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E D I T O R I A L E L’INFORMAFREEMAGAZINE nº 81 – anno XIV numero 4 luglio-agosto 2019 ISSN 1828-0722 Editore

GOLIARDICA EDITRICE srl a socio unico sede operativa: I – 33050 Bagnaria Arsa, Italy via Aquileia 64/a tel +39 0432 996122 fax +39 040 566186 info@imagazine.it Direttore responsabile Andrea Zuttion Condirettore responsabile Claudio Cojutti Responsabile di redazione Andrea Doncovio Marketing / Eventi Eleonora Lulli Area commerciale Gianni Gonano, Michela De Bernardi, Francesca Scarmignan, Fabrizio Dottori Responsabile area legale Massimiliano Sinacori Supervisione prepress e stampa Stefano Cargnelutti Hanno collaborato Vanni Veronesi, Claudio Pizzin, Paolo Marizza, Germano De March, Antonio Amato, Margherita Reguitti, Andrea Fiore, Livio Nonis, Cristian Vecchiet, Alfio Scarpa, Michele D’Urso, Michele Tomaselli, Manuel Millo, Andrea Coppola, Alberto Vittorio Spanghero, Renato Duca, Renato Cosma, Germano Pontoni, Isa Dorigo, Sandro Samez, Marianna Martinelli, Irene Devetak, Andrea Tessari, Maurizio Puntin, Denise Falcomer, Lorella Dreas, Massimo Ventulini Registrazione Tribunale di Udine n. 53/05 del 07/12/2005 Stampato in proprio Tiratura 70.000 copie Credits copertina Claudia Guido Credits sommario :: Federica Maule :: :: Michele Tomaselli :: :: Simone Mestroni :: :: Claudio Pizzin :: :: Consorzio Bonifica Pianura Friulana :: © goliardica editrice srl a socio unico. Tutti i diritti sono riservati. L’invio di fotografie o altri materiali alla redazione ne autorizza la pubblicazione gratuita sulle testate e sui siti del gruppo goliardica editrice srl. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni o altro non verranno restituiti, anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico, elettronico, di memorizzazione delle informazioni ecc. senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere considerati responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati, direttamente od indirettamente, dall’uso improprio delle informazioni ivi contenute. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari, che ne detengono i diritti. L’Editore, nell’assoluzione degli obblighi sul copyright, resta a disposizione degli aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare al momento della stampa della pubblicazione.

Cari lettrici e lettori, la storia di copertina di questo numero è l’ennesimo esempio della medaglia dalle due facce della nostra Italia. Un Paese in grado di sfornare figure di primo livello in ambito professionale, ma al tempo stesso incapace di valorizzarle. E nell’intervista rilasciata in esclusiva per iMagazine, Valentina Bressan – direttore tecnico dell’Opéra Bastille di Parigi – ci fa anche capire il perché. Due passaggi in particolare sono tristemente esemplificativi. Il primo riguarda la meritocrazia: anni addietro, dopo aver svolto già numerose esperienze professionali di primo livello in Francia, decise di candidarsi per un corso di scenografia la cui selezione si svolgeva a Palermo. Non venne nemmeno presa in considerazione, perché i commissari ritennero impossibile che i suoi titoli fossero veri. Ma siccome Valentina Bressan, pur vivendo Oltralpe da vent’anni, ama ancora l’Italia, anche in altre occasioni – e questo è il secondo esempio – aveva partecipato a selezioni per altri incarichi nel nostro Paese, correlati alle sue professionalità. Tutte le volte, le sue domande e i suoi curriculum non hanno nemmeno ricevuto risposta. Quanti sono i giovani e meno giovani italiani che, nel proprio ambito, si riconoscono in questa vicenda? Ci troviamo di fronte all’ennesima evidenza di un cortocircuito dal quale non sembra esserci via d’uscita. O meglio, l’unica via sembrerebbe solo l’uscita verso altri Paesi. Scenario che tuttavia nulla ha a che vedere con la cosiddetta “fuga dei cervelli”. Non stiamo infatti parlando semplicemente di un sistema nel quale persone particolarmente dotate non riescono a trovare soddisfazione alle proprie legittime ambizioni. La questione, purtroppo, è drammaticamente più strutturale. Se è vero che l’espatrio dei giovani è una realtà comune a tutti i Paesi europei, quello che balza all’occhio dagli ultimi dati Eurostat è che l’Italia appare più come un Paese dell’Est che dell’Europa Occidentale. Unendo le statistiche dei nuovi emigranti e di quelli già presenti da anni o decenni nel Paese, si evince come gli italiani in altri Paesi Ue nel 2017 fossero 2 milioni e 349 mila. Doppiamo il numero di francesi o tedeschi emigrati, nonostante Francia e Germania siano Paesi più popolosi rispetto all’Italia. E, soprattutto, i nostri emigrati non sono per la maggior parte laureati: anzi, addirittura il 32,3% degli italiani in Europa ha solo la licenza elementare o media. Abbiamo una massa di italiani che anche oggi emigra alla ricerca di fortuna, esattamente come si faceva negli anni Cinquanta. Non si tratta più di minatori in Lorena o in Vallonia, né di operai in Germania, ma di camerieri, cuochi, commessi, lavoratori nei servizi a basso valore aggiunto che preferiscono essere precari a Berlino piuttosto che a Roma, proprio perché pagati un po’ meglio. E il problema è sempre a monte, perché negli ultimi vent’anni il nostro Paese si è distanziato sempre più dal resto dell’Europa Occidentale a livello strutturale, di istruzione, di ricerca e sviluppo… Esistono soluzioni? Il prossimo 14 luglio ricorrono i 230 anni della “Presa della Bastiglia”. Ma nella società dei consumi non c’è tempo per le rivoluzioni. Non mi resta che augurarvi … buona lettura! Andrea Zuttion


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2018/2019

Hai il tuo annuario a colori? richiedilo su www.annuari.imagazine.it Tutti gli studenti, i loro genitori e gli insegnanti delle scuole che hanno aderito al progetto possono richiedere copie ulteriori, interamente a colori, dell’Annuario scolastico iMagazine 2018/2019 e degli anni passati. Il tutto con un semplice contributo spese di € 10,00

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S O M M A R I O

luglio - agosto 16

L’ANALISI di Paolo Marizza

14 Benessere e politiche pubbliche SAN FRANCISCO di Federica Maule

16 Respirando la libertà VALENTINA BRESSAN di Andrea Doncovio

20 Artista della vita 24

SARDEGNA di Michele Tomaselli

24 La Costa Verde

SIMONE MESTRONI di Margherita Reguitti

28 Dopo le preghiere LORIS BASSO di Livio Nonis

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30 Il Duca del vino PAOLO GROPUZZO di Andrea Doncovio

32 Dialogo e concretezza INTERCETTAZIONI E REGISTRAZIONI di Massimiliano Sinacori

34 Mi minacci? Ti registro…

PRESTAZIONALI O RICREAZIONALI di Andrea Fiore

36 Quotidianità drogata 46

VENE E ARTERIE di Lorella Dreas

38 Come funziona il cuore? GIANNI MARAN di Claudio Pizzin

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40 Il giostraio dell’arte GIULIANA VARIOLA di Margherita Reguitti

42 La forza del libro FABRIZIO BIDOLI di Claudio Pizzin

46 In arte Korfu

PERSECUZIONE ED EMIGRAZIONE di Alberto V. Spanghero

49 In Francia per sfuggire al fascismo

UOMINI E BOSCHI di Renato Duca e Renato Cosma

52 La politica forestale della Serenissima LA MÙLA DE MÙGIA di Maurizio Puntin

54 Memoria di una Grado latina NUTRIE IN FVG di Massimo Ventulini

58 Specie aliena

CAMPANARI DEL GORIZIANO di Livio Nonis

60 Custodi della tradizione CATERINA PLET di Livio Nonis

62 Una vita per lo sport ALAN VIDONI di Michele D’Urso

64 Un Van Damme nostrano TURIPESCA di Livio Nonis

66 La foce e il branzino ETICA E LOGICA di Cristian Vecchiet

68 Manifesto per la filosofia AGIRE UMANO di Manuel Millo

70 Onore, rispetto e onestà MONDO OLISTICO di Denise Falcomer

72 Scopriamo il nostro vestito perfetto CHEF…AME

79 La ricetta di Germano Pontoni 80 e segg. Gli eventi di luglio e agosto


: lettere alla redazione

▲ Trieste – Il direttore di iMagazine, Andrea Zuttion (a destra), assieme al presidente della Società Velica di Barcola e Grignano, Mitja Gialuz, a margine della conferenza stampa di presentazione della 51esima edizione della Barcolana, evento di cui iMagazine sarà nuovamente official partner.

▲ Udine – Università di Udine e Danieli automation insieme per lo sviluppo digitale applicato ai processi metallurgici. Le due realtà hanno firmato un contratto di comodato alla presenza del rettore in carica Alberto De Toni e del neoeletto Roberto Pinton nonché del direttore generale dell’ateneo Massimo Di Silverio e dei direttori di dipartimento Marco Petti e Gianluca Foresti. Per Danieli Automation erano presenti Alessandro Ardesi, Ceo Danieli Automation, e Marco Ometto, Evp Danieli Automation, insieme ad Andrea Polo e Alberto Giacomini, R&D Danieli Automation e Gianluca Buoro, legale Danieli Automation. Lo scopo principale dell’accordo è la creazione e l’allestimento di un laboratorio Danieli Automation all’interno dei locali dell’Università di Udine.

▲ Tolmezzo – Un gruppo di donne, dai 20 ai 60 anni e di differenti estrazioni sociali e lavorative, che ha partecipato al progetto formativo di “Empowerment femminile in Carnia e Alto Friuli” a cura della cooperativa sociale Cramars. Sono state un centinaio le partecipanti che hanno aderito ai sei laboratori che Cramars ha gestito per conto dell’UTI della Carnia connessi alla gestione delle risorse umane in ottica di genere e della valorizzazione dei potenziali femminili, facendo così emergere casi virtuosi.

▲ Grado – Visita al giardino dell’Istituto Alberghiero per il professore Fabio Fratini e i suoi studenti dell’Istituto Agrario Brignoli di Gradisca d’Isonzo. Il laboratorio di cucina dell’Alberghiero di Grado ha necessità di sapori e profumi mediterranei e così l’istituto Agrario di Gradisca ha portato in dono le piante aromatiche provenienti dalle loro serre: rosmarino, salvia, timo santoreggia, finocchio selvatico, basilico, aglio orsino, melissa, menta, silene faranno compagnia ad altre due importanti piante che son state donate: il papà di una studentessa ha portato un alberello di limone e i coniugi Comunello del famoso roseto Rosamundi di San Lorenzo hanno donato una pianta di Rosa dai gustosi petali. Il tutto colorato da viole e calendule da usarsi in cucina. L’associazione Civiltà Contadina invece ha donato i semi di Nasturzio. Le fioriere si trovano nei pressi del laboratorio di cucina e costantemente serviranno agli aspiranti cuochi. Paolo Posarelli

▲ Gorizia – Una suggestiva immagine del Parco Coronini durante la seconda edizione di Calici&Forchette a Palazzo, organizzato da Eventiva in partnership con iMagazine. Per l’occasione una quarantina di realtà – in rappresentanza delle eccellenze enogastronomiche del territorio – hanno deliziato i partecipanti con le proprie specialità.

▲ Monfalcone – Le atlete dell’a.s.d. e culturale Coppelia Danza dirette dalle insegnanti Elisa e Manuela Tulliani, in collaborazione con la maestra coreografa Franca Desinio, sono andate in scena presso il Teatro Comunale con il saggio - spettacolo di fine anno dal titolo Oltre la Distanza che ha coinvolto tutte le allieve. L’associazione Coppelia, presieduta da Maria Cira Grieco, unisce all’impegno artistico e sportivo quello sociale e umanitario, appoggiando e organizzando progetti a sfondo benefico, sostenendo Telethon e la ricerca sulle malattie genetiche.

È possibile inviare le proprie lettere e i propri commenti via posta ordinaria (iMagazine – via Aquileia 64/a – 33050 Bagnaria Arsa-UD), oppure via e-mail (redazione@imagazine.it).


▲ Gorizia – Il prefetto di Gorizia, Massimo Marchesiello (quinto da destra), assieme al direttivo dell’associazione Gorizia Nostra in occasione della cerimonia di consegna dell’Archivio di Italia Nostra all’Archivio di Stato.

▲ Udine – Gabriel Rossi (in centro con la camicia bianca), 19 anni di Alesso di Trasaghis, è il vincitore della sesta edizione del Premio Silvia Lunelli, voluto dalla famiglia Lunelli in ricordo della figlia prematuramente scomparsa l’11 giugno 2013, a 28 anni. Silvia aveva una grande passione per la gastronomia e la cultura del cibo, perciò i suoi genitori, Roberto e Daniela, hanno istituito in suo ricordo un premio per la formazione di giovani chef del Friuli Venezia Giulia, con l’obiettivo di farli diventare ambasciatori della cucina e dei prodotti della regione.

▲ San Vito al Torre – Un momento della cerimonia di intitolazione dello spazio pubblico tra la chiesa e il municipio in onore del vice brigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’Oro al Valore militare. L’evento è stato organizzato dalla sezione dei carabinieri in congedo di Aiello del Friuli, presieduta da Vittorio Giglio. La sezione dei carabinieri in congedo dell’arma dei carabinieri di Aiello comprende anche le realtà di Campolongo Tapogliano, San Vito al Torre e Visco, ed è composta da 90 persone tra effettive e simpatizzanti.




L’ANALISI ECONOMIA E FELICITÀ Rubrica di Paolo Marizza

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Benessere

e politiche pubbliche

Se la profilatura degli stili sociali, dei gusti, degli interessi e delle passioni dei cittadini consumatori venisse utilizzata non solo a beneficio di logiche di business, ma anche per il bene comune, come cambierebbe la nostra società?

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Come si misura la felicità? Cosa la promuove? Come la si agevola? Queste domande hanno impegnato generazioni di filosofi, sociologi, economisti, scienziati della vita. Alcuni di essi sostengono che sia possibile definire e misurare la felicità e individuare cosa la determina. Le politiche pubbliche secondo loro oggi possono essere più puntualmente orientate e focalizzate nel perseguimento di questo obiettivo. Ma quali sono i criteri con cui valutarne bontà ed efficacia? Ogni buon criterio dovrebbe consentire di misurare gli effetti di diverse politiche, le une rispetto a quelle alternative. Uno di questi criteri potrebbe essere quello di mercato, ovvero la disponibilità a remunerare il servizio fruito. Ma molte politiche sono finalizzate alla produzione di beni pubblici, per i quali è difficile valutare tale disponibilità individuale. Inoltre, su tale disponibilità pesano in modo determinante e sproporzionato le valutazioni di persone e famiglie benestanti rispetto a quelle di altri strati sociali, peraltro sempre più articolati nella frammentazione delle società contemporanee. Il prodotto interno lordo è un’altra misura distorcente: esclude molti aspetti importanti della qualità di vita e dà lo stesso valore a tutti i soldi, indipendentemente dal reddito del destinatario. Bisognerebbe domandarsi perché si utilizzano misure indirette e imperfette di contributi alla felicità quando si potrebbe usare misure dirette. Come hanno sostenuto gli utilitaristi nel 19mo secolo, il più influente dei quali era il filosofo Jeremy Bentham, e come sostengono alcuni utilitaristi moderni, secondo 14

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i quali è possibile definire e misurare la felicità e individuare cosa la determina. Uno dei concetti fondamentali alla base degli studi di economia è il concetto di utilità, intesa come soddisfazione derivante dal consumo di un bene per soddisfare un bisogno. L’utilità è quindi quella soddisfazione, quel benessere che deriva dal soddisfacimento di un bisogno attraverso il consumo di un bene o la fruizione di un servizio. Un bene o un servizio è utile se procura “felicità”, “soddisfazione”. Secondo questo approccio il fine di una società dovrebbe essere quello di massimizzare l’utilità sociale, allo scopo di ottenere “la felicità maggiore per il maggior numero di individui” Ma è evidente che l’utilità è soggettiva e allora qual è il modo per misurarla direttamente? La risposta degli utilitaristi moderni è la self-reported life satisfaction, la “soddisfazione di vita auto-riferita”, che si basa sulle preferenze e sui giudizi delle persone. Ma questo metodo fornisce risultati solidi sugli input rilevanti? Il reddito spiega una piccola parte delle variazioni di felicità; sono le relazioni umane, in particolare quelle che implicano solidarietà, collaborazione e fiducia, che contano. La disoccupazione e la mancanza di progettualità e di aspettative di miglioramento sono d’altro canto tra i fattori più penalizzanti. Ma questi moderni utilitaristi dicono che è il benessere mentale il fattore determinante più importante della soddisfazione del vivere, del benessere. Il miglior predittore di felicità nella vita adulta è il benessere emotivo nell’infanzia e nell’adolescenza. Questo, a sua volta, è determinato dal contesto familiare ed educativo.


Essi affermano che la valutazione della politica fondata sulla creazione di benessere diventerà lo standard per valutare le politiche sociali. C’è da sperare che la sperimentazione di nuove politiche sociali guidate da tali principi diventi la premessa per il cambiamento nell’allocazione di risorse pubbliche. È lecito sollevare dubbi e perplessità al riguardo. Sarà difficile collegare in modo preciso molte scelte politiche al benessere della popolazione. Tuttavia se la convergenza delle nuove tecnologie che abilitano comunicazioni always on, senza soluzione di continuità spazio temporale, se i social networks, la tracciabilità delle interazioni e il monitoraggio di comportamenti d’acquisto e stili di consumo, se la profilatura degli stili sociali, dei gusti, degli interessi e delle passioni a 360 gradi a un livello di analiticità inimmaginabile fino a pochi anni fa, se tutto ciò venisse utilizzato non solo per monetizzare il valore di questa messe informativa a beneficio di logiche di business, ma anche per monitorare i fattori generativi di benessere per il bene comune, il compito sarebbe meno difficile. Un nuovo approccio al benessere collettivo e individuale può essere visto in due modi diversi. Il percorso più ambizioso è quello di riconsiderare tutte le politiche dei governi rispetto al loro contributo al benessere sociale, misurato direttamente alla fonte. Uno più limitato, ma forse più realistico potrebbe invece mirare a spostare le risorse, a margine, verso le aree di spesa/investimento che hanno maggiori probabilità di ridurre le cause di malessere sociale, individuate sempre alla fonte, come ad esempio il disagio psicologico e mentale, e la solitudine.

Ciò che è possibile e realistico auspicare è che si possano identificare in modo relativamente chiaro le determinanti del malessere e anche identificare politiche che potrebbero alleviare il malessere in modo relativamente efficace. In altri termini concentrare le politiche sulla rimozione delle cause del malessere e dei suoi effetti. In alcuni Paesi si sta riflettendo su come questo approccio di fondo potrebbe essere applicato alla revisione quali-quantitativa della spesa pubblica. Le priorità principali potrebbero consistere nell’aumentare le risorse per l’assistenza sanitaria fisica e mentale, nell’investire nel benessere dei bambini nelle scuole primarie e secondarie, nella creazione di nuova occupazione qualificata, nell’assistenza sociale per bambini, disabili e anziani. Non è necessario adottare politiche di più ampio respiro per iniziare a perseguire questo spostamento di priorità verso le attenuazione dei maggiori “danni sociali” fonti di malessere. E dovrebbe essere un obiettivo trasversale alle forze politiche, che dovrebbero concordare su questo come l’obiettivo minimo per la politica in una società civile e in uno Stato garante della riservatezza delle informazioni sensibili e del loro utilizzo per il bene comune.

Paolo Marizza Co-founder di Innoventually e docente DEAMS-UniTS


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VIAGGI E METE

SAN FRANCISCO Servizio e immagini di Federica Maule

Respirando la libertà I quartieri multietnici dove convivono persone provenienti da ogni parte del mondo. Ma anche le strade piene di senzatetto. Alcatraz e il Golden Gate Bridge. La passione per il cibo e l’abuso della marijuana. Viaggio nella città arcobaleno, dove ognuno è libero di essere diverso.

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Anche al calar del sole, il giro sulla piattaforma girevole della cable car di Union Square cattura lo sguardo del turista. Dopo un viaggio aereo allungato dai soliti ritardi e dagli eccessi del controllo documenti, uscendo dalla stazione di Powell St. riceviamo il benvenuto di San Francisco. Un “welcome” speciale visto che, per sbaglio, lungo il tragitto verso l’hotel accorciamo per Tenderloin, il cuore malato della città, il quartiere dei barboni. La vera down town. Così tanti senzatetto in pochi isolati non li avevo visti mai. Gli homeless di San Francisco non conoscono razza, sesso o età. Trovi barboni bianchi e neri, questi ultimi in preponderanza. I più fortunati si accampano con le tende da campeggio e dormono direttamente sui marciapiedi o sotto i ponti stradali. Altri vanno in giro coi carrelli della spesa colmi di cianfrusaglie. Molti sono in carrozzina. Sul volto della maggior parte di loro si legge una disperazione immane. Talmente disgraziati che non chiedono neanche l’elemosina.

Non ti rivolgono la parola, non ti senti in pericolo e non cercano la tua attenzione. È la follia la causa di tutto. Gli homeless a San Francisco sono diversi da tutti gli altri nel resto degli Stati Uniti, perché la maggioranza di loro soffre di seri disturbi psichici. A dirlo, anche se ci vuol poco a notarlo, sono le statistiche del San Francisco Department of Homelessness & Supportive Housing, impegnato a cercare di prevenire fenomeni come questo e ad assistere gli homeless della città. È tardi e cerchiamo un posto dove andare a sederci e mangiare qualcosa. A San Francisco se sei un amante della cucina etnica-asiatica vai a nozze, altrimenti devi aguzzare la vista per trovare qualcosa di alternativo e un po’ più “american style”. È buio, non riesco ancora a cogliere l’essenza della città anche se l’odore persistente di marijuana non ci abbandona mai. Talvolta nauseandomi. Dormo poco, molto poco, nonostante il mio apprezzabile king bed, ma sono puntuale al ritrovo prefissato, pronta ad affogarmi nelle scrambled eggs with bacon, perché il viaggio passa anche e soprattutto attraverso il cibo. Fuori i ragazzi sfrecciano sullo skate, veloci e temerari tra le auto, i tram, i filobus, le biciclette, verso il Financial District tra una salita e una discesa. È venerdì. Ogni città americana che si rispetti non può Sopra in apertura, il Golden Gate Bridge, simbolo della città; di fianco, un homeless di Mission Di-

strict come a Tenderloin. 16

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non avere il suo quartiere finanziario, i suoi alti grattacieli che sovrastano l’orizzonte e creano giochi di specchi e luci tra le grandi pareti vetrate. Ad attirare la mia attenzione è il Transamerica Pyramid con le sue guglie singolari. Persone in movimento, di fretta, caffè in una mano e cellulare nell’altra. Camminiamo veloci sino a scrutare da lontano il famoso Dragon’s Gate che apre il nostro sguardo e il nostro olfatto a una delle China Colazione con pancetta e uova strapazzate Town più antiche d’America. Bancarelle, negozi di frutta, pesce essiccato, ristorantini, ma anche banche e negozi di souvenir riempiono le tante vie dove tutto si mescola e si confonde tra le mille lanterne rosse e le lingue più disparate, perché infondo nella China Town di San Francisco parlare inglese è quasi strano. Ci allontaniamo andando a nord, seguendo la lunga Columbus Avenue. La meta che impongo al mio gruppo è l’incrocio con Broadway Street: lì sorge la famosa City Lights Bookstore, la casa editrice fondata nel 1953 da Lawrence Ferlinghetti e da Peter Martin. “Abbandonate la disperazione o voi che entrate”: così si viene accolti. E io obbedisco. Nel sotterraneo, tra scarichi e mattoni a faccia vi- Lori’s Dinner, tipico locale “American Style” sta, il colore e l’ordine con cui i testi sono posti negli scaffali incantano i presenti facendo crescere il desiderio di leggerli. Perché a North Beach, il quartiere italiano di San Francisco, la poesia è nell’aria o graffita sulle pareti degli edifici. La beat generation è nata e vissuta tra quelle mura, tra quegli scaffali colmi di libri. Il pavimento in legno scricchiola e trapela il vissuto del luogo. Svolto a sinistra per salire la scala annunciata da un “poetry room” impresso su una delle prime alzate. Rimango in silenzio da sola tra i testi dei poeti più famosi al mondo e quella vecchia sedia a dondolo illuminata da un’ampia finestra con impressa la scritta “poet’s chair”. Mi siedo: nessuno mi vede, anche se poeta non sono. “Open books, open minds, In alto l’esterno e in basso l’interno della City Lights open hearts”. Non serve aggiungere altro. China Town e North Beach si confondono e tra Bookstore, fondata nel 1953 i grattacieli spicca il verde di alcune alberature che fanno ancor più risaltare il verde salvia del Sentinel Building. La sua angolazione e posizione fanno percepire come tutto sia nato attorno a lui e dipenda da lui. Motivati da un tempo pazzerello e da qualche goccia di pioggia, decidiamo di prendere la cable car per raggiungere la baia. Uno dei conducenti scherza subito con noi dicendo che non c’è posto… Poi prende velocemente i soldi dei biglietti e ci posiziona all’esterno: un piede in pedana e una mano per appendersi. Prima di partire ci urla “tenetevi forte”. Sul tenersi forte non ha assolutamente torto, forse poteva aggiungere di non sporgersi visto che lo spazio tra il tram più antico al mondo e le macchine parcheggiate è a dir poco irrisorio. Dettagli. Con l’aria tra i capelli e le battute scambiate con il conducente, tra un saliscendi, una manovra e una frenata, raggiungiamo la baia, sino all’ingresso del parco nazionale marittimo di San Francisco, meglio noto come Fisherman’s Wharf. Una colora|

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Suggestivo scorcio di Fisherman’s Wharf

Giù verso la baia a bordo di un cable car Il Sentinel Building tra China Town e North Beach

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ta e inebriante giostra per turisti, che racchiude ancora il suo fascino pur nella mondanità ed eccessività. Profumo di zuppa, la tipica clam cowder, fish & chips e musica assordante. Negozi per turisti, insegne luminose, ma poca gente. Visitare San Francisco a febbraio ha i suoi vantaggi. Camminiamo e raggiungiamo Pier 39 per portare il nostro saluto alla colonia di leoni marini. Sono famosi per stazionare al sole nelle piattaforme loro dedicate. Il sole non c’è, ma l’odore nauseabondo e le violente litigate fra loro per accaparrarsi il posto migliore sono il ricordo che porteremo a casa di questi esemplari. Inizia a piovere. Prendiamo una bus e ci dirigiamo verso Lombard Street, percorrendo gli otto tornanti di una strada diversa dalle altre. Costruita nel 1922, è diventata un simbolo della città; i suoi 400 metri di mattoni rossi le sono valsi il riconoscimento di strada più tortuosa al mondo. Lussuose abitazioni colorate e diversificate affiancano la ripida discesa e fanno percepire la gioia di poterle abitare. Un angolo e una vista meravigliosa della città da lassù o da quaggiù, una volta percorsa, rigorosamente in discesa. Cerchiamo indicazioni per raggiungere nuovamente la baia all’altezza del Ferry Building, vecchio punto di arrivo di treni e traghetti, oggi convertito in un enorme centro dedicato all’arte culinaria, perché San Francisco è anche città rinomata per la sua attenzione al cibo bio e alle nuove tendenze in fatto di food & bevarage. Tra l’assaggio di qualche olio extravergine e di miele mi imbatto in un caffè espresso accettabile e in una bellissima libreria, piccola ma ricca e accogliente. Giusto il tempo per asciugarsi e riprendere fiato. Scende il buio e ci avviamo verso l’albergo, trovando un posto dove mangiare un buon hamburger, lontani da fast food noti e felicemente evitabili. Il mattino seguente il ritrovo è anticipato: dobbiamo trovare un filobus che ci porti direttamente al Pier 32 per salire nell’imbarcazione già prenotata per raggiungere un punto in mezzo al mare ad appena due chilometri dalla baia: l’isola di Alcatraz. L’ex carcere di massima sicurezza al mondo fu chiuso nel 1963 per gli elevati costi di gestione, rimanendo fonte di spirazione per il cinema e non solo. Tutto è lasciato come allora. Tutto accompagnato da quell’odore pregnante di umido, di vecchio, di angusto. Vista dal mare, San Francisco appare ancor più meravigliosa. In lontananza, tra una barca a vela e grossi gabbiani in volo, si intravede il rosso del Golden Gate Bridge. A quella distanza sembra piccolo, quasi assurdo credere si tratti del simbolo di questa città. Ritornati sulla terra ci dirigiamo verso la punta estrema della baia, quasi a toccare l’Oceano Pacifico. Tra il verde del principale parco cittadino (leggermente più grande del celebre Central Park newyorkese), i nostri occhi restano sbalorditi. Ora lo vediamo nitido da vicino nella sua maestosità. E il Golden Gate Bridge ci toglie il fiato. Un’altezza pari a 80 piani, letteralmente sospeso sulle acque agitate dove surfisti temerari sfidano il vento forte. Finalmente il sole, l’azzurro del cielo e quel-


Tacuarembò, la grande sfilata di cavalli

Haight Ashbury, quartiere hippie: vista di un arcobaleno da Alamo Square e graffiti speciali a Mission District

la splendida vernice “arancione internazionale” che spicca e cattura il desiderio di percorrerlo. Si va. Quanto vento, quanto frastuono. Il traffico è veloce e impazzito, ma siamo impegnati a camminare e a osservare le tante persone locali che fanno jogging o semplicemente passeggiano sul loro amato ponte, sperando di toccare il cielo. Arriviamo sull’altra sponda, lasciandoci alle spalle il gigante rosso che si frastaglia tra l’azzurro del cielo e il blu intenso dell’oceano. Sembra che sia lì immobile, a osservarti e forse a rassicurarti. Ogni angolo nuovo è un pezzettino di felicità a San Sopra e sotto due dettagli della prigione di Alcatraz, Francisco, quartieri da scoprire che stimolano la cu- situata sull’omonima isola riosità. Un quartiere “valenciano” pieno zeppo di negozi hipster e di passanti realmente hippy, perché in fondo non sono certo passati di moda… O la meraviglia di una passeggiata tra i murales e i graffiti di Haight Ashbury… O ancora i colori arcobaleno del magnifico quartiere Castro. Magia allo stato puro. Colore, profumo di libertà, gioia e pazzia trapelano e ti avvolgono. L’esagerazione è il pane quotidiano a San Francisco: se mai facessi qualcosa di matto, sicuramente qualcuno avrà fatto qualcos’altro di molto più folle prima di te. Così come la libertà di espressione: ogni murales e graffito racconta una storia, una lotta d’uguaglianza, l’amore per un poeta o l’irrefrenabile de- I colori arcobaleno del quartiere Castro siderio di affermare che nessuno è uguale, che ognuno è unico perché diverso. La diversità vissuta come ricchezza, non solo per le strisce pedonali “arcobaleno”: basta bere una coca cola in uno dei bar più antichi di Castro per comprendere che qui si può essere realmente ciò che si vuole essere. San Francisco, tra le sue colline, le sue case colorate e le sue viste mozzafiato, tra i colori e la vivacità di un luogo dove tutto sembra possibile, rischia gravemente di catturare il tuo cuore. Non so quando, ma ci tornerò. Ho un conto in sospeso. Federica Maule |

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VALENTINA BRESSAN Intervista di Andrea Doncovio

ph. Claudia Guido

PERSONAGGI

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Artista

della vita

Da piccola, quando la prendevano in giro per la erre moscia, lei sognava la Francia. Una terra che raggiunse a 22 anni e che non avrebbe più abbandonato. Lì ora ricopre il ruolo di direttore tecnico dell’Opéra Bastille a Parigi, gestendo quotidianamente 250 persone. «Perché la cultura crea ricchezza». In esclusiva per iMagazine, ci spiega come.

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Quando all’età di 4 anni Valentina Bressan rimase a bocca aperta all’interno del teatro della sua Gradisca d’Isonzo aveva probabilmente già intuito che quel mondo sarebbe stato parte integrante della propria vita. Tanto che oggi, a 45 anni, se le si chiede come potremmo definirla, parafrasando un politico francese risponde senza esitazioni: «Siamo tutti artisti della nostra vita, perché l’arte non appartiene a canoni prestabiliti». Al telefono la sua voce trasmette passione e determinazione. Sentimenti ed emozioni che l’hanno sempre accompagnata, come ci spiega in questa intervista. Valentina, torniamo indietro nel tempo: nel 1996, grazie al Progetto Leonardo della Comunità europea, lei sbarca in Francia. Un Paese già nel suo destino… «Ho sempre avuto la erre moscia e da piccola molti bambini mi prendevano in giro, facendomi soffrire. Così mi dicevo: se vado dove si parla francese mi lasceranno in pace. Per imparare la lingua e scoprire nuove culture avevo anche fatto domanda di ammissione al Collegio del Mondo Unito. Quando seppi di non essere stata accettata fu per 20

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me una grande delusione. Da piccola inoltre praticavo la danza e la lingua ufficiale di questa disciplina è proprio il francese. Così quando si profilò l’opportunità di poter andare in Francia, supportata dalla Comunità europea, non ci pensai due volte. Anche perché i miei genitori non avrebbero mai potuto permettersi di pagarmi un viaggio all’estero di quel tipo». A 22 anni il primo impatto con la Francia come fu? «Arrivare in Francia all’inizio è complicato perché la cultura è radicalmente diversa. A partire da un aspetto a cui non si dà il giusto peso: l’humor. Il modo in cui italiani e francesi ridono è diametralmente opposto. L’italiano quando ride esagera le cose, il francese quando vuole ridere usa il secondo grado, cioè dice l’opposto di quello che pensa. Se tu non conosci il codice resti basito, perché ti sembrano cinici. E questo, per chi non comprende, crea un sacco di conflitti. Imparare l’umorismo di un Paese straniero è una delle condizione essenziali per viverci. E non è una cosa semplice». Anche per questo si è dedicata fin da subito a imparare al meglio la lingua… «In Francia ho cercato di non incontrare italiani, ma di perfezionare la lingua per me stessa. Quando frequentavo l’università a Trieste conoscevo uno stu-


dente libanese che parlava un italiano poco fluido, e tutti facevano fatica a capirlo e parlavano con lui mal volentieri. Io non volevo che i francesi provassero le stesse cose parlando con me, per cui mi impegnai per imparare al meglio la lingua nel minimo dettaglio. Solo comprendendo tutte le sottigliezze di una lingua è possibile integrarsi con facilità». E l’integrazione come fu? «Quando sono arrivata, oltre a una cultura ho scoperto anche il mondo del lavoro e una mia indipendenza: avevo una borsa di studio ogni mese che mi consentiva di essere autonoma. Ci sono stati dei momenti in cui ho sofferto molto, come quando, terminata l’esperienza di studio, mentre cercavo lavoro mi dicevano “puoi sempre tornartene a casa tua”. Ma dopo tanto tempo casa mia dov’era? La casa è dove c’è il tuo cuore e ci sono le tue amicizie». A proposito di lavoro, quali sono state le prime esperienze professionali? «Ho iniziato a lavorare grazie a uno stage da un geometra. Ricordo che l’ultimo lavoro che feci fu il rilievo topografico di un cimitero e lì mi sono detta: non è questo che voglio fare. All’epoca cercavo ancora un lavoro che fosse negli schemi, a cui poter dare un nome preciso, che fosse rassicurante… All’università avrei voluto fare architettura, che però c’era solo a Venezia, così ho fatto dei compromessi scegliendo prima fisica e poi geologia. Arrivata in Francia decisi di mettere in pratica quello che già facevo negli studi, ma poi mi sono resa conto che non faceva per me». Finché un giorno a Montpellier… «Mi ritrovai a fare visita al Teatro dell’Opéra National de Montpellier. Mi capitò di entrare nell’ufficio del direttore tecnico e lì vidi i disegni degli allestimenti degli spettacoli. Fu una folgorazione. Mi dissi: questo è quello che so fare, voglio fare il geometra a teatro. Feci uno stage di sei mesi e da lì iniziò il mio nuovo percorso». Un percorso entusiasmante che l’ha portata a divenire direttore tecnico dell’Opéra Bastille di Parigi. Cosa significa concretamente? «Qua ci sono una ventina di produzioni e 300 rappresentazioni in un anno, di cui sempre tre in contemporanea. Il palcoscenico è uno dei più grandi del mondo. Ogni produzione rappresenta un volume di 12-15 tir, ma possono arrivare fino a 22. Gestisco una squadra di 250 persone tra macchinisti, tecnici, addetti a luci, suono, audio e attrezzeria. Oltre al coordinamento generale di tutti gli spettacoli che si terranno al Bastille. Assieme alla mia squadra lavoro con grande anticipo: in questo momento siamo operativi sugli spettacoli del 2020 e iniziamo a fare quelli del 2021». Come si svolge una sua giornata tipo? «Passo molto tempo a redigere dei documenti nei quali spiego, sintetizzo e comunico i diversi dettagli degli spettacoli a venire. É molto importante che ogni

servizio sia perfettamente al corrente di ciò che stiamo preparando e di ciò che il regista e scenografo desiderano. Partecipo dunque a moltissime riunioni di coordinazione. Nella mia vita professionale mi sono occupata di sicurezza antincendio, regia di scena, creazione di scenografie, gestione del planning e ognuna di queste competenze sono oggi essenziali in tutti questi incontri. In una struttura di circa 1.500 persone la comunicazione è un fattore essenziale di successo. L’edificio è immenso, basti pensare che ci sono circa 33 chilometri di corridoi, per questo preparare ogni mezzo di comunicazione e sintesi è essenziale. L’Opéra Bastille è come un enorme nave e ogni cambiamento o leggera modificazione di rotta deve essere perfettamente organizzato». Riesce a ritagliarsi del tempo libero? «Non ho un cartellino da timbrare, anzi credo che nessuno dovrebbe averlo perché le persone responsabilizzate lavorano molto meglio di quelle controllate. Cerco di gestire il mio tempo per essere efficace. Ci sono stati dei momenti della mia carriera in cui mi sono trovata a gestire così tante cose che mi sembrava di esplodere. A Lione ho scoperto il Metodo Eisenhower su come gestire tante emergenze, distinguendo sempre tra incombenze urgenti o importanti. È essenziale poter preservare le proprie passioni, perché altrimenti diventi matto e se diventi matto poi diventi sgradevole, e se diventi sgradevole poi diventi insopportabile nel contesto lavorativo… Proseguo con la danza a cui dedico un’ora il sabato mattina. Il resto del tempo lo trascorro con le mie due bambine di 5 e 7 anni». In ambito professionale, invece, non solo direzione tecnica; ha infatti collaborato alla creazione di scene e costumi del Mosè d’Egitto: che esperienza è stata? «Per me è stato favoloso poter lavorare con José Yaque, artista cubano di livello assoluto. La creazione è alla portata di tutti: per questo non mi do etichette e non mi sento autorizzata a darle agli altri». Dalla produzione delle opere teatrali alla fruizione da parte del pubblico: quali sono le principali differenze tra Francia e Italia? «In Italia l’opera è frequentata da un pubblico d’élite, in Francia viene invece svolto un lavoro enorme di apertura della cultura al grande pubblico. Questo perché la cultura crea ricchezza: secondo uno studio dell’Opéra di Lione, l’indotto economico vale sette volte rispetto all’investimento iniziale. Basti pensare a quanta gente lavora nell’Opera: ingegneri, costumisti, falegnami, fabbri, ballerini, cantanti… Ci sono tutti i mestieri. Inoltre investire nella cultura significa investire su opere che susciteranno emozioni nelle persone, ampliando i loro orizzonti. Quello che invece succede in Italia con la soppres|

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Valentina Bressan davanti all’ingresso dell’Opéra Bastille a Parigi

sione di enti lirici non è solo drammatico e scandaloso, ma completamente illogico. In Italia c’è un potenziale di gioia e creatività enorme». Se fosse rimasta in Italia avrebbe avuto le stesse opportunità? «Sono convinta di no. In Italia, lavorare in un teatro senza avere una laurea o senza aver fatto gli studi di scenografia sarebbe stato impossibile. Basti pensare che quando sono rientrata dalla Francia per un breve periodo, ho partecipato a un concorso della Comunità europea a Palermo per potermi iscrivere a un corso di scenografia a cui si poteva accedere solo avendo avuto esperienze pregresse: quando sono arrivata e ho presentato tutti i documenti con le mie esperienze svolte in Francia, non mi hanno accettata dicendo che era impossibile che io avessi realmente fatto quanto riportato nella mia documentazione perché non avevo i titoli. Inoltre, in Italia in tanti anni non mi hanno mai nemmeno risposto alle lettere di candidatura». Ormai vive in Francia da vent’anni: si sente più francese o italiana? «Pur non avendone bisogno, ho preso anche la nazionalità francese quando ci sono stati gli attentati terroristici: le mie bambine sono francesi e visto che la Francia era sotto attacco ho deciso di essere in pericolo esattamente come loro. Ma in realtà non sono né italiana né francese. Non sono italiana perché non so più come si vive in Italia. Ma non sono nemmeno francese, perché mi mancano 20 anni di vita: non avrò mai tutte le esperienze culturali, sociali, politiche, musicali... Per cui sono una e l’altra, ma non sono né l’una né l’altra». Torna spesso nella sua terra d’origine?

«Adesso è complicato. Quando rientro è come un pellegrinaggio. Non vengo in vacanza, vengo a rivivere il mio passato. Vengo a Gradisca a trovare la mia famiglia e i miei nipoti. Non ho più tanti affetti: tutti gli amici della mia vita di adulta sono in Francia. Adoro però essere a Grado e vedere la montagna». Cosa le manca dell’Italia che in Francia non c’è? «L’Italia che ho nel cuore è qualcosa che di fatto non esiste: un mix tra film, cucina, incontri con le persone. L’immagine che ho io dell’Italia è un’immagine collettiva di tutte le esperienze vissute negli anni e in luoghi diversi». Qual è invece la cosa della Francia a cui non rinuncerebbe più? «Il senso di nazione. Il senso che lo Stato esiste ovunque. Non c’è un angolo della Francia che non sia Francia. Quando sei in Italia ci sono dei posti in cui ti senti abbandonato. E questa per me è una cosa intollerabile. I servizi pubblici sono uguali, l’accesso alla formazione, alla sanità, alla sicurezza è uguale per tutti i francesi. E il senso di giustizia: la sua efficienza e indipendenza sono la cosa di cui non potrei più fare a meno». La sua è una storia di sfide, evoluzioni, cambiamenti: quali sono gli obiettivi per il futuro? «Nel 2021 cambierà la direzione generale dell’Opéra e so benissimo che la direzione tecnica potrebbe essere tra le prime a saltare. Per ora mi vedo qui, ma dopo chissà… Mi piace però pensare di poter percorrere strade finora mai percorse. Mi piace scrivere: magari lo farò per registi teatrali o cinematografici». Andrea Doncovio |

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VIAGGI E METE

SARDEGNA Servizio e immagini di Michele Tomaselli

La Costa Verde Nel sudovest dell’isola, antichi fenomeni geologici hanno modellato la natura offrendo un territorio ricco di meraviglie. Ma anche di miniere che hanno garantito per anni la sopravvivenza dell’economia locale.

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In un periodo in cui il sentiero del Selvaggio Blu stava raggiungendo la giusta fama, nasceva l’idea di creare un percorso alternativo, nel sud ovest della Sardegna, lungo la selvaggia Costa Verde; un luogo ricco di profumi e colori che preserva la macchia mediterranea più tipica. Qui, tra il mare cobalto e l’entroterra, si trova uno dei litorali più selvaggi e incontaminati della Sardegna; un luogo che racchiude paesaggi mozzafiato e che si contraddistingue per le ampie scogliere, le spiagge dorate, i promontori granitici, le falesie strapiombanti e i deserti di sabbia. Si scorgono lunghi arenili e onde impetuose che in primavera si trasformano e richiamano gli amanti del surf di tutto il mondo. Ma la Costa Verde non è solo il mare, il silenzio e la natura, è la storia del lavoro e dalla fatica di tanti uomini nati e cresciuti attorno alle miniere. In questa zona sono state scritte pagine memorabili di storia mineraria, ne sono testimo-

nianza i monumenti di archeologia industriale, i ruderi dei villaggi e le gallerie dei minatori. Questi insediamenti, che si estendono lungo l’interno e la costa, ospitano ruderi di case, impianti e pozzi, enormi cumuli di materiali di scarto e carrelli arrugginiti e hanno le sembianze dei luoghi descritti nei film western di Sergio Leone. La Costa Verde è singolare per i fenomeni geologici che qui trovano traccia fino a 550 milioni di anni fa. Un tesoro inestimabile che ha dato origine al Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna. Il 17 novembre 2015 l’UNESCO l’ha riconosciuto (anche se inglobato ad altri ambiti minerari) annoverandolo nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità. Il Parco, che si estende da Serbariu a Montevecchio, è stato istituito per tutelare il contesto storico e naturale, nonché per ricordare l’epopea mineraria che per secoli ha contraddistinto l’economia isolana. Una forma di tutela dettata per preservare il contesto geoloSopra in apertura, Masua, il ciclopico faraglione di Pan di Zucchero, alto 132 metri; di fianco,

Piscinas, il carrello sui binari della ex miniera.

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gico e paleontologico che oggi è al centro di numerosi studi scientifici. Uno scenario unico dove vivere intense emozioni e anche il motivo che ha portato il Sentiero della Costa Verde a diventare un trekking molto frequentato. Il percorso inizia nei pressi delle spiagge desertiche di Piscinas e prosegue per oltre sessanta chilometri, lungo antichi camminamenti di pastori e carbonai, sino a raggiungere le località di Masua e Nebida, note per l’ex miniera di Porto Flavia e per una laveria in mattoni e pietra con scorci suggestivi, sul ciclopico faraglione di Pan di Zucchero, alto 132 metri. Il trekking è lungo, ma per chi volesse effettuarlo a pezzi è consigliabile iniziarlo a Buggerru nei pressi della Galleria Henry e del villaggio “fantasma” di Planu Sartu. Al tour non può mancare la visita di Porto Flavia, la straordinaria opera ingegneristica costruita su progetto dell’ingegnere Cesare Vecelli tra il 1922 e il 1924. La sua realizzazione fu conseguenza degli alti costi di trasporto legati al materiale estratto e all’uso di carri, barche a vela (galanze) e alla necessaria manodopera: il motivo che spinse Vecelli a brevettare un nuovo sistema capace di movimentare meccanicamente il minerale. Tale impianto sfruttava speciali carrelli su rotaia che, collegati ad aree di stoccaggio, terminavano la corsa su alcune griglie poste a strapiombo sul mare. Queste ultime aprendosi facevano defluire il materiale sulle stive delle navi che, posizionate al di sotto, una volta caricate, partivano verso il continente. Sebbene la miniera fosse nota già nel 1600, l’inizio dell’attività risale a metà del XIX secolo, mentre è del XX secolo la modernizzazione a impianto industriale. Tuttavia, nonostante l’impiego di oltre 700 maestranze e il passaggio alla società belga de la Vieille Montagne, iniziò una fase di declino che portò alla cessazione dell’attività. Per chi ama i viaggi zaino in spalla, la Costa Verde ha in serbo altre sorprese: come la spiaggetta di Cala Domestica, un fiordo di rara bellezza che si trova a sud di Buggerru. Attraverso una galleria scavata dai minatori si accede a una piccola spiaggia denominata “La Caletta”. Qui il mare ha un colore verde smeraldo, il fondale è riempito da una sabbia finissima e sullo sfondo troneggia una torre spagnola d’avvistamento. Caratteristiche che ne fanno un angolo di paradiso che in passato è già stato utilizzato come location per set cinematografici. Un’altra meta da non perdere sono le dune di Piscinas che ricordano le immense distese sahariane. Alte fino a sessanta metri e modellate dal maestrale, sono formate da spiagge di sabbia dorata lambite da un mare cristallino. Al lido di Scivu si arriva dall’alto, percorrendo una pensilina di legno che poi si affaccia su una delle spiagge più belle e selvagge della Sardegna. Sul bagnasciuga è possibile noleggiare canoe, pattini e gommoni mentre sull’arenile ci sono due chioschi e un servizio di affitta ombrelloni e sdraio. Non molto lontano si può visitare l’antico borgo minerario di Ingurtosu che addietro costituiva una

Spiaggetta di Cala Domestica e, sulla destra, la galleria scavata dai minatori che porta alla piccola spiaggia denominata “La Caletta”.

La spiaggia denominata “La Caletta”.

Spiaggetta di Cala Domestica; sullo sfondo la torre di avvistamento. Nebida, la laveria in mattoni e pietra.

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Ingresso alla miniera di Porto Flavia

Piscinas, uno dei bar realizzati sulla spiaggia. Agriturismo “La Cresta”. Giacomo il bravo cuoco.

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delle miniere più importanti della Sardegna dove si estraevano piombo, zinco e argento. È strano ma fino agli anni ’60 ospitava 6.000 persone; oggi è un villaggio abbandonato. Una passeggiata ci fa scoprire il suo fascino, in particolare rimaniamo colpiti dal bel palazzo denominato il “Castello”, un tempo sede della direzione della miniera. Montevecchio è un altro sito minerario che s’incontra nelle montagne dell’Arburese, fino a cinquant’anni fa costituiva una delle realtà industriali più importanti d’Europa, dando lavoro a più di 2.000 operai. Oggi è una città semi fantasma dove vivono 300 persone o poco più; propone un tuffo nel passato quando uomini e attrezzi scavavano il filone bronzo-zincifero. La storia del giacimento è documentata nel 1628 quando Giacomo Esquirro iniziò le attività di scavo. Viceversa nel 1848 Giovanni Antonio Sanna, dopo essersi aggiudicato la nuova concessione, costruì l’attuale paese. La crisi finanziaria del 1929 colpì duramente la produzione e in seguito, dopo alcuni passaggi societari, si arrivò nel 1991 alla chiusura definitiva. Dopo anni di silenzio, l’impianto è stato riaperto al pubblico proponendo visite guidate ai complessi di archeologia industriale e alla ex palazzina della direzione, oggi trasformata a museo. Altresì offrendo la possibilità di ammirare le abitazioni degli ex dipendenti, l’ex ospedale, gli ex alberghi, l’ex complesso liberty della foresteria e infine le vecchie scuole. Ma per scoprire l’atmosfera di queste terre non c’è cosa migliore che salire su qualche vetta, le montagne dopotutto regalano occasioni per vivere la natura e per godere di panorami inconsueti che ripagano dagli sforzi di salita. Il Monte Arcuentu ne è la conferma: dalla sua vetta si gode un panorama a 360 gradi sull’entroterra e sul tratto di costa. Una cima selvaggia incastonata in una lunga linea di creste vulcaniche che presentano le forme più aspre e strane. Il massiccio risale all’era Cenozoica ed è formato da vere e proprie muraglie di pietra squadrata e liscia. Sull’Arcuentu sopravvive un bosco primario di lecci, inoltre si trovano i resti di un antico maniero. Quello che segue è il racconto della nostra ascensione, un viaggio poi proseguito a Carloforte. Pernottiamo all’agriturismo “La Cresta”. La nostra stanza affaccia sul verde, mentre in lontananza si vede il


mare; la sera, seduti sulla terrazza, godiamo del cielo stellato. Il luogo è selvaggio e regna la pace più assoluta. I gestori Sergio, Lucilla e il figlio Giacomo pensano a tutto rendendo il nostro soggiorno speciale. A colazione Giacomo ci prepara delle torte e dei biscotti e come se non bastasse ci serve la ricotta e la marmellata fatta in casa. Le cene ... beh, quelle sono speciali! Tornando dalla spiaggia mangiamo a tavola con Sergio e Lucilla in un clima molto familiare. Nelle diverse serate ci vengono offerti dei piatti irripetibili, come il capretto Lo splendido Agriturismo “La Cresta” visto dall’alto. allo spiedo, il cinghiale e il cardo selvatico Quest’ultimo una squisitezza che qui Michele Tomaselli in salita verso l’Arcuentu. si serve come antipasto. Sergio è un uomo d’altri tempi che trasuda valori e tradizioni, ci mostra come mungere una pecora o come produrre la ricotta. E mentre ci offre un buon bicchiere di mirto dà prova della proverbiale ospitalità sarda, che in questa famiglia è cosa antica e diffusa. L’indomani, su consiglio di Sergio, decidiamo di salire il Monte Arcuentu alto 785 metri. Dopo aver studiato l’itinerario di salita, percorriamo la mulattiera che ci porta in direzione delle creste. Purtroppo il sentiero non è tracciato e ogni tanto ci fermiamo per mettere qualche “omino” di pietra affinché non ci siano sorprese al ritorno nel caso scendesse la nebbia. Dopo esserci inventati il percorso raggiungiamo l’Arcuentu dove troviamo alcuni altari e un crocifisso in ricordo del frate Nazareno che nell’estate del 1987 si ritirò sulla cima per 15 giorni. Le gambe vengono messe a dura prova ma qui ci aspetta il meritato riposo all’ombra di una diffusa lecceta. La stanchezza lascia posto alla bellezza, appena godiamo del panorama sulle aree minerarie e del lunghissimo tratto di costa. Narrano le leggende che la montagna, dalla cima a forma di arco, non sia altro che la testa di un guerriero proveniente dall’Africa e che proprio quassù sarebbe stato edificato un tempio in onore di Ercole, il famoso eroe ti. Questo patrimonio linguistico affonda le radici nel ’500, quando greco noto per la sua forza. Nel comples- 300 famiglie pegliesi migrarono nell’isola di Tabarca dell’odierna so il trekking è facile e dà la possibilità di Tunisia. Nel 1737 fu chiesto al re di Sardegna, Carlo Emanuele III, osservare cervi e rapaci. di farli rientrare e di destinarli ad alcune isole, tra cui quella di San Per concludere il viaggio visitiamo la Pietro, allora disabitata. Così, quando la raggiunsero, fondarono la cittadina di Carloforte, situata sull’Iso- città di Carloforte. la di San Pietro, a circa 50 km dalla CoMolti studiosi si sono occupati di questa lingua, ma anche il cansta Verde, che assieme alla vicina Iso- tautore Fabrizio De Andrè che proprio qui compose il capolavoro la di Sant’Antioco e altri isolotti fa par- Creuza de mà. La vacanza è finita, inutile dire che la mente è già te dell’arcipelago del Sulcis. Qui si par- alla prossima isola da visitare! la il tabarchino, un dialetto simile al genoMichele Tomaselli vese, ancora parlato dall’87% degli abitan|

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PERSONAGGI

SIMONE MESTRONI Intervista di Margherita Reguitti

Dopo

le preghiere

In un documentario e in un libro ha raccontato i risvolti del separatismo in Kashmir, sul confine tra India e Pakistan. Le giurie di festival cinematografici italiani e internazionali hanno espresso giudizi lusinghieri: il ricercatore e autore friulano ci spiega perché.

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La pacatezza dell’uomo maturo, la competenza espressiva del ricercatore colorate dall’entusiasmo di un giovane amante dei viaggi e curioso di scoprire i fatti e le loro cause, senza temerne la complessità. Il friulano Simone Mestroni, classe 1981, è autore di un importante lavoro sul separatismo in Kashmir, al confine fra India e Pakistan, raccontato attraverso il documentario After prayers (Dopo le preghiere) e il saggio Linee di controllo, edito da Meltemi nel 2018, lavoro pubblicato per il dottorato in Antropologia all’Università di Messina. In questi mesi Mestroni è rientrato a Udine. «Sto trascorrendo l’estate – racconta – in Friuli Venezia Giulia e in giro per l’Europa, impegnato nella presentazione del mio documentario e nella partecipazione a festival di settore. Un’esperienza, quella delle rassegne di film documentari, che mi sta dando soddisfazioni e premi (fra i riconoscimenti più recenti il primo premio al Monselice Etnofilmfest e quello al Festival del documentario di Vienna, ndr)». Questo è un momento particolarmente positivo per la produzione di documentari? «Sì, è un periodo di fermento anche se è sempre molto difficile reperire finanziamenti in quanto c’è molta competizione. Me ne sto rendendo conto in questi giorni in cui sto cercando di reperire fondi per realizzare un documentario che racconti la storia di Sergio Cechet, capitano in ruolo d’Onore dell’Aeronautica 28

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che nel 1982, a causa dello scoppio di una bomba durante la sua attività militare, ha perso la vista. Un evento drammatico, superato impegnandosi nello sport, nell’arte e in molte altre attività». Torniamo ad After prayers: quali sono le motivazioni principali di apprezzamento del film da parte delle giurie nazionali e internazionali? «Direi che viene evidenziato e apprezzato tutto il lavoro etnografico che sta dietro la costruzione della storia. Viene dunque compreso come il lavoro non sia stato fatto mordi e fuggi, ma attraverso una lunga e attenta permanenza sul campo, per arrivare a una conoscenza del background geopolitico e storico del territorio del Kashmir, dove da oltre 70 anni è in atto una guerra. In occasione di una presentazione a Gemona una spettatrice ha fatto un’osservazione informale ma molto interessante descrivendolo tattile: sensoriale e al contempo cerebrale». Una definizione che condivide? «Direi che spiega bene le caratteristiche del mio lavoro, ma è anche una definizione propria della ricerca etnografica. Questo mi ha molto gratificato in quanto evidentemente si riesce ad apprezzare la parte esperienziale assieme alla componente analitica e intellettuale». Come si sviluppa la storia? «Attraverso le narrazioni di gente del luogo che ho incontrato e conosciuto. Da parte mia non c’è una sovrapposizione esplicita con una voce fuori campo: in questo senso mi esprimo di più nella fase del montaggio».


In che lingua è stato girato? «Parte in kashmiri e parte in inglese, a seconda della possibilità dei protagonisti di esprimersi». Come mai ha scelto lo studio di etnografia e antropologia quali strumenti per guardare al mondo e farne un linguaggio espressivo? «Per una serie di coincidenze inconsapevoli manifestatesi alla scelta dell’università, lasciandomi guidare dalla fascinazione, in base alla preponderanza di materie umanistiche nel corso di studi. Con il termine antropologia si intende la materia in senso più teorico, mentre l’etnografia in genere riguarda la ricerca sul campo. Ma buona parte delle mie competenze le ho apprese facendo osservazione partecipante all’interno della società kashmiri, con una particolare attenzione alla questione dei confini, prendendo in considerazione e studiando le dimensioni identitarie, religiose e sociali del conflitto fra India e Pakistan». Un conflitto che ha origini lontane. «Una guerra che si trascina dal 1947, con un aggravarsi della violenza dopo l’insurrezione armata del 1989. Ho analizzato e dato voce a come tutto questo si riverberi all’interno della vita emozionale, del mondo vissuto dalle popolazioni che sperimentano la violenza quotidiana, pervasiva nella situazione sociale condivisa. Generazioni che non conoscono la pace ma solo un perpetuarsi della violenza. Una situazione strutturale, in cui la politica di occupazione indiana viene vissuta sul territorio come forza di occupazione». Su tutto questo ha scritto anche un volume, dal titolo Linee di controllo: genealogie pratiche e immagini nel separatismo kashmiri, che ha presentato in Friuli Venezia Giulia e in Italia e che è testo adottato nelle università… «Nel volume l’analisi etnografica riprende il conflitto da diversi punti di vista. Il focus è la kanijang (le sassaiole), scontri quasi rituali che avvengono il venerdì dopo le preghiere fra i giovani kashmiri e i militari indiani. Un modo con il quale gli adolescenti rievocano la spartizione tra India e Pakistan, quindi l’origine della disputa del Kashmir. Una memoria performata che, quando la situazione politica è più grave, diventa dura e violenta, tanto da essere anche una macchina di martirio. Si crea allora una scissione fra chi considera martiri le vittime dell’esercito indiano e chi li considera agenti del Pakistan o terroristi. Solo saltuariamente la presenza dei media fa rimbalzare in occidente le notizie della questione separatista che caratterizza queste terre». Perché ha scelto il Kashmir per il suo lavoro? «Una coincidenza anche questa. Andai in India per la prima volta a 25 anni, nel 2006. Era il periodo dei monsoni e per evitare la piogge mi diressi verso il Tibet indiano e poi verso il Kashmir, prendendomi la responsabilità di andare in luoghi considerati pericolosi. Lo trovai molto lirico dal punto di vista paesaggistico, ma soprattutto incontrai persone desiderose di raccontare le loro vicende legate al conflitto. Mi chiedevano di raccontare quello che avevo ascoltato al di fuori la vallata. Restai per 15 giorni, ma decisi di tornare per la laurea specialistica, conseguita nel 2009. Mi recai allora nella città vecchia di Srinagar, la capitale estiva dello stato, dove trovai lavoro come apprendista in una bottega d’intaglio. Questo mi ha permesso di im-

parare la lingua e di osservare il tutto da un punto di vista diretto e privilegiato, raccogliendo il materiale per il dottorato, ma anche per il libro e per il documentario». Il libro è corredato da fotografie da lei scattate. Quella di chiusura del testo è molto particolare. «È la foto di Oyoub, il protagonista del documentario e voce importante del libro. Si tratta di uno dei primi guerriglieri che negli anni ’80 ha dato principio all’insurrezione contro l’India. Una storia e una personalità contorte. Negli anni ’90 ha perso la vista mentre preparava un ordigno. È stato lui in pratica la mia chiave d’accesso alla complessità del Kashmir, della quale conosce tutti i retroscena. Era votato al martirio ma solo il caso lo ha fatto sopravvivere, al contrario dei suoi compagni di lotta, tutti caduti in combattimento molto giovani. Lo considero un amico e quando sono in Italia di fatto sento la sua mancanza. Un rapporto che è decisamente proseguito oltre la ricerca». La sua famiglia è venuta in Kashmir? «Sia mio padre Armando che mi madre Antonietta hanno voluto vedere i luoghi dove ho vissuto e lavorato. Sono entrambi viaggiatori ma devo dire che mia madre è “la viaggiatrice doc”. Da lei ho preso il gusto e la curiosità di andare a vedere e conoscere luoghi fuori dal turismo di massa». Quanto tempo ha vissuto sul confine? «Sono stati vari soggiorni ma direi complessivamente 4 anni, spezzettati, durante i quali ho viaggiato anche nel resto dell’India». Quando tornerà? «Presumibilmente in novembre, ma al momento sono molto impegnato nei festival internazionali e nel lavorare a questa storia di Cechet che ha punti di interesse con Oyoub. Due vite cambiate dalla cecità ma proseguite poi in modo intenso, facendo di uno svantaggio una forza, nel tentativo di superare i limiti attraverso gli ideali e la voglia di vivere appieno. Una vocazione condivisa da questi due uomini così lontani e così simili». Margherita Reguitti Foto in apertura Simome Mestroni mentre discute con un asceta in una locanda a Omkareswar, meta di pellegrinaggio induista; sotto, giovani Kashmiri si preparano per gli scontri del venerdì nei pressi della principale moschea di Srinagar.

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PERSONAGGI

LORIS BASSO Intervista di Livio Nonis

Il Duca

del vino

Oltre 40 anni fa nasceva a Cividale un sodalizio attivo in tutto il mondo per promuovere le eccellenze enogastronomiche del Friuli Venezia Giulia. Senza venir meno alla nobiltà della storia.

