobre 2011 ha messo sul mercato 30mila apparecchi


Quando a giocare è la mafia

Dietro la quarta impresa italiana si nasconde il potere di ben 41 clan: da Reggio a Milano, la criminalità organizzata è diventata l’undicesima concessionaria a gestire l’azzardo. di Michela Mancini

N

el Vocabolario Domestico, del 1841, alla voce gamorra si legge: «È giuoco proibito dalla legge, che si fa da vili persone; ed anche il Luogo stesso dove si giuoca». La stretta relazione che unisce gioco d’azzardo e criminalità organizzata ha origini lontane, quando ancora il gioco era considerato un’attività illegale. Il fiuto delle mafie per gli affari non è una novità: quando l’industria della speranza è stata affidata allo Stato, la criminalità si è adeguata alle nuove regole. La “quarta impresa” italiana, quella del gioco, fra le poche con un bilancio sempre in attivo, dietro le esorbitanti cifre di fatturato legale, nasconde – mantenendoci prudenti – dieci miliardi di profitti illegali. Sono ben 41 i clan che gestiscono il business del gioco d’azzardo: dai Casalesi di Bidognetti ai Mallardo, da Santapaola ai Condello, dai Mancuso ai Cava, dai Lo Piccolo agli Schiavone. Come suggerisce il dossier di Libera Azzardopoli: «Le mafie sui giochi si accreditano ad essere l’undicesimo concessionario “occulto” del Monopolio di Stato». Un’infiltrazione nell’intero tessuto nazionale. Sono dieci le Dda che nell'ultimo anno hanno effettuato indagini a riguardo: Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma. In totale si stima che oltre il 9% dei beni Il clan dei Valle-Lampada aveva collocato slot e videopoker in 92 locali di Milano e provincia, con profitti tra i 25mila e i 50mila euro al giorno


sequestrati ai clan riguardano agenzie di scommesse e sale giochi. Perché l’industria dei giochi fa tanta gola alle organizzazioni criminali? Oltre a garantire ingenti profitti, tali attività sono per le mafie fondi puliti di investimento: una vera e propria lavanderia di soldi sporchi. Sono proprio i vertici dei Monopoli a spiegarci come la criminalità abbia imparato a muoversi anche per vie legali: «Le più recenti indagini della Guardia di Finanza hanno mostrato che le mafie, in conseguenza della crescente e rapida diffusione di centri scommessa del tutto legali sotto il profilo formale, intervengono in forma occulta o proponendosi come soci, investendo nel settore legale i proventi derivanti dal mercato nero». Un altro buon motivo per inserire la voce “gioco d’azzardo” nel bilancio criminale è l’innata capacità di reclutare potenziali perdenti, talmente indebitati da finire nelle morse dell’usura. Al tavolo non manca nessuno: camorra, ndrangheta, cosa nostra e Sacra Corona Unita gestiscono un enorme giro d’affari, marcando la loro presenza nei diversi ambiti del gioco d’azzardo. Come sottolinea la relazione dell’Antimafia del 2010, la criminalità mafiosa si è concentrata innanzitutto nei settori più lucrosi, quali la gestione e l’alterazione delle cosiddette macchinette. Si legge nel rapporto: «Come accertato, gruppi criminali mafiosi si sono mossi utilizzando gli strumenti per loro più funzionali e quindi costringendo gli esercenti, con la forza dell’intimidazione, a noleggiare gli apparecchi dalle ditte vicine ai clan, ma hanno fatto anche ricorso, per aumentare gli introiti, alla gestione di apparecchi irregolari». Un esempio concreto lo si può evincere dalle pagine della recente

Per le mafie l’industria dei giochi è una vera e propria lavanderia di soldi sporchi

