E D I T O R I A L E L’INFORMAFREEMAGAZINE nº 80 – anno XIV numero 3 maggio-giugno 2019 ISSN 1828-0722 Editore
GOLIARDICA EDITRICE srl a socio unico sede operativa: I – 33050 Bagnaria Arsa, Italy via Aquileia 64/a tel +39 0432 996122 fax +39 040 566186 info@imagazine.it Direttore responsabile Andrea Zuttion Condirettore responsabile Claudio Cojutti Responsabile di redazione Andrea Doncovio Marketing / Eventi Eleonora Lulli Area commerciale Michela De Bernardi, Francesca Scarmignan, Fabrizio Dottori Responsabile area legale Massimiliano Sinacori Supervisione prepress e stampa Stefano Cargnelutti Hanno collaborato Vanni Veronesi, Claudio Pizzin, Paolo Marizza, Vanni Feresin, Margherita Reguitti, Andrea Fiore, Livio Nonis, Cristian Vecchiet, Alfio Scarpa, Michele D’Urso, Michele Tomaselli, Manuel Millo, Andrea Coppola, Alberto Vittorio Spanghero, Renato Duca, Renato Cosma, Germano Pontoni, Isa Dorigo, Sandro Samez, Marianna Martinelli, Irene Devetak, Andrea Tessari, Rossella Biasiol, Denise Falcomer Registrazione Tribunale di Udine n. 53/05 del 07/12/2005 Stampato in proprio Tiratura 70.000 copie Credits copertina Luigi Vitale Credits sommario :: Vanni Veronesi :: :: Claudio Pizzin :: :: Claudio Pizzin :: :: Luigi Vitale :: :: Barbara Essl :: © goliardica editrice srl a socio unico. Tutti i diritti sono riservati. L’invio di fotografie o altri materiali alla redazione ne autorizza la pubblicazione gratuita sulle testate e sui siti del gruppo goliardica editrice srl. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni o altro non verranno restituiti, anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico, elettronico, di memorizzazione delle informazioni ecc. senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere considerati responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati, direttamente od indirettamente, dall’uso improprio delle informazioni ivi contenute. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari, che ne detengono i diritti. L’Editore, nell’assoluzione degli obblighi sul copyright, resta a disposizione degli aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare al momento della stampa della pubblicazione.
Cari lettrici e lettori, domenica 26 maggio saremo chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento europeo. Gli abitanti di 118 comuni del Friuli Venezia Giulia dovranno anche esprimere la propria preferenza per la scelta della loro nuova amministrazione comunale. In queste settimane che precedono la tornata elettorale, consigliamo a tutti – candidati pretendenti per una poltrona in consiglio comunale piuttosto che a Bruxelles – di leggere il resoconto dell’incontro avuto a Montevideo dal nostro Claudio Pizzin con l’ex presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica, noto con l’appellativo di “Presidente dei poveri”. Non sottolineerò in queste righe il fatto che durante il suo mandato politico – sia quando ha ricoperto la carica più alta dello Stato, sia nel ruolo di senatore – Mujica abbia donato ai poveri il 90% del proprio stipendio; non mi soffermerò sul fatto che oggi viva in un container “residenziale” o che anche durante il suo mandato di presidente avesse preferito abitare nella sua umile casa piuttosto che nel palazzo presidenziale. Mi soffermerò invece su una frase tanto semplice quanto detonante che ha rilasciato alla nostra testata: «Per comprendere la gente, bisogna stare in mezzo alla gente». Oggi quanti politici o aspiranti tali lo fanno? Eppure dovrebbe essere il punto di partenza per ciascun amministratore della cosa pubblica eletto dal popolo. E che al popolo dovrebbe rendere conto di quanto fatto (o non fatto) durante il proprio mandato, per il quale leggi approvate da altri amministratori garantiscono un lauto compenso. In questa occasione, ricordare alcuni numeri potrebbe essere importante. Nel 2017 noi europei abbiamo speso 29 miliardi di euro per gli stipendi dei politici e dell’apparato amministrativo tra Bruxelles e Strasburgo. Entrando nel dettaglio, ogni parlamentare europeo percepisce uno stipendio lordo mensile di 8.757,70 euro, al quale bisogna sommare un’indennità mensile per le spese generali di 4.513 euro. A questi vanno poi aggiunti i 320 euro di indennità giornaliera per ogni giorno in cui i deputati sono a Bruxelles o a Strasburgo per attività ufficiali. Per le riunioni al di fuori dell’Unione Europea, in più, oltre ai rimborsi per le spese di viaggio e di pernottamento, ogni parlamentare riceve anche un’indennità di 160 euro. Senza dimenticare che i parlamentari europei hanno diritto al rimborso di due terzi delle spese mediche sostenute, oltre all’indennità di fine mandato (una mensilità per ogni anno di mandato: dopo 5 anni significa 43.788,50 euro). Tutti dati che potete leggere sul sito del Parlamento Europeo, dove viene anche specificato che “il Parlamento fornisce ai suoi deputati uffici attrezzati sia a Bruxelles che a Strasburgo ed essi possono utilizzare le autovetture ufficiali del Parlamento per la propria attività quando si trovano in una di queste due città”. Si potrebbero fare un’infinità di considerazioni su questi numeri oggettivi, ma credo che ciascun lettore sarà libero di trarre le conclusioni che ritiene opportune. Di certo, quando nei prossimi giorni verrete avvicinati da candidati al Parlamento Europeo che richiederanno il vostro voto, avere questi dati con voi potrebbe essere utile. Così come porre una semplice domanda: «Se eletti percepirete una somma mensile tra i 16 e i 19 mila euro: per fare cosa?» Non mi resta che augurarvi … buona lettura! Andrea Zuttion
S O M M A R I O
maggio - giugno 14
L’ANALISI di Paolo Marizza
12 Malattie senili della democrazia RICHARD FRANCIS BURTON di Vanni Veronesi
14 Il diavolo sull’altopiano URUGUAY di Claudio Pizzin
18 Il tesoro della semplicità 18
PEPE MUJICA di Claudio Pizzin
22 Il presidente dei poveri ELDA FELLUGA di Margherita Reguitti
24 La signora del vino AFFECTIO CONIUGALIS di Massimiliano Sinacori
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28 Mi ha tradito! Si, però… SCUOLA IN CRISI di Andrea Fiore
30 Così non ce la caviamo ANDREA NAGELE di Claudio Pizzin
32 Grado sotto la pioggia ANNA BOMBIG di Vanni Feresin
36 La poetessa del Friuli 24
GIOVANNI PAMICH di Renato Duca
39 Fuga per la libertà LA RIVOLUZIONE FASCISTA di Alberto V. Spanghero
42 La propaganda di regime GIUSEPPE BERINI di Renato Duca e Renato Cosma
46 L’abate erudito 32
DENIS MONTE di Margherita Reguitti
48 Dr. Jekyll e Mr. Hyde ROCCO RESCIGNO di Andrea Doncovio
52 Dove le parole non bastano
FESTIVAL DEL GIORNALISMO della redazione
54 Dentro le notizie PROMETEO di Claudio Pizzin
57 L’umanità dell’inclusione BEPPINO FABRIS di Michele Tomaselli
58 Quale futuro per il sindacato? IVANA PETEAN di Livio Nonis
60 La scienza della demolizione GIOVANI E POLITICA di Cristian Vecchiet
62 Il bene della res publica VITA E PREOCCUPAZIONI di Manuel Millo
64 Cosa attanaglia la nostra mente? CRISTIAN AGNOLETTI di Michele D’Urso
66 Dietro le quinte TURIPESCA di Livio Nonis
68 Pesca alla mosca PRO LOCO STARANZANO di Livio Nonis
70 Una passione lunga trent’anni FESTA DEL VINO di Livio Nonis
73 Nel solco della tradizione MONDO OLISTICO di Denise Falcomer
74 Il gusto rosso amaro dell’estate CHEF…AME
79 La ricetta di Germano Pontoni 80 e segg. Gli eventi di maggio e giugno
: lettere alla redazione
▲ Aquileia – Le premiazioni in piazza Capitolo dei vincitori della Unesco Cities Marathon 2019. Anche quest’anno iMagazine è stato media partner della maratona delle città dell’Unesco che, partendo da Cividale arriva ad Aquileia via Palmanova. «Quella con iMagazine - ha affermato il project manager dell’evento, Giuseppe Donno (a destra nella prima foto assieme al nostro caporedattore Andrea Doncovio) - è una partnership speciale consolidatasi nel tempo, tra due realtà che condividono i medesimi valori”.
▲ Trieste – La Società Velica di Barcola e Grignano ha rinnovato il proprio consiglio direttivo. A comporlo, Mitja Gialuz, Mauro Parladori, Tullio Bontempo, Mauro Nordio, Alessandro Bonifacio, Fabio Bignolini, Jimmy Patrizio, Luciano Primosi, Flavia Bottaro, Dean Bassi e Stefano Nursi. Il nuovo direttivo sarà chiamato a organizzare le prossime tre edizioni della Barcolana e resterà in carica fino al febbraio del 2022. Gialuz è stato confermato presidente per il terzo mandato.
▲ Udine – Premiati a palazzo Torriani i migliori progetti di “Eureka! Funziona”, l’iniziativa sperimentale ideata da Federmeccanica in collaborazione con il MIUR che Confindustria Udine, per la prima volta quest’anno, ha promosso nel territorio friulano coinvolgendo 196 alunni delle classi terze, quarte e quinte delle scuole primarie di San Pietro al Natisone, di Feletto e Tavagnacco, oltre a Friz e Bearzi di Udine. Una gara per piccoli inventori destinata ai bambini delle scuole elementari, i quali, partendo da un kit di materiale loro fornito, si sono cimentati con il tema scelto per questa edizione, il “magnetismo”, attraverso la costruzione di un giocattolo che doveva avere quale unica caratteristica vincolante quella di essere mobile.
▲ Aiello del Friuli – Inaugurato il nuovo campo di agility dog concesso dalla locale Amministrazione comunale e affidato in gestione all’associazione A.S.D. Fuori dal Tunnel di Aiello. Il taglio del nastro è stato effettuato dall’assessore allo Sport Susi Visintin, e dalla presidente di Fuori dal Tunnel, Paola Zulian (ph. C. Pizzin).
▲ Fiumicello – Festa ci compleanno speciale per i 104 anni di Carolina Maiolini. Nata il 3 aprile 1915 a Jalmicco, quando aveva solamente due anni, durante la ritirata di Caporetto, si imbatté in un residuato bellico che le scoppiò in mano. Portata all’ospedale da campo austriaco le vennero amputate le dita della mano destra; mamma e nonna non si persero d’animo e inventarono una protesi rudimentale, una specie di uncino che le permise di svolgere ogni attività lavorativa. Nel 1948 convogliò a nozze con Fiore Sgubin, nella chiesa della Madonne delle Grazie a Udine, quindi la famiglia si trasferì a Fiumicello dove sono nate due figlie, Elena e Alessandra. Dopo la pensione, Carolina non è mai stata con le mani in mano, nonostante il grave handicap ha continuato a lavorare a maglia e a uncinetto, e lo fa tutt’ora confezionando centrini, tendine e tutto quello che si può realizzare con ferri e filo. Del tutto autosufficiente si alza autonomamente, e sia pure con qualche piccolo aiuto della figlia, pulisce la cucina, scopa e lava i piatti. Il segreto di questa longevità? «Vivere in modo sano – ha risposto la festeggiata – mangiare poco e spesso, e bere acqua con aggiunto il miele».
▲ Udine – Ventiquattro operatori dell’ambito turistico di Grado, Lignano Sabbiadoro e del Golfo di Trieste hanno presentato per la prima volta uniti la nuova stagione balneare. L’evento, promosso da PromoturismoFVG, si è svolto nell’auditorium della Dacia Arena.
È possibile inviare le proprie lettere e i propri commenti via posta ordinaria (iMagazine – via Aquileia 64/a – 33050 Bagnaria Arsa-UD), oppure via e-mail (redazione@imagazine.it).
▲ Trieste – Prima visita per il console generale della Repubblica Federale di Germania a Milano Claus Robert Krumrei (a sinistra nella foto assieme ad Anna Cargnello, coordinatrice del Goethe-Zentrum Triest e Hubert Perfler, presidente GoetheZentrum Triest), che si è recato anche al Goethe-Zentrum Triest, la realtà che dal 1997 si occupa della promozione della lingua tedesca in città e in regione.
▲ Udine – Il ciclista Alessandro De Marchi, il dirigente di pallacanestro Luciano Freschi, da 40 anni dirigente dell’APU basket, e alla memoria: Ennio Bon, storica figura del basket in Friuli; Riccardo Zancani, giovane donatore di sangue che lasciandoci, per sua scelta, ha donato gli organi salvando vite umane, sono i vincitori dei premi Friul Tomorrow per il Fair play 2018 promossi dal Comitato Friul Tomorrow in collaborazione con Associazione don Gilberto Pressacco, Euretica e AIDO, associazione per la donazione di organi, tessuti e cellule di Udine. I riconoscimenti sono stati consegnati da Daniele Damele (Friul Tomorrow), Paolo Pizzocaro (assessore comunale allo sport di Udine), Flavio Pressacco (Associazione don Gilberto Pressacco) al Palasport Carnera.
▲ Marano Lagunare – Quest’anno il camper club Antica Contea Gorizia ha scelto la località lagunare come meta per la tradizionale benedizione dei veicoli ricreazionali. All’evento hanno partecipato 46 camper con 92 amici tra soci e simpatizzanti. I partecipanti sono stati ricevuti ufficialmente dall’assessore comunale di Marano, Monica Boscolo, che ha voluto presenziare alla manifestazione, ricevendo il gagliardetto ufficiale del club dalle mani del presidente del sodalizio, Riccardo Di Nardo. Don Nicola Degano, sacerdote della locale comunità parrocchiale, ha impartito la benedizione ai camperisti e ai loro mezzi, ma anche al nuovo striscione del club simbolo di unione e collaborazione con il Comune di Gorizia.
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L’ANALISI
NUOVI AUTORITARISMI Rubrica di Paolo Marizza
Malattie senili
della democrazia
L’autoritarismo è considerato storicamente una malattia delle democrazie infantili. Nell’ultimo decennio, invece, le cose sono cambiate. Con quali rischi?
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Tendenza a imporre con intransigente fermezza la propria volontà o la propria autorità nei rapporti umani o gerarchici, a livello individuale e collettivo. È l’autoritarismo, termine usato nelle scienze sociali in rapporto a tre tipi di fenomeni: personalità, ideologie, regimi. Per quanto riguarda la personalità autoritaria i tratti sono essenzialmente la sottomissione e l’aggressione, la ricerca esasperata dell’ordine e il rifiuto dell’ambiguità. L’ideologia autoritaria è caratterizzata dall’accento posto sulla strutturazione gerarchica della società e sull’ordine come principio costitutivo fondamentale, in netto contrasto con le ideologie liberali e democratiche. I regimi autoritari si caratterizzano per l’accentramento del potere politico in poche istituzioni e per lo svilimento delle sedi di partecipazione politica. L’autoritarismo sembra vivere una nuova stagione affermandosi in nuove forme non solo in Paesi relativamente poveri o che non hanno vissuto processi di consolidata evoluzione democratica. È in ascesa anche in Paesi “benestanti”, come mostrato dai recenti sviluppi politico-istituzionali provenienti anche da Stati considerati “culla” della democrazia liberale nel corso del XX secolo. Nell’ultimo decennio la democrazia sta infatti vivendo processi di erosione dei suoi principi fondanti e non è più solo un fenomeno dei Paesi in via di sviluppo. In questo senso l’autoritarismo, storicamente considerato una malattia infantile delle democrazie, si sta manifestando come una malattia senile nelle democrazie mature. Come possiamo comprendere questa rinascita dell’autoritarismo? Che forme sta assumendo? Qua12
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le ruolo e responsabilità hanno le élite e le classi dirigenti in questa fase storica, in particolare nelle democrazie occidentali? Al giorno d’oggi, il modo più comune per far emergere i regimi autoritari consiste nell’erodere la democrazia dall’interno: tali processi caratterizzano la maggioranza dei crolli contemporanei dei regimi democratici. Questi nuovi regimi spesso si affermano con l’emergere di figure, di personalità autocentrate che fanno presa con metodi manipolatori e distorsivi dei processi di cognizione collettiva. Questo cambiamento è in parte legato alla caduta dei vecchi mass media. I nuovi media sono molto meno bravi a diffondere messaggi propagandisti univoci rispetto a quelli vecchi. Ma riescono a eccellere nella diffusione del dubbio: minando l’autorevolezza di esperti, élite e “vecchi media”, i nuovi media aprono la strada a “imprenditori” politici capaci di sfruttare risentimenti latenti e di proiettare visioni distorte della realtà. Negli ultimi tre lustri le trasformazioni autocratiche – e dittature – hanno sperimentato questo decorso. Esempi? Russia, Venezuela, Turchia, Ungheria. Una domanda cruciale concerne ciò che si intende per “autoritario”. La risposta è: l’assenza di democrazia. La democrazia, a sua volta, è un sistema in cui elezioni libere ed eque determinano chi detiene il potere, l’organizzazione statuale deve consentire la libera espressione delle opinioni, l’esecuzione imparziale della legge elettorale, il suffragio universale e il diritto dei concorrenti politici di ottenere le risorse di cui hanno bisogno. Le elezioni conferiscono legittimità. I nuovi autoritarismi offrono invece una “pseudo-democrazia”. Le elezioni in tali Paesi sono una forma di drammatizzazione del processo democratico, una finzione in cui la percezione collettiva non riesce o non vuole
vedere la maschera. Tutti sanno che il leader non si lascerà sconfiggere. Un regime del genere non è solo un po’ diverso da una democrazia: è un animale completamente diverso. Si è in presenza di una mutazione delle forme di autoritarismo: il numero delle dittature militari è diminuito drasticamente, ma il numero di dittature personali pseudo-democratiche è in aumento. Le ricette di queste autocrazie personali includono questi ingredienti: una cerchia ristretta di persone fidate; introduzione di “fedeli” in posizioni di potere; promozione di membri della famiglia “allargata” in ruoli economici e sociali chiave; creazione di nuovi movimenti politici; uso di referendum come mezzo per giustificare le decisioni; creazione di nuovi servizi di sicurezza “fedeli”. Le leadership autocratiche sostengono che solo loro, una volta dotate di poteri straordinari, possono risolvere i problemi del Paese. Asseriscono che l’élite tradizionale è corrotta e incompetente e che esperti, giudici e media devono essere “normalizzati”. Gli elettori dovrebbero invece affidarsi all’intuizione del leader, un’incarnazione vivente dello “spirito popolare”. Le autocrazie che stiamo vedendo oggi hanno però importanti differenze rispetto a quelle degli inizi e della metà del XX secolo: richiedono acquiescenza più che partecipazione. La buona notizia è che fino ad ora questi fenomeni non sono riusciti a minare nessuna delle nostre democrazie europee. Le tendenze autoritarie sono ai margini del potere, ma per quanto? I fallimenti delle élite governative ed economiche di questo inizio secolo – la loro indifferenza verso il destino di ampie fasce della popolazione, la loro avidità e incompetenza, manifestatesi in modo eclatante con le crisi finanziarie negli Stati Uniti e in Europa – hanno minato credibilità e fiducia nelle istituzioni e nei loro rappresentanti, il collante più importante della convivenza democratica. Politici cinici si affermano in tessuti sociali disillusi, già pervasi da una sorta di cinismo sociale endemico. Possono credere o meno ai nuovi leader, ma sicuramente manifestano maggiore diffidenza e distanza rispetto alle leadership del passato. Queste nuove autocrazie non offrono soluzioni: alla fine renderanno i loro Paesi più poveri e meno liberi. Noi che abbiamo la fortuna di vivere in democrazie governate dallo Stato di Diritto dovremmo contribuire a farle funzionare meglio. Un compito impegnativo, ma è l’unico modo per garantire che questi sistemi politici siano trasmessi più sani e liberi alle generazioni che seguono.
Paolo Marizza Co-founder di Innoventually e docente DEAMS-UniTS
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ALLA SCOPERTA DI...
RICHARD FRANCIS BURTON Servizio di Vanni Veronesi
Il diavolo
sull’altopiano
Soldato, esploratore, geografo, poeta, saggista, linguista, antropologo, ambasciatore, avventuriero, spadaccino, conoscitore di 29 lingue, dopo una vita di viaggi in tutto il mondo sir Richard Francis Burton approda a Trieste. Qui dà vita una delle più folgoranti rivoluzioni socio-culturali della storia: una vicenda affascinante che iMagazine ha voluto ricostruire per voi.
Una giovinezza ribelle
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Il 19 marzo 1821, nella città inglese di Torquay, Joseph Burton e sua moglie Martha Baker festeggiano la nascita del figlio Richard Francis. Il lieto evento è solo una parentesi fra un viaggio e l’altro: Joseph, colonnello dell’esercito di
Sua Maestà, è costretto a continui trasferimenti in ogni angolo d’Europa, con moglie e figlio al seguito. Il piccolo Richard cresce dunque fra Tours, Lione, Marsiglia, Livorno, Siena, Perugia, Firenze, Roma, Napoli, dimostrando da subito uno spiccato interesse per le lingue: ancora ragazzino, è già in grado di padroneggiare francese, tedesco, italiano e napoletano, nonché latino e greco. L’educazione del piccolo Richard, del resto, è una miscela esplosiva di assoluta anarchia e di studio feroce, tanto vasto quanto disordinato: così, quando a 19 anni viene spedito al Trinity College di Oxford, il suo animo ribelle lo porta prima a confliggere con i professori del Dipartimento, ancorati a metodologie di insegnamento per lui intollerabili, e poi a essere espulso dal College. Nessuno, però, può fermare Richard, ormai avviato allo studio del sanscrito, l’antico idioma dell’India storica che nel 1786 era stato riconosciuto come parente stretto di molte lingue occidentali: sono gli anni in cui nasce il concetto di ‘indoeuropeo’ e Burton non può certo guardare la scienza da lontano. Arruolatosi nella Compagnia delle Indie, sbarca dunque a Bombay nel 1842.
Nei panni di Mirza Abdullah
Le occasioni per mettersi in mostra non mancano: Richard è alto e robusto, un talento naturale della boxe e della spada, ma è soprattutto la sua abilità nell’apprendimento A fianco: Richard Francis Burton nei panni del mercante persiano Mirza Abdullah. Sopra: Richard Francis Burton in una foto degli anni triestini (1876). 14
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dei dialetti locali a colpire il generale Charles James Napier, che lo assume come interprete al distaccamento di Karachi (oggi in Pakistan). Proprio per conto di Napier avvia una inchiesta su un bordello frequentato da molti ufficiali inglesi: sotto le mentite spoglie del mercante Mirza Abdullah, riesce a documentare abusi sessuali su bambini, attirandosi l’ira di molti settori dell’esercito di Sua Maestà. Censurato il faldone e stroncata la sua carriera, Burton torna a Londra nel 1849 e mette nero su bianco l’ostilità delle tribù locali nei confronti dei dominatori, ma il rapporto viene bloccato ancora prima di andare in stampa. Forte di ulteriori undici lingue aggiunte a un già ricco carnet, riversa allora tutta la sua conoscenza sull’India in vari libri storico-antropologici, in cui descrive con assoluta libertà pratiche culturali e sessuali che scandalizzano la puritana società inglese. Questa fama di autore maledetto non impedisce alla nobile cattolica Isabel Arundell di innamorarsi di lui nel settembre 1850, ma a Richard l’Europa sta stretta: nel 1853 parte quindi per l’Egitto, dove veste nuovamente i panni di Mirza Abdullah per tentare un’impresa impossibile. È dal 629 che, per volere dello stesso Maometto, l’accesso alle città sante di Medina e La Mecca è proibito agli «infedeli», pena la conversione forzata o la condanna a morte: l’intento di Burton è quello di introdursi nel luogo più sacro dell’Islam per descrivere un’esperienza spirituale sconosciuta in Occidente. Dopo mesi di rocambolesche peregrinazioni, Richard-Mirza compie l’epica impresa. Il libro che ne deriva potrebbe finalmente riconciliare Burton con gli ambienti intellettuali della madrepatria, ma l’avventuriero inglese ha ben altri programmi: di ritorno in Egitto, un missionario rientrato dall’Africa centrale gli parla del mistero delle sorgenti del Nilo, dibattuto sin dai tempi di Erodoto.
Veduta del lago Vittoria, scoperto da Speke nell’ambito della spedizione organizzata da Burton per la ricerca delle sorgenti del Nilo.
Le due spedizioni in Africa
Ritratto di J.H. Speke.
Reintegrato (con fastidio) nell’esercito della Compagnia delle Indie, gli viene assegnata una missione nel Corno d’Africa: Richard sceglie come compagni di viaggio i fidati W. Stroyan e G.E. Herne, ma le alte sfere gli affiancano pure J.H. Speke, al solo scopo di sorvegliare le sue mosse. Stroyan ed Herne dovranno esplorare la zona di Berbera e indagare sul traffico degli schiavi nell’area; Speke verrà inviato nel Wadi Nogal, alla ricerca di vene aurifere sotterranee; Burton cercherà di spingersi ad Harar, ennesima «città proibita» dell’Islam. Separatasi il 18 ottobre 1854 con l’accordo di ritrovarsi sulla costa yemenita, Stroyan, Herne e Burton si riabbracciano ad Aden il 9 febbraio seguente, mentre Speke arriverà settimane dopo, senza aver mai raggiunto il Wadi Nogal, con un esotico quanto inutile bottino di trofei di caccia. Tuttavia non c’è tempo per litigare: mentre Burton scrive il resoconto della sua spedizione, da Londra arriva finalmente il permesso per cercare le sorgenti del Nilo. I quattro, a capo di una delegazione piuttosto ampia, si rimettono in viaggio per l’Africa centrale e approdano nella città somala di Berbera, dove la notte del 19 aprile vengono sorpresi da un attacco delle truppe indigene: Herne, Speke e Burton riescono a salvarsi per miracolo, mentre Stroyan muore sotto i colpi di machete.
Veduta della città probita di Harar (Etiopia) tratta dal libro First Footsteps in East Africa, in cui Burton racconta la sua prima spedizione nel Corno d’Africa (1854).
Veduta del lago Tanganica, scoperto da Burton e Speke.
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Richard Francis Burton e la moglie Isabel Arundell negli anni triestini.
L’edificio di Piazza Libertà in cui si trasferì Burton dopo il primo alloggio all’Hotel de la Ville.
Trieste, Riva III Novembre: lo storico edificio dell’Hotel de la Ville, oggi sede di Fincantieri. Fu il primo alloggio di Richard Francis Burton in città.
Fallita la spedizione, Richard torna a Londra e si rifugia fra le braccia di Isabel. I due si fidanzano, ma Burton riparte ancora una volta, prima alla volta della Guerra di Crimea e poi nuovamente in Africa, nel 1856, per riprendere la ricerca assieme a Speke. I due scoprono nel 1858 il lago Tanganica, ma il Nilo non nasce certo qui: in compenso, fanno la loro comparsa febbri malariche violentissime. Il primo a riprendersi è Speke, al quale Burton concede di ripartire da solo pur di non far naufragare la missione: un errore in buona fede che pagherà per tutta la vita. Speke, infatti, arriva al più grande bacino idrico del continente africano, riconoscendolo come effettiva sorgente del Nilo e chiamandolo lago Vittoria in onore della regina inglese. I due si ricongiungono a Zanzibar con l’accordo di divulgare assieCartolina d’epoca raffigurante l’Hotel Obelisco a Opici- me la straordinaria scoperta alla Royal Geographical Sona, terza residenza triestina di Richard Francis Burton: ciety di Londra, ma appena tornato nella capitale britannica Speke fa il suo annuncio da solo, arrogandosi tutto il mequi tradusse Le mille e una notte e il Kama Sutra. rito della spedizione. L’Hotel Obelisco oggi, completamente abbandonato.