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Il Ducato dei Vini Friulani è nato il 10 ottobre 1972 a Cividale. La scelta del luogo non è stata casuale. La storica cittadina si trova infatti al centro di una delle zone vitivinicole più rinomate del Friuli, e poiché Cividale fu la capitale del primo Ducato Longobardo, anche per il nuovo sodalizio venne scelto il nome di “Ducato”, per legare fra loro la nobiltà della storia, del territorio e del suo prodotto più importante: il vino. Il merito della costituzione si deve a benemeriti della viticultura, specialisti del settore, intellettuali, artisti e giornalisti, consapevoli che un prodotto di eccellenza come il vino friulano era giusto che venisse fatto conoscere a un pubblico sempre più vasto grazie all’azione di un sodalizio in grado di promuoverne

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l’immagine e di allargare la cerchia degli intenditori che già conoscevano i suoi pregi. È stato così che un nucleo di fondatori, avvalendosi delle straordinarie doti di comunicatori di giornalisti come Isi Benini e Piero Fortuna, hanno dato origine a un movimento di valorizzazione del vino prodotto in regione che è rapidamente cresciuto per importanza e notorietà sia in Italia che all’estero, soprattutto dove più viva era la presenza dei nostri emigranti. Dalla fondazione a oggi, alla guida del Ducato si sono succeduti: Ottavio Valerio, Vittorio Marangone, Alfeo Mizzau, Emilio Del Gobbo, Noè Bertolin (reggente) e Piero Villotta. A quasi 50 anni di distanza si può dire che il Ducato, che ha annoverato e annovera tra le sue fila il Gotha dei produttori, dei ristoratori e di coloro che professionalmente si occupano di vino, ha svolto una funzione di stimolo molto importante con una serie di iniziative che lo hanno imposto all’attenzione degli operatori e della pubblica opinione. Nel 1981 il Ducato dei vini friulani ha tenuto a battesimo Asparagus, un’iniziativa con cadenza biennale ideata per far conoscere un’altra eccellenza agroalimentare del Friuli, l’asparago bianco. Di tutto questo parliamo con Loris Basso – Duca Loris II – attuale presidente del Ducato dei Vini Friulani Quali sono gli obiettivi del Ducato? «Amore per la propria terra, per i suoi prodotti, per le sue tradizioni. Tutte queste sono le caratteristiche per entrare a far parte del Ducato dei Vini Friulani. Questo miracolo di sviluppo non si è verificato per caso, ma solo perché illuminanti imprenditori agricoli, enologi e agronomi di prim’ordine, uomini di cultura e ristoratori hanno voluto e saputo puntare su un prodotto che tro-


Pagina accanto in apertura, da destra il Segretario Generale Sandro Salvin, Eduardo Baschera - Presidente della Sociedad Friulana di Buenos Aires, il Duca Loris Basso, Giovanni Chialchia - Presidente Famee Furlane di Castelmonte, Rodolfo Rizzi - Presidente Assoenologi e il Nobile Lorenzo Urbani. In basso, il Duca Loris II alla presentazione del Ducato presso l’Istituto Italiano di Cultura. Qui a fianco, la delegazione presso il Fogolâr Furlan di Montevideo, con il Presidente della locale Famee Furlane, Bernardo Zanier (terzo da destra).

va qui, in questo lembo di terra che va dal Carso al Livenza attraversando tutto il Friuli, condizioni ambientali uniche». Grazie alla vostra attività i prodotti del territorio vengono promossi in Cina, Argentina, Uruguay e altri Paesi. Come sono i riscontri? «Proprio per l’esigenza di iniziare a fare conoscere il prodotto dei nostri vignaioli anche fuori dai confini nazionali e dalle richieste che gli amici friulani sparsi nel mondo facevano, i contatti con i Fogolârs Furlans si dimostrarono fin da subito un’occasione unica. Ecco allora nel 1975 la prima trasferta in Canada, a Toronto, in occasione dell’inaugurazione della casa de Famee Furlane a istituire la prima Contea del Ducato e a nominare ambasciatore l’indimenticabile Primo De Luca, quindi nel ’77 in Argentina, nel ’79 in Sudafrica, nell’80 in Australia e poi negli Stati Uniti… Così sono proseguiti i rapporti e lo scambio di esperienze con gli amici friulani nel mondo. Fino ad arrivare all’istituzione delle Contee presso i Fogolârs Furlans di La Valletta a Malta, di Pechino, di Montevideo, per concludere lo scorso mese a Buenos Aires, in progetti di re-incontro della friulanità, con la collaborazione dell’Ente Friuli nel Mondo, in eventi di presentazione della produzione vitivinicola del FVG. Il vino anche in queste occasioni si è dimostrato icona culturale e identitaria rappresentativa della nostra regione, non solo per la produzione di qualità, ma anche come simbolo di incontro fra persone, in particolare in quei Paesi dove grande è la presenza di emigrati friulani ma l’eccellenza enogastronomica nostrana è pressoché sconosciuta. Interessante il confronto guidato dal Nobile dei vini Rodolfo Rizzi, presidente degli Assoenologi FVG, fra i vini autoctoni, a iniziare dal Tocai, come viene ancora chiamato da “loro”. Diverso il discorso per quanto riguarda la Cina. Il vino italiano, soprattutto nella sua dimensione di prodotto culturale, trova attualmente in questo grande Paese un clima di vivo interesse». Quali sono le iniziative per educare i giovani a bere in modo corretto? «Particolare attenzione e impegno del Ducato è rivolto ai giovani, futuri consumatori con un progetto a loro dedicato: Educazione al bere consapevole. Questo

format è l’attività che più ha caratterizzato il Ducato in questi ultimi anni, articolato in una serie di incontri riservati agli studenti universitari in collaborazione con la Fondazione Renati a Udine e a Gorizia, e sostenuti dalla Fondazione Friuli. Nel corso di tali incontri i vignaioli guidano i giovani nella degustazione dei loro vini, di cui illustrano il metodo di produzione e le caratteristiche organolettiche e sensoriali al fine di farne comprendere non solo la piacevolezza, ma anche il valore nutritivo e l’aspetto salutistico. I vini in assaggio sono abbinati a cibi del territorio friulano, presentati dai produttori, rientrando tra le finalità di questa iniziativa non solo quella di dissuadere i giovani dall’assunzione smodata di sostanze alcoliche nocive, ma altresì di avvicinarli al consumo dei prodotti locali nel contesto dell’acquisizione di sane abitudini alimentari». Il vino e l’asparago sono prodotti doc e rappresentano l’eccellenza agroalimentare della nostra regione. Che iniziative attuate per promuoverli? «Non solo vino ma anche educazione al cibo, conoscenza e valorizzazione dei prodotti tipici come l’asparago, il tartufo di Muzzana, presidi slow food e così via. Durante l’anno vengono organizzati diversi incontri tematici (Diete) dove viene proposto il corretto abbinamento vino/cibo. Attraverso Asparagus, il Ducato dei Vini Friulani e gli esponenti della migliore ristorazione della regione, presentano una proposta culinaria con intendimenti anche culturali a difesa di usi, consumi e tradizioni». Attualmente il Ducato è guidato dal Duca (presidente) Loris II – Loris Basso assieme ad altri nobili, che formano la Corte Ducale (consiglio d’amministrazione): Alessandro Salvin – Segretario Generale, Paolo Abramo, Gianni Bravo – Araldo, Diana Candusso, Mirella Della Valle, Claudia Iannis – Cerimoniera, Gianni Ottogalli, Renata Qualizza –Tesoriere, Rodolfo Rizzi e Fabiana Romanutti. Con loro anche i maestri dei conti, Federico Bravin, Michela Domenis, Claudino Verdimonti, Paolo Di Lenarda, Enrico Furlan, con un’intensa attività di promozione sempre più culturale. Livio Nonis |

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PERSONAGGI

PAOLO GROPUZZO Intervista di Andrea Doncovio

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Dialogo

e concretezza

Dallo scorso febbraio è il nuovo Questore di Gorizia. Tra le criticità del presente e le sfide del futuro, l’ex comandante dell’antiterrorismo in Italia si racconta per iMagazine.

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Seduto nel suo ufficio al primo piano della sede di piazza Cavour a Gorizia, il questore Paolo Gropuzzo ha sempre l’occhio vigile, pronto a captare ogni evoluzione accada attorno a lui. Da pochi mesi il capoluogo isontino è la sua nuova base operativa: un territorio che lui – originario di Trieste – conosce bene. «Nel mio precedente incarico alla Polizia di Frontiera – afferma – avevo responsabilità sull’intera area del Triveneto, con riferimento anche all’aeroporto di Ronchi dei Legionari per il controllo delle frontiere aeree e a Gorizia per il controllo delle frontiere terrestri. Inoltre sono un appassionato di storia con alle mie spalle alcune iniziative editoriali sulla Prima guerra mondiale, indissolubilmente legata a questi luoghi». Al suo arrivo che contesto ha trovato? «Gorizia è all’apparenza una città tranquilla al confine dell’impero, con importanti potenzialità socioeconomiche, storiche, architettoniche, enogastronomiche, turistiche e paesaggistiche. Dal punto di vista criminale questo resta un territorio in cui avvengono diversi traffici, ma quasi mai stanziali. Anche la questione immigrazione, di cui si era molto discusso negli scorsi mesi e che a livello globale interesserà anche gli anni a venire, è attualmente sotto controllo». Focalizziamoci sulla Questura goriziana: quali sono a suo avviso i punti di forza e quali quelli da migliorare della struttura che lei è stato chiamato a dirigere? «Come in tutta Italia, l’età media dei poliziotti è molto alta. Una problematica destinata ad avere diverse conseguenze anche in futuro, visto che numerosi 32

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agenti stanno per andare in pensione e non potranno essere tutti riassorbiti dalle figure che usciranno dai nuovi corsi. Quello che invece mi colpisce positivamente è la passione, l’entusiasmo e la capacità di “fare il mestiere” da parte degli uomini e donne di questa questura. La voglia di spendersi a supporto della popolazione è sempre massima, così come la volontà di fornire risposte efficaci. E questo vale in tutti i settori di competenza della Polizia. Tuttavia, ritengo che, a livello di organico, siamo ormai al limite fisico della capacità di poter essere all’altezza in tutto quello che dobbiamo fare». Sul territorio quali sono le principali criticità? «Quello isontino è un territorio variegato. Monfalcone, per esempio, è una realtà in costante crescita. Se da un lato, nonostante l’incidenza numerica della popolazione straniera, il contesto in termini di sicurezza è ampiamento sotto controllo, dall’altro lato lo sviluppo crescente della città rischia di attrarre attività potenzialmente in grado di muovere denari illeciti da inserire nell’indotto economico, anche attraverso appalti o investimenti apparentemente legittimi, ma che nascondono operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Sempre in tema di sviluppo economico – e questo non vale solo per la provincia di Gorizia ma per tutta la regione – lo sviluppo del nuovo porto di Trieste genererà un importante volano economico, sui cui flussi di denaro e attività correlate bisognerà vigilare per evitare che trovino spazio realtà criminali. Senza sottovalutare altri fenomeni». Ad esempio? «La diffusione della droga tra i giovani e giovanissimi. Un fenomeno sempre esistito, come posso confermare dalla mia esperienza nell’Antidroga a Milano mol-


ti anni fa, solo che rispetto al passato l’attuale fascia giovanile sembra non possedere gli strumenti per discernere sui rischi reali, divenendo così molto fragile e vulnerabile. Esistono casi di quattordicenni che acquistano la droga in cambio di prestazioni sessuali: considerano il proprio corpo come un bancomat e lo fanno con una naturalezza e una disinvoltura che mi preoccupa, anche per il rischio di uno sgretolamento di determinati valori». Senza peraltro scordare che quella goriziana è una provincia anagraficamente anziana… «Anche questo è un aspetto di cui teniamo conto, cercando di porre molta attenzione sui fenomeni come furti e truffe nei confronti degli anziani. In questo caso è importante che la gente impari ad autotutelarsi, facendo più attenzione e avendo maggiore cautela nel rapporto con le persone». Da anni in Italia esiste una forte discrepanza tra sicurezza reale e sicurezza percepita dai cittadini. Secondo lei cosa andrebbe fatto che migliorare anche la percezione? «Adottare semplici accorgimenti potrebbe già essere efficace: da un lato le forze dell’ordine dovrebbero rendersi maggiormente visibili in determinati contesti, come per esempio accendere sempre le luci sulle auto di notte: molte volte le pattuglie perlustrano le strade, ma la gente non se ne accorge. Dall’altro lato dobbiamo continuare a informare e a coinvolgere i cittadini, spiegando loro come eludere potenziali rischi, renderli partecipi sui risultati ottenuti dall’attività di polizia, informarli sul fatto che vi sono numerosi strumenti per tutelarsi in maniera legittima. Infine, ma non meno importante, promuovere un punto di vista collettivo di empatia tra abitanti dello stesso quartiere o di luoghi limitrofi della città. Attivare in pratica una condivisione costante con la popolazione e tra la popolazione». Se le fosse concesso di veder esaudita una sua sola richiesta per migliorare la struttura che lei dirige, quale richiesta farebbe? «La risposta più semplice sarebbe quella di maggior personale. Ma farei una aggiunta: personale di qualità. Purtroppo il mancato reinserimento negli anni di forze nuove sta facendo venir meno un passaggio fondamentale: quello nel quale gli agenti più anziani trasmettevano ai nuovi le proprie esperienze e competenze consolidate in anni di attività sul campo. Cose che non si possono imparare nei corsi ma che rappresentano il distillato di quanto vissuto durante l’intera carriera. Il supporto organico è sicuramente importante, ma anche avere persone formate e preparate è altrettanto indispensabile. Persone competenti sono l’esigenza primaria». Chiudiamo con uno sguardo sul futuro: quando lascerà l’incarico di questore a Gorizia come le piacerebbe essere ricordato? «Chi collabora con me ogni giorno avrei piacere che mi ricordasse per essere riuscito a far funzionare un gruppo di persone in modo efficace e funzionale, ma anche in modo umano. La popolazione, invece, vorrei che si ricordasse di me come una persona con cui si poteva dialogare, un questore vicino alle problematiche reali e concrete della comunità». Andrea Doncovio

Da sinistra il questore Gropuzzo con il direttore di iMagazine, Andrea Zuttion: da ormai 13 anni la Questura utilizza la nostra testata per diffondere comunicazioni di pubblica utilità per i cittadini attraverso una propria rubrica sul free press più diffuso in Friuli Venezia Giulia.

Paolo Gropuzzo (in apertura) nasce a Trieste nel 1960, frequenta le scuole e l’Università nella sua città dove si laurea nel 1986. Svolge il servizio militare come Ufficiale di complemento nell’Arma di Artiglieria dal 1987 al 1988. Nello stesso anno, vinto il concorso pubblico per Funzionario della Polizia di Stato, inizia la carriera svolgendo il corso di formazione a Roma. Assume il primo incarico nel 1989, nel Primo Distretto di Polizia presso la Questura di Milano. Dal 1990 al 1996 dirige varie Sezioni nella Squadra Mobile di Milano tra le quali la Sezione Antidroga e Antirapine. Nel dicembre del 1996 viene destinato a dirigere la Squadra Mobile della Questura di Verona che guiderà sino al gennaio del 2001, quando viene richiamato a Roma dove ricoprirà svariati incarichi direttivi nel Servizio Centrale Operativo (S.C.O.) della Direzione Centrale della Polizia Criminale, organo di coordinamento e supporto a tutta l’attività investigativa nazionale. Nel 2003 viene nominato Comandante del Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (N.O.C.S.), il gruppo speciale della Polizia di Stato, le cosiddette “teste di cuoio”. Nel 2004 viene promosso Primo Dirigente della Polizia di Stato, continuando a condurre il N.O.C.S. per più di dieci anni sino all’ottobre del 2013, quando viene nominato Vicario del Questore di Trieste, rientrando nella sua città natale. Promosso alla qualifica di Dirigente Superiore della Polizia di Stato, dal luglio 2017 dirige la IV Zona di Polizia di Frontiera, con competenza sulle frontiere terrestri, marittime ed aeree del Triveneto (porti di Trieste e di Venezia; aeroporti di Ronchi dei Legionari, Venezia, Treviso, Verona; frontiere terrestri di Trieste, Gorizia, Udine e Brennero). Nel corso della sua carriera ha frequentato numerosi corsi di specializzazione tra i quali uno da “Negoziatore” presso l’ F.B.I (U.S.A.) e uno per Comandanti di unità Antiterrorismo in Israele. Dal 1° febbraio 2019 è Questore della provincia di Gorizia. |

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I N T E R C E T TA Z I O N I E R E G I S T R A Z I O N I

D I R I T T O

Mi minacci? Ti registro…

Rubrica a cura di Massimiliano Sinacori

Registrare di nascosto le conversazioni tra privati è lecito? Ecco entro quali limiti.

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Siamo abituati a vivere in un contesto dove molto di ciò che facciamo lascia una traccia: dalle ricerche su internet ai post sui social, tutto è tracciato e tracciabile, tutto lascia un segno e può riemergere anche molto tempo dopo. Paradossalmente, proprio i momenti di cui vorremmo avere traccia rimangono senza prova: quando subiamo un’ingiuria, una molestia, un torto, un comportamento illecito di terzi. Mille sono gli esempi che si potrebbero fare per descrivere situazioni in cui qualcuno ha pensato “se solo avessi registrato o filmato l’accaduto!” In realtà oggi praticamente tutti abbiamo un registratore in tasca: il nostro smartphone. La domanda allora diventa: se con il cellulare registro il vicino che mi minaccia e sulla base di quelle registrazioni vado dai Carabinieri, non è che rischio qualcosa per aver registrato di nascosto? Pensando al rigido regime che vincola le intercettazioni telefoniche ver|

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rebbe da pensare che, se è estremamente circoscritta la possibilità di intercettare per la Polizia Giudiziaria, a maggior ragione lo sarà anche per il privato cittadino. In realtà le intercettazioni telefoniche sono degli strumenti a disposizione del Pubblico Ministero e, in sua vece, della Polizia Giudiziaria, per ricavare elementi che consentano di verificare l’ipotesi di reato su cui sta indagando. Trattandosi di un’ingerenza dello Stato nella vita privata di un cittadino, esse devono essere rispettose dai principi costituzionali posti a tutela del corretto svolgersi del processo penale. In uno Stato di diritto, dove l’indagato è “innocente fino a prova contraria”, deve poter confidare che se si indaga su di lui c’è un giudice che garantisce la correttezza e la legittimità di tali indagini. L’intercettazione è tale solo se effettuata da un soggetto che intende conservare prova di un colloquio tra terze persone. Se queste, in massima sintesi, sono le intercettazioni, è chiaro che il privato cittadino che registra il suo interlocutore ri-


entra in ben altro schema come afferma anche la Corte di Cassazione penale, sez. II, che con sentenza n. 50986 del 2016, mette ben in evidenza la differenza tra intercettazione e registrazione fonografica tra privati. Di recente la Corte di Cassazione penale, sez. VI questa volta, con sentenza n. 1422 del 2017 ha ribadito l’ormai consolidato principio secondo il quale “La registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa della persona offesa dal reato, costituisce prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen., utilizzabile in dibattimento”. In altri termini se il vicino di casa si rivolge a voi con improperi, magari minacciando di fare del male a qualcuno, ecco che allora la registrazione fatta con il vostro smartphone diventa spendibile nel processo. Attenzione però: la possibilità di procedere a registrare, anche di nascosto, le persone che interloquiscono con noi è, e deve essere, finalizzata alla tutela di un diritto proprio e non può certo essere utilizzata per raccogliere informazioni da diffondere per interesse o per dispetto.

Anche qui la Corte di Cassazione penale, sez. III, pronunciatasi con il provvedimento n. 18908 del 2011, non lascia molti margini di interpretazione: “Integra il reato di trattamento illecito di dati personali (art. 167, d.lg. 30 giugno 2003, n. 196) il diffondere, per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, una conversazione documentata mediante registrazione”. Attenzione dunque a utilizzare gli strumenti del diritto secondo la loro funzione per evitare di incorrere in spiacevoli conseguenze. Volendo, in massima sintesi, ricapitolare i punti essenziali di questo elaborato, potremmo dire questo: registrare una conversazione alla quale state partecipando, allo scopo di tutelare un vostro diritto è lecito, non lo è invece il diffondere, per scopi diversi, le conversazioni che avete registrato.

Massimiliano Sinacori Per approfondimenti ed esame di alcune pronunce e della casistica in materia è possibile rivolgere domande od ottenere chiarimenti via e-mail all’indirizzo:  massimiliano@avvocatosinacori.com


P R E S TA Z I O N A L I O R I C R E A Z I O N A L I

Quotidianità drogata

Per essere sempre al top nel lavoro o per lasciarsi andare allo sballo nel tempo libero. L’utilizzo di sostanze stupefacenti è in espansione in tutte le fasce della popolazione. Con rischi sociali e sanitari molto gravi.

S O C I E T À

Quando si parla poco di un fenomeno il rischio maggiore è quello di derubricarlo nella normalità delle cose. Ecco perché mantenere i riflettori accesi sull’uso crescente delle sostante stupefacenti all’interno della nostra società è e resterà sempre un dovere.

Rubrica a cura di Andrea Fiore

Prestazionali o ricreazionali

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Prima di tutto definiamo i confini del nostro ragionamento, spiegando di cosa stiamo parlando. Con droghe prestazionali, di cui la cocaina è quella più nota e richiesta, si intendono quelle sostanze che vengono sempre più spesso utilizzate da professionisti che, per reggere i ritmi pressanti del loro lavoro, cercano aiuti che garantiscano un aumento delle proprie prestazioni. Con droghe ricreazionali, invece, si fa riferimento a quelle sostanze – in questo caso la più nota e richiesta è l’ecstasy – utilizzate per raggiungere lo sballo nel tempo libero, con l’intento di aumentare il proprio divertimento.

Il mondo sottosopra

L’assunzione di droghe per fare cose apparentemente normali come lavorare o divertirsi già di per sé dovrebbe far scattare l’allarme rosso a livello so-

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ciale. Invece non solo il mondo della comunicazione latita in questo contesto, ma talvolta addirittura lo avvalla in maniera più o meno inconscia. E così il messaggio latente che ormai passa nella nostra società è che l’utilizzo di queste sostanze in fin dei conti è un divertimento e che ognuno è libero di divertirsi come gli pare.

Il conto prima o poi arriva

Pensare che l’assunzione di queste sostanze sia eventualmente un problema dei singoli utilizzatori è quanto di più sbagliato si possa credere. Perché, per esempio, se un chirurgo per aumentare le proprie performance lavorative facesse ricorso all’assunzione di cocaina, la sua lucidità non rischierebbe di venir meno solo nella sua sfera privata, ma anche durante un’operazione. E se il paziente sotto i ferri in quel momento fossimo noi? Per il prossimo esempio, invece, utilizzo dati statistici a dir poco preoccupanti. Tra i giovani e giovanissimi che praticano sport sono in sensibile aumento problemi cardiologici che si verificano nell’evoluzione dell’attività agonistica. In numerosi di questi casi si è scoperto che i ragazzi coinvolti erano utilizzatori di sostanze stupefacenti. A conferma di come qualsiasi droga produca danni importanti all’interno degli organi-


smi in via di sviluppo. Contribuendo a formare individui adulti con problematicità di salute.

Il cane che si morde la coda

L’aumento dell’utilizzo di queste sostanze stupefacenti, casistiche alla mano, è maggiormente diffuso tra la popolazione adulta. Un aspetto che non solo contribuisce alla crescita economica del giro d’affari della droga, con inevitabile rafforzamento del mercato e di coloro che guadagnano da questo sistema, ma contribuisce anche allo sfaldamento di un reale contrasto al fenomeno. Se sempre più adulti diventano utilizzatori di sostanze stupefacenti, come potranno essere a loro volta educatori efficaci nei confronti dei propri figli sul tema del contrasto alla droga e su quello della prevenzione? Le conseguenze di questa situazione sono facilmente intuibili. Anche per questo l’assenza di un reale contrasto al fenomeno, ma anzi la sua continua crescita e diffusione, rappresenta un problema di proporzioni inimmaginabili, del quale nei prossimi anni pagheremo a caro prezzo le conseguenze.

dott. Andrea Fiore

Medico delle FarmacoTossicodipendenze, psichiatra andrea.fiore@imagazine.it


VENE E ARTERIE

Come funziona il cuore?

Rubrica a cura di Lorella Dreas

C A R D I O L O G I A

Prima puntata di una serie speciale dedicata al cuore e alla sua salute. Perché senza il suo battito, gli organi del nostro corpo possono vivere per poco tempo.

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Il cuore è sempre stato sentito come un organo più nobile e prezioso rispetto agli altri, ritenendolo addirittura sede dei sentimenti o della nostra dimensione spirituale. Ma dal punto di vista scientifico è meritata tutta questa importanza? Il cuore è fondamentalmente una pompa. È una cavità nella quale entra ed esce il sangue. Il suo compito è farlo circolare, al fine di far arrivare a tutto il corpo l’ossigeno e le sostanze nutritive indispensabili alla vita. Per svolgere al meglio questo lavoro, la natura l’ha progettato con un materiale speciale che è di fatto un muscolo, ma con caratteristiche particolari che lo distinguono dagli altri muscoli, quelli destinati al movimento. Sia il muscolo motorio che quello cardiaco si attivano in seguito a un impulso nervoso. Nel primo caso però l’impulso deve essere volontario, nel secondo è automatico. Non solo: il muscolo cardiaco è dotato di un sistema di sicurezza: se si guastasse l’“impianto elettrico” è in grado di generare autonomamente degli impulsi che garantiscano delle pulsazioni, meno efficaci ma sufficienti per la sopravvivenza. Un’altra differenza fra i due tipi di muscoli è che quello destinato al movimento può essere più o meno allenato ma ha comunque bisogno di periodi di riposo, mentre quello cardiaco, non potendo fermarsi mai, è congegnato per “riposarsi” solo fra un battito e l’altro. Abbiamo detto che il compito del cuore è far arrivare il sangue ossigenato a tutti gli altri organi. I canali di trasporto del sangue ossigenato si chiamano arterie. Il sangue ossigenato è di colore rosso vivo. All’interno del sistema arterioso c’è una certa pressione (che |

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è esattamente quella che misuriamo quando diciamo che “misuriamo la pressione”) necessaria per “spingere” il sangue dal cuore alla periferia. Proprio a causa di questa pressione se, in seguito a una ferita, si provoca una lesione arteriosa, la perdita di sangue è molto grave e può provocare la morte in breve tempo se non si arresta immediatamente. Dopo aver consumato l’ossigeno dagli organi esce sangue de-ossigenato, che ritorna al cuore attraverso dei canali a bassa pressione (le vene). Il sangue deossigenato è scuro. In relazione alla bassa pressione, è molto più facile arrestare un sanguinamento venoso. Una volta arrivato al cuore, il sangue viene inizialmente pompato nei polmoni dove si ri-ossigena, dai polmoni ritorna al cuore e quindi di nuovo alle arterie. Ma come fa la circolazione del sangue a mantenere sempre la stessa direzione? Questo grazie al fatto che il cuore non è in realtà una pompa unica, ma due: il cuore destro e il cuore sinistro, che non hanno nessuna comunicazione fra di loro. Il cuore destro riceve il sangue dalle vene e lo manda ai polmoni. Il cuore sinistro riceve il sangue dai polmoni e lo manda agli organi. A evitare che a ogni contrazione cardiaca il sangue torni indietro anziché andare avanti ci sono le valvole: due per il cuore destro (valvola tricuspide e valvola polmonare), due per il cuore sinistro (valvola mitrale e valvola aortica). La valvola tricuspide e la valvola mitrale si chiudono quando il cuore si contrae (la cosiddetta “sistole”) evitando il ritorno del sangue nel sistema venoso o nei polmoni. Le valvole polmonare e aortica si chiudono nella fase di “riposo” fra un battito e l’altro (la “diastole”) evitando il ritorno nel sangue dai polmoni al cuore e dalle arterie al cuore. Infine, l’impianto elettrico. Il cuore è dotato di un sistema in grado di generare circa 100.000 pulsazioni al giorno, per tutta la vita. Ma l’impianto, pur essendo autonomo, non è isolato. Infatti il cuore, come abbiamo detto, deve garantire l’apporto di ossigeno a tutti


gli altri organi. Ma il fabbisogno di ossigeno non è sempre uguale: quando dormiamo consumiamo molto meno ossigeno di quando conduciamo un’attività fisica, e tanto più è intensa l’attività fisica tanto più il consumo è elevato. Ebbene: l’impianto elettrico del cuore è in grado di ricevere dal corpo il messaggio che c’è bisogno di aumentare la fornitura di ossigeno e reagisce prontamente aumentando i battiti. Ma come fa il cuore a nutrire se stesso? Il sangue che a ogni pulsazione viene inviato alle arterie si dirige anche verso le arterie che irrorano il cuore, le arterie coronarie. Anche le arterie che nutrono il cuore hanno qualcosa di speciale. Se davanti a una situazione d’emergenza, di pericolo di vita (per esempio un’emorragia) tutte le arterie si restringono per “risparmiare” il sangue rimasto e obbligando gli organi a ridurre i consumi, le arterie che nutrono il cuore sono esentate da questo meccanismo, anzi, aumentano l’efficienza proprio perché al cuore spetta mantenere in vita tutto il resto e proprio in condizioni critiche deve poter funzionare al massimo. Tornando quindi alla domanda iniziale, è scientificamente fondato considerare il cuore un organo speciale? Diciamo che possiamo considerarlo come un capofamiglia che gode di diversi privilegi, ma da cui dipende la sopravvivenza di tutti gli altri. Senza il battito cardiaco gli organi possono sopravvivere per poco tempo. Il cervello, che è il più sensibile, solo per pochi minuti. Dott.ssa Lorella Dreas Cardiologa


PERSONAGGI

GIANNI MARAN Intervista e immagini di Claudio Pizzin

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Il giostraio

dell’arte

Da piccolo, mentre i suoi coetanei giocavano a calcio, si rifugiava nel disegno. «Se non fossi nato a Grado sarei una persona diversa». Dall’incontro con Aldo Marocco a quello con Biagio Marin, una storia fortemente legata alla propria città: «Mi sento isolano, ma mai isolato»

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Pittore, scultore, regista: Gianni Maran come si definirebbe? «Sono stato sempre attratto da tutte le forme d’arte, ho frequentato il teatro che per me è il contenitore d’arte più completo, poi l’arte figurativa con la pittura e la scultura, ma amo la musica – immancabile quando lavoro, adoro Mozart – mi piace il jazz, il cinema, la letteratura, la poesia. A una domanda analoga, in passato mi definii un giostraio dell’arte. Ecco, questa è la definizione perfetta: sempre in movimento, non sopporto la sedentarietà della mente». Partiamo dal primo amore, la pittura. Come scoccò la scintilla? «Sin da bambino riuscivo a ottenere buoni risultati con le matite e mi rifugiavo nel disegno per fuggire alla mia inadeguatezza calcistica. Penso che sia nato così, perché così doveva essere». Dagli inizi sotto la guida di Aldo Marocco all’incontro con Biagio Marin: in che modo queste due figure hanno influito sulla sua formazione artistica? «La prima persona che mi ha formato artisticamente è stato Aldo Marocco. Ho avuto la grande fortuna di conoscerlo da bambino: Aldo frequentava la mia famiglia e cercavo sempre di imitare le sue gesta artistiche, ma era un gioco che poi si è trasformato in una passione e non immaginavo che potesse successivamente diventare il mio lavoro. Con Biagio Marin la frequentazione è principalmente con la sua poesia che mi ha dato mol40

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tissimo per la mia formazione. Biagio l’ho incontrato agli inizi degli anni ottanta e fu una rivelazione». Il suo ultimo progetto pittorico si intitola Semo una carne sola: come si è sviluppato? «Si tratta di una mostra voluta dalla Regione Friuli Venezia Giulia, che è stata inaugurata a Roma nel 2017, per poi essere allestita nel mese di novembre dello stesso anno a Bruxelles. Nel 2018 è approdata a Grado nella sala espositiva della Casa della Musica del Comune. In questa mostra ho voluto realizzare un percorso dove la poesia mariniana si fonde con il mio lavoro, tanto da ricevere il patrocinio scientifico del Centro Studi Biagio Marin». Grado e il suo mare quanto sono importanti nella produzione artistica di Gianni Maran? «Io sono certo che sarei un’altra persona se non fossi nato a Grado. La mia isola mi ha insegnato ad amare la poesia, mi ha sempre affascinato per i suoi colori e principalmente mi ha dato la possibilità di continuare a sognare, e di sentirmi un isolano, ma mai isolato». A proposito di mare, la sua mostra Pesca miracolosa inaugurata nel 2015 a Trieste parla di acqua in senso lato… «Il soggetto della mostra non viene rappresentato perché io sono gradese e figlio di pescatori, ma lo trasformo in uomo e racconto così storie di uomini utilizzando il simbolo religioso più antico della storia: il pesce, che è sempre stato simbolo di vita e di fertilità. Poi l’ambientazione dell’acqua mi porta a omaggiare la grande madre, senza la quale noi non esisteremmo».


Risale agli anni ’90 il suo incontro con Mauro Manuel Musiani e la scoperta della ceramica e della lavorazione del vetro. Come mai questo cambiamento? «Rispondo con un pizzico di malinconia. Mauro Manuel Musiani è stato per me un caro amico e un ineguagliabile maestro, che mi ha portato ad amare la ceramica e il vetro. Con questi materiali abbiamo sperimentato tantissimo. Trasformavano la materia non solo in opere d’arte ma in un grande gioco; è stata una splendida complicità che ci ha portati a risultati eccellenti. Da quando Mauro non c’è più ho smesso completamente di impastare argilla: penso che sia un rifiuto interiore, senza di lui manca la complicità della creazione. Recentemente ho realizzato delle grandi sculture in vetro avvalendomi della collaborazione del maestro vetraio Silvano Signoretto a Murano». Nel 2000 il passaggio dietro la macchina da presa, con la realizzazione di diversi cortometraggi. Come nacque il progetto? «La settima arte mi ha sempre affascinato. Iniziai con la consapevolezza di entrare in un mondo tutto da scoprire: con l’aiuto corposo di amici professionisti del settore ho realizzato in quel periodo alcuni cortometraggi». Il suo corto Ala de Vita si è avvalso della critica di un maestro del cinema quale Ermanno Olmi. Cosa ha significato per lei questo riconoscimento? «È stata veramente una grande emozione, anche perché precedentemente aveva visionato altri miei corti, ma non gli erano piaciuti e la cosa mi aveva demoralizzato. Poi il progetto di Ala de Vita in cui ho voluto raccontare con determinazione la mia terra e la mia gente. A Ermanno Olmi è piaciuto la sua semplicità, tanto che mi ha inviato una bellissima lettera autografa: “Ho visto il tuo piccolo film (‘piccolo’ solo in riferimento alla insignificante convenzione del ‘minutaggio’) ma così denso di lirico sentimento che perfettamente rispecchia tutto l’amorevole attaccamento alla tua terra, che ti è anche madre...”» Per non farsi mancare nulla è stato anche autore di un cartone animato. Che esperienza è stata? «Molto interessante; il piccolo corto mi è stato commissionato da una grande azienda pordenonese che precedentemente aveva adottato come logo un mio lavoro, Il pesce che vola. E da quel lavoro sono partito nel sceneggiare una storia, una regia e poi la realizzazione dei disegni esclusivamente eseguiti con la tecnica dell’acquerello. La canzone che è stata composta per accompagnare il lavoro è del maestro Remo Anzovino». Lei ha sempre vissuto a Grado: come è cambiata la città in tutti questi anni? «Ho vissuto sempre a Grado, ma ormai da più di dieci anni trascorro l’inverno a Udine, dove ho avuto modo di frequentare tanti artisti friulani: Celiberti, Cabai, Spessot, Borta… Con loro ci sono sempre degli arricchimenti e scambi culturali che nella mia isola non trovo più così facilmente. Grado è cambiata, principalmente nella cultura, nella passione dell’appartenenza; gli interessi culturali si sono affievoliti, o addirittura annullati rispetto a qualche anno fa». Nel 2011 il Presidente della Repubblica l’ha insignita della Medaglia di Rappresentanza: cosa ha provato?

«Una grande emozione. Il presidente Napolitano mi ha conferito il premio di rappresentanza per il progetto espositivo che si intitolava “ΙΧΘΥΣ”, pesce in greco antico, che è l’acrostico di Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr = Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. La mostra è stata inaugurata ad Aquileia a Palazzo Meizlik in occasione della visita di Benedetto XVI nel 2011». A proposito di riconoscimenti, qual è il più bel complimento che ha ricevuto? «Un artista riceve costantemente complimenti per il suo lavoro, ma molto spesso sono di circostanza. Se devo essere sincero i complimenti più belli della mia carriera me li hanno fatti i bambini della Nostra Famiglia di Pasian di Prato. Con loro ho realizzato una grande opera per il centro, dove all’inaugurazione con la loro dolcezza e la loro felicità sono riusciti a farmi commuovere: in quel momento mi sono sentito molto fortunato». Qual è la prossima opera che Gianni Maran vorrebbe realizzare? «In questo momento sto lavorando a dei progetti di grandi sculture in acciaio, che dovrebbero essere realizzate entro settembre. Poi ancora vetri a Murano. Ma principalmente continuerò a raccontare storie con la mia pittura che scandirà inevitabilmente le mie giornate». Claudio Pizzin

In apertura Gianni Maran, classe 1958, nel suo studio. Per informazioni: tel. 347 4486680 - www.giannimaran.it In questa pagina alcune delle sue opere.

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CULTURA

GIULIANA VARIOLA Intervista di Margherita Reguitti

La forza

del libro

Assieme a Paolo Scandaletti è stata tra gli ideatori di prestigiosi festival letterari come Pordenonelegge ed èStoria. Da 29 anni porta ogni estate a Grado grandi autori italiani: «Non vengono solo a presentare i propri libri, ma assaporano le magie della città e dell’intera regione».

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Dal 3 luglio al 23 agosto l’Isola d’Oro ospita la 29^ edizione di Libri e autori a Grado, rassegna estiva fra le più longeve in Italia, curata sin dall’esordio nel 1990 dall’esperta di comunicazione Giuliana Variola e dal giornalista e scrittore Paolo Scandaletti. «L’avventura – ricorda Giuliana Variola, cacciatrice di libri e autori, signora schiva più a suo agio nel backstage – è partita con il titolo Libri e autori sotto l’ombrellone, gli incontri si tenevano sull’Isola d’Oro dove si andava la sera a ballare. L’idea era piaciuta ad Alessandro Felluga, a quel tempo presidente dell’Azienda del Turismo e scrittore. I nostri primi autori furono Beppe Severgnini, che si trovava in viaggio di nozze e venne assieme alla moglie Ortensia, e Dacia Maraini. Fummo innovatori e sperimentatori sin dall’inizio proponendo anche appuntamenti in spiaggia e in luoghi suggestivi di Grado, come il giardino del Comune dove si faceva musica».

Qual è il segreto della longevità della rassegna? «Il mix di qualità della proposta culturale di autori e di temi, sempre legato dalle novità che inseriamo ogni anno. Per questo il pubblico ci segue fedele, comprendendo lo spirito fresco e giovane, ma anche apprezzando l’impegno che è alla base del nostro lavoro. Siamo tra le rassegne letterarie estive più longeve nel Paese con La Versiliana di Marina di Pietrasanta e gli incontri di Cortina». In regione siete la più antica? «Lignano ha iniziato dopo. Ma siamo orgogliosi del fatto che anche rassegne importanti non estive siano partite grazie a nostre idee». Quali? «Pordenonelegge, che abbiamo inaugurato nel 2000 gestendola per due anni. L’idea era scaturita dalla frequentazione al Festival della letteratura di Mantova dove, per la prima volta in Italia, si era creato, in un contesto di grande storia e bellezza urbana, la possibilità di incontro fra autori e pubblico. Me ne sono innamorata. Abbiamo così proposto questo format a Pordenone; sono contenta che ancora oggi funzioni e certamente è una rassegna di livello. Anche a Gorizia la più giovane èStoria è stata una nostra creatura, battezzata originariamente La storia in testa. Oggi è un appuntamento che fa parlare di sé in Italia. Tutti questi eventi fanno della nostra regione una terra dove In apertura, alcuni dei protagonisti delle passate edizioni; a lato, Giuliana Variola. Pagina accanto, Beppe Severgnini, ospite della prima edizione della rassegna.


il pubblico può scegliere tra un ampio ventaglio di offerta culturale e di questo siamo molto orgogliosi». Torniamo a Libri e autori a Grado: quali sono le novità quest’anno? «Sono tante, certamente per i temi e per la varietà di appuntamenti, anche rivolti agli adolescenti, per i quali abbiamo proposto la caccia al tesoro libraria e sportiva Una barca di libri. Per quanto riguarda invece le tematiche, oltre alla letteratura si toccheranno le questioni scottanti che caratterizzano l’attualità: dalle migrazioni alle mutazioni sociali, all’emergenza del pianeta e naturalmente alla storia. Una novità sarà anche rappresentata dal fatto che, per la prima volta nella vita della rassegna, non sarà Paolo a condurre gli incontri, ma ogni autore dialogherà con un giornalista, esperto nel tema trattato». Adolescenti e turisti, cosa ha spinto verso questo nuovo pubblico? «Il nostro obiettivo è un pubblico di generazioni diverse ma ugualmente avidi lettori. In passato abbiamo già avuto ospite la allora 17enne Cristina Chiperi che scrisse il suo primo romanzo sul cellulare con oltre 20 milioni di visualizzazioni. Passata dall’online in libreria è fra gli autori di successo e oggi importanti case editrici se la contendono». Come si svilupperà la caccia al tesoro? «Potranno parteciparvi ragazzi fra i 12 e 18 anni che si iscriveranno presso l’ufficio animazione della GIT. Gareggeranno suddivisi in squadre a seconda dell’età e ogni gruppo avrà un tutor. La caccia al tesoro sarà organizzata dal docente Cristiano Meneghel, autore del libro Una spia in Laguna, pubblicato da Espressioni di Marca Aperta. Gli indizi e il tesoro saranno, naturalmente, libri. I premi saranno consegnati da Marco Cellucci, 17enne autore esordiente con Tutto si può ballare, edito da Fabbri, con oltre un milione di followers». Quest’anno il calendario prosegue anche in agosto. «Conversazioni di mezza estate è il titolo di due incontri in programma alle 21 sulla Diga Nazario Sauro: il 9 ci si confronterà sul tema Le sfide dell’accoglienza, con don Pierluigi Di Piazza e con Paolo Lambruschi, caporedattore di Avvenire. Mentre il 23 si aprirà un confronto su Dove va l’Europa con Leo Sisti, autore del libro-inchiesta che ha analizzato come l’Europa dell’austerità abbia difeso gli interessi di multinazionali e milionari». In tanti anni di attività avete capito quali sono i temi che interessano turisti e lettori della regione? «Un’idea ce la siamo fatta e ne abbiamo avuto la riprova anche attraverso un test. Chi legge sotto l’ombrellone a Grado, e ricordo che questa è una delle spiagge dove si legge di più in Italia, ama soprattutto la saggistica, la storia, la psicologia, l’indagine sul presente. Questo perché è un pubblico attento e preparato che interviene e interloquisce con l’autore durante gli appuntamenti. A volte fornisce delle testimonianze che possono essere lo spunto per un nuovo lavoro di scrittura. Certo i volti della televisione e del cinema fanno audience, ma sempre se hanno qualcosa da dire. Non è mai show fine a se stesso. Anche la narrativa fantastica ha i suo fedeli estimatori. I nostri autori poi sono diventati amici, noi li coccoliamo e li portiamo a visitare la regione, da Aquileia a Cividale, un buon bicchiere sul Collio o in un’osteria tipica friulana. Amano Grado come l’amiamo noi e allora tornano volentieri. Enzo Biagi fu nostro ospite per 8 edizioni, e come lui tanti altri. In un certo modo diventano ambasciatori del Friuli Venezia Giulia».

Gli appuntamenti 3 luglio: Antonella Boralevi, Chiedi alla notte, Baldini e Castoldi, conduce Elena Commessatti 12 luglio: Andrea Segrè, Il metodo spreco zero, Rizzoli Bur, a intervistarlo Franco Del Campo 18 luglio: Caccia al tesoro libraria e sportiva, con Cristiano Meneghel autore di Una spia in laguna 19 luglio: Marcello Veneziani, Nostalgia degli dei, Marsilio, introduce Elisabetta de Domini. 22 luglio: Franco Cardini, incontro dedicato alla storia e alla filosofia curato da Andrea Soardo 26 luglio: Stefano Zecchi, L’amore nel fuoco della guerra, Mondadori, intervistato da Margherita Reguitti. Gli incontri, in programma sotto la Vela della Spiaggia principale con inizio alle 18 a ingresso libero, saranno seguiti dalla lettura di poesie di Biagio Marin per la voce di Tullio Svettini e dalla degustazione dei vini del Consorzio Tutela vini del Collio. Conversazioni di mezza estate 9 agosto: Le sfide dell’accoglienza, con don Pierluigi Di Piazza autore di Non girarti dall’altra parte, Nuovadimensione, in dialogo con Paolo Lambruschi. 23 agosto: Dove va l’Europa, con Leo Sisti autore di Il paradiso dei ricchi, Chiarelettere. Entrambi gli incontri, condotti da Franco Del Campo, si terranno alle 21 sulla Diga Nazario Sauro. La manifestazione è promossa dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dal Comune di Grado. Come scegliete gli ospiti? «Con il cuore e la mente, da appassionati lettori, attraverso esperienze e contatti personali ma anche seguendo ciò che avviene in giro per festival e rassegne letterarie. Ci guida soprattutto la passione e questo viene percepito e apprezzato dal nostro pubblico». Lei ama Grado. Quale fascinazione la lega a questa laguna e a queste pietre? «Mi considero cittadina del mondo. Mio padre, magistrato, presidente del Tribunale dei minori di Trieste, era nato a Pola e dopo il ’45 si trasferì a Grado dove sono nata; mia madre era di Trento. Ho vissuto in città e continenti diversi e viaggiato molto. Ora abito a Cervignano ma solo a Grado mi sento a casa. Amo il suo fascino soprattutto d’inverno. Le sue atmosfere nebbiose, irreali e sospese lungo la diga e la spiaggia. Un fascino indefinito che mi ricorda Venezia, altra città nel mio cuore. Io non posso stare un giorno senza Grado». Margherita Reguitti |

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(as) s a g g i Carmen Mola La sposa di sangue Mondadori, 2019 Pagg. 336 € 19,00 Susana Macaya, una ragazza gitana per parte di padre, scompare dopo la sua festa di addio al nubilato. Il suo cadavere viene ritrovato due giorni dopo nei sobborghi di Madrid. PoLorenzo Marone Tutto sarà perfetto Feltrinelli, 2019 Pagg. 304 € 16,50 La vita di Andrea Scotto è tutto fuorché perfetta, specie quando c’è di mezzo la famiglia. Fotografo quarantenne, single e ostinatamente immaturo, Andrea ha sempre preferito tenersi alla larga dai parenti: dal padre Libero e dalla sorella Marina. Quando però Marina è costretta a partire e a lasciare il padre gravemente malato, tocca ad Andrea Daniel Speck Volevamo andare lontano Sperling&Kupfer, 2019 Pagg. 560 € 10,90 Milano, 2014. Julia, giovane e brillante stilista tedesca, sta per affrontare la sfilata che potrebbe finalmente coronare i suoi sogni. Ma, proprio mentre guarda al futuro, il passato torna a cercarla nei panni di uno sconosciuto che sostiene di essere suo nonno. Dice di essere il padre di quel padre che lei ha sempre creduto morto, e le mostra Susanna Ognibene e Mauro Camillo Camillo Castiglioni e il mito della BMW Goliardica Editrice, 2019 Pagg. 192 € 20,00 Camillo Castiglioni, imprenditore spericolato, speculatore finanziario, abile affarista, donnaiolo impenitente e cultore dell’arte, nel 1920, mentre i paesi europei - appena usciti dal conflitto più devastante della storia - faticavano a rialzare la testa, aveva accumulato un capitale stimato in 1.300 milioni di corone austriache, equivalenti a 9 miliardi di euro attuali: forse l’uomo più ricco dell’Europa centrale. I suoi interessi e le sue operazioni finanziarie spaziarono dalla isti-

trebbe trattarsi di un omicidio come tanti, se non fosse che la vittima è stata torturata seguendo un rituale insolito e atroce. A rendere il tutto ancora più enigmatico è che si tratta dello stesso rituale seguito nell’omicidio di sua sorella Lara sette anni prima, sempre alla vigilia delle nozze. A ingarbugliare ulteriormente la vicenda contribuisce il fatto che l’assassino di Lara è in carcere da allora. Qualcuno ha voluto imitarlo? Oppure la persona arrestata è innocente e il vero assassino è ancora in circolazione? prendere il timone. È l’inizio di un fine settimana rocambolesco, in cui il divieto di mangiare dolci e fritti imposto da Marina è solo uno dei molti che vengono infranti. Andrea sbarca a Procida e ritorna dopo anni tra le persone e i luoghi dell’infanzia, sulla spiaggia nera che ha fatto da sfondo alle sue prime gioie e delusioni d’amore e tra le case colorate della Corricella scrostate dalla salsedine. E proprio in mezzo a quei contrasti, in quell’imperfetta perfezione che riporta a galla ferite non rimarginate ma anche ricordi di infinita dolcezza, cullato dalla brezza che profuma di limoni, capperi e ginestre e dal brontolio familiare della vecchia Dyane della madre, Andrea trova finalmente il suo equilibrio. la foto di una ragazza che potrebbe essere Julia stessa, tanto le somiglia, se solo quel ritratto non fosse stato scattato sessant’anni prima. Milano, 1954. Vincent, promettente ingegnere tedesco, arriva da Monaco con il compito di testare una piccola automobile italiana che potrebbe risollevare le sorti della BMW. È così che conosce Giulietta, incaricata di fargli da interprete, e se ne innamora. Lei è una ragazza piena di vita e di sogni - ama disegnare e cucire vestiti - ma è frenata dalla sua famiglia, emigrata dalla Sicilia, e da una promessa che già la lega a un altro uomo. Si ritroverà a scegliere tra amore e dovere, libertà e tradizione, e quella scelta segnerà il destino di tutte le generazioni a venire. Fino a Julia. tuzione delle maggiori banche europee del periodo, alla fondazione di innumerevoli società nel campo aeronautico, minerario, siderurgico e metallurgico. E poi la passione per i motori, una tra le tante innumerevoli passioni che hanno accompagnato la sua vita, dai motori per gli aerei, ai motori per le motociclette, una passione che lo portò, negli anni Venti del Novecento, a diventare proprietario di una anonima azienda dell’epoca, una tra le tante che produceva motori per aerei, la BMW di Monaco, che grazie al suo intuito e ai suoi capitali, coadiuvati dall’ingegno di uomini del calibro di Franz Josef Popp e di Max Friz, si trasformò in un’azienda produttrice di motociclette e poi di automobili, proiettata verso un destino di successo e affermazioni: il mito BMW.

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PERSONAGGI

FABRIZIO BIDOLI Intervista e immagini di Claudio Pizzin

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In arte

Korfu

Da piccolo vedeva mostri sacri come Zigaina e Celiberti entrare in casa sua. Ma a indirizzarlo verso il mondo artistico fu il suo insegnante di scuola media. «La mia formazione è stata selettiva: guardavo i lavori di mio padre, ma mantenevo sempre un mio stile».

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Fabrizio Bidoli, come defi nirebbe la sua arte? «La mia arte utilizza, da sempre, una pluralità di materiali, pur mantenendo una cifra stilistica omogenea, nella sua continua ricerca di sperimentazioni; mi piacciono le chine, l’uso delle mescolanze di resine e di colori acrilici, che creano linee, percorsi e fratture di significati in una dimensione sovente onirica o surreale, di forte impatto visivo, di memorie tracciate nei segmenti o negli spazi vuoti, bianchi, rimandi a stati e stadi di una coscienza o conoscenza atavica, insita nel nostro stesso Dna». Quando ha capito che sarebbe diventato un artista? «Essere un artista è una parola impegnativa, importante, specie oggi, quando vedo tanti, forse troppi, che si ritengono tali senza esserlo. Io non so se sono un artista, io so che sono una persona che cerca di creare qualcosa di nuovo e che rechi, comunichi un’emozione a chi la guarda, a chi è disposto a lasciarsi contaminare da quello che io propongo. Sono un artigiano, che modella le plastiche, le tele, che utilizza il vetro, il cartone e altri materiali, per realizzare anche oggetti d’uso quotidiano, una lampada, un portacandele, che siano espressioni del mio gesto, del mio atto creativo. Questo sono». 46

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Suo padre (Ivan Bidoli, ndr) è un artista famoso, ma lei si defi nisce un autodidatta: quanto ha influito la figura paterna nella sua scelta artistica? «Molto e nulla allo stesso tempo. I due termini non sono in contraddizione, ma, pur nella loro diversità, possono esprimere una identità di fondo. Sin da bambino ho visto mio padre dipingere, manipolare forme e colori, accogliere nella nostra casa altri pittori come Zigaina, Celiberti, Zorzenon... Un cosmo che mi affascinava e dal quale mi sentivo attratto. A scuola, alle medie, ho avuto la fortuna di incontrare un insegnante capace, Aldo Fornaro: lui mi ha indirizzato, ma la mia formazione è stata individuale, selettiva, guardando certo a quello che faceva mio padre, soprattutto ai suoi lavori grafici, ma cercando, al tempo stesso, di mantenere una mia ricerca, una mia personalità, un mio stile». Che cosa rappresenta l’arte per Fabrizio Bidoli? «Una sorta di ricerca e dialogo senza fi ne con e dentro noi stessi; una possibilità di rendere visibile l’invisibile, di rendere vero il reale e quotidiano il fantastico». Quali sono gli artisti ai quali si ispira? «Molti e quasi tutti del Novecento. Picasso, per la genialità e il rigore nella sua apparente imme-


diatezza; De Chirico, per il senso di uno straniamento senza tempo, in una dimensione fatta di memoria e di attesa; Vedova, per la forza magnetica di una pittura che si fa gesto materico, energia allo stato puro; Pollock, per la sua straordinaria capacità di creare una connessione apparentemente casuale di tracce, linee, colori, in una sorta di vortice fagocitante... Artisti diversi, sotto innumerevoli dita, ma proprio per questo tanto più significativi e rappresentativi, non solo del loro tempo, ma presenti nel nostro futuro, come solo un artista è in grado non di fare, ma di evocare, veri sciamani, rabdomanti del senso ultimo delle cose». Nelle sue opere, grafica e pittura si fondono in maniera armonica. Cosa rappresenta, per lei, il segno grafico? «Nelle mie opere il segno grafico assume una sua connotazione decisiva e rimanda a una pluralità di simboli e significati. Si tratta, di volta in volta, di esprimere e comunicare energia allo stato puro oppure una sorta di pausa, di sospensione che rimanda a tracce da scoprire o velare, nel tempo, nella ciclicità delle attese, nella dimensione scritta in cui si collocano le nostre esistenze. La pittura è un altrove, un disincanto che svela e rivela la possibilità del reale, in una dimensione soggettiva, onirica, dove i nostri passi calpestano, nudi, gli echi della nostra interiorità». Una delle sue peculiarità è la capacità di realizzare opere utilizzando materiali o supporti diversi. In base a cosa li sceglie? «Non vi sono elementi selettivi, ma emozionali. I materiali possono essere diversi, nascono da esigenze di creazione e di realizzazione che variano secondo il dettato della mia necessità di interiorizzare e poi dare forma concreta a percorsi mentali e analisi delle percezioni della mia quotidianità. A volte, ad esempio, inizio la giornata con della grafica digitale,

poi passo a dipingere direttamente sulla tela, per il puro piacere di sentire il colore tra le mie dita...» Tra le opere da lei realizzate, a quale è maggiormente legato? «L’ultima, perché sono ancora imbevuto delle emozioni che ha saputo darmi». Attualmente su quali progetti sta lavorando? «In questo momento sto lavorando su progetti di arte digitale per creare stampe con la tecnica Fine Art Giclée». Oltre all’arte, quali sono le sue altre passioni? «Camminare, andare da solo in montagna, nei boschi; mi aiuta, mi fa star bene, mi rigenera. La natura riesce a riappacificarmi con me stesso e con il mondo». C’è un sogno nel cassetto che desidererebbe realizzare? «No, i veri sogni non stanno nei cassetti». Il suo nome d’arte è “Korfu”. Come mai? «Nel 2014 incontrai un monaco zen, dopo una giornata di esperienze meditative e arte, lui mi diede il nome d’arte Korfu, dicendomi che il significato era “ama comunque”. Così dal 2014 tutto quello che faccio lo fi rmo Korfu». Claudio Pizzin

In apertura Fabrizio Bidoli nel suo studio a Clauiano. In questa pagina alcune sue opere. Per informazioni: tel. 345 1516583 - https://korfu-artist.business.site

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MOSTRE IN FVG (calendario aggiornato su www.imagazine.it) Fino al 17 luglio ▶ CINEMA IN BIKINI. ITALIANI AL MARE: MANIFESTI 1949-1999 L’esposizione propone un centinaio tra manifesti, locandine e fotobuste della Collezione Minisini,, offrendo uno spaccato dell’Italia e degli italiani dalla metà del Novecento attraverso il filone del cosiddetto “cinema balneare”. Lignano Sabbiadoro (UD). Terrazza Mare. Orario: lun-dom 19-24. Ingresso libero. Info: 0431 71300 Fino al 21 luglio ▶ CAMILLO CASTIGLIONI E IL MITO DELLA BMW L’esposizione ripercorre l’epopea dello spericolato imprenditore triestino, e il suo rilancio della casa motoristica tedesca. Trieste. Palazzo Gopcevich, via Rossini 4. Orario: mar-dom 10-17. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it

Fino al 21 luglio ▶ FEMMES 1900 Per la prima volta in Europa un excursus sull’immagine della donna nel periodo artistico Art Nouveau. Pordenone. Galleria Bertoia, Corso Vittorio Emanuele II. Orario: mer-ven 15-19, sab-dom 10-13/1519. Ingresso € 3. Info: 0434 392960 Fino al 28 luglio ▶ L’ARTE ALL’ARTE Gli studenti del Liceo Artistico Max Fabiani di Gorizia reinterpretano Vito Tommel. Monfalcone (GO). Museo della Cantieristica, via del Mercato 3. Orario: vensab 10-19, dom 10-13. Ingresso libero. Info: www. mucamonfalcone.it

Fino al 28 luglio ▶ MEDEA 50 In mostra immagini del celebre film pasoliniano tratte dall’archivio del

fotografo di scena Mario Tursi, riprodotte su pannelli di grandi dimensioni, manifesti, locandine, fotobuste originali e materiali d’epoca. Grado (GO). Cinema Cristallo, viale Dante 74. Orario: lun-dom 19-23. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 23 agosto ▶TRADIZIONE E CULTURA MEDICA NELL’UMANESIMO FRIULANO In mostra alcuni fra i più interessanti libri antichi di medicina posseduti dalla Biblioteca Civica Udinese ‘Joppi’. Udine. Palazzo Wassermann, via Gemona 92. Orario: lun-dom 8.30-19.30. Ingresso libero. Info: info. scuolasuperiore@uniud.it Fino al 31 agosto ▶MAURIZIO FRULLANI - ITER IN FABULA La mostra è un omaggio al fotografo isontino Maurizio Frullani (Ronchi dei Legionari 1942-2015), alla sua anima di grande viaggiatore che ha reso la fotografia “uno strumento di ricerca di conoscenza”. Trieste. Alinari Image Museum, piazza della Cattedrale 3. Orario: mardom 10-13/16-19. Ingresso € 5. Orario: www.alinari.imagemuseum.eu

Fino al 31 agosto ▶LA BOTANICA NEL DECORO DEGLI OGGETTI Itinerario alla scoperta di collezioni inedite provenienti dal patrimonio museale e dalla collezione “Ciceri” in cui il tema botanico è un filo conduttore fra materiali diversi. Udine. Museo Etnografico, via Grazzano 1. Orario: mardom 10-18. Ingresso € 5. Info: www.civicimuseiudine.it Fino al 1 settembre ▶IANNAH Il giardino islamico del Chiapas. Mostra fotografica della friulana Giulia Iacolutti. San Vito al Tagliamento (PN). Antiche Carceri, via Filippini. Orario: sab-dom 10.30-12.30/15.30-19. Ingresso libero. Info: info@craf-fvg.it

Fino al 7 settembre ▶LUIGI MEROLA - ETEROGENEO SUSSEGUIRSI DI CEMENTONATURA Carte acquarellate dall’artista e lasciate in balia dei cambiamenti climatici quali l’acqua piovana, sole o i pulviscoli che si trovano nell’aria, successivamente plastificati e inseriti in cornici di cemento. Trieste. Econtemporary, via Crispi 28. Orario: giosab 17-20. Ingresso libero. Info: www.exibart.com Fino al 22 settembre ▶ANDY WARHOL PROFANO COME SACRO Una panoramica completa sulla personalità camaleontica e poliedrica di Andy Warhol, in un luogo riconosciuto come patrimonio culturale del FVG. Duino Aurisina (TS). Portopiccolo, Sistiana, via delle Botteghe. Orario: lun-ven 16-19, sabdom 10-13/16-20. Ingresso € 10. Info: www.turismofvg.it Fino al 25 settembre ▶LE ABITAZIONI DI TORVISCOSA, CITTÀFABBRICA DEL NOVECENTO Immagini d’epoca, disegni e scritti illustrano le caratteristiche tipologiche, costruttive e di uso dei materiali, in un percorso di 28 pannelli. Torviscosa (UD). CID, piazzale Marinotti 1. Orario: sab-dom 15-19. Ingresso libero. Info: www.cid-torviscosa.it Fino al 30 settembre ▶LA FORZA DELL’ARTE Le cinque sculture lignee ritrovate dell’altare di Domenico da Tolmezzo della Pieve di San Pietro, ritrovate nel 2016 dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Zuglio (UD). Civico Museo Archeologico, via Giulio Cesare 19. Orario: mer-gio 9-12, ven-dom 9-12/1518. Ingresso € 3. Info: 0433 92562 Fino al 6 ottobre ▶MAESTRI La rassegna ritrae i filosofi del mondo greco, i fondatori delle grandi religioni, gli artigiani nelle loro botteghe, i grandi artisti nei loro atelier, che, con tanta passione, hanno insegnato le loro arti. Tolmezzo (UD). Casa delle Esposizioni, Illegio. Orario: mar-sab 10-19, dom 9-20. Ingresso € 12. Info: www. illegio.it

Fino al 13 ottobre ▶IL GIORNO E LA NOTTE Dal vedutismo al cinema muto: viaggio alla scoperta della prima forma di spettacolarizzazione delle immagini. Pordenone. Galleria Sagittaria, via Concordia 7. Orario: mar-dom 1619. Ingresso libero. Info: www.centroculturapordenone.it

Fino al 20 ottobre ▶MAGNIFICI RITORNI In mostra i tesori aquileiesi conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna, in occasione dei 2200 anni dalla fondazione della città di Aquileia. Aquileia (UD). Museo Archeologico Nazionale, via Roma. Orario: mar-dom 10-19. Ingresso € 10. Info: www.fondazioneaquileia.it Fino al 27 ottobre ▶TRAME LONGOBARDE Tra architettura e tessuti in mostra le bordure realizzati dai detenuti di Spoleto. Cividale del Friuli (UD). Monastero di Santa Maria in Valle, via Monastero Maggiore 34. Orario: lun-ven 10-13/15–18, sab-dom 10–18. Ingresso € 4. Info: www.monasterodisantamariainvalle.it

Fino al 10 novembre ▶L’INDISPENSABILE SUPERFLUO Accessori della moda nelle collezioni della famiglia Coronini. Viaggio nel tempo tra le icone dello stile. Gorizia. Palazzo Coronini, viale XX Settembre 14. Orario: mer-sab 10-13/1518; dom 10-13/15-19. Ingresso € 5. Info: www.coronini.it

I COSTI E GLI ORARI DI APERTURA POSSONO VARIARE SENZA PREAVVISO. VERIFICARE SEMPRE RIVOLGENDOSI AGLI APPOSITI RECAPITI.


PERSECUZIONE ED EMIGRAZIONE Servizio di Alberto V. Spanghero

ALLA SCOPERTA DI...

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In Francia

per sfuggire al fascismo

L’ascesa del partito di Mussolini spinse diversi oppositori a emigrare nel Paese transalpino, dove erano richiesti lavoratori per contribuire alla ricostruzione post bellica. Ma, terminati i lavori, molti dovettero fare ritorno a casa.

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Dopo il Congresso socialista del gennaio 1921, alcuni componenti della direzione lasciarono polemicamente l’assise fondando il Partito Comunista Italiano. Era iniziata la lunga serie di scissioni, di divisioni e fratture, che avrebbero contraddistinto tutta l’attività politica del Partito Socialista anche nelle sezioni locali. All’epoca la sinistra del territorio di Turriaco, composta da poco più di una cinquantina di aderenti, quasi totalmente optò per il nuovo partito. Ma in quei primi anni Venti il Fascio era già abbastanza numeroso e andava facendo le sue prime prove contro il movimento socialista, usando la forza senza mezzi termini. Già nel settembre del 1920 Benito Mussolini era stato a Trieste, Monfalcone e Pola per “controllare” la situazione venutasi a creare dopo l’azione fiumana di D’Annunzio del 1919. L’idea era quella di sfruttarne le conseguenze per creare un movimento rivoluzionario in Italia. Con il primo fascismo, quello Sansepolcrista del marzo 1919, si verificò il confluire dei più esagitati e deliranti nazionalisti nelle sue fila. Quindi si attribuirono il precipuo compi-

to di “rieducare” il popolo delle nuove province. A Turriaco il prestigio derivato dalla camicia nera prese subito quota e la maggioranza della popolazione corse a prendere la tessera del Fascio. Cosa che avvenne per altro in tutto il territorio di Monfalcone con grandi manifestazioni popolari nelle piazze. Le divisioni della sinistra contribuirono a favorire l’affermarsi del Partito fascista nelle elezioni politiche del 1924. Acquisito il potere, i fascisti non tardarono a far valere le proprie ragioni usando la forza, sia nelle città sia nei centri minori. A Turriaco furono presi di mira tutti coloro che si opponevano al nuovo regime. Uno degli oppositori al fascismo fu Luigi Cosani, figlio di Enrico e Felicita Modest. Nato a Turriaco nel 1894, aveva partecipato alla Prima guerra mondiale con la divisa grigio azzurra dell’Esercito austro-ungarico. Fatto prigioniero dagli italiani nella battaglia del Piave, venne rinchiuso nel campo di prigionia di Campobasso. Ritornò a casa nel 1919 quando Turriaco non era più austriaca, ma italiana. A Luigi non sarebbe mai passato per la testa di dover abbandonare il suo paese per andarsene emigrante in giro per il mondo. Ma la scarsità di lavoro e le minacce fasciste gli fecero cambiare presto idea. Non sappiamo con certezza quando avvenne il fattaccio, se nel ’28 o dopo. Una sera, in un’osteria di Turriaco, Luigi fu affrontato violentemente dal segretario del fascio locale, il quale, puntandogli la rivoltella contro, gli intimò di lasciare il paese entro ventiquattro ore. Di fronte alla mi-

In apertura, Francia anni venti. Lavoratori turriachesi e maestranze in una falegnameria nella periferia di Parigi. Di fianco, carta di identità per l’espatrio di Luigi Cosani. |

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naccia di perdere la vita o di finire come minimo al confino in Sardegna, Luigi, consultatosi con i famigliari e con la fidanzata Romana Cusma, decise di abbandonare il paese e di tornare in Francia (emigrato nel 1923, Luigi era ritornato dalla Francia nel 1928 per regolarizzare il passaporto). Nel periodo dell’occupazione tedesca Luigi entrò clandestinamente nella Resistance française, con il compito di occuparsi dell’assistenza ai partigiani francesi di lingua italiana. Era uno dei referenti italiani dell’organizzazione. Nel 1944 dette asilo e aiuto a Francesco Cosani, figlio di Silvio, ricercato dai tedeschi perché fuggito dalla T.O.D.T. Prima lo nascose in casa sua e in un secondo tempo in quella di Fausto Blasig, sempre di Turriaco. Francesco Cosani, allora diciannovenne, partecipò attivamente alla liberazione di Parigi. Combatté, infatti, sulle barricate durante l’insurrezione che ebbe inizio il 16 agosto e si concluse dieci giorni dopo, con la

resa dei tedeschi. Poi Luigi e Romana, che nel frattempo si erano sposati, si trasferirono a Montreuil, a duecento chilometri a nord di Parigi. In quegli anni l’emigrazione dei “monfalconesi” in Francia non ebbe i numeri del “grande esodo”: le stime parlano di quattro, cinquecento persone e non di più. Per comprendere quale fosse la situazione politica e sociale di quel periodo è meglio fare un passo indietro. La Francia uscì sì vittoriosa dalla Prima guerra mondiale, ma con un milione di morti e con vaste zone del Paese distrutte. La ricostruzione ebbe inizio già nel 1919, ma la mancanza di uomini abili al lavoro ritardava notevolmente i programmi. In breve tempo la scarsità di operai fece aumentare i salari che attrassero manodopera estera. Iniziò così l’emigrazione verso la Francia. Molti falegnami, muratori, fabbri e artigiani lasciarono il territorio di Monfalcone e quello della Bassa friulana per andare a lavorare nei cantieri francesi. Ad agevolare questi flussi furono le autorità francesi che al confine lasciavano passare quasi tutti senza chiedere loro alcun documento di riconoscimento, con una sola eccezione: veniva loro chiesto il tipo di attività specifica, più o meno manuale, che erano capaci di svolgere; in buona sostanza, si voleva accertare se erano portatori di un mestiere. Venivano concessi loro dei permessi provvisori a scadenza. In poche parole in Francia in quegli anni si trovarono operai in semi clandestinità, muniti soltanto di un permesso valido per sei mesi, rilasciato dalla Gendarmerie locale e prorogato di volta in volta, a seconda del lavoro ritenuto più o meno indispensabile. Terminati i lavori di ricostruzione, sul finire degli anni Venti, tutti questi operai furono invitati a ritornare nei loro Paesi d’origine a regolarizzare il proprio stato sociale. Uno dei primi a emigrare in Francia fu Guido Anut. Emigrati turriachesi degli anni venti in una foto ricordo Nato a Turriaco nel 1899, Guido era stato arruolato nell’edi Parigi. sercito austroungarico a diciotto anni appena compiuti e, senza partecipare ad alcuna azione di guerra, ritornò a casa Montreuil (Francia), Guido Anut il 28 ottobre 1923. nel giugno del 1918. Nel 1923 emigrò in Francia, dove ebbe modo d’incontrarsi successivamente con alcuni turriachesi, tra i quali Luigi Cosani, Romano Cosani, Silvio Cosani e altri. Silvio Cosani era nato a Turriaco nel 1888 e di mestiere faceva il falegname. Nipote del poeta turriachese Francesco Andrea Cosani, Silvio sposò nel 1912 Amabile Venuti, figlia di Amedeo, una delle due camicie rosse turriachesi che combatterono per l’Unità d’Italia al fianco di Giuseppe Garibaldi nelle guerre risorgimentali. Tra i primi a partire per la Francia ci fu anche Bruno Quaio. Nato a Sdraussina, comune di Sagrado nel 1900, Bruno nel 1921 si iscrisse al Circolo Giovanile del Partito Comunista d’Italia, l’ala secessionista dal Partito Socialista Italiano. Nel 1923, con il montare dell’idea fascista, si sentì in pericolo e nel gennaio 1924 emigrò in Francia, Paese allora ritenuto più liberale. Nel 1924 lasciarono Turriaco per la Francia anche Mario Tomasella, classe 1895, falegname; Oscarre Olivo, nato a Cassegliano (San Pier d’Isonzo) nel 1896, falegname; Giacomo Zonch, nato ad Aiello nel 1899, contadino; Luigi Zorba, nato a Pradicciolo di Strassoldo nel 1893, agricolo. 50

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Luigi Mininel, invece, nato a Turriaco nel 1889, meccanico, era emigrato in Francia nel 1923. Dopo appena qualche mese di permanenza, non soddisfatto del lavoro e delle condizioni ritenute simili a quelle lasciate in Italia, fece ritorno a Turriaco. Oscar Olivo, appena sposato nel 1922 con Caterina Salvador di Perteole, era emigrato in Francia a Chambery nel Dipartimento della Savoia. Nella segheria dove lavorava facendo serramenti non stava bene perché diceva che gli operai francesi sul lavoro non vedevano di buon occhio i colleghi italiani, tanto che si ammalò di nervi e dopo meno di un anno, scaduto il permesso turistico, aveva dovuto fare ritorno a Turriaco. Nel 1927 emigrarono in Francia Fausto Blasig e Giovanni Blasig, entrambi nati a Ronchi nel 1897 ed entrambi falegnami. Un altra persona che emigrò in Francia nel 1928 fu Vittorio Clemente, detto cavallina, nato a Turriaco nel 1901, meccanico. I parenti consultati ne hanno tracciato una figura del tutto incomprensibile, fuori da qualsiasi logica. Ogni paese che si rispetti ha “i so mati” e Turriaco sicuramente non era da meno. Vittorio era una specie di uno contro tutti, un solitario schivo alle amicizie. Probabilmente faceva parte di quel gruppo anarchico-giacobino, di quattro o cinque giovani, che si appartava preso la trattoria Spanghero (Jacubìn) per tramare in tranquillità chissà quali rivoluzioni e quali attentati. Amante della motocicletta, Vittorio era conosciuto in paese e fuori per la sua temerarietà. Fin dalla giovanissima età, assieme ad alcuni amici, fra i quali Pino Stanta, dava spettacolo andando a “far braure e maravee” per le strade polverose dei paesi della Bisiacaria. Correvano con la moto appaiati in piedi sulla sella con le braccia aperte a volo d’angelo. Ma l’incontro d’amore con la morte era solo questione di tempo. Arrivato in Francia, Vittorio si era messo a fare il meccanico: lavoro affine alla sua passione. Si era anche sposato con una francese di Montreuil. Rimasto presto vedovo e senza figli, chiuse l’officina meccanica e incominciò a vagabondare per i paesi esibendosi in spettacoli motociclistici. Nei circhi, sagre, feste di ogni genere si presentava al pubblico con diversi esercizi d’attrazione. Nel suo programma c’era pure il “Tunnel della Morte”, spettacolo di grande impatto apprensivo e allusivo a funerei presagi, nel quale lui entrava a tutta velocità in una grande galleria a forma di spirale allestita verticalmente e per un breve tempo scompariva alla vista degli spettatori. Alla fine degli anni Trenta, Vittorio, mentre in un paese nel Nord della Francia si stava esibendo per l’ennesima volta nello spettacolo, forse poco concentrato per il pensiero della giovane moglie scomparsa, a metà giro non riuscì a tenere la moto in assetto e si ribaltò rovinosamente all’interno. Una morte sul campo di battaglia degna di un cavaliere di altri tempi; morte che lui aveva tentato più volte invano di abbracciare, ma che gli era sempre sfuggita. L’ultimo a emigrare in Francia fu Luigi Cossar, nato a Terzo di Aquileia nel 1906. Luigi si arrangiava a fare tutti i mestieri: dal muratore al meccanico al contadino. Per mancanza di lavoro decise di emigrare in Francia con il permesso turistico, che allora durava sei mesi. Partì nel 1929 alla volta di Montauban, grossa cittadina nel distretto della

Vittorio Clemente (Cavallina). Foto archivio privato famiglia Anna Alber in Clemente, Ronchi dei Legionari. Turriaco 1924. Luigi Cossar con la bici Legnano.

Garonne. Luigi era entusiasta della Francia e dei francesi. Il posto e il lavoro erano buoni ma, scaduto il permesso turistico, dovette ritornare in Italia nel 1931. Alla fine degli anni venti, terminata la “ricostruzione” post bellica, l’emigrazione in Francia si ridusse di molto fino a terminare quasi del tutto.

Alberto Vittorio Spanghero

Ricercatore e storico di Turriaco |

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ALLA SCOPERTA DI...

UOMINI E BOSCHI Servizio di Renato Duca e Renato Cosma. Foto e disegni di Alfio Scarpa

La politica forestale

della Serenissima

La Repubblica di Venezia legiferò con lungimiranza in materia, anche per il bene della propria flotta navale. Con ricadute importanti sul territorio veneto di Monfalcone.

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Il rapporto dell’Uomo con il ‘bosco’ è sempre stato molto stretto, perché nei millenni esso ha costituito, come l’acqua, un risorsa essenziale per la sopravvivenza e per l’equilibrio ambientale. Spesso, in nome di una interpretazione impropria del significato di disponibilità e di sfruttamento del bosco, sono stati perpetrati gravi eccessi, provocando pesanti e talvolta irreversibili depauperamenti del patrimonio forestale, solo parzialmente mitigati con l’imposizione di divieti e l’adozione di regole di salvaguardia. Nell’antica Palestina il taglio degli alberi era proibito anche nei territori nemici occupati, tranne che in occasione di operazioni di assedio. Gli Egizi, i Fenici, i Persiani, i Greci e i Romani hanno dedicato ai boschi una particolare cura perché portatori, secondo l’immaginario popolare, di una speciale sacralità (Diana, Dea romana del bosco e della caccia). In Italia, dopo le devastazioni barbariche, furono soprattutto gli Ordini monastici (Benedettini, Cistercensi, Francescani, Camaldolesi, Vallombrosani, Umiliati, Lateranensi) a riaffermare i valori etico-religiosi e di civiltà e a diffondere il rispetto della natura, stimolando la tutela e l’utilizzo corretto del patrimonio boschivo, nonché l’esigenza della bonifica delle terre insalubri e incolte e della difesa idraulica dei territori. La Repubblica di Venezia è stata in prima linea pure sul versante forestale, in particolare tra XV e XVIII secolo, legiferando con lungimiranza su riordino, regolarizzazione e sviluppo dei boschi, adottando tempestive misure a fronte di situazioni contingenti locali, istituendo una ‘magistratura’ ad hoc (Provveditori e Sopraprovveditori alle legna e boschi), disponendo la formazione di ‘catastici’ delle aree boscate pubbliche, co52

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munali e private (in particolare roveri e querce), puntando con ciò al miglioramento qualitativo-quantitativo della produzione legnosa, alla sua tutela e rinnovamento nel tempo per soddisfare la crescente domanda per gli usi collettivi, in primis dell’Arsenale e del Magistrato alle Acque. La Serenissima con l’espansione in terraferma aveva acquisito progressivamente un patrimonio forestale enorme dalla scomparsa delle Signorie contermini: Scaligeri e Visconti (Verona e Vicenza); Carraresi (Padova, Treviso e Belluno); Patriarcato d’Aquileia (Friuli, Carnia e Cadore). Tutti furono via via incorporati: già nel 725 i boschi fino all’Adige ottenuti dai Bizantini; nel 1150 quelli dell’Istria e della Dalmazia; nel 1339 i boschi della Marca Trevigiana; tra il 1404 e 1405 quelli del vicentino e del padovano; nel 1420 i boschi del Friuli (i querceti), del Feltrino, della Carnia e del Bellunese (abetaie e faggete); nel 1482, le folte boscaglie di cedui e fustaje del Polesine; nel 1726 le modeste aree boscate del Monfalconese. La dimensione politico-economica e la difesa dei confini della Repubblica del Leone dipendevano soprattutto dalla sua potenza navale, da ciò la necessità di una flotta da battaglia e mercantile di dimensioni notevoli, la cui manutenzione e rinnovo richiedevano una grande massa della materia prima legno. Venezia giunse a disporre di una flotta di oltre 3.300 navi, con 25.000 marinai. L’Arsenale di Venezia era la struttura di costruzioni navali più grande d’Europa e abbisognava di notevole cubaggio di legname di rovere per i propri navigli, che raggiungevano anche la stazza di quattromila tonnellate con un armamento, talvolta, di cento cannoni. Inoltre, cresceva la preoccupazione per l’assetto idrogeologico del territorio a seguito del disboscamento incontrollato (lo In apertura, un bosco monfalconese ottocentesco; pagina accanto, bosco di pioppo bianco (populus alba) agli Alberoni di Staranzano.


svegro) dei monti e del piano e la riduzione delle aree a pascolo per favorire l’espansione delle colture, nonché il continuo dilatare dei consumi di legname per l’edilizia e di legna da fuoco e da carbone vegetale. Con legge forestale del 15 luglio 1470, la Serenissima istituì la riserva dei roveri (di tutti i roveri) a favore dell’Arsenale e del Magistrato alle Acque. Tale Istituto (Provisio quercuum in Consilio Rogatorum) rispondeva all’esigenza di rifornire prioritariamente sia la marineria che i siti degli interventi idraulico-bonificatori. Questi ultimi erano distribuiti su un comprensorio fortemente inciso da corsi d’acqua, il che richiedeva l’impiego, tra l’altro, di grandi quantità di pali (tolpi) per il consolidamento periodico delle difese a mare, compromesse dagli sciroccali e dalle mareggiate e per il rinsaldo delle ripe lagunari e del piede delle arginature di contenimento. Con successiva legge del 7 gennaio 1475 i boschi e i beni comunali, indicati e qualificati come comugne (cioè, le realità affidate in godimento perpetuo ai residenti delle ‘Ville’), vennero dichiarati inalienabili e indivisibili per escluderli dall’uso comunitario e riservarli esclusivamente alle esigenze dello Stato. Venne pure vietato il disboscamento dei boschi di ‘ragione privata’, come ogni altra operazione tesa a depauperarli o a trasformarli in pascoli o campi lavorabili. Tale normativa fu, poi, inasprita con ulteriori leggi: in particolare, quella del 26 ottobre 1488 Pars rogatorum de comugnis et nemoribus e l’altra del 20 giugno 1495 in Pregadi. Per fare chiarezza sulla consistenza e sullo stato dell’importante patrimonio forestale della Repubblica, il Doge Agostino Barbarigo con Ducale 23 marzo 1489 diede mandato al Vice Luogotenente della Patria del Friuli, Alvise Loredan, di dar corso a un accertamento dei boschi della Signoria e questi incaricò il Procuratore fiscale di Udine, Tomaso Taurian, di procedere alla verifica in loco di un lungo elenco di aree boscate, partendo proprio dal Territorio di Monfalcone e procedendo verso occidente, da cui la denominazione di Cattastico Taurian: “... Et primo in territorio Montisfalconi reperiuntur infrascripta nemora (boschi) ...” In Istria, le aree boscate venivano classificate secondo tre tipologie: i boschi coronali, ovvero di proprietà della Signoria; i boschi comunali, detti anche comugne e comunele, provenienti da possedimenti ecclesiastici e feudali; i boschi non coronali, ovvero di natura privata, perché in possesso di Gastaldi ducali in seguito a usufrutto, affitto, atto di investitura o privilegio. I boschi istriani di particolare pregio e interesse erano ubicati nella Valle del fiume Quieto, a Montona (il bosco di San Marco, bellissimo zogiello) e a Grisignana (il bosco di San Zorzi), nella Valle della Dragona, nella Valle di Sterna, a Visinada (il bosco Visinal), a Zagorie di Fianona, a Parenzo (il bosco Carsiaga) e a Pola. Tutti, comunque, furono oggetto di ripetute rilevazioni per conto della Serenissima tramite catastici, dei quali resta viva la memoria soprattutto di quelli redatti da Fabio de Canal (Provveditore sopra i legni dell’Istria e della Dalmazia) il 3 luglio 1566 e da Vincenzo Morosini IV (Patron dell’Arsenal e Deputato ai Boschi) nel biennio 1775-1776. Notazione curiosa: i boschi della Serenissima avevano destinazioni diverse in funzione dell’impiego del legno. I querceti istriani di Montona e quelli trevigiani del Montello erano preferiti per le imbarcazioni, i boschi di fag-

gio del Cansiglio bellunese e dell’Altopiano vicentino di Asiago per i remi, i larici della Carnia per l’edilizia. Col Cattastico della Patria del Friuli di Qua e di Là del Tagliamento, redatto nel 1726 da Antonio Nani (Provveditor General nella Patria del Friul ed Inquisitor ai Boschi), venne accertata l’esistenza di aree boscate in ben 11 ‘Ville’ del Monfalconese: Isola Morosina, S. Cancían, Bestrigna, Selz, Vermean, Redipuglia, Pollazzo, Fogliano, Desena (ambito fuori dalle mura di Monfalcone), Pietra rossa (Casali di Pietrarossa) e Ponte di S. Giavani (Casali di S. Giovanni, nei pressi del ponte sul Locavaz). Le essenze arboree presenti nei boschi del Territorio non erano di pregio né in quantità rilevante, tuttavia vennero censite quale riserva per fronteggiare le emergenze connesse all’enorme fabbisogno di legname dello Stato. In questa panoramica forestale va inserita anche un’area boschiva non ricadente nel Territorio di Monfalcone, bensì in Comune di Grado, denominata Bosco detto li zoccati (zacco, ceppa, ceppaia), attribuita dal Nani nel 1726 al Distretto appunto della Città di Grado, confinante a est con le proprietà dei nobili da Fin e Filippo della Torre, a ovest con il fiume Tiel e a sud con le paludi della Comunità gradese e il Tiel medesimo. Delle suddette aree boschive monfalconesi non c’è più traccia, salvo una modesta superficie presente a sinistra della provinciale per Grado, di fronte a Villa Luisa (in località Ca’ Messenio), pallida vestigia di ciò che rimane del decantato Bosc grand (Nemus Major, Bosco Maggiore, Bosco grando), appartenuto tra ’700 e ’800 alla famiglia Nicoletti (Bosco delli Signori Nicoletti) e ai Conti Valentinis (Bosco di Valentinis).

Renato Duca e Renato Cosma

Renato Duca è stato direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana; Renato Cosma è stato condirettore del Consorzio di bonifica Pianura Isontina |

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ALLA SCOPERTA DI... LA MÙLA DE MÙGIA Servizio di Maurizio Puntin Immagini di Vinicio Patruno

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Memoria

di una Grado ladina

Due lidi di epoca protostorica e i resti del molo romano. Dalla costa dell’Isola del Sole emerge una storia millenaria, strettamente connessa con l’evoluzione dell’intero territorio regionale.

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Grado ha due lunghi cordoni sabbiosi (detti “banchi”) che si trovano a poca distanza dalla cittadina in mare aperto. Verso ovest il cosiddetto Banco d’Òrio e verso est la Mùla de Mùgia. Secondo alcuni sono il resto dei lidi di epoca protostorica. Il fatto che a poco più di mezzo chilometro dalla spiaggia principale ci siano sott’acqua le rovine del cosiddetto Portisin (resti del molo romano) parrebbe una parziale conferma di ciò. Il nome del Banco d’Orio è stato spiegato da G. Frau col basso lat. ōrum ‘orlo’ (variante di

*orium), qui nel senso di ‘margine esterno della laguna’ (Cfr. il friulano ôr ‘orlo’). Era attestata almeno fino alla Prima guerra mondiale anche la chiesetta di S. Pietro d’Orio (dial. d’Oro), situata sul grande canale che rappresenta grosso modo la continuazione storica del tratto finale e della foce dell’antico Natisone. Da un punto di vista linguistico interessa di più il nome dell’altro banco, la cosiddetta Mùla de Mùgia, situata poco al largo di Grado Pineta. Si tratta di una sorta di tautologia, ripeten-

In questa pagina, due immagini della Mùla de Mùgia: in alto, vista dal centro di Grado; in basso da un drone (ph. Pierluigi Siciliani).

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do in due forme diverse lo stesso significato. Questo accadeva quando si perdeva il senso di una parola, divenuta opaca, in periodi di cambiamenti linguistici. Mùla è la forma evoluta di una voce, mùgla1, abbastanza diff usa nel medioevo nel Friuli e in Istria. In origine essa indicava un dosso o una duna sulla riva di fiumi o del mare. Si veda per esempio la località Muggia di Annone Veneto2 (nel sec. XIII Lamugla – dP: 87, nell’attuale dialetto veneto La Mùgia), non lontana dal fiume Livenza. Un altro toponimo simile venne registrato sul Tagliamento nel XVI secolo: iuxta aquam vocata de la Mugla (Morsano al Tagl.; AO, n. 58). La forma evoluta mùla è ancora viva sia come voce in uso sia come toponimo lagunare a Marano: si vedano i vecchi toponimi catastali Mulla Fraida e Mullis. Nell’uso i due dizionari maranesi (Corso Regeni; Rossetto Doria) la confermano col significato di ‘dosso’ o ‘barena emergente’. In Istria la voce mugla prese già in età altomedievale anche il senso di ‘riva del mare’: cfr. nella zona parentina nel 1216 le due Mugle di S. Pietro e di Zane con in mezzo una salina e nel 1243, sempre sulla costa istriana, l’attestazione ripam seu muglam (CDI). Anche la località Muggia presso Trieste indicò probabilmente nel basso medioevo la parte

bassa sulla “riva” del mare, dove si venne edificando la cittadina, mentre la Muggia altomedievale era in alto sul colle (Muggia Vecchia). Fino in pieno ’800 nel friulano parlato dai vecchi la città era detta Mùgla e divenne poi Mùggia nel dialetto moderno, triestinizzato. A Grado il nome del banco nel medioevo era sicuramente nella forma ladina *Mùgla ma poi si perse il significato di quello che un tempo era un termine d’uso. Si conservò la sua normale evoluzione in Mùla ma si aggiunse (probabilmente per influsso veneziano) la forma più integrata nella fonetica veneta, Mùgia. Anche nell’attuale Fossalon di Grado, prima delle bonifiche, un canaletto che sfociava in mare non lontano dalla foce isontina si chiamava Rio della Muia, mostrandoci il più recente esito veneto, come a Muggia di Trieste, nel dialetto attuale Mùia. Che il toponimo Mùla ci mostri una fase “ladina” e più vicina dunque al Friuli non deve meravigliare. Anche un grande studioso come Giovan Battista Pellegrini scriveva negli anni ’60: a Grado, ove anticamente il dialetto era probabilmente ladino3. E si arriva nella cartografia moderna all’eccezionale toponimo composto Banco della Mula di Muggia, con addirittura tre termini che hanno praticamente lo stesso significato.



L’antica Mùgla

Il banco d’Orio

Il fenomeno di questi toponimi doppi con forma differente e semantica simile è frequente ma non sempre riconoscibile, perché talvolta il termine più antico è ormai opaco e pone seri problemi per l’etimologia (non è il caso di quello gradese). Per restare in Friuli nel ’700 a San Canziano si indicava in certi documenti la Roggia Patocco e a Sevegliano il Patocco della Roia dove il termine antico, in sloveno dialettale ( patok), ha lo stesso significato del romanzo ròja ‘roggia’. A Staranzano la denominazione di un grande bosco di querce, esteso in epoca altomedievale fra il paese e Ronchi era Dobia sive Roveret, una tautologia espressa nelle due lingue locali, sloveno (Dobje) e friulano (Roverêt). A Corno di Rosazzo un luogo chiuso in un’ansa del fiume Judrio era noto come Cistilir o Gridischis (‘resti di antiche difese’). In questi tre casi il problema è di facile soluzione poiché la lingua dei nostri vicini sloveni è ben conosciuta. Ma ci sono molti casi (specialmente nell’area alpina) in cui uno dei due termini, quello di formazione più antica, resta impenetrabile poiché la lingua in cui era espresso è scomparsa da secoli o da millenni. Qualche esempio: a Navarons (Val Meduna) una Strada dal Mulin è detta anche di Milibèc, cioè in forma friulana e in forma tedesca cimbra (stesso significato), poiché fra Frisanco e Navarons ci fu nel medioevo una immigrazione di famiglie cimbre, forse da Asiago. La gente del posto non sapeva ovviamente da tanto tempo cosa significava questo Milibec. Ancor peggio nella vicina Tramonti di Sopra dove troviamo il Rio Inglàgna, che probabilmente secondo una buona interpretazione viene dalla base prelatina *Clana indicante un corso d’acqua. Ma l’idronimo Inglagna è opaco da più di 2000 anni.

Fonti: AO = Archiviodell’Ospedale di S. Maria di Udine (in Archivio Arcivescovile di Udine). CDI = Codice Diplomatico Istriano.

Maurizio Puntin

Bibliografia: Corso Regeni M.T., Vocabolario maranese, Comune di Marano, 1990. Degrassi V., Esplorazioni archeologiche nel territorio della Laguna di Grado, in « Aquileia Nostra» XXI col. 5 segg., 1950. Degrassi V., Le rovine subacquee di S. Gottardo a Grado, in « Aquileia Nostra» XXIII, coll. 27-36, 1952. De Luisa Luigi, Grado e la sua laguna, Grado, 1983. Di Prampero (dP) = Di Prampero Antonino, Glossario Geografico Friulano, Venezia, 1882. Frau Giovanni, La toponomastica di Grado e della sua laguna, in “Antichità Altoadriatiche”, XVII, Udine, 1980. La laguna di Grado = Aa.Vv., La Laguna di Grado, Mariano del Friuli, 2004. NP = Pirona Giulio Andrea, Carletti Ercole, Giovanni Battista Corgnali, Il Nuovo Pirona, Udine, 1992. Puntin Maurizio, Dei nomi dei luoghi Toponomastica storica del Territorio di Monfalcone e del Comune di Sagrado, Gorizia, 2010. Puntin Maurizio, Alcuni appunti sull’autoctonia dei dialetti veneti nel Friuli, in Cultura in Friuli 7-17 maggio 2015, a cura di M. Venier e G. Zanello, Pasian di Prato, 2016, 87-102. Puntin Maurizio, Cjanâl da la Miduna (toponomastica delle valli Còlvera e Meduna). Di prossima pubblicazione. Pellegrini Giovan Battista, Tra friulano e veneto a Trieste, in Ce fastu?, XXXVI, n. 1-6, 1960, pp. 1-9. Rossetto Doria Bruno, Voci maranesi. Parole che vien dopràe e che le pol jutà chi che ghe piase savè qualcosa de più sula parlada de Maran, Cormons, 2010. Note: 1. Cfr. il friulano sèle al posto del più arcaico sègla ‘secchia’ (oggi prevale la forma diminutiva, seglòt; NP: 1005, 1007). 2. Annone con tutto il Portogruarese fece sempre parte del Friuli, fino al sec. XIX, quando venne passata d’autorità a Venezia. 3. Pellegrini 1960: 8. |

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ALLA SCOPERTA DI...

NUTRIE IN FVG Servizio di Massimo Ventulini. Immagini di Consorzio di Bonifica Pianura Friulana

Specie aliena Oltre 11 milioni e 500 mila euro: a tanto ammontano i costi per riparare i danni arrecati da questi animali su canali e argini della bassa pianura friulana. Come fare per prevenirli in futuro?

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Sebbene il titolo possa farlo pensare, non stiamo parlando di extraterrestri. In natura, infatti, specie aliena è sinonimo di non nativa in un determinato ambiente. Nel caso specifico, l’ambiente è il Friuli Venezia Giulia, mentre la specie è quella delle nutrie. Animale erbivoro originario del Sudamerica, è stato introdotto in Italia negli anni Venti del secolo scorso per allevamento e produzione di pellicce. Nei decenni seguenti, tuttavia, l’attività si rivelò poco remunerativa e fu gradualmente abbandonata. Esattamente come abbandonati in libertà furono diversi esemplari di nutrie, che col passare del tempo si sono riprodotti ed espansi. Secondo i dati più recenti, si stima che in Europa l’intera popolazione naturalizzata di nutrie sia costituita da circa 1,4 milioni di esemplari, di cui oltre 63 mila in Friuli Venezia

Giulia. Una presenza maggiormente condensata nelle aree di laguna e pianura, dove le nutrie trovano un habitat ideale. Questo animale predilige infatti ambienti acquatici come paludi, laghi, canali di drenaggio, fiumi ed estuari. La presenza nelle vicinanze di campi coltivati (mais, barbabietole, ortaggi) costituisce una condizione preferenziale per la specie. I grossi danni, tuttavia, le nutrie li provocano agli argini dei canali, dove scavano tane e tunnel lunghi fino a due metri. Per comprendere l’entità del problema è sufficiente prendere in considerazione la stima dei lavori per la sistemazione dei canali e argini danneggiati della bassa pianura friulana, resa nota dall’omonimo Consorzio di bonifica. Nella Bassa occidentale andranno sistemati 14.500 metri lineari per due sponde (costo di 2.900.000 euro); nella Bassa centrale 20.300 metri lineari per due sponde (4.060.000 euro); nella Bassa Orientale 23.000 metri lineari per due sponde (4.600.000 euro). Il costo complessivo degli interventi riparatori a causa dei danni arrecati dalle nuA fianco: un argine sotto il manto stradale, indebolito dalle gallerie scavate della nutrie. I cunicoli possono raggiungere anche i 2 metri di lunghezza. Sopra: un esemplare di nutria. Da adulte, le nutrie raggiungono una lunghezza che sfi ora 1,20 m (fi no a 64 cm per il corpo e fi no a 46 cm per la coda) e un peso di circa 9 kg.

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trie ammonta quindi a complessivi 11.560.000 euro di lavori. Nono bisogna inoltre scordare anche i danni provocati all’agricoltura, agli ecosistemi e alla fauna, con una riduzione di specie vegetali naturali, con danno diretto a determinate specie floristiche e animali (dovuto allo schiacciamento di uova e nidi). Per fronteggiare questa emergenza, diversi enti regionali hanno aperto un tavolo sul quale sono emerse differenti tipologie di intervento, suddivise principalmente in due fi loni: intervenire tramite metodi ecologici o tramite metodi cruenti. Nel primo caso, attraverso sostanze ormonali si punterebbe al controllo e sterilizzazione degli esemplari, ma anche all’utilizzo di tecniche di allontanamento attraverso l’uso di sostanze repellenti. Il metodo cruento, invece,

prevedrebbe l’abbattimento diretto o la cattura e successiva soppressione degli animali. In questo contesto, secondo un questionario elaborato dall’Università di Udine e rivolto a un campione rappresentativo della popolazione, la maggioranza degli intervistati si dice non disposta a tollerare la presenza delle nutrie nel proprio comune di residenza, ma al tempo stesso il 51% degli intervistati non è concorde all’eradicazione attraverso metodi cruenti. Percentuale che raggiunge invece il 75% di favorevoli a una soluzione non cruenta attraverso la diminuzione della fertilità. Qualunque sarà la scelta, diventa fondamentale agire in fretta.

Massimo Ventulini

Capo Ufficio Settore Manutenzione e Gestione del Territorio del Consorzio di Bonifica Pianura Friulana

Nutrie e comportamento sociale Specie crepuscolare-notturna, con massimo di attività al tramonto e all’alba. Condizioni climatiche e disturbo possono influire sui ritmi circadiani. Animale semiacquatico, rimane in apnea sott’acqua fino a 10 minuti. Costruisce piattaforme con materiale vegetale dove gli animali si raggruppano per nutrirsi e pulirsi il mantello. Le tane sotterranee sono utilizzate come riparo e per l’allevamento della prole. Specie gregaria, colonie di 2-13 individui a struttura matriarcale, o con un maschio e una femmina dominanti. Collaborazione tra gli individui, ad esempio nella cura della prole. Generalmente gruppo formato da femmine adulte imparentate e un maschio adulto. I maschi giovani sono prevalentemente solitari. Da adulte, le nutrie non si spostano molto dal territorio natale, soprattutto le femmine. Sembra che anche gli individui maschi si allontanino per distanze di 0,4-1,25 km.

Stima di popolazione della nutria in FVG

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ALLA SCOPERTA DI...

ANDREA NICOLAUSIG Servizio di Livio Nonis

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Custodi della tradizione

Dieci anni fa l’eredità sociale e culturale dei Campanari del Goriziano sembrava destinata a un inesorabile declino. Per invertire la tendenza è stata fondata un’apposita associazione. Che, come spiega il suo presidente, ha invertito la rotta e avvicinato nuovi giovani.

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Quando si parla di Campanari nell’isontino e nella bassa friulana l’attenzione non può che cadere sull’associazione «Campanari del Goriziano - Pritrkovalci Goriške - Scampanotadôrs dal Gurizan», nata ufficialmente nel 2009, sebbene già attiva dal 2007, come realtà di riferimento per tutti i gruppi di suonatori di campane del Goriziano, inteso nella sua natura storica e quindi comprendente tutta l’attuale Arcidiocesi di Gorizia e i territori già goriziani ora in Slovenia. Il sodalizio coinvolge circa 150 campanari attivi e promuove ormai da oltre un decennio l’insegnamento dello scampanio a bambini e ragazzi, attraverso le scuole campanarie in diverse località del territorio. Appuntamento di ritrovo e di formazione annuale è la Festa dei Campanari il primo sabato di settembre di ogni anno. L’associazione è anche promotrice della manifestazione Campanili aperti che vede l’apertura di alcuni campanili ai visitatori e di pubblicazioni inerenti al proprio campo di attività. In pochi anni questa realtà ha saputo recepire un patrimonio, solitamente di tradizione orale, aiutando e sostenendo la sua trasmissione dai più anziani alle nuove generazioni. Oggi il Goriziano può offrire molte nuove squadre di giovani scampanotadôrs che hanno appreso la tecnica e con passione allietano le ricorrenze religiose, portando quell’aria di festa che soltanto lo scampanio può dare. 60

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Incontriamo il presidente dell’associazione, Andrea Nicolausig, per capire chi è e cosa fa un campanaro. Come ci si avvicina a questa tradizione? «Si tratta di una passione che nasce spontanea o altrimenti è il risultato della volontà di conoscere e avvicinarsi a uno strumento particolare come la campana, che la persona vede lontano sul campanile ma che sente quotidianamente e quindi ritiene parte del proprio vivere. Il tutto poi si sviluppa come un servizio svolto per la comunità parrocchiale». Molte tradizioni rischiano l’estinzione per mancanza di seguito: è anche il vostro caso? «Fortunatamente posso dire di no, ma dieci anni fa la risposta sarebbe stata diversa. Con la nascita dell’associazione “Campanari del Goriziano”, che si occupa di preservare quest’antica e bella tradizione, possiamo affermare di essere riusciti a invertire una tendenza che pareva inesorabile. Molti sono i campanari di una certa età, che rappresentano le nostre radici e garantiscono il collegamento tra generazioni, ma altrettanti sono i giovani scampanotadôrs, che in questi anni sono vistosamente aumentati e rappresentano il nostro futuro». Quanto tempo ci vuole per diventare un campanaro? «Ogni anno l’associazione organizza le Scuole Campanarie, ossia dei corsi di formazione per


Pagina accanto, i Campanari del Goriziano davanti alla Campana della Pace di Rovereto: in centro l’assistente della associazione, don Moris Tonso; alla sua sinistra Andrea Nicolausig. Di fianco: alcuni giovani campanari in azione.

diventare scampanotadôrs. Il primo corso è nato esattamente trent’anni fa a San Lorenzo Isontino per merito del cavalier Giovanni Marega, che ancora oggi lo guida, a conferma di come sia stata un’intuizione straordinaria. Quest’anno altri corsi vengono organizzati a San Pier d’Isonzo, Scodovacca, Gabria e Medea. Durano all’incirca un mese e rappresentano il primo passo per entrare nel mondo delle campane». Una curiosità, quanto pesa una campana? «Dipende, si va da concerti relativamente piccoli, con campane del peso di alcune centinaia di chilogrammi, a concerti più grandi. Nella Bassa sono notevoli i concerti di campane di Aiello, Fiumicello e Aquileia, per citare i più imponenti, con bronzi che possono superare i 2.000 chili». Tanto sacrificio come viene ricompensato? «Se va bene con un bicchiere di vino o una fetta di salame! La soddisfazione più grande è quella di poter contribuire alle feste religiose dei nostri paesi, portando quell’aria di festa che solo lo scampanio manuale è in grado di dare. Quando scendi dal campanile e le persone ti fermano per ringraziarti per l’emozione che hanno provato, è già un guadagno». La tradizione riguarda anche la lingua? «Certamente. Io ad esempio posso affermare di aver iniziato a parlare in friulano proprio frequentando assiduamente gli scampanotadôrs, che tra loro parlano solo in marilenghe. Agli incontri di campanari si sente parlare anche in sloveno o in bisiaco, raramente in italiano». Come giudica la salute dei nostri campanili? «Abbastanza buona. Come associazione cerchiamo di avere un referente per ogni campanile che si preoccupi di mantenerlo in ordine e di organizzare lo scampanio, almeno nelle occasioni più importanti. Ogni anno organizziamo la manifestazione Campanili aperti, la seconda domenica di maggio: cerchiamo in questo modo di aprire dei luoghi solitamente non accessibili

dalla gente e il risultato è sempre molto apprezzato. Anche la Festa dei Campanari nel mese di settembre si svolge ogni anno in una località diversa». Si dice che a suonare le campane si diventa sordi… «In effetti un tempo bastava un po’ di ovatta e si saliva sul campanile. Oggi chiediamo ai nostri campanari di adottare delle precauzioni, come ad esempio tappi in lattice o meglio ancora delle cuffie per attutire il suono e proteggere l’udito». Dal Goriziano al resto d’Italia, c’è un legame tra i campanari italiani? «Ogni anno c’è un raduno nazionale e in diverse occasioni vi abbiamo partecipato. I campanari del resto d’Italia hanno tecniche di suono completamente differenti dalle nostre: più affi nità c’è invece con i campanari sloveni, con cui condividiamo la stessa tradizione. Recentemente abbiamo pubblicato e ristampato, a cura del sodalizio, il volume Il campanaro sloveno di Ivan Mercina, stampato a Gorizia nel 1926. Si tratta di uno dei più antichi manuali sull’arte campanaria delle nostre terre, che era ormai introvabile ed è stato edito in sloveno, friulano e italiano. Contiene anche numerose partiture per campane. Era scritto unicamente in lingua slovena e abbiamo desiderato curare la traduzione in friulano e italiano per renderlo nuovamente fruibile. Ci stiamo impegnando altresì a raccogliere altre melodie di tradizione orale, tramandate dagli anziani scampanotadôrs: lavoro non manca e invitiamo chi desidera avvicinarsi a questa bella tradizione a contattarci, le porte dei nostri campanili sono aperte». L’associazione ha anche il suo sito web www. campanaridelgoriziano.eu dove si possono trovare gli orari di segreteria e tutto quello che concerne l’attività. Livio Nonis |

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PERSONAGGI CATERINA PLET Servizio di Livio Nonis

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Una vita

per lo sport

Un infortunio al ginocchio ha interrotto sul nascere la stagione agonistica. Ma Caterina Plet punta già al rientro in vista della prossima stagione. Perché nonostante la diagnosi di disabilità intellettiva, con gli sci ai piedi non conosce rivali.

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Caterina Plet ci riceve sulla porta della sua bellissima casa. La campionessa di sci e di nuoto cammina sorreggendosi con una stampella, fresco ricordo di un infortunio patito in allenamento: uno sci è andato di traverso e il ginocchio ha avuto la peggio, precludendole una stagione iniziata sotto i migliori auspici. Nata ad Aiello del Friuli il 18 febbraio 1982, a Caterina dopo qualche mese è stata diagnosticata una disabilità intellettiva relazionale. Ma nonostante la diagnosi, papà Gerardo e mamma Laura non si sono persi d’animo. Non le hanno fatto mancare nulla, sorretti anche dall’arrivo dei nuovi frugoletti Sara, Stefania e Pietro. Caterina ha frequentato le scuole elementari alla “Nostra Famiglia” a Pasian di Prato, dove si è anche avvicinata allo sport, divenuto in seguito un fattore molto importante nella sua vita. Dopo aver frequentato le scuole medie a Cervignano del Friuli, successivamente ha conseguito il certificato di frequenza in segretaria d’azienda al Mattei di Palmanova. Finiti gli studi sono iniziate per Caterina le pri62

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me esperienze nelle discipline sportive, grazie all’avvicinamento alla FAI Sport, guidata dal presidente Giorgio Zammarchi che, intuendo le sue attitudini, l’ha indirizzata alla pratica del nuoto. Ma dal momento che i suoi genitori avevano una casetta a Sappada e spesso passavano le giornate sulla neve, si è appassionata anche allo sci, iniziando a praticare le specialità alpine. Tra una prova e l’altra sono emerse le sue capacità competitive, fi no a maturare la decisione di provare a gareggiare… E i risultati sono stati subito ottimi, anche grazie all’allenamento con un preparatore individuale abilitato per atleti con difficoltà. Un lavoro prezioso che non ha tardato a dare i propri frutti, come dimostrato dalla prima vittoria ai Campionati italiani nello slalom speciale e dalla conquista della prima medaglia d’oro nel 2007 sul Monte Cimone. Un’escalation che da quel momento non si è più fermata. Moltissimi i titoli nazionali conquistati, ma soprattutto tante partecipazioni ai Campionati mondiali, a iniziare da quelli del 2010 al Sestiere, dove ha conquistato un sudatissimo ma meritato bronzo, prece-


duta da un’atleta giapponese e da una australiana. L’anno successivo, sul Passo del Tonale, due bronzi, nello slalom speciale e nello slalom gigante. Ha partecipato anche ai mondiali in Francia (Lans-en-Vercors), in Turchia e in Svezia, sfiorando più volte il podio. Nel 2018 è entrata a far parte dello Special Olympics, associazione fondata da Eunice Kennedy Shriver negli Usa nel 1968, che propone e organizza allenamenti ed eventi per persone con disabilità intellettiva e per ogni livello di abilità, predisponendo un programma internazionale di allenamento sportivo e competizioni atletiche per 2.500.000 atleti. Nel mondo sono 180 i Paesi che adottano il programma Special Olympics, più di tre milioni di membri di famiglie e un milione di volontari aiutano a realizzare ogni anno circa 23.000 grandi eventi. Caterina si è fatta subito notare vincendo due gare. Purtroppo quest’anno proprio dopo una vittoria è arrivato l’infortunio al ginocchio che l’ha fermata. Il suo rientro sarà graduale, ma a novembre si spera possa nuovamente essere abile per le gare. Il nuoto è una sua altra passione, anche se dopo aver conquistato qualche titolo italiano si è fermata partecipando soltanto a gare regionali. Chiediamo al papà Gerardo, conosciuto da tutti come Gerri Plet, cosa fa Caterina quando non gareggia: «Ha lavorato nell’Ufficio Invalidi di Palmanova per poi entrare con una Borsa Lavoro in segreteria del Comune di Aiello del Friuli e rimanervi per 10 anni. Dallo scorso primo gennaio, non essendole stato rinnovato il contratto, sta a casa: aiuta la mamma nei lavori domestici, anche se spero che rientri al più presto nel mondo del lavoro, poiché Caterina ha bisogno di stare con la gente e interagire con tutti». Grazie all’esperienza vissuta con sua figlia, Gerri Plet ha potuto aiutare anche altre persone: «L’esperienza con Caterina mi ha permesso di incontrare maestri di sci che stanno per avere anche l’abilitazione per le persone disabili, spiegando loro come si vive con lei: in questo modo è possibile fornire un grande input per ricercare il modo corretto per approcciarsi a questi ragazzi, per far vivere loro in modo positivo e attivo la propria disabilità. Una cosa che faccio con immensa gioia, assieme a persone di grande responsabilità e umanità». Livio Nonis

Torviscosa, una corsa tra colori e divertimento

Il 13 agosto la nuova edizione della Color Tor, nell’ambito del festeggiamenti del “Perdón”. Il Color Tor è la versione casereccia, a Torviscosa, di un evento che sta prendendo piede in tutto il mondo – The Color Run – definito la corsa più felice del pianeta: una gara non competitiva che si svolge in un contesto ricco di colori, musica, festa e allegria. A Torviscosa l’appuntamento è per martedì 13 agosto alle ore 18, con partenza dal sagrato della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta. I partecipanti dovranno essere vestiti esclusivamente di bianco. Lungo il percorso di 5 chilometri, a sorpresa, incontreranno delle “zone di colore” dove degli addetti provvederanno a cospargerli di polveri colorate composte al 100% da prodotti naturali. Per partecipare all’evento non è necessario essere corridori esperti e alla fine non ci sono né vincitori né tempi ufficiali. La manifestazione è inserita nel contesto del Perdón dal Tor 2019, sagra paesana che si svolge a Torviscosa dal 13 al 16 agosto in onore della Madonna Assunta, organizzata da un comitato festeggiamenti che vanta la collaborazione con la Libertas Torviscosa, la locale sezione Alpini e il Gadas (Gruppo Autonomo Donatori Sangue). Tra gli altri eventi la cottura del “frico gigante” (14 agosto) con la partecipazione dei Polentars di Verzegnis e la musica di Fabio Corazza. Nella giornata del 15 agosto prevarrà la parte religiosa con la messa delle ore 11, la benedizione delle autovetture, la processione nel tardo pomeriggio, preceduta dalla Banda di Corno di Rosazzo; alla sera ballo con i Fantasy e tombola con montepremi di 1.500 euro. La manifestazione si chiuderà il 16 agosto con “Roger la voce del sole” e latombolissima con montepremi di 5.000 euro. Tutte le sere ci sarà la pesca di beneficenza e funzioneranno chioschi con specialità gastronomiche. L. N. |

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F I G L I D I U N O S P O R T M I N O R E o v v e r o , s a r a n n o ( s t a t i ) q u a s i f a m o s i !

Un Van Damme nostrano Negli anni novanta andavano di moda i film di Jean Claude Van Damme ambientati nel mondo della muay thai; o era sulla kick boxing? Ma non sono la stessa cosa? Sono il solito profano della materia e chiedo aiuto ad Alan Vidoni, un Van Damme nostrano, friulano doc, che mi illuminerà sull’argomento. «La muay thai – spiega – è l’arte marziale che Van Damme, in modo cinematografico, metteva in scena nei suoi film; la kick boxing, diversamente, è una forma di combattimento derivata dalla muay thai, nella quale sono stati eliminati i colpi più pericolosi, quali ginocchiate, gomitate e tecniche anch’esse devastanti, come il clinch e le proiezioni atterranti. La kick boxing è una disciplina sportiva, come il pugilato, non un’arte marziale». Lei quando ha cominciato a praticare arti marziali? «Ho cominciato a 25 anni in maniera del tutto casuale, incontrando un ragazzo mio coetaneo il quale poi sarebbe diventato il mio Maestro. Fino a quel momento avevo praticato sport di squadra, come il calcio, dove pur cavandomela abbastanza bene, sentivo che quello non era il mio mondo. Invece i guantoni mi hanno attirato subito, nonostante gli allenamenti durissimi ai quali il Maestro ci sottoponeva sin dal principio. Sentivo che era giusto essere lì e non mi sono mai lamentato della fatica fatta e dei colpi presi; d’altronde non ero l’unico a intuire che in quella palestra ci si allenava con metodi tanto efficaci e pratici quanto ancora attuali, poiché veniva-

no ad allenarsi anche atleti da Gorizia e altre parti della provincia». Affrontare uno sport così estremo è una questione di coraggio consapevole o un ardimentoso cimentarsi a sfidare il pericolo? «Si affronta tutto per gradi; nessuno va allo sbaraglio. Gli allenamenti duri insegnano a crearti il carattere da combattente, sia nel fisico che nella mente che nello spirito. Porti a segno i tuoi colpi ma li incassi anche, impari a non esaltarti, mantenendo la guardia sempre alta anche quando le braccia ti esplodono per la fatica, anche se intuisci di essere in vantaggio. Impari a non svilirti se ti trovi di fronte a un avversario particolarmente in forma, che combatte il suo match cercando di surclassarti». Quando ci si trova a gestire una situazione di ‘emergenza’ come un combattimento, non si vede l’ora che finisca oppure si entra nel vortice dell’‘ancora un colpo’? «La preparazione che sta alla base della muay thai o della kick boxing non viene acquisita dall’atleta così per caso, guardando i video su YouTube, ma dopo anni di lavoro duro in palestra, e l’apprendimento dello stesso non finisce praticamente mai. Perciò senti che non ti devi fermare mai, non ti fermeresti mai». Un famoso insegnante di una ‘ginnastica dolce’, che poi era anche un grande maestro di arti marziali, all’inizio dei suoi corsi richiamava l’attenzione sul significato dell’essere definito ‘un

Alan Vidoni (primo a sinistra) con il gruppo del Krav Maga Team Satori di Udine; accanto a lui Stefano Busolini menzionato nell’intervista

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Michele D’Urso

Cristian Agnoletti nel suo centro sportivo T&SLA

Vidoni sul Grand Canyon, negli Stati Uniti

uomo buono’, sostenendo che non competere in nessun campo è una coercizione educativa limitante per qualsiasi individuo. Lei concorda? Ovvero, praticare uno sport da combattimento può davvero aiutare l’evoluzione di un individuo? «Sono d’accordo con il pensiero espresso da quel Maestro: praticare sport da combattimento non ti rende “cattivo” mentre restare sul divano fa di te un uomo “buono”. Sostituirei la parola competizione con “confronto” e questo rende facilmente intuibile che ogni confronto ti arricchisce di un esperienza e quindi fa di te un uomo migliore. Si usa anche dire “confrontarsi sul ring”, ma certamente si può applicare il concetto in ogni campo della vita. Più sei ricco di conoscenze dovute alle esperienze acquisite meglio ti confronti con chiunque, anche e soprattutto con te stesso». Parliamo del suo palmares. «Sono stato un atleta comune spronato dalla propria voglia di arrivare un po’ più in là, di mettersi alla prova costantemente come tantissimi altri. Non sono stato un campione e le classifiche non mi interessano più di tanto. Per me ha valenza quello che si fa senza rimpianti e senza scuse. È stato tutto molto naturale: prepararsi, andare a combattere, passare a fare il trainer per trasmettere quello che avevo appreso. La vittoria è una cosa effimera, non la si possiede per sempre. Questo dovrebbe essere lo spirito che ti fa continuare a fare quello che stai facendo». Qual è l’atleta o il maestro che più l’hanno impressionata o ai quali si è ispirato? «Ci sono alcune persone che durante il mio percorso sportivo mi hanno impressionato per il loro

Foto di alcuni anni fa: sessione di allenamento Thai, con gli atleti seguiti da Vidoni

modo di essere, ognuna di loro con il proprio stile. Cito i Maestri Alfio Romanut del Team Satori di Gorizia, colui il quale, fra l’altro, ha portato ai vertici mondiali i fratelli Petrosyan; il mio primo Maestro Luca Battista, che mi ha accompagnato per tantissimo tempo. Come non citare Stefano Busolini il mio attuale “mentore” di krav maga e functional training, discipline da me attualmente praticate. Ho smesso di praticare la muai thai, ma non voglio diventare un ex atleta e appendere tutto al famoso chiodo. Ci tengo a precisare di non essere il solo ad ammirare le persone che ho citato: il loro lavoro e il loro valore sono unanimemente riconosciuti». A proposito, lei qualche film di Van Damme lo ha mai visto? «Certamente, almeno quelli più famosi. E ammetto che in qualche modo possono aver stimolato la mia voglia di indossare i guantoni, ma sicuramente non ne ho mai fatto un ideale. Bisogna sempre tenere presente il quotidiano, il lavoro, gli affetti». Eh già, la vita non è un film, ma è affascinante lo stesso, anche nella sua quotidianità: è lì la nostra lotta, dove un figlio di uno sport minore come Alan, che ringrazio per avermi raccontato - con il suo stile sobrio - le proprie esperienze sportive, ben impersona il concetto del ‘Mito della porta accanto’ che può celarsi in ognuno di noi. Hokka Hey! Chiunque voglia segnalare “un mito della porta accanto”, può scrivere alla redazione di iMagazine:  redazione@imagazine.it

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TURIPESCA Rubrica di Livio Nonis Supporto tecnico di Dario Vetta

La foce e il branzino Ultima puntata del viaggio nei vari endemismi che formano un fiume. Con la difficile pesca della specie sovrana incontrastata di questo escosistema.

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Cari lettori siamo arrivati alla fine del nostro percorso, abbiamo visto il fiume, i pesci che lo abitano e i vari sistemi di pesca che si usano per catturarli. Siamo partiti dall’origine, il lago alpino, siamo passati per il fiume di montagna, il fiume di pianura, i vari tipi di torrenti che in esso vi confluiscono e ora ci troviamo alla fine, dove le acque dolci incontrano quelle salate: la foce. Sovrana incontrastata della foce è la Spigola o Branzino (Dicentrarchus labrax), specie fortemente Eurialina (che sopporta grossi sbalzi di salinità dell’acqua), preda ambita da tutti i pescatori, ma che solo i più esperti e smaliziati sanno fare loro. Per il branzino, molto diffidente e selettivo, non tutti i giorni sono uguali: influenzato da tempo atmosferico e maree cambia con frequenza il tipo di esca che lo può indurre ad attaccare; per questo solo chi lo conosce bene ha probabilità di catturarlo. I metodi di pesca che vanno per la maggiore tra i pescatori amatoriali sono due: dalla riva con canna o dalla barca pescando alla traina. Dalla riva con canna robusta di cinque-sei metri, lenza madre del ventidue-venticinque, galleggiante di 6-8 grammi con Starlight per la pesca notturna e pallini spaccati e torpille per bilanciarlo, una robusta girella (Sz. 8 può andare bene), un finale del 18-20 e un amo proporzionato all’esca che userete. Un amo Size 4 è molto versatile. Come esca consiglio il gambero vivo, innescato per la coda, ma qualunque pesciolino, se ben vivo e pimpante innescato per le labbra può essere utile. Naturalmente in questo caso il galleggiante deve essere adeguato. Dalla barca invece oggi si pesca con canna corta (1,8 – 2,5 mt), mulinello con lenza madre del 25-30, girella con gancio e artificiale. Nella scelta dell’artificiale, influenzata da marea e tempo atmosferico, viene fuori il mestiere del pescatore esperto.

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Con questo sistema, in una notte buia e tempestosa, io ho avuto la soddisfazione di fare due catture in meno di venti minuti: 5 kg la prima e 3 kg la seconda. Una notte memorabile che ha fatto dimenticare tutti i sacrifici, anche i pizzichi delle zanzare. Dettaglio non secondario: portatevi un compagno che sappia manovrare bene il retino. Anticamente questa pesca, denominata “panola o panolare”, veniva praticata da una piccola barca mossa da un remo solo: piazzato il remo a poppa, sull’asse centrale della barca, con un movimento particolare si faceva avanzare di buon moto l’imbarcazione. Un remo solo vuol dire avere una mano libera e con questa si gestiva una lenza a mano che, appesantita da un piombino, trainava il gambero o i pesciolini che abbiamo incontrato già nella pesca dalla riva. Cefaletti o giovani angusigoli i preferiti.

Turismo

La Riserva Naturale Regionale della Foce dell’Isonzo, situata lungo l’ultimo tratto del corso dell’omonimo fiume, si sviluppa su un territorio compreso nei comuni di Staranzano, San Canzian d’Isonzo, Fiumicello e Grado, e copre una superficie di 2.338 ettari, 1.154 dei quali in ambiti marini. Il simbolo della riserva è il Chiurlo maggiore. Il principale punto d’interesse è la parte finale denominata Isola della Cona, zona nella quale sono stati effettuati una serie di interventi che hanno portato alla creazione di una palude temporanea d’acqua dolce, denominata “il Ripristino”. Questi interventi, assieme all’istituzione della Riserva Naturale della Foce dell’Isonzo nel 1996 e il varo di un programma di ricostruzione delle infrastrutture e di ulteriori rinaturazioni, hanno incrementato notevolmente il numero delle specie legate agli ambienti umidi e in particolare l’avifauna per la quale si segnala la presenza di oltre 320 specie di uccelli fra migratori, svernanti, estivanti e stazionari.


Pagina accanto in apertura, Foce dell’Isonzo. Sullo sfondo la costiera triestina; sotto, attrezzatura per pesca notturna da riva. In questa pagina da sinistra, notte di pesca proficua; esemplari di spigole o branzini.

Un altro sito interessante si trova nella parte più orientale della Riserva ed è l’area di Punta barene e del Bosco Alberoni. Punta barene si trova a sinistra del canale di Quarantia e offre un punto panoramico straordinario sul golfo di Panzano, dove lo sguardo può spaziare dal castello di Duino a quello di Miramare. Il Bosco Alberoni rappresenta un relitto di bosco planiziale costiero dove si può incontrare il Picchio nero, specie normalmente legata ai boschi alpini e prealpini, che qua nidifica al livello del mare. Nei pressi della foce del fiume Isonzo, in sinistra orografica, è presente l’area del Caneo, caratterizzata da un’estensione notevole di canneti e scirpeti, importante dormitorio per il Falco di palude e l’Albanella reale. Nell’area sono presen-

ti una struttura ricettiva privata, una torretta per l’osservazione degli isolotti alla foce, un piccolo villaggio di pescatori e una pista ciclabile che porta a Grado passando per la Riserva naturale regionale Valle Cavanata.

Punto di ristoro

Presso il centro visite della Cona si può approfittare del ristorantino “Il Pettirosso” che offre piatti tipici, ma soprattutto un panorama mozzafiato con una visione diretta di un angolo faunistico unico nel suo genere. Sarete in mezzo alla fauna e mentre vi gusterete il vostro cibo, vicino a voi ci saranno delle “ochette” che gusteranno il proprio. Livio Nonis


ETICA E LOGICA

Manifesto per la filosofia

Rubrica di Cristian Vecchiet

P E D A G O G I A

Una petizione lanciata da due docenti di scuola superiore è stata subito sostenuta anche da analisti e imprenditori. Perché per un filosofo non basta avere un’opinione: bisogna anche saperla giustificare e, se una opinione non ha giustificazione, occorre avere il coraggio di cambiarla. Due docenti delle scuole superiori, Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia, hanno elaborato e lanciato la petizione denominata Manifesto per la filosofia con l’obiettivo di chiedere che «la filosofia sia adeguatamente riconosciuta nell’esame di Stato, che sia inserita in tutti i curricula scolastici, riguardando anche gli istituti tecnici, e che sia valorizzata nella formazione universitaria e nelle pratiche formative professionali del mondo del lavoro». Il documento quindi sostiene l’importanza della filosofia per la formazione delle nuove generazioni. Fin da subito l’iniziativa ha suscitato non solo interesse, ma soprattutto convinte adesioni. Non solo tra docenti ma anche tra professionisti e imprenditori. Perché la filosofia è considerata così importante? Per rispondere a questa domanda, prima di tutto bisogna capire che cos’è. Filosofia vuol dire amore per la sapienza, per la conoscenza, cioè amore e aspirazione a conoscere tutta la realtà e in particolare il senso, la natura e il valore di tutte le cose. Platone distingue tra «filosofia» e «filodoxia»: la prima è l’amore per la conoscenza delle cose vere e la seconda è l’amore per le opinioni, per l’apparenza, per la superficie delle cose. La filosofia educa a chiedersi il «perché» delle cose e obbliga a dare ragione delle proprie idee. Il modello dell’indagine filosofica per eccellenza è sicuramente Socrate. Questi non dava nulla per scontato e interrogava sempre i propri interlocutori per costringerli a rendere ragione di quello che sostenevano. Questo è il punto: cercare il senso di tutte le cose e le buone ragioni che lo sorreggono. La filosofia è pertanto ragionamento e argomentazione. Per un filosofo non basta avere una determinata opinione: bisogna anche – e soprattutto – saperla giustificare e, se una opinione non ha giustificazione, occorre avere il coraggio di cambiarla. La filosofia quindi insegna a osservare con attenzione la realtà, a porre correttamente le 68

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domande, a fuggire dalle risposte affrettate e semplicistiche. Come recita il Manifesto sopra citato, la filosofia «ci chiede sempre cosa pensiamo di sapere» e «ci chiede sempre come facciamo a sapere ciò che sappiamo». Come si vede da quanto detto finora, la filosofia educa alla logica perché il pensiero ha le sue regole e queste vanno rispettate (ad esempio il principio di non contraddizione: non possiamo affermare due opinione che si contraddicono reciprocamente). Di più: la filosofia educa al pensiero critico e quindi alla libertà. In sintesi la filosofia è logica, pensiero e anche etica. Potrebbe sembrare strano, ma il pensiero in un certo senso - è anche prassi, perché obbliga a interrogarsi sul nostro e sull’altrui modo di vivere ed eventualmente anche a cambiare direzione. Ancora una volta il modello esemplare è Socrate e assieme a lui tutti coloro che col pensiero libero hanno cambiato la propria e l’altrui vita. Viste le peculiarità della filosofia, si deduce la sua importanza universale. Non si tratta di pensiero astratto adatto solo ai ragazzi dei licei. Si tratta piuttosto di una modalità insostituibile (per la sua modalità specifica) di introduzione alla realtà. Non l’unica, ma certamente quella più adatta a interrogare e interrogarsi razionalmente sul senso delle cose. Per questo è importante che acquisti spazio nella formazione di chiunque. Senza dimenticare peraltro che il pensiero filosofico ha forgiato l’Occidente e ha plasmato le categorie di tutte le scienze e le arti occidentali. E senza dimenticare che il pensiero filosofico si esprime anche attraverso l’arte, l’architettura, la politica, la religione... Come si vede, si può ritenere che la filosofia costituisca altresì un’ottima formazione di base come introduzione a qualunque professione. Perché si tratta di una modalità di guardare il mondo e quindi di starci dentro. La filosofia è logica, ragionamento, dialogo, apertura della mente a possibilità nuove. Ed è anche etica. E anche molto altro: estetica, politica, diritto...


Potremmo dire inoltre che la filosofia è educazione per definizione. Infatti insegna ad ascoltare prima di parlare, a osservare e considerare la realtà in tutti i suoi fattori, a non accontentarsi di risposte preconfezionate, a dialogare per capire e approfondire, a interrogarsi e a porre correttamente le domande, a ragionare rispettando i principi della logica, a cambiare posizione quando l’altrui argomentazione è migliore della propria, a essere conseguenti a quanto si pensa... e molto altro. L’arte dell’educare è anche un’arte filosofica. Non si educa, infatti, se non attraverso il senso mostrato e incarnato nella pratica nonché giustificato e argomentato nel dialogo. L’educazione vive di testimonianza, di pratiche, di simboli, di riti e miti, di dialogo, di autorità, di confronto, di arricchimento reciproco e di scoperte condivise. La logica, il ragionamento, il dialogo sono parti costitutive dell’educare. Ecco perché sarebbe opportuno riscoprire nella pratica educativa e anche didattica il valore dell’esercizio filosofico. Quanto il Manifesto esprime in fondo è precisamente una difesa di quanto connota essenzialmente l’umanità, cioè la capacità riflessiva come capacità di cogliere e di attribuire un senso fondato alla vita e di costruire rapporti interpersonali, comunitari e sociali eticamente solidi.

Cristian Vecchiet

Docente di Teologia dell’Educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia


AGIRE UMANO

Onore, rispetto e onestà

Rubrica di Manuel Millo

S O C I A L E

Nella nostra società la dinamica dell’azione si svolge spesso su logiche di compromesso, tornaconto e manipolazioni. Ma la realtà è veramente solo questo?

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Tre parole apparentemente uniche, statuarie, fondamento di alcune caratteristiche che guidano la vita dell’individuo. Ma fino a che punto un uomo è pronto a “giocarsi” la vita per queste semplici parole. Cominciamo con un gioco, quello degli abbinamenti. Due colonne, elenchi di parole e una freccia a collegare le due relazioni. Ma qui ci sono tre parole: come si fa? E se vi dicessi che anche la freccia ha il suo senso… Il suo orientamento. Perché mettere in colonna delle parole è solo uno dei tanti modi o schemi in cui in generale vedere la vita. Viviamo di abitudini, di modalità che costituiscono il nostro giorno, alcune piacevoli, altre meno, alcune articolate, altre più semplici, alcune imposte o imparate, altre create da noi stessi per darci delle regole di vita. Le nostre tre parole in gioco quale freccia hanno correlata? L’agire umano. Essere uomini può apparire il mestiere più difficile al mondo. Specialmente in una società dove nel presente come nel passato la dinamica di azione si svol|

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ge spesso (ma non sempre) su logiche di compromesso, tornaconto e violenze o manipolazioni (basta aprire un quotidiano qualsiasi). Ma la realtà è veramente solo questo? La risposta ovviamente è già nella domanda. No. Quello che ci serve più che mai è possedere gli strumenti per poter tradurre i principi più alti dell’essere persona: la verità, l’amore, la non violenza. E lo strumento migliore è il distacco. Che non significa lasciare correre via gli eventi e condurre nell’indifferenza la propria esistenza. Si tratta di mettersi a confronto con un mondo che è parte di noi e noi parte di lui nel modo più opportuno. È fare surf. Se non ho l’adeguata preparazione e una buona tavola (pensate di andarci con un pezzo di cartone) quello che dovrebbe essere un piacere diventa la mia potenziale tomba. Viene da ridere a pensare di vedere una persona tutta convinta di andare a fare surf con il cartone al posto della tavola. Direste che è pazzo. Bene lo siamo anche noi quando pensiamo che non ci serva prendere tempo prima di elaborare - magari a fine giorna-


ta - ciò che è accaduto, che abbiamo detto o fatto con quello che l’indomani continueremo a vivere. Non mettere in comunione cuore e intelletto in una rielaborazione temporale è proprio come andare sulle onde con il cartone. Rischiamo di essere spazzati via. Eppure la società guardandola con lieve distacco è come se si muovesse con quel cartone. E allora le nostre tre parole iniziali come ci possono aiutare? Dobbiamo fare ordine nel principio che muove le nostre azioni. Perché siamo tanto preoccupati per la nostra immagine, per la nostra reputazione, per il nostro onore? Cos’è che ci onora? Avere due milioni di commenti positivi o like sulle nostre ultime foto postate? In uno degli ultimi scritti, Zygmunt Bauman parlava delle “vite di corsa” e soprattutto di come salvarsi dalla tirannia dell’effimero. Il teologo Hans Kung aggiungeva che il mondo economico stesso abbisogna di un’etica. Abbisogna di onestà. E l’onestà da dizionario indica “la qualità umana di agire e comunicare in maniera sincera, leale e in base a princìpi morali ritenuti universalmente validi, evitando di compiere azioni riprovevoli nei confronti del prossimo”. E ancora: il rispetto. Qui si mette in campo il punto di vista e la logica dell’atteggiamento. Se abbiamo rispetto di una persona come ci poniamo nei suoi confronti? Rispetto dei propri genitori, di un amico, dell’autorità. Modi completamente diversi per la stessa parola. In qualche tratto l’essere umano cerca il rispetto e lo vuole costruire secondo logiche di onore che spesso vanno in confitto con l’onestà. Quando parliamo di persona, implicitamente parliamo di relazione. Non c’è persona senza relazione. “Persona” deriva dal

latino per (attraverso) sonar (risuonare). Così era chiamata in antichità la maschera indossata dagli attori, che oltre a coprire il volto funzionava per amplificare la voce, per comunicare. Questa testimonianza storica è eloquente. Come un filo di Arianna che l’uomo si porta dietro uscendo dal teatro. Ma è davvero possibile che la persona si veda veramente bene solo da una platea? Che il personaggio si comprenda solo quando indossa una maschera? La metafora riguarda proprio il distacco tra realtà nell’agire social e realtà nell’agire sul piano fenomenico sociale (del corpo, del contatto). Qualcuno contesterà indicando che oggi la realtà è questa. È quella iperconnessa, multimediale, senza barriere. La nostra provocazione non vuole provocare una rivolta di massa verso l’era digitate. Sarebbe sciocco e illusorio. Piuttosto guardare alla radice di queste azioni umane. Dove la ricerca fondamentale è esistenziale. Un giorno un uomo chiese a un saggio come poter vivere felici se povertà e ricchezza sono dannose. Lui rispose che bisogna frequentare la quiete e amare i piaceri della vita. Chi gode i piaceri della vita non è povero e chi frequenta la quiete non è ricco. Non saremo forse i paladini dell’universo ma in questo universo con un determinato atteggiamento avremo rappresentato una goccia di felicità. E la felicità è contagiosa. Non ci credete? Liberi di scegliere. Sempre. Nel rispetto di quell’onestà che rende onore alla vita stessa.

Manuel Millo

Membro Onorario AGCI Ass Gen Cooperative Italiane


Rubrica di Denise Falcomer

B E N E S S E R E

MONDO OLISTICO

Scopriamo il nostro vestito perfetto La nostra pelle stabilisce il confine tra noi e il mondo esterno. Ecco perché la sua cura è fondamentale per il benessere quotiano. Sapete qual è l’organo più grande e Derma: strato di maggior spessore pesante che abbiamo? La pelle. Ci copre (circa 4 mm). Le cellule principali procompletamente e se dovessimo misurar- ducono numerose sostanze tra cui colla occuperebbe una superficie di circa 2 lagene, elastina e proteoglicani. Il dermetri quadrati, arrivando a pesare dai 3 ma dà elasticità, compattezza e coloriai 4 chili. to alla pelle. Ha il compito di stabilire il confine con Ipoderma: è la riserva energetica, la il mondo esterno, sotto tutti i punti di vi- parte più profonda della pelle nonchè il sta e per questo motivo il suo ruolo è fon- principale deposito di energia del corpo, damentale anche se a lei non ci pensia- inoltre contribuisce alla termoregolazione mo se non quando viviamo un disagio. e a disegnare la forma del corpo (quando La pelle è cosi suddivisa: aumentiamo o diminuiamo di peso). Epidermide: strettamente a contatto La pelle, se curata, proprio perché con l’esterno, è lo strato superiore detto rappresenta il nostro abito più bello, ci corneo, composto di cellule sottoposte a rende più sicuri e disinvolti nei rapporti un ciclo di naturale ricambio ogni 21 giorni con gli altri. È anche un organo escretoin un giovane individuo. Sottile, imperme- rio: le tossine vengono eliminate tramiabile, ci mette in relazione con l’esterno. te il sudore, perciò bere un’abbondante dose di acqua ci aiuta a stare meglio. La pelle riceve continuamente tantisLa citazione «L’umano e il microcosmo dell’universo sono simi segnali che vengono inviati costanla stessa cosa, l’uno è il tutto, gli organi sono temente al cervello. Il collegamento fra pianeti, i centri psichici sono costellazioni, i pelle, sistema nervoso e cervello è molpunti meridiani sono stelle, i meridiani sono to profondo e inscindibile: basta pensavie che portano al cielo.» re al semplice tocco della mano su qualDeng Ming-Dao cosa, la nostra pelle reagisce e le infor72

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mazioni che il nostro cervello rielabora tramite essa sono molteplici. Un corretto equilibrio tra psiche e corpo, una corretta alimentazione, un corretto stile di vita, un atteggiamento positivo e anche un corretto uso di cosmetici naturali, influiscono notevolmente sul benessere generale della persona. Spesso mi trovo a consigliare trattamenti naturali sia per la cute, che per i capelli, le unghie e la pelle, con oli vegetali addizionati con oli essenziali, oppure argille o cataplasmi di erbe. Ricordiamoci che siamo un tutt’uno con la natura e anche le profumazioni naturali rievocano in noi emozioni fondamentali per la nostra esistenza. Ho un occhio di riguardo anche per la visione attraverso la Medicina Tradizionale Cinese, dove la pelle è strettamente correlata con l’organo polmone (emozioni di dolore emotivo e di tristezza), che a sua volta la nutre. Se osserviamo i pesci, attraverso la loro pelle assorbono l’85% dell’ossigeno, il restante con le branchie. Anche per gli orientali la pelle rappresenta la zona più esterna dell’organismo (i “confini del Regno”), in cui l’energia protettiva del polmone (Wei Qi) circola per difendere l’organismo dalle aggressioni esterne. La pelle è un “territorio di frontiera”. Rappresenta un tessuto di connessione interno-esterno (microcosmo-macrocosmo). È una sorta di barriera fisica o scudo che protegge il nostro organismo. La pelle sana e senza problemi ha un colorito uniforme, è liscia, ben idratata e adeguatamente sensibile a pressione, tocco e temperatura. Quando la naturale barriera della pelle viene danneggiata,

la sua funzione protettiva e il suo aspetto sano risultano compromessi ed essa perde idratazione ed elasticità. In questo modo può apparire più sensibile alle aggressioni esterne (come il sole della montagna e dell’estate, il cloro delle piscine, gli sbalzi di temperatura) ed è più soggetta alle infezioni che, nel caso in cui avvenga un ciclo vizioso, bisogna interrompere prima che si cronicizzi il prurito, la secchezza, la squamosità, il bruciore o anche l’iperidrosi, ristabilendo la sua condizione normale naturale. Per problemi seri e cronici è consigliabile rivolgersi a un dermatologo. Tuttavia anche le sedute di agopuntura da professionisti possono essere efficaci, perché a volte basta anche uno scompenso energetico sul fegato (emozione rabbia), per far esplodere acne e fistole. Per problemi meno gravi di dermatite, come l’eczema o la psoriasi presi in tempo, oltre ai trattamenti superficiali è possibile abbinare piante depurative come il sambuco e il ribes nigrum, che lavorano sia sui polmoni che sull’intestino. L’aloe succo rimane uno dei migliori depurativi per l’interno e per la pelle. Un prurito eccessivo, frequente e prolungato alla pelle può essere indice di disturbo a livello polmonare. L’eucalipto è un forte antinfiammatorio per i polmoni, che agisce in fase acuta e come antisettico in via preventiva.

La pratica dell’olistica, pur essendo frutto di conoscenze e tradizioni secolari, non è parte della “medicina ufficiale” ossia di quell’insieme di pratiche mediche scientifiche fondate sulla sperimentazione clinica di laboratorio. Questa pratica viene invece inserita tra le “medicine alternative” o “medicine non ufficiali”. Per tale ragione questa rubrica vuole essere solo un’introduzione alla conoscenza, alla sua storia e alle spiegazioni dei suoi procedimenti; non può, e non deve, essere in alcun

modo intesa come un invito a seguire i dettami di questa pratica, cosa che viene sempre e solo lasciata alla libera scelta del lettore. Desidero altresì invitare sempre tutti i lettori a consultare prima di ogni cosa il loro medico di famiglia e i relativi specialisti da esso consigliati, seguendo innanzitutto le vie della medicina ufficiale. A esse può essere eventualmente affiancato un percorso che segua una o più pratiche di medicina alternativa o non ufficiale.

Denise Falcomer

Operatrice olistica specializzata in bio terapie e discipline orientali; 393 94 05 536 #deniseoperatoreolistico @deniseoperatoreolistico terapieolistichedenise@gmail.com

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La betulla (Betula alba) Dopo la depurazione del fegato che notoriamente avviene in primavera e autunno, ecco che, con l’arrivo dell’estate, giunge il momento della depurazione del rene e del sistema linfatico. Con il caldo estivo i capillari linfatici soffrono la canicola e si dilatano. Fanno così la loro comparsa gambe e caviglie gonfie, la cellulite, coi couperose e capillari tortuosi e fragili. È il rene, in questa fase, a essere sottoposto a un ‘surplus’ di lavoro. Con la sudorazione si perdono liquidi e sali minerali, le urine si concentrano e il lavoro di ‘filtro’ si appesantisce. Diventa fondamentale agire d’anticipo e individuare il rimedio giusto per ogni individuo, a seconda del periodo dell’anno in cui ci troviamo. I rimedi naturali ci offrono una soluzione preventiva, prima ancora che curativa, immediata ed efficace, senza effetti collaterali. “Con l’arrivo del caldo mi si gonfiano i piedi e le caviglie, che prendono la forma delle scarpe. Sto in piedi per lavoro e, alla sera, non ce la faccio più. È così ogni anno…” – Elisa, 23 anni “Spesso mi sveglio di notte per fare pipì. Mi capita due o tre volte. Come mai? È un problema serio o posso stare tranquilla? Posso fare qualcosa per evitarlo?” – Barbara, 56 anni Noi tutti siamo abituati a pensare alla circolazione corporea considerando esclusivamente i vasi principali: le arterie e le vene. Ma non è così. L’uomo, sotto questo aspetto, è come una pianta. Ha vasi linfatici che dagli arti inferiori e superiori drenano la linfa verso l’alto, verso il cuore. La linfa diventa un elemento essenziale per l’organismo. Liquido giallognolo trasporta acqua e sostanze organiche (fra cui il fibrinogeno, che la fa coagulare a contatto con l’aria, proprio come la resina degli alberi). Grazie a essa arrivano alle cellule, anche le più lontane rispetto al circolo sanguigno, grassi, proteine, sali minerali, cellule della difesa (linfociti). Scorrendo verso l’alto, attraverso varie vie, incontra le ‘stazioni linfonodali’ che, nel corso di una reazione infiammatoria, possono ingrandirsi e dolere, rappresentando un’ottima barriera difensiva. Tutte queste informazioni ci aiutano a capire che questo elemento così essenziale segue le sue regole. In estate, con il caldo afoso, i capillari linfatici si dilatano. La linfa ristagna, uscendo dai vasi. Ed ecco perché, come in uno sta-

La pianta La Betulla è una pianta originaria dell’Asia settentrionale e dell’Europa. Appartenente alla famiglia delle Betullaceae, cresce in Italia sulle Alpi e può raggiungere i cinque metri d’altezza. Il tronco, caratteristico, è ricoperto da una scorza bianca e sottile. Nel Medio Evo era definita ‘Pianta renale d’Europa’ per le sue note capacità di disgregare i calcoli urinari (renali e vescicali). gno, questa si allarga negli spazi interstiziali fra le cellule, inondando il corpo, soprattutto nelle zone declivi. Così piedi, gambe e mani si gonfiano. E si sgonfiano di notte, quando la persona giace sdraiata in posizione supina, come suggeriva Barbara. Allora tutto il liquido fuoriuscito in precedenza rientra nel circolo e deve essere smaltito. Il rene si mette all’opera nel tentativo di filtrare il sangue, purificandolo. E così di giorno quando, perdendo i liquidi, deve diluire i soluti senza farli precipitare sotto forma di calcoli. Un grande lavo-


Principali componenti della corteccia di betulla: • Triterpeni • Betulina • Tannini Principali componenti delle foglie e delle gemme • Flavonoidi • Acidi fenolici • Olio essenziale • Vitamina C • Tannini • Ossidi sesquiterpenici • Glucosidi salicilici ro, per il quale necessita, senza dubbio, di un valido aiutante. Questa debita premessa ci introduce alla Medicina Naturale, la quale ci offre un rimedio fitoterapico eccezionale che aiuta l’organismo a depurarsi, eliminando le impurità, lasciando il corpo in salute e la persona nel benessere. La Betula alba, var. verrucosa (Betulla), è uno straordinario rimedio per la depurazione linfatica e renale. Grazie alla sua costituzione chimica favorisce il drenaggio dei liquidi corporei, la funzionalità delle vie urinarie e, in generale, la depurazione dell’organismo. L’impiego della Betulla risulta essere un’ottima alternativa ai farmaci diuretici di sintesi per il controllo della pressione sanguigna che, soprattutto in estate, tende ad abbassarsi. Si consiglia tuttavia di rivolgersi al proprio medico curante prima di ridurre autonomamente la somministrazione di farmaci anti-ipertensivi. In questa fase dell’anno ci si può affidare tranquillamente alle sue proprietà. Quindici gocce due volte al giorno in poca acqua, meglio se in estratto idro enzimatico, in grado di concentrare le sue caratteristiche senza l’impiego di sostanze alcooliche. E, non ultimo, un consiglio importante: in estate occorre bere molto. Roberto Pagnanelli Azioni terapeutiche della Betulla: aumento della diuresi, ritenzione idrica, cura degli edemi, cellulite, iperuricemia (gotta), ipercolesterolemia, calcoli renali, dermatiti, iperazotemia, effetto antiinfiammatorio

Il Rene È una ghiandola depurativa dell’organismo che consente la produzione di urina. Costituita da 1.000.000 di nefroni, filtra 125 ml/minuto di sangue, per un totale di 180 litri al giorno, riassorbendo sodio, potassio, glucosio e aminoacidi. Favorisce l’eliminazione di molecole ‘tossiche’ (urea). Regola la pressione del sangue e la produzione di globuli rossi. Roberto Pagnanelli è medico-chirurgo, specializzato in Psichiatria. Psicoterapeuta, si è diplomato in Medicina Psicosomatica all’Istituto Riza di Milano, in Medicina Omeopatica all’Università degli Studi di Urbino e in Psicoterapie Brevi al CISSPAT di Padova. È autore di pubblicazioni su riviste scientifiche e di volumi sulle medicine naturali. Ha partecipato a trasmissioni radiotelevisive e scritto su Starbene, Per me, Salute Naturale, Più Salute & Benessere, Riza Scienze, Viver Sani & Belli, Top Salute, Donna Moderna, Più Sani più Belli. Ideatore della Musicoterapia Cinematografica, lavora come psichiatra psicoterapeuta, esperto in medicine naturali a Trieste, Monfalcone e Udine. www.robertopagnanelli.it Per appuntamenti: 330-240171



Centrospesa, una storia di qualità e professionalità Operativo da oltre 40 anni a Turriaco: i titolari ci svelano il segreto di questo successo. Centrospesa in una foto degli anni Settanta

Sabina ed Eugenio Cosolo, la storia della vostra famiglia è fortemente legata a Centrospesa. «Il nostro negozio ha una lunga tradizione, grazie alla lungimiranza di nostro padre Gualtiero e dall’instancabile mamma Lucilla, che hanno inaugurato il supermercato nel luglio 1975, quando i punti vendita di questa metratura erano rarissimi. Da allora abbiamo continuato la tradizione del negozio di vicinato, ma con un’offerta di merci e servizi molto più ampia e articolata, contraddistinta dal massimo livello qualitativo». In cosa consiste l’offerta di Centrospesa? «Oltre al settore alimentare, gastronomia, salumeria, macelleria e ortofrutta, disponiamo di un intero piano dedicato al casalingo, cartoleria, abbigliamento, utensileria e tutto quello che può servire alle famiglie. Non essendo limitati da obblighi contrattuali a trattare solo determinate marche, abbiamo la possibilità di acquistare da innumerevoli fornitori con il risultato che da noi si trova veramente di tutto. Un’offerta a 360 gradi, dal grissino al filo da cucire, dalla pasta fino alla pentola dove cucinarla». Quali sono i punti di forza della vostra attività? «Il punto più importante secondo noi è la fidelizzazione, offrendo un ambiente informale e amichevole dove tutti si conoscono, rendendo il negozio un centro di aggregazione e socializzazione. Naturalmente sono importanti anche una vasta scelta di prodotti di qualità, un prezzo accessibile a tutti, costanti offerte promozionali e iniziative per favorire le fasce di clientela meno avvantaggiate, ad esempio con l’attivazione della Carta Famiglia che prevede particolari agevolazioni alle coppie giovani con figli a carico e ai pensionati». Il mondo della grande distribuzione è caratterizzato da una concorrenza continua e agguerrita. Qual è il segreto per essere sempre protagonisti nel tempo? «Abbiamo cercato di mantenere la nostra posizione conservando un approccio tradizionale dove la fiducia nel personale che serve e consiglia il cliente è fondamentale e ben riposta. Pulizia dei locali, cordialità, assortimento, servizi e prezzi onesti sono le armi che usiamo per combattere e il risultato lo si vede dal fatto che siamo ancora qui, con ottimismo e tanta voglia di fare. Una parola anche sulle nostre commes-

se: tutte persone con noi da molti anni con contratto permanente, sempre cordiali, sorridenti e disponibili a suggerimenti e consigli. Buona parte del merito va anche a loro, per saper fidelizzare il cliente nel modo migliore». Con l’evoluzione della società in che modo sono cambiate anche le esigenze della clientela? «C’è stato un periodo in cui la moda degli hard discount ha distratto parte della nostra clientela. Il prezzo basso è stato un richiamo irresistibile per una certa fascia di utenti. Poi però si sono resi conto che le mozzarelle blu, l’olio di oliva cinese, il prosciutto crudo “Daniel San” e molti altri articoli a basso prezzo ma di discutibile qualità non sono il massimo della garanzia a livello salutistico. Così stiamo recuperando la quota di mercato che abbiamo perso nell’ultimo decennio, a dimostrazione che il cliente sa scegliere a ragion veduta. Alla fine qualità e professionalità vincono sempre, anche in un’epoca dove il risparmio è molto importante». A proposito di evoluzione, quali sono le idee e le novità che vorreste concretizzare nel prossimo futuro? «È sempre stata nostra tradizione essere creativi e innovativi. Nel 1975 siamo stati i primi a distribuire casa per casa il volantino con le offerte speciali, che in origine allestivamo e stampavamo in proprio con una macchina tipografica offset. Per non dimenticare le prime carte fedeltà per la raccolta virtuale dei punti spesa, che abbiamo inventato nel 1990, quando tutti usavano ancora i bollini. E poi gli spot pubblicitari interni al negozio, realizzati con un computer dotato di scheda di sintesi vocale. Negli ultimi anni abbiamo anche ideato un dispenser automatico di detersivi sfusi, con l’obiettivo di favorire il riutilizzo dei flaconi e di limitare lo spreco di plastica. Ma forse l’innovazione più importante è stata la prima proposta in assoluto di e-commerce: un sito internet con il quale il cliente impossibilitato a muoversi da casa poteva fare comodamente la spesa al computer e riceverla negli orari concordati. Nel prossimo futuro abbiamo in programma altre idee da realizzare, ad esempio tutta una serie di servizi aggiuntivi quali la monetica e molto altro, compresa la presenza sui social network». |

luglio - agosto 2019

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chef…ame! Filetto di maiale avvolto nella pancetta e grigliato con pesche nettarine e ortaggi Preparazione

Lavare le patate e lessare in acqua salata, far raffreddare. Lavare le pesche e tagliare a spicchi; mondare i peperoni, lavare e tagliare a falde, lavare la melanzana e tagliare a fette, salare, sgocciolare e tamponare con carta da cucina. Appiattire i filetti con il palmo della mano e avvolgere con le fette di pancetta (nel caso siano troppo corte applicarne due) fissare con uno steccone da cucina, sbucciare e tagliare a fette le patate. Iniziare le cotture dapprima con i filetti poi a ruota sulla piastra umettata dalla pancetta gli altri ingredienti per ultimo le pesche che devono essere segnate a calore forte con la griglia rigata. Condire con sale e pepe a fine cottura. Disporre sui piatti e passare alla fine un filo di olio extravergine di oliva prima di servire su piatto ben caldo.

Le pesche in cucina

Ingredienti per 4 perone

- 4 filetti di maiale di circa 110/120gr - 2 pesche nettarine a giusta maturazione ben sode - 1 melanzana - 1 peperone rosso - 1 peperone giallo - 2 patate grosse - 4 fette di pancetta stesa stagionata - 3 cucchiai di olio - sale e pepe q.b.

Molteplici sono le tipologie di pesche che vengono prodotte in Italia per un mercato in continua evoluzione, con varietà seppur di durata limitata, sempre più ricercate e in buona parte adatte per essere veicolate per la trasformazione in confetture, in sciroppate, in composta o in macedonia. Fiumicello è il paese friulano per eccellenza della pesca: lo storiografo Pietro Martinis, in una ricerca databile all’inizio del secolo scorso, spiega come in questo territorio siano presenti le varietà: Iris rosso, di polpa bianca con leggere venature rosse; Triestina, sempre di polpa bianca con venature rosse più marcate con polpa soda quanto basta e fondente; Isontina, a polpa gialla mediamente soda. Fiumicello vede tra i suoi produttori una continua ricerca innovativa per varietà che mantengono inalterato il fine associativo di ottenere una pesca da consumo veloce, raccolta a giusta maturazione e in grado di mantenere inalterato il profumo e il sapore. Tra le varietà precoci vanno citate la Spring Lady, Flavor Grest, Royal Glory o le tardive Elegant Lady, senza tuttavia dimenticare le Red Moon e le Spring Bells, varietà

che hanno anche avuto ottimi piazzamenti nel concorso regionale che si tiene nella cittadina nel mese di luglio. Le statistiche però riconoscono nelle Nettarine - come le Big top (ormai conosciutissima da un ventennio) ma anche la Antares, la Orion, la Cawea, per nominarne Germano Pontoni di Cucina alcune - un crescendo di Maestro Cell: 347 3491310 notorietà. Mail: germanoca@libero.it Le Nettarine godono di un ottimo futuro legato al consumo giovane, avendo una buccia sottile, liscia, polpa succosa, e per questo molto richieste. Alcune varietà a pasta gialla si prestano a preparazioni in cucina, non solo dolci e salate, come dessert, ma anche a ricette creative abbinate a ortaggi, carni e anche a pesce, purché trasformate appena raccolte, ben sode e dal gusto in tendenza tra il dolce e l’asprigno.

Il Friuli ricorda “I Cinquant’anni dell’Oca” In occasione dei 50 anni della “riscoperta dell’Oca” in Friuli Venezia Giulia, l’Associazione Culturale Progetto Quattro Stagioni, con la collaborazione delle aziende leader nel settore della selezione e produzione di carni d’Oca in Italia ed Europa, organizza una mostra per dare risalto a iniziative ed eventi che, in mezzo secolo, hanno valorizzato l’allevamento, la selezione, la produzione e l’uso dell’oca in cucina. Negli ultimi cinquant’anni è stato profuso un grande impegno per far riscoprire quell’oca pregiatissima già al tempo dei Romani dell’antica Aquileia,

produttori di ficatum, ovvero il fegato ingrassato con i fichi, il progenitore del ricercatissimo foye gras dei francesi, parte integrante della tradizione economica friulana fino agli anni Trenta. La manifestazione dedicata al nobile palmipede si terrà nel periodo usualmente dedicato, quello autunnale. Dall’8 al 29 novembre 2019, il Museo delle Carrozze d’Epoca di San Martino di Codroipo diverrà sede di esposizioni, eventi culturali, momenti gastronomici e ludici con i giochi dell’Oca antichi e moderni, firmati anche da valenti artisti. |

luglio-agosto 2019

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I tuoi eventi su iMagazine!

Visita il sito www.imagazine.it, entra nella sezione eventi e segnala direttamente on line le tue iniziative.

FOLKLORE ph. Studio Andrian

Legenda Caffetteria

Afterhour

Birreria

Eventi a tema

Enoteca

Sale convegni

Special drinks

Musica dal vivo/karaoke

Stuzzicheria

Musica da ballo

Vegetariano/biologico/regimi

Happy hour

Cucina carne

Giochi

Cucina pesce

Internet point

Paninoteca

TV satellitare/digitale

Pizza

Giochi e spazi per bambini

Gelateria

Pernottamento

Catering

Buoni pasto

Organizzazione feste

Parcheggio

11-15 luglio ▶ Mostra regionale delle Pesche

Sessantesima edizione dell’evento, con annesso concorso per proclamare la pesca più buona del territorio. In programma concerti, convegni, mostre, esibizioni e due tombole. Fiumicello Villa Vicentina (UD). Info: www. comune.fiumicellovillavicentina.ud.it

ristorante

Il range di prezzo indicato (ove applicabile) si riferisce al costo medio di un pasto, escluse bevande alcoliche. I dati segnalati sono stati forniti direttamente dal Gestore del locale. Qualora doveste verificare delle discordanze, Vi invitiamo a segnalarcelo.

10-11 agosto ▶ Palio des Cjarogiules

Massima espressione della gente carnica nel raccontare e rivivere le proprie origini, attraverso il simbolo della cjarogiule (assale con ruote e timone) e della louze (slitta in legno) con cui un tempo si trasportava ogni bene di famiglia. Paluzza (UD). Info: www.paliodipaluzza.it

ristorante

e inoltre... 26-28 luglio ▶ Festa della Sedia

Sfilate di moda, eventi culturali e sportivi. Manzano (UD). Info: www.prolocomanzano.ud.it

3-4/10-11/14-15 agosto ▶ Sagre d’Avost

Con la specialità dei gamberi di fiume. Bagnaria Arsa (UD). Località Castions delle Mura. Info: www.comune.bagnariaarsa.ud.it


scopri tutti gli eventi in regione su www.imagazine.it

ristorante trattoria

15-18 agosto ▶ Festa del Formaggio salato e di malga

Degustazioni di piatti tipici a base di formaggi e mercatino con vendita di prodotti agro alimentari di qualità: miele, marmellate, frutti di bosco, liquori, dolci prodotti in laboratorio e prodotti di malga. Sauris (UD). Lateis. Info: www.sauris.org

bar

15-18 agosto ▶ Festa del Lampone e del Mirtillo

In un clima di festa rustica e paesana accompagnata ininterrottamente da musica itinerante, si potranno assaggiare i famosi frutti spontanei che crescono sulle montagne del territorio. Trasaghis (UD). Località Avasinis. Info: www.prolocoavasinis.org

10-11 agosto ▶ Festa dell’Arrotino

Prodotti tipici ed artigianali. Resia (UD). Località Stolvizza. Info: www.vivistolvizza.org

31 agosto – 1 settembre ▶ Il Gran Re Fosc

Degustazione, convegni e concerti. Cervignano del Friuli (UD). Villa Chiozza di Scodovacca. Info: www.prolococervignanofvg.it


L I V E Simone Di Luca PHOTOGRAPHY@2012

M U S I C 19 luglio ▶ Marlene Kuntz

Quest’anno i Marlene Kuntz celebrano trent’anni di carriera e vent’anni del loro disco capolavoro, Ho Ucciso Paranoia. Per festeggiare il doppio anniversario, Cristiano Godano e compagni hanno scelto un tour spettacolare. Udine. Castello. Ore 21.30. Info: www.azalea.it

17 luglio ▶ Thom Yorke

Thom Yorke, cantautore, polistrumentista, compositore britannico e storico frontman dei Radiohead, è uno degli artisti più importanti e influenti del nuovo millennio, inserito nella lista dei 100 migliori cantanti di sempre secondo Rolling Stone. Codroipo (UD). Villa Manin di Passariano. Ore 21.15. Info: www.azalea.it

e inoltre... 15 luglio ▶ Giorgia

Pop Heart Summer Nights. Codroipo (UD). Villa Manin di Passariano. Ore 21.30. Info: www.azalea.it

20 luglio ▶ Angelo Branduardi

Camminando camminando. Trieste. Castello di San Giusto. Ore 21. Info: www.azalea.it


www.imagazine.it ph. Silvia Finke

15 agosto ▶ The Offspring

Quello che si annuncia come l’evento punk rock dell’estate a Nordest vedrà anche in apertura un support act d’eccezione, quello degli Ignite, band hardcore punk californiana. The Offspring incarnano il punk rock stesso. Lignano Sabbiadoro (UD). Stadio Teghil. Ore 21. Info: www.azalea.it

28 luglio ▶ Jethro Tull

La leggendaria band rock progressive guidata da Ian Anderson sarà protagonista sul palco del Festival di Majano con il Jethro Tull 50 Anniversary Tour. Un mix degli album storici della band, da This Was fino ai giorni nostri. Majano (UD). Area concerti festival. Ore 21.30. Info: www.azalea.it

e inoltre... 26 luglio ▶ Calcutta

28 agosto ▶ Jovanotti

Festival di Majano. Jova Beach Party. Majano (UD). Area concerti festival. Ore 21.30. Info: Lignano Sabbiadoro (UD). Spiaggia Bell’Italia. Owww.azalea.it re 14. Info: www.tridentmusic.it


CLASSIC ARTS

23-26 luglio ▶ Aquileia Film Festival

CON ANNESSA SEZIONE LATTANTI

CONVENZIONATO CON IL COMUNE DI RONCHI DEI LEGIONARI Tutti i servizi sono ammessi nel Registro Regionale della Provincia di Gorizia e sono autorizzati al funzionamento per concedere il diritto al beneficio regionale per l’abbattimento delle rette a carico delle famiglie. (art. 15 della L.R. 20/2005)

Con servizi integrativi di: • Centro gioco pomeridiano • Baby dance • Servizio di baby sitting Asilo Nido “Le Birbe” di Birbe & Co. Coop soc. ONLUS via Redipuglia 80A/B - 34077 Ronchi dei Leg. (GO) tel./fax 0481 474538 - e-mail birbeeco@libero.it sito internet www.birbeeco.com

Quattro serate di cinema, archeologia, arte e grandi divulgatori scientifici. Tra gli ospiti della decima edizione, confermata la presenza di Alberto Angela. Il pubblico premierà invece la migliore proiezione. Aquileia (UD). Piazza Capitolo. Ore 21. Info: www.fondazioneaquileia.it

3 agosto ▶ Enrico Brignano

Un’ora sola vi vorrei è il nuovo oneman-show che sfida e rincorre il tempo del comico, attore, regista e volto tv fra i più amati. Brignano va a spasso nel suo passato, tra ricordi e nuove proposte che rappresentano un ponte gettato sul futuro. Udine. Castello. Ore 21.30. Info: www.azalea.it

e inoltre... 24-27 luglio ▶ AESON

Arti nella natura. Fiumicello Villa Vicentina (UD). Parco dell’Isonzo. Info: aesonfestival@gmail.com

2 agosto ▶ Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere

Con Debora Villa. Lignano Sabbiadoro (UD). Info: 0431 724033


www.imagazine.it ph. Angelo Trani

5 agosto ▶ Teo Teocoli

Sarà un ritorno alle origini e all’essenzialità della comicità, attraverso tutte le forme di spettacolo leggero. Giocato su più registri, il “Tutto Teo” è la sintesi tra cabaret e varietà, con un repertorio irripetibile di gag, canzoni e storie con perifrasi esilaranti. Lignano Sabbiadoro (UD). Beach Arena. Ore 21.30. Info: www.azalea.it ph. Simone Di Luca

21 agosto ▶ The Lenged of Morricone

Speciale concerto tributo della Ensemble Symphony Orchestra, diretta dal Maestro Giacomo Loprieno, alle musiche di Ennio Morricone, uno dei più grandi e importanti compositori di tutti i tempi con 500 colonne sonore, 70 milioni di dischi venduti nel mondo. Lignano Sabbiadoro (UD). Arena Alpe Adria. Ore 21.30. Info: www.azalea.it

21-25 agosto ▶ Festival Mondiale del Folklore Costumi, danze, colori. Gorizia. Info: www.etnosgorizia.it

28 agosto – 1 settembre ▶ International Trieste Tango Festival

Concerti, milonghe pomeridiane e conferenze sul tango. Trieste. Info: www.triestetangofestival.com


w w w. i m a g a z i n e. i t

SPORT

ph. Thomas Flyve

13-29 luglio ▶ Campionato del Mondo di Deltaplano

11 agosto ▶ Lussari Trail

Facendo riferimento alla base di partenza (centro operativo) di Carnia – Tolmezzo, le singole prove saranno articolate su territori estremamente diversi tra loro, includendo alcune zone di Austria e Slovenia. Tolmezzo (UD). Info: www.italy2019.com

Staffetta alpina del Monte Lussari. Gara di corsa in montagna da Camporosso a Monte Lussari con tre frazioni lungo i 20 chilometri del tracciato: salita, discesa e piano. Tarvisio (UD). Località Camporosso. Info: www.ustositarvisio.it

16-21 luglio ▶ Campionati italiani di pattinaggio artistico a rotelle

31 agosto ▶ Triathlon Olimpico Isola del Sole

I migliori interpreti dei settori giovanili nazionali della specialità si confronteranno all’interno del PalaPredieri nella specialità Solo Dance. Aviano (PN). Piancavallo. Info: annalisa.polese@libero.it

Evento sportivo internazionale con atleti che si sfideranno nelle manche di nuoto, corsa e bicicletta, negli scenari suggestivi di Grado e del territorio circostante. Grado (GO). Info: www.barcolana.it

www.imagazine.it

e inoltre... 21 luglio ▶ Lignano Open Water

18 agosto ▶ Staffetta Tre Rifugi

27 luglio ▶ Alpe Adria

25 agosto ▶ Barcis in voga

Gara di nuoto in acque libere. Lignano Sabbiadoro (UD). Info: www.lignanoopenwater.it Meeting Giovanile di Atletica Leggera. Tarvisio (UD). Info: www.ustositarvisio.it

Gara internazionale di corsa in montagna a squadre. Forni Avoltri (UD). Località Collina. Info: www.3rifugi.com Regata promozionale sprint di canottaggio. Barcis (PN). Lago. Info: www.barcis.fvg.it


MEETING

12-21 luglio ▶ Mittelfest

È la leadership il tema fondante dell’edizione 2019 del festival culturale che per dieci giorni proporrà un ampio cartellone di concerti, spettacoli, approfondimenti, per riflettere sull’attualità e sul futuro della nostra società. Cividale del Friuli (UD). Info: www.mittelfest.org

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18-24 luglio ▶ Premio Amidei

38^ edizione del Premio internazionale alla miglior sceneggiatura. Sette i film finalisti: il vincitore sarà reso noto nella giornata conclusiva del 24 luglio. Per una settimana in programma proiezioni, dibattiti e approfondimenti culturali. Gorizia. Info: www.amidei.com

ph. Luca D’Agostino

14 luglio – 2 agosto ▶ Blue Notte Festival

Sarà “contaminazione” il leit motive della nona edizione della rassegna che tra concerti e approfondimenti culturali coinvolgerà non solo la città di Gorizia, ma anche la Slovenia e il Carso isontino, lungo i luoghi della Grande Guerra. Gorizia. Info: www.bluenottegorizia.com

22 agosto ▶ Antonella Boralevi

L’autrice di Chiedi alla notte sarà protagonista della rassegna letteraria Incontri con l’autore e con il vino. Presenterà il suo thriller al femminile, una storia di sentimenti e misteri che svela i segreti del cuore delle donne. Lignano Sabbiadoro (UD). PalaPineta. Ore 18.30. Info: www.lignanonelterzomillennio.it

www.imagazine.it

e inoltre... 14 luglio ▶ Giuseppe Malattia della Vallata

9 agosto ▶ Genere

27 luglio ▶ Toni Capuozzo

23 agosto ▶ Rievocando

Premio letterario nazionale. Barcis (PN). Info: www.barcis.fvg.it

Incontro con il giornalista e scrittore Palazzolo dello Stella (UD). Piazza Bini. Ore 20.45. Info: 0431 588421

Letture espressive dedicate alle donne. Buttrio (UD). Villa di Toppo Florio. Ore 21. Info: www.teatrotuttotondo.org Serata di multivisioni fotografiche e musicali. Palmanova (UD). Loggia della Gran Guardia. Ore 21. Info: www.cfpalmarino.it L’INFORMAFREEMAGAZINE

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settembre-ottobre 2007

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F U O R I

R E G I O N E

T R E V I S O Fino al 14 luglio

▶FESTA DELL’ANGURIA Musica e spettacoli faranno da cornice a un evento caratterizzato dalle prelibatezze gastronomiche: dalla frittura di pesce cucinata sul momento ai dolci tutti a base di anguria. Ponzano Veneto. Info: 339 8646621 18 luglio

▶PIAZZE IN FESTA Esposizione di prodotti tipici e di auto d’epoca. Degustazione di specialità locali, giochi per bambini, musica e spettacoli per una serata ricca di appuntamenti. Santa Lucia di Piave. Info: www.comunesantalucia.it 19 luglio – 5 agosto

▶MOSTRA DEL VINO La Mostra dei Vini Superiori della zona Piave-Livenza è diventata punto di riferimento per i produttori del territorio con una sessantina di aziende presenti e oltre 200 etichette. Fontanelle. Località Vallonto. Info: www.prolocovallonto.it 1-13 agosto

▶TRADIZIONALE FESTA ALPINA D’AGOSTO Il Gruppo Alpini Signoressa rinnova l’appuntamento festivo, con un occhio di riguardo alle specialità gastronomiche offerte al pubblico. Non mancherà il ricordo ai caduti. Trevignano. Località Signoressa. Info: 349 6546917 4-15 agosto

▶ARTIGIANATO VIVO Le corti del paese, le sue vie, i portici, i selciati e le mura fanno da scenario a un continuo susseguirsi di luci, suoni e colori. In mostra opere dei maestri artigiani. Cison di Valmarino. Info: www.artigianatovivo.it 24 agosto - 1 settembre

▶FESTA DI SAN BARTOLOMEO Per due fine settimana spettacolari raduni di Vespe, 500, auto e trattori d’epoca saranno accompagnati dalle dimostrazioni di antichi mestieri. Resana. Info: www.facebook.com/FieradeSanBortoeo Fino al 13 ottobre

▶METLICOVITZ  L’ARTE DEL DESIDERIO. In mostra molti dei suoi manifesti più rappresentativi, dedicati a prodotti commerciali e industriali, ma anche a grandi eventi come l’Esposizione internazionale di Milano del 1906. Treviso. Museo Nazionale Collezione Salce. Info: www.collezionesalce.beniculturali.it

V E N E Z I A 12 luglio

▶DEEJAY TIME SUMMER TOUR Albertino, Fargetta, Molella e Prezioso si alterneranno sul palco suonando i migliori successi della musica dance, house e techno. San Michele al Tagliamento. Località Bibione. Ore 21.30. Info: www.azalea.it 20 luglio

▶JAX + ARTICOLO 31 J-Ax arriva live a Bibione assieme a Dj Jad, suo compagno di sempre, per celebrare i suoi 25 anni di carriera. Le due metà degli Articolo 31 porteranno i successi vecchi e nuovi. San Michele al Tagliamento. Località Bibione. Ore 21.30. Info: www.azalea.it 20-21 luglio

▶FESTA DEL REDENTORE Sabato sera grande spettacolo pirotecnico, mentre domenica le centinaia di imbarcazioni presenti sul Bacino di San Marco si sfideranno nella Regata del Redentore lungo il Canale della Giudecca. Venezia. Info: www.comune.venezia.it Fino al 28 luglio

▶FAUSTO ROMA  ACQUATICA Un progetto espositivo studiato in esclusiva per la location di Ca’ Zenobio degli Armeni di Venezia. Le opere di Fausto Roma renderanno magica un’atmosfera speciale. Venezia. Palazzo Zenobio. Info: www.collegioarmeno.com Fino al 31 luglio

▶WARREN NEIDICH  RUMOR TO DELUSION Una serie di lavori tra installazioni neon e video indagano il tema della post-verità nella era digitale, le fake news e l’isteria mediatica di massa della vita americana. Venezia. Zuecca Project Space. Info: www.zueccaprojects.org Fino al 25 agosto

▶LEONARDO E LA SUA GRANDE SCUOLA Una mostra che mette in luce l’influenza del grande Maestro sui suoi principali seguaci, con pensieri artistici di Leonardo da Vinci, Giampietrino, Marco d’Oggiono, Cesare da Sesto, Salaì, Bernardino Luini e altri. Venezia. Palazzo Giustinian Lolin. Info: www.ilviaggiodileonardo.it Fino al 13 ottobre

▶MARE BLU Un fluire di immagini video e cinematografiche occupano gli storici spazi di Forte Marghera, con The Raft di Bill Viola e le citazioni raccolte dallo storico del cinema Gian Piero Brunetta accanto alle fontane di Massimo Bartolini. Venezia. Forte Marghera. Info: www.exibart.com


O L T R E

C O N F I N E

C R O A Z I A 12-21 luglio

▶PLAVA LAGUNA CROATIA OPEN Trentesima edizione dell’annuale torneo di tennis inserito nel circuito ATP World Tour 250 series. Una delle stelle della competizione sarà l’italiano Fabio Fognini. Umago. Info: www.croatiaopen.hr 13-21 luglio

▶PULA FILM FESTIVAL Festival cinematografico più antico in Croazia e uno dei più antichi in Europa. La kermesse, che attira ogni anno più di 73 mila spettatori, avrà nell’Arena il suo centro nevralgico. Pola. Info: www.pulafilmfestival.hr 18-21 luglio

▶FESTIVAL DI DANZA E TEATRO NON VERBALE Luogo d’incontro per artisti che seguono il programma internazionale composto da danza contemporanea, teatro fisico, mimiche, rappresentazioni circensi, teatro di strada, seminari educativi e laboratori. Sanvincenti. Info: www.svetvincenatfestival.com 26-27 luglio

▶JAKOVLJA La rassegna dei buoi istriani è la parte più bella della festa di S. Giacomo a Canfanaro. In programma cortei, gare di traino, spettacoli di majorettes e degustazioni gastronomiche. Canfanaro. Info: www.visitkanfanar.hr 31 luglio – 1 agosto

▶ASTRO PARTY LUNASA Manifestazione all’insegna dell’astronomia e dell’astrologia tra il misticismo e la mitologia. L’Astro Party riprende l’antica cultura celtica e svela quanto questa sia presente anche nella civiltà odierna. Cittanova. Info: www.coloursofistria.com 2-4 agosto

▶FESTIVAL MEDIEVALE Durante le tre giornate del Festival, un centinaio di comparse in costume proporranno in maniera suggestiva sequenze della quotidianità del Medioevo. Sanvincenti. Info: www.tz-svetvincenat.hr 15 agosto

▶FESTA DELLE CIOCHE Degustazione di piatti a base di chiocciole (cioche). Previsti anche numerosi eventi collaterali tra i quali gare di abilità tipiche della tradizione locale. Dignano. Località Gallesano. Info: www.vodnjandignano.com

12 luglio

▶FETE BLANCHE Sulle sponde del lago Woerthersee una serata raffinata per la tradizionale festa in bianco con musica, spettacoli e degustazioni con partecipanti rigorosamente abbigliati… in bianco. Velden. Info: www.feteblanche.at 12 luglio – 25 agosto

▶FESTIVAL DELLA COMMEDIA Durante l’estate la città di Spittal si dedica interamente all’arte del teatro. Ci si incontra a Castel Porcia per divertirsi con stile per immergersi nella leggerezza dell’estate. Spittal. Castel Porcia. Info: www.castel-porcia.at 13 luglio

▶FISCHFEST Tradizionale festa del pesce. Oltre a menu a base di prodotti ittici, in programma anche concerti e appuntamenti ludici riservati ai bambini. Feld am See. Info: www.fischfest.at


O L T R E C A R I N Z I A 14 luglio

▶GROSSGLOCKNER BERGLAUF Per gli amanti delle sfide impossibili una delle gare di corsa in montagna più massacranti e difficili: l’ascesa al ghiacciaio del Grossglockner. Il percorso è lungo 13 km, con un dislivello di 1494 metri. Heilingenblut. Info: www. grossglocknerberglauff.at 19-20 luglio

▶STARNACHT In riva alle acque del lago Woerthersee una serata dedicata alla grande musica, con concerti e momenti di intrattenimento dall’alto tasso di spettacolarità. Klagenfurt. Info: www. carinzia.at 28 luglio – 4 agosto

▶VILLACHER KIRCHTAG Con oltre 200.000 visitatori è una delle principali attrazioni dell’estate carinziana. Oltre a variopinti costumi tradizionali e alla musica folk, la festa sarà allietata da specialità gastronomiche tra cui la “Kirchtagsuppe”. Villach. Info: www.villacherkirchtag.at

C O N F I N E S L O V E N I A 5-13 luglio

▶ART STAYS Festival internazionale di arte contemporanea che riunisce sia artisti rinomati che hanno già esposto in note gallerie, sia giovani “creatori”. Ptuj. Info: www.ptuj.info 6 luglio – 31 agosto

▶CORTILI NASCOSTI Tutti i sabati in location suggestive in mezzo alla natura in programma concerti blues, alter, ethno, rock, jazz, per un abbinamento speciale tra musica e ambiente. Murska Sobota. Info: https://visitmurskasobota.si 19-27 luglio

▶ARSANA INTERNATIONAL MUSIC FESTIVAL Evento internazionale che richiama artisti di tutti i generi musicali: dalla classica al rock al jazz, passando dalla musica vocale a quella strumentale. Ptuj. Info: info@ptuj.info 20-21 luglio

▶NOTTI D’ESTATE Concerti all’aria aperta coroneranno due giornate in cui rievocazioni in costume, artigianato ed enogastronomia metteranno in risalto le specialità del territorio. Dolenjske Toplice. Info: www.dolenjske-toplice.si 21-29 luglio

▶METALDAYS Festival heavy metal estivo sulle sponde del fiume Isonzo. Attesi numerosi appassionati dall’intera Alpe Adria. Tolmino. Info: www.metaldays.net 2-4 agosto

▶LJUBLJANA BEACH VOLLEY CHALLENGE Giocatori da diversi Paesi si affronteranno sul campo allestito in centro città. Previsti numerosi eventi collaterali, tra cui lezioni per bambini e ragazzi e concerti. Lubiana. Info: www.beachvolleyljubljana.com 3-31 agosto

▶SUMMER PUPPET PIER Festival internazionale delle marionette, con artisti da tutta Europa. Previsti spettacoli in quattro lingue per coinvolgere i bambini e gli adulti presenti in città. Maribor. Info: www.slovenia.info


BG Bortolussi,

al servizio del cliente

Suo padre Giorgio per oltre 40 anni è stato un punto di riferimento nel settore. Ora, Giulio Bortolussi vuole proseguire lungo quel solco già tracciato. Grazie anche alla nuova sede. Giulio Bortolussi, in cosa consiste l’offerta di BG Bortolussi? «Ci occupiamo di vendite, consegne e assistenza tecnica a domicilio di tutti gli elettrodomestici, nonché di impianti di climatizzazione certificati, di stufe a legna e di stufe a pellet, con realizzazione di canne fumarie certificate. Realizziamo inoltre preventivi gratuiti per modifiche e sistemazioni di cucine, come inserimento prima lavastoviglie, sostituzioni piani lavoro e quant’altro». B come Bortolussi, e G sia come Giulio che come Giorgio, suo padre e fondatore dell’attività, recentemente scomparso. Cosa ha significato per lui questo negozio? «Per mio padre Giorgio è stata la realizzazione personale lavorativa: ha speso tutta la sua vita per soddisfare qualsiasi esigenza avesse avuto il cliente, lavorando sodo 16-18 ore al giorno e spesso anche le domeniche.

Sempre disponibile purché il cliente fosse pienamente accontentato. Un grande uomo, come ce ne sono pochi al giorno d’oggi, dedito al lavoro e alla famiglia, con grandi valori personali: onestà, lealtà, sincera disponibilità. Ha lasciato un grande vuoto sia nella famiglia che nei clienti. Per questo abbiamo deciso di continuare la sua attività, per rendergli ulteriormente onore per tutto quello che ci lasciato e insegnato». Quali sono stati i principali insegnamenti che suo padre le ha trasmesso in ambito lavorativo? «Sacrificio, dedizione, passione, onestà, lealtà, sincerità, disponibilità». Da poco avete aperto la nuova sede: quali sono le principali novità rispetto alla precedente? «Grazie alla dislocazione sulla Statale 14, la nuova sede garantirà maggiori opportunità dal punto di vista logistico e strategico. Fornendo sempre gli stessi servizi alla nostra clientela, garantendo tutta la nostra disponibilità come è sempre stato da oltre 40 anni». A suo avviso quali sono i punti di forza di BG Bortolussi? «La disponibilità e, nonostante la mia giovane età, la grande esperienza professionale dovuta all’insegnamento di mio padre: ho lavorato a fianco a lui fin da piccolo, tutte le vacanze estive, natalizie, pasquali e le domeniche in laboratorio. In questo modo mi ha


In queste pagine alcune immagini del negozio BG Bortolussi a Fiumicello. La nuova sede si trova in via Nazionale 48 S.S. 14, Fiumicello Villa Vicentina. Per informazioni: tel. 0431 96456 trasmesso la sua grande passione per questo mestiere». Nonostante l’espansione dei centri commerciali con le loro vaste rivendite di elettrodomestici, la vostra attività gode di piena salute: qual è il segreto? «Il segreto è la disponibilità e la capacità di risolvere qualsiasi problematica si presenti ai nostri clienti. Senza scordare le consegne a domicilio con installazione e spiegazione del funzionamento del prodotto; lo smaltimento gratuito dell’usato; modifiche e sistemazioni di falegnameria per elettrodomestici da incasso; riparazioni di tutti gli elettrodomestici grandi e piccoli per uso domestico; installazione e riparazione di stufe a legna e stufe a pellet con pulizia a fine stagione; installazione e riparazione di impianti di climatizzazione, sempre con pulizia a fine stagione. E non meno importante l’onestà personale e la qualità dei prodotti che vendiamo: anche per questo non risentiamo particolarmente la crisi della trasformazione del mercato». Il mondo degli elettrodomestici è in continua evoluzione: come si riesce a essere sempre aggiornati e a offrire i prodotti più attuali? «Per quanto riguarda le assistenze e la vendita dei prodotti, partecipiamo di continuo a tutti i corsi di aggiornamento per essere sempre informati in merito alle ultime novità. Inoltre frequentiamo costantemente corsi per formazione professionale per poter avere tutte le certificazioni richieste dalle nuove normative di legge». Come tutte le macchine, anche gli elettrodomestici possono avere problemi o necessitare di manutenzioni: in termini di assistenza in cosa consiste la vostra offerta?

«Noi ripariamo tutti gli elettrodomestici: lavatrici, lavastoviglie, piani cottura, forni, frigoriferi, televisori, impianti di climatizzazione, stufe a legna, stufe a pellet, anche con pulizie stagionali. Senza dimenticare i piccoli elettrodomestici: ferri da stiro, aspirapolveri, robot da cucina e quant’altro». Dai prodotti al mercato: in questi anni come si sono evolute le richieste della clientela? «Purtroppo negli ultimi anni, anche a causa della crisi, si pone più attenzione al prezzo rispetto alla qualità. Nonostante tutto cerchiamo di offrire alla nostra clientela prodotti di qualità a prezzi contenuti, con offerte supportate dalla nostra azienda o dalle aziende costruttrici. Il servizio che offriamo è sempre al top, con prezzi rimasti invariati da anni, per andare il più possibile incontro al cliente. Come mio padre mi ha insegnato e come la clientela lo ha sempre ricompensato con grande affetto e stima. Purtroppo abbiamo dovuto tastare sulla nostra pelle giorni molto difficili da superare, però tutto ciò ci ha dato grande forza e abbiamo capito che era giusto continuare con quello che aveva creato mio padre. Non finiremo mai di ringraziare tutti i nostri clienti che ci hanno supportato nei momenti difficili e che continuano a farlo. Grazie di cuore». Quella della vostra attività è una storia di sviluppo e innovazione continui: quali sono le prossime sfide per il futuro? «Offrire alla nostra clientela sempre prodotti innovativi con prestazioni all’avanguardia e consumi ridotti. Servizio sempre professionale e certificato. Vista anche la mia giovane età voglio essere pronto a cogliere le nuove sfide, ma con uno sguardo costantemente rivolto al passato per non dimenticare mai su quali valori si è fondata l’azienda».



my

1 luglio Auguri Massimo!

Stefano, Eva, Luigi

6 luglio Buon compleanno Eugenio! 10 luglio Tanti auguri Bruttino!

Luisa, Andrea, Marina

Nick e Cinzia

11 luglio Tanti auguri Debora!

Michael e mamma

14 luglio Buon compleanno Michela!

Lo staff di iMagazine

15 luglio Buon compleanno Alexandra! Eva, Stefano, Luigi, Giorgio 16 luglio Felice anniversario Cosimo! 18 luglio Buon compleanno Marta!

Benedetta

papà Stefano

24 luglio Tanti auguri Francisco per i tuoi 60 anni! Cinzia e Nick 12 agosto A Carla e Antonio auguri di buon anniversario! Giovanni e Serena 20 agosto Buon compleanno Fabrizio! 22 agosto Auguri mitico Sandro! 29 agosto Buon compleanno Max!

Lo staff di iMagazine

Flavio, Tommy, Dario, Mic

Lo staff di iMagazine

31 agosto Felice anniversario a Elisa e Riccardo! Mattia, Graziana, Cesare, Marina, Andrea Mandaci entro il 1º agosto i tuoi auguri per le ricorrenze di settembre e ottobre! Li pubblicheremo gratuitamente su iMagazine! Segnalaci giorno, evento, mittente e destinatario e spedisci il tutto via e-mail (info@imagazine.it), via posta ordinaria (iMagazine, c/o via Aquileia 64/a, 33050 Bagnaria Arsa – UD) o via fax (040 566186).


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marzo-aprile 2015

FARMACIE DI TURNO

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Fonte: Federfarma Gorizia e Udine

AL PONTE via Don Bosco 175 Gorizia, tel. 0481 32515 ALESANI via Carducci 40 Gorizia, tel. 0481 530268 BALDINI corso Verdi 57 Gorizia, tel. 0481 531879 COMUNALE 1 via San Michele 108 Gorizia, tel. 0481 21074 COMUNALE 2 via Garzarolli 154 Gorizia, tel. 0481 522032 D’UDINE piazza San Francesco 5 Gorizia, tel. 0481 530124 MARZINI corso Italia 89 Gorizia, tel. 0481 531443 MADONNA DI M. via Udine 2 Lucinico, tel. 0481 390170 PROVVIDENTI via Oberdan 3 Gorizia, tel. 0481 531972 TAVASANI corso Italia 10 Gorizia, tel. 0481 531576 TRAMONTANA via Crispi 23 Gorizia, tel. 0481 533349 FARO via XXIV Maggio 70 Brazzano, tel. 0481 60395 STACUL via F. di Manzano 6 Cormons, tel. 0481 60140 ALLA MADONNA via Matteotti 13 Cormons, tel. 0481 60170 ROJEC via Iº Maggio 32 Savogna d’Is., tel. 0481 882578 PIANI via Ciotti 26 Gradisca d’Is., tel. 0481 99153 BACCHETTI via Dante 58 Farra d’Is., tel. 0481 888069 CINQUETTI via Manzoni 159 Mariano d. Fr., tel. 0481 69019 MORETTI via Olivers 70 Mossa, tel. 0481 80220 LAZZARI via Petrarca 15 Moraro, tel. 0481 80335 DELLA TORRE via Latina 77 Romans d’Is., tel. 0481 90026 SORC piazza Montesanto 1 S. Lorenzo Is., tel. 0481 80023 LABAGNARA via Monte Santo 18 Villesse, tel. 0481 91065

TRESCA via XXIV Maggio 1 Aiello d. F., tel. 0431 99011 CORRADINI c.so Gramsci 18 Aquileia, tel. 0431 91001 SORANZO via Vittorio Veneto 4 Bagnaria Arsa, tel. 0432 920747 RUTTER c.so Marconi 10 Campologo Tapogliano, tel. 0431 999347 COMUNALE via Monfalcone 7 Cervignano d.F., tel. 0431 34914 SAN ANTONIO via Roma 52/1 Cervignano d.F., tel. 0431 32190 LOVISONI p.zza unità 27 Cervignano d.F., tel. 0431 32163 DEBIASIO via Gramsci 55 Fiumicello, tel. 0431 968738 MONEGHINI via Roma 15/A Ruda, tel. 0431 99061 SATTI via 2 Giugno 4 Terzo d’Aquileia, tel. 0431 32497 GRIGOLINI p.zza del Popolo 2 Torviscosa, tel. 0431 92044 SANTA MARIA via San Antonio Villa Vicentina, tel. 0431 967263 FLEBUS via Montello 13 Visco, tel. 0432 997583 FAVARO via Roma 48 S. Vito al Torre, tel. 0432 997445 FACINI borgo Cividale 20 Palmanova, tel. 0432 928292 LIPOMANI borgo Aquileia 22 Palmanova, tel. 0432 928293 MORANDINI piazza Grande 3 Palmanova, tel. 0432 928332 RAMPINO piazza Venezia 15, San Canzian d’Is., tel 0481 76039 DI MARINO via Redipuglia 77, Fogliano, tel 0481 489174 CORAZZA via Buonarroti 10, Capriva del Friuli, tel 0481 808074 RAJGELJ CHIARA via Scuole 9, Medea, tel 0481 67068

COMUNE DI GORIZIA Dati: N.P.

Recapiti: 0481 383276, www.comune.gorizia.it

COMUNE DI VILLESSE

Abitanti: 1.693

(dati Anagrafe apr-mag 2019) nati 0, deceduti: 3, immigrati: 13, emigrati: 9, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 91026, www.comune.villesse.go.it

COMUNE DI MOSSA Abitanti: 1.559

(dati Anagrafe gen-mag 2019) nati 3, deceduti: 3, immigrati: 15, emigrati: 18, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 80009, www.comune.mossa.go.it

COMUNE DI MEDEA Dati: N.P.

Recapiti: 0481 67012, www.comune.medea.go.it

COMUNE DI GRADISCA D’ISONZO Dati: N.P.

Recapiti: 0481 967911, www.comune.gradisca-d-isonzo.go.it


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marzo-aprile 2015 | 97 AGOSTO

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06-12

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LUGLIO

        Le farmacie contrassegnate dal fondino arancione anticipano di un giorno le date di turno indicate.

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COMUNE DI CERVIGNANO DEL FRIULI Abitanti: 13.773

(dati Anagrafe apr 2019) nati 8, deceduti: 13, immigrati: 72, emigrati: 54, matrimoni: 3 Recapiti: 0431 388411, www.cervignanodelfriuli.net

COMUNE DI FARRA D’ISONZO Abitanti: 1.671

(dati Anagrafe mar-apr 2019) nati 0, deceduti: 8, immigrati: 19, emigrati: 10, matrimoni: n.p. Recapiti: 0481 888002, www.comune.farra.go.it

COMUNE DI MARIANO DEL FRIULI Dati: N.P.

Recapiti: 0481 69391, www.comune.marianodelfriuli.go.it

COMUNE DI S. LORENZO ISONTINO

Abitanti: 1.546 (dati Anagrafe feb-apr 2019) nati 3, deceduti: 7, immigrati: 12, emigrati: 10, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 80026, www.comune.sanlorenzoisontino.go.it

COMUNE DI CORMÒNS Abitanti: 7.335

(dati Anagrafe mar-giu 2018) nati 17, deceduti: 37, immigrati: 87, emigrati: 70, matrimoni: 4 Recapiti: 0481 637111, www.comune.cormons.go.it


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marzo-aprile 2012

maggio-giugno 2015

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G - F O RI FLO ISO ARRA ZIA- ED G N I RO RIAN TINOCD’ISO RADI ZION MA O D - EC NZ SC E P A R NS EL ORVCEO - D ER D’I COL MIOGRMO ’ISO LE SO LI NGNS VIRA NZ FA NZ O - O-ADNGRO O M 32891|/2 O - M ROLIONA- M - CA IGL 011 VIL ARI EZGDI NO PR IE 092 LES AN NAEA LOSSA IVA DI SE O D DEFLRD-ESA DE - CE EL COI LN L F RV FRIU ULLLI FLROR RIU IGN LI OI- IEUN LI AN - M SAN LZO O D EDE I . F. A -

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Počitnice 2019... počitniski centri ali..... - Si siguren, da deluje? - Seveda, je vse Wi Fi, Bluetooth..... Sommerferien 2019, Sommerzentren, oder... - Bist du sicher, dass es funktioniert? - Sicher, das ist alles Wi Fi, Bluetooth, Connect...

Vacanze 2019, Centri estivi o... - Ma sei sicuro che funzioni? - Certo, è tutto Wi Fi, Bluetooth, Connect...

Vacancis 2019, Centris estîfs o..... -Ma sêstu sigûr che al funzioni? -Sigûr, al è dut WIFI, Bluetooth, Conession.....

Vacanze 2019, Centri estivi o... Ista’ 2019. Cologne o... - ma te son sicuro che funzia? Ma te son sicur che funsioni? - Certo, xe tuto wi fi, bluetooth, connect Si ah, xe tut Wifi, blutut, connect...

Per le traduzioni si ringrazia: Irene Devetak (sloveno), Isa Dorigo - Regjon autonome FVG Servizi lenghis minoritariis (friulano), Andrea Coppola Università di Trieste (tedesco), Marianna Martinelli (bisiaco), Alessandro Samez (triestino).




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