Un’attività capace di reclutare potenziali perdenti, generando nuove vittime di usura


inchiesta coordinata dal pool di Ilda Boccassini che ha indagato sugli affari del clan ValleLampada, piccola grande fetta di ndrangheta trapiantata a Milano. Il clan aveva collocato slot-machine e videopoker in 92 locali di Milano e provincia, per un totale di 347 macchinette. I ricavi, stando alle indagini, si aggirerebbero tra i 25mila e i 50mila euro al giorno, di cui una parte consistente sarebbe dovuta finire nelle casse erariali. Le casse dello Stato quei soldi non li hanno mai visti perché le macchinette installate risultavano fuori norma e al Monopolio venivano trasmessi dati falsati. I Valle-Lampada si preoccupavano di modificare le schede delle macchine, staccandole così dalla rete che avrebbe permesso il controllo da parte dell'Aams, e inoltre falsavano le dichiarazioni di Gli apparecchi , non installazione. Alcune registrati, generano macchine, non essendo incassi occulti. La registrate dagli esercenti, erano praticamente invisibili pena? Circa mille euro all’ente regolatore, dando origine ad incassi occulti. Una pratica lucrosa a fronte di bassissimi rischi, poiché la sanzione amministrativa prevista per punire il reato è di circa mille euro, una cifra irrisoria rispetto al guadagno prodotto da una macchinetta non collegata. Ad agevolare le attività del clan sono stati proprio coloro che avevano l’incarico di effettuare i controlli, accettando pagamenti in nero per chiudere un occhio davanti le irregolarità. Dalle indagini della Dda di Milano emerge, infatti, un particolare di non poco rilievo: una delle dieci concessionarie dell’Aams, la Gamnet Srl, piuttosto che vigilare Nella pagina a fianco Ilda Boccassini. Il pm ha indagato sugli affari dei Valle-Lampada, una piccola fetta di ndrangheta trapiantata a Milano


sull’operato del clan, ha ricevuto dai Lampada il pagamento di un debito di circa 750mila euro di denaro contante. Erano sempre i Lampada a ritirare le monetine presso le apparecchiature, intascandosi sia i guadagni invisibili all’Aams, sia quelli di cui il Monopolio era informato. «In questo quadro – si legge nell'ordinanza della procura di Milano – abbiamo un concessionario che è perfettamente a conoscenza del fatto che una delle sue controparti è finita arrestata per associazione mafiosa e usura, che è a conoscenza del fatto che i Lampada proseguono a ritirare monetine non loro senza consegnare nulla e che vanta crediti per due milioni di euro». Una situazione, scrive il gip Gennari «che avrebbe dovuto portare il concessionario pubblico a presentare una denuncia e interrompere il rapporto con le società dei Lampada, che invece viene gestita con una serie di pagamenti cash per migliaia di euro». E scrive concludendo il gip di Milano «si è corso il rischio di vedere a fianco della Snai o altri soggetti simili una banda di mafiosi gestire le scommesse su incarico dello Stato». Il quadro non è rassicurante: i clan gestiscono le sale Bingo, i punti scommesse, le bische clandestine; impongono con l’intimidazione il noleggio di macchine manomesse; alterano le corse ippiche attraverso accordi occulti con le scuderie, minacciando i fantini o dopando i cavalli. Tutte attività di cui in fondo non rimaniamo sorpresi. Ma la criminalità organizzata si nasconde soprattutto dietro le piccole banali abitudini della gente comune. Cosa c’è di più innocuo di un gratta e vinci? I clan, per riciclare denaro sporco, sono pronti a comprare dai normali giocatori i biglietti vincenti, pagando loro un sovraprezzo che va dal cinque al dieci per cento. Hai vinto mille