Nel resto del mondo
Richard chiede un confronto pubblico per rivendicare le sue ragioni: in attesa che la situazione si sblocchi, parte per gli Stati Uniti d’America, dove continua la sua personale ricerca sulle religioni del mondo studiando usi e costumi dei mormoni a Salt Lake City. Rientrato in Inghilterra, si sposa con Isabel nel 1861 all’insaputa della madre di lei, fortemente ostile allo scapestrato Burton, che ovviamente riparte pochi mesi dopo per una nuova missione diplomatica: console britannico presso l’isola di Fernando Poo (oggi Bioko), al largo della Guinea Equatoriale. Nel 16
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frattempo le acque si sono mosse: il confronto con l’ex compagno di viaggio viene fissato per il 16 aprile 1864, ma proprio il giorno prima Speke muore in un misterioso incidente di caccia. Qualcuno penserà addirittura a un suicidio: una morte da scopritore delle sorgenti del Nilo anziché una vita da rinnegato. Burton, impossibilitato a sostenere le sue ragioni, precipita nella depressione, ma per fortuna arriva un nuovo incarico: console a Santos, in Brasile. Da qui si sposta a San Paolo e Rio de Janeiro, quindi in Amazzonia, Paraguay e Perù. A Lima viene raggiunto dalla notizia lungamente attesa: è stato nominato console a Damasco, finalmente con Isabel al suo fianco. Ma la permanenza è breve: nel 1871, entrato in collisione con il governatore turco, Burton viene richiamato in patria dal governo inglese, poco propenso allo scontro diplomatico con l’Impero Ottomano.
In alto da sinistra: - Trieste, Largo al Promontorio: Villa Gossleth – Economo, quarta e ultima residenza di Richard Francis Burton in città. Nel giardino della villa Isabel Arundell diede alle fiamme tutti i materiali inediti del marito giudicati ‘compromettenti’. - Copertina de Le mille e una notte nella traduzione inglese di Burton. - Copertina del Kama Sutra nella traduzione inglese di Burton. Sotto, il Carso nei pressi di Opicina.
L’ultimo atto
Dopo un viaggio in Islanda, Burton riceve l’ultimo incarico della sua vita: console a Trieste, placido avamposto austroungarico sull’Adriatico, quasi una condanna a morte per un uomo come lui. È con questo spirito che Richard e Isabel arrivano nella città giuliana alla fine del 1872, alloggiando prima all’Hotel de la Ville (attuale sede di Fincantieri sulle Rive), poi in due appartamenti in piazza Libertà, quindi all’Hotel Obelisco di Opicina e infine, dal 1883, a Villa Gossleth – Economo, in Largo del Promontorio, che diventerà una sorta di casa-museo stracolma di libri e oggetti raccolti in ogni angolo del mondo. A Trieste Burton inizia il secondo e ultimo tempo della sua vita: dopo aver dato alle stampe una serie di libri dedicati ai suoi viaggi passati, prende confidenza con una città e un territorio che pian piano fanno breccia nel suo cuore. Percorrendo in lungo e in largo i dintorni, scrive una quantità sterminata di articoli e libretti di argomento storico, antropologico, linguistico e archeologico, con interessanti lavori sulle terme romane di Monfalcone e i castellieri dell’Istria apprezzati da Arthur Evans e Heinrich Schliemann, scopritori rispettivamente di Creta e Troia, che verranno a trovarlo in città. Ed è sempre a Trieste che Burton traduce per la prima volta in una lingua occidentale Le mille e una notte e il celebre Kama Sutra: l’ennesimo scandalo di un uomo ormai condannato all’inferno.
La morte lo coglie il 19 ottobre 1890. L’amata Trieste accorre in massa ai suoi funerali, ma sua moglie ha altri piani. Il 27 ottobre, nel giardino di Villa Gossleth – Economo, si accende un apocalittico falò: per «salvare l’anima» del marito, la cattolica Isabel brucia migliaia e migliaia di pagine ancora inedite, compresa la traduzione dall’arabo del trattato erotico Il giardino profumato e altre opere compromettenti. Eppure, dalle ceneri di questo gesto disperato divamperà un incendio opposto: quello che nella seconda metà del Novecento si propagherà in tutto il mondo con il nome di «rivoluzione sessuale».
Vanni Veronesi |
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VIAGGI E METE
URUGUAY Servizio e immagini di Claudio Pizzin
Il tesoro della semplicità Le feste di popolo e il legame con la tradizione. La passione per il calcio e la natura sterminata. Un viaggio ricco di sorprese, nel Paese sudamericano dove il passato della gente fa rima con Italia.
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“Di du là seso?”. All’interno dell’aeroporto di Madrid, questa domanda in friulano mi riporta indietro di cinque anni. Ancor prima di girarmi ho già riconosciuto la voce. Mi volto e davanti a me trovo Luigi Guerra proveniente da Montina di Torreano. L’ultima e unica volta che lo avevo incontrato era stato in Cile, a San Pedro, nel deserto di Atacama. Anche allora pose a me e Lucia lo stesso interrogativo. Scambiamo alcune battute, raccontandoci le avventure vissute negli ultimi anni. Una coincidenza incredibile. Non sarà l’unica in questo viaggio destinato – più di ogni altro – a restare un’esperienza indelebile. Dopo un volo tranquillo sbarchiamo a Buenos Aires in perfetto orario. Sistemati i bagagli in albergo facciamo un rapido giro in Plaza de Mayo: è l’8 marzo e, come tradizione, è in programma una grande manifestazione. Il centro è bloccato, mentre i rivenditori ambulanti di alimenti prendono posizione ai
bordi della piazza. Noi siamo molto stanchi e al calar della sera andiamo a riposare. La capitale argentina è solo il punto di partenza di un tour che si preannuncia molto impegnativo… L’indomani ci imbarchiamo sul traghetto. Dopo un’ora di navigazione, sbarchiamo a Colonia del Sacramento, in Uruguay. La città sembra un luogo fantasma. Per strada non c’è nessuno a cui poter chiedere informazioni: sarà cosi per tutto il tempo e a tutte le ore del giorno. Vicino alla città vecchia troviamo una buona sistemazione. Oltre a essere una città tranquilla, Colonia offre anche luoghi di interesse: dall’acciottolata Calle de los Suspiros risalente al XVIII secolo all’ottocentesco faro: da qui la vista sulla città vecchia è davvero affascinante. Nei pressi scorgiamo le rovine del Convento di San Francisco, risalente al XVII secolo. A due passi visitiamo la Basilica del Sanctissimo Sacramento, costruita dai portoghesi nel 1808. La domenica mattina è allestito un mercatino dei prodotti tipici locali: la grande confusione stride con il silenzio della città vecchia. Decidiamo di andare a visitare il Real de San Carlos, un immenso complesso turistico degli inizi del XX secolo. Fatto costruire da un danaroso imprenditore argentino, comprendeva un’arena da 10.000 poSopra in apertura, Calle de los Suspirios a Colonia del Sacramento; di fianco, venditori ambulanti in pla-
za de Mayo a Buenos Aires.
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sti (l’intera area oggi è recintata perché pericolante), uno sferisterio da 3.000 posti, un hotel e un casinò. Solo l’ippodromo resta in funzione. È tempo di ripartire, destinazione Montevideo che raggiungiamo dopo tre ore di autobus. Nella capitale lo scenario è completamente diverso: moltissimo traffico e, al contrario di Colonia, un grande trambusto. Raggiungiamo un ufficio turistico per ritirare l’indispensabile mappa della città e per ricevere alcune dritte sui luoghi da visitare. La prima tappa è Plaza Independencia, dove campeggia una statua di 17 metri che ricorda l’eroe nazionale Josè Artigas. Nello stesso luogo sorge il Mausoleo de Artigas, una struttura sotterranea dove riposano le sue spoglie, vigilate da un picchetto d’onore. Nella stessa piazza si trova anche la Puerta de la Ciudadela, porta in pietra e unico resto della città coloniale demolita nel 1883. Ci rechiamo al Mercado del Puerto, un’imponente struttura in ferro al cui interno si trovano moltissime Parrillas, ristoranti che propongono abbondanti grigliate sprigionando nell’ambiente un profumo invitante. Da qui raggiungiamo Plaza Matriz, dove incontriamo uno tra i monumenti imperdibili di Montevideo, la meravigliosa Cattedrale Metropolitana detta anche Iglesia Matriz: uno degli edifici sacri più belli e importanti di tutto il Sudamerica, iniziata a costruire nel 1784 e terminata 15 anni più tardi. Per gli appassionati di calcio non può mancare una visita all’Estadio Centenario, lo stadio più grande di tutto il Paese e uno dei più famosi al mondo grazie alla sua storia, tanto da essere considerato uno dei pochi Monumenti Storici del Calcio Mondiale. È stato sede del primo vero Mondiale, nel 1930, vinto proprio dall’Uruguay, e di altre competizioni internazionali fino alla Coppa America del 1995, anch’essa vinta dall’Uruguay. Nonostante lo stato delle tribune ne evidenzi la vetustà, la Celeste – la Nazionale uruguaiana – disputa qui tutte le sue partite casalinghe. All’interno dello stadio visitiamo il Museo del Futbol, interamente dedicato alla storia del calcio e della Celeste, dove sono custoditi numerosi cimeli, tra cui le coppe del mondo vinte dalla nazionale uruguaiana nel 1930 e 1950. L’indomani, di buon mattino, acquistiamo i biglietti per Tacuarembò; a mezzogiorno partiamo: “La Patria Gaucha” ci aspetta. Nel lungo tragitto osserviamo solo mucche, pecore e cavalli liberi nell’immensità della prateria, dove lo sguardo si perde. Ogni tanto qualche albero e rari paesi. Solo prima di giungere a destinazione scorgiamo qualche bosco di eucalipti. Arriviamo proprio nel giorno in cui iniziano i festeggiamenti cittadini, con musica tutta la notte fino alle prime luci dell’alba: verrebbe da dire “è qui la fiesta”. Di primo mattino la gente già freme per l’evento più atteso: la grande sfilata di cavalli e cavalieri provenienti da tutto l’Uruguay. Per quasi tre ore in città si assiste a uno spettacolo unico, con l’invasione di 4.500 cavalli. È domenica, il giorno della Missa Criolla. Il luogo dove è prevista la celebrazione dista circa 3,5 chilometri dal centro. Nel frattempo inizia a piovere. Appena giunti sul posto chiediamo informazioni, ma sco-
L’Arena a Real de San Carlos
Mercado del Puerto a Montevideo
Iglesia Matriz, la Cattedrale di Montevideo Artigas, ametista di grandi dimensioni
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priamo che la Messa è stata spostata nella Cattedrale. Per cancellare la delusione decidiamo allora di assistere a qualche evoluzione sui cavalli nel grande campo di gara. Continua a piovere e diverse competizioni vengono sospese per il terreno troppo scivoloso. Decidiamo di rientrare, così assistiamo alla parte finale della messa. All’uscita incontro il Vescovo che l’ha celebrata. Parla molto bene l’italiano, svelando le proprie origini: suo nonno era partito da Trento agli inizi del 1900... Ma le sorprese non sono finite. A pranzo, in un Museo del Futbol all’Estadio Centenario locale del centro, incontriamo Daniel Lòpez Moroy, famoso giornalista e radiocronista di Radio Tacuarembò, inviato al seguito della Celeste ai Mondiali di calcio. La seguì anche durante Italia ’90, torneo in cui l’Uruguay disputò le proprie partite a Udine. Quando scopre da dove proveniamo, non solo ci racconta della sua esperienza in quei giorni, ma anche della sua amicizia con un uruguaiano che vive a Cividale. La tappa successiva del nostro tour è Artigas, famosa per l’ametista. Alla reception dell’hotel incontriamo un giovane che per molti anni è vissuto in Italia. Ci indirizza a un’attività artigianale dove possiamo acquistare qualche regalo per parenti e amici, e dove incontriamo due persone che si rendono disponibili a farci visitare una Cantera, miniera da cui si estrae proprio l’ametista. Un giro che dura cirClaudio Pizzin, a destra, con il giornalista Daniel ca 3 ore, ricco di emozioni. Visitiamo anche uno dei grandi laboratori artigianali del paese, dove ammiLopez Moroy riamo la lavorazione delle ametiste giganti. Lasciamo Artigas per raggiungere Salto, la seconda città dell’Uruguay, sorta vicino alle cascate dove il Rio Uruguay compie il Salto Grande. Famosa per le sorgenti termali, qui troviamo alloggio in un hotel del grande complesso termale del Daymàn, a circa 8 chilometri dal centro cittadino, privo di particolari attrattive. A Salto ci concediamo alcuni giorni di completo relax, crogiolandoci al sole in compagnia di ospiti argentini e uruguaiani. Effettuiamo anche un’escursione in bicicletta per visitare la Grotta di Padre Pio, situata a qualche chilometro dalle terme e costruita dalla proprietaria del campo in riconoscimento di una grazia ricevuta. Il tempo scorre veloce: è ora di rimettersi in marcia. Dopo diverse ore in autobus raggiungiaIglesia Candelaria a Punta del Este mo Punta del Este, nota località balneare con belPunta del Este, leoni marini al porto lissime spiagge ed eleganti palazzi costruiti fronte mare. Il tempo non è buono e il clima è particolarmente fresco, costringendoci a tenere un abbigliamento autunnale. Come tutti i turisti non ci sottraiamo al rito della foto alla Mano en la Arena (vedi box), per poi passeggiare nella parte sud della cittadina, raggiungendo prima la Chiesa della Candelaria, quindi il faro. È ora di pranzo. Ci fermiamo in un locale tipico e ordiniamo una pasta ai frutti di mare rigorosamente al dente. Il titolare ci chiede se veniamo dall’Italia, spiegandoci che solo gli italiani vogliono la pasta al dente, mentre i locali non la apprezzano. 20
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Tacuarembò, la grande sfilata di cavalli Ricomincia a piovere. Terminato il pasto ci avviamo verso il campo base, soffermandoci nella zona del porto dove alcuni leoni marini se ne stanno comodamente sdraiati per la gioia di grandi e piccini. Ci imbattiamo anche in un curioso mercatino artigianale. Si fa sera e la temperatura si abbassa ulteriormente, mentre ad alzarsi è un vento fastidioso. È già ora di ripartire per Colonia del Sacramento, dove ci attende l’imbarco per l’Argentina. Una volta arrivati a Buenos Aires ci dirigiamo verso l’hotel per un meritato riposo. Al mattino presto ci rechiamo alla Recoleta, il quartiere signorile della capitale, uno dei più “europei” della città, con i suoi eleganti parchi e palazzi. Visitiamo uno dei cimiteri più belli e popolari del mondo, situato accanto alla chiesta di Nostra Signora di Pilar, soffermandoci sulla tomba di Maria Eva Duarte de Perón. Si dice che il corpo di Evita fu trasportato in Europa e seppellito per qualche tempo a Milano, registrato sotto il falso nome di Maria Maggi de Magistris, per essere poi collocata definitivamente nel Cimitero de la Recoleta solo nel 1976. Nell’ufficio all’ingresso del cimitero chiediamo se qui è sepolto Guy Williams, pseudonimo di Armando Joseph Catalano, attore e modello statunitense conosciuto per aver interpretato il ruolo di Zorro nel telefilm americano della Disney negli anni cinquanta, morto proprio nel quartiere della Recoleta. Purtroppo la risposta è negativa… La giornata è ancora molto lunga. Prendiamo un autobus e ci dirigiamo verso il quartiere della Boca, l’originale strada di Caminito, una bellissima via dove, tra edifici colorati, si susseguono ristoranti, bar e postazioni di pittori. Ballerini di tango, invece, affascinano i visitatori con la magia dei loro passi. Anche qui uno stadio cattura i nostri sguardi: la casa del Boca Juniors, “La Bombonera”, inaugurato nel 1940. Il tempo scorre veloce e dobbiamo prepararci a rientrare. Abbiamo vissuto esperienze uniche ma, soprattutto, abbiamo incontrato persone speciali che ci hanno fatto sentire a casa. Claudio Pizzin
Salto, le terme del Daymàn
Buenos Aires, monumento della famiglia Duarte che ospita la tomba di Evita Peron
La mano nella sabbia Simbolo di Punta del Este è la “Mano en la Arena” un’opera raffigurante una mano che esce dalla sabbia nella Playa Brava. Costruita in cemento e ferro, è stata realizzata dal cileno Mario Irarrazabal, che con quest’opera ha vinto il concorso di “Arte Monumentale” nel 1982, che in seguito è diventata il simbolo di Punta del Este. Qui ogni anno arrivano migliaia di visitatori che si arrampicano e saltano giù dalle dita, facendosi fotografare. |
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Cronaca di un incontro speciale con l’ex presidente dell’Uruguay
Pepe Mujica, il presidente dei poveri: “Per comprendere i problemi della gente bisogna vivere in mezzo alla gente” Io e mia moglie Lucia sapevamo che quello in Uruguay non sarebbe stato un viaggio come gli altri. L’obiettivo non era semplicemente visitare il Paese, ma incontrare l’ex presidente Josè Alberto Mujica Cordano. Qualche giorno prima di partire avevamo visto il film Una notte di 12 anni che racconta le atrocità subite da Mujica e dai suoi compagni di lotta contro la dittatura in Uruguay dal 1973. Nelle settimane precedenti avevo scritto un po’ a tutti e grazie all’aiuto dell’Ambasciata italiana a Montevideo sono riuscito a stabilire un contatto con la segreteria di Mujica. Qui però arriva la prima delusione: mi rispondono che l’agenda del senatore è chiusa. Non ci lasciamo abbattere, anzi. Una volta raggiunta Montevideo ci facciamo indicare dove si trova la segreteria del MPP (Movimento di Partecipazione Popolare) uno dei tanti gruppi che costituiscono il Frente Amplio, la grande coalizione di cui fa parte Mujica, ed è lì che ci rechiamo. Incontrando un funzionario chiediamo del “presidente”, spiegando che siamo venuti dall’Italia con l’obiettivo di incontrarlo. Il funzionario, gentilissimo, ci fa una confidenza: «Oggi si trova in campagna elettorale a sostegno di una candidata alle presidenziali. Se domani mattina vi recate a casa sua probabilmente lo incontrate». Il primo tassello è stato messo al suo posto.
Visitiamo la sede del Frente e lo stesso funzionario ci mostra una vetrina dove sono raccolti tutti i regali ricevuti da Mujica quando era presidente. Prima di salutarci ci omaggia con alcuni manifesti elettorali del “Pepe”, come viene soprannominato. Dopo una notte carica di speranza, l’indomani di buon mattino prendiamo un taxi indicando al conducente il luogo dove siamo diretti. Il taxista non conosce il posto e si informa con la centrale. Il tempo non sembra esserci favorevole: piove a dirotto, quasi volesse farci desistere… Ma noi non molliamo. Dopo molti chilometri raggiungiamo una stradina che ci porta in mezzo al nulla. Continua a diluviare, ma sentiamo di essere vicini alla meta. Arriviamo all’esterno di un modulo edilizio e veniamo fermati da una persona che ci chiede dove stiamo andando. È armato. Il conducente – al quale avevamo spiegato tutto durante il tragitto – fa presente chi siamo e qual è il nostro desiderio. L’uomo risponde che il senatore non riceve. L’autista insiste, sottolinea che siamo venuti appositamente dall’Italia per poterlo incontrare. L’uomo armato ritorna all’interno del modulo ed esce poco dopo: «Lo potete incontrare solo per pochi minuti». L’emozione è grandissima, la nostra testardaggine ci ha premiati. Scendiamo dalla macchina ed
José Alberto Mujica Cordano, 84 anni il prossimo 20 maggio, nella sua carriera politica è stato anche presidente dell’Uruguay dal 2009 al 2014. Ha donato il 90% del suo stipendio a favore di organizzazioni non governative e a persone bisognose. Vive in una piccola fattoria a Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo. Anche durante il suo mandato aveva rinunciato a vivere nel palazzo presidenziale. In riferimento alla piccola quota di stipendio che tratteneva per sé (circa 800 euro) che lo fece soprannominare anche il “Presidente più povero del mondo”, Mujica dichiarò che tale quantità di denaro gli era sufficiente, alla luce del fatto che molti suoi connazionali devono vivere con meno.
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entriamo nel modulo. In un angolo, accovacciato su una vecchia sedia d’ufficio, un signore anziano ci osserva. È José “Pepe” Mujica. Indossa abiti da lavoro e stivali di gomma. Ci scruta con i suoi occhi sottili, ma profondi. Il locale e piccolo, con una poltrona centrale e diverse sedie accatastate, un armadietto appendiabiti, il boccione dell’acqua fresca in un angolo e una televisione accesa. Ci invita ad accomodarci. Prendiamo due sedie e iniziamo a parlare come vecchi amici che si incontrano. «Ho molte richieste di colloqui e per questo sono restio a incontrare persone», esordisce chiedendoci di non divulgare i video che Lucia sta registrando. Gli spiego che il resoconto del nostro colloquio verrà pubblicato su iMagazine: acconsente con un cenno del capo. Due ragazzi restano con noi nella stanza, fotografandoci. Ho poco tempo e gli racconto subito come l’ho conosciuto, attraverso internet in occasione di una serata dove si parlava di gioco d’azzardo e di come la gente spreca il proprio denaro e la propria vita a causa di questa piaga sociale. «Una pazzia», commenta chiedendomi cosa si stia facendo per contrastare questo fenomeno. «Poco e niente», gli rispondo, lamentando l’inerzia della nostra classe politica e facendolo sorridere quando imito un politico che alzandosi resta con la sedia incollata al fondoschiena. Con maestria Mujica si prepara una sigaretta e la accende. «Ricordati – sottolinea fissandomi negli occhi – che per comprendere i problemi della gente bisogna vivere in mezzo alla gente». Mi chiede della situazione politica in Europa e in Italia; parliamo della crisi economica e sociale che investe tutti i Paesi, ma anche del crescente fenomeno migratorio. «Le grandi migrazioni avvenute alla fine dell’800 e agli inizi del 900 verso il Sud America – mi ricorda – portarono in un solo anno 40 mila emigranti a sbarcare in Uruguay, 200 mila in Argentina e, negli anni ’40, 1 milione di spagnoli in Messico. Eravamo più poveri di adesso e la gente era diversa e alla ricerca di un lavoro, di qualsiasi lavoro. A
noi questa emigrazione ha fatto del bene. Chi è venuto in Uruguay ha portato nuovi mestieri e un nuovo modo di lavorare, nonché l’idea di organizzazione sindacale. A questo tipo di emigrazione dobbiamo molto; oggi qui ci sono moltissimi discendenti di Italiani, mia madre stessa era di Favale di Malvaro, nella Val Fontanabuona in provincia di Genova». La nostra conversazione torna in Europa: «Il “vecchio continente” – afferma – è sempre più vecchio, con una crescita costante della popolazione anziana». Prima di lasciarci un accenno al tema a lui caro, quello della povertà: «Oggi la ricchezza si sta concentrando in poche persone: ogni due giorni nasce un nuovo miliardario, stanno schiacciando la classe media fino a distruggerla. Ovviamente la ricchezza cresce con le Compagnie transnazionali e i grandi gruppi bancari. È un fenomeno gravissimo e assume rilevanza mondiale». Il tempo è tiranno. Prima delle foto di rito a ricordo dell’incontro, il presidente mi autografa un suo libro che avevo portato dall’Italia: Una pecora nera al potere. Contraccambiamo con una buona grappa friulana, molto gradita. Ci scambiamo un forte abbraccio, come vecchi amici. Qui sta la forza di quest’uomo: nella sua semplicità e umanità. Fuori continua a piovere, ma ci sentiamo fortunati per questo incontro indimenticabile. Intervista e immagini di Claudio Pizzin. Si ringrazia per la traduzione Claudia De Meza
Pagina accanto da sinistra: “Pepe” Mujica in tenuta In questa pagina, in alto, bacheca nella sede del Frenda lavoro durante l’intervista; a fianco, suo manifesto te Amplio con i doni ricevuti da Mujica durante la sua elettorale. presidenza; in basso Mujica tra Lucia e Claudio Pizzin. A lato la dedica firmata sul libro.
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PERSONAGGI
ELDA FELLUGA Intervista di Margherita Reguitti Immagini di Luigi Vitale
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La signora
del vino
Sulle colline di Rosazzo, dal 2014, regna il Vigne Museum dedicato a suo padre. Ora quel nome è stato assegnato anche a un’associazione culturale da lei presieduta: «Sarà un ponte per esportare nel mondo i valori di questo territorio».
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Elda Felluga, imprenditrice e promotrice di iniziative culturali, è una delle donne rappresentative del Friuli Venezia Giulia. Dinamica ed entusiasta tessitrice di relazioni, è l’emblema di una terra fortemente orgogliosa dei suoi valori ma contemporaneamente proiettata verso visioni e progetti di livello internazionale. Con lei parliamo di Vigne Museum, progetto artistico realizza-
to in spazi aperti sulle colline di Rosazzo dalla famiglia di Livio Felluga. Recentemente è nata con lo stesso nome un’associazione culturale da lei presieduta. Quali sono le motivazioni affettive, artistiche e estetiche di Vigne Museum? «Il 2014 è stato un anno importante per tutti noi, nostro padre Livio raggiungeva il bellissimo traguardo dei cent’anni. Un lungo percorso di vita iniziato a Isola d’Istria il 1° settembre del 1914 e proseguito tra gli avvenimenti della storia del Novecento. Assieme a mia madre Bruna e ai mie fratelli Maurizio, Andrea e Filippo, desideravamo regalare a papà un segno tangibile che potesse durare nel tempo e integrarsi armonicamente sulle sue colline e nelle sue vigne. Un’istallazione “aerea”, aperta e visibile senza essere invadente e aggressiva con il paesaggio circostante». L’omonima associazione Vigne Museum quali finalità ha? «L’associazione culturale non persegue fini di lucro e si ispira ai principi del Vigne Museum. Si propone di promuovere, sviluppate e perseguire finalità inerenti al campo artistico, letterario, musicale attraverso attività legate allo sviluppo consapevole della società, dell’ambiente e della natura. Ogni anno viene organizzato un proDi fianco, primo piano di Elda Felluga. In apertura, il Vigne Museum, sui colli di Rosazzo; pagina accanto in basso a sinistra, Elda Felluga assieme a Paolo Maurensig e Margherita Reguitti dopo uno degli incontri letterari in Abbazia di Rosazzo; a destra la musicista Sylva Hallet e un particolare della coreografia.
