Il voto dopo la tempesta

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numero 8

Il Serale

30 aprile 2012

Settimanale quotidiano

Amministrative 2012: otto sfide per riparare i danni

Il voto dopo la tempesta



Amministrative anestetiche

Dal vercellese al palermitano, gli otto casi presi in esame dipingono un quadro in cui le campagne elettorali sono autoriferite e i candidati si scambiano promesse

A

sti, Cefalù, Genova, L’Aquila, Palermo, Parma, Taranto, Varallo Sesia: otto esempi estratti dal groviglio delle 1014 città che il 6 e il 7 maggio rinnoveranno le proprie giunte comunali. Dalla più piccola (Varallo Sesia) alla più grande (Palermo), dal più tradizionale dei dissesti economici (il buco nel bilancio di Taranto) alla tragedia più rovinosa e drammatica degli ultimi anni (L’Aquila): le elezioni amministrative sono di solito un’occasione non per presentare soluzioni agli ancestrali problemi dei territori, ma per riproporli in un’ottica diversa, freschi alvei di nuove promesse. E fin qui niente di nuovo. Ad Asti infatti l’etichetta “Monferrato Expo 2015” rappresenta una veste più elegante della parola “cemento”, mentre a Cefalù il sindaco uscente Guercio estrae “nuovi” progetti per il porto come conigli dal cilindro. La caratteristica però più evidente di questa tornata elettorale sta nell’evidenza dei problemi, più grandi che altrove, e nell’agilità con cui vengono evitati: una campagna elettorale sfacciatamente “normale”, fatta più per i candidati che per i cittadini. L’incandidabilità di Sgarbi stabilita dal Tribunale di Marsala ad esempio non suscita perplessità eccessive nei contendenti cefaludesi. Eppure dovrebbe. “Minimizzare” e “tranquillizzare” sono le parole d’ordine. E poi parafrasare i problemi e stilare un’altra lista di promesse fatte, questa volta davvero, a se stessi

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di Filippa Deditore


Progetto Gronda: Genova passa ancora da qui


Nonostante il disastro provocato dall’ultima alluvione, i progetti edilizi sono ancora il cardine della campagna elettorale nel capoluogo ligure. Doria contro Musso: il raccordo della discordia

«P

orterò per sempre le vittime di questo disastro sulla coscienza. La responsabilità ce la prendiamo tutti e io per prima». Così si espresse il sindaco uscente di Genova Marta Vincenzi all’indomani dell’alluvione del novembre scorso. Passato il caos e l’onda emotiva possiamo soffermarci con più calma, e indicare l’ultima alluvione «Porterò sempre come un disastro ampiamente annunle vittime sulla ciato, ma soprattutto coscienza. La un disastro di ordine responsabilità la amministrativo. A prendiamo tutti, Genova l’acqua ha quasi sempre inteio per prima» ressato la Val Bisagno, nei pressi dello stadio Marassi per intenderci, dalla stazione di Brignole, al Palazzetto dello Sport alla Foce. Questi disastri ambientali arrivano con una cadenza puntuale, quasi da metronomo. Infatti le alluvioni succedutesi nella città dal dopoguerra a oggi sono quella del 1945, le due del 1951, nel 1953, quella del 1970 con i suoi 16 morti. E ancora 1977, 1992, 1993, nel 2010 a Ponente e l’ultima sopracitata.

di Luigi Loi

Quasi tutte queste alluvioni hanno avuto come concausa l'urbanizzazione effettuata sulle colline e sui due versanti della valle del Bisagno, e il conseguente restringimento del letto del fiume, la sua copertura in alcuni tratti. Tutte le amministrazioni di Genova dovranno misurarsi con questo problema. Se non si può imputare al sindaco uscente Marta Vincenzi una responsabilità diL’acqua ligure retta sull’accaduto è non è una novità: certo che il pro- quello di Genova blema della valle del è stato un Bisagno non è mai stato risolto, e in disastro davvero ogni caso l’onda annunciato: emotiva, lo shock a seguito del disastro ambientale ha probabilmente dato la spallata decisiva alla Vincenzi. Una nota del 13 febbraio scorso annunciava sul sito del Partito Democratico la sconfitta del sindaco uscente alle primarie: «Per la corsa alle amministrative della prossima primavera per il centro sinistra è stato scelto il candidato A fianco, automobili trascinate a valle dall’acqua. L’ultima alluvione segue quelle di 1945, 1951, 1953, 1970, 1977, 1992, 1993 e 2010


indipendente, Marco Doria sostenuto da Sel, che ha vinto con il 46%». Se un big della politica italiana come D’Alema durante un comizio elettorale nel capoluogo li-

Raddoppi di corsie, raccordi e nuovi caselli per la Gronda: gran parte dei voti comunali sarà ancora orientato dal peso dell’edilizia

gure annuncia trionfante che il Pd ormai, secondo i sondaggi, «è il maggior partito del Paese, credo che lo confermeranno anche le elezioni fra qualche giorno», è vero anche che sul territorio di Genova gran parte dei voti delle comunali anche stavolta sarà orientato dal peso del mattone come dimostrano gran parte delle intenzioni di voto e come sanno bene i due più forti candidati a sindaco Marco Doria e Enrico Musso. «Alla domanda

quanto ritiene importante la realizzazione della Gronda per lo sviluppo di Genova nei prossimi anni?» Il 64% del campione intervistato risponde positivamente. La Gronda di Genova è un’opera infrastrutturale il cui iter è ancora in corso e suscita grandi polemiche. Il progetto prevede una gronda di Ponente, che passando all'interno dell'entroterra permetterà di collegare direttamente l'autostrada A26, prima del suo collegamento con l'A10, all'autostrada A7. Un raddoppio dell'autostrada A7 e infine una gronda di Levante che, passando nell'entroterra del Tigullio, collegherà Chiavari con l'A7, permettendo l'apertura di nuovi caselli autostradali che servano direttamente i comuni della Val Fontanabuona. Un pro-

Il progetto prevede a Ponente di collegare direttamente l’autostrada A26 all’autostrada A7 a cui, a Levante, sarà allacciata Chiavari


getto ambizioso e costoso, ma piuttosto spinoso sul piano delle conseguenze politiche. Così spinoso da aver fatto slittare la valutazione di impatto ambientale della Gronda di Genova. Infatti la commissione tecnica del ministero dell’Ambiente, ha chiesto alcune integrazioni al progetto del nodo genovese. «La Società Autostrade ha ora 45 giorni di tempo per replicare alla richiesta

Marco Doria mantiene una posizione ambigua: «Vigilerò con attenzione sull’importante fase della valutazione di impatto ambientale»

di integrazione»: era il 20 febbraio scorso. Nei mesi subito precedenti alle elezioni la richiesta di integrazione avanzata dalla commissione ministeriale riapre di fatto il dibattito su questa discussa opera, soprattutto nel centrosinistra, coalizione guidata da

Sostenitore convinto della Gronda è il candidato del Terzo Polo, Enrico Musso: «Dopo anni di chiacchiere è ora di decidere»

Marco Doria, ritenuto vicino alle posizioni dei “No Gronda”. Doria in una nota si mantiene in una posizione piuttosto ambigua che non scontenta per ora nessuno: «Vigilerò con attenzione sull’importante fase della valutazione di impatto ambientale e sulle sue risultanze. Ma in una città che vuole un futuro non si dicono solo dei no. Si parla di prospettiva. E noi abbiamo il dovere di pensare a costruire un futuro non bloccato per i nostri giovani». Sostenitore convinto della Gronda è invece il candidato sindaco sostenuto dal Terzo Polo, il senatore Enrico Musso. Musso sa infatti di giocarsi la partita proprio su questo punto: «Dopo anni di chiacchiere sulla Gronda, è l’ora di decidere, per la qualità dell’aria e della città, costretta a


Gronda sĂŹ Gronda no, Russo contro Doria: il progetto continua a dividere gli abitanti genovesi


sopportare una quantità enorme di emissioni nocive». Musso sa di partire svantaggiato: i sondaggi lo vedono infatti stabile tra il 18 ed il 22 %, mentre Marco Doria si piazza tra il 50 ed il 54 %, per-

La gestione dei dissesti idrogeologici e le soluzioni da trovare passano anche da qui: dalla Gronda e di ciò che ne sarà dopo le elezioni

centuale che lo vedrebbe insediarsi immediatamente senza il ballottaggio. Nel clima generale di avversione alla politica i dati sulla propensione ad andare a votare si mantengono sostanzialmente stabili, intorno al 62%, indicazione in linea con l’ affluenza delle elezioni nel 2007: 61,7%. Il vento dell’antipolitica non sfonda in Liguria. Infatti se i due principali sfidanti si fanno forti dell’appoggio di Pd, Idv, Sel, Verdi, Socialisti, Federazione Si-

nistra, Unione consumatori e Pensionati per Marco Doria, Enrico Musso, già senatore dal 2008 nel gruppo Udc – Svp – Aut, è il candidato di Udc, Fli e lista civica Oltremare. La partita ancora una volta a Genova tutto sembra indicare che si giocherà e si vincerà sui progetti edilizi, promessi e vaticinati in più occasioni. Il peso del mattone sarà determinante, per lo sviluppo della città, per le ingombranti scelte politiche che esso comporta. La gestione dei dissesti idrogeologici e le soluzioni da trovare passano da qui, dalle scelte che le amministrazioni e i genovesi dovranno fare in futuro per evitare la prossima, statistiche alla mano, inevitabile sciagura ambientale

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Il cielo sopra Taranto


Alle urne la seconda città più popolosa di Puglia. Dopo la bancarotta del 2005, l’aria che si respira è sempre pesante e i nuovi amministratori dovranno ancora fare i conti con l’Ilva

T

aranto è nota ai più per due ragioni le cui strade si sono malauguratamente incrociate in tempi recenti. La prima ambientale: il vertice ionico del Salento è il nucleo urbano più inquinato dell’Europa occidentale. Lo scorso luglio sul banco degli imputati è finita persino l'eccellenza culinaria tarantina per antonomasia, le celeberrime cozze locali, affogate in un mare di diossina e policlorobifenili oltre la soglia di rischio per la salute, con conseguente blocco di pesca e vendita disposto dalla Asl locale. L'origine dei mali ambientali è sempre l'Ilva, pachiderma siderurgico che, nel solo stabilimento tarantino, esala oltre il 30% della diossina italiana (dati 2002 Eper, European pollutant emission register). Un altro dato è ancora più emblematico dell’incidenza dello stabilimento industriale sul territorio: secondo il rapporto dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) del 2006, il 93% dell’inquinamento deriva dall’industria e solo il restante 7% da emissioni civili: la percentuale più sbilanciata d’Italia. Ilva – ex Italsider, quando ancora era azienda di Stato – croce e delizia; la fotografia emblematica di questa contrapposizione l'ha catturata Alessandro Sortino lo scorso 3 aprile in un servizio di Piazzapulita: la marea policromatica di 7mila dipendenti – tute blu, grigie, beige, verdi, operai, ingegneri, quadri, contabili, fianco a fianco – che schiuma in direzione Prefettura da una parte, i comitati per l'ambiente in corteo davanti al Palazzo di Giustizia dall'altra. I

di Pasquale Raffaele

L’Ilva è l’elefantiaco impianto siderurgico che, nel solo stabilimento tarantino, esala oltre il 30% della diossina italiana


primi, animati dal comprensibile istinto di conservazione della modesta rendita di posizione che si traduce in impiego fisso, protestano contro i risultati della sconcertante perizia epidemiologica disposta dal gip Patrizia Todisco, secondo la quale le emissioni nocive della fabbrica nel periodo 2004-2010 hanno causato 83 morti all'anno fra i cittadini tarantini: cinque dirigenti Ilva al momento indagati per disastro ambientale. Fronte apparentemente compatto – con qualche voce fuori dal coro che, in realtà, non tarda ad alzarsi – ma privo delle sigle sindacali, rifiutate dagli stessi dipendenti; qui ad organizzare la manifestazione è, piuttosto atipicamente, la stessa Ilva: non si tratta del canonico sciopero, la giornata è pagata, un operaio mostra la “trombetta d'ordinanza”, gentile omaggio distribuito dall'azienda ai dipendenti, un altro fa girare un comunicato che dovrebbe rappresentare le ragioni della protesta ma che non è stato approvato da nessun comitato operaio, bensì “calato” dall'alto. I secondi ruggiscono per la ragione opposta, anch'essa sacrosanta: la fabbrica produce neoplasie, chiudiamo la fabbrica. Un giovane lamenta la morte per tumore della madre e del suo migliore amico, una ragazza sottolinea l'anomalo affollamento di bambini nel reparto di oncologia dell'ospedale locale.

Secondo il gip Todisco le emissioni hanno causato 83 morti tra il 2004 e il 2010


Anche qui ha attecchito il germe dell'antipolitica: «Nessuno rappresenta le nostre idee, nessuno si è mai occupato di noi». Ciononostante, l'imminente tornata amministrativa non pare intimidire nessuno, con addirittura 31 liste in campo a sostegno di 11 candidati alla fascia tricolore. Addirittura 12 se l'ufficio elettorale del Comune non avesse bloccato la candidatura di Giusi Messina, imprenditrice milanese alla guida di “Italia giovane e solidale”, lista di centrodestra bocciata per il mancato raggiungimento del numero minimo di consiglieri candidati (soltanto 9, invece dei 22 previsti come soglia). L’abbondanza di nomi tuttavia non sembra poter risolvere in alcun modo a favore dei tarantini la partita contro l’Ilva: 11 contro 1, ma nel capoluogo pugliese la diossina vince sempre

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Ma nessuno sembra aver paura dell’Ilva: alle urne ci saranno 31 liste per 11 candidati


Taranto: l’altro inquinamento

Non c’è solo l’Ilva: tra primarie pro forma e una scheda elettorale chilometrica, anche le elezioni sporcano l’ambiente della città pugliese

P

er la verità, Taranto le sue primarie le ha avute, porno-primarie per l'esattezza: la stella polacca dell'hard Amandha Fox ha battuto nelle consultazioni online la collega Luana Borgia (207 preferenze contro 109 su quasi 500 voti), salvo poi dover rinunciare al proposito di candidarsi, non avendo racimolato un numero sufficiente di firme a sostegno della propria lista – l'avventente attrice, delusa dall'esito della sua iniziativa, ha craxianamente invitato «gli elettori tarantini ad andare al mare». Quelle ufficiali, di primarie, le ha ostacolate proprio il principale fautore di tali consulta-

zioni in passato, Nichi Vendola che, avendo surclassato i democratici con i propri candidati in molteplici occasioni – basti pensare all'exploit di Pisapia, attuale sindaco meneghino, oppure al recente successo a Genova del candidato di Sel, Marco Doria -, vorrebbe estenderle su scala nazionale, alle politiche per intenderci. A Taranto, invece,

Primarie sì, candidati forse: la portnostar Amandha Fox vinse sulla Borgia, ma non avendo firme sufficienti, rinunciò

di Sandro Medici

il presidente pugliese ha fatto valere tutto il proprio peso politico a livello locale: niet alle consultazioni, il sindaco uscente Ippazio Stefàno merita la ricandidatura, poche storie. Quella «domanda di rinnovamento», a detta di Vendola invocata a gran voce nel capoluogo ligure, all'elettorato progressista pugliese non è stata neppure posta, del «cantiere dell'alternativa» neanche l'ombra, perché «Stefàno ha svolto un lavoro eccezionale», quindi niente primarie. Il dettaglio che il leader di Sel omette nella sua analisi è l'iscrizione nel registro degli indagati del primo cittadino uscente for-


mulata, lo scorso dicembre, dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce: l'ipotesi di reato è abuso d'ufficio con l'aggravante di aver agevolato un'associazione mafiosa. A fare il nome di Stefàno è Mario Babuscio, imprenditore legato ad ambienti della criminalità organizzata locale – ha già una condanna definitiva per mafia – che sostiene di essere stato inviato dal boss Cataldo Ricci alla ricerca di “agevolazioni” miranti ad ottenere la cessione del bar

Stefàno è il nome per la sinistra, ma proprio da “dissidente di sinistra” iniziò la sua carriera politica

dell'ospedale Santissima Annunziata al figlio Francesco, sfruttando così le conoscenze politiche dell'imprenditore; Babuscio sostiene di aver incontrato Stefàno portando con sé Anna Guarella, moglie del boss, ma puntualizza che il sindaco non sarebbe stato a conoscenza né dell'identità della donna, né tantomeno dell'ingerenza di Ricci: in ogni caso, il primo cittadino avrebbe indicato un dirigente Asl al quale rivolgersi per dirimere la matassa, portandogli come credenziali il suo nome - “rivolgetevi a tizio e digli che ti ho mandato io”- oltre che il suo segretario – che li avrebbe accompagnati all'incontro. Accuse ancora da dimostrare, ma che di sicuro non costituiscono un solido lasciapassare alla candidatura blindata imposta da Vendola.

L'apice del paradosso è che Stefàno ha iniziato la sua carriera amministrativa proprio come “dissidente” della sinistra tarantina. Dopo due mandati consecutivi da senatore, nel 1996 prese le distanze dalla politica per dedicarsi alla sua attività di pediatra ed ematologo, salvo poi candidarsi alle comunali del 2007

A sinistra Mario Cito, a destra il padre Giancarlo che lo appoggia. Cito Senior ha già una condanna per mafia, leitmotiv coinvolge anche il principale sostenitore di Stefàno: Mario Babuscio


Nonostante l’appoggio di 9 liste, Stefàno deve guardarsi dagli outsider Capriulo(foto) e Bonelli

in aperto contrasto con Gianni Florido, presidente della Provincia e candidato ufficiale della sinistra che godeva già dell'appoggio di Ds e Margherita. Quindi la scelta di presentarsi in una lista civica che prende il suo nome, col sostegno di Rifondazione Comunista, Pdci, Verdi, Nuovo Psi e Udeur: successo al primo turno e vittoria al ballottaggio proprio ai danni di Florido. Oggi, sebbene l'investitura del governatore e l'appoggio di ben nove liste dovrebbero far dormire Stefàno tra due guanciali, lo scenario politico offre non pochi parallelismi rispetto a quanto accadde cinque anni fa, con una scissione che assume le fattezze del vero e proprio sgretolamento e addirittura due candidati nel ruolo di potenziali outsider del fronte progressista: Dante Capriulo e Angelo Bonelli. Il primo proviene proprio dalla Giunta Stefàno, dove ha ricoperto la carica di assessore al bi-

lancio e dalla quale è uscito in polemica con il primo cittadino, contrario alla sua candidatura alle primarie. Capriulo ha tirato dritto per la sua strada: stracciata la tessera del Pd, ha trionfato alle primarie ufficiose, quelle definite dei “dissidenti”, cioè non riconosciute dai democratici, guadagnandosi l'appoggio di Rifondazione Comunista, Movimento ionico per la legalità e Noi Democratici (a onor del vero “primarie in scala”, con solamente 1.900 votanti). Poi c'è Bonelli. Nel confronto per la poltrona di primo cittadino, il leader nazionale dei Verdi potrebbe apparire come un corpo estraneo, perlomeno da un punto di vista geografico – ricopre la carica di consigliere regionale del Lazio e abita a Ostia. Tuttavia, viste le condizioni ambientali della città, il suo può risultare un nome dal notevole appeal. Bonelli è stato convinto dai movimenti ambientalisti locali


riuniti nell'associazione “Aria Pulita”; lo scopo è dare alla questione di Taranto una risonanza nazionale. Inoltre, a suo favore gioca il progressivo disincanto dei movimenti civici nei confronti di Vendola e del suo candidato rei, a loro detta, di aver assunto un atteggiamento troppo balbettante proprio riguardo alla questione inquinamento. Il presidente dei Verdi beneficerà così dell'appoggio di cinque liste: Aria Pulita per Taranto, Ecologisti per Bonelli sindaco, Mamme per Taranto, Insieme Angelo Bonelli sindaco, Rinascere – Taranto con Bonelli. E la destra dov'è? Se Atene piange, Sparta è addirittura in crisi esistenziale. Qui il Pdl si è macchiato della più grave onta amministrativa possibile: il 18 febbraio 2006, dopo una condanna in primo grado nell'ambito di un’inchiesta sull'affidamento dell'inceneritore cittadino, il sindaco Rossana Di Bello – figura

storica del centro destra locale, fondatrice del primo club di Forza Italia tarantino nel 1993 – rassegna le dimissioni; otto mesi dopo Tommaso Blonda, il commissario straordinario incaricato di sostituirla, dichiara ufficialmente il dissesto finanziario del Comune per un “buco” nel bilancio di 357 milioni di euro. Oggi il Pdl propone Filippo Condemi, ex assessore ai Lavori Pubblici proprio della Giunta Di Bello, recentemente condannato in appello a un anno e sei mesi di carcere. Naviga in pessime acque anche Fli, che a Taranto neppure presenta una propria lista. La mina vagante, invece, potrebbe essere Mario Cito, sebbene non esattamente per meriti proprio. Infatti, Cito deve la sua candidatura al peso che riveste in città il padre Giancarlo. Figura pittoresca ai limiti del caricaturale, irreale antesignano di Cetto La Qualunque, Giancarlo Cito comincia negli anni

Filippo Condemi (Pdl) fu assessore nella giunta Di Bello responsabile della bancarotta



Settanta il suo iter politico nelle file del Msi, dal quale viene espulso nel 1979. Poi l'avventura televisiva con Antenna Taranto 6, pulpito utilizzato per lanciare strali contro la cattiva amministrazione di centro sinistra dei primi anni novanta; quindi la fondazione, nel 1992, di un partito politico omonimo dell’emittente (AT6-Lega d'Azione Meridionale). La grande popolarità gli vale la vittoria alle comunali del 1993 e addirittura un seggio alla Camera nelle politiche del 1996; l'anno successivo giunge la prima condanna definitiva a quattro anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, scaturita dai suoi rapporti con la Sacra Corona Unita. Nel 2007 aveva già candidato il figlio con un escamotage: manifesti recanti la scritta “Cito sindaco” e campagna elettorale condotta in prima persona, allo scopo di far credere che l'aspirante sindaco fosse lui, ballottaggio sfiorato per meno di mille voti. Poi fioccano le condanne definitive: una a

E poi Mario Cito. La sua candidatura è appoggiata in primis dal padre Giancarlo, condannato per mafia

quattro anni per tangenti (evita il carcere grazie all'indulto), un'altra a due per violenza privata, abuso d'ufficio e falso ideologico, la terza – per la quale è tuttora detenuto presso il Carcere di Taranto - lo scorso aprile (di nuovo quattro anni).

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L’aria che si respira dal lungomare tarantino è pesante, irrespirabile; dall’Ilva alle condanne di alcuni candidati, dalle promesse alle primarie uccise per mediocrità: il ritratto di Taranto, città inquinata ad ogni grado

A destra, il lungomare tarantino. A sinistra invece il più forte candidato di questa tornata elettorale: Ippazio Stefàno. Ambiente e politica sono i binari su cui corre la crisi della città


Fuori dal cemento. E ritorno

Le elezioni di Asti ruotano attorno ai progetti edilizi: così tra una Tso e un MonferratoExpo 2015 è difficile credere a un futuro fatto solo di paesaggio di Anita Franzon

D

istese di prefabbricati sfitti e colline sventrate. Ad Asti, per raggiungere la campagna e i filari occorre prima fare i conti con capannoni, villette a schiera, outlet, centri commerciali e autostrade interrotte, come l'infinita A33 Asti-Cuneo. Le rinomate colline del Monferrato dove si producono alcuni tra i vini più apprezzati sono sulla La città presentò d'Italia via della devastaoltre 10 anni fa la zione, di un'inducandidatura dei s t r i a l i z z a z i o n e selvaggia che contisuoi paesaggi a sito dell’Unesco nua da anni e che pare non volersi ferpatrimonio mare. dell’umanità Per la bellezza delle sue colline e l'importanza storica delle cantine sotterranee, Asti ha presentato oltre 10 anni fa, insieme alle province di Cuneo e Alessandria, la candidatura dei "Paesaggi vitivinicoli di Langhe Roero e Monferrato" come sito Unesco appartenente al patrimonio dell'umanità. Un riconoscimento che si aspettava da tempo finché, lo scorso gennaio, il vice direttore generale dell'Unesco per la

cultura Francesco Bandarin se n'è accorto: «Ci sono alcuni problemi, il paesaggio certo non è intatto». Come fa un paesaggio vitivinicolo in cui non si vedono le viti, un territorio continuamente saccheggiato, cementificato e asfaltato a essere candidato a Patrimonio dell'umanità? Se, dunque, il riconoscimento tarda ad arrivare, invece di bloccare il consumo di suolo, ecco qual è la soluzione dei politici locali: inventarsi un altro progetto. Diverso nome ma stesso scopo, senza però risolvere il problema. L'hanno chiamata “MonferratoExpo 2015” che, detto in altre parole, significa: ulteriori investimenti, nuove costruzioni e an-

Ma un territorio vitivinicolo dove non si vedono le viti, saccheggiato e asfaltato può essere patrimonio solo dell’edilizia e del cemento

cora strade. Il settore edile è tra i più colpiti dalla crisi, perché gran parte di quanto realizzato in questi anni risulta invenduto e l'amministrazione che fa? Ovvio, inve-


ste in costruzioni. Il problema dell'urbanistica e della gestione del territorio è infatti uno dei punti caldi della campagna elettorale delle prossime amministrative. Infatti, la città del Palio non vuole essere da meno e anche gli astigiani possono vantare la loro grande opera inutile come il Tav in Val di Susa o la Gronda di Genova, sulla quale quasi tutti i politici

Cosa fare della Tangenziale sud ovest? Urbanistica e gestione del territorio sono i punti più caldi della campagna elettorale

locali sono d'accordo: è la Tso, la tangenziale sud-ovest; una strada di 4 corsie e 6 chilometri di lunghezza che prevede il collegamento tra il casello autostradale di Asti ovest con l'infinita autostrada Asti-Cuneo. I sostenitori del MoVimento 5 Stelle astigiano

Gli astigiani ricordano bene la notte tra sabato 5 e domenica 6 novembre 1994, quando il fiume Tanaro, in foto, esondò

stimano che la Tso sarà la strada più costosa d'Europa: 10 centimetri della nuova tangenziale sud-ovest costeranno 6mila euro. Il costo del solo preventivo è di oltre 360 milioni di euro, cioè più di 60 milioni al chilomentro, 60mila euro al metro, 600 euro a centimetro; senza considerare l'ulteriore perdita di suolo fertile, la soppressione di aziende agricole, la svalutazione di terreni e abitazioni, il rischio di inquinamento delle falde acquifere e che la nuova strada dovrà passare sotto il livello del fiume Tanaro in una zona esondabile. Eppure, chi abita ad Asti ricorda bene la notte tra sabato 5 e domenica 6 novembre 1994, quando il fiume Tanaro esondò e si portò via tutto quello che era sul suo cammino, riprendendosi gli spazi che


Francesco Bandarin è vice direttore generale dell’Unesco per la cultura: «Ci sono alcuni problemi, il paesaggio non è certo intatto»


Nel 2010 il Tribunale di Asti ha condannato Beppe Grillo a una multa di 25mila per diffamazione nei confronti di Galvagno nel corso di anni e anni di speculazione edililizia, costruzione selvaggia e modificazione del territorio gli erano stati rubati, ma la lezione non è servita. Per fortuna, Asti ha avuto in questi anni un sindaco molto esperto in materia di inquinamento: Giorgio Galvagno, sindaco uscente del Pdl che si ricandida per conquistare il suo quarto mandato. A distanza di anni dallo scandalo di Valle Manina, Galvagno, non solo si è ricandidato, ma gli astigiani lo hanno nuovamente scelto come primo cittadino nel 2007 con il 56,18% dei voti. Acerrimo nemico del tre volte sindaco è il "politicomico" Beppe Grillo che durante una serata al Teatro Alfieri di Asti parlò dello scandalo della Val Manina prendendosela proprio con Galvagno, che portò in tribunale Grillo per diffamazione. Il 5 marzo 2010 il Tribunale di Asti, con sentenza di primo grado, ha riconosciuto Beppe Grillo colpevole di diffamazione nei confronti di Giorgio Galvagno, infliggendogli una condanna consistente nel versamento di 25mila euro. Il leader del MoVimento 5 Stelle non si è

però fatto intimorire e torna a onorare della sua presenza la città di Asti il primo maggio, per sostenere la candidatura del grillino Gabriele Zangirolami. Beppe Grillo non è il solo ad aver raggiunto in questi giorni di campagna elettorale il capoluogo di provincia piemontese. La corsa al voto si gioca, ad Asti come in televisione, con il supporto dei “big”. Sono queste le Amministrative dei grandi ospiti: da Matteo Renzi intervenuto per il vincitore delle primarie del centrosinistra Fabrizio Brignolo sostenuto dal Pd, dall’Idv e Sel, ad Angelino Alfano per Galvagno, passando per Paolo Ferrero che ha sostenuto la candidatura di Giovanni Pensabene (FdS), ce n'è per tutti i gusti. Un piccolo comizio in piazza, saluti ai citta-

Non solo Beppe Grillo tra gli ospiti della campagna elettorale: Matteo Renzi per Fabrizio Brignolo, Angelino Alfano per Galvagno


Galvagno viene eletto primo cittadino di Asti dal 1985 al 1990 e riconfermato per il secondo mandato mantenne la carica finchÊ, nel 1994, il Comune è commissariato dal governo in seguito allo scandalo della discarica di Valle Manina, alla periferia della città . Dall'inchiesta era emerso un vero e proprio comitato d'affari attorno alla discarica, finalizzato a realizzare profitti illeciti attraverso opere di bonifica mai realizzate, appalti e non per ultimo, autorizzazioni a scaricare residui nocivi e pericolosi nella

zona che, fra l'altro, confina con la riserva naturale di Valleandona. Nello scandalo erano coinvolti numerosissimi politici e imprenditori. Gli amministratori del Comune di Asti, compreso l'allora sindaco Giorgio Galvagno sono risultati colpevoli di omesso controllo e quindi responsabili dell'inquinamento della falda. Nel 1996 patteggiò 6 mesi e 26 giorni di carcere per una serie di reati tra cui inquinamento delle falde acquifere, falso ideologico e omessa denuncia dei responsabili della Tangentopoli astigiana.


dini, nessuna o poche contestazioni, foto di rito con il candidato locale e un brindisi con Asti spumante Docg, ecco che si susseguono da qualche settimana le visite dei vip alla città di Asti. Anche l'antipolitica è rappresentata da «La Lega non Diego Zavattaro che morirà mai» ha si presenta con “Alassicurato Bossi leanza Astigiana, l'unica forza a non durante il comizio a favore essere collegata a un Partito”, ma Zavatdi Pierfranco taro fino a poco Verrua tempo fa era coordinatore provinciale di Futuro e Libertà. La tappa astigiana più seguita è stata però quella di Umberto Bossi per Pierfranco Verrua, assessore uscente ai servizi sociali e candidato sindaco per Lega Nord. Il Senatur ha rassicurato i leghisti astigiani: «la Lega non morirà mai». La visita del presidente della Lega Nord ad Asti è stata l'occasione per parlare dei recenti scandali finanziari e del figlio Renzo: «Poveraccio, non sta molto bene, è un ragazzo, non regge bene gli urti. Io sono abbastanza vecchio da incassare i colpi. Ho sbagliato a impegnare entrambi i miei figli in politica spiega con la comprensione che solo un padre puà avere - dovevo fargli fare prima la "gavetta" facendoli partire come consiglieri comunali». Poi, riferendosi ai

presenti in piazza ha confessato: «Quando ho incominciato a fare i comizi per i candidati sindaco, mi sono chiesto: "la gente ci vorrà ancora vedere?" Voi siete la risposta migliore, siete la parte buona della Lega». Ad accompagnare Bossi c'era anche il fedele governatore della Regione Piemonte Roberto Cota, che ha mostrato una particolare attenzione per il territorio: «Dobbiamo tornare subito alla riscossa, una Lega debole è una Lega che non si può impegnare sul territorio». Non a caso la locandina elettorale leghista rappresenta Pierfranco Verrua su una Vespa verde e il motto: "Guidiamo la città fuori dal grigio", lo slogan che più si avvicina a un'attenzione verso il paesaggio, ma sappiamo tutti che il colore del motociclo non si riferisce al verde ormai sbiadito delle colline astigiane

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Parma: non era la rivoluzione

Gli scandali dell’anno scorso non hanno cambiato la città emiliana; opere senza senso, abuso di società miste, debiti: è una colata di previsioni sbagliate di Nicola Chiappinelli

È

necessario che tutto cambi, perché non cambi nulla. E a Parma evidentemente lo sanno, visto che l’aria di rivoluzione che ha travolto la città emiliana dalla primavera del 2011 è stata manifestata in maniera viva anche in questa campagna elettorale in vista delle amministrative dei prossimi 6 e 7 maggio per la scelta del nuovo sindaco e del consiglio comunale. Per capire il senso di quanto sta avvenendo è però necessario fare un passo indietro, all’estate scorsa appunto, e fermarsi a una delle scene maggiormente trasmesse dai telegiornali nazionali: i cittadini sotto il comune a protestare, armati di pentole e voce, quasi ogni giorno, o almeno ad ogni convocazione del consiglio comunale. Rumorosi, con in

testa una sola parola: “dimissioni”. Chiedevano le dimissioni del sindaco Pietro Vignali, e con esso di tutta la giunta che, oltre ad aver portato il comune a un deficit di bilancio di 600 milioni di euro, era stata colpita da scandali a ripetizione tra arresti, indagini e accuse di vario genere. “Green money”, “easy money”:

Arresti, scandali e 600 milioni di deficit: un anno fa la piazza chiedeva le dimissioni del sindaco Vignali davanti le porte del Comune

questi i nomi delle inchieste che hanno fatto saltare il banco dell’amministrazione di centro-destra insediatasi nel 2007, con a capo il giovane Vignali, uomo emergente del Pdl. L’attività


Il meccanismo era semplice: si consegnavano appalti a ditte amiche, che eseguivano lavori minori o non li eseguivano proprio degli inquirenti parte dall’aprile 2010, ma è a giugno di un anno dopo che si verificano i primi arresti eccellenti, con il fermo di due stretti collaboratori del Sindaco, e del capo della polizia municipale Giovanni Maria Jacobazzi, chiamato proprio da Vignali per gestire il “dopoBonsu”, ossia il caso del pestaggio di un giovane ghanese per opera di alcuni vigili. Un’opera di riabilitazione così fortemente voluta, da finire addirittura in un film, “Baciato dalla fortuna”, che vedeva i vigili Vincenzo Salemme e Alessandro Gassman (nella parte proprio di Jacobazzi) districarsi tra vicende più o meno illegali, ma alleggerite da tratti di umanità e da un bel lieto fine. La pellicola, che ha visto partecipare anche lo stesso primo cittadino Vignali, nei titoli di coda si impegnava oltretutto a ringraziare lo stesso Jacobazzi e pure la Stt, una holding di cui il Comune di Parma era socio di maggioranza, finita sotto inchiesta e piena di debiti, ma che pare aver avuto comunque la premura di finanziare la società di produzione del film con 70 mila euro.

Ma torniamo alle inchieste. Il meccanismo emerso era in fondo semplice: si appaltavano dei lavori di manutenzione e riqualificazione di aree verdi a ditte “amiche”, le quali o eseguivano lavori minori rispetto a quelli commissionati o non li eseguivano proprio, fatturando a Enìa (l’ex municipalizzata che gestisce acqua, luce e gas, ora confluita in Iren) importi superiori ai lavori svolti o non effettuati. Si creava così una sorta di cassa di denaro (pubblico) a disposizione di chi gestiva il meccanismo. Ai primi arresti Vignali risponde prendendo le distanze anche dai suoi più stretti collaboratori finiti in manette, come ad esempio il tesoriere di “Parma civica”, la lista apparentata al Pdl con cui era salito alla poltrona di primo citta-

Ai primi arresti l’ex sindaco Vignali (in foto) risponde prendendo le distanze anche dai suoi più stretti collaboratori


dino. Poi però decide di azzerare la giunta comunale, che poco aveva a che fare con gli arrestati. Inizia il viavai di assessori. L’estate parmigiana è turbolenta come non mai, il sindaco si dice estraneo a tutto, ma il caso monta e montano le proteste dei cittadini. Quindi una nuova bomba: è la fine di settembre quando viene arrestato Giovanni Paolo Bernini, assessore alla scuola e ai servizi per l’infanzia, con l’accusa di aver «intascato una tangente di 8mila euro per favorire la società Copra di Piacenza nell’assegnazione degli ap-

Non mancano le tangenti: 8mila euro per favorire la Copra negli appalti per la ristorazione scolastica: Giovanni Paolo Bernini arrestato

palti per la ristorazione delle scuole pubbliche dell’infanzia ed elementari della città». Passano due giorni prima che Vignali giunga alla decisione di dimettersi. Al termine di un’estate che ha portato in carcere 15 persone fra cui assessori, funzionari comunali e un capo di polizia, oltre che alcuni suoi

fedelissimi, il sindaco emiliano annuncia di voler farsi carico di responsabilità anche non sue e lascia quella poltrona che in tanti lo accusavano di voler tenersi stretto a tutti i costi (tanto da ribattezzarlo “Vignavil”): «Nel mio interesse mi sarei potuto dimettere a giugno - disse Vignali - ma bisognava portare a termine alcune opere indispensabili e garantire la realizzazione di eventi già programmati»; ossia far ottenere a Parma gli oltre 70 milioni di euro di fondi «ex metropolitana», necessari a far respirare le casse comunali in affanno. La realtà è che ad esautorarlo virtualmente c’avevano già pensato le stesse sponde una volta favorevoli, come il suo mentore Elvio Ubaldi, già sindaco di centro-destra del capoluogo emiliano, nonché candidato per l’Udc alla tornata elettorale del prossimo weekend. A neanche due giorni dalle dimissioni di Vignali, un altro colpo sconquassa quel che restava della giunta comunale:

Dopo 15 persone arrestate tra assessori e funzionari e due giorni dopo l’ennesimo scandalo Vignali molla la presa e si dimette


Nell’ultimo decennio a Parma sono state pensate grandi opere senza criterio: responsabilità anche dell’ex sindaco Elvio Ubaldi (in foto)

nell’inchiesta sulla ristrutturazione dell’ospedale Vecchio risultano indagati per abuso d’ufficio, accusati di aver favorito la ditta Pizzarotti, 10 tra assessori in carica ed ex, e il vice-sindaco Paolo Buzzi. Il quale, per la serie infinita “a volte ritornano”, è nientemeno che il prossimo candidato sindaco del Pdl.

Parma viene commissariata: arriva prima Anna Maria Cancellieri, attuale ministro dell’Interno, che difatti viene poi sostituita da Mario Ciclosi, reggente del Comune fino ai risultati del voto. Una contesa che, a livello di campagna elettorale, si è giocata fondamentalmente sul tema delle opere per lo sviluppo urbano. Il problema più importante, a sentire le parole dei vari candidati, sembra appunto quello di aver pensato per Parma ad uno sviluppo fuori dalle sue possibilità. Come riporta l’esempio della metropolitana: opera

stimata subito come inadeguata in una città dove si circola soprattutto in bici, tanto da portare poi la Giunta a rinunciarvi, per riutilizzare quei fondi (i famosi 70 milioni di euro ottenuti da Vignali prima delle dimissioni) su altre cause pubbliche. Nell’ultimo decennio a Parma sono state pensate grandi opere che a elencarle si resta impressionati, come ha scritto Dario di Vico sul Corriere: «Palazzi dello sport, ponti di ogni sorta e foggia, la sede dell’authority alimentare, una maxipasserella per biciclette, la costossima Scuola europea, la nuova e faraonica stazione pen-

Parma viene commissariata: interviene prima il ministro dell’Interno, poi Mario Cicolosi, reggente del Comune fino ad oggi

sata per una città di almeno 400 mila abitanti». Roberta Roberti (Parma Bene Comune), candidata sindaco degli “indignati parmigiani” della scorsa estate, ha imputato questa previsione errata al già citato Ubaldi (candidato Udc), che Parma l’ha


ÂŤBaciato dalla fortunaÂť vedeva i vigili Vincenzo Salemme e Alessandro Gassman districarsi proprio tra le vicende emiliane


guidata già dal ’98 al 2007; e a lui ha mirato anche il candidato del centro-sinistra Vincenzo Bernazzoli, che ha accusato Ubaldi di aver fatto ricorso al Tar, quand’era sindaco, per limitare la capacità della Provincia di controllare la capacità di espansione urbanistica della città voluta dall’amministrazione comunale. Insieme alla questione delle grandi opere senza ragione, c’è da scardinare il meccanismo delle società controllate, di cui si è abusato per un semplice motivo: i Comuni non si possono indebitare a causa del patto di stabilità interno, le società miste si. A Parma ne sono nate in quantità industriale (se ne contano almeno 20): ogni società voleva dire nuovi consigli d’amministrazione. Consulenze come se piovesse, assunzione di personale senza passare per le procedure comunali. Un ben oliato meccanismo di raccordo con l’imprenditoria locale, il cui lubrificante era appunto l’esternalizzazione del debito.

Un debito che però esiste e si farà sentire, come dice l’ex consigliere comunale del Pd Massimo Iotti, che recentemente ha rivelato come nel bilancio di previsione del 2012 del commissario Ciclosi siano stati previsti 2,7 milioni di euro di potenziali debiti fuori bilancio, oltre ai 610 mila già noti. Dei soldi che arriveranno dalle nuove Imu e dall’addizionale Irpef, entrambe al massimo consentito, 12 milioni andranno al fondo di riserva per le potenziali passività, mentre altri 14 milioni garantiscono la restituzione della quota annuale di mutui e buoni emessi dal Comune Insomma i cittadini devono sapere che il prossimo gestore delle finanze comunali si occuperà innanzitutto di pagare i debiti contratti dalle ultime cattive amministrazioni. La qualità dei servizi offerti dal Comune è quindi a forte rischio, e in tempi come questi anche le promesse elettorali hanno un costo.

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Palermo «cornuta»

«Il popolo... Il popolo cornuto era e cornuto resta. La differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuna l’appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall’antichità, una generazione appresso all’altra»*.


A

Cammarata, Borsellino, Ferrandelli, Orlando. E poi ancora Caronia, Mauro fino al leader del Movimento 5 stelle Beppe Grillo: attraverso la lista dei nomi per le elezioni del capoluogo siculo, la storia di come la città sarà di nuovo tradita

di Michela Mancini

ll’indomani delle stragi, da cui sono trascorsi ben vent’anni, il popolo siciliano rinasceva. O meglio sceglieva di rinascere. Perché quella di Palermo è stata una scelta, chiara e netta. La società civile ha invaso le strade, ha pianto i suoi morti, si è tolta il vestito nero e si è curata le ferite. Da allora il silenzio è stato solo un ricordo. Da una ferita da cui ancora sgorgava sangue è nata l’antimafia. I morti ammazzati? Quelli c’erano ancora, anzi, forse ce ne sono stati di più. Ma la testa dei palermitani era alta. Che cosa è successo poi? Come siamo arrivati fin qui? PER

AMORE.

AMORE,

SOLO

PER

A gennaio, il sindaco Diego Cammarata si dimette. Per amore verso la sua città, dice lui. Poco tempo prima il Sole 24ore pubblica una classifica di

gradimento dei sindaci italiani: Cammarata si posiziona all’ultimo posto. Le elezioni alle porte. Berlusconi e i suoi capiscono che non è consigliabile incoraggiare una poltrona ormai scomoda. Il presidente della regione Raffele Lombardo prende definitivamente le distanze dal primo cittadino, rompendo un rapporto mai stato idilliaco. Un mix perfetto. Palermo viene commissariata in attesa delle vicine elezioni.

DAL LETAME NON NASCONO I FIORI: LE PRIMARIE DEL PD Le primarie di Palermo diventano subito un caso mediatico. Per il motivo sbagliato. Tutti si concentrano sull’ennesima sconfitta di Pierluigi Bersani, dimenticandosi il centro della vicenda. Rita Borsellino, appoggiata dalla segreteria nazionale del Pd, viene battuta

*Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia. Qui a destra l’ex sindaco Diego Cammarata, dimessosi dall’incarico lo scorso gennaio


30mila preferenze e qualche sospetto: le primarie segnano il record di affluenza

per 151 voti, da Fabrizio Ferrandelli, al cui seguito c’erano note icone dell’antimafia: Rosario Crocetta e Sonia Alfano, europarlamentari, ma anche Beppe Lumia, Antonello Cracolici e l’ex ministro dell’Udeur Totò Cardinale, tutte e tre sostenitori di Lombardo alla regione. Sì, quel Lombardo rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafioso e voto di scambio. Primarie che segnano il record di affluenza alle urne: 30mila preferenze, 10 mila in più che nel 2007. Tra loro 900 extracomunitari e 150 minori. Un successo, che però ha destato qualche campanello d’allarme su una partecipazione non spontanea. Presunti brogli elettorali fanno partire il riconteggio delle schede. Il collegio dei Garanti considera il voto valido, annulla la votazione nel solo seggio del quartiere Zen: la procura di Palermo apre un’inchiesta. Esclusi i voti dello Zen la differenza tra i due candidati è di soli 126 preferenze. La magistratura iscrive nel registro degli indagati una rappresentante di lista di Ferrandelli e il compagno, sorpresi con de-

cine di tessere elettorali.

IL FUOCO SOPRA PALERMO. La tensione è altissima. Ferrandelli è nel mirino di tutti, o quasi. La stampa lo accusa di essere il candidato dell’inciucio tra Pd e l’Mpa di Raffaele Lombardo. Il neocandidato si difende così: «Questa cosa inizia a darmi fastidio. Tutta la stampa nazionale e locale dice che mi sostiene il Pd pro-Lombardo, ma non esiste un Pd anti-Lombardo». Insomma, non si difende. Di Ferrandelli, all’indomani del voto, parla un altro politico eccellente, Saverio Romano, ex ministro indagato per mafia: «Vengo tirato in ballo da tale Ferrandelli, come sostenitore della signora Borsellino alle consultazioni interne al centrosinistra. Falso, tendenzioso e ingeneroso, proprio perché costui si è recato a casa di esponenti autorevolissimi del mio partito a chiedere sostegno. È vero, preferisco un avversario serio e leale come la Signora ad un giovane saltimbanco dell’arrampicata, ma ciò non mi coinvolge nella loro competizione». Anche questa volta il povero Ferran-


delli smentisce. La sconfitta della Borsellino convince Leoluca Orlando, primo fra i suoi sostenitori, a candidarsi come primo cittadino con l’Idv. Pochi giorni prima, “u sinnacu”, a capo del comune palermitano per due mandati, aveva giurato e spergiurato che non si sarebbe più candidato. «Ferrandelli è diventato lo strumento di una linea politica, non so se consapevolmente o no. E il suo percorso da virtuoso è diventato vizioso». Il sindaco della Primavera siciliana ci va giù pesante, fino a dichiarare: «Mi candido perché le primarie sono state inquinate e truccate, non potevamo certo consentire una resa a fronte di una sconfitta contro un candidato abusivo di primarie dopate». Per l’ex leader della Rete infatti, Ferrandelli è «un manovrato, finito nelle mani di Cracolici e Lumia, cioè i compari di Raffele Lombardo»

MIO REGNO PER UN CAVALLO. A due giorni dalle

IL

elezioni, i veleni hanno partorito ben undici candidati. Si è spaccata la sinistra, la destra e anche il centro. E poi Antonello Craco-

lici, sponsor di Ferrandelli e regista dell’accordo tra il Pd e Lombardo all’Ars, non ha digerito la candidatura del “sinnacu”: «Orlando? È un traditore dei palermitani: c’è già un’intesa, che prevede il suo sostegno a Costa (candidato del Pdl, ndr) nel caso in cui il candidato del Pdl arrivi al ballottaggio, con il solo scopo di ostacolare il cammino di Ferrandelli». Accuse pesanti a cui Orlando non ha voluto replicare. La discesa in campo del leader di Idv ha letteralmente spaccato in due il centrosinistra, che adesso va alle elezioni con due candidati ufficiali: da una parte Ferrandelli appoggiato da tutto il Pd, dall’altra lo stesso Orlando, sostenuto da Idv e dalla Federazione della Sinistra. Alla fine anche Sel si è divisa: il partito di Nichi Vendola ha deciso di appoggiare il vincitore delle primarie, ma ha perso la componente che fa capo a Nadia Spallitta, consigliere comunale migrata in Idv. E se il centrosinistra è riuscito ad implodere da solo, perché certe tradizioni non si tradiscono mai, dalla parte opposta i candidati sindaco sono addirittura cinque.

Dopo la Borsellino, Orlando: «Mi candido perché le primarie sono state inquinate»


Gioacchino Basile inizia come sindacalista, poi grillino. Oggi milita tra le fila di Forza Nuova

Il Pdl per far dimenticare l’ex primo cittadino Diego Cammarata ha puntato le sue fiches sul giovane Massimo Costa, ex presidente del Coni Sicilia, appoggiato anche da Udc e Grande Sud di Gianfranco Miccichè. Scrive Stella sul Corriere della Sera: « L'alfiere della riscossa pidiellina non era stato scelto dai berlusconiani. Al contrario: dai suoi nemici Casini, Lombardo, Fini. I quali avevano individuato in lui l'uomo giusto per scardinare il sistema di potere: giovane, nuovo, sveglio, parlantina sciolta...». Dopo l’entrata in scena del Pdl, Fli ed Mpa avevano preferito cercarsi un altro candidato: la scelta è caduta sul futurista Alessandro Aricò, “celebre per aver proposto in consiglio comunale il Viagra scontato per gli anziani”. Anche il Pid di Saverio Romano presenta una sua lista: la prescelta dell’ex ministro imputato per mafia è Marianna Caronia, deputata regionale ed

ex vicesindaco di Cammarata. A chiudere il conto a destra c’è il sindacalista Gioacchino Basile, in passato candidato di Beppe Grillo in Friuli- Venezia Giulia (e sindacalista della Cgil) e oggi in lizza per Forza Nuova. Andiamo al centro. Giuseppe Mauro corre per Alleanza di Centro, il partitino di Francesco Pionati. Mauro finisce in galera nel 2003 perché coinvolto nel fallimento della sua società. Nonostante abbia un processo ancora in corso e gl’inquirenti lo accusino di essersi fregato i condizionatori e gli arredi degli uffici, non ha rinunciato alla candidatura: «Un processo in corso non significa una condanna – spiega – E poi per quello che c’ è nel resto della Sicilia. In ogni caso stiamo parlando di un reato societario, mica di associazione a delinquere o 416 bis». Anche il Movimento dei Forconi, che nei mesi scorsi aveva bloccato l’intera isola,


offre una testa, Rosssella Accardo, nota per tristi vicende familiari: perse il figlio e il marito, probabili vittime di “lupara bianca”. Tra le liste civiche spunta il generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo, già sottosegretario alle Finanze con lo Psdi nel 1993. Adesso ha una lista personale, il Melograno, e uno slogan su misura: “A Palermo serve un sindaco carabiniere”. Per ultimo il Movimento 5 stelle, che candida Riccardo Nuti, trent’enne analista informatico.

TITOLI DI CODA: LA BEFFA. Beppe Grillo, di passaggio a Palermo, per sostenere il suo candidato, sale sul palco. Mentre a Palermo si commemorano Pio la Torre e Rosario di Salvo, uccisi dalla mafia trent’anni fa, Grillo tira in ballo Cosa Nostra utilizzandola come termine di paragone per gli effetti devastanti della crisi economica.

«La mafia non ha mai strangolato il proprio cliente, la mafia prende il pizzo, il 10 per cento. Qui siamo nella mafia che ha preso un’altra dimensione, strangola la propria vittima». Eccola la ferita che si squarcia. I familiari delle vittime di Cosa Nostra inorridiscono.

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Anche Grillo a Palermo: «La mafia non Palermo cornuta, Palermo ha mai strangolato il saccheggiata, Palermo putproprio cliente» tana


Le penultime elezioni di Cefalù

Tra debiti, turismo da rilanciare e uragano Sgarbi, la città normanna ha inaugurato il più grande parco giochi della Sicilia: la sua campagna elettorale di Lorenzo Ligas

C

iò che è accaduto a Cefalù nelle ore prima delle elezioni è una finta ubriacante ai danni dell’elettore: la Corte d’appello di Palermo ha rigettato in tempo record il ricorso del critico d’arte. L’incandidabile Sgarbi ricorrerà in Cassazione e le elezioni, nonostante il tentaSgarbi sì, no, forse: del sindaco l’altalena giudiziaria non tivo uscente Guercio di riha cancellato il nome del mandarle al 20 magcritico dalle schede gio, si faranno “normalmente” perché il regolamento prevede rinvii «solo per cause di forza maggiore...come le calamità naturali». Ma perché Sgarbi è incandidabile? «Per colpa di questa legge del cazzo», che sarebbe poi l’articolo 143 della legge

267/2000, detta anche Testo unico per gli enti locali, Cefalù rischia infatti di dover comunque ripetere le elezioni, dal momento che, a causa dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Salemi, il Tribunale di Marsala ha stabilito l’esclusione del professore ferrarese. La sentenza probabilmente diventerà definitiva dopo queste elezioni e a ottobre riporterà i cefaludesi alle urne. Ma la legge assume contorni davvero idioti specificando che l’incandidabilità vale solo «limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento». E quello di ottobre di turno elettorale sarebbe già il secondo: va da sé, se Sgarbi fosse ritenuto non candidabile definitivamente dopo le


elezioni e se quindi le elezioni fossero da rifare, Sgarbi a ottobre potrebbe ricandidarsi. Certo c’è da dire che la legge non glielo impedisce, ma nemmeno lo obbliga e dal momento che è difficile che la Cassazione ribalti le sentenze precedenti, lo scenario che si prospetta è questo: elezioni 6-7 maggio, annullamento del turno elettorale poco dopo, nuove elezioni ancora con Sgarbi in autunno. È solo una questione di tempo. ufficialmente a causa delle vicende di Salemi, ed è andato ad La storia delle elezioni di Ce- appoggiare proprio Lapunzina. falù però comincia ben prima Per la verità lo scioglimento del dell’arrivo dell’uragano Sgarbi; comune trapanese è stato deterquando ancora l’Udc pensava minante anche per il Pdl, che all’avvocato Francesco Calabrese inizialmente pensava di poter come candidato e le trattative appoggiare Sgarbi e poi ha precon Saverio Lapunzina, attuale ferito la candidatura di Croci. E candidato del Pd, passeggiavano se la questione morale applicata sul lungomare. Calabrese e La- da Udc e Pdl è una pessima batpunzina si conoscono bene e su tuta di spirito nonché la mauna cosa sono d’accordo: viene prima «Il problema dei pro- Se l’incandidabilità di Sgarbi fosse confermata blemi», come lo ha chiamato anche dopo il ricorso in Cassazione, le l’avvocato, vale a dire i debiti del comune di Cefalù. Sono più di elezioni saranno da rifare. Sarebbe il secondo turno elettorale e Sgarbi si ricandiderebbe dieci milioni, quasi 700mila euro di debiti per abitante. Non sono pochi per un’amministra- schera di scelte di partito a zione che dovrebbe vivere di tu- livello regionale, la domanda rismo e invece ha imparato a che ci si pone è: ma questo convivere con le consulenze. Croci, chi è? Entrambi, i debiti e Calabrese, Edoardo Croci è milanese, ex conoscono bene il territorio assessore all’ambiente a Milano, Poi è spuntato il nome di padre del contestatissimo EcoSgarbi. L’Udc allora si è defilato, pass, ha in comune con Sgarbi l’



essere stato licenziato dal sindaco Moratti e, forse dopo la promessa di un altro incarico «al fine di valorizzare le sue competenze tecniche in un'altra posizione che sarà determinata di comune accordo», è arrivato a Cefalù. Sgarbi-Croci è quindi una sfida fratricida che spacca il popolo di destra: Simona Vicari, sindaco fino al 2007, è migrata al fianco dell’ex assessore milanese, come pure il senatore Antonio Battaglia, originario di Termini Imerese, lì candidato e sconfitto, ex avvocato (“pentito”) del killer corleonese Leoluca Bagarella. Altri invece, come l’albergatore Giuseppe Farinella o Antonello Antinoro, sono rimasti a guardia del professore ferrarese. Proprio l’appoggio del primo, condannato nell’89 per associazione mafiosa e omonimo cugino del mandante delle stragi di Capaci e via

A sinistra il vice sindaco di Sgarbi, Francesco Calabrese. Qui, Simona Vicari e l’ex presidente di regione Cuffaro: l’ex primo cittadino di Cefalù ha un contenzioso con la città

D’Amelio, e l’inclusione in lista del secondo, su cui pende una condanna in primo grado per voto di scambio semplice (senza l’aggravante mafiosa), hanno destato non poche perplessità. Perplessità nate soprattutto in chi non crede alla strategia sgar-

L’arrivo del professore ferrarese ha spaccato il Pdl: l’ex sindacoVicari da una parte, Farinella e Antinoro con Sgarbi. L’Udc è migrato invece a fianco di Lapunzina

biana di “giocare a carte scoperte” e ammettere sin da subito e con lodevole chiarezza l’appoggio di Farinella e di Antinoro; ma difenderli a spada tratta non cancella l’immediata connessione tra “Salemi-gate”, reati di mafia e fedine penali


Sgarbi ha messo subito in chiaro l’appoggio dell’albergatore Farinella, che per anni ha sostenuto la Vicari, e l’inclusione nelle liste di Antonello Antinoro

sporche: gli scheletri nell’armadio rimangono scheletri, anche se dall’armadio li si tira fuori. Se il passato è un problema che Sgarbi ha provato a risolvere nell’unico modo possibile, il futuro è ciò che attanaglia il Pdl, un partito già spaccato a Cefalù

Croci e Sgarbi sono due candidati esterni: la regìa di Francesco Calabrese per il secondo potrebbe essere determinante, anche se il candidato favorito rimane Lapunzina del Pd

e che tra qualche mese probabilmente non esisterà più a livello nazionale; a ciò si aggiunga che l’ex sindaco Vicari, oltre ad avere gestito la decennale amministrazione che ha fatto crescere la gran parte dei debiti, ha ancora in sospeso un conten-

zioso con il Comune per oltre 300mila euro. Così la candidatura di Croci più che rassicurare i cefaludesi, cerca di tranquillizzare chi lo sostiene, in una campagna elettorale urlata, confusa e dominata dalle accuse reciproche più che dai programmi. Sgarbi-Croci è un duetto paradigmatico, ma nemmeno tanto: perché candidare un esterno a sindaco di Cefalù? Se per Croci la risposta è vincolata alla disperazione di un partito che non c’è quasi più, per Sgarbi è legata a una strategia, sulla carta, assennata. Punto primo: per una campagna elettorale come questa, che già a fine marzo prometteva fuochi d’artificio, serviva il più bravo a prendere e rilanciare i botti. Punto secondo: se Cefalù vive di turismo, serve qualcuno che faccia da “ministro degli Esteri”, da ponte per ridare spazio al fondamentale lato culturale. Punto terzo: se il sindaco si


occupa di palco e turisti, serve una regìa esperta che conosca meglio il territorio. E proprio nella regìa, in chi tiene le fila delle questioni più scottanti e più urgenti, la sfida tra Sgarbi e Croci può esser vinta dal primo: Croci, per quanto si dichiari un “non politico” ha la sua regìa nella Vicari, che politica lo è eccome e di cui già è stato detto; la regìa di Sgarbi invece è Calabrese, che non ha niente da farsi perdonare e tutto da dimostrare. Il candidato del Pd, che esce favorito dalla bagarre delle ultime ore, regge invece da solo l’intera macchina elettorale. Attacchi ai rivali e difese, programma serrato contro i debiti ed esclusione dei partiti dagli assessori designati: Saro Lapunzina è un padre padrone tradizionale che per natura si posiziona in modo diverso nella gara elettorale, ma che non per questo rischia di rimanere indietro. Nonostante nel 2009 fosse a capo dell’opposizione e di una mozione di sfiducia al sindaco Guercio, incredibilmente respinta, l’impostazione dei suoi comizi, aggressivi e insieme ben radicati nei problemi cefaludesi, ha rilanciato le possibilità per Cefalù di averlo come sindaco. Tuttavia, chiunque sarà il vincitore di queste elezioni, i cefaludesi saranno stati

accompagnati alle urne da un movimento allucinatorio che li avrà portati a scrivere nomi e barrare simboli inutilmente. L’importanza democratica del gesto elettorale viene uccisa da una falla legislativa e svilita in un pro forma ridicolo che vale un milione di euro, soldi che saranno spesi per allestire la stessa identica elezione due volte. La stupidità può essere una calamità naturale

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Schiavi di casa

«L

L’Aquila alle urne con 32.861 cittadini che ancora vivono negli alloggi di Stato

di Nicola Chiappinelli

a capacità o l' incapacità del Paese di attrezzarsi per far fronte alle emergenze è dunque un aspetto centrale. O meglio: è un elemento decisivo per una rifondazione della politica che abbia nel suo orizzonte non le prossime elezioni ma le prossime generazioni». Lo ha scritto Guido Crainz, professore del Scienze della comunicazione all’Università di Teramo, in un articolo apparso su Repubblica lo scorso febbraio, e con un titolo emblematico: “Emergenza, sindrome dell’8 settembre”. L’emergenza, in questo caso, è il sisma che colpì L’Aquila il 6 aprile del 2009; e la cosiddetta sindrome, riferita alla data dell’armistizio firmato nel 1943 dal maresciallo Badoglio, richiama a «incapacità - o non volontà - di previsione e di decisione, vergogne dei pubblici poteri, dissolvimento delle istituzioni, affannarsi generoso ma impotente di alcune parti,

almeno, della società civile». Quello che, secondo Crainz, è successo in Abruzzo così come in tante altre vicende drammaticamente simili della recente storia d’Italia, su tutte il terremoto in Irpinia del 1980: quell’ampliarsi in maniera incontrollata del raggio d’azione che porta a disastrose confusioni di responsabilità, finendo persino con l’allargare la questione ad aree della società con cui sarebbe lecito non avere a che fare.

L’Aquila, dice chi l’ha vista e soprattutto chi la vive tutti i giorni, è una città che ha rallentato il suo cammino. Il terremoto è stata una botta fortissima, ma la stasi dei tre anni successivi è stato un colpo ancora più duro da assorbire. Le macerie sono ancora lì, dalle impalcature i lavori sembrano procedere a singhiozzo, ma soprattutto sono ancora 32.861 (dati aggiornati ad aprile 2012) i cittadini che vivono in al-


loggi a carico dello Stato, tra tutti i comuni interessati dal cratere. E questo soltanto per attenersi ai numeri, perché poi si dovrebbe arrivare a parlare delle sensazioni di tutti i giorni; di come la “zona rossa” sia ormai un’istituzione per gli aquilani, essendo diventata una sorta di confine, poco immaginario e molto concreto, tra l’immobilismo della quotidianità e l’aspirazione futura di un ritorno della normalità; oppure si dovrebbe affrontare il discorso della mancanza del lavoro, che significa impossibilità di riprendersi il proprio ruolo all’interno della società; o forse ci si potrebbe limitare a descrivere quella vita che semplicemente manca in gran parte del centro storico. Tra i tanti e aggrovigliati fili di una ragnatela che nessuno ha contribuito ad eliminare, ecco tornare puntuale come un rintocco d’orologio la ritualità di una politica che pare non voler cambiare mai i propri schemi, neanche davanti alle situazioni più bisognose di soluzioni immediate e concrete. Così oggi e domani, 6 e 7 maggio, come in

tanti altri comuni italiani, anche a L’Aquila si voterà per le elezioni amministrative: otto gli aspiranti alla carica di sindaco, 684 i candidati al Consiglio comunale. Numeri da evidenziare, senza eccessi di enfasi retorica, ma con la consapevolezza che forse una questione esiste davvero: quanto può essere utile una contesa tanto ampia e diversificata su uno sfondo che necessiterebbe invece soprattutto di unità e coesione di intenti? È certo che anche l’attività politica possa e debba essere uno dei segnali del rilancio della città, e la volontà di tornare alla vita d’un tempo è logico si traduca anche in voglia di rappresentare ed essere rappresentati. Ma davanti a una casa da rimettere su nel minor tempo possibile (perché questo interessa a chi lì vuol tornare a viverci), allora la solita contesa può diventare anche fuori luogo, oltre che stucchevole. Ad esempio non conta poi così tanto che sia stato il sindaco uscente Massimo Cialente, direttamente dal Pd, a far vincere per una volta al partito di Bersani le

Attività politica in eccesso: otto aspiranti sindaco , 684 candidati al Consiglio comunale



primarie nel centro-sinistra; si può invece sottolineare il dato della continuità per un uomo che ha subito e affrontato il dramma dal primo istante, e che dopo l’emergenza vorrebbe vedere adesso il suo operato protagonista anche nella fase di ricostruzione della città. Ricostruzione, appunto. Perché sono ancora 9 mila le pratiche bloccate per la sistemazione delle case danneggiate dal terremoto e classificate «È fuori dai centri storici: un’impasse che fa letteralmente inviperire gli aquilani». Proprio su questo tema delicato si è esposto, contro Cialente, Giorgio De Matteis, vicepresidente del consiglio regionale e candidato della lista “L’Aquila città aperta”, esponente di un’ala moderata di grandi intese di cui fanno parte Udc e Udeur. Anche lui medico come Cialente, ha attaccato quest’ultimo per aver redatto, a suo dire, un piano di ricostruzione privo di «una visione strategica della città che non ne rimette insieme il tessuto territoriale». Per De Matteis, dopo aver sostenuto per tre anni che il piano di ricostruzione non serviva, il sindaco uscente

ha deciso di produrne uno in tutta fretta prima dello scioglimento del Consiglio comunale, senza avviare alcun tipo di consultazione. Ha parlato, naturalmente, di ricostruzione anche Pierluigi Properzi, urbanista e candidato sindaco del Pdl, per il quale «le strutture e le procedure ordinarie attuali non funzionano. Un Comune che si appoggia sui co.co.co non potrà mai fare la ricostruzione». Properzi ha anche aggiunto che «il sindaco non può dialogare con un funzionario: il sindaco dialoga con le autorità di proprio livello, e questo non è avvenuto. Berlusconi ha realizzato cinquemila alloggi in pochi mesi, questo dimostra che se le risorse ci sono un'operazione in tempi certi è possibile». Sono in 19 mila a vivere nelle «new town»: confortevoli, neanche brutte, ma circondate dal nulla, senza una panetteria, una farmacia, una scuola (tranne l' asilo costruito dalla Fiat). Per titarle su si è lavorato giorno e notte; poi, dopo la festa per la consegna, si sono spente le luci e sono andati tutti via: la Merkel, Sarkozy, Putin, Obama e tanti altri, con le loro pro-

Sono ancora 9mila le pratiche bloccate per la sistemazione delle case danneggiate dal sisma

messe, quelle mantenute e quello dimenticate. Ma la colpa non è solo degli altri, perché i dissidi tra il sindaco di centrosinistra e il commissario di centrodestra, il presidente della Regione Giovanni Chiodi, l’hanno di fatto bloccata questa ricostruzione. Quale che sia il risultato elettorale, la sensazione è che a L’Aquila, prima che altrove, non sarà la politica, o meglio questa politica, a risolvere i problemi

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