I clan gestiscono sale Bingo, punti scommesse e bische clandestine

Per riciclare comprano biglietti delle lotterie vincenti, offrendo più del premio stesso



euro? Loro te ne danno 1050 in cambio. Il dossier di Libera spiega il meccanismo con cui avviene l’attività di riciclaccio: «Esibendo alle forze di polizia i tagliandi vincenti di giochi e lotterie possono infatti giustificare l’acquisto di beni e attività commerciali. Eludendo così i sequestri. Da un punto di vista strettamente giuridico l’escamotage è praticamente inattaccabile: nel caso di sequestri patrimoniali - e in particolare quelli fatti come misura di prevenzione, derivazione di norme antimafia allargate – l’accusa non ha l’onere della prova per dimostrare l’illecita accumulazione di capitali. Tocca invece alle difese dimostrare la liceità dei soldi esibendo le prove». Ad adescare i “clienti” ci pensano i gestori delle rivendite del Lotto oppure i titolari delle agenzie di scommesse. Il giocatore vincente non si lascia pregare: le mafie pagano subito e di più. La criminalità organizzata vince dove fallisce lo Stato, come sempre, da millenni, la storia è sempre la stessa. Dal 1841 poco è cambiato: si modificano le leggi, aumentano i profitti, il confine tra legalità e illegalità si fa sempre più labile, nuovi giochi nascono ogni giorno promettendo paradisi artificiali, sempre più persone affidano la propria sorte alle scommesse, altre distrattamente controllano un biglietto del Lotto. Lo Stato chiude gli occhi e, eludendo i controlli, rinuncia ad incassi che non potrebbe permettersi di rifiutare. E le mafie? Approfittano dell’euforia e rilanciano

.

Il vincente non si lascia pregare: la mafia paga di più e subito. L’ escamotage è perfetto

Lo Stato chiude gli occhi, perde incassi, le mafie approfittano e rilanciano


Lo Stato si morde la coda S

ulla testa delle dieci concessionarie che gestiscono le Newslot per conto dell’Aams, pende una sentenza della Corte dei conti di ben 2,5 miliardi di euro. Una sentenza, emessa lo scorso 20 febbraio, che rischia – se confermata in appello – di portare al fallimento le più piccole delle dieci aziende convenzionate con il Monopolio di Stato. La Corte dei conti, organo costituzionale con funzioni di controllo, altro non è che un giudice “speciale” nelle materie di contabilità pubblica. La sentenza, che non colpisce solo le concessionarie, ma prevede sanzioni anche per l'ex Direttore generale dei Monopoli di stato Giorgio Tino (ben 6 milioni di euro) e per il Direttore dei Giochi, Antonio Tagliaferri (poco più di 2,5 milioni), è segno che nei conti dello Stato c’è qualcosa che non va. Le multe sono relative alla vicenda delle cosiddette “maxi penali” chieste dalla procura per il

La Corte dei conti condanna a 2,5 miliardi le concessionarie di Newslot e le più piccole destinate al fallimento: per colpa di chi? di Michela Mancini

periodo 2004-2006. Secondo la sentenza della Corte, le concessionarie, in quel dato lasso di tempo, non avrebbero collegato le loro slot alla rete telematica di proprietà dello stato, gestita da Sogei. Mancanza che avrebbe reso di fatti impossibile quantificare (e controllare) i guadagni derivanti dagli apparecchi di intrattenimento. La vicenda giudiziaria comincia nel 2007, quando la procura regionale del Lazio della Corte dei conti inoltra agli undici concessionari una richiesta di risarcimento di 98 miliardi euro, contestando loro un “presunto danno erariale”, presunto perché non essendo collegati gli apparecchi alla rete telematica è impossibile fare una stima del danno alle casse dello Stato. Una cifra enorme che secondo la Procura deriva dalla "mancata applicazione di penali" ai 10 concessionari. Le slot non collegate alla rete dei Monopoli di Stato nel periodo 2004-2006 non hanno però causato né danni


erariali né cali della raccolta. Come? Grazie ad un meccanismo che lo Stato si è inventato per evitare perdite, sentendo puzza di bruciato. Il meccanismo è quello del forfait fiscale, cioè una somma fissa a carico dei concessionari, passata negli anni da 155 a 280 euro giornalieri. Un contributo che ha invece prodotto un surplus di 787 milioni di euro rispetto alle previsioni: è quanto mostrano i dati di incasso erariale contenuti nei bilanci di previsione annuale 2004, 2005 e 2006, messi a confronto con le entrate a consuntivo. La sentenza della Corte dei Conti, con i 2,5 miliardi di euro chiesti ai dieci concessionari, mette fine ad prima battaglia legale. Il ricorso in appello da parte delle concessionarie è già partito. Le società non ci stanno, tanto da affermare d’essere vittime di una sentenza ingiusta: «Riteniamo sorprendente e del tutto ingiustificata la sentenza della Corte dei conti che condanna i concessionari al pagamento di somme esorbitanti per un preteso e non dimostrato danno ar-