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gramma di incontri, conferenze, progetti di formazione, supportato da una rete di università e musei internazionali che ne condividono le motivazioni. Per questo l’associazione è un braccio operativo e una casa per le tante idee che diventano progetti aperti ai giovani, agli artisti, agli intellettuali e a tutte le persone interessate ad approfondire i temi proposti della contemporaneità». Quali sono gli artefici della realizzazione di Vigne Museum? «L’architetto Yona Friedman insieme all’artista Jean-Baptiste Decavèle sono stati interpreti perfetti. La collina è il luogo ideale che lo stesso Friedman cercava da tempo per collocare la sua opera architettonica. Fondamentale è stata la collaborazione con D/A/C (Denominazione artistica condivisa) nelle figure di Mario Pieroni, Dora Stiefelmeier e di mia nipote Giovanna Felluga, che da anni si occupa di progetti d’arte contemporanea e insieme a me è parte attiva dei progetti culturali di Vigne Museum». Perché è stata scelta una collina nei pressi dell’Abbazia di Rosazzo? «Le colline di Rosazzo sono il luogo da dove mio padre alla fine degli anni Cinquanta decise di intraprendere il suo viaggio, convinto che per fare vino di qualità bisognava partire dalla terra e dal vigneto. Assieme ai miei fratelli abbiamo da subito individuato il cucuzzolo di una piccola collina particolarmente amata da papà, il luogo giusto dove realizzare Vigne Museum. Una piccola altura circondata dai nostri vigneti, tutto intorno un paesaggio di rara bellezza con lo sguardo rivolto al complesso dell’Abbazia di Rosazzo, edificata attorno all’anno Mille, alle dolci colline circostanti e alle Prealpi Giulie e Carniche». Quale il programma di attività sin qui proposto? «Dal 2014 a oggi si sono alternate performance di musicisti e artisti come la compositrice e violinista britannica Sylva Hallet, la ballerina/coreografa Andrea Hackl accompagnata dal batterista compositore Robbert van Hulzen, il musicista Michele Rabbia insieme a U.T. Gandhi e Martin Brandlmayr nell’esibizione di Drum-Machine. Si sono svolti importanti convegni che hanno avuto come tema il paesaggio, la tutela dell’ambiente, l’interazione dell’uomo e della natura nella continua ricerca di equilibrio, l’interdi-
sciplinarietà tra il mondo dell’arte, della cultura, della scienza e della ricerca. Tanti gli ospiti dei vari convegni: dal neurobiologo Stefano Mancuso all’artista Jean-Baptiste Decavèle, dal filosofo della scienza Stefano Moriggi ad Andrea Maroè, tree climber e presidente della Giant Trees Foundation, da Adriana Polveroni e Maurizio Bortolotti, critici e curatrori d’arte contemporanea, al geografo Mauro Pascolini». Quale sarà il tema dell’edizione 2019? «Il prossimo convegno si svolgerà sabato 15 giugno, come nelle passate edizioni nell’antica Abbazia di Rosazzo, e sarà realizzato in collaborazione con l’associazione culturale RAVE East Village Artist Residency. Le due associazioni uniranno artisti, filosofi, scienziati in un viaggio nella cultura e nella scienza che da Leonardo ci porterà ad analizzare il futuro del nostro ecosistema. A luglio invece si svolgerà l’im-
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Suggestiva panoramica del vigneto a Rosazzo. In alto il Vigne Museum di Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle
mancabile appuntamento di spettacolo al Vigne Museum con una performance di musica contemporanea, all’aperto e sotto le stelle, all’interno dell’opera». Cosa lega il pensiero di Yona Friedman, autore di Utopie realizzabili, al pensiero divenuto realtà del patriarca dell’enologia friulana Livio Felluga? «Nostro padre ebbe il coraggio di andare contro corrente. Alla fine degli anni ’50, infatti, le colline si svuotavano di quei contenuti rurali che avevano fino ad allora sostenuto il mondo contadino a favore delle industrie e delle prime urbanizzazioni. Voleva far risorgere la collina e c’è riuscito grazie al suo amore per la terra, alla sua determinazione e passione, alla sua capacità di guardare lontano senza condizionamenti. Quest’opera architettonica doveva racchiudere tutto questo. Forza, trasparenza, visione, circolarità di spazio e di idee, un luogo dove le persone possono incontrarsi in mezzo ai vigneti e confrontarsi con uno sguardo sempre rivolto al futuro, dove uomo e natura sono imprescindibili». Vigne Museum è in continua evoluzione legata allo sviluppo della natura… «Nell’opera, realizzata con duecento cerchi saldati assieme, sono state messe a dimora 100 barbatelle che stanno crescendo e andranno a trasformare l’architettura stessa per ricordare che tutto è in movimento e che dobbiamo saper cogliere i momenti di cambiamento come un’opportunità». Lei è impegnata in varie istituzioni pubbliche e private. La sua è un’esperienza professionale di donna d’azienda ma anche testimone e progettatrice di cultura sul territorio e per il territorio.
«In famiglia e in azienda abbiamo sempre avuto dei valori saldi che hanno guidato le scelte più importanti. La cultura, la conoscenza, il rispetto della terra e l’essere testimoni attivi delle proprie radici sono certamente i pilastri sui quali costruire. Economia, cultura e ricerca, ieri come oggi e domani, sono fondamentali e fondanti. L’orgoglio e la passione, sono il modo migliore per fare della cultura e del rispetto per la terra gli elementi di valore aggiunto alla competenza e all’esperienza. L’associazione Vigne Musem sarà un ponte d’arte e ricerca per esportare nel mondo i valori di questo territorio, piccolo per dimensioni geografiche ma grande per ricchezza di storia e talenti di uomini e donne». Margherita Reguitti
Elda Felluga imprenditrice, assieme ai fratelli Maurizio, Andrea e Filippo, gestisce l’azienda fondata dal padre Livio. Presidente della neocostituita associazione culturale Vigne Museum, molti i suoi incarichi in istituzioni pubbliche e private. Tra l’altro promotrice della rassegna di autori “I Colloqui dell’Abbazia. Il viaggio della carta geografica di Livio Felluga”, presidente del Movimento Turismo del Vino Friuli Venezia Giulia e del Consorzio Turistico Gorizia e l’Isontino, nel 2017 è stata eletta Donna del Vino dalla guida del Corriere della Sera. Info: www.vignemuseum.com |
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A F F E C T I O CO N I U G A L I S
D I R I T T O
Mi ha tradito! Sì, però…
Rubrica a cura di Massimiliano Sinacori
Matrimoni e mantenimenti: separazione senza addebito se il tradimento è successivo alla crisi del rapporto.
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Il diritto di famiglia è sempre materia complessa da trattare perché si inserisce, giocoforza, negli aspetti più intimi di una coppia, toccando corde tra le più delicate: dal tradimento all’affido dei figli, dagli assegni di mantenimento all’assegnazione della casa coniugale. Fallita l’esperienza della vita in comune tutto, dal patrimonio agli affetti, dai torti ai rancori, diventa occasione di litigio. L’articolo 143, comma secondo, codice civile dispone che “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”. Questa comunione materiale e spirituale che deve esistere tra i coniugi viene chiamata affectio coniugalis, che, insieme alla coabitazione, costituisce l’essenza del matrimonio. Possiamo quindi dire che questa norma individua i pilastri su cui si fonda la famiglia, e di conseguenza il venir meno di anche uno solo di questi elementi conduce, quasi inevitabilmente, alla conclusione del rapporto. |
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Il divorzio (anche se per correttezza si dovrebbe sempre distinguere tra scioglimento del matrimonio e cessazione dei suoi effetti civili) segue alla separazione personale dei coniugi ed è in questa fase che inizia il momento difficile teso alla regolazione dei rapporti economici. È chiaro che in caso di separazione consensuale non ci sono molti problemi: i coniugi, tra loro, trovano un accordo che viene poi, una volta esperito il tentativo di conciliazione e tenuto conto dell’interesse dei figli, omologato dal tribunale. Questo avviene generalmente nei casi in cui alla fine della vita in comune si giunge senza rancori reciproci o, perlomeno, quando questi non impediscono di mantenere uno spirito conciliativo. Diversa è l’ipotesi della separazione giudiziale, quella cioè in cui i coniugi non riescono a trovare un accordo tra di loro. In questo caso la separazione è pronunciata dal giudice che cerca di comporre le diverse volontà. In questo contesto dispiega la sua efficacia l’art. 151, comma secondo, cod. civ. il quale stabilisce che “il giudice, pronun-
ziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”. In poche parole, il giudice cerca di capire se i comportamenti di un coniuge in particolare hanno portato alla separazione. Perché questo è importante? Perché la legge, e più precisamente l’art. 156 cod. civ., prevede che “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. Dunque capire se la separazione è addebitabile all’uno o all’altro coniuge è fondamentale perché ad esempio ci permette di stabilire se sussista o meno il diritto a percepire, oltre agli alimenti, un assegno di mantenimento. È chiaro che la violazione del dovere di fedeltà costituisce motivo di addebito per la separazione, tuttavia la giurisprudenza sta adottando atteggiamenti sempre più elastici nell’imputazione dell’addebito, valutando, caso per caso, il peso di comportamenti contrari ai doveri che il matrimonio impone. Così, ad esempio, già nel 2013 la Corte di cassazione con ordinanza n. 16285, aveva stabilito che l’abbandono della casa coniugale non fosse rilevante ai fini dell’addebito perché era già venuta meno l’affectio coniugalis. A proposito di violazione del dovere di fedeltà invece, più recentemente, la Corte di cassazione ha affermato che “la persistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto rende irrilevante la successiva inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale ai fini della dichiarazione di addebito della separazione” (Cassazione Civile n. 1715 del 23.1.2019). Questa decisione, che peraltro conferma un orientamento che si stava consolidando, riveste particolare importanza perché tratta della fedeltà, in qualche modo riducendone l’importanza, in un momento storico dove le possibilità di tradire sono sempre più amplificate. Quello che la Cassazione vuole dire è che il tradimento assume un peso diverso a seconda che avvenga in un contesto di serenità della vita coniugale oppure in un momento
dove la crisi del rapporto è irrimediabilmente in essere. Dove, nei fatti, i pilastri del matrimonio si sono già sgretolati. Dobbiamo però porci una domanda: quando può dirsi essere venuto meno l’affectio coniugalis? Sembra strano ma la risposta è tutt’altro che semplice. Ad esempio, il tradimento che segue a una crisi temporanea della coppia è irrilevante ai fini dell’addebito all’atto della separazione o la causa di questa? Che dimensione deve avere la crisi per rendere irrilevanti, ai fini dell’addebito, eventuali successive relazioni extraconiugali? Tutte domande cui è difficile, se non impossibile, dare una risposta in generale ma che necessitano di un’attenta analisi caso per caso. Da questa pronuncia della Corte, ragionevole sotto molti punti di vista, deriva però un ulteriore motivo di scontro tra le parti, volto alla ricerca dell’esatta individuazione del momento in cui l’affectio coniugalis sia venuta meno e di come il tradimento si ponga in relazione ad esso. Testimonianze di amici e confidenti, messaggi di Whatsapp e commenti su Facebook: tutto confluirà nel processo e sarà filtrato dalle norme della procedura civile, rendendo molto difficile, per coloro che non hanno una buona esperienza di contenzioso matrimoniale, azzardare giudizi prognostici sul possibile risultato.
Massimiliano Sinacori Per approfondimenti ed esame di alcune pronunce e della casistica in materia è possibile rivolgere domande od ottenere chiarimenti via e-mail all’indirizzo: massimiliano@avvocatosinacori.com
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SCUOLA IN CRISI
Così non ce la caviamo
S O C I E T À
Insegnanti che restano incinte dei propri studenti, allievi che rischiano la vita durante le gite scolastiche, un costante livellamento verso il basso di conoscenze e competenze: se il sistema scolastico rappresenta la cartina di tornasole del futuro della nostra società, il destino appare segnato. Nel 1990 Io speriamo che me la cavo, il libro scritto dal maestro di scuola elementare Marcello D’Orta, selezionando i temi dei propri allievi, riscosse in Italia un successo inaspettato, bissato due anni più tardi dall’omonimo film interpretato da Paolo Villaggio nei panni del maestro Marco Tullio Sperelli. A trent’anni di distanza, quel titolo appare il viatico più adatto per avviare il nostro ragionamento sullo stato di salute della scuola italiana e, conseguentemente, sull’educazione e formazione dei nostri giovani.
Rubrica a cura di Andrea Fiore
La resa dei conti
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Negli anni inoltre abbiamo assistito a un graduale e costante deprezzamento della scuola pubblica, la cui qualità si è progressivamente ridotta, portandola sempre più spesso ad assomigliare a un prosciuttificio dal quale tutti i pezzi (in questo caso gli studenti) devono uscire uguali.
Una testa, un mondo
Scientificamente è provato che il livello intellettivo di ogni persona è diverso. Questo aspetto è stato invece trascurato dalla scuola italiana, che ha favorito un livellamento verso il basso in nome del “6 politico”, eredità sessantottina i cui effetti vengono scontati ancora oggi. Una visione che nel tempo ha eliminato le eccellenze: le poche rimaste sono così per lo più espressione di talenti naturali invece che intelligenze valorizzate e stimolate. Il problema, poi, è che le poche eccellenze non riescono a riconoscersi in questo tipo di società, preferendo l’autoesclusione o la fuga verso altre società. Se non si prende atto di ciò, la scuola italiana continuerà a sfornare giovani – e quindi futuri cittadini – dalla bassa cultura e dalla bassa capacità di analisi, facilmente utilizzabili come massa ma non certo in grado di risollevare il Sistema Paese.
La scuola sta vivendo una vera e propria crisi di sistema, facendo emergere tutti i suoi limiti. Una crisi provocata da una serie concomitante di fattori: dalla carenza di personale dovuta al mancato adeguato rimpiazzo dei prepensionamenti fino al crollo del ruolo sociale della figura del docente nell’immaginario collettivo, passando per la crisi delle famiglie. Se un tempo la figura dell’insegnante era infatti unanimemente rispettata, in molti casi oggi viene dileggiata, spesso proprio dai genitori degli studenti, con inevitabili effetti a catena sulla con- Meritocrazia, questa sconosciuta siderazione che i figli potranno poi avere di Per poter invertire la tendenza, sarebbe nemaestri e professori. cessario riportare il merito al primo posto. Il pro|
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blema è che in Italia questo ragionamento andrebbe fatto per tutti i settori… Nel contesto attuale invece appare sempre più una strada senza uscita. Mai come ora, infatti, per cambiare le cose servirebbe una politica illuminata, capace di fornire delle coordinate obbligatorie per rilanciare la scuola e l’istruzione. Ma anche per ridare dignità ai professori, sempre più in balia di leggi e regolamenti che possono minare la loro autorità: non può essere normale che un docente rischi di finire a processo se boccia uno studente ignorante, mentre uno studente se la cavi con una semplice sospensione se picchia un docente. Perché di fronte a questo scenario, abbiamo già perso. E le conseguenze catastrofiche non sgretoleranno solo il mondo della scuola, ma anche la nostra società. Un allarme rosso ormai visibile a tutti: dal mondo istituzionale a quello scolastico, sono sempre di più le persone che invocano una grande riforma della scuola, in grado di ridare dignità all’intero sistema, valorizzando insegnanti e studenti meritevoli, ricreando ambienti sicuri e attrezzati, tutelando il merito e l’eccellenza. In caso contrario, a differenza dei giovani allievi protagonisti del libro di D’Orta, non avremo alcuna possibilità di cavarcela.
dott. Andrea Fiore
Medico delle Farmaco-Tossicodipendenze, psichiatra andrea.fiore@imagazine.it
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PERSONAGGI
ANDREA NAGELE Intervista di Claudio Pizzin
Grado
sotto la pioggia
Dopo il successo del primo romanzo, a maggio esce in Italia il secondo lavoro della scrittrice austriaca. Nuovo capitolo della saga psicothriller ambientata nell’Isola del Sole. E che in Germania è già diventata un caso editoriale.
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Andrea Nagele e la scrittura: una passione nata quando? «L’amore per la scrittura è nato molto presto, solo che a causa del mio lavoro non ho potuto seguirlo. Inoltre, a parte il lavoro, sono anche madre di tre figli». L’amore per la psicologia, invece, quando è sbocciato? «Anche questo amore è nato molto presto perché ho sempre preferito i thriller psicologici ad
altri. Dopo gli studi di fi losofia e pedagogia ho iniziato gli studi di psicologia, concludendoli con la laurea. In più ho svolto gli studi di psicoterapia. In tutti questi campi ho insegnato presso diverse università». Nei suoi romanzi è riuscita a unire entrambe le passioni: la sua esperienza di psicoterapeuta quanto influisce nella scelta delle storie e nella loro stesura? «Naturalmente il mio lavoro quotidiano di psicoterapeuta è la base per la comprensione degli abissi della psiche umana. Ma sicuramente si può invertire la risposta e dire che il mio interesse per la psiche umana ha determinato la mia scelta professionale». Lei afferma: “I miei romanzi sono psicothriller, mi interessa quella zona grigia che si nasconde dietro la quotidianità”. Cosa intende per “zona grigia”? «L’esistenza di un mondo limbo, dove non esiste solo bianco e nero, pro e contro, ma esiste anche sia e sia. Il grigio lo posso riversare anche sul tempo, non solo in modo filosofico: mi piace quando sussiste un’atmosfera tetra, scura, piena di tensioni». Ogni romanzo ha un legame viscerale con i luoghi in cui è ambientato: nel suo caso Grado. Cosa rappresenta per lei l’Isola del Sole? «Più che il sole e la promozione turistica del luogo, sono interessata alla storia antica della città. Grado è infatti la vera madre di Venezia. E poi ci In apertura, un’immagine di Grado sotto la pioggia (ph. Iris Hofmeister); di fianco Andrea Nagele con il suo libro Grado sotto la pioggia (ph. Barbara Essl); pagina accanto Andrea Nagele sullo swing di casa sua (ph. Dieter Arbeiter).
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sono naturalmente anche i dintorni affascinanti, come il mistico fiume Timavo che riappare dopo di un percorso di 40 km sotto al Carso. Un contesto speciale». Grado sotto la pioggia è il primo libro di una serie che ha per protagonista il commissario Maddalena Degrassi. Quanto c’è degli abitanti reali di Grado tra i personaggi del romanzo? «Certamente in loro si trovano tracce di caratteri di persone che ho conosciuto a Grado. Qualche gradese potrà probabilmente riconoscere alcune personalità cittadine, che comunque non descrivo mai in modo negativo». Quanto c’è invece di Andrea Nagele nella protagonista principale del libro? «In realtà non molto. La Degrassi è alta 1 metro e 78 centimetri, ha lunghi capelli ondulati, le piace andare in moto e ha una vita amorosa molto leggera. Quello che però ci lega è la curiosità e l’amore per la vita». Quali sono i luoghi di Grado che lei ama maggiormente? «Mandracchio, con tutti i suoi pescherecci ancorati lungo il canale. Il bar Brioni, dove ho già scritto spesso in mezzo alla vita vibrante e qui ho avuto anche molti colloqui interessanti. Il piccolo molo alla fi ne della spiaggia vecchia, dove si incontrano il mare aperto e la laguna. Ma a seconda dell’atmosfera e della situazione si cristallizzano sempre nuovi posti interessanti, come per esempio i mosaici della Basilica di Santa Eufemia che simbolizzano le onde del mare». Nei paesi di lingua tedesca è stato ora pubblicato il quarto libro della serie adriatica, romanzi ambientati tutti a Grado, e dei quali i primi tre sono arrivati a più di tre edizioni. A suo avviso qual è il segreto di questo successo? «Penso che il loro successo sia dovuto al fatto che non si tratta solo di un caso criminale: la dinamica psicologica fra le figure e le situazioni romantiche che si mischiano con l’ambiente e l’atmosfera di questa bella città fanno la differenza. Probabilmente influisce anche il fatto che sono una scrittrice “esotica”, in quanto come austriaca i miei libri vengono pubblicati dalla casa editrice Emons in Germania, mentre in italiano vengono tradotti dalla Emos libri & audiolibri». Lei divide la sua vita tra Klagenfurt, in Austria, dove esercita la professione di psicoterapeuta, e Grado: quali sono le principali differenze tra le due realtà? «Di sicuro le principali differenze non sono solo di carattere geografico, tipo nord-sud, maremonti, caldo-freddo… Ci sono differenze sostanziali anche di carattere culturale, come ad esempio la lingua, la mentalità, la cucina… Tuttavia, nonostante le differenze siano spesso visibili, non credo che fra di noi siamo poi molto diversi». A proposito, i suoi testi li scrive a Klagenfurt o a Grado?
«Scrivo sulla mia piccola terrazza a Grado, che si affaccia sul canale; ma anche a Klagenfurt, sul lago Wörthersee». Grado sotto la pioggia è il primo volume di una serie che si svolge sul nostro territorio. Quando potremo leggere i prossimi? «Sono ormai già quattro i romanzi che si svolgono a Grado. Il secondo tradotto in italiano si intitola Grado nell’ombra e verrà presentato il 9 maggio al Salone del Libro di Torino». Un successo destinato a proseguire. «Dico solo che attualmente sto scrivendo il quinto libro della serie...» Claudio Pizzin
La trama È giugno a Grado, ma il cielo plumbeo che incombe lascia lontana quell’atmosfera leggera che una cittadina di mare dovrebbe avere d’estate. Fanziska, una separazione dolorosa alle spalle, guarda verso il mare. Sotto una pioggia instancabile, nuota una ragazza dai lunghi capelli argentati: sembra una sirena. Anche Angiolina Maria la osserva dal suo terrazzo, e quando la vede scomparire tra le onde avverte la polizia. Ma nessuno crede a una donna anziana che passa il tempo a dar battaglia a demoni e fantasmi. A Grado, nel frattempo, è appena arrivata Maddalena Degrassi, il nuovo commissario, un amore perduto oltreconfine e un superiore che non vede di buon occhio una donna a capo delle indagini. Quando saranno ritrovati in mare due cadaveri, non avrà solo un caso da risolvere, ma anche un passato da scoprire. |
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(as) s a g g i Guido Lombardi Il ladro di giorni Feltrinelli, 2019 Pagg. 288 € 16,00 Salvo, undici anni, barese, campione di tuffi con la paura di tuffarsi, ha già capito alcune cose su come gira il mondo. La prima è che gli adulti cercano sempre di fregarti. Se ti fai male, ti dicono “tranquillo, non ti sei fatto niente”, poi però devi fare l’antitetanica e brucia da morire. Oppure fingono di sapere tutto, ma quando fai domande che li mettono in difficoltà, promettono di risponderti quando sarai più grande, solo Marion Poschmann Le isole dei pini Bompiani, 2019 Pagg. 224 € 14,00 Gilbert Silvester è stato tradito: in sogno da sua moglie e nella realtà da un mondo accademico che lo ha relegato a studiare l’influenza delle rappresentazioni della barba nel cinema. Daniele Benvenuti CANTATTORI - Dal set al microfono con dignitoso furore Arcana Edizioni, 2019 Pagg. 320 € 19,50 Un approfondito ‘viaggio a tappe’ tra le stelle del cinema, della televisione e anche del teatro che si sono ritagliate, tra badilate di colleghi talvolta insulsi ma esaltati da astute e costose campagne Lucia Marotta La principessa Luce / Lo gnomo Felicino Animass Onlus, 2013 Pagg. 106 Per acquisto: www.animass.org/sjorgen La fiaba come speranza. Nel sottotitolo è racchiuso il significato di questo libro, che racchiude due fiabe illustrate. L’autrice è la presidente di A.N.I.Ma.S.S. Onlus, associazione che si batte per il diritto alla salute delle persone affette dalla
che gli anni passano e tu sei sempre troppo piccolo. Come con suo padre, Vincenzo. Salvo non lo vede da sei anni, da quando cioè lo hanno portato via, in una scuola speciale dove ci sono un sacco di cose da imparare, per questo non si può tornare a casa la sera. Un’altra bugia degli adulti, che sussurrano tra loro parole come “reato” e “processo” ma non vogliono dirgli la verità. Ora Vincenzo è uscito di prigione, ha raggiunto il figlio dagli zii in Trentino e vuole che l’accompagni fino a Bari, dove ha una missione da compiere. Quattro giorni: un tempo enorme per Salvo, che non vuole partire su quella vecchia auto scassata con quell’uomo pieno di strani tatuaggi che fa cose di nascosto, come se avesse un segreto. Sogno o realtà non importa: Gilbert decide di averne abbastanza e si imbarca sul primo volo intercontinentale disponibile. Destinazione Tokyo. Dall’altra parte del mondo, con l’improbabile compagnia di un aspirante suicida e il poeta Basho come guida, l’uomo inizia un viaggio in un paese lontanissimo da tutto ciò che conosce, un viaggio che gli restituirà non solo la bellezza dei paesaggi ma anche lo splendore dell’esistenza nella sua forma più essenziale. commerciali, ‘anche’ una credibile e sincera ‘carriera parallela’ tra sala d’incisione e palcoscenico. Dai trionfi del Rat Pack alla dedizione pianistica di Hugh Laurie e alla carica selvaggia di Juliette Lewis; dai lodati tour di registi come Woody Allen, Emir Kusturica e John Carpenter fino a insospettabili virtuosi come il pluripremiato Steve Martin o il talentuoso della sei corde Billy Bob Thornton; da Judy Garland e Jayne Mansfield fino a Ilona Staller, Whoopy Goldberg o Scarlett Johansson. Solo per fare qualche nome. Sindrome di Sjörgen. L’obiettivo di questa piccola raccolta è di riuscire a trasmettere anche ai più piccoli il concetto di malattia rara e, soprattutto, quello di solidarietà. Le storie della Principessa Luce e dello Gnomo Felicino raccontano come all’improvviso l’arrivo della malattia “rara, sconosciuta e misteriosa” (anche se per opera di Strega e di Mago) riesce a sconvolgere, travolgere e cambiare la vita di relazione. Niente è più come prima, ma non bisogna mai scoraggiarsi: con l’aiuto degli altri e, soprattutto, della solidarietà le cose possono migliorare, anzi cambiare.
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ALLA SCOPERTA DI...
ANNA BOMBIG Servizio di Vanni Feresin Immagini Collezione privata Renzo Crobe
La poetessa del Friuli L’Osservatorio astronomico di Farra le intitolò anche un asteroide. A luglio avrebbe compiuto cento anni: una vita spesa tra scuola, musica e scrittura. E ora i suoi testi, numerosi e perfettamente custoditi, sono un’eredità preziosa per tutto il Goriziano.
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Anna Bombig nacque il 4 luglio del 1919 a Firenze da genitori friulani, profughi durante la Prima guerra mondiale, e abitò a Farra d’Isonzo, in via Verdi 18, fino alla sua scomparsa avvenuta il 20 maggio 2013. Insegnò nelle scuole elementari del Goriziano (anche nel territorio oggi situato in Slovenia) dal 1938 al 1978 occupandosi anche di educare i fanciulli alla musica, in modo volontario e a tutte le classi, ritenendo che questa arte fosse parte fondamentale dell’esistenza umana. Grazie a questa sua attività poté partecipare a numerosi concorsi corali e scolastici nelle province di Gorizia e Udine. Ma Anna Bombig fu soprattutto una poetessa e scrittrice e, come si legge in diverse sue biografie “solo con il terremoto in Friuli del 1976 ha scoperto la sua vera identità friulana. Da allora ha iniziato a scrivere poesie e prose nella madrelingua”. Come ricorda Celso Macor, nell’introduzione al volume di poesie Aga di riûl del 1992, le parole della maestra sono “sentimenti che hanno la forza inarginabile dei fiumi, frammenti di un dialogo che si tormenta d’amore, e nell’amore si scompone e si ricompone, paesaggi avvampati nel magnificat della natura, nella gioia del suo trasmutarsi di meraviglia in meraviglia si alternano e si incrociano continuamente nell’intreccio fitto del colloquio di Anna Bombig con Dio e con gli uomini”. Anna Bombig è stata infatti una portentosa scrittrice di testimonianze di vita, di memorie della sua terra, di saggi storici ma soprattutto di composizio36
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ni in versi: i testi delle sue liriche sono stati fonte di ispirazione per tanti musicisti come Cecilia Seghizzi, don Narciso Miniussi, don Stanko Jericijjo e Giovanni Mazzolini. Le sue poesie riflettevano lo spirito e la vita della popolazione e anche su questo aspetto Macor coglie alcuni spunti di riflessione sulla liricità dei versi della maestra, che hanno radici molto profonde nel territorio e nella società: “C’è un altro valore ancora nelle poesie e nelle prose di Anna Bombig. Ed è il linguaggio. Che non è solo il friulano, ma è la parlata materna, un sonziaco che si contorna meglio tra i confini di Farra”. Ma Anna Bombig è stata soprattutto “la maestra”, questo titolo la inorgogliva, e Macor ne dà una lettura molto attenta e personale: “La maestra è un’altra delle figure che fanno da tornante dell’itinerario poetico di Anna Bombig. È stata la pagina della vita ed è stata anche questa una pagina d’amore. Ricambiato del resto, specialmente da chi ha più di cinquant’anni e ha vissuto un tempo in cui quella donna dolce e affettuosa ti era ogni giorno accanto, a guidarti la mano nella prima scrittura,a insegnarti a cantare, ad accenderti nel cuore le prime risposte al mondo”. Fu un’insegnante ed educatrice di intere generazioni di alunni che hanno visto in lei l’esempio di una persona tutta d’un pezzo, nella sua dirittura morale e forte della sua cultura permeata di alti valori e di profonda condivisione di fede. Anche il canto è stato al centro dei suoi In alto una foto di Anna Bombig. Pagina accanto “Ana di Fara” assieme a monsignor Ruggero Dipiazza.
insegnamenti e della sua lunga vita, come si legge spesso nelle sue biografie notiamo che è stata la maestra del Coro femminile parrocchiale di Farra per numerosi lustri e che ha partecipato a diversi concorsi con le scuole elementari. Un ricordo di questa sua passione viene dato dal direttore del settimanale diocesano Voce Isontina Mauro Ungaro, che nell’articolo di commiato la ricorda proprio per la sua voce: “per capire Anna Bombig bisognava sentirla cantare. Pareva impossibile che da quella figura così minuta, apparentemente fragile, potessero uscire note di tonalità così intensa. Per questo si rimaneva colpiti quando, fosse in una celebrazione liturgica o in un momento conviviale di allegria, intonava i canti della tradizione religiosa o di quella popolare, trascinando le altre voci in cori che sapevano raccontare l’anima e la tradizione di un popolo”. Il suo nome è presente anche fra le stelle, infatti un asteroide, scoperto nel 1997 dall’Osservatorio di Farra, porta proprio il nome di quella dolce figura che fu “Ana di Fara”, come spesso si trova firmato in calce agli scritti. La maestra ha raccontato la storia di un popolo e di un territorio e ha custodito questi scritti con attenzione e come Celso Macor affermava: “Sarà, per chi leggerà questi versi tra cinquanta, cent’anni, un ritorno alle radici perdute, un bagliore di passato che darà
Un pensiero di riconoscenza Ho avuto la fortuna di conoscere la maestra Anna Bombig negli ultimi dieci anni della sua lunga esistenza e ne sento ancora la voce cristallina raccontarmi delle sue ricerche e della sua analisi storica fatta partendo dal territorio, dalle testimonianze orali dei più anziani del paese natio. Era bello sentirla declamare i versi, leggere le prose, ascoltare i racconti della sua giovinezza di quando iniziò la carriera scolastica in un paese sperduto vicino a Kanal. E ancora più emozionante è stato poter dedicarmi al riordino del suo archivio personale a partire dal 2014, grazie all’interessamento della nipote Elena Bombig che ha così voluto salvare quel patrimonio di testimonianze che assume oggi un valore inestimabile. Rendere nuovamente fruibile un archivio è sempre un’impresa avvincente, delicata e impegnativa ma di grande soddisfazione per l’archivista ordinatore. Mettere mano però a un archivio personale è un’operazione che richiede ancora una maggiore attenzione e comporta una grande responsabilità, soprattutto se la persona in questione era un’amica. Tutti coloro i quali hanno avuto la fortuna di conoscere la maestra Ana di Fara sono rimasti colpiti dalla sua voglia di vivere. Non mancava mai a nessun appuntamento importante e aveva sempre un pensiero gentile, uno scritto da leggere, un sorriso da offrire. Chi poi ha potuto vedere il suo studio è rimasto colpito dal volume di carte prodotte in tanti decenni di svariate collaborazioni (oltre due metri lineari di carte manoscritte). Il pavimento in legno, le due credenze ottocentesche, l’armadio delle carte di famiglia, la biblioteca e il tavolo di lavoro al centro della stanza, ordinato ma anch’esso impegnato a sopportare il peso delle fatiche lettera-
una luce diversa ad una gente sconfitta dal grigiore dell’omologazione. Forse. E forse no. Forse nella nuova era resisterà ancora l’anima friulana, resterà qualche frammento, qualche vago suono della lingua. Ed anche queste pagine di Anna Bombig, chissà, potranno essere una piccola polla perché il fiume sopravviva”. Con questo pensiero “rubato” al mai dimenticato Celso Macor, anche noi ci auguriamo che queste liriche e prose, in un friulano musicale e garbato, siano una cara e preziosa eredità per il Goriziano. Vanni Feresin rie, erano il contesto nel quale la maestra Anna aveva passato gran parte della sua esistenza. Tutte le sue carte sono ancora oggi incredibilmente ordinate, in più copie e tutte datate e firmate, sia in italiano che in friulano. Quando ho avuto l’incarico di riordinare il suo archivio storico rientrando in quello studio, nel quale ero stato ospitato molti anni prima, mi è parso di rivedere e risentire ancora una volta la maestra Anna che mi faceva accomodare e, con la sua voce dolce e acuta, raccontava la sua vita, la storia di suo padre Orlando, del maggiore generale Andrian, dell’organo della chiesa e della Settimana Santa; amava soprattutto ricordare “le scarassulade” del Venerdì Santo e le litanie che si cantavano alle rogazioni maggiori. Anna Bombig ha ben conservato e gelosamente custodito tutte le documentazioni inerenti la sua pluridecennale attività di maestra, di insegnante di lingua friulana, di scrittrice, poetessa e di ricercatrice storica, una parte consistente dell’archivio infatti è dedicata alle tante indagini storiche sul paese di Farra e sul territorio del Goriziano. La particolarità che colpisce maggiormente di questo archivio personale è la presenza della quasi totalità degli scritti autografi della maestra Anna, che in vario modo sono stati pubblicati durante gli ultimi quattro decenni. All’interno troviamo anche i documenti di famiglia, alcune fotografie e svariati fascicoli inerenti l’attività professionale, ma l’archivio è composto in sostanza dalle carte alle quali la maestra era più legata e cioè gli scritti in prosa e in versi che hanno segnato in modo indelebile tutta la sua lunga esistenza. Vanni Feresin |
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MOSTRE IN FVG (calendario aggiornato su www.imagazine.it) Fino al 12 maggio ▶ CRALI E IL FUTURISMO Avanguardia culturale. Esposte oltre 80 opere del famoso aeropittore. Monfalcone (GO). Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, piazza Cavour 44. Orario: mer 1013, ven-dom 10-13/16-19. Ingresso libero. Info: 0481 494177 galleria@comune. monfalcone.go.it
Fino al 15 maggio ▶ MY COLLECTION Opere di diversi artisti come Cavallaro, Di Viccaro, Asaro, Lunia. Monfalcone (GO). Associazione Gruppo Charlot, via Randaccio 4. Orario: lun e mer 16.30-19. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 19 maggio ▶ UGO PIERRI Antologica del pittore, poeta e narratore triestino. Cormòns (GO). Museo Civico del Territorio, piazza XXIV Maggio 22. Orario: gio-sab 16-19, dom 1012/16-19. Ingresso libero. Info: 0481 637152 cultura@com-cormons.regione.fvg.it Fino al 21 maggio ▶ PATRIZIA SCHOSS Una cinquantina di lavori: dipinti a tecnica mista, incisioni e opere tridimensionali, tra cui molti inediti realizzati dall’artista dagli anni ’70 a oggi. Trieste. Palazzo del Consiglio regionale, piazza Oberdan 6. Orario: lun-gio 9.30-12.30/14.30-17.30, ven 9.30-13. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 24 maggio ▶ FUORI DAL BLU! Doppia mostra che approfondisce la ricerca scientifica sull’autismo e offre al pubblico l’occasione di percepire il mondo attraverso gli occhi delle persone autistiche. Trieste. Stazione ferroviaria, piazza Libertà 8. Orario: lun-ven 9-12/14-17. Ingresso libero. Info: 334 2150122 www.fuoridalblu.it Martignacco (UD). Naturama, via Bardelli 5. Orario: lun-dom 15-18. Ingresso libero. Info: 0432 1636175 www.fuoridalblu.it
Fino al 31 maggio ▶LA SECESSIONE FLOREALE A GORIZIA Il nuovo ruolo dei fiori e la convivialità a tavola e nelle famiglie goriziane tra fine ‘800 e primi ‘900. Grado (GO). Grand Hotel Astoria, Largo San Crisogono 3. Orario: 11-22. Ingresso libero. Info: www.scuolafioristifvg.it Fino al 2 giugno ▶FIORI IN VILLA Dipinti e disegni dei Musei Provinciali di Gorizia. Codroipo (UD). Villa Manin di Passariano. Orario: mar-ven 15-19, sab-dom 10-19. Ingresso libero. Info: 0432 801210 www.villamanin.it Fino all’8 giugno ▶SERGEJ GLINKOV SKIAGRAPHIA L’incontro con se stessi è innanzitutto l’incontro con la propria ombra. È il mondo dell’acqua, dove fluttua ogni vita, dove tutto è sospeso, dove si è questo e quello. Trieste. Ecotemporary, via Crispi 28. Orario: giosab 17-20. Ingresso libero. Info: www.exibart.com
Fino al 10 giugno ▶LEONARDO 4.0 Dall’osservazione al pensiero scientifico. Mostra multimediale in cui i disegni di Leonardo, che prendono vita per raccontare il personaggio e il suo modo di indagare il mondo. Villesse (GO). Tiare Shopping, località Maranuz 2. Orario 13/16/19. Ingresso libero. Info: www.leonardoquattropuntozero.it Fino al 15 giugno ▶CARLO CIUSSI & ITALO FURLAN (19651975) Gruppo di opere di Carlo Ciussi per proseguire la riflessione sull’artista e sui rapporti intercorsi con la famiglia Furlan e in particolare con l’amico Italo. Pordenone. Fondazione Furlan, via Mazzini 49. Orario: mar-sab 17-19.30. Ingresso libero. Info: 0434 208745 www.fondazioneadofurlan.org
Fino al 16 giugno ▶FRANCESCO GIUSEPPE I Uomo, imperatore, patrono delle scienze e delle arti. La mostra che conclude il percorso dedicato agli Asburgo. Gorizia. Museo Santa Chiara, corso Verdi 18. Orario: ven-dom 10-13/15.3019.30. Ingresso libero. Info: 3312388939 ▶ VENIA DIMITRAKOPOULOU FUTURO PRIMORDIALE. SUONO La mostra, a cura di Afrodite Oikonomidou e Matteo Pacini, conclude la trilogia dedicata alla scultrice greca. Trieste. Civico Museo Sartorio, largo Papa Giovanni XXIII 1. Orario: gio-dom 10-17. Ingresso € 3. Info: 040 301479 www.retecivica.trieste.it Fino al 30 giugno ▶GIAMPAOLO CORAL, MUSICA SU TELA La prima esposizione pubblica della produzione pittorica del compositore triestino. Pordenone. Foyer del Teatro Verdi, via Martelli 2. Visitabile in tutte le giornate di spettacoli. Info: 0434 247610 www.comunalegiuseppeverdi.it ▶RECYCLE PLASTIC ART, CREARE RICICLANDO Le opere plastiche dell’artista triestino Roberto Schettino sono presentate tra pittura e bassorilievo in azioni dense di vitalità, conservando un gusto forte per la materia assoluta, per il segno e per il colore. Monfalcone (GO). Hotel Repubblica, piazza della Repubblica 21. Orario: apertura hotel. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 30 giugno ▶I LOVE LEGO La più grande mostra di Lego in Italia con oltre 1.000.000 di mattoncini assemblabili che andranno a comporre città moderne e monumenti antichi per oltre 100 metri quadrati di scenari LEGO. Trieste. Salone degli Incanti, Rive. Orario: marven 10-18, sab-dom 1019. Ingresso € 9-11. Info: www.comune.trieste.it
Fino al 30 giugno ▶TRA LE NUVOLE DEI CIELI NOSTRANI
Mostra fotografica di OlgaNova. Ronchi dei Legionari (GO). Caffè Trieste, piazza Oberdan 1. Orario: mardom 6-23. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 7 luglio ▶BESTIE E MOSTRI AD AQUILEIA Mostra a cura del Gruppo Archeologico Aquileiese. Aquileia (UD). Palazzo Meizlik, via Popone. Orario: mar-dom 10-12/15-18. Ingresso libero. Info: www. aquileiarcheologia.it Fino al 22 settembre ▶ANDY WARHOL – PROFANO COME SACRO 60 capolavori – icone su carta - conosciuti in tutto il mondo e che lo hanno reso uno degli gli artisti più importanti e rivoluzionari dell’arte del Novecento. Duino-Aurisina (TS). Portopiccolo, via delle Botteghe, Sistiana. Orario: lun/ mer/gio/ven 17-20, sabdom 10-13/16- 20. Ingresso € 10. Info: www.turismofvg.it Fino al 30 settembre ▶LA FORZA DELL’ARTE Le cinque sculture lignee ritrovate dell’altare di Domenico da Tolmezzo della Pieve di San Pietro. Zuglio (UD). Museo Archeologico, via Giulio Cesare 19. Orario: mer-gio 912; ven-dom 9-12/15-18. Info: 0433 92562 Fino al 27 ottobre ▶TRAME LONGOBARDE I tessuti e le bordure realizzati dai detenuti di Spoleto dopo un lavoro di studio e ricostruzione di trame e orditi desunte dalle scoperte archeologiche. Cividale del Friuli (UD). Monastero di Santa Maria in Valle, via Monastero Maggiore 34. Orario: lun-ven 10-13/15–18; sabdom 10–18. Ingresso € 4. Info: 0432 700867 www. monasterodisantamariainvalle.it Fino al 10 novembre ▶L’INDISPENSABILE SUPERFLUO Accessori della moda nelle collezioni della famiglia Coronini. Un viaggio nel tempo tra le icone dello stile. Gorizia. Palazzo Coronini, viale XX Settembre 14. Orario: mer-sab 1013/15-18; dom 10-13/1519. Ingresso € 5. Info: 0481 533485 www.coronini.it
I COSTI E GLI ORARI DI APERTURA POSSONO VARIARE SENZA PREAVVISO. VERIFICARE SEMPRE RIVOLGENDOSI AGLI APPOSITI RECAPITI.
PERSONAGGI GIOVANNI PAMICH Intervista di Renato Duca. Immagini di Giovanni Pamich
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Fuga per la libertà Nel settembre del 1947 due giovani fratelli fiumani decidono di abbandonare la propria città per raggiungere il padre in Italia. L’inizio di mille peripezie, ma anche di una vita capace di regalare successi e soddisfazioni. Che, dalla sua Monfalcone, uno dei protagonisti ricorda in esclusiva per iMagazine.
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Il 10 febbraio 1947 il destino della Venezia Giulia e della Dalmazia era segnato per sempre dal Trattato di Pace di Parigi e, contrariamente alla tanto promessa libertà, ebbero inizio le vessazioni tipiche dei regimi dittatoriali. Tra coloro che volevano crescere e vivere finalmente da uomini liberi c’erano due fratelli: Giovanni e Abdon Pamich, due adolescenti fiumani, rispettivamente di 15 e 14 anni. Prima che sorgesse l’alba del 23 settembre 1947 (martedì, primo giorno d’autunno), i due giovani misero in atto un progetto temerario: abbandonare gli affetti famigliari, la scuola, gli amici e l’amata Fiume con l’obiettivo di ricongiungersi al padre, che li aveva preceduti di poco recandosi a Milano col proposito di farsi raggiungere dal resto della famiglia. A Fiume erano rimasti in angosciosa attesa la mamma e i due fratelli più piccoli, Raoul (11 anni) e Irma (4 anni). L’aver affrontato l’ignoto, che si rivelerà ben più duro del previsto, superando ostacoli, disagi e sofferenza, è stata una prova di fiducia nel futuro, di coraggio e di maturità da parte dei due ragazzi. A raccontare questa storia di peregrinazioni da un campo profughi all’altro, da una città all’altra, prima della riunificazione della famiglia in quel di Genova, è il professor Giovanni Pamich, uno spirito libero, legato indissolubilmente alla propria terra, Fiume (la citta dell’aquila a due teste e del motto antico Indeficienter [inesauribile]), già valente chirurgo e docente alla Scuola di Specializzazione in Chirurgia Vascolare dell’Ateneo triestino, Ufficiale medico di complemento della nostra Marina Miliare, Primario di Chirurgia Generale presso gli ospedali di Monfalcone e Gorizia, con esperienze professio-
nali in Svizzera (Locarno e Bellinzona), in Inghilterra (“Registrar” in Reparto ospedaliero di Chirurgia Toracica), in Friuli (Palmanova) e una lunga attività a bordo delle grandi navi bianche, rispondendo al forte richiamo del mare. Il destino ha negato a Giovanni, a differenza di Ulisse, il ritorno alla ‘sua Itaca’, ma non ai suoi genitori, che, grazie a lui quale votum solvit, ora riposano assieme agli avi nel cimitero monumentale fiumano di Cosala, come testimoniato dall’iscrizione incisa sulla loro tomba: “Sono ritornati a casa”. Giovanni Pamich parla anche per Abdon, il fratello di un anno più giovane, compagno fiducioso in quell’incredibile avventura, ora residente a Roma (lauree in Psicologia e in Sociologia), già funzionario di una multinazionale e di altre aziende pubbliche, che, senza nulla togliere all’impegno professionale, si è dedicato con sacrificio, ottenendo strepitosi risultati, alla dura disciplina sportiva della marcia. Giovanni Pamich, quale ricordo e quali sensazioni porta nel cuore di quel 23 settembre 1947? «Ricordando quel giorno mi tornano alla mente una splendida estate non ancora giunta al termine, la ripresa delle lezioni al Liceo Italiano (il Liceo Classico “Dante Alighieri”, da me frequentato, era stato unificato con il Liceo Scientifico “Antonio Grossich” nell’edificio di quest’ultimo, per la drastica diminuzione degli studenti in gran parte già esodati) in una classe dove la metà dei In apertura, primo piano di Giovanni Pamich. |
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banchi era priva dei coetanei dell’anno scolastico precedente. Alcuni di loro, salvatisi dalle persecuzioni naziste, avevano preannunciato il ritorno nella patria dei bisnonni, chi a Praga, chi a Budapest e chi in altre nazioni dell’ex Impero asburgico. Stranamente, la loro corrispondenza mi giungeva da svariate città italiane. Questo confermava che la strada verso la libertà era a Occidente, la strada che, rompendo gli indugi prima dell’alba del 23 settembre, scelsi con mio fratello. Non fu una decisione facile da prendere: si lasciavano tanti affetti, molte amicizie, bei ricordi di momenti sereni e, soprattutto, si abbandonava una città di cui facevamo parte e che era nel nostro essere. Nella consapevolezza di andare verso l’ignoto. Facemmo appello a tutta la forza interiore per poter andare avanti e cercare di ricostruire una nuova vita, coscienti di dover affrontare molte incomprensioni, tanta indifferenza e talvolta pure marcata ostilità». Come pensavate di superare la Cortina di Ferro, entro cui foste inclusi il 10 febbraio 1947 col Trattato di Pace di Parigi? «Inizialmente non avevamo un’idea ben chiara, quindi decidemmo di acquistare un biglietto ferroviario per Trieste e salimmo sul primo treno che partiva verso le due del mattino in quella direzione. Avevamo previsto di scendere all’ultima stazione sotto controllo jugoslavo, per poi attraversare il Carso eventualmente a piedi, fino alla zona controllata dagli Anglo-americani. Ipotesi errata, perché il convoglio non era diretto a Trieste bensì a Lubiana, per cui prima del sorgere dell’alba fummo costretti a scendere a San Pietro del Carso (Pivka) e aspettare infreddoliti il treno per Trieste. Finalmente, a mattina inoltrata arrivò la coincidenza. Purtroppo, sbagliammo salendo su una carrozza della sezione che andava da Lubiana a Fiume, invece di salire su una di quelle della sezione diretta a Trieste. Ci accorgemmo dell’errore dopo che il treno aveva già percorso alcuni chilometri». Cosa faceste? «Nella concitazione del momento ci mettemmo a correre verso la coda del convoglio incappando in un miliziano, il quale, avendoci probabilmente inquadrato alla partenza da Fiume, ci chiese arcigno dove esattamente fossimo diretti. Evitammo di rispondere e sgattaiolammo in avanti, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, continuando a correre. Per nostra fortuna dopo un po’ il treno si arrestò in mezzo al Carso, probabilmente per un semaforo rosso, e noi scendemmo precipitosamente sulla massicciata ferroviaria avviandoci a piedi di nuovo verso San Pietro, dove giungemmo a mezzogiorno suonato». Lì cosa successe? «Dopo aver atteso pazientemente fino al tardo pomeriggio la coincidenza successiva per Trieste, ecco un’ulteriore sorpresa: la linea di demarcazione era stata spostata verso est, da Sesana a Divaccia. Qui i miliziani fecero scendere tutti dai vagoni, ammassando le persone nella sala d’aspetto della stazione per controllare i documenti. Regnava una gran confusione, mio fratello e io ci facemmo guardinghi e molto attenti a ciò che succedeva, avendo notato che erano numerosi i respingimenti e i divieti di superare il confine. Cercammo di arretrare 40
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sempre più in attesa di cogliere un momento favorevole per superare il controllo. L’occasione si presentò quando ci trovammo circondati da un gruppo di donne triestine vocianti di ritorno dalla ricerca dei famigliari internati in Jugoslavia: vedendoci straniti, in pantaloncini corti, stanchi e piuttosto tesi, ci chiesero da dove venivamo e le nostre intenzioni. Compreso il problema, ci tennero vicini come fossimo loro figli, così al controllo dei documenti, complice la ressa e la gran confusione, passammo inosservati o non considerati dai ‘graniciari’ e risalimmo velocemente sul treno con le signore sempre vocianti, che al nostro tentativo di ringraziarle ci intimarono di tacere guardandosi preoccupate intorno. Il treno non aveva ancora valicato la linea di demarcazione tra Jugoslavi e Alleati e l’OZNA (Dipartimento per la protezione del popolo, ndr) aveva occhi e orecchie dappertutto». Lo sbarco in Italia come fu? «A tarda sera, ben oltre le 22, finalmente posammo piede nella stazione di Trieste da dove fummo avviati al famoso Silos, che fungeva da prima tappa per coloro che avevano varcato la Cortina di Ferro. Spogliati e inondati di DDT, ci venne assegnata una branda dell’ex Regio Esercito, una coperta e pure una pagnotta con della mortadella, che addentammo con voracità. L’indomani, sotto una pioggia battente, venimmo indirizzati a un ufficio del Governo Militare Alleato (GMA) per ritirare un documento di transito dal Territorio Libero di Trieste (TLT) all’Italia e un biglietto ferroviario per Milano, dove ci attendeva nostro padre. Si era così conclusa la parte più perigliosa della nostra fuga da Fiume». Ma l’avventura non era ancora terminata… «Purtroppo no. Il viaggio notturno da Trieste a Milano, su un treno gremitissimo, fu un tormento continuo, passato in piedi e non perfettamente in verticale. Giunti a destinazione al mattino presto, impiegammo mezza giornata per trovare nostro padre, che non era presente in via Dante 4, come previsto. Con lui trascorremmo un mese e più in condizioni molto precarie, sia perché la multinazionale nella cui succursale di Milano papà avrebbe dovuto trovare lavoro e appoggio era sparita nel bailamme bellico e postbellico, sia per difficoltà di alloggio in una città ancora piena di macerie. Fu giocoforza, allora, essere avviati al Campo di transito per profughi di Udine, ubicato in via Gorizia, in una Scuola elementare, da dove, dopo circa un mese, fummo trasferiti in modo definitivo al Campo profughi di Novara». Quale fu l’impatto con Novara e la vostra permanenza tra nebbie e risaie? «L’impatto fu decisamente traumatico. Venimmo sistemati in una caserma semidistrutta, in una camerata priva di infissi, che ospitava nuclei famigliari separati gli uni dagli altri da coperte appese a delle corde. Ci fu assegnato un spazio ove si trovavano due posti letto formati ciascuno da due cavalletti metallici, che sostenevano un insieme di doghe sulle quali era disteso un sacco contenente foglie di granoturco a mo’ di materasso e due coperte, considerata la stagione invernale. I servizi igienici erano latrine aperte e un trogolo con rubinetti dai quali d’inverno usciva una stalattite di ghiaccio. Rancio in cortile, distribuito in gavetta con cucchiaio da capienti marmitte ex militari». Non proprio quanto speravate partendo da Fiume… «Abdon e io, seduti sul bordo dei letti, ci guardammo l’un l’altro per due giorni, quasi inebetiti. Alla fine ci dem-
mo uno scossone e andammo a iscriverci a scuola per riprendere gli studi interrotti da due mesi: io alla prima del Liceo Classico e Abdon all’istituto Tecnico per Geometri: il suo sogno di frequentare il Nautico veniva così, di necessità, accantonato. Papà, intanto, aveva raggiunto Genova in cerca di lavoro e di una sistemazione definitiva per tutta la famiglia». Per quanto tempo siete rimasti a Novara? «A Novara io e mio fratello concludemmo con profitto i nostri rispettivi impegni scolastici. Papà intanto era riuscito a trovare a Genova una soluzione abitativa accettabile, che avrebbe consentito di ritrovarci finalmente tutti assieme. Così, a fine estate 1948, profilandosi a breve l’inizio del nuovo anno scolastico e con la speranza che, nel frattempo, anche mamma e i fratelli potessero raggiungerci, prendemmo congedo dal Campo profughi e raggiungemmo nostro padre a Genova. A metà ottobre andai a Udine incontro a mamma, Raoul e Irma in arrivo da Fiume per accompagnarli a Genova, dove l’intera famiglia finalmente poté cominciare una nuova vita». Come fu questa nuova vita? «Furono anni duri per una famiglia numerosa come la nostra in pieno periodo postbellico, poiché lavorava solo papà. Nel 1950 mi iscrissi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Genova e, per procurarmi una certa indipendenza economica, accettai l’incarico offertomi dal Provveditorato agli Studi di Genova come insegnante di educazione fisica presso un Istituto superiore della città. Conseguita la laurea nel 1956, dopo un breve periodo da assistente medico ospedaliero, venni chiamato a prestare servizio di leva nella Marina Militare presso l’Accademia Navale di Livorno, dalla quale fui congedato nel giugno del 1959 col grado di Sottotenente medico». Nel frattempo si era anche sposato. «A un anno dalle nozze nacque mio figlio Marco e, sette anni dopo, arrivò Sara. Seguì la mia prima esperienza professionale quale Assistente Chirurgo in Svizzera, presso l’ospedale di Locarno e, poi, come aiuto chirurgo presso l’ospedale di Bellinzona. Raggiunto un buon grado di formazione venni invitato da un amico e collega triestino a continuare il mio percorso negli ospedali italiani e così fu. Finalmente nel 1974, dopo anni di lavoro e di studio, mi fu assegnato il mio primo incarico di primario chirurgo a Monfalcone e la mia posizione venne confermata dopo che ebbi sostenuto e vinto il concorso nazionale nel 1977. Dall’inizio del 1999 fino alla fine del 1995 ressi come Primario la Divisione Chirurgica dell’ospedale di Gorizia. Rientrato a Monfalcone, andai in quiescenza alla fine del 1999. Durante gli ultimi 13-14 anni della mia professione ospedaliera, fui cooptato dal Direttore dell’Istituto di Patologia Chirurgica – il Prof. Nemeth – come professore a contratto e poi come professore associato presso la Scuola di Specializzazione in Chirurgia Vascolare dell’Università di Trieste. In seguito, per altri 11 anni, ho cercato “... uno spazio di rigore e di libertà …”, come scriveva Victor Hugo: lo trovai nel mare, con la sua vastità e il suo fascino, ragione per cui mi sono imbarcato sulle grandi navi bianche in qualità di Direttore Sanitario». Suo fratello Abdon divenne invece un fenomeno sportivo. È vero che fu lei a indirizzarlo alla marcia? «Quando iniziai gli studi universitari, per seguire il consiglio degli antichi “mens sana in corpore sano” mi iscrissi all’Associazione Amatori Atletica di Genova (AAA), dove venni avviato, per la mia conformazione fisica, a scegliere la ‘marcia’ fra le varie specialità dell’atletica leggera. Raggiunsi subito buoni risultati, vincendo il premio ‘Pavesi’, una gara
Articolo de Il Secolo XIX pubblicato nel 1952
nazionale per esordienti. A quella vittoria ne seguirono altre in campo regionale e buoni piazzamenti in quello nazionale. I miei successi stimolarono Abdon, che intraprese la stessa disciplina con i risultati prestigiosi che ben conosciamo, mentre i miei traguardi sportivi ebbero fine per l’impegno di completare gli studi nel tempo previsto». Torniamo da dove siamo partiti: cosa rappresenta per lei la città di Fiume? «Più che la mia culla, Fiume equivale al grembo materno: là trascorsi gli anni felici della prima e della seconda infanzia, interrotti da una guerra cruenta e crudele di cui vidi gli effetti devastanti con occhi ancora troppo acerbi; effetti che hanno lasciato segni indelebili nella mia mente. In quel contesto nacquero le prime amicizie con ragazzi dalle più varie origini – amicizie tuttora vive nei miei ricordi – e mi è rimasta nel cuore la memoria di una città che era un microcosmo in cui convivevano numerose lingue, culture e religioni in completa sintonia. Tutti si sentivano cittadini alla pari, ognuno primus inter pares». Quale consiglio darebbe ai giovani? «Consiglierei loro di studiare per avere un certo grado di cultura che li aiuti a discernere la verità dalle menzogne per non farsi irretire da falsi profeti, da ambiziosi sfrenati, da gente avida di potere o di denaro, mascherata da salvatori dell’umanità; di aprire la propria mente senza farsi condizionare, dando retta al proprio sentire e cercare di raggiungere libertà di pensiero, scevro da inquinamenti nazionalistici, rispettoso di culture, religioni e lingue altrui. Ricordando sempre l’insegnamento di un grande pensatore quale Immanuel Kant: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”». Renato Duca |
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ALLA SCOPERTA DI...
LA RIVOLUZIONE FASCISTA (SECONDA PARTE) Servizio di Alberto V. Spanghero
La propaganda
di regime
Utilizzando abilmente i metodi americani della comunicazione pubblicitaria, Mussolini riuscì a conquistare le masse. Giornali, radio e tv giocarono un ruolo determinante nell’ascesa del duce. Fino all’ingresso in guerra: l’inizio della fine.
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Nel 1925 Mussolini aveva instaurato via via il regime fascista. Aveva trovato un mezzo potentissimo nella propaganda. Uno storico ebbe a dire di Mussolini che nessuno prima di lui e dopo di lui, in Italia o fuori dell’Italia, aveva mai fatto una così larga e fortunata applicazione
dei metodi americani di pubblicità alla politica interna o internazionale. Sapeva come pochi che la bugia fa il giro del mondo nel tempo che la verità impiega sì e no a essere appena adescata. Mussolini aveva capito fin da subito l’importanza che avevano i simboli da mettere in mostra come labari, premi, medaglie, diplomi e bandiere. Il marchio del fascismo diventò il fascio littorio e la scure, simbolo del potere dell’antica Roma, e poi la lupa, le aquile e la presa degli slogan sulla popolazione, i motivi operatori come nella pubblicità: “Noi sogniamo l’Italia romana”, “Chi si ferma è perduto”, “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”, “Credere, obbedire e combattere”. Dietro ai proclami e agli slogan c’era la realtà costituita dallo Stato totalitario e lo Stato corporativo. La formula in auge era quella in cui si proclamava che tutto doveva essere nello Stato, niente al di fuori dello Stato e nulla doveva essere contro lo Stato. Nel 1925 l’adesione al fascismo era diventata prassi quasi obbligatoria. La stragrande maggioranza degli aventi diritto aderì in massa al mito fondatore della ro-
In apertura, C.N.T. di Monfalcone, fine anni Venti, operai meccanici navali. Di fianco, fumetto del disegnatore Rubino, inneggiante alla battaglia del Grano (anni Trenta).
manità. A Turriaco, come del resto in tutto il Monfalconese, il numero degli iscritti al partito fascista fu quasi totale. La tessera del Pnf (partito nazionale fascista) diventò elemento indispensabile per partecipare ai concorsi pubblici e dopo qualche anno fu dichiarata equipollente alla carta d’identità. Molti si iscrissero al Partito fascista più per necessità di trovare o conservare il lavoro e avere utili tornaconti che per convinzione. Chi rifiutava l’iscrizione veniva bollato come antifascista e schedato come sospetto. La formula del giuramento contenuta all’interno della tessera recitava: “Giuro di eseguire senza discutere gli ordini del duce, di servire con tutte le mie forze e, se necessario, con il mio sangue, la causa della Rivoluzione fascista”. Nel C.N.T. di Monfalcone (Cantiere Navale Triestino) gli impiegati, i capi e i quadri dirigenti erano quasi tutti iscritti al fascio. Mentre tra gli operai la percentuale degli iscritti variava tra l’80 e il 90% a seconda del tipo di lavoro più o meno usurante e faticoso a cui erano addetti. Chi non aveva la tessera del partito veniva guardato con sospetto e diffidenza. Questi operai erano maggiormente controllati degli altri e non di rado venivano licenziati o per scarso rendimento o per banali mancanze. Il “biennio rosso” (1921-23), in cui si vide ancora una grande massa compatta di operai, fu l’ultima occasione per ribellarsi alle provocazioni del partito armato dell’estrema destra. Negli anni a seguire infatti iniziava quelle sistematica azione persecutoria ai danni dei militanti antifascisti, comunisti in primo luogo, i quali venivano raggiunti nelle loro case, minacciati e spesso bastonati. Seguirono le spedizioni punitive contro la sedi sindacali e di partito della sinistra sparse in tutto il territorio del Monfalconese, del Cervignanese e quello della Bassa friulana. Il 6 aprile 1924 si tennero le elezioni politiche e, in un clima di intimidazioni e pestaggi, venne decretata la vittoria dei due listoni ministeriali (liberali di destra e fascisti). Il deputato Giacomo Matteotti, per aver denunciato in parlamento le violenze e i brogli, veniva assassinato. Mussolini si assunse alla Camera la responsabilità “politica, morale e storica” di quanto era accaduto. In breve venivano sgretolate progressivamente tutte le forme di opposizione culturali e operaie e di classe. In quegli anni molti giovani militanti comunisti e socialisti furono costretti ad abbandonare il lavoro al cantiere ed emigrare preferibilmente in Francia o in paesi dell’America Latina. Alcuni di loro però, anche se pochi, rimanevano a mascherarsi dietro a organizzazioni politiche semi-clandestine, iniziando così quel lavoro di resistenza al fascismo. Per rimanere in tema, va ricordato che il 21 novembre 1925, festa della Madonna della salute a Turriaco, per decreto prefettizio, venne sciolta la Banda Filarmonica di Turriaco con l’ordine di consegnare tutti gli strumenti musicali nelle mani del sindaco Riccardo Clemente.
Aprile 1929, officine aeronautiche del C.N.T.
Con il tempo la repressione svolta dagli operai iscritti al sindacato fascista indebolì la classe operaia della sinistra che cedeva progressivamente alla lotta interna. Questo dato di fatto lo si può evincere leggendo una nota tratta dal diario di don Eugenio Brandl: “Nei giorni 21, 22, 23 marzo del 1929 si svolsero le elezioni politiche del Parlamento. A Turriaco su 444 aventi diritto al voto (potevano votare soltanto le persone di sesso maschile che avevano già compiuto 21 anni) votarono 432 e tutti i 432 aderirono al regime fascista”. Già nel 1925 per il duce iniziarono i primi dissensi e i primi pericoli per la sua incolumità. Infatti nel giro di poco meno di un anno, tra l’inizio di novembre 1925 e la fine di ottobre 1926, Mussolini scampò a quattro attentati. Allora si disse fossero ispirati da potenze straniere. Nonostante il duce ne ricavasse la certezza di essere protetto da una buona stella, colse al volo l’occasione per reagire con il pugno di ferro. Dopo il quarto tentativo, infatti, varò le cosiddette “leggi fascistissime” che liquidarono le ultime libertà democratiche. Andiamo per ordine, ripercorrendo in sequenza ed estrema sintesi le cronache del tempo. Il primo a provarci fu, a Roma, il massone e deputato socialista Tito Zaniboni il 4 novembre 1925, in occasione del 7° anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale. Fu arrestato con il fucile in mano poco prima che sparasse. Fu condannato a 25 anni per alto tradimento. Pochi mesi dopo, la mattina del 7 aprile, dopo aver partecipato a un congresso internazionale di chirurgia, Mussolini usciva su quella piazza facendosi largo tra la folla quando una donna minuta gli esplose contro un colpo di pistola che ferì il duce al naso. L’attentatrice era una aristocratica irlandese, Violet Albina Gibson. Giudicata incapace di intendere e di volere, venne espulsa dall’Italia. Il terzo attentato accadde la mattina dell’11 settembre 1926. Mentre il duce usciva dalla residenza di villa Torlonia sulla sua Fiat 509 guidata dall’autista Ercole Boratto, la macchina fu colpita da una bomba a mano lanciata da Gino Lucetti, un anarchico già esule in Francia, che fece ritorno in Italia appositamente per uccidere il duce. La granata colpì sì l’auto, ma prima di esplodere rotolò lontano senza causare danni a nessuno. Il Lucetti fu condannato a trent’anni di carcere. |
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Monfalcone, 1929: scolari ai bagni pubblici
Il quarto e ultimo attentato ebbe luogo a Bologna il 31 ottobre 1926. La sera al termine di una giornata di celebrazioni il duce, in piedi su un’Alfa Romeo scoperta, si stava avviando alla stazione, quando si sentì un colpo di pistola. A sparare in mezzo alla folla era stato un ragazzo appena quindicenne, un certo Anteo Zamboni, figlio di un ex anarchico convertito al fascismo. Fu linciato sul posto. Due mesi dopo, il 5 novembre, il governo varò una serie di provvedimenti per la “difesa dello Stato”: scioglimento dei partiti di opposizione, chiusura della stampa contraria al regime, introduzione della pena di morte, del confino di polizia e del tribunale speciale per la difesa dello Stato, che opererà attraverso l’Ovra e la polizia politica del regime. Il segretario del partito comunista Antonio Gramsci venne arrestato e condannato a venti anni di reclusione. Successivamente vennero arrestati tutti i deputati antifascisti, tra i quali Saragat, Nenni, Turati e Pertini. Per concludere la macabra carrellata diremo che la madre di tutti i tentativi di uccidere il duce fu la cosiddetta “congiura degli amici del popolo”. Un tentativo di colpo di stato, pianificato nel 1924, nel quale massoneria e Partito Comunista si trovarono alleati. Alcuni storici andavano sostenendo che dietro gli attentati ci fosse un intrigo internazionale, in cui erano coinvolte Francia e Gran Bretagna (Osservazioni e commenti tratti dalla trasmissione televisiva La Grande Storia, condotta da Paolo Mieli). È nel ventennio fascista che si formarono gli scrittori e soprattutto i poeti più importanti del secolo: Ungaretti, Quasimodo, Montale, Saba. Per comprendere meglio il rapporto tra letteratura e potere vanno ricordati quelli che aderirono al fascismo e altri che dopo la caduta ne presero le distanze come Curzio Malaparte, Guido Piovene, Elio Vittorini e altri: su tutti emerge il voltafaccia di Alberto Moravia che nel romanzo Il conformista aveva distrutto le figure dei suoi due cugini Carlo e Nello Rosselli, assassinati nel giugno del 1937 da fascisti francesi. “Sarebbe troppo bello e comodo essere intellettuali in tempi pacifici, e diventare codardi o anche semplicemente neutri, quando la civiltà crolla e l’uomo diventa belva”. 44
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Tutte le dittature, di destra o di sinistra, del passato o del presente, hanno utilizzato la satira del fumetto, simbolo di banalità nella letteratura e nel cinema, come strumento di elevazione culturale delle masse. E così accadde che nel periodo fascista, anche il Corriere dei piccoli, Novellino, il Giornale del Balilla, il Corriere di Piccioli e altri giornaletti dell’epoca furono introdotti nelle scuole con il preciso scopo di formare l’educazione intellettuale e morale dei fanciulli. Il 4 novembre del 1930 nella scuola Regina Elena di Turriaco alla presenza delle Autorità politiche e religiose ci fu la cerimonia della dedicazione delle aule agli irredentisti caduti nelle Grande Guerra: Cesare Battisti, Aurelio Nordio, Giacomo Venezian e Mario Corsi. Seguì la benedizione delle aule da parte del curato e un discorso commemorativo tenuto dal maestro dirigente Gaetano Bellomia. Queste cose diventarono presto popolari per se stesse. Sennonché la propaganda fascista, che fu uno dei primi esempi di propaganda verso le masse, finì col gonfiare queste imprese che terminarono col farle apparire eccezionali, prodigiose appunto, perché nasceva allora quel fenomeno che poi si sarebbe ripetuto su vasta scala in Germania col nazismo e in Russia col comunismo di Stalin: il culto della personalità. Nel 1927 venne in visita a Roma il Cancelliere dello Scacchiere inglese, Winston Churchill, il quale, riferendosi a Mussolini, ebbe a dire: “Se fossi italiano sono sicuro che sarei stato interamente con lui”. Allora era perfettamente assurdo dichiarare che il governo italiano non riposasse su una base popolare. Quell’anno Mussolini proclamò: “Non è ancora nato il mio successore”. Poi aggiunse: “Il destino delle Nazioni è legato alla loro potenza demografica. L’urbanesimo industriale porta la civiltà nelle popolazioni. Se si diminuisce, non si fa un impero, si diventa una colonia”. Frasi queste che oggi appaiono oscene e deliranti, ma che allora fecero grande presa sulle masse. Il popolo veniva convinto della grandezza dell’Italia romana. La propaganda fascista agiva soprattutto su tre categorie: gli agricoltori, le masse popolari meno colte, gli artigiani e il loro ambiente e in generale sui piccoli borghesi. Per gli agricoltori Mussolini aveva indetto la “Battaglia del Grano”, che aveva per scopo l’indipendenza granaria; per gli artigiani c’erano continuamente mostre, fiere, raduni a Roma e cortei con lo scopo di creare per loro una specie di mistica artigianale. Quello che è mancato nel regime fascista è stato lo sviluppo dell’industria, specialmente quella pesante, mentre in tutti i paesi si andava verso le “civiltà industriali”. La piccola borghesia, che era la vera base del fascismo, fu riempita di orgoglio, di elogi, di premi e di incoraggiamenti. Uomini, donne e bambini indossarono la camicia nera. Mussolini vide crearsi attorno a sé quello che pochi anni prima sembra-
Sopra, tessera del Partito Nazionale Fascista di Pacifico Vicario di Turriaco del 1924; di fianco, Winston Leonard Spencer Curchill (1874-1965).
va impossibile. Nacquero ovunque i “Campi Dux”: i fascisti erano diventati ormai milioni. Soprattutto Mussolini, di se stesso, aveva fatto l’immagine più efficace della sua dittatura: la mimica. Con il suo portamento, la parola, parlando da un palco o da un balcone, manteneva sempre il senso della misura. Spesso ci entrava la trovata dell’aggettivo, della battuta e gli uditori erano sempre lusingati. “Andare verso il popolo” era uno dei suoi slogan. “Quando scendo in mezzo al popolo io sento che ne interpreto perfettamente i sentimenti e la volontà”. Visitava campagne e poderi, prosciugava paludi, costruiva nuovi monumenti per l’orgoglio degli italiani. Nel 1925 Mussolini disse: “Il governo è insonne, perché non permette che i cittadini siano dei poltroni. In marcia e non fermiamoci finché le ultime mete non siano raggiunte”. Per Mussolini giornalista una stampa e una radio strettamente controllate e la proiezione obbligatoria dei cinegiornali furono gli strumenti naturali della propaganda fascista in Italia. Si iniziò con una stazione radio a Roma nel 1924, a Milano nel 1925 le trasmissioni in rete si allargarono a poco a poco. Gli abbonati alla radio nel 1927 erano 41.000 e 102.000 due anni dopo. Le varie società radiofoniche si fusero in un unico concessionario, l’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), che dette l’inizio a una nuova era. L’Eiar diventava così la voce del regime. Da quel mobiletto stile Novecento uscivano le direttive del Capo. Arrivarono i primi slogan pubblicitari. Le canzoni in voga, gli attori, i comici, i caratteristi raggiungevano fulminee popolarità. Le trasmissioni iniziavano al suono di Giovinezza. Nel cinema poi Mussolini preferiva sostenere direttamente la parte del protagonista e del regista di se stesso. E la stampa? Ai
giornalisti venivano offerte facilitazioni (viaggi gratis su treni e navi, ingressi gratuiti in cinema e teatri e altri privilegi). Si aggiunsero i sostanziosi aiuti agli editori in difficoltà. Il risultato fu l’allineamento totale della stampa e in breve su tutti i giornali campeggiava la sua figura e le cose prendevano un senso dal suo nome. Poi vennero anche i film che esaltavano la romanità, la rivoluzione, le conquiste del fascismo e la sua potenza. C’erano anche i film “tranquillanti” ed evasivi dei “Telefoni Bianchi”. Pochi sanno o ricordano che sull’onda delle esperienze televisive in Inghilterra del 1934 erano iniziati gli esperimenti anche in Italia. I programmi televisivi prevedevano due ore di trasmissione al giorno. Un televisore costava allora 15.000 lire (circa 10.000 euro) e la qualità video era di livello europeo: 441 linee, secondo lo standard tedesco. Si pensava già a cinegiornali, a serie poliziesche con poliziotti fascistissimi che esaltassero le virtù italiche. Quanto alla stampa di regime, essa già vagheggiava epocali dirette transoceaniche che permettessero ai simpatizzanti fascisti dell’America latina di applaudire le “squadrate legioni” schierate in Piazza Venezia. Ma il 10 giugno del 1940 il sogno televisivo di Mussolini si interrompeva bruscamente a causa della guerra. Il colpo di grazia arrivò con l’occupazione tedesca: la sede romana di via Asiago fu smantellata e il materiale trasportato al nord. Ciò che rimase di prezioso, come valvole e tubi catodici, servì poi a impiantare gli studi della nuova TV, dopo il 1945.
Alberto Vittorio Spanghero
Ricercatore e storico di Turriaco
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ALLA SCOPERTA DI...
L’abate
GIUSEPPE BERINI Articolo di Renato Duca e Renato Cosma Foto da raccolta privata
erudito
Un protagonista nel panorama culturale e scientifico isontino, tra Settecento e Novecento.
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Tra la fine del Settecento e lo scoppio della Grande Guerra una eletta schiera di studiosi - botanici, naturalisti, agronomi, medici, speziali, chimici e bacologi - nobilitarono scienza, cultura e conoscenza nella Contea Principesca di Gorizia e Gradisca. Studiosi, tutti di elevato spessore scientifico, riconosciuti ampiamente a livello italiano ed europeo, che seppero dar vita a una scuola e a una solida tradizione nel rispettivo settore di ricerca, diffondendo sapere, innovazione, amore per la natura, sollecitudine per l’ambiente e fervore per la crescita del mondo agricolo e delle comunità locali. A quei protagonisti va dato il giusto rilievo per rinverdire la loro opera meritoria e far sì che la patina del tempo non ne cancelli definitivamente il ricordo. L’abate Giuseppe Berini di Ronchi, che qualche ricercatore definì l’abate erudito, fu sicuramente uno di loro. Il nostro personaggio nacque nel 1762 a Ronchi di Monfalcone, villaggio a quel tempo così denominato, ricadente nell’ambito della Patria del Friuli, territorio della Repubblica di Venezia dal 1420. Uomo di grande intelletto e di molteplici interessi, compì gli studi superiori a Udine e si laureò in lingue presso l’Università di Padova. Parlava e scriveva correntemente, oltre che in italiano, in greco, latino, francese, tedesco e sloveno. Ricevette l’ordine sacerdotale presumibilmente a Udine e, secondo l’usanza di allora, ebbe l’appellativo di ‘abate’, come altri religiosi di queste zone. Il padre Domenico e lo zio Leonardo gli assicurarono la costituzione del cosiddetto Patrimonium Ecclesiae, poiché in quel periodo vigeva l’obbligo per i chierici, secondo le 46
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‘Norme Sinodali’, di far accertare prima dell’ordinazione di “... avere e possedere tanti beni stabili, che gli dijno rendita adeguata e sufficiente al proprio mantenimento ...”. A un tanto venne provveduto in Chiavris (borgata di Udine) con atto notarile del 24 marzo 1783 (registrato il 3 aprile presso la Curia udinese), che attestava una consistenza immobiliare costituita, oltre che da diversi appezzamenti di terreno (uno a San Canzian, detto prado sacro), da due fabbricati, di cui una “ ... casa alta dominicale consistente con stanze in piano, in solaro, e granaro, con suo fondo, forno annesso e cortivo a dritta linea tenuta ad affitto dal sig. Giuseppe Musmeci, medico ...”. La dimora della famiglia, invece, era nell’edificio contraddistinto dalla particella n. 68 di Ronchi, ubicato in ‘Androna Palmada’, che oggi, opportunamente recuperato e adeguato, è sede della Biblioteca comunale. Mai trascurando la propria missione pastorale, Giuseppe Berini si dedicò con dedizione alla botanica, alla geologia, all’archeologia, all’epigrafia e alla storia del Territorio monfalconese. Tenne stretti contatti col suo discepolo e concittadino Leonardo Brumati (1774-1875), che avviò agli studi e al magistero religioso, condividendo con lui tematiche e ricerche approfondite in campo naturalistico, geologico e archeologico, compreso l’allestimento di un ricco erbario. Si relazionò con eruditi botanici locali come il barnabita Angelo Maria Cortinovis (1727-1801), Preposito della Comunità Barnabitica di Udine, storico, naturalista, archeologo ed esperto di epigrafia cristiana antica; il medico gradiscano entomologo e botanico Giovanni de’ Brignoli di Brúnnhoff (1774-1857); il farmacista dignanese Bartolomeo Biasoletto (1793-1858); il medico e naturalista Antonio Bertoloni di Sarzana (1775-1868). Ed ebbe pure contatti e scambi informativi con eminenti studiosi europei quali: il geologo austriaco, alpinista ed esperto della flora delle Alpi orienta-
li, abate Franz Xaver von Wulfen (1728-1805); il botanico ed erborista francese François Palamède de Suffren (17531824); il naturalista e biologo francese Georges Leopold Cuvier (1769-1832); il medico e botanico tedesco Christian ]ulius Wilhelm Schiede di Kassel d’Assia (1798-1836); il botanico tedesco Friedrich Gottlieb Bartling (1798-1875), professore all’Università di Gottinga (Bassa Sassonia) e direttore del locale Orto Botanico. Nel biennio 1819-1821 fu in contatto epistolare col medico carnico Luigi Lorenzo Linussio (1772-1852), definito un naturalista incompreso, dissertando su un ipotetico collegamento idraulico tra il lago di Zirchinitz (Cerkniško iezero o Palude Lugea, la ‘palude piangente’ di Strabone) e il Timavo e sulla scomparsa degli animali preistorici denominati all’epoca Mostodonte (Mammut, proboscidato primitivo), Megaterio (Megatherium, bradipo terricolo gigante) e Annaploterio (Anoplotherium, mammifero semiacquatico bipede di piccole dimensioni). Forte della propria competenza in materia di archeologia ed epigrafia, Giuseppe Berini indagò su taluni importanti siti e reperti dell’ambito isontino, tra cui i ponti sull’Isonzo d’epoca romana, ubicati a scavalco dell’alveo principale presso la località Mainizza e, a Ronchi, tra lo Zochet e Villa Hinke-Chiesa di S. Lorenzo, per il superamento del ramo fluviale minore di ‘San Pietro-Redipuglia-Vermegliano-Selz-San Polo’; le strade consolari, in particolare la Via Gemina; i resti dell’urna funeraria di un membro della nobile famiglia degli Eusebi, trovata nel 1790 nelle adiacenze di Dobbia (Staranzano); le iscrizioni di due cippi sepolcrali aquileiesi rinvenuti a San Canzian. Assieme ai confratelli Leonardo Brumati e Giovanni Battista Vatta approfondì l’analisi delle epigrafi presenti nell’area di San Giovanni di Duino; inoltre, studiò a fondo il deflusso delle acque isontine e del Timavo, la loro provenienza e influenza sull’idrografia superficiale e sotterranea del Monfalconese. Meritoria, per i tempi, fu la produzione storico-scientifica data alle stampe, quale esito di accurate ricerche su diverse tematiche: Memoria delli sigg. abb. Giuseppe Beríni, Leonarda Brumati e Giovanni Battista Vatta, intorno a tre iscrizioni romane incastrate nel muro della chiesa di S. Giovanni di Duino (1820); I due primi libri della storia naturale di C. Plinio Secondo recati in italiano dall’ab. Giuseppe Berini, i quali si stampano come saggio della traduzione di tutta l’opera (1824); Indagine sullo stato del Timavo e delle sue adjacenze aI principio dell’era cristiana dell’ab. Giuseppe Beriní di Ronchi di Monfalcone (1826). L’eminente cattedratico veneto Pier Andrea Saccardo (1845 -1920) stigmatizzò il pregevole lavoro di ricognizione, ricerca e divulgazione sulla flora regionale svolto da Berini, nonché la valenza del suo erbario, dedicandogli una nota biografica, inserita nel corposo volume del 1869 sulla Storia e Letteratura della Flora Veneta, contenente tra l’altro le biografie di numerosi qualificati ricercatori: “ ... Giuseppe Berini era uno studioso abate di Monfalcone. Si acquistò una buona reputazione per i dotti commenti da lui fatti ad una edizione della storia naturale di Plinio il seniore, ma ancor più perché attese con molta diligenza a perlustrare botanicamente il territorio friulano, e si formò un erbario considerevole di quella flora, e malte e notabi-
lissime piante comunicò ai botanici suoi conoscenti, e segnatamente al Suffren e al Bertoloni, che le accennarono nelle loro flore ...”. Il gradiscano prof. Giovanni de’ Brignoli di Brúnnhoff (cofondatore dell’Orto botanico di Urbino e docente di botanica e agraria presso l’Ateneo modenese) dedicò “ ... all’illustre Sig. Ab. Berini de Ronchi di Monfalcone in Friuli ...”, in segno di particolare stima e deferenza, un genere botanico, quale la crepis chondrilloídes genere berinia, appunto. L’abate Giuseppe Berini si spense a Ronchi il 1 maggio 1831 (Status dioeceseos Goritiensis personalis et localis, 1832). Lasciò in eredità al suo discepolo, amico e concittadino Leonardo Brumati, con testamento del 12 gennaio 1830, “... libri, suppellettili e oggetti scientifici ... ”, come risulta da un documento del 30 ottobre 1833, inserito in un carteggio datato 5 maggio 1831 contenente anche il “... Catalogo dei libri formanti parte della facoltà relitta del defunto don Giuseppe Berini di Ronchi”, ben 132 volumi (Giudizio Distrettuale di Monfalcone, Archivio di Stato Gorizia, b. 8 f. 58): tale carteggio fa parte della documentazione relativa al contenzioso acceso con successo dalla famiglia Bosma di Turriaco avverso la suddivisione dell’eredità dell’Abate. Il Comune di Ronchi, a suo tempo, gli dedicò il breve tratto stradale che da via Duca D’Aosta va a via Aeroporto: troppo poco per un personaggio di tale levatura. Almeno a Leonardo Brumati, altro figlio illustre della prolifica terra bisiaca, venne intitolata la scuola elementare di via Capitello a Vermegliano, oltre alla viuzza esistente in destra del Canale de Dottori, che da viale della Serenissima si inoltra verso l’aperta campagna. Vuolsi così colà...
Renato Duca e Renato Cosma
Renato Duca è stato direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana; Renato Cosma è stato condirettore del Consorzio di bonifica Pianura Isontina
Di fianco, G. Berini Indagine sullo stato del Timavo Udine, 1826. In apertura, Crepis chaodrilloides genere “Berinia” dedicata a Berini.
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PERSONAGGI DENIS MONTE Intervista di Margherita Reguitti
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Dr. Jekyll e Mr. Hyde Docente e direttore di coro di voci bianche ma anche tastierista di una apprezzata cover band regionale. «Vent’anni fa ho assistito a un’esibizione canora di un gruppo di bambini: fu una folgorazione». Nacque così Artemìa. E un’avventura di successo capace di stregare artisti come Elisa e Remo Anzovino.
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«Il mio babbo è sempre in movimento, non si ferma mai». Parola del piccolo Gioele. Il suo papa è Denis Monte, musicista e direttore artistico da oltre 20 anni dell’Associazione “Artemìa” di Torviscosa, complesso corale del quale fanno parte, suddivisi in 4 organici a seconda dell’età, circa 90 giovani coristi e coriste dai 4 ai 25 anni. Ma Denis di notte si trasforma e, come un moderno dr. Jekyll e mr. Hyde, svela un’anima e un’energia vitale pop-rock. Dal 1988, infatti, fa parte di una cover band che si esibisce con successo in Friuli Venezia Giulia. Una doppia personalità espressiva la sua: da una parte pianista e tastierista, dall’altra docente e direttore di coro di voci bianche, in equilibrio stabile nel segno di repertori e generi tanto diversi, quasi estremi, in apparenza lontani, ma uniti dal piacere di fare musica e comunicare emozioni. Denis, come è iniziata l’attività di direttore di coro di voci bianche? «La musica è sempre stata nel mio DNA. Alla fine degli anni ’80 suonavo in una cover band con un repertorio di brani rock, dai Pink Floyd ai Dire Straits, da Gloria Gaynor a James Brown e Led Zeppelin. Era un gruppo di ragazzi di Torviscosa composto da Cristiano Pittini, Fabio Marchesini, Luca Peloi e Andrea Fontana (oggi batterista di Elisa). Una passione che da allora mi porta sui palchi di locali e feste in regione. Poi il caso: un giorno ero a Udine, durante la manifestazione Telethon, e sono entrato in una banca dove era in atto un’esibizione di un gruppo di bambini e bambine. Fu una folgorazione! Una forte emozione a pelle. Mi sono innamorato del suono angelico e incan48
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tevole delle loro voci e subito ho avuto la netta consapevolezza che quella sarebbe stata la mia strada». Tanto da fare di questa emozione una professione? «Direi di sì. Immediato è stato il desiderio non solo di lavorare con le voci dei piccoli ma di creare il mio coro. Fino a quel punto avevo già avuto esperienza di didattica infantile, ma nulla di più. Ho seguito la mia emozione anche per avere coscienza di quale sarebbe stata la mia strada professionale». Che cosa l’ha colpita? «Ricordo in modo nitido l’emozione della limpidezza delle voci, la piacevole sensazione di essere travolto dal suono lieve e suggestivo delle note. Oggi, a distanza di circa 20 anni, riesco a rivivere le sensazioni belle e forti provate ascoltando le onde sonore di quel canto. Era uno stato di equilibrio perfetto, estetico ed estatico, piacere assoluto, serenità, pace, bellezza, potenzialità di creare e ricreare emozioni fatte di sensazioni e colori». Fin qui il ricordo di emozioni. Poi quali passi ha mosso per trasformare il sogno in realtà? «Da subito ho cercato di capire come si potesse formare un coro di bambini e bambine. Avevo una formazione musicale accademica e professionale come pianista e tastierista di musica pop moderna, ma ho capito da subito che ne era necessaria una specifica. Così ho iniziato a seguire dei masterclass e dei corsi di perfezionamento in canto corale in giro per l’Italia». È stato difficile? «In Friuli Venezia Giulia esiste l’Unione delle società corali italiane, realtà importante per la tradizione coraIn apertura, primo piano di Denis Monte (ph. Davide Cristin).
le. A livello nazionale un riferimento fra i più autorevoli è la Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali. All’interno delle loro attività vengono organizzati validi corsi specifici. Poi tanto studio: a Roma, in Lombardia, a Vittorio Veneto ma anche all’estero. Ho un ricordo bello di quegli anni di formazione; luoghi dove ieri sono stato studente e oggi docente». Come è nata l’associazione Artemìa e il coro omonimo? «Il nome deriva dal mio desiderio e volontà di creare un’arte che fosse espressione della mia personalità. In parallelo alla formazione ho seguito il mio istinto, il mio personale modo di esprimermi. Quando mi viene chiesto di spiegare la mia esperienza e di trasmetterla ad altri ho difficoltà a razionalizzare. Come spiegare il fatto che il mio progetto di direttore di coro è frutto dell’espressione di un’emozione forte, scaturita dal mio intimo. Le azioni, i progetti, i programmi poi sono arrivati su questa spinta emozionale». Quali sono i fondamentali del suo metodo didattico? «Lavoro molto per immagini cercando di arrivare a un particolare suono, pensando a una specifica situazione, a un’immagine o a un colore che descrivano un paesaggio, un quadro. Una visione nella quale le tonalità e il segno sono le note. Forse è più semplice fare un esempio: note acute possono fare pensare a un cielo stellato, sul pentagramma gli astri sono le note legate fra loro a comporre l’armonia e la bellezza di un cielo notturno. Ma un esempio può anche essere il piacere di arrivare a un rifugio di montagna, dove trovare ristoro e buon cibo, gustando l’appagamento e la soddisfazione di una meta raggiunta. Sono queste alcune delle emozioni di riferimento per dare intensità nell’esecuzione di un brano. In que-
Denis Monte (ph. Simone Di Luca), classe 1971, si specializza in direzione e vocalità infantile con stimati direttori italiani ed esteri. Nel maggio 2009 è stato premiato come miglior direttore al 5° Concorso Nazionale per voci bianche di Malcesine (VR). Ha partecipato come docente al Festival di Primavera 2010, 2011, 2017 e 2018: manifestazione corale per le scuole organizzata dalla Feniarco. Collabora con l’USCI per i corsi di formazione rivolti a coristi e direttori di coro. Ha collaborato con Elisa per la realizzazione degli arrangiamenti corali di Ivy e di diverse produzioni musicali. Nel 2015 è stato premiato come migliore direttore al Concorso Corale Nazionale di Vittorio Veneto.
sti anni ho sperimentato come sia possibile infondere potenza emozionale a un canto attraverso l’immagine di un pensiero dalla quale scaturisce la magia musicale di un’interpretazione. Dunque un modo per proporre musica e lasciare in libertà i pensieri». I suoi coristi e coriste come reagiscono? «Il risultato è sorprendente: le loro voci hanno quel qualcosa in più non scritto sul pentagramma che si manifesta nell’unicità di un’interpretazione, nella vo-
lontà di fare arrivare e condividere con il pubblico qualcosa di percettibile, ma non facilmente definibile». Per arrivare a un’esecuzione perfetta servono anche lavoro, studio, disciplina… «Provare e riprovare, ripetere un brano fino ad arrivare alla perfezione serve molto. Ma l’essenza per giungere a un buon risultato è una fortissima motivazione. Il direttore la trasmette ai suoi coristi e coriste, ricevendo in cambio tanto entusiasmo. Non serve rigore quanto la voglia di ripetere fino al risultato perfetto, per raggiungere l’interpretazione più aderente allo spirito del brano, dove ogni sfumatura valorizza e contribuisce al giusto insieme. Per me la soddisfazione più grande è la richiesta del coro di rifare e rifare. In tutto questo serve anche la disciplina, ma viene dopo l’entusiasmo». Che cosa chiede in particolare ai suoi coristi? «Eleganza nel porsi al pubblico, non solo precisione interpretativa. Riservo molta attenzione, quasi maniacale, all’insieme visivo emozionale, non solo nel suo complesso sonoro. L’effetto deve essere percepito dal pubblico come un blend armonico e visivo che inebria». Che età hanno i suoi cantori e che repertorio eseguite nei vostri concerti? «Età molto diverse: i piccoli nella fase propedeutica iniziano a 4 anni, quindi si passa alla fascia preparatoria dagli 8 ai 14 e i grandi dai 15 ai 25. Il repertorio è vario: dalla musica romantica e rinascimentale alla contemporanea, con anche brani di musica sacra. Spaziano dal compositore inglese Benjamin Britten all’ungherese Bela Bartok al friulano Orlando Dipiazza». Nel vostro curriculum anche esperienze di registrazioni in studio ed esibizioni dal vivo con artisti importanti del panorama nazione e internazionale come Elisa e Remo Anzovino… «A settembre 2010 abbiamo preso parte alle registrazioni del CD e DVD Ivy e Steppin’ on water di Elisa e con lei abbiamo partecipato al tour nei maggiori teatri italiani. Nel 2012 abbiamo cantato con lei e Ligabue al concerto Italia Loves Emilia, a favore delle popolazioni emiliane colpite dal sisma, davanti a un pubblico di oltre 150 mila persone. È stata un’esperienza molto formativa: il coro l’ha affrontata con professionalità disarmante e assoluta. Nel 2018 abbiamo partecipato alla registrazione della colonna sonora di Remo Anzovino del documentario Hitler contro Picasso. Si sono comportati da navigati professionisti suscitando l’apprezzamento di tutti». Il coro dunque è una scuola di vita? «Direi di sì; i grandi aiutano i piccoli e si crea un senso di gruppo, nel segno della solidarietà che poi rimane nella vita un valore umano che aiuta. Non è solo il luogo del bel canto ma anche della gioia di stare assieme e condividere. Questo è evidente nelle fotografie che vengono postate nei social, di armonia anche esistenziale». Quali doti servono per essere un rispettato docente e direttore? «Non è facile rispondere. Direi essere veri, energici, preparati e anche un poco bambini per lavorare con i bambini, con grande senso di umiltà». E la notte? «Tastiera a tracolla e saltare sul palco!» Margherita Reguitti
Alcune immagini del Coro Artemìa e del Maestro Denis Monte. In basso il coro di voci bianche durante uno dei concerti del tour con Elisa (ph. Simone Di Luca).
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Dove le parole
ROCCO RESCIGNO Intervista di Andrea Doncovio
non bastano
ph. Kurt Steinhausen
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PERSONAGGI
Friulano di Pasian di Prato, ma tedesco d’adozione. Dopo due anni da accademista nei Berliner Philharmoniker, ora a 27 anni è il Primo Trombone Solo della Duisburger Philharmoniker. «L’Italia rimane casa mia, ma preferisco fare il mio lavoro altrove». Con un sogno nel cuore: tornare a vivere in Friuli.
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Rocco Rescigno, quando è nata la passione per la musica? «La passione per la musica si lega a tre fattori importanti della mia infanzia: la famiglia, la parrocchia e la banda musicale. Sono sempre stato affascinato dalle messe cantate e dal suono dell’organo. Inoltre ricordo molto bene le domeniche in cui la Banda di Passons si schierava per le processioni. La grande rivelazione arrivò quando mio zio Marcello mi prestò la sua tromba per una settimana: si accese la scintilla vera e propria. Iniziai i corsi alla Scuola di Musica a Passons inizialmente con solfeggio e pianoforte, il trombone arrivò successivamente. Fondamentali sono stati i miei insegnanti e lo staff della Scuola di Musica perché, dopo tutto, si producono difficilmente frutti se non si hanno persone dedite, professionali e appassionate che si curano delle piantine. Inoltre in parrocchia ebbi successivamente la possibilità di accompagnare le messe all’organo e cantare con il Coro Santa Cecilia. Quindi ebbi la fortuna di avere molti input fin dai miei primi approcci alla musica». Dalla passione allo studio: cosa ricorda del periodo del Conservatorio? «Ho ottimi ricordi. Ero circondato da tanti amici, da professori validi e nuove opportunità. Le lezioni e il tempo con il prof. Lazzaroni sono stati fondamentali per la conoscenza del mondo lavorativo e per un cor52
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retto approccio a esso, senza dire no alla passione. Ricordo di aver ricevuto supporto e tanta fiducia. Il periodo del Conservatorio coincise con lo studio al Liceo ed è stata una piccola sfida portare tutto al termine. I ricordi sono indelebili come molte amicizie che si sono create i quei quattro anni». Passione e studio sono fondamentali, ma non bastano. Cos’altro serve per diventare un musicista? «Consapevolezza, pazienza e perseveranza sono atteggiamenti essenziali per vivere la musica fino in fondo. La consapevolezza che la perfezione non esiste e che gli errori sono utili anche se spesso fanno male. La pazienza nell’attendere i risultati e le giuste occasioni. La perseveranza, che io parafraserei nella voglia di non mollare mai, unisce pazienza e consapevolezza. Quello che però non può mancare è senza dubbio l’amore per il dono che si è ricevuto, che non bisogna considerare tanto sottinteso». Nel 2011 ha proseguito i suoi studi in Germania: come mai questa scelta? «Più che una scelta sono stati un treno e un aereo da non perdere. A un concorso conobbi un trombonista, Marko Ilic, il quale mi prese in simpatia e mi indirizzò a un corso di perfezionamento del mio attuale professore (e in precedenza suo) ad Aosta. Il tutto andò bene e nel giro di non molto ricevetti un invito per l’esame di ammissione per l’Università degli studi musicali di Berlino.
ph. Angelo Salvin
Nel bel mezzo degli esami di maturità mi presentai a Berlino e poco dopo ricevetti la notizia di essere stato ammesso. Così dopo aver preso il treno verso Aosta era l’ora del volo per Berlino, il 17 ottobre 2011». Quali sono le principali differenze tra Germania e Italia nell’ambito della formazione musicale? «Probabilmente la differenza più importante sta nella preparazione al lavoro orchestrale che, in Germania, è molto più sentita. Inoltre lo studio delle materie teoriche viene visto da un lato più pratico che tecnico». E le differenze tra il pubblico musicale dei due Paesi? «Il pubblico tedesco si presenta forse meno gessato del nostro. La grande quantità di giovani presenti ai concerti aiuta anche nella flessibilità generale degli uditori e quindi sprona a repertori più contemporanei e regie innovative. Credo che la qualità musicale di un Paese o delle orchestre presenti sul territorio abbia molto a che vedere con il proprio pubblico. Un pubblico esigente sprona le formazioni musicali al miglioramento o a un adattamento. Probabilmente il pubblico tedesco si dimostra più consapevole e ci tiene alla riflessione della propria cultura musicale nella società». Due anni fa lei è stato selezionato e premiato come studente meritevole dall’Università delle Arti di Berlino: cosa ha significato questo riconoscimento? «Il significato più grande lo ha avuto il concerto che faceva parte di questa premiazione. Non c’è nulla di più bello del poter condividere la propria felicità con il pubblico, soprattutto perché erano presenti tanti amici». Cos’è la musica per Rocco Rescigno? «La musica per me è un dono che permette di esprimersi in modo unico, il momento in cui ti vibra l’anima, chiudi gli occhi e voli laddove le parole non bastano». Come mai ha scelto di suonare il trombone? «A dire il vero non lo so… c’è sempre stato qualcosa che mi attirava nello strumento. Ora invece comprendo che il trombone è lo strumento più indicato per dare un significato musicale concreto alla mia personalità. Forse ci siamo un po’ scelti a vicenda». C’è un musicista a cui si ispira? «La fonte di ispirazione sono stati i miei insegnati e ognuno di loro ha una parte importante nel mio studio quotidiano. Ci sono però due persone che mi affascinano particolarmente: Emmanuel Pahud, per la sua freschezza e geniale musicalità; Christian Gerhaher per la sottile qualità della sua voce nell’esprimere al meglio il significato di ciò che canta tramutandolo in arte pura». La sua esperienza in Germania prosegue con l’orchestra Duisburger Philharmoniker – Deutsche Oper am Rhein, in cui ricopre il ruolo di Primo Trombone Solo. In Italia sarebbe stato possibile? «Con i se e con i ma è difficile rapportarsi. Credo che la mia personalità e metodo si identifichino di più con la cultura musicale tedesca e che non mi sarei
trovato a pieno agio nel lavorare in Italia. I due anni da accademista nei Berliner Philharmoniker sono stati per me la riprova che questo modus operandi e vivendi della musica sono quelli a me più consoni. Di conseguenza le mie audizioni si sono concentrate per lo più sul territorio tedesco. L’Italia rimane casa mia, ma preferisco fare il mio lavoro altrove, salvo casi particolari». A proposito, come giudica lo stato di salute della musica nel nostro Paese? «Io la vedo come un brutto raffreddore che si ostenta a non guarire. Ci sono diversi metodi per curarlo ma ci si dimentica sempre di lui e con il tempo lo si trascura per davvero. E tutti sappiamo che da un piccolo raffreddore ci si può ammalare di influenza. Ecco, io credo che il corpo musicale italiano sia in uno stato influenzale per trascurate cure». Quale consiglio darebbe ai giovani che desiderano intraprendere la carriera musicale? «Ritengo la musica un piccolo matrimonio tra musicista e strumento. Il momento del sì deve arrivare quando si è sicuri e consapevoli delle responsabilità che la scelta determina. Quindi, se si ama la musica con tutto il proprio cuore nella buona e cattiva sorte, in ricchezza di emozioni e povertà, vale la pena andare fino in fondo e buttarsi nel bellissimo mare dell’arte musicale». Dai consigli ai sogni: quali sono quelli che Rocco Rescigno vorrebbe realizzare? «Per me è molto importante mettere degli obiettivi per spronarmi in diverse direzioni. Tante belle cose le ho già realizzate, molte ancora sono in cantiere. I sogni lavorativi non vorrei svelarli per scaramanzia… Un sogno di vita sarebbe poter fare il mio lavoro vivendo in Friuli, avendo le Alpi a Nord a proteggere le mie giornate». Andrea Doncovio |
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EVENTI
FESTIVAL DEL GIORNALISMO Servizio della redazione Immagini di Leali delle Notizie
Dentro le notizie
A Ronchi dei Legionari torna l’evento dedicato al mondo dell’informazione. Due lunghi fine settimana tra mostre, incontri e aperitivi letterari. Ecco il programma completo.
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Organizzata dall’associazione culturale Leali delle Notizie, dal 5 al 15 giugno 2019 si svolgerà a Ronchi dei Legionari - sede principale - la quinta edizione del “Festival del Giornalismo”, manifestazione che avrà come “palcoscenico” ideale piazzetta Francesco Giuseppe I, spazio pubblico racchiuso tra l’auditorium comunale e Villa Vicentini Miniussi, sede del Consorzio Culturale Monfalconese, ma che coinvolgerà quest’anno anche l’auditorium comunale, la sala Zappata del Trieste Airport e altri tre comuni del mandamento, oltre a un ristorante di New York. L’iniziativa propone una serie di incontri – condotti da giornalisti – che, partendo da temi d’attualità, hanno anche l’obiettivo di svelare il rapporto tra mondo del giornalismo e i fruitori della notizia. Verrà dato spazio poi a presentazioni editoriali con due specifiche iniziative: “Libri Leali” e “Aperitivo letterario” che prevede incontri con autori nel Giardino del Consorzio di Bonifica. Due le mostre fotografiche che completeranno il festival, allestite nella sede dell’associazione Leali delle Notizie in piazzetta Francesco Giuseppe e nella sala espositiva Furio Lauri del Trieste Airport. Il Festival sarà organizzato in due sezioni. La prima, denominata “Aspettando il festival...”, vedrà mercoledì 5 giugno nel comune di Fogliano Redipuglia il panel dedicato allo sport e al suo rapporto con la felicità e il benessere, alla presenza 54
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di giornalisti del settore, esperti e alcuni atleti italiani che hanno raggiunto riconoscimenti mondiali. Giovedì 6 giugno alle 20 sarà inaugurata la mostra fotografica “Appunti fotografici” del fotoreporter Pietro Del Re nella sala espositiva “Furio Lauri” del Trieste Airport; a seguire, alle 20.30, si svolgerà il panel “Dal Trattato degli Uccelli all’atterraggio su Marte” dedicato alla storia dell’aeronautica, dalle esperienze di volo di Leonardo Da Vinci alla sperimentazione odierna. Chiuderà la prima sezione l’appuntamento di venerdì 7 giugno nel Piazzale delle Cannoniere/Museo del Monte San Michele in comune di Sagrado, alle 20.30, panel che sarà dedicato alla tragedia e alla violenza che si ripetono in tutte le guerre e al pericolo della diffusione degli estremismi. La seconda sezione del Festival dall’11 al 15 giugno si svolgerà principalmente a Ronchi, in piazzetta Francesco Giuseppe I, ma l’anteprima si svolgerà martedì 11 giugno in Villa Sbruglio Prandi di Cassegliano, frazione del comune di San Pier d’Isonzo dove, alle 20.30, si parlerà di cambiamenti climatici e delle loro conseguenze sulla vita umana. Mercoledì 12 giugno alle 20 verrà inaugurata ufficialmente l’edizione 2019 del Festival del Giornalismo, a cui seguirà alle 20.30 l’inaugurazione della seconda mostra fotografica nella sede dell’associazione, “Sguardi oltre al conflitto meIn queste pagine, due immagini della consegna del premio Galizia alla giornalista Federica Angeli durante la serata finale della passata edizione del Festival (ph. Katia Bonaventura).
diorientale” del fotoreporter Giulio Magnifico. Alle 21 si chiuderà la serata con un panel dedicato al fenomeno delle migrazioni. Giovedì 13 giugno in piazzetta Francesco Giuseppe I, alle 18.30, è previsto il panel “Giovani e nuovi spazi dell’informazione”. Alle 21 ci sarà “La disinformazione è servita”, panel dedicato alle fake news su alimentazione, diete, cibo e salute. Venerdì 14 giugno il primo panel, in piazzetta Francesco Giuseppe, alle 18.30 sarà dedicato alla comunicazione dell’arte sequenziale (Storie disegnate, fumetto, racconto illustrato) e sarà realizzato in collaborazione con l’associazione culturale Etra. Alle 21 secondo panel della giornata dedicato al diritto di fine vita e al dibattito sull’eutanasia. Tra giovedì e venerdì sono previste anche quattro presentazioni editoriali, divise in due appuntamenti “Libri leali” e “Aperitivo letterario”. Sabato 15 giugno nell’Auditorium comunale, dalle 10 alle 13, si svolgerà il Masterclass su Long-form journalism and visual journalism con esperti e addetti del settore. Alle 18.30 panel dedicato a “Amo, amavi, amare le forme dell’amore”. La seconda sezione del festival si concluderà alle 21 con il panel sulle ecomafie. Nella serata conclusiva del Festival, sabato 15 giugno, si svolgerà la cerimonia di consegna della se-
conda edizione del premio “Leali delle Notizie - in memoria di Daphne Caruana Galizia”, giornalista maltese uccisa in un attentato nell’ottobre 2016, premio che ha avuto il consenso della famiglia di Daphne. Un apposito comitato scientifico assegnerà il riconoscimento a un operatore del mondo dell’informazione che si sia distinto, in Italia come all’estero, con le sue inchieste e le sue ricerche, mettendo in pericolo la sua vita e spesso anche quella della sua famiglia. Il premio gode del patrocinio della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, di Assostampa Fvg, dell’Ordine nazionale e regionale dei Giornalisti e soprattutto dell’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo. Info: www.lealidellenotizie.wordpress.com
COOPERATIVA SOCIALE PROMETEO
L’umanità dell’inclusione
Realizzare un centro educativo e socioriabilitativo per ragazzi con disabilità all’interno di Villa Asiola, a Villa Vicentina. Un sogno che, con il coinvolgimento delle istituzioni, il cervignanese Salvo Barbera vuole trasformare in realtà.
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«Nell’immaginario collettivo, la persona con disabilità viene considerata solo come bisognosa di cure e assistenza: ed è qui che nasce il problema. Se noi vogliamo crescere come società dobbiamo tassativamente abbattere questo stereotipo e cominciare a guardare la persona con disabilità come una risorsa». La passione che Salvo Barbera trasmette quando spiega il suo progetto è la stessa che lo anima da anni. Dopo aver allestito, in collaborazione con il Ricreatorio San Michele di Cervignano, città in cui risiede e lavora, un gruppo teatrale – In scena per caso – composto da persone sia normodotate che con disabilità, ora vuole fare un passo ulteriore. «La volontà è avviare una cooperativa sociale e realizzare un centro socio riabilitativo educativo, da intitolare a mio fratello Luigi Barbera, persona con sindrome di down e autismo. Tutto ciò nascerebbe a Borgo Pacco, a Villa Vicentina, presso Villa Asiola». Una cooperativa per la quale è già stato individuato anche il nome: “Prometo”. «Prometeo – spiega Barbera – era una divintà greca molto vicina all’umanità: suo compito era condurla verso la civiltà e il progresso. Ma se vogliamo che Prometeo riesca nel suo intento bisogna che la disabilità faccia parte dell’umanità stessa».
Tre sono gli obbiettivi che – come riportato dal progetto già presentato a diverse istituzioni, tra cui la Regione FVG – si desidera raggiungere dalla nascita di questo centro in favore delle persone con disabilità: la normalizzazione, lo sviluppo e riconoscimento delle potenzialità, il maggior grado possibile di autonomia. «Questi obbiettivi – conclude Barbera – permetterebbero alla persona con disabilità di avere quel tanto desiderato riscatto sociale, quel diritto al riconoscimento dei propi talenti. Per giungere al traguardo c’è solo una via, l’inclusione. A tutto ciò verranno abbinate attività specifiche, che faranno intendere questo centro più come una scuola: dalla cultura allo sport integrato, dall’inclusione lavorativa al canto, dal ballo al teatro. È una sfida che si può vincere solo collaborando con le realtà associative del territorio, sostenendole e coinvolgendole. Vogliamo essere un centro inclusivo». Claudio Pizzin
In apertura, Villa Asiola; accanto, Salvo Barbera (secondo da sinistra) durante uno spettacolo del gruppo In scena per caso. |
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PERSONAGGI
BEPPINO FABRIS Intervista di Michele Tomaselli
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Quale futuro
per il sindacato?
L’importanza dell’organizzazione sindacale è sancita anche dalla nostra Costituzione. Eppure lo stato di salute dei sindacati non pare essere dei migliori. Tra errori del passato e obiettivi per il futuro, il segretario regionale di SAPOL prova a tirare le fila.
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Secondo i dati dell’Osservatorio sul Nord Est raccolti da Demos qualche mese fa, la percezione della popolazione del Triveneto verso i sindacati non gode di buona salute. In particolare, rispetto al passato, ad aver subito una netta diminuzione è la percezione della capacità di difesa dei lavoratori a tempo indeterminato (scesa dal 38% del 2012 al 22% del 2018); ma sembra che i sindacati abbiano perso efficacia anche nella salvaguardia di donne (dal 26% al 20%), giovani (dal 15% al 13%) e lavoratori atipici (dal 17% al 10%). Ne parliamo con Beppino Fabris vigile, sindacalista e segretario regionale di SAPOL, unica forza regionale che cresce ogni anno come numeri di icritti e rappresentanze sindacali unitarie, aderente alla CISAL. Un acronimo che sta a indicare Sindacato Autonomo di Polizia Locale e che rappresenta il principale sindacato di categoria delle forze di polizia del comparto unico della Regione Friuli Venezia Giulia. La CISAL è una confederazione di sindacati autonomi. Presente in tutti i settori professionali, sia pubblici che privati, è tradizionalmente forte nella scuola, SAPOL è una sua sigla aderente che da anni si batte per cercare più equiparazione tra i corpi di Polizia Locale e le Forze di Polizia dello Stato. Beppino, partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di istituire un sindacato autonomo delle forze di polizia locale degli Enti locali in FVG? «Una delle ragioni è stata quella di ritenere la politica sindacale delle grandi confederazioni (CGIL, CISL e UIL) inadatta a salvaguardare le specificità del nostro lavoro, così abbiamo voluto dar vita negli anni ’90 a un nuovo sindacato autonomo, slega58
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to da meccanismi politici e ideologici, per anteporre in primis i bisogni dei lavoratori. Al momento la Cisal, nell’ambito degli Enti locali, è la terza forza regionale». È sempre più in voga criticare l’operato dei dipendenti pubblici. Oggi la musica pare non cambiare sebbene siano intervenute nel recente passato diverse riforme. Secondo lei vi è interesse al problema o si tratta di mera strumentalizzazione? «Le immagini dell’impiegato di Sanremo che scende a timbrare il cartellino in mutande e della “timbratura di gruppo” dell’impiegato del Comune di Termini Imerese sono state delle situazioni disdicevoli che mi auguro non si verifichino più, ma non è ragionevole colpevolizzare e mettere alla gogna mediatica milioni di lavoratori pubblici per colpa di chi non ha rispettato le regole. Sarebbe opportuno non sparare continuamente sui dipendenti pubblici. Credo che dovremmo evitare questo clima di caccia alle streghe. La crisi ha aumentato la concorrenza tra le categorie e ai dipendenti pubblici oggi viene addebitata ogni sorta di colpa. Piuttosto prenderei in esame la mancanza di una visione strategica della politica». Tra le misure proposte per stoppare i furbetti del cartellino c’è quella dei controlli biometrici... «La rilevazione biometrica con impronte digitali è una misura estrema, piuttosto scenografica e al primo guasto tecnico sarebbe il caos. Sarebbe quindi un errore farne uso». Ritiene utile che i dipendenti pubblici segnalino i casi di assenteismo, di false attestazioni o comportamenti irregolari dei loro colleghi? «Certo. Tacere sarebbe una colpa mentre parlare In apertura, primo piano di Beppino Fabris.
un obbligo. Sono benvenuti tutti coloro che in un’azienda pubblica o privata segnalano e denunciano irregolarità. Non devono però essere lasciati soli ed esposti al rischio di minacce e ritorsioni. Una forma di garanzia prevista peraltro dalla legge sul whistleblowing». Si dice che “il pesce puzza dalla testa” per sottolineare il comportamento poco edificante di un leader o di capo. Secondo lei i dirigenti pubblici hanno delle colpe? «La dirigenza nella pubblica amministrazione è per eccellenza una casta: sono troppi e risultano strapagati. Non esistono giustificazioni per remunerazioni così alte. Inoltre il sistema li porta a disinteressarsi del personale e oggi, nonostante le tante leggi, continuano a non riconoscere il merito dei propri collaboratori. Inoltre beneficiano del premio di risultato che gli viene riconosciuto a prescindere dall’impegno». La meritocrazia è quindi una falsa retorica? «Il risultato in Italia è sotto gli occhi di tutti. Ma nella pubblica amministrazione qualcosa si potrebbe fare senza troppi tentennamenti, si tratterebbe di applicare dei meccanismi premiali veri, non premi a pioggia, e dare una flessibilità organizzativa a chi non è adatto a una mansione oltre che riconoscere maggiore responsabilità a chi se lo merita». Perché oggi un lavoratore dovrebbe credere nel sindacato? «La funzione dei sindacati nonostante tutto rimane fondamentale, altrimenti non ci sarebbe più alcuna possibilità di tutela dei lavoratori. Quindi, chi ha intenzione di contribuire o avere a cuore la difesa dei propri diritti e di quella di colleghi, non esiti a rivolgersi a un sindacato». Parliamo del territorio regionale. Tra gli argomenti che la CISAL sta portando avanti con forza ai tavoli della contrattazione c’è anche la richiesta di istituire un corpo di polizia locale regionale. Perché sarebbe importante costituirlo? «La disparità di trattamento e il malessere dei poliziotti locali dei Comuni della nostra regione impone alle forze politiche di trovare delle soluzioni per dare dignità e garanzie agli operatori della Polizia Locale. Chiediamo un confronto sereno affinché si possa costituire un corpo unico di Polizia Locale regionale che abbia funzioni di polizia stradale e di polizia amministrativa, per chiarire una volta per tutte quali compiti debbano essere ricompresi nell’attività demandata agli appartenenti della Polizia Locale. In particolar modo se, a oggi, l’agente di polizia locale è un impiegato in divisa o piuttosto è a tutti gli effetti un operatore delle forze dell’ordine. L’obiettivo è che il corpo di polizia possa beneficiare di una banca dati unica a valenza regionale e di una formazione professionale costante e unica; la qualcosa garantirebbe uniformità di comportamento e operatività». La CISAL fin dall’inizio si era opposta alla costituzione delle UTI, anche proclamando diversi scioperi, ritenendo che a rimetterci sarebbero stati soprattutto i lavoratori e i servizi erogati. La giun-
Lavoratori in sciopero durante una manifestazione.
ta regionale ha recentemente abrogato l’obbligo per i Comuni di aderire alle UTI e sta lavorando per tornare alle province… «Siamo l’unica regione d’Italia priva delle Provincie, ma creare nuovi enti di area vasta con competenze specifiche significherebbe causare nuovi disagi ai lavoratori, dato che molti uffici della Regione e delle UTI si troverebbero trasferiti in blocco. Mi auguro che non siano i soliti noti, ovvero i dipendenti, a fare da cavia in questo ennesimo processo di riforma. Già, infatti, sussistono dei problemi sui servizi erogati con il personale comandato a FVG Strade». Altre questioni spinose: la CISAL ha segnalato più volte ai vertici regionali le criticità che toccano il personale dell’Edilizia Scolastica dell’ex provincia di Udine e la mancanza di manutenzione nelle scuole superiori dell’intera regione. Ci può spiegare meglio? «La riforma degli Enti locali varata dalla precedente Giunta regionale ha permesso che il Servizio dell’Edilizia scolastica della Provincia di Udine (a differenza di tutte le altre funzioni passate all’Ente Regione) sia passato in blocco all’U.T.I. del Friuli Centrale. Il Servizio provinciale si occupava di quanto riguarda le opere, i lavori e le manutenzioni delle scuole secondarie di secondo grado di tutto il territorio della ex provincia. Questo trasferimento di funzioni non ha tenuto conto della complessità della gestione dell’edilizia scolastica secondaria di secondo grado, riguardante un territorio esteso e con esigenze diversificate. Questi uffici sono stati cancellati così come la professionalità acquisita dai dipendenti che, oramai ridotti all’osso, non riescono più a garantire i controlli necessari, mettendo rischio le condizioni dei fabbricati e degli utenti. Solo l’inserimento del servizio in una realtà già organizzata con specificità scolastiche, com’è l’Ente Regione, potrebbe risolvere la questione». Siamo arrivati alla fine. Quali sono i prossimi impegni e le battaglie sindacali da perseguire? «Dobbiamo rinnovare il contratto Collettivo Regionale di Lavoro del Comparto Unico non Dirigenti triennio 2019-2021 e seguire la contrattazione decentrata di oltre 250 Enti. Ci attende un anno intenso e difficile, ma il vero nodo resta quello di equiparare il trattamento salariale dei dipendenti del Comparto Unico. Credo non sia corretto erogare la quattordicesima mensilità solamente ai dipendenti dell’Ente Regione». Michele Tomaselli
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PERSONAGGI
IVANA PETEAN Servizio e immagini di Livio Nonis
La scienza
della demolizione
Cinquant’anni fa suo marito decise di avviare l’impresa per poter lavorare accanto a lei. Ora quell’azienda è ritenuta un modello dagli organi pubblici di controllo. Perché demolire auto, moto e camion è un procedimento complesso. Anche in termini di tutela ambientale.
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L’appuntamento con le “Nozze d’oro” è fissato per venerdì 7 giugno, quando il più vecchio esercizio commerciale di Ruda festeggerà i 50 anni di attività. Un vero record di longevità imprenditoriale per l’Autodemolizioni Petean, un piccolo gioiello che si trova sulla Strada Regionale 351, in località La Fredda, strada che da Cervignano del Friuli porta a Villesse. Questa attività è nata quasi per caso, quando Angelo Magro, marito di Ivana, a quel tempo autotrasportatore, propose alla consorte di condividere assieme il lavoro: aprire questa nuova impresa avrebbe infatti permesso di rimanere sempre vicino alla moglie e non andare in giro con il camion. Inoltre la bassa friulana era praticamente sprovvista della presenza di autodemolizioni. Ivana, entusiasta per l’opportunità proposta, si rimboccò le maniche e in breve tempo impiantò la piccola impresa. Dopo 10 lustri Autodemolizioni Petean è all’avanguardia per tecnologia e per il rispetto verso l’ambiente. L’azienda occupa una superficie di 7.500 metri quadrati e può ospitare fino a 550 automobili da rottamare. Ma qual è il tragitto che fa l’automobile dal ritiro alla demolizione? A spiegarlo è proprio Ivana, dall’alto dei suoi 50 anni d’esperienza. All’apparenza può sembrare un iter banale, invece bisogna saper fare un po’ di tutto, destreggiandosi fra burocrazia, meccanica e rispetto per l’ambiente.
Il ritiro
in sede avviene con mezzi autorizzati. Successivamente viene rilasciato un certificato di rottamazione e assunzione di responsabilità. Vengono poi sbrigate le pratiche di radiazione dal P.R.A. (Pubblico Registro Automobilistico) delle targhe e delle carte di circolazione dei veicoli; sono eseguite le pratiche di denuncia di cessazione sul certificato di proprietà e, in caso di smarrimento, viene redatta la nota libera NP-3C. Alla conclusione della procedura di radiazione è avviata la bonifica del mezzo. Dal 2002 il veicolo da rottamare è considerato un “rifiuto speciale”, quindi “pericoloso”, e deve essere bonificato secondo precisi parametri stabiliti dallo Stato (D.L.gs. D.L. 209 del 24/06/2003). «Il centro di raccolta, autorizzato dalla Provincia di Udine con atto n. 2011/1633 del 28/02/11, – precisa Ivana Petean – offre anche un servizio di trasporto con automezzo appositamente attrezzato e iscritto all’albo delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con autorizzazione n. TS00143 del 20/10/16. In tal caso viene compilato e firmato da entrambe le parti il formulario identificativo del rifiuto e il certificato di rottamazione. Non appena il veicolo entra nel Centro Autorizzato viene registrato ed emesso il certificato di rottamazione e impegno alla radiazione da parte del demolitore, previa la verifica della documentazione necessaria. In assenza di uno di questi documenti, è necessaria una denuncia di smarrimento, in originale, presentata presso un organo di Polizia. L’operazione viene anche annotata sul Registro numerato e vidimato dalla Questura (Ex Art.103).
Il ritiro di autovetture, cicli e motocicli (moto, motorini, scooter), autocarri fino a 35 quintali e trasporto In apertura, Ivana Petean nel suo ufficio. 60
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Entro 30 giorni viene perfezionata la radiazione presso il P.R.A. di competenza e gli estremi di questa vengono annotati anch’essi sul Registro della Questura e trasmessi al cliente a mezzo posta ordinaria o elettronica. Così, nel minor tempo possibile, si può ricevere direttamente a casa la copia della avvenuta radiazione del veicolo, mentre gli originali vengono custoditi nei no- In queste foto alcune fasi di smaltimeto di un autoveicolo. stri uffici per 5 anni a dimostrare che il veicolo è stato Recupero dei liquidi e gas esausti. preso in carico nel momento stesso in cui il cliente lo ha consegnato con la dovuta documentazione».
La bonifica
Dopo l’avvenuta radiazione al P.R.A. di competenza il veicolo è pronto per l’ultima fase della demolizione: la bonifica e messa in sicurezza. Grazie all’ausilio di speciali impianti e attrezzature, le operazioni di messa in sicurezza dei veicoli avvengono garantendo una bonifica dei liquidi presenti all’interno dell’autoveicolo rispettosa delle vigenti normative di settore. Questa fase comprende il prelievo di tutti i rifiuti del mezzo, compresi liquidi e accumulatori, con stoccaggio selezionato per tipologia. L’azienda è dotata di un impianto all’avanguardia per la bonifica: tutte le parti vengono stanziate negli appositi spazi di raccolta in attesa di essere mandate nei centri di recupero autorizzati con speciali mezzi di trasporto. Persino i piazzali dove sono depositati i veicoli sono stati impermeabilizzati attraverso la posa di guaine HDPE (è una particolare impermeabilizzazione e richiede la massima attenzione nelle finiture a tenuta stagna: l’impermeabilizzazione in HDPE offre una durata di vita superiore ai 500 anni se esposto ai raggi UV, un qualcosa in più rispetto ai tradizionali sistemi utilizzati, oltre a una resistenza meccanica impareggiabile e una resistenza agli acidi altamente corrosivi) e il calcestruzzo fibrorinforzato. Le acque di pioggia raccolte sui piazzali di stazionamento dei “rifiuti speciali”, prima di raggiungere il corpo ricettore, sono canalizzate a un sistema di trattamento di decantazione, disoleazione, filtrazione a coalescenza e fitodepurazione.
Sopra e sotto, smontaggio dei vari componenti, stoccaggio dei pezzi in buono stato, rivendibili nel mercato dell’usato, e smaltimento dei residui suddivisi per tipologia e classe di pericolo.
Servizio magazzino, vendita e ricambi
«Tutti i nostri pezzi di ricambio – sottolinea la signora Petean – sono preventivamente controllati e classificati. Il personale è professionale e preparato a consigliare sulla scelta dei pezzi richiesti dal cliente Impacchettamento finale delle lamiere, pronte per raggiunpiù adeguati al veicolo. Il magazzino è fornito di una gere la fonderia per dare vita a nuovo ferro. vasta gamma di ricambi per autovetture che comprendono sia parti meccaniche, elettriche che di carrozzeria. Organi di controllo hanno affermato che la nostra attività di autodemolizione è talmente precisa e rispettosa delle regole che potrebbe rappresentare un modello per tutti gli altri e questo, detto da enti pubblici preposti, ci ha fatto un enorme piacere». Livio Nonis |
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GIOVANI E POLITIC A
Il bene della res publica
Rubrica di Cristian Vecchiet
P E D A G O G I A
Sempre più spesso considerata sinonimo di corruzione e malcostume, la politica resta un elemento fondante della nostra società. Al quale le nuove generazioni devono tornare ad avvicinarsi. La politica, benché sia una delle attività più seguite, rappresenta una delle arti più discreditate. Da decenni ormai e da più parti viene considerata sinonimo di corruzione e di malcostume. Negli anni ’90 la critica ai politici di professione era decisamente diffusa. Negli ultimi anni si è affermato un po’ ovunque il cosiddetto “populismo”, che si alimenta sulla distanza incolmabile tra chi sta nel palazzo e il popolo, distanza dovuta al modo di agire di chi fa politica. È un vezzo comune ritenere la politica una cosa sporca, una pratica di fatto utilizzata per scopi soprattutto di convenienza personale o comunque di parte. E tuttavia molti – anzi la maggior parte – sono i politici capaci e gli amministratori che si impegnano con zelo nella gestione della cosa pubblica. Non solo: abbiamo una storia nazionale ricca di figure autorevoli di politici onesti, competenti e virtuosi. La politica è un’arte decisiva per l’uomo: senza di essa non c’è società. Infatti ha in mano le sorti dello stare insieme. Il termine politica deriva da polis (città), per cui essa a un tempo è l’arte e la scienza che si occupano del bene del vivere in comune. Il bene della res publica (cosa pubblica) è il perno della politica. Per Platone è l’arte più nobile. D’altra parte nella Grecia classica l’uomo si identifica con il cittadino. Per Aristotele l’uomo è un animale politico, cioè un animale relazionale, strutturalmente in relazione con gli altri suoi simili. Per papa Pio XI «la politica è la forma più alta di carità, seconda solo alla carità religiosa verso Dio». Dal bene della politica deriva in una certa misura il bene dell’uomo. La politica si occupa di tutti gli aspetti che definiscono la vita in comune. Di più, l’azione politica presuppone e promuove una visione della società e dell’uomo. I politici mettono in atto azioni e prendono decisioni che plasmano la vita degli uomini e così li formano e li educano anche nella loro personalità morale. Nella visione classica il bene più alto della politica (e del diritto) è rappresentato dalla giustizia. 62
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È anche per questo che l’educazione alla politica assume un peso decisivo in vista del bene dei singoli e delle comunità. Infatti un cittadino onesto e formato è un potenziale politico corretto e competente. Educare buoni cittadini equivale a educare buoni politici. Un buon cittadino è responsabile verso la cosa pubblica, adotta comportamenti di cura dei beni comuni e dei beni pubblici, mette in atto comportamenti sociali rispettosi del prossimo e sa selezionare la classe dirigente secondo la logica del maggior bene comune. È difficile credere nella possibilità di una classe dirigente competente ed eticamente solida se l’educazione alla cittadinanza è carente. Ed è difficile credere che la classe dirigente possa investire in politiche educative e scolastiche, se non è stata prima educata all’importanza della formazione e dello studio. L’educazione deve costituire il cuore portante dell’intenzionalità operativa dei politici. Come si può educare i ragazzi alla responsabilità e alla passione politica? Probabilmente bisogna educare innanzitutto al rispetto dell’altro e quindi al rispetto della cosa pubblica. Potremmo dire che bisogna educare al senso di sacralità dell’altro in primis e della cosa pubblica in secundis. Sostenere il ragionamento e il sentire pro-sociale e civico è decisivo. È importante che i ragazzi vedano i genitori rispettare le regole sociali, interessarsi delle questioni pubbliche e politiche. È importante che i figli vedano i genitori seguire un telegiornale, leggere i quotidiani, cercare le notizie, informarsi, appassionarsi della cosa pubblica. La fedeltà dell’adulto nell’interessarsi alla vita pubblica educa ai valori della corresponsabilità e della partecipazione. Vedere i genitori discutere di questioni civiche e vedere che coinvolgono in questo i figli aiuta a far sentire questi ultimi possibili protagonisti della vita pubblica. Ovviamente sostiene la formazione civica anche vedere che le figure significative (i genitori, gli insegnanti, gli allenatori) si impegnano concretamente nella vita pubblica e politica. Anche sempli-
cemente assistere agli incontri pubblici, alle assemblee, ai consigli comunali è un segno importante. A maggior ragione sacrificare tempo ed energie per battaglie politiche, civiche e amministrative. E magari motivare i figli e i ragazzi a fare altrettanto. Anche indicare delle figure positive sostiene la formazione della coscienza civica e politica. Esprimere apprezzamento per le decisioni positive e ammirazione per i comportamenti coerenti e gli atteggiamenti coraggiosi è un modo per indicare la via da seguire. Tutti noi abbiamo bisogno di esempi positivi per capire che un certo modo di fare è possibile e genera effetti buoni e duraturi. La politica è un’arte decisiva per la vita degli uomini. È l’arte che sostiene il bene delle persone sia come singoli sia come comunità, favorendo il bene pubblico e comunitario. Spesso viene considerata come appannaggio di chi punta solo ai propri interessi. Eppure essa rappresenta l’arte della pratica del bene comune. Darle credito e formare onesti cittadini è necessario per poter garantire alla comunità cui apparteniamo e a chi verrà dopo di noi un presente e un futuro che sappiano non solo rispettare ma soprattutto promuovere il bene di ciascuno e di tutti. E questo è un compito a cui l’educare non può sottrarsi.
Cristian Vecchiet
Docente di Teologia dell’Educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia
VITA E PREOCCUPAZIONI
Cosa attanaglia la nostra mente?
Rubrica di Manuel Millo
S O C I A L E
La nostra esistenza è fatta di relazioni. Con noi stessi e con il mondo che ci circonda. Due facce della stessa medaglia: perché saper ascoltare sé e l’altro può dare spazio alle emozioni più vere.
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Un mercoledì qualunque, giorno medianico della settimana in cui senti che sei a metà di un percorso sospeso tra determinato e indeterminato. La famiglia ti aspetta, al lavoro ti aspettano, gli amici del calcetto ti aspettano, i tuoi hobby ti aspettano, e tu a un certo punto cominci a perderti nell’onda dei tuoi pensieri. Non riesci più a comprendere la differenza tra il tuo tempo, quello della vita e quello del mondo. L’unica cosa che comincia a salire è la pressione alle tempie. Una condizione paradossalmente apocalittica? Non direi. Ma qual è la radice di questa dinamica non conforme al ritmo naturale della vita? E ancora quale dovrebbe essere il vero ritmo naturale della vita? In una prova molto sincera potremmo prendere qualche carta e una penna e divertirci con l’arte delle liste (faccio riferimento a un testo di Dominique Loreau ispirato alle discipline orientali e alla scoperta di sé). Dunque scriviamo su un foglio il pensiero che più ci preoccupa, che in qualche modo è diventato ossessivo, che non ci fa dormire o semplicemente che in qualche termine ci infastidisce o disturba. Su un altro foglio la persona che più amiamo e che ci ha più amati, o ancora quello che per noi conta davvero. Siate sinceri, non dovete mostrarlo a nessuno. Adesso, per un attimo ancora, prendiamo una ideale bilancia, quella classica a due piatti e teatralmente mettia|
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mo sopra a questi due piatti le due riflessioni. Dove pende? E soprattutto come riequilibrarla? Voi direte che “non è così facile”; anzi in modo professionalmente giudiziario comincerete a enucleare una serie di giustificazioni per cui “non è così facile’’ appunto distinguere i due piani o ancora vi sembrerà che essi siano inequivocabilmente intricati da una serie di correlazioni e di nodi insormontabili. Ma lo sono davvero? E se anche lo fossero è “davvero vero” che non si possono sciogliere? Il punto è se lo desiderate veramente. Vediamola così: a quale pensiero date maggiormente ascolto nella vostra giornata? Accade di frequente che questa situazione diventi così complessa da portarci via l’energia vitale. Cosa centra l’energia? Fondamentalmente tutto si basa su sistemi di interrelazione energetica; senza entrare nel campo fisico, vi basti pensare a quando ci definiamo “giù di batteria”… Ora qual è la vostra ricarica? Sport, passeggiata con gli amici, cinema, vacanze? Qualsiasi cosa sia, tutto è movimento e scambio di energia, nello specifico energia cinetica. Ci basta questo assaggio per comprendere che in poche distrazioni temporali potremmo essere come un motore fuori-giri: se non c’è la marcia giusta il rischio alla lunga è grippare il siste-
ma. Allora qual è la marcia giusta? Dipende dalla strada che stiamo percorrendo. Se siamo in città ne basta una bassa ma se passiamo in autostrada si va su quelle alte e se devo fare chilometri il serbatoio deve essere pieno e, a un certo punto, devo rabboccarlo. Nel nostro caso specifico qual è il rabbocco da fare per salvaguardare la nostra esistenza? Sono le relazioni. La nostra vita è fatta di relazione, di comunicazione, in primis con noi stessi e poi con il mondo che ci circonda. Ristabilire le giuste relazioni ed emozioni inoltre ci permette di riconoscere la marcia giusta da inserire in base alla strada da percorrere. E non solo. La psicologa Anna Bissi, nel suo testo Il Battito della Vita, ci ricorda che come dicevamo poche righe sopra, siamo fatti di emozioni. “Esse – ci spiega la l’autrice – rivestono un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona, abitano e colorano l’esistenza di tinte ora vivaci, ora cupe, le danno spessore, intensità... perché attraverso una corretta conoscenza delle emozioni e una loro consapevole e matura gestione si potrà vivere in armonia con se stessi e con gli altri”. Ripartiamo da qui, da questa armonia, come per riporre l’equilibrio ai pesi che portiamo sulle spalle ogni giorno. Se ci pensiamo abbiamo costituito attraverso le esperienze della nostra vita un’opera d’arte che corrisponde alla nostra immagine fisica e mentale. Ma poi, come se un artefice misterioso fosse giunto a modificarne il tratto, non riconosciamo più quel ritratto di noi. Ma se tutto fosse rimodellabile, con l’opportuna concretezza della realtà che viviamo, vi ritenete pronti a vedervi come un nuovo seme da far germogliare? Ogni volta che al mattino apriamo gli occhi, per esempio, la nostra giornata diventa trampolino di lancio per una nuova avventura. La saggezza taoista in questo ci viene in aiuto con una preziosa quanto applicabile meditazione: “Vuoi essere felice per una sera? Ubriacati! Vuoi essere felice per una settimana? Sposati! Vuoi essere felice per tutta la vita? Coltiva un giardino. Vuoi essere felice per l’eternità? Coltiva il tuo giardino interiore”. Qualsiasi cosa sia l’uomo, parafrasando il mistico Osho, egli non è altro che una situazione, una semplice apertura, un di-
venire dove moltissimo è occultato, e quella parte nascosta è di gran lunga la maggiore di ciò che è manifesto. Tornando dunque alla nostra morsa quotidiana, nella specificità di quel limbo settimanale in cui a volte ci sentiamo persi all’interno di una irregolare fragilità, quello che è necessario prendere in seria considerazione è come ci sentiamo e come vorremmo sentirci. Lo scarto delle due condizioni è il guadagno da porre in gioco per rendere fruttifero quel terreno che ci rende pienamente noi. Potremmo anche scegliere gli ingredienti come se fossero elementi di una ricetta, dove follia e saggezza si alternano sapientemente, per godersi la vita ed evitare gli inciampi. Non esiste una miscela che vada bene per tutti universalmente, se non quel tanto per accedere a ciò che magistralmente la storia biblica ricorda nelle sue pagine: “I disegni del cuore dell’uomo sono acque profonde ma l’uomo intelligente saprà attingervi” (Pr 20,5). E se “l’immersione” prevede una notevole profondità, ci vuole la giusta miscela di ossigeno per affrontare la pressione derivante. O ancora contrariamente al movimento incessante, il corretto modo di ascoltare il silenzio interiore, nello spazio che a esso dedicherete, diventerà orante incessante di proverbiale rivelazione. Nulla di nuovo si pone apparentemente all’orizzonte se non la scelta concreta di allargare la meccanica parete che vi ha stretti in quella morsa che più o forse mai vi appartiene. Molto a volte si comprende attraverso la lente che ponete innanzi al vostro occhio mentale, strumento fondamentale rispetto alla prospettiva d’insieme e forse, concludendo con una canzone degli 883 di molti anni fa, sapendo che “... Nord Sud Ovest Est e forse quel che cerco neanche c’è!”. Perché forse quello che mi attanaglia non è proprio così com’è, ma spesso dipende dalla “via” e dalla mia soggettiva. Nord...Sud...Ovest...Est.
Manuel Millo
Membro Onorario AGCI Ass Gen Cooperative Italiane
F I G L I D I U N O S P O R T M I N O R E o v v e r o , s a r a n n o ( s t a t i ) q u a s i f a m o s i !
Dietro le Quinte Del mondo dello spettacolo o dello sport la maggior parte di noi conosce solo i protagonisti, gli attori principali, mentre sappiamo poco di cosa accade e chi opera dietro le quinte. Sportivamente parlando i preparatori atletici, o figure similari, sono semisconosciuti ai più. Voglio invece dare il meritato lustro a questa categoria intervistando Cristian Agnoletti, udinese purosangue, fresco laureato in scienze motorie, nonché già maturo preparatore atletico, in quanto ultraquarantenne. Cristian, da bambino cosa avrebbe voluto fare da grande? «Il veterinario o il pilota di aerei, perché queste erano le mie passioni più grandi. Infatti mi sono diplomato perito meccanico all’Istituto Malignani. Però ho sempre sentito che aver cura degli altri era un messaggio innato che risiedeva nel mio profondo. Da piccolo costringevo mia madre a stare seduta per lunghi periodi perché gli dovevo massaggiare la cervicale… Era un massaggio spontaneo, fatto di amore e percezione, senza conoscenza alcuna. Però mia madre non ha mai sofferto di cervicalgie». Quindi il talento nascosto non era poi tanto nascosto… «La scuola italiana è anche scuola dell’arte di sopravvivere, nel senso che lo stimolo più grande che si riceve è quello di trovarsi subito una collocazione sociale, un posto di lavoro per soddisfare le esigenze di vita, piuttosto che coltivare il proprio talento. Fare il dipendente in una grande impresa è molto più facile che mettere su una propria attività, e anch’io ho esordito così nel mondo del lavoro». Però rimaneva quel sogno di bambino... «Sì, credo sia stato questo a portarmi a comprendere che la mia vera passione non era la meccanica delle macchine ma quella del corpo». E se nulla succede per caso, un corso per massaggiatore amatoriale… «Nel 1999 frequentai un corso di massaggio finalizzato solo a scopo ricreativo. Fu il primo passo verso la scoperta del talento. In realtà, con tutti i limiti che ha un corso amatoriale di massaggio, non fu proprio una Cristian Agnoletti, in maglia rossa con il team di Luca Cappellari
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passeggiata; essere impegnato per 8 mesi quasi ogni weekend e impiegare il resto del tempo libero per lo studio di Anatomia e Fisiologia crearono i presupposti che mi fecero sentire pronto a lasciare un lavoro sicuro e ben retribuito per il “salto nel blu”». E lei saltò. «Aprii il mio piccolo centro massaggi. All’epoca, circa vent’anni fa, mettersi in proprio in questo settore era più facile rispetto ad adesso. Oggi, con l’avvento dei social, dove puoi trovare di tutto, dai video illustrativi alle consulenze on line, sorvolando sui contenuti, l’accessibilità delle informazioni a tutti fa venir meno il bisogno di avere persone esperte nei vari settori». Quando ha capito che, per completare la sua professione, i muscoli bisognava anche viverli? «Quando dovetti riabilitarmi il ginocchio destro a seguito di un intervento chirurgico per la ricostruzione del legamento crociato. Pensai che avevo le carte in regola per diventare un personal trainer, e lì ripresi a studiare. Con gli anni sono passato dal piccolo centro massaggi dove facevo solo quello, a un secondo centro dove si aggiungeva la possibilità di accedere a una palestra per poter allenare gli utenti, atleti di rango o persone “qualsiasi” che fossero . Tuttavia, mi mancava ancora qualcosa. Avvertivo la necessità sviluppare i miei allenamenti all’esterno, e così ho creato il mio centro sportivo T&SLA vicino al Parco Moretti di Udine, dove ho la possibilità di allenare anche all’esterno usando il parco e la zona limitrofa». Come mai questo nome? «È l’acronimo di Training and Sport Life Academy, perché questa struttura vuole davvero essere un’Accademia per lo Sport della Vita, sia esso fatto come atleta o come persona che desidera avere un’opportunità di vivere la vita al meglio». Lei ha fatto quasi tutto il suo percorso con una famiglia “sulle spalle”. «Sia che parliamo di sport che della vita quotidiana, un atleta – o una persona realizzata – è tale perché lo vuole lui nel profondo e nulla potrà innalzarlo o affondar-
Cristian Agnoletti nel suo centro sportivo T&SLA
lo se lui non permetterà che ciò avvenga. Questa determinazione per qualcuno è innata, per altri va creata ed è per questo che esistono i genitori e gli allenatori, i life coach… Perché quando ci accorgiamo di avere davanti a noi un potenziale campione di vita, spetta a noi, a queste figure, far sì che il talento si realizzi. Personalmente ho una famiglia fantastica. Mia moglie Laura è coprotagonista di tutti i miei successi professionali e non, compreso l’aver messo al mondo nostra figlia Anna, uno spettacolo della natura». Quali qualità deve avere un buon allenatore? «Ci vuole tanta umiltà, è questa la qualità che ritengo indispensabile per un coach. Il resto viene da sé». E umilmente si arriva alla laurea in Scienze Motorie... «La mia laurea è stata voluta, perché non mi sento mai abbastanza preparato. Ogni giorno mi si prospettano domande nuove alle quali rispondere in modo professionale ed esauriente: è cosa assai difficile. Oggi poi la laurea è necessaria perché ci sono troppe persone che si improvvisano . L’unica differenza fra le mie e le altre lauree è che l’ho ottenuta in un campo attinente al lavoro che da 19 anni già pratico, e questo è un valore aggiunto perché molte delle cose che ho studiato le ho potute applicare da subito». Fra tanti sport differenti ci saranno modi differenti di preparazione… «Ogni sport ha un suo modo di essere allenato perché ha una fisiologia del movimento diverso da tutti gli altri. La cosa più importante è capire che ci sono delle linee guida che possono essere usate per diverse discipline. Ogni sport ha un suo movimento di base che è unico e legato alla disciplina in oggetto ma quel determinato movimento può essere preso come spunto è usato in diversi sport. Ad esempio il lavoro che si fa sulle parti dell’avambraccio, dei polsi e delle mani per il pilota di auto da corsa può essere usato per rinforzare i polsi delle atlete che fanno pattinaggio, a cui serve avere una struttura ossea e muscolare adatta ad attutire le cadute con appoggio delle mani a terra per subire meno danneggiamenti possibili dai traumi». Quali titoli hanno conquistato i “suoi” atleti? «Negli anni ho allenato diversi atleti che hanno ottenuto risultati degni di nota, anche se essere un atle-
ta è già cosa degna di enorme rispetto. L’atleta vero vive per lo sport che pratica, non ha tempi di riposo; deve allenarsi più volte al giorno, sei giorni su sette e alle volte sette su sette per mesi, deve mangiare, dormire, studiare in funzione dell’obiettivo finale da raggiungere. Deve dare il 200% per un risultato per nulla scontato. Deve fare i conti ogni giorno con fatica, stanchezza, dolori, cure, delusioni. Tra i tanti, ho avuto l’onore di allenare: Luca Cappellari, Campione del mondo FIA GT su Ferrari 550; il BMX rider Davide Maestrutti, quinto ai Campionati Europei nel 2017; Jonathan Cecotto, vice campione nel 2018 del “Lamborghini Super Trofeo”, e tutte le atlete agoniste della “Roller Skate Manzano” che seguo da tre anni e che continuano ad affermarsi in ambito regionale e nazionale con notevoli risultati». Per i non agonisti, quali sono le regole d’oro per tenersi in forma? «Scegliere qualcosa che piace e per cui dedicare molto tempo della propria vita; studiare e trovare un equilibrio nell’alimentazione; essere pronti a soffrire di un male che farà star bene alla fine dei giochi; essere felici dell’opportunità di avere persone che vogliono insegnarci qualcosa e che credono in noi; non prenderti
Cristian Agnoletti con lo staff dell’Atletico Madrid
in giro mai, le scuse sono un modo per accettare il fatto che in realtà questa cosa non la si vuole davvero; godere di tutti gli attimi in cui potersi sentire liberi di fare uno sport perché è un dono che non è concesso a tutti. Non importa essere un agonista o uno sportivo amatoriale, fare sport è per tutti, amare lo sport è per tutti, volersi più bene è per tutti. Questo è, in umiltà, il mio messaggio finale: di certo non sono il miglior massaggiatore della terra, né il preparatore più bravo in assoluto, ma faccio le cose con il cuore, con l’amore e il rispetto dovuto, e questo fa sì che tutto funzioni e continui a funzionare».
Michele D’Urso
Chiunque voglia segnalare “un mito della porta accanto”, può scrivere alla redazione di iMagazine: redazione@imagazine.it
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Rubrica di Livio Nonis Supporto tecnico di Dario Vetta
TURIPESCA
Pesca alla mosca Il fiume Isonzo offre numerosi luoghi adatti per tentare il re dei pesci: il temolo. A Gradisca, al confine con Poggio Terza Armata, le condizioni diventano ideali.
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In questa puntata proseguiremo le nostre esperienze di pesca scoprendo il fiume di pianura e per farlo utilizzeremo la regina delle tecniche per tentare il re dei pesci: la pesca alla mosca secca per catturare il temolo. Il tratto di fiume Isonzo prescelto è quello che costeggia Gradisca d’Isonzo, precisamente dove una correntella lambisce l’acqua bassa che si trascina lenta e stanca sui ciottoli bianchi e levigati. Presa la nostra attrezzatura percorriamo il sentierino che scende di lato alla passerella (sponda sinistra, Poggio Terza Armata); arrivati all’acqua scegliamo un bel masso e ci sediamo per osservare con tutta calma i giri d’acqua, i punti dove il pesce “bolla” e soprattutto quali insetti si trovano a ronzare in prossimità del tratto di fiume che a noi interessa. C’è una schiusa di effimere? Un volo di formichine alate? Scegliamo nel nostro tesoretto la mosca adatta (Shining Dun o Grayling Sedge nel primo caso, o una Black Ant nel secondo) e ci accingiamo, dopo aver dato una leggera passata alla mosca nel silicone per favorirne la galleggiabilità, a lanciare dove i pesci bollano. Il temolo, pesce splendido, combattivo e coraggioso, dalle carni sode e profumate, non teme l’uomo e pertan-
to non servirà usare particolari attenzioni nel muoversi per l’avvicinamento. Unico avvertimento è quello di fare molta attenzione alle dimensioni della mosca: questo pesce è infatti molto selettivo, attacca ma immediatamente rifiuta. Offritegli con facilità vari artificiali ma ricordate: piccolo è bello, utilizzate mosche dalle dimensioni uguali o leggermente inferiori agli insetti campione.
Gastronomia
Entrare al Mulin Vecio è un tuffo nella storia: tutto qui parla di amore e rispetto delle tradizioni e delle ritualità sociali di questa terra. Al Mulin Vecio, il buon vino locale di solito si fa accompagnare da qualche fetta di ottimo prosciutto San Daniele, che qui viene tagliato ancora a mano. Ma è possibile anche gustare altri buoni salumi friulani o i formaggi più o meno stagionati che custodiscono tutto il profumo delle montagne di questa regione. Il Mulin Vecio, però, offre ai suoi avventori anche la possibilità di godersi un buon piatto caldo: dalla salsiccia di cragno con i crauti, di tradizione slovena, alla tipica zuppa jota, dal gulasch con polenta alla trippa alla parmigiana. Piatti semplici, casalinghi e gustosi, che sanno mescolare con sapienza i frutti della terra alla carne, la tradizione friulana con quella mitteleuropea. Il locale si trova a Gradisca, in via Gorizia 2 (tel. 0481 99783).
Sopra, attrezzatura da pesca alla mosca, canna media potenza, coda di topo galleggiante, una selezione di artificiali e due finali; a destra, esca artificiale “Dry Fly Black Ant Variant”; sotto, esemplare di temolo.
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Pescatore in azione (ph. Itala Furlan)
Turismo
Il Monte San Michele, nella parte settentrionale del Carso isontino a pochi chilometri da Gradisca, propone un suggestivo itinerario tra storia e natura. Grazie a una serie di percorsi facili e adatti a tutti, si possono scoprire diverse strutture e i monumenti risalenti alla Grande Guerra, costruiti sulle pendici e sulle quattro cime di questo rilievo carsico. Famoso grazie alle poesie di Giuseppe Ungaretti, che qui combatté per diversi mesi, il Monte San Michele fu il teatro di battaglie durissime sul fronte isontino, specialmente nel primo anno di guerra. La cima, difesa dalle truppe ungheresi, era fondamentale per la sicurezza del fronte isontino e in particolare della città di Gorizia. I soldati italiani attaccarono più volte questo rilievo di appena 275 metri con risultati catastrofici, specialmente durante la Seconda e Terza Battaglia dell’Isonzo. Solo nell’agosto del 1916, durante la Sesta Battaglia dell’Isonzo, ci fu la svolta con la conquista della cima. Livio Nonis Come arrivare Chi viaggia in automobile e proviene dall’autostrada A4 Venezia Trieste potrà uscire al casello di Gradisca d’Isonzo. La cittadina è vicina alla linea ferroviaria Trieste-Udine, ma non ha una propria stazione. Quella più vicina è a Sagrado, a due chilometri, in direzione di Monfalcone. Gradisca è collegata a Gorizia, Monfalcone, Udine, Grado, Trieste per mezzo di pullman di linea che dispongono di tre fermate prossime al centro e che raggiungono tutte le principali località della regione. Dista meno di dieci chilometri dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Fiume Isonzo in un momento di “magra”.
Monfalcone, una bici speciale per trasportare disabili su sedia a rotelle
“Veloplus” è disponibile gratuitamente presso la sede della Croce Rossa Il Club SS202 Camionale Triestina Onlus e i FIAB Monfalcone Bisiachinbici hanno visto concretizzarsi il progetto da loro condiviso, ovvero la consegna ideale alla cittadinanza di Monfalcone della bicicletta per trasporto disabili su sedia a rotelle Veloplus. Questa bicicletta speciale (foto in alto), a pedalata assistita, ha la particolarità di avere una pedana basculante nella parte anteriore, che permette di far salire la sedia a rotelle con la persona già seduta sopra: pedana, sedia e persona vengono assicurate con cinture e appositi ganci di sicurezza al fine di evitare qualunque inconveniente. La Veloplus è dotata di freno a mano e retromarcia, specchietti retrovisori, borse laterali e batteria ricaricabile, ovvero tutto l’equipaggiamento necessario per rendere il suo utilizzo il più pratico, comodo e sicuro possibile, sia per il conducente che per il trasportato. L’acquisto di questa bicicletta è stato reso possibile grazie alla sinergia e alla collaborazione del “Club SS202” e dei “Bisiachinbici” ma è stato fondamentale anche l’aiuto finanziario dato da altri soggetti: Fondazione Casali di Trieste, Lions Club di Monfalcone, Bcc di Staranzano e Villesse, Bcc di Turriaco, Croce Verde Goriziana, il signor Tiziano De Simone e altri privati benefattori. Grazie a loro in soli sette mesi sono stati raccolti i 9.000 euro necessari per acquistare Veloplus, ordinata e fatta arrivare dall’Olanda. «Tutto ciò – dichiarano gli ideatori del progetto – è un bell’esempio di come l’unione possa davvero fare la forza». L’iniziativa ha inoltre ottenuto il patrocinio da parte della FISH Friuli Venezia Giulia – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e dei Comuni di Monfalcone, Turriaco e Villesse. Veloplus può essere presa a noleggio, gratuitamente, da persone costrette su sedia a rotelle e da un loro accompagnatore, presso la sede della Croce Rossa di Monfalcone, in viale Cosulich 20, previa prenotazione via mail all’indirizzo bisiachinbici@gmail.com. L’utilizzo è gratuito: facoltativa è l’iscrizione annuale alla FIAB (federazione italiana amici della bicicletta) del costo di 25 euro, che include anche l’assicurazione in caso di danni verso terzi. Per ulteriori informazioni su Veloplus e su tutte le altre iniziative dei Bisiachinbici e del Club SS202 potete consultare le rispettive pagine facebook o i siti www.bisiachinbici.it e www.ss202.it.
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ALLA SCOPERTA DI...
PRO LOCO STARANZANO Servizio di Livio Nonis Immagini di Pro Loco Staranzano
Una passione lunga trent’anni Il 5 giugno 1989 un gruppo di volontari, davanti a un notaio, dava vita all’associazione destinata a divenire l’anima delle attività della comunità. E che con immutata passione si appresta a festeggiare le “nozze di perla”.
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Se fosse un matrimonio sarebbero “nozze di perla”, trent’anni di collaborazione fra la Pro Loco di Staranzano e la comunità locale. Però tutto è iniziato nel 1984 grazie a un Comitato di commercianti e artigiani che volevano organizzare manifestazioni nel paese in modo da stimolare gli abitanti a uscire di casa. I contatti con il Comune e con la Cassa Rurale ed Artigiana di Staranzano permisero di incoraggiare e sostenere – anche fi nanziariamente – le prime iniziative, tra cui Natale a Staranzano, con spettacoli teatrali, mostre, lotterie, castagne, vin brulè e dolciumi per i più piccini, distribuiti da Babbo Natale. Gli eventi vennero ripetuti anche nel 1988, riscuotendo un notevole successo, tale da varare un ambizioso progetto che prevedeva la costituzione di un comitato permanente preposto alla valorizzazione del paese. Ecco così gettate le basi per la Pro Loco, nata ufficiosamente il 4 maggio 1989. Successivamente il comitato organizzatore, dopo le prime riunioni, la regolarizzò ufficialmente con partita iva e codice fiscale, grazie anche all’impegno di Enzo Bevilacqua, responsabile della Camera di Commercio di Gorizia, fi no a giunge all’iscrizione all’Associazione fra le Pro Loco del Friuli Venezia Giulia. Un mese più tardi, il 5 giugno 1989 venne costituito il primo consiglio direttivo, composto dal presidente Nerio Moimas, dal vicepresidente Bruno Ferrari, dal segretario Antonio Forte, dal vicesegretario Leonardo Simone, dal tesoriere Alberto Cecconi, dal vicetesoriere Luciano Pizzignach e dai consiglieri Livio Blason, Renzo Bolzan, Luciana Gallon, Franco Nicoli, Laura Miorin, Marcello Sullo. 70
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Sempre in quella data venne siglato l’atto ufficiale presso il notaio Germano di Ronchi dei Legionari, con la registrazione dello statuto, dal quale emerge che il Consiglio direttivo viene rieletto ogni tre anni e i componenti non possono avere cariche politiche. Successivamente vengono defi niti il logo dell’associazione e il regolamento: era nata ufficialmente la Pro Loco di Staranzano. Subito il Consiglio Comunale affidò alla nuova associazione la distribuzione dei buoni di Zona Franca della benzina. Vennero organizzate le prime manifestazioni, imperniate attorno alle feste natalizie, con luminarie in centro paese e nei negozi. Presero avvio le prime fiaccolate, la Fraja del Pes, le castagnate e altre manifestazioni conviviali, spettacoli teatrali, di varietà e cabaret. Ebbe grande successo l’esibizione di “talenti nascosti”, sorta di dilettanti allo sbaraglio, precursori della Corrida. Man mano che la Pro Loco si organizzava, si incrementavano le manifestazioni fi no a un coinvolgimento diretto nella famosa Sagra de le Raze, organizzata fi no al 2009 prima di passare il testimone a un comitato organizzatore ad hoc, vista l’importanza che la festa aveva assunto. Nei quattro lustri in cui la kermesse era targata Pro Loco, sono saliti sul palco nomi importanti come ad esempio Lorenzo Pilat (Pilade, quando era nel clan di Adriano Celentano). Tra gli eventi organizzati anche gare ciclistiche, la festa del Foto in apertura, alcuni collaboratori della Pro Loco Staranzano. Pagina accanto in alto, Sagra de le Raze; in basso Festa dell’Uva.
Socio, mostre di pittura e il Bobolar d’oro, manifestazione che è tutt’ora il fiore all’occhiello della Pro Loco: un premio prestigioso assegnato ogni anno a persone, enti, associazioni o istituzioni che con la loro azione hanno operato o operano a favore del singolo o della comunità, e che hanno contribuito, con i loro meriti, a far meglio conoscere Staranzano. Risale al 1992, invece, l’inizio della consegna delle bandiere italiane alla quinta classe della scuola primaria “Edmondo De Amicis”. Negli anni hanno presenziato alla cerimonia personalità importanti: il 4 novembre 2001 l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, fece addirittura pervenire all’associazione un attestato di merito che nella prima frase recita: “Il tricolore non è semplice insegna di Stato. È un vessillo di libertà, di una libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi della fratellanza, di uguaglianza, di giustizia, dei valori della propria storia e della propria civiltà”. Ultima, ma solo in ordine di tempo, la partecipazione alla manifestazione Sapori Pro Loco, con i tradizionali arrosticini di pecora, diventati un’attrazione della kermesse regionale. Quando non c’era l’urbanizzazione attuale, a Staranzano c’erano vasti prati erbosi, con grandi pascoli e greggi di pecore: una tradizione che l’arte culinaria ha mantenuto viva negli anni. Tra le manifestazioni in programma per festeggiare il trentennale della fondazione dell’associazione spiccano due grandi avvenimenti: l’8 giugno alle ore 20.30 presso l’Azienda Agricola “La Ferula” di Staranzano, concerto dell’orchestra Magica Vienna con il violinista/pianista di fama internazionale Simone D’Eusanio. Le celebrazioni, già iniziate con la mostra di pittura di Aldo Bressanutti, proseguiranno con gite di giornata e con il Luglio in Piazza, quando presso l’Anfiteatro in centro città, ogni giovedì sera, si esibiranno diversi complessi musicali. La consueta Pedalata degli Alberoni, la Remada Longa e svariati incontri teatrali completeranno il calendario degli eventi. Per dicembre, infi ne, è in fase di organizzazione un’ultima sorpresa, la premiazione dei perso-
naggi che negli anni hanno collaborato fattivamente con la Pro Loco. «Negli anni 70-80 – ricorda l’attuale presidente della Pro Loco di Staranzano, Gian Guido Bellan – in paese c’erano 3.000 abitanti, oggi sono più di 7.000, ma solo il 10% è originario di famiglie staranzanesi. Si sono inoltre costituite più di 60 associazioni attive in campo sportivo, sociale e culturale, perciò è sempre più difficile trovare l’originalità. Grazie al nostro legame diretto con l’Amministrazione cittadina, come da Statuto comunale, facciamo da collegamento tra il Comune e il territorio. I nostri soci, ormai più di 400, ci seguono e ci stimolano ad andare avanti, con un’offerta rivolta soprattutto alle famiglie. Desidero infi ne ringraziare il Comune, la Bcc di Staranzano e Villesse e tutte le persone che hanno fatto parte dei direttivi fi no a oggi, senza dimenticare tutti coloro che in questi primi trent’anni ci hanno sostenuto aderendo ai programmi e a tutte le nostre iniziative».
Livio Nonis
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FESTA DEL VINO
Nel solco della tradizione
Dal 12 al 16 giugno Monfalcone ospiterà la sessantaduesima edizione di una manifestazione nata per valorizzare i prodotti locali e le aziende del territorio.
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La Pro Loco di Monfalcone sta scaldando i motori a pieni giri in vista del 12 giugno quando, intorno al neo restaurato municipio e in tutte le vie adiacenti si animerà la storica Festa del vino giunta alla sua 62a edizione. È il secondo evento cittadino per importanza e storicità, preceduto solamente dal Carnevale monfalconese. La tradizionale kermesse è nata nel 1957, con il nome di Festa del vino e del pesce, nell’ambito della ricorrenza di Sant’Antonio da Padova: grazie al connubio tra i molti agricoltori vignaioli e i pescatori del territorio monfalconese, che cercavano così di pubblicizzare i prodotti locali. Il tutto sotto il coordinamento della Società Monfalconese di Mutuo Soccorso. Nel 1961 la Pro Loco divenne co-organizzatore, mentre due anni più tardi, nel 1963, assunse l’intera guida della manifestazione. L’iniziativa registra da sempre l’ampia partecipazione delle aziende del territorio, di altre località della regione e dall’estero. In questa edizione saranno una ventina gli stand che ospiteranno i vini dalle diverse etichette, accompagnati da gustose eccellenze nostrane, oltre a tre cucine per accarezzare i palati degli amanti della carne o del pesce. La kermesse si snoderà nella tradizionale location che ingloba piazza della Repubblica, via Sant’Ambrogio, la parte interna di via Rosselli (zona Taxi) fino alla piazzetta sotto al
campanile, dove nel corso dei cinque giorni troveranno anche spazio appuntamenti musicali, culturali e gastronomici. Ci sarà inoltre spazio, in un’area dedicata, a un’enoteca con degustazioni di pregiati vini serviti in calici di vetro e altre prelibatezze culinarie e del pescato del Golfo di Panzano. Numerosi gli appuntamenti: conferenze e presentazioni di vini abbinati a cibi, show-cooking, presentazioni di libri e intrattenimenti per bambini. Prevista la partecipazione di ospiti illustri, tra i quali l’agronomo giornalista Claudio Fabbro e il presidente regionale di Assoenologi Rodolfo Rizzi, oltre all’immancabile estrazione della tombola (con i fatidici squilli di tromba) con ricco montepremi. Anche in questa edizione la Pro Loco, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, vuole regalare alla città cinque giorni di divertimento e svago, mantenendo salde quelle che sono le tradizioni e le origini della festa, garantendo una manifestazione adatta ai giovani ma anche a misura di famiglia, puntando inoltre sulla qualità dei prodotti e il piacere di ritrovarsi tutti insieme. Livio Nonis
In apertura, foto della festa del vino di Monfalcone del 1966 (proprietà Società Monfalconese di Mutuo Soccorso); accanto, un’immagine della passata edizione. |
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MONDO OLISTICO
Il gusto rosso amaro
Rubrica di Denise Falcomer
B E N E S S E R E
dell’estate
Il 21 giugno inizia la stagione estiva. Secondo la Medicina Tradizionale Cinese il suo elemento rappresentativo è il fuoco. Ma tra colori e sapori correlati, passando per il cibo, ecco tutto quello che c’è da sapere per viverla al meglio. Chiudo gli occhi e vedo prati verdi che mento per la MTC equivale alla capacità tendono a scottarsi dal calore del sole, l’a- di trasformare e dar nuova vita, tanto può ria che sfrigola, il cielo blu, la luce si tin- essere creativo in fase di equilibrio, tanto ge di ocra intenso. Le cicale cantano e l’a- può essere distruttivo nelle due estremiria è spesso afosa. Dovessi definire l’esta- tà in fase di squilibrio. Si manifesta esubete mi sbilancerei accostandola alla giovi- rante ed eccentrico, compare agitato, superficiale, protagonista, possessivo, oppunezza. Per la Medicina Tradizionale Cinese re al contrario depresso, assente, introver(MTC) la stagione estiva è rappresenta- so, pessimista. Il rosso è il colore del fuoco passionata dall’elemento fuoco, associato a cuore, vasi sanguigni e intestino tenue. Le energie le, anche dell’allerta intensiva che si manidi questo elemento possono essere dirom- festa con aumento della frequenza cardiapenti e in espansione, volubili e alle volte ca come per la collera o il senso di vergogna, e in un attimo divamperemo in un bel sfuggenti, difficilmente controllabili. La persona che meglio si identifica con colorito rosso. Per renderci un po’ meno tiil fuoco è: espansiva ed estroversa, facil- morosi: abbinare accessori rossi, un trucmente influenzata dalle emozioni, per lei il co rosso, una cravatta rossa ci farà sentire “sentire” ha più valenza della riflessione. La più vincenti o passionali. Per la MTC il sapore associato al fuoco è sua azione è istintiva. Nei momenti migliori è in grado di prendere rapidamente deci- l’amaro, detto Ku. L’amaro è un sapore imsioni giuste per via delle doti intuitive. È at- portantissimo benché talune persone se ne tenta ai rapporti umani, è passionale, sen- priverebbero volentieri, ma ha grandi prosibile, gioiosa ed esprime la contentezza in prietà purificanti perché asciuga l’eccessiva modo gradevole e opportuno. Questo ele- “umidità” corporea e ha un’energia di svuotamento che porta verso il basso, utile per il nostro intestino. Fondamentale è distinLa citazione «Tutto è energia e questo è tutto quello che guere le sostanze amare naturali (in Natuesiste. “Sintonizzati” alla frequenza della real- ra) e quelle artificiali (create tramite torrefatà che desideri e non potrai fare a meno di ot- zione o fermentazione, quali caffè, cacao, tenere quella realtà». tè nero, orzo, vino rosso, che impennerebbero il processo di “asciugatura”). Albert Einstein, legge di attrazione. È il gusto dei cibi cotti alla griglia e alla brace. Il tipo di cottura raccomandata dalSpiega che nell’Universo esiste un principio la MTC è una cottura forte alla fiamma, o di risonanza, essa può aiutarci a comprende- la frittura, ma anche le cruditè; sono conre il legame che esiste tra i nostri pensieri, la sigliati inoltre quegli alimenti che ricordano consapevolezza e la realtà (un riflesso di ciò l’espansione, che si trasformano in un sache abbiamo dentro). 74
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pore amaro dopo la loro digestione (da ricordarsi che quando ci sono scompensi è meglio bilanciare o addirittura evitare alcuni di questi cibi): tutte le carni provenienti da animali ricoperti di piume, la carne di montone, pecora e agnello. Tra i cereali: riso, miglio glutinoso, orzo, amaranto, grano, grano saraceno. Le verdure: lattuga, germogli di erba medica e alfa-alfa, pomodoro, peperone, cicoria, catalogna, carciofo, fiori di zucchine, asparago, rape, tarassaco, scalogno, lenticchie, capperi, olive nere. Le spezie: timo, alloro, genziana, basilico, verbena, ruta, ginepro, camomilla, paprika, rosmarino, peperoncino, curcuma. La frutta: albicocche, ciliegie, anguria, castagne, papaya, pistacchi. L’intervento sull’eccesso dell’energia fuoco con i fiori di Bach è alquanto difficoltoso, tuttavia Centaury può essere di grande aiuto; in caso di deficit si può utilizzare Rock Rose. I fiori di Bach agiscono sull’individuo e sulla capacità di giudizio, la capacità di percepire la realtà fondamentale delle cose, la capacità di sintesi, di coordinare, di utilizzare quanto si è memorizzato. In realtà l’energia dell’elemento fuoco tocca la nostra capacità comunicativa, le nostre parole e la loro capacità di costruzione e distruzione. Da appassionata di cristalloterapia sicuramente riconosco queste pietre e resine come rappresentanti dell’elemento fuoco: corallo, seppur non sia una pietra è spesso utilizzata in cristalloterapia per apportare equilibrio dove c’è eccesso di energia (bianco) e difetto di energia (rosso) oppure armonizzare il cuore (rosa); ambra, fantastica resina adatta per bimbi (dentizione) e mamme (post parto) favorisce lo sviluppo della natura solare, rende spensierati, sereni, ottimisti; pietra del sole, la consiglio perché rinnova la fiducia nella possibilità di essere felici, genera gioia e rasserena l’animo (deficit di fuoLa pratica dell’olistica, pur essendo frutto di conoscenze e tradizioni secolari, non è parte della “medicina ufficiale” ossia di quell’insieme di pratiche mediche scientifiche fondate sulla sperimentazione clinica di laboratorio. Questa pratica viene invece inserita tra le “medicine alternative” o “medicine non ufficiali”. Per tale ragione questa rubrica vuole essere solo un’introduzione alla conoscenza, alla sua storia e alle spiegazioni dei suoi procedimenti; non può, e non deve, essere in alcun
La ricetta della primavera Carbonara d’asparagi Ingredienti per 4 persone - 500 g di asparagi - 3 uova - 100 g di parmigiano o pecorino - 500 g di fusilloni - 150 g di burrata - sale e pepe Come si prepara Mondare gli asparagi e tagliarli a pezzettini, lasciando da parte le punte. Mettere un filo d’olio in una padella e aggiungere gli asparagi, salare e pepare e cuocere per 10 minuti, aggiungere acqua calda all’occorrenza, le punte unite gli ultimi cinque minuti a fiamma più sostenuta. Frustare a parte le uova intere con il formaggio, rendendo il composto abbastanza denso. Nel frattempo cuocere la pasta al dente, scolarla tenendo da parte cucchiai d’acqua di cottura, mettere la pasta direttamente nella padella dove avete fatto saltare gli asparagi ed amalgamarli, spegnere il fuoco e colare adagio l’uovo mantecando velocemente, aggiungendo anche i 2 cucchiai d’acqua di cottura per evitare che l’emulsione d’uovo diventi stracciatella. Quando il tutto si presenta cremoso assemblare il piatto di carbonara con la burrata a pezzetti e le punte di asparago tenute un po’ da parte per decorare. Buon appetito! co); fluorite, quando ho a che fare con un individuo che ha bisogno di far emergere le proprie emozioni, che le reprime condizionato dagli eventi la fluorite promuove la libertà di: espressione, emozione, pensiero (deