Petrolio su tela

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numero 7

Il Serale

23 aprile 2012

Settimanale quotidiano

Petrolio su tela

Benzina: i tratti di un quadro costoso e incompreso.



Un serbatoio di proteste

Si lamentano i consumatori come si lamentano anche i proprietari dei distributori: il prezzo della benzina intanto aumenta indisturbato di Nicola Chiappinelli

È

la “tassa indiretta” per eccellenza. È il primo e più importante indice di quanto sia costoso vivere. è la soluzione da cui tanti vorrebbero sdoganarsi, ma che in realtà guida ancora l’attività produttiva del Paese, se è vero che l’88% delle merci in Italia viaggia su gomma. La benzina è una della spese maggiori dei cittadini-consumatori, e il suo prezzo continua ad aumentare, indisturbato: a marzo 2012 la percentuale di crescita su base annua è stata del 18,6. E il dato pare non sorprendere più, o quasi. Ad esempio la procura di Varese ha aperto un’indagine per verificare che le dieci compagnie petrolifere più importanti d’Italia non stiano speculando sul passaggio che intercorre tra l’acquisto del barile di greggio e la pompa di benzina. Si vuole capire insomma com’è deciso il prezzo finale del carburante: un interrogativo che accomuna sia il lavoro della Guardia di Finanza, sia l’interesse generale della comunità, desiderosa di sapere dove va a finire il proprio denaro nel circuito che lega gestori, compagnie petrolifere e Stato.

Sì, perché anche lo Stato fa la sua parte, attraverso le accise: impercettibili imposte sui prodotti di consumo applicate dai governi dell’ultimo secolo per finanziare situazioni di “emergenza”. Per i dati di marzo del Ministero dello sviluppo economico, il loro valore è in media di 704,20 euro per mille litri di benzina. Il cui ultimo picco, intanto, segna 1,918 euro al litro. I consumatori non ci stanno: dall’anno scorso l’uso è calato del 9,5%. Ma protestano anche i proprietari degli impianti: aumento dei prezzi, concorrenza per la liberalizzazione del settore e nuove forme di contratto mettono a rischio la loro sopravvivenza. E poi alza la voce pure chi l’oro nero lo ha sotto i piedi, come il popolo della Basilicata. A nessuno sta più bene questa situazione: forse c’è qualcosa che non torna

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Sognando il pieno L

Il calcolo del prezzo della benzina come la fiaba più indigesta per gli italiani

di Elisa Gianni

a decisione con cui si faceva scattare la freccia per svoltare verso le pompe di benzina è ormai un ricordo lontano per la grande maggioranza degli italiani, avere il serbatoio pieno quasi un lusso, con i prezzi della benzina che hanno raggiunto una media di 1,90 euro al litro. Meglio illudersi del risparmio, centellinando il carburante a forza di venti euro, nella speranza di un calo del prezzo – anche solo di pochi millesimi – prima che la spia sul lunotto torni a segnare rosso. Scene di vita quotidiana del popolo italiano, quello che in Europa preferisce più di tutti gli altri l’indipendenza del proprio mezzo a motore alla scomoda promiscuità dei trasporti pubblici o alle fatiche dei più lenti e naturali spostamenti su gambe – anche se è un dovere di cronaca riconoscere, nelle grandi città come in provincia, il ritorno di tendenza della bici, nella versione modernizzata elettrica o sharing. Scene di vita confermate dai numeri incontrovertibili del Dipartimento per l’energia del Ministero dello sviluppo economico, che segnano un calo nei consumi di benzina del 9,5% nel mese di marzo – e del 20,3% in febbraio – in rapporto a dodici mesi prima. Impossibile non collegare questa tendenza all’aumento del costo della benzina, già a 35-40 centesimi in più dalla fine del 2011. Il prezzo incide: i dati del Ministero per lo sviluppo economico segnano un calo nei consumi di benzina del 9,5% solo nel mese di marzo


Il prezzo del carburante ai distributori è la somma del prezzo del combustibile, l’accisa e l’Iva. Il prezzo del combustibile è a sua volta l’ammontare dei costi della filiera della benzina: dal petrolio – il cui prezzo è stabilito Il nostro portafoglio in base soprattutto alle quotazioni del Wti (a sborsa la somma dei New York) e del Brent (nella City londinese), prezzi di combustibile, sulle quali poi si basa l’indice Platt’s che accisa e Iva suggerisce la cifra a cui le raffinerie vendono il prodotto lavorato alle compagnie – al guadagno delle stesse e dei gestori dei distributori. Cerchiamo di fare chiarezza su questa filiera, partendo dal presupposto che non tutto il greggio è ugualmente pregiato. In base a dove avviene la sua estrazione, il petrolio risulta infatti più o meno sporco per la presenza di componenti che, in fase di lavorazione – la cosiddetta raffinazione, dovranno essere allontanate: la percentuale di queste componenti – tra cui lo zolfo – deciderà la qualità del prodotto grezzo. Non esiste quindi un solo oro nero, ma tanti diversi, ognuno quotato nei più importanti mercati di scambio internazionali, sempre in dollari e al barile (pari a 158,98 litri). Tuttavia sono due le tipologie di petrolio più pregiate e quindi più determinanti sui prezzi mondiali di qualunque genere: il Light Crude e il Non tutto il greggio è Brent. Il primo è fondamentalmente ugualmente pregiato: Light riconducibile al West Texas IntermediateCrude e Brent sono i migliori


Midland (Wti), un greggio particolarmente povero di zolfo e quotato al Nymex, la borsa newyorkese che si occupa esclusivamente di prodotti energetici e metalli; il Brent invece è estratto principalmente dal Mare del Nord, con percentuali di zolfo leggermente più alte – e quindi un po’ meno pregiato rispetto al Wti – e quotato all’ International Petroleum Exchange di Londra, equivalente europeo del Nymex. Basandosi su queste quotazioni – e in particolare sul Brent, l’agenzia Platt’s suggerisce il prezzo internazionale dei prodotti raffinati e i costi di importazione per l’area mediterranea. Sezione del gruppo editoriale McGraw-Hill – lo stesso al quale è affiliata l’agenzia di rating Standard&Poor’s – la Platt’s Una volta acquistata la si occupa di monitorare il benzina, le compagnie gioco antico di domanda e offerta dei carburanti e riforniscono i gestori rilevarne così i prezzi. della stessa bandiera Una volta acquistata la benzina dalle raffinerie, le compagnie petrolifere riforniscono i distributori della loro divisa. L’accordo aziendale tra il gestore e la compagnia petrolifera regola i rapporti economici tra queste due parti: il primo ha in comodato d’uso l’impianto relativo ai carburanti – non però tutto il settore cosiddetto non-oil, ossia eventuale lavaggio, accessori, bar, officine eccetera; il suo guadagno sui rifornimenti è però fisso e si aggira – a seconda della compagnia stessa – tra i 35 e i 40 euro ogni mille litri. Ipotizzando che un benzinaio distribuisca mille litri al giorno di benzina, l’incasso del distributore si aggirerà attorno ai 1900euro. Ma non è affatto il caso di farsi venire le pupille a forma di dollaro: se il vostro benzinaio di fiducia vi propone il cambio di


gomme un giorno sì e uno no, o cerca di vendervi le catene da neve in pieno aprile è probabilmente perché arrivare alla fine del mese non è uno spasso neppure per lui. La percentuale più importante nel conto totale delle voci che compongono il prezzo della benzina fa infatti capo allo Stato. La tanto temuta accisa – o accise, se si considerano come tante piccole gocce che vanno a riempire la stessa bacinella ormai dal 1935 – è stata spinta dal decreto “salva-Italia” dello scorso dicembre oltre la quota dei 70 centesimi al litro, andando così a incidere per più del 36% sul costo della benzina. Ma l’accisa è una tassa sul consumo – in questo caso di carburanti – e perciò non varia in rapporto al prezzo, ma alla quantità. Ciò significa che non scampa alla tassazione sul valore aggiunto, l’Iva dallo stesso “salva-Italia” portata dal 20 al 21% con la promessa di un ulteriore balzo di due punti percentuali a partire dal prossimo autunno. Un salasso anche per i benzinai allora ai quali non resta che attirare i clienti con sconti infinitesimali nella speranza di un arrotondamento con gli extra. Chi ci guadagna alla fine è presto detto: da una parte le sorelle petrolifere che operano in un mercato di fatto oligopolistico, con un colosso multinazionale a illuminare il loro cammino; dall’altra le casse affamate di uno Stato indebitato, che mangiano da sole più della metà della torta. In mezzo i benzinai a spartirsi le briciole e gli automobilisti con l’incubo della spia sul lunotto che si fa rossa sempre più in fretta

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Sul totale del prezzo del carburante sono 70 i centesimi al litro derivanti dall’accisa


La tassa divenuta tradizione di Marta Gasparroni

Cambiano i governi, ma le accise sulla benzina sono uno degli strumenti preferiti per fare cassa senza scrupoli

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omadi per scelta, pionieri per necessità. Il rumore dei passi speronati in corsa sul suolo americano dietro a filamenti gialli risuona ancora oggi. Una linea immaginaria pone il suo tratto indelebile dall’Abissinia alla Libia, imbrattando il territorio italiano. Il 1848 segnava la corsa all’oro. Il 2012 registra il sibilo fulmineo di tante ghigliot-

tine. A gravare sulle teste degli italiani sono le accise sul prezzo del carburante, che con il decreto Salva Italia del governo Monti, ha raggiunto un record storico. Si svuotano le tasche dei cittadini e si rimpinguano i portafogli statali. L’indice nero an-

novera, tra i finanziamenti per la politica estera e gli interventi regionali, anche molte sovvenzioni per conflitti ed eventi rintracciabili ormai solo tra le pagine dei libri di storia. Se si pensa alla possibile reintroduzione della tasse sulle “disgrazie”, ossia la facoltà per le regioni di aumentare le accise sulla benzina nel caso di calamità naturali e di eventi eccezionali, come nevicate e fenomeni metereologici fuori dal comune, si allunga l’elenco delle imposte aggiuntive che si è costretti a pagare. I quattro aumenti del solo 2011 non tengono il confronto con il passato, quando dalla famosa accisa per la guerra in Abissinia del lontano 1935 si registrava al massimo una nuova accisa all’anno. Dopo vent’anni la macchia dell’oro nero torna a inglobare nuove monete. Risale al 1956 l’accisa per finanziare la crisi di Suez e al 1963 quella per il disastro del Vajont. Alle catastrofi naturali si aggiungono l’alluvione di Firenze nel 1966, il sisma del Belice del 1968, quello del Friuli nel 1976 e il terremoto di Irpinia nel 1980. Nel decen-


nio 80-90 si assiste alla reintrodurre delle accise sui carburanti per motivi legati ai cosiddetti “interventi umanitari”, tra cui ricordiamo la missione in Libano nel 1983 e quella in Bosnia nel 1996. Si arriva così al ventunesimo secolo, quando le accise sono così numerose da sfiorare l’assurdità, considerato il rischio recessione dietro l’angolo e la continua ascesa dei prezzi. Non si può tralasciare allora l’aumento di 0,02 cent nel 2004 per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri e un’ulteriore accisa per l’acquisto di autobus ecologici l’anno successivo: sei anni e quattro manovre hanno spinto il prezzo del carburante sulla soglia dei 2 euro (con un’IVA del 23%, che oltretutto si calcola proprio sul prezzo maggiorato dalle accise). Dopo le operazioni militari in nord Africa, con la “tassa di guerra” prevista dal decreto Legge 107 del 12 luglio 2011 per il rifinanziamento delle missioni all’estero e il termine dell’intervento

L’ultima delle accise: il decreto Legge 34/2011 per le sovvenzioni alla cultura dovrebbe rispondere a fondi indipendenti. Invece grava sulle tasche dei cittadini

italiano in Libia, si annunciano nuovi rincari per le spese extra delle otto basi italiane impiegate in Africa. L’aumento dei prezzi sul carburante rattrappisce le mani degli italiani, già anchilosate dall’eco di oneri defunti, e porta a storcere il naso al pensiero delle ultime accise, considerato ad esempio il decreto Legge 34/2011 per le sovven-

La prima fu proposta nel lontano 1935, l’ultima proprio qualche giorno fa: dietro il velo delle “emergenze”, le accise sono tra le tasse peggio vissute dai consumatori

zioni alla cultura, un finanziamento che dovrebbe rispondere a fondi indipendenti e invece pesa sulle tasche di tutti. Il governo Monti sta tentando di risanare le casse statali innescando un circolo vizioso che vuole rifuggire la crisi, con


Il governo Berlusconi nell’aprile 2011 introduceva 0,007 cent per aiutare il cinema, cui seguivano i 4 centesimi dell’accisa “temporanea” per l’emergenza immigrazione dalla Libia,

non ancora revocata; quindi ancora un centesimo in più per i danni delle alluvioni in Toscana e in Liguria dello scorso novembre.


il risultato di restringere l’utilizzo dei motori a situazioni di prima necessità. Sintomo di un ritorno allo stadio precedente all’avvento dell’auto, che si può valutare in termini ecologici o catastrofici. In ogni caso, le dichiarazioni di Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo economico, vogliono calmare gli animi valutando un eventuale – e parziale – abbassamento delle accise. Una smorfia ironica dipinge la bocca di tutti al pensiero che il piccolo passo indietro dipenderà dal recupero delle risorse dall’evasione fiscale. Si affaccia la possibilità di un ribasso, ancora più remota però se si pensa all’ultima intenzione del governo di finanziare la riforma la Protezione Civile aumentando le imposte del carburante (10 centesimi, di cui 5 statali e 5 regionali); proposta che ha contribuito a riaccendere le proteste – mai troppo sopite – degli automobilisti. Senza considerare poi che era stata al vaglio l’ipotesi di ulteriori 0,02 cent con cui tassare ogni SMS inviato. Forse il sorriso può adesso ritrarsi di fronte a un quesito: non sarà forse un controsenso alzare le tasse sui consumi, e chiedere nello stesso tempo ai cittadini di continuare a consumare?

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Parenti serpenti

Erano “sette sorelle”, poi sono diventate cinque, poi ancora big four: ma le compagnie petrolifere sono molte di più e nemmeno più sorelle

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rima erano “sette sorelle”, come le aveva chiamate Enrico Mattei. Poi qualcuno ne ha fatto scendere il numero a cinque, mentre per altri il mercato è dominato dalle cosiddette “big four”. In realtà il loro numero è cresciuto parecchio, e forse sorelle non lo sono neanche più così tanto. Si tratta delle compagnie petrolifere, i gestori di quella risorsa energetica comunemente nota come “oro nero”, che all’inizio del ventunesimo secolo copre ancora circa il 90% del fabbisogno di combustibile a livello mondiale. Nella classifica “Global 2000”, l’annuale graduatoria stilata dalla rivista ameri-

cana Forbes per ordinare le duemila aziende più ricche del mondo, addirittura 9 delle prime ventiquattro risultano appartenenti al dorato mondo dell’industria del petrolio. Come ad esempio la prima nella classifica generale, la Exxon Mobil Corporation, nata nel 1999 dalla fusione delle due compagnie petrolifere americane Exxon e Mobil, entrambe discendenti dalla

Tra le 24 aziende più ricche al mondo 9 sono petrolifere: le prime 4 sono Mobil, Shell, Petrochina e Petrobras

di Nicola Chiappinelli

Standard Oil, il grande trust fondato da John D. Rockfeller nel 1870 e scorporato nel 1911 dalla Corte Suprema in 34 imprese indipendenti, delle quali due, la Standard Oil Company of New Jersey e la Standard Oil Company of New York, sono riuscite poi a riunirsi in un colosso dalle dimensioni simili a quello che negli anni ’30 l’Antitrust americana aveva deciso di smembrare. La Exxon Mobil nel 2011 ha fatto profitti per 41,1 miliardi di dollari, ma soprattutto ha un valore di mercato che supera i 400 miliardi di dollari. Più di tutti, semplicemente. In quarta posizione nella graduatoria di Forbes, se-


conda tra le imprese dell’oro nero, c’è poi la Royal Dutch Shell, la multinazionale anglo-olandese che dal 2005 ha assunto una struttura di proprietà unica con l’unione delle due società partner, appunto la Reale Compagnia Petrolifera Olandese e il gruppo britannico Shell, fondato nel 1897 dai fratelli Samuel. Nel 2011 la società ha venduto il suo prodotto per un guadagno molto più alto di quello della Exxon, circa 470 mi-

La Petrochina ha un valore di 295 miliardi di dollari: sul mercato può permettersi di essere aggressiva

liardi di dollari, ma con dei ricavi netti che si sono attestati “solo” a 30,9 miliardi. Simpatica nota di curiosità: la Shell Italia è stata la prima azienda ad essere pubblicizzata nel programma “Carosello”.

La nostra breve incursione nella classifica della rivista americana prosegue con la settima società più potente del panorama economico mondiale, manco a dirlo ancora nel settore petrolifero: è la PetroChina Company Limited, a maggioranza di proprietà del governo della Repubblica Popolare Cinese e facente parte del colosso China National Petroleum Corporation. La PetroChina ha un valore di mercato di circa 295 miliardi di dollari, e soprattutto, come ha ricordato di recente l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Sca-

roni in un discorso tenuto presso l’Energy Institute di Londra, gode del sostegno del peso politico di un governo ricco di cassa, che permette alla propria compagnia di dimostrarsi particolarmente aggressiva, «cogliendo opportunità di investimento nelle riserve in qualsiasi parte del mondo (Kazakhistan, Libia, Alge-

La Royal Dutch Shell è una multinazionale anglo olandese che dal 2005 ha radunato sotto un’unica proprietà la Reale compagnia petrolifera olandese e il gruppo inglese Shell, fondato nel 1897


ria, Arabia Saudita, Iran, Venezuela e persino Ciad e Sudan)». La società si è affermata come la più proficua della Cina, agevolata dal duopolio, condiviso con la Sinopec (24a impresa più forte del pianeta, controllata al 75% dal governo cinese), nella commercializzazione e distribuzione dei prodotti petroliferi. Se i prezzi del greggio continueranno ad aumentare nella Repubblica Popolare, Petrochina potrà continuare ad accumulare ingenti ricchezze e a consolidare il suo successo.

La compagnia brasiliana Petrobras, fondata nel 1953 da GetulioVargas è la decima azienda in graduatoria con un fatturato di 146 miliardi: solo nel 2011 ne ha raccolti 20

Brasileiro S.A, decima in graduatoria con un fatturato stimato in quasi 146 miliardi di dollari, e che nell’ultimo anno ha raccolto profitti per più di 20 miliardi. La compagnia brasiIl quadro delle rappresen- liana, fondata nel 1953 per tanze mondiali prosegue impulso dell’allora presicon la Petrobras-Petrolèo dente Getùlio Vargas, non è Nel 2006 la Petrobras è bersaglio e obiettivo della politica nazionalista del presidente boliviano Morales, che aveva deciso di dichiarare illegali i contratti firmati con le imprese straniere

più però di proprietà esclusivamente statale visto che il governo adesso controlla solo un terzo del pacchetto azionario. La Petrobras è la leader mondiale della perforazione in acqua profonde e ultra profonde, con una tecnologia avanzata che permette di arrivare fino a 2 km sotto il livello del mare. Nel 2006 la società, come spesso sta accadendo negli ultimi anni alle compagnie petrolifere, si era ritrovata bersaglio e obiettivo della politica nazionalista del presidente boliviano Evo Morales, che aveva deciso di dichiarare illegali i contratti firmati dallo Stato con le imprese straniere e definito «traditori della patria coloro che hanno consegnato questo settore strategico, violando la sovranità e la dignità nazionale». Il de-


creto presidenziale stabiliva che tutta la produzione petrolifera delle compagnie straniere, tra cui appunto anche la Petrobras, dovesse essere consegnata all’impresa statale boliviana Ypfb che avrebbe poi deciso autonomamente sia dove che come commercializzare, sia i prezzi di vendita del prodotto. La contesa si risolse poi in modo positivo per la società brasiliana, che tornò ad annunciare investimenti in Bolivia nel maggio 2007 dopo un accordo con cui l’ex presidente Inacio Lula impegnava il suo governo ad accettare il rialzo del prezzo del gas naturale boliviano.

Gli interessi delle compagnie o convivono con quelli degli Stati o si sovrappongono: il presidente argentino Christine Kirchkner ha nazionalizzato l’Ypf , filiale dell’iberica Repsol

L’episodio è però sintomatico del rapporto che può instaurarsi tra le compagnie petrolifere e i paesi in cui queste vanno ad alimentarsi. Ed è infatti notizia di pochi giorni fa la decisione del presidente Cristina Kirchner di nazionalizzare la filiale argentina della so-

La contesa tra La Paz e governo brasiliano sull’Ypfb si risolse poi positivamente per la compagnia, che nel maggio 2007 ha annunciato la ripresa degli investimenti in Bolivia

cietà spagnola Repsol (fatturato calcolato in 72,8 miliardi di dollari). Con questo contestato decreto di esproprio, che ha visto funzionari governativi inviati nei locali della società per espellere i dirigenti spagnoli, lo Stato controllerà il 51 per cento della compagnia mentre il restante 49 percento verrà diviso tra i governatori delle regioni argentine che possiedono greggio. Oltre alle motivazioni politiche della vicenda, c’è sullo sfondo l’esigenza del paese del fabbisogno energetico necessario a sostenere la sua crescita, ma anche la scoperta di nuovi giacimenti, in un’area chiamata Vaca Muerta, che il governo vuole controllare direttamente. Come d’altronde ha spiegato la stessa Kirchner ricordando che l’Argentina era ormai l’u-


Christine Kirchner ha giustificato il tutto sostenendo in tv, a reti unificate, che «il petrolio è un interesse pubblico strategico e prioritario», e non può stare quindi in mani straniere; aggiungendo poi che Repsol non ha rispettato gli accordi investendo poco o niente nello sfruttamento dei giacimenti locali, tanto che quest'anno l'Argentina ha dovuto importare petrolio e gas per 10 miliardi di dollari


nico Paese latinoamericano produttore di gas e petrolio che non gestiva attraverso compagnie statali e pubbliche le sue fonti di energia. La questione è di quelle che scottano, e si unisce agli altri nodi di questa complicata matassa come i prezzi del petrolio e delle altre risorse saliti alle stelle; o le cresciute preoccupazioni per la capacità del pianeta di sostenere l'apparentemente insaziabile domanda di energia proveniente da Stati Uniti, Cina, India e da altri paesi in via di sviluppo; oppure la riemersa preoccupazione per la dimensione politica della sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi a fronte delle ambizioni nucleari dell'Iran. In questo contesto si inserisce poi anche la sempre più pressante concorrenza delle società petrolifere nazionali (come le già citate Petrobras e PetroChina, la malesiana Petronas o la venezuelana Pdvsa) alle vecchie società internazionali (guidate dalle “big four”, ossia le già citate Exxon Mobil e Shell, la britannica BP e la francese Total). Ciò ha aggravato il problema della copertura delle riserve, con le grandi compa-

La concorrenza tra le compagnia è inasprita non solo dalla limitatezza delle riserve, ma anche dalle nuove forme di energia, Gnl e Gpl su tutte, costose da lavorare e non sempre accessibili

gnie internazionali che devono trovare in media 1,5 miliardi di barili di petrolio e gas naturale all’anno per sostituire ciò che producono durante lo stesso periodo, come ricorda nel suo discorso Scaroni. Il quale aggiunge poi che, oltre alle riserve limitate, vi è anche il problema delle nuove forme d’energia sempre più costose e difficili da lavorare e da commercializzare in questi paesi in via di sviluppo, sia per restrizioni ambientali, sia per le vaste riserve di petrolio e gas da

loro possedute. Insomma nessuno vuole mollare la presa sull’oro nero, e anzi si cerca il miglior modo per avvicinare le diverse tensioni al profitto e all’autonomia energetica, tra sovraregolamentazione e ipercompetizione. Tutto, naturalmente, con un remotissimo interesse per il cittadino consumatore, il quale, paradossalmente, sembra l’unico a non guadagnarci nulla da questa enorme concorrenza

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Basilicata, promesse raffinate

La Val d’Agri è terra di conquista per aziende petrolifere. Per gli abitanti è invece una ”Lucania Saudita”, fatta di royalties e promesse non mantenute di Teresa Olivieri

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uando Luigi Carlo Forini disse che i meridionali erano peggio dei beduini, non aveva poi tutti i torti; specie se adattiamo quell’infelice definizione al modo in cui vengono trattati i lucani per quanto riguarda l’estrazione del petrolio. Una risorsa così rilevante per un Paese che dipende completamente dal greggio dovrebbe garantire un minimo di sviluppo per una delle regioni più povere d’Italia. L’unico profitto a cui si assiste è quello per le compagnie petrolifere che si fregano felicemente le mani se si calcola che i beduini lucani ricevono solo il 10% delle royalties sull’estrazione del greggio, rispetto ai beduini libici con ben il 90%. La ricchezza della Lucania risiede nelle aree interne. In par-

ticolare il giacimento della Val d'Agri è il più grande dell'Europa continentale e garantisce all'Italia oltre l'80% della produzione nazionale di greggio, coprendo circa il 6% del fabbisogno. L'entrata in esercizio del secondo giacimento, quello di Tempa Rossa, a regime dal 2015, porterà un incremento del 40% della produ-

La ricchezza della Lucania risiede nelle aree interne: il giacimento della Val d’Agri è il più grande dell’Europa continentale

zione petrolifera nazionale con un'ulteriore riduzione della dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento energetico. La Basilicata è in grado di coprire fino al 10% del fabbisogno ener-


Riduzione del costo della benzina fino al 50% e una “card” pro capite da 100,70 euro per ogni residente: il petrolio ha portato solo promesse getico nazionale e di offrire a regime una produzione di più di 150 mila barili al giorno. Attualmente sono operativi 68 pozzi con le concessioni vigenti e 8 centri di raccolta e trattamento. Un numero destinato a crescere se andranno in porto le 18 istanze per permessi di ricerca in terraferma (non tutte perché di alcune l'iter si è fermato). L’incremento della produzione spiega quindi l’aumento delle royalties dal misero 7% del ‘96 con il memorandum d’intesa tra Regione, Stato e Compagnie petrolifere al 10% attuale (di cui il 7% va alla Regione Basilicata e il 3% allo Stato). Trattandosi poi di una risorsa destinata a finire, l’incremento si concluderà tra un paio di decenni ma i suoi effetti nocivi sono già visibili sulla popolazione, che ha visto oltre l’aumento notevole di tumori, l’inquinamento da acidi estrattivi delle falde acquifere e infine il deterioramento delle zone coltivabili. Dopo promesse millantate per decenni si è passati ad una campagna populista che prevedeva inizialmente per i lucani la riduzione del costo del carburante al 50% per poi stabilire l’at-

tuale bonus benzina. Una ''card'' pro capite da 100,70 euro per ogni lucano residente e munito di patente. Ma anche questo contentino ha rischiato di essere sepolto insieme a tutte le altre passate promesse, infatti è già dal 2011 che i lucani attendevano il bonus annuale, ma lo Stato ha provveduto con la farsa dell’opposizione leghista: il ricorso del veneto contro il bonus idrocarburi. Il Veneto, guidato dal governatore leghista Zaia, ha eseguito gli ordini dettatigli dal partito. Il ricorso ha bloccato l’erogazione dei fondi per il 2011 e la vicenda è stato rinviata a marzo 2012. Il tutto è stato architettato dal ministro Tremonti per evitare voci di spesa inutili, come appunto il bonus carburanti, in un bilancio statale già

Sul territorio ci sono 68 pozzi petroliferi e 8 centri di raccolta per 150mila barili al giorno. Ma le royalties sono passate solo dal 7% al 10%


dissestato. È stato tutto architettato, all’insaputa di senatori e deputati lucani oramai tenuti allo scuro delle vere operazioni di palazzo. Ad ogni modo l’operazione ha fruttato un ulteriore guadagno sopra le teste lucane. Infatti come è avvenuto con la social card, i soldi dello Stato non sono stati spesi per dare maggiori servizi ai cittadini, ma per far guadagnare enti privati come le Poste e Mastercard. Queste due società guadagneranno 5 milioni di euro, il 13% dell’intero ammontare di fondi. Oltre la beffa, rimane poi da calcolare quanto

Guadagni alle spalle dei lucani: dall’operazione della “bonus card” Poste Italiane e Mastercard incasseranno 5 milioni di euro

in effetti sia incisivo il bonus. A conti fatti, l’aumento ultimo della benzina neutralizza abbondantemente il misero beneficio del bonus-benzina e lo rende una beffarda parodia del malessere sociale ed economico della popolazione lucana. Infatti, mentre si elargiscono i 100,70 euro a patentato nella card-carburante, si

assiste ad un aumento medio annuo per il rifornimento di benzina che si calcola in 300 euro/annuo ad automobilista. Con l’aggravante che in questa regione che vanta il primato di petrolio nazionale il costo alle pompe di benzina è anche superiore a qualsiasi altra regione. E con la consapevolezza che se realmente fossero riconosciute le royalties equiparate alla media vigente in tutto il resto del mondo – che vanno dall’85% al 50% -, spetterebbe a ciascuna delle 230.607 famiglie lucane un accredito sulla card, di 13.680,00 a famiglia. Un altro amaro lucano si ha nell’ apprendere che nel protocollo d’intesa firmato fra Stato e regione Basilicata, si legge l’impegno del Governo a sostenere l’iniziativa parlamentare per l’attribuzione alle regioni dell’Obiettivo 1, l’attuazione di questo progetto porterebbe l’intero ammontare delle royalties all’interno della regione. Sappiamo invece che lo Stato continua a

Mentre si elargiscono i 100,70 euro a patentato, si assiste a un aumento medio annuo per il rifornimento di benzina (ora 300 euro all’anno)


La legge regionale n. 40/95 prevede la destinazione delle royalties alle aree interessate dall’attività petrolifera

beneficiare di una buona fetta nelle percentuali delle royalties. Riguardo all’utilizzo delle risorse finanziarie rappresentate dalle royalties, poi, venne emanata la legge regionale n.40/95 che prevedeva la destinazione allo sviluppo delle aree interessate all’attività petrolifera. Legge concepita in modo da assicurare un ritorno economico all’area interna su cui maggiormente pesa

Gli incassi delle tasse sull’estrazione vanno invece a ripianare il 93% dei debiti della sanità lucana: un sistema clientelare la cui spesa pro capite è la più alta d’Italia l’inquinamento dovuto all’estrazione del greggio. Le royalties, quindi, dovrebbero essere destinate allo sviluppo economico ed occupazionale lucano e, princi-

palmente, della Val D'Agri. Succede invece che le royalties vengono utilizzate nella quasi totalità, per ripianare la spesa corrente della Regione Basilicata consistente per il 93% in spesa sanitaria, che, tra l'altro, è anche la spesa pro-capite più alta d'Italia. Insomma risorse che dovrebbero essere destinate allo sviluppo finiscono con il ripianare debiti dovuti ad una cattiva e clientelare gestione della sanità pubblica. Si continua quindi a trattare il territorio lucano come se fosse una riserva del terzo mondo. Una Lucania Saudita con l’inquinamento galoppante, pro-

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messe fatte e ritrattate e con un contentino di 100 euro di benzina...con cui forse darsi fuoco


Le royalties non sono per sempre Intervista a Romualdo Coviello, condottiero di lungo corso della politica lucana in Val d’Agri, la capitale italiana dell’oro nero


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n Basilicata la dialettica tra popolazione e industrie estrattrici è piuttosto infuocata. Ciò che fa parte del sottosuolo è di proprietà dello Stato e per essere utilizzato ha bisogno di una concessione. È il caso del petrolio: si parla dunque di royalties, tasse imposte dallo Stato per consentire alle imprese l’estrazione. Si parla di quasi 700milioni di royalties: dal 2000 al 2010 la regione, ribattezzata “Texas italiano” per le ingenti risorse petrolifere nascoste, ha incassato 557,5 milioni di diritti per il petrolio che viene estratto in Val D'Agri da Eni, Shell, Total, Exon Mobil. Solo nel 2011, il gettito delle royalties, (secondo i dati forniti dalla Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del ministero dello Sviluppo), è stato di 100 milioni 480.358,59 euro. Nel 2012, secondo le stime, la Basilicata dovrebbe incassarne altri 136. La principale contestazione, che viene fatta dalla comunità locale, riguarda l’entità e l’utilizzazione delle risorse petrolifere. Secondo la norma nazionale, il cospicuo patrimonio di greggio dovrebbe agevolare lo sviluppo economico delle aree interessate. Ciò è possibile? Con quali modalità? Il Prof. Romualdo Coviello, già parlamentare e docente dell’università degli studi della Basilicata, chiamato al ruolo di capogruppo di maggioranza del comune di Viggiano (sede del centro oli della Val d’Agri) spiega dove va a finire il petroeuro della Regione: «Annualmente lo Stato trasferisce alle regioni la gran parte delle entrate fiscali (pari all’85%) e ai comuni, in cui sono ubicati i pozzi petroliferi, la restante quota (15%). Tali somme vengono amministrate per le finalità fissate dalla legge, mediante la redazione di un programma

di Silvia Fiorito

Dal 2000 al 2010 si parla di 700 milioni di introiti. Nel 2012 dovrebbero essere 136


«Il bilancio del petrolio copre per 2 milioni di euro le borse di studio universitario»

Ma da 20 a 30 milioni colmeranno il debito di una dei peggiori sistemi sanitari italiani

poliennale che impegna le risorse finanziare nei diversi settori previsti. Tuttavia ci troviamo di fronte al dilemma sulle modalità e l’efficacia dell’intervento regionale per lo sviluppo; tanto più in una fase di scarsa propensione dell’imprenditoria ad avviare nuove attività e iniziative produttive industriali in Basilicata. In materia di politiche di sviluppo, negli ultimi anni, è avvenuto un taglio alla spesa pubblica della Regione. La Basilicata si ritrova costretta a supplire all’intervento dello Stato nei settori essenziali dei servizi sanitari, dell’istruzione e del sostegno sociale alla disoccupazione, impiegando le disponibilità rivenienti dall’estrazione petrolifera». È necessario, però, essere più chiari. Che fine fanno concretamente questi soldi? Coviello scende nei particolari ed espone i dati riportati dalla presentazione del “Programma Operativo Val d’Agri” del Presidente Vito De Filippo in Consiglio Regionale. «Il bilancio consuntivo del petrolio copre per 2milioni di euro all’anno borse di studio universitarie; 20milioni di euro sono stanziati per programmi di forestazione; e 3,5milioni di euro di investimenti realizzati dalla SEL (Società Energetica). A seguire, una parte consistente va al piano delle politiche sociali: per le barriere architettoniche, per il diritto allo studio (circa 4milioni di euro) e per l’importo di circa 20/30milioni di euro l’anno per ripianare il disavanzo massimo del settore ospedaliero e sanitario lucano. Senza apparire troppo demagogici, il Presidente De Filippo (in foto) aggiunge che il petrolio ha consentito alla nostra università di poter resistere e crescere ulteriormente in un contesto non facile per gli atenei italiani. Nonostante i tagli, ha garantito risorse per gli anziani, per i bambini, per i


disabili, per le tossicodipendenze; ha difeso bacini sociali sottoposti più di altri a rilevanti problemi economici così come la crisi ha imposto a tutti gli italiani”. Tuttavia la popolazione è insoddisfatta. La questione della tutela del territorio è riemersa con forza agli onori della cronaca nazionale, a seguito del dissenso degli abitanti della Val d'Agri; contestano la perforazione dei pozzi di petrolio Agip: sia nei pressi dell'ospedale, che alle porte del centro urbano di Viggiano; ma anche l’inquinamento delle acque della diga del Pertusillo, attribuendo le responsabilità alle istituzioni pubbliche regionali e nazionali. Si evidenza una questione più generale che attiene al comportamento di una società a partecipazione pubblica: l'Eni è impegnata a sfruttare le risorse del territorio con progetti che incidono sull'ambiente e sulla salute dei cittadini della Valle, trascurando del tutto i diritti delle popolazioni locali a esprimersi democraticamente, impedendo loro di confrontarsi con le istituzioni e con la Società riguardo il proprio destino. Come affrontare le questioni emergenti del territorio? «I cittadini ci chiedono quanto sia utile dare il consenso all'ampliamento dell'estrazione petrolifera richiesta dall'Agip e negoziata dalla Regione e dal Governo. È un dibattito importante, poiché mette in luce il problema della tutela dell'ambiente e delle persone. Si aggiunge, inoltre, la debole risposta delle istituzioni ambientali, che non prevedono adeguate risorse per il controllo e la tutela del territorio; piuttosto si limitano a imporre vincoli senza produrre investimenti utili allo sviluppo sostenibile». È importante però fare luce sul disagio più

I lucani contestano la perforazione nei pressi dell’ospedale e del centro di Viggiano

«I cittadini ci chiedono quanto sia utile dare il consenso ad ampliare la zona d’estrazione»


pregnante e specifico: la Val d’Agri, pur disponendo di royalties e considerata area di eccellenza per l'ambiente di un vasto territorio, rimane tutt'ora il cuore debole della Regione. L'economia lucana è differenziata: in crescita sono le aree urbane, le aree industriali, quelle ad agricoltura intensiva o con turismo in sviluppo accelerato; mentre residuano le aree interne tra cui la Val d’Agri-Lagonegrese che resta arretrata pur essendo dotata di consistenti risorse petrolifere e idriche. «Certamente con questo patrimonio vi sarebbero le condizioni per trasformare l'economia locale: vi è infatti un progetto in cui sono impegnati istituzioni ed enti pubblici; in questo modo, le comunità locali potrebbero guardare con meno riserve al petrolio e considerarlo risorsa utile da monitorare costantemente; tale progetto parte dalla suddetta richiesta dell’Agip. La Regione, su iniziativa del Presidente della Giunta De Filippo, ha iniziato la trattativa con il Governo Nazionale, interessato all'ampliamento della estrazione per aumentare i benefici come azionista e per far fronte alla volatilità del mercato petrolifero e alle restrizioni procurate dalla crisi libica. Con i rappresentanti del Governo, il Presidente ha sottoscritto un Memorandum in cui sono fissate le linee guida per l'intesa con le aziende

Economia locale da trasformare: «C’è un progetto che impegna istituzioni ed enti»


estrattrici per il coinvolgimento delle Industrie petrolifere nella questione dell'indotto, nel settore dell'energie innovative e nella crescita delle attività produttive anche ai fini occupazionali; pone un forte accento sull'assenza di impegno dello Stato riguardo la realizzazione delle infrastrutture, l'apertura del territorio lucano alle grandi direttrici nazionali, la difesa e il rilancio dei grandi investimenti industriali realizzati nel decennio e oggi in crisi; in questa fase ci sono ancora le istituzioni locali che sono attente alla trattativa e pongono in essere una strategia, senza farsi allettare dai soldi del petrolio. Sono consapevoli che fra trent'anni il petrolio si esaurirà insieme alle royalties: ed è importante prevedere quale sarà, a quel punto, il destino di questi territori»

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*Linee guida del Memorandum: 1) Tutela e salvaguardia dell’ambiente e del territorio e mantenimento delle qualità ambientali dell’area. 2) Miglioramento della rete infrastrutturale e della mobilità. 3) Creazione di una nuova – e qualificata – occupazione mediante la ricerca la ricerca, la formazione e la promozione di nuove iniziative in campo ambientale, turistico e industriale. 4) Costituzione di un cluster (area attrezzata) dell’energia di valenza nazionale e internazionale.


Liberi tutti?

L'articolo 17 del decreto liberalizzazioni apre verso il modello europeo accrescendo, sulla carta, concorrenza risparmio per tante delle categorie coinvolte di Pasquale Raffaele

L

o scorso 22 marzo, la Camera ha licenziato in via definitiva - 365 si, 61 no e 6 astenuti - il decreto liberalizzazioni faticosamente sospinto dal governo Monti (cruciale la dodicesima fiducia incassata dall'esecutivo tecnico a due giorni dalla scadenza dei termini di converIl decreto coinvolge consistente in anche i carburanti, sia per sione), una serie di provvela distribuzione che per dimenti volti – perlogli impianti fuori città meno sulla carta – a condurre la nostra economia verso quella concorrenza nei settori chiave che ha sempre rappresentato il “grande assente” del panorama italiano e che dovrebbe giovare principalmente all'acquirente finale, innescando il virtuoso meccanismo dell'abbattimento dei

prezzi di beni e servizi. Ovviamente il decreto ha coinvolto anche i carburanti, sia per quanto attiene la distribuzione – normata all'articolo 17 – che per quanto riguarda gli impianti senza assistenza collocati fuori dai centri abitati – articolo 18 , per i quali sono annullate tutte le limitazioni precedentemente previste: quindi, self-service extraurbani sempre aperti, anche in assenza di operatori. Tralasciando considerazioni sulla consueta levata di scudi delle varie associazioni di categoria coinvolte – sciopero paventato dai gestori nel mese di gennaio e allarme rientrato ai primi di marzo, a seguito di alcune modifiche all'articolo ritenute “sostanziali” da Martino Landi, presidente della federazione


benzinai di Confesercenti - si può azzardare un'interpretazione delle nuove norme che consenta di delineare, se non gli scenari futuri, quantomeno quelli futuribili. Cosa dovrebbe cambiare con l'articolo 17? L'UNIONE FA LA FORZA Il primo comma dell'articolo 17 prevede per “i gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera” la possibilità di rifornirsi presso qualunque produttore o rivenditore, anche se hanno precedentemente stipulato un contratto in esclusiva con uno solo di questi ultimi: in tali casi, a partire dal prossimo 30 giugno la clausola perderà efficacia per oltre la metà della fornitura pattuita, con conseguente rinegoziazione di condizioni economiche e uso del marchio da parte dei contraenti. Inoltre, vengono consentiti accordi fra più gestori di impianti per l'approvvigionamento in comune di carburante: in soldoni, il provvedimento dovrebbe consentire ai benzinai l'abbattimento dei costi di acquisto, ripercuotendosi positivamente sul prezzo del carburante alla pompa. NUOVI TIPI DI CONTRATTO DA DEFINIRE Altro principio che pare aver incontrato il gradimento dei benzinai, seppure non ancora interamente deli-

neato. Prima del decreto, i contratti fra proprietari degli impianti e gestori potevano essere stipulati soltanto sotto forma di comodato, somministrazione e fornitura; il secondo comma, intervenendo a modifica del decreto-legge 98 entrato in vigore lo scorso luglio, amplia il ventaglio delle possibili tipologie contrattuali: tuttavia, il deposito degli accordi sui nuovi contratti

«I gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera». Così recita il primo comma dell’articolo

è previsto entro il 31 agosto, ergo anche questo punto, al momento, non può risultare di facile decrittazione. Ad ogni modo, il terzo comma interviene a ulteriore tutela dei gestori, dal momento che punisce i comportamenti dei titolari


Le aree di servizio si trasformeranno in aree multiservizio, allineandosi cosĂŹ al panorama continentale, dove le pompe-minimarket vantano giĂ lungo corso


degli impianti o dei fornitori atti a “ostacolare, impedire o limitare” le nuove facoltà attribuite ai benzinai, sanzionandoli come abuso di dipendenza economica, con l'auspicata conseguenza di accrescere il potere contrattuale di categoria. MINIMARKET ALL'EUROPEA Il quarto comma attiene l'ampliamento delle attività collaterali dei gestori: sarà consentita la vendita di alimenti, bevande, giornali, sigarette e altri beni e servizi, con potenziale accrescimento del volume di affari dei benzinai, che potranno anche decidere se gestire in prima persona tali attività oppure demandarle a terzi. Le aree di servizio si trasformeranno in aree multiservizio, allineandosi così al panorama continentale, dove le pompe-minimarket vantano già lungo corso. Inoltre, viene limitata l'autonomia degli enti locali in materia di rilascio delle autorizzazioni per gli impianti incompatibili, provvedimento mirante a spianare la strada a nuovi operatori nel settore: in buona sostanza, pompe bianche e grande distribuzione organizzata (sull'esempio pionieristico di Conad che, nel novembre 2005, ha aperto il primo impianto di distribuzione in provincia di Lucca e attualmente ne annovera una decina sparsi sul territorio nazionale), realtà an-

ch'essa assai consolidata su scala europea – basti guardare oltralpe, dove Intermarchè e Carrefour fanno la voce grossa, apparentemente con esiti benefici per le tasche dei consumatori. L'aumento degli operatori genererà una corsa al ribasso dei prezzi? In linea di principio, le nuove norme sembrano remare positivamente verso tale meta:

Il terzo comma tutela i gestori, poiché punisce i titolari degli impianti o dei fornitori che “ostacolano, impediscono o limitano” le nuove facoltà attribuite ai benzinai

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ad ogni modo, in ossequio alla filosofia aquiniana, appare prematuro sbilanciarsi al momento


Black Fuel: l’oro in nero

Da Roma a Padova: distributori manomessi e finte schede carburanti. Dalle recenti indagini della Guardia di finanzia emergono litri e litri di carburante illegale di Michela Mancini

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istole e colonnine di erogazione manomesse: oltre 110mila litri, fra benzina e gasolio, venduti a “nero”. Questo il risultato di un’operazione denominata “Black Fuel” condotta dai finanzieri del comando provinciale di Roma i primi giorni di aprile. L'indagine rientra nell'ambito della più vasta campagna di controlli nei confronti degli impianti stradali di distribuzione di carburanti che, dall'inizio dell'anno, vede impegnati tutti i reparti del comando provinciale di Roma in accertamenti volti al riscontro del rispetto della normativa in materia di disciplina prezzi, del corretto funzionamento degli strumenti di erogazione nonché della disciplina fiscale di settore.

comportamento tenuto dai dipendenti di un grande distributore di carburanti del grande raccordo anulare. Questi indirizzavano gli automobilisti intenzionati a pagare in contanti verso uno dei tanti erogatori dell'impianto che veniva riaperto e chiuso, a seconda delle richieste di rifornimento. Nel corso degli appostamenti, la Gdf aveva notato che sull'erogatore venivano eseguiti ripetutamente interventi di manutenzione tecnica. Una volta entrati in azione i militari hanno accertato che gli appositi sigilli della camera di Commercio erano stati manomessi, al fine di modificare i valori del conta litri installato nella colonnina. Gli autori della frode avevano ben curato i “dettagli” della truffa: il pagamento Ad insospettire le fiamme del carburante in contanti gialle era stato uno strano da parte degli utenti Gdf insospettita da un distributore del grande raccordo anulare, ma l’indagine rientra nell’ambito della più vasta campagna di controlli


avrebbe evitato di lasciare tracce sospette sui conti correnti dell'impresa. Le fiamme gialle hanno quindi allargato le indagini ai tabulati telefonici delle utenze in uso ai tecnici. Esaminandoli, sono emerse numerose telefonate fra costoro e i gestori di molteplici punti vendita di carburanti di Roma e di altre province del Lazio. La normativa vigente vieta contatti diretti fra i tecnici e i responsabili dei distributori, imponendo che le richieste di intervento vengano tutte convogliate verso un apposito consorzio, che poi ne provvede allo smistamento alle singole societĂ deputate alla manutenzione. Sulla base degli elementi raccolti, i finanzieri hanno proceduto ai controlli nei confronti di settantacinque impianti di distribuzione stradali di carburante, all'esito dei quali sono stati denunciate all'autoritĂ giudiziaria otto persone - di

cui sei gestori e due tecnici manutentori - per i reati di uso di misure o pesi con falsa impronta, frode nell'esercizio del commercio e appropriazione indebita, sottoponendo a sequestro penale otto colonnine e venti pistole erogatrici di prodotti petroliferi. Sono state sequestrate, invece, in via amministrativa quattordici colonnine e trentadue pistole erogatrici, per violazioni della procedura di verifica del corretto funzionamento da parte della camera di Commercio. Quest’ultima ha emesso otto "ordini di aggiustamento" per altrettante colonnine che - pur presentando sigilli integri - fornivano quantitativi di prodotto difformi da quelli contabilizzati sul visore. Manomissioni che hanno avuto come risultato ben 110mila litri di prodotti petroliferi "in nero". Le truffe sulla benzina non sono prerogativa della Capitale. A Padova sono

Le manomissioni hanno avuto come risultato ben 110mila litri di prodotti in nero


La benzina è un bene di primissima necessità, il cui costo è arrivato alle stelle e che è diventato automaticamente materia di speculazione. Dove c’è guadagno sicuro aumenta esponenzialmente la possibilità di truffa. E l’indagine “Black Fuel” ne offre la prova.


ben 400mila i litri di carburante venduto irregolarmente. Due gestori di impianti sono stati denunciati dalla Guardia di finanza per truffa: facevano la «cresta» sui pagamenti effettuati con le carte carburanti dai camionisti. Come? Niente di più banale: all'atto del pagamento, approfittando di attimi di distrazione o dell’ingenuità dei camionisti, i gestori addebitavano sulla carta carburante del cliente una quantità di litri superiore a quella effettivamente erogata. Secondo le stime fatte dalla Guardia di finanza, solamente nel 2011 i due gestori hanno così erogato 33mila litri di carburante «fantasma» per un valore di quasi 60mila euro. Le fiamme gialle hanno condotto negli ultimi mesi oltre 200 prove di erogazione sequestrando 24 colonnine di erogazione che, tarate al ribasso, immettevano nei serbatoi una quantità di carburante inferiore rispetto a quella indicata sui display. Ma non finisce qui. Ai responsabili di nove impianti aziendali sono stati contestati 370mila litri di carburante erogati irrego-

larmente. In questo caso le suddette aziende erano sprovviste del necessario certificato di prevenzione incendi. I nove imprenditori sono stati segnalati alla Procura della Repubblica per violazione delle norme al Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Sotto la lente d’ingrandimento delle fiamme gialle padovane sono finite anche le schede carburante: ne sono state rinvenute centinaia in possesso di soggetti non aventi titolo, che le utilizzavano e le compilavano illecitamente. Nel dettaglio è stato scoperto un truffatore specializzato nella predisposizione delle schede. Questi le cedeva successivamente ad aziende compiacenti pronte ad inserirle in contabilità per incrementare fittiziamente i costi. Di nero c’è ben altro che petrolio

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