«È un preteso e non dimostrato danno allo Stato»: le società protestano e affermano di essere vittime di una sentenza ingiusta

recato allo Stato, conseguito a presunti ritardi e mal funzionamento della rete nei primissimi tempi dell’avvio della concessione» hanno dichiarato all’indomani della sentenza di primo grado. Le aziende si sono difese affermando che «si sono trovati ad agire in una condizione assolutamente sperimentale e le cui difficoltà non erano preventivamente prevedibili». Per ora, stando alla prima sentenza, di certezza sembra essercene una sola: c’è una battaglia in corso tra coloro che avrebbero dovuto “far la guardia” per conto dello Stato (Aams e concessionarie) e un altro Stato (Corte dei conti) che li rincorre processandoli. Un sistema, insomma, che si morde la coda

.


«Monoligopolio»

D

Le grandi concessionarie schiacciano le piccole e il Monopolio diventa di pochi

di Filippa Deditore

al 2006 la giungla del gioco d’azzardo italiano è stata spostata sotto l’ombrello istituzionale dell’Aams. La giungla cioè ha cambiato solo i suoi protagonisti, che ora sono concessionarie, gestori, produttori ed esercenti, ma è rimasta giungla. Una giungla piramidale. Se a capo di tutto il sistema c’è l’Aams, schiacciate tra l’incudine ed il Preu e costrette a sopravvivere in un regime concorrenziale oligarchico, ci sono le società concessionarie; soggetti che, dopo aver vinto la gara bandita dall’Aams, si aggiudicano il diritto al gioco. I giochi sono tanti e diversi e le concessionarie possono occuparsi di più prodotti contemporaneamente: per le di Newslot e Vlt sono Lottomatica, Snai, Sisal, Cirsa, Codere, Cogetech, Gmatica, Game-

net, Bplus, Hbg, ma per i cosiddetti “giochi a distanza” (quelli giocati in rete) se ne contano più di sessanta. Gestire il diritto al gioco vuol dire mettere in collegamento il gestore dei giochi con i luoghi in cui essi vengono venduti. Nel caso dei giochi a distanza, ad esempio, il luogo dove vengono venduti è un sito che fa capo alla stessa società concessionaria. Nel caso invece degli “apparecchi” la concessionaria si pone tra il gestore e gli esercenti: locali, bar, pub, sale dedicate. I gestori fino al 2003 erano i soggetti che compravano le macchine dai produttori e, tramite i nulla osta, le distribuivano agli esercenti. Nel 2003 la potestà sui nulla osta è stata trasferita alle concessionarie, limitando ad acquisto e distribuzione il ruolo dei ge-

Se a capo di tutto il sistema c’è l’Aams, schiacciate tra l’incudine ed il Preu e costrette a sopravvivere in un’oligarchia, ci sono le società concessionarie


midale in cui il ricavato degli apparecchi viene spartito secondo queste percentuali: il 74% va in vincite, il 5% all’esercente, un altro 5% al gestore, il 15% è assorbito dal Preu, infine l’1% alle concessionarie. In teoria quest’ultime figurano come il padre padrone delegato che detta leggi, tempi e modi di gestione del gioco. In pratica le regole del mercato sono ancora in mano ai gestori in virtù del loro maggior radicamento sul

Le concessionarie devono controllare, ma fare i controlli vuol dire assumere e segnare nuove spese

territorio. Nel 2011 inoltre le concessionarie sono state dall’Aams investite della responsabilità, che prima era tutta dei Monopoli, di controllare l’operato di gestori ed esercenti, d’infilarsi cioè tra i due ingranaggi più stretti della catena e sorvegliare più da vicino il mercato del gioco. Fare i controlli con una certa efficienza vuol dire ritagliare un ruolo apposito all’interno dell’azienda, assumere e ridisegnare il personale, aggiungere nuovi costi alla gestione della concessionaria. Tutti costi che Aams ha volentieri spostato dai suoi bilanci nel momento in cui sul mercato si sono affacciate le Vlt e la promessa che le accompagnava: 85% in vincite. Così le concessionarie, strette tra l‘1% di ricavi e responsabilità che non dovrebbero essere loro, hanno trovato un

modo agile e conveniente per sopravvivere: il super gestore. Il super gestore consiste in un consorzio tra la società concessionaria e un gestore, è, come precisa Riccardo Maestrelli (consigliere nazionale di Astro), una «convergenza fisiologica tra le esigenze industriali del concessionario (o almeno di alcuni), e quelle

Il super gestore consiste in un consorzio tra la società concessionaria e un gestore, è «una «convergenza fisiologica tra le esigenze industriali del concessionario e quelle del proprietario»



del proprietario di slot» che è più radicato sul territorio. Per le concessionarie questo significa avere accesso a quel 5% di ricavi che spetta di norma ai gestori, un vantaggio non da poco. Nel 2012 scade il contratto stipulato nel 2006: sei anni in cui Aams ha gestito con confusione alcuni aspetti del mondo del gioco d’azzardo lecito. La sentenza della Corte dei conti (che multa di 2,5 miliardi le dieci concessionarie per non aver contenuto nei tempi previsti l’allacciamento delle slot alla rete dei Monopoli) ne è una prova. E ne sono prova anche gli articoli, contenuti nell’ultimo Decreto fiscale, che impongono all’Aams controlli antimafia più efficaci; ciò va in completa controtendenza con quanto stabilito proprio dai Monopoli nel 2011, quando cioè aveva consentito alle concessionarie di autocertificare le visure antimafia. Ed è ancora prova di con-

fusione il fatto che le concessionarie più piccole spesso fatichino nella coabitazione forzata con colossi come Lottomatica e Sisal. La principale differenza sta nei prodotti offerti. Se infatti le concessionarie minori si occupano, ad esempio, di bingo newslot e vlt, quelle maggiori hanno dalla loro non solo bingo, slot e vlt, ma anche Lotto, lotterie, gratta e vinci, nonché terminali e strutture più diffusi. È quindi più probabile che un esercente, costretto a scegliere, supponiamo, per ragioni di spazio tra due apparecchi di concessionarie diverse, scelga la concessionaria che fornisce la maggior parte dei prodotti. Si tratta di una leva forte e pericolosa che per natura esclude i pesci più piccoli e che trasforma, con il regolamento attuale, il monopolio in un oligopolio

.

Nel 2012 scade il contratto del 2006: sei anni in cui Aams è stata confusa e imprecisa


Gambler per lavoro

Intervista a un giocatore professionista di poker: riflessioni, ambizioni, privazioni e debolezze di un grinder venticinquenne di Silvia Fiorito

L

a stanza in cui mi trovo è buia, l'unica fonte di illuminazione è la luce dell’enorme monitor di un computer. L'aria è viziata e densa di fumo. Yuang Chu mi ha da poco ricevuto nella sua casa, ma ha deciso di farmi attendere: «L'azione è troppo buona per smettere – mi dice – è un momento proficuo, ci sono molti giocatori scarsi connessi». L'unico suono è il frenetico clic del mouse che sembra non fermarsi mai, mentre il grinder (letteralmente “macina”, termine gergale inglese con il quale sono chiamati i professionisti del poker, ndr), come ipnotizzato, gioca migliaia di mani di No Limit Texas Hold’em (Nlth) su decine di tavoli in simultanea. Dopo una mezzora abbondante è finalmente pronto per essere intervistato. Non riesco a trattenermi dal chiedergli come faccia a seguire quel ritmo di gioco: «Da piccolo giocavo molto ai videogames e sono abituato a pensare e a calcolare velocemente». Yuang si presenta in jeans e maglietta, con le cuffie dell'ipod ancora nelle orecchie, ha un viso pulito e un'aria sbarazzina. Aspetto ben lontano da come si immagina generalmente un giocatore di poker professionista: un losco figuro seduto al tavolo di una bisca, mentre fuma sigari e beve whiskey, squadrando i propri avversari con

“Valore atteso”, “varianza”, “breve e lungo periodo”: perché si verifichi una corrispondenza tra abilità e guadagno è necessario giocare almeno 300mila mani


occhi di ghiaccio. Ci spostiamo in salone, la casa è molto grande e piena di gingilli elettronici, megaschermi e computer. Non sembra alla portata delle tasche di un ragazzo di soli venticinque anni. Sono curiosa di sapere perché ha intrapreso quest’attività: «Ho scelto di diventare un giocatore professionista per più motivi: il principale deriva da una profonda sfiducia nel sistema lavorativo italiano: senza aiuti è difficile sfondare nelle carriere più tradizionali». Ma perché proprio il poker? «Ritengo sia un gioco eticamente corretto: in ballo ci sono i miei soldi; per questo è necessario avere una buona gestione del proprio bankroll (fondocassa) e studiare continuamente le strategie vincenti; solo così i miei impegni possono essere trasformati in guadagni sempre più elevati. Il Nlth è un gioco di abilità. Guadagno molto bene, faccio parte di una delle poche categorie di lavoratori che non risente della crisi». Yuang era un laureando in ingegneria meccanica, a pochi mesi dalla tesi ha deciso di abbandonare l'università non sentendosi motivato e stimolato a continuare. «Cimentarmi in anni di stage sottopagati per poi essere assunto da un’azienda di metalmeccanica non era più la mia ambizione. Ho sempre avuto la passione per i giochi intuitivi, mi considero una persona analitica, con elevate capacità matematiche e velocità di calcolo. Vedevo giovani, con attitudini simili alle mie, guadagnare molto con il poker online; così ho deciso di provarci anch’io». Sembrerebbe un percorso lineare, addirittura facile per chi è bravo con i numeri, ma la verità è ben diversa: «Serve tanta tenacia, grinta,

I giocatori di poker professionisti sono fra i pochi lavoratori a non risentire della crisi

«Lo ritengo un gioco eticamente corretto: sono io che decido di metterci i miei soldi»


È difficile proteggersi dal logorio psichico causato dallo stile di vita del pokerista

«Ho deciso di provare vedendo giovani con capacità simili alle mie guadagnarci molto»

coraggio, pazienza e umiltà. Amarillo Slim, un famoso giocatore statunitense, diceva: “puoi essere l'ottavo giocatore più forte al mondo ma se ti siedi al tavolo con i sette più forti sarai tu il pollo”, perciò devi conoscerti bene, sapere chi puoi battere e chi no. Per essere un professionista devi rivalutare costantemente il tuo gioco, trovarne gli errori. Le mie giornate sono intense: mi sveglio all’ora di pranzo e gioco fino alle nove di sera per poi cenare e dedicarmi all’analisi a posteriori della partita svolta. Da mezzanotte, in genere, si gioca fino a notte fonda». La vita del grinder ha il vantaggio di essere molto flessibile: «Sono libero di gestire il mio ritmo lavorativo. Ma questa libertà può essere un’arma a doppio taglio: è difficile essere costanti in questa professione, soprattutto nei periodi in cui si perde. Ma la fortuna non è determinante quando giochi tanto, poiché le oscillazioni negative di breve periodo sono molto frequenti». “Valore atteso”, “statistica”, “varianza”, “breve e lungo periodo” sono espressioni frequenti nel linguaggio di un giocatore di Nlth: «Si dice che per fare il pokerista di professione devi essere pronto a tirare fuori una banconota da mille dollari dal tuo portafogli e avere il coraggio di dargli fuoco: concetto alquanto estremo che ha però un fondo di verità. I soldi sono soltanto numeri sullo schermo per tenere il punteggio della partita. Quando gioco non posso lasciarmi influenzare da ciò che rappresentano nella vita reale». Gli faccio notare quanto sia stressante per un ragazzo di quest’età dover gestire grandi vincite e grandi perdite. Mi risponde con un sorriso amaro: «Nonostante io sia un tipo calmo e


distaccato per natura, è molto difficile proteggermi dal logorio psichico a cui può portare questo lavoro. Mi è capitato di spendere irragionevolmente i soldi vinti, concedendomi vari lussi. Poker e sregolatezza rischiano di diventare, per alcuni, un binomio inscindibile. Molti dei miei colleghi, infatti, sono oramai vittime della droga. Io stesso posso affermare di essere un alcolista. Sto però cercando di smettere». Difatti mi accorgo che non ci sono bottiglie di alcolici in casa, bensì numerosi souvenir disposti sugli scaffali delle librerie: «Ho viaggiato tanto all’inizio della mia carriera, raccolto le cose essenziali in una valigia e regalato il resto. Ero senza fissa dimora per scelta, dormivo in albergo e cenavo esclusivamente nei ristoranti. In quel periodo ho allontanato quasi tutti i miei affetti: genitori, parenti e amici. Volevo concentrarmi solo sul gioco. Dopo un anno e mezzo di viaggi in tutto il mondo mi sono ritrovato solo. Spesso mi sentivo sollevato da questa assenza di legami con il mondo esterno al poker: così non ero tenuto a giustificare il mio stile di vita. Era difficile uscire con i vecchi amici: oltre ai ritmi e alle abitudini diverse, non riuscivo a rapportarmi con i loro problemi senza ipocrisia». Yuang Chu deve rimettersi a lavoro. Prima di andare mi offre un caffè, che prepara con cura. Mi porge la tazza, poi scrolla le spalle e mi guarda con occhi fieri : «Ora ho una casa tutta mia, cerco di godermi i miei spazi, ho cominciato perfino a cucinare. Non giocherò a poker per tutta la vita, non credo si possa sopravvivere a questo mestiere stressante»

.

«Sono libero di gestire il ritmo lavorativo. Ma questo può anche rivelarsi un’insidia»

«Non giocherò per tutta la vita, non credo si possa sopravvivere a questo mestiere»



Il più calcolato dei rischi

Tra fortuna e matematica, tra immaginario comune e lavoro: il Texas Hold’em è la nuova frontiera del poker

«I

l destino mescola le carte, ma è l’uomo a giocare la partita», recita così un famoso aforisma di Victor Hugo; eppure, nell’immaginario collettivo il poker è considerato un gioco d’azzardo, interamente basato sulla fortuna. Tutti coloro che ne hanno fatto un lavoro sono pronti a giurare che non c’è nulla di più sbagliato. Ci vogliono pochi minuti per impararne le regole e rimanere affascinati dalla loro straordinaria linearità. Tuttavia è importante partire dal presupposto che il poker è un gioco a informazione incompleta, i partecipanti non conoscono tutte le carte; per giocare al meglio, quindi, devono valutare più aspetti: ipotizzare il punto dell’avversario, calcolare matematicamente le probabilità al fine di decidere quale scommessa (puntata) sia meglio effettuare. Infatti, quando si parla di No limit Texas Hold’em, la variante ormai maggiormente diffusa di poker, si parla di skill game, ossia “gioco di abilità.” Attenzione, però, questo non esclude del tutto l’influenza della dea bendata. È fondamen-

tale soffermarsi, quando si parla di Nlhe, sul concetto di “valore atteso”, ovvero l’ammontare della vincita che si realizza in media in una scommessa; essendo un valore medio, esso si realizzerà solo in prospettiva di

di Silvia Fiorito

Ipotizzare il punto dell’avversario, calcolare le probabilità: il No limit Texas Hold’em (Nlhe) è la variante di poker maggiormente diffusa in tutto il mondo

lungo periodo. È proprio qui che subentra l’abilità: prendere quante più decisioni corrette, e quindi a valore atteso positivo, aumentando in tal modo l’attesa di profitto. Non a caso i termini gergali per il Nlhe sono gli stessi utilizzati in finanza e in borsa


dai trader e dai broker. Come un investitore, infatti, il giocatore professionista di Nlhe non è immune dalle oscillazioni negative quotidiane. Tuttavia, per non andare broke (andare in bancarotta), si affida al cosiddetto bankroll managment; esso è un sistema attraverso il quale il giocatore gestisce il proprio capitale, investendone solamente una piccola parte per ogni scommessa. È dunque evidente la differenza abissale che intercorre fra il gioco del poker e tutti gli altri giochi d’azzardo come la roulette, il blackjack, le slot machine e lo stesso videopoker. Si può giocare a Nlhe in due principali modalità: torneo (o sportivo) e cash game. Le differenze sono poche, ma piuttosto significative: per partecipare ad un torneo è necessario versare una quota identica per tutti i partecipanti, ai quali sarà asse-

Nel poker è fondamentale prendere quante più decisioni corrette, e quindi a valore atteso positivo, aumentando in tal modo l’attesa di profitto

gnato un dato numero di gettoni che non hanno alcun valore nel mondo reale, ma che diventano veri soldi solo se si riesce a ottenere un piazzamento a premio. I giocatori vengono eliminati quando perdono la loro posta; colui che riesce a sottrarre tutte

I termini gergali dei professionisti del No limit Texas Hold’em (la variante di poker più diffusa al mondo) sono gli stessi utilizzati in finanza e in borsa dai trader e dai broker

le fiches agli avversari vince la partita. Nel cash game, invece, le fiches corrispondono ai soldi investiti e si può rientrare anche dopo averle perse tutte. Non vi è quindi un vincitore, poiché la partita non ha una vera fine: si


può decidere di alzarsi dal tavolo verde quando si è sazi delle proprie vincite o stufi delle proprie perdite. È dal 2003 che si è verificato il vero e proprio “boom” del poker online. In quell’anno, Chris Moneymaker, un ragazzo come tanti dal cognome profetico, vinse il Main event delle World series of poker, i campionati mondiali di poker, partendo da un torneo di qualificazione online di soli 39 dollari; in pochi anni il poker è diventato un vero e proprio fenomeno culturale con milioni di giocatori in tutto il mondo, tanto che alcuni fra i più tenaci ed appassionati ne hanno fatto una vera e propria professione. Nasce così la figura del Professional poker player (Ppp). Questa disciplina è divenuta molto popolare anche in Italia negli ultimi anni: sono, infatti, comparsi i primi Ppp anche da noi. Precursori di questa figura sono stati Luca Pagano, Dario Minieri e Max Pescatori. Oggi sono tanti i giovani che cercano di intraprendere questa strada e soltanto una ferrea disciplina nell’apprendere e nel controllare le proprie emozioni permette a pochi fortunati di arrivare al successo. «Con le carte in mano, tutti gli uomini sono eguali». Affermava così lo scrittore ucraino Nikolaj

Gogol, nel suo libro “Giocatori” nel 1842. Frase quantomeno azzeccata, considerata la diffusione trasversale del poker. Persone provenienti dalle più diverse estrazioni sociali si affrontano quotidianamente ai tavoli. Una vera e propria battaglia di nervi, in cui non importa se sei un grande avvocato, un medico, un impiegato o un idraulico; conta la forza di volontà, la

Alla base del boom, nel 2003, l’impresa di Chris Moneymaker, che vinse il main event delle Wsop al quale si era qualificato tramite un torneo online da 39 dollari d’iscrizione

grinta, la tenacia e soprattutto l’intelligenza. E sì, anche un pizzico di fortuna.


Settimanale quotidiano*

*Un tema a settimana, un aggiornamento ogni sera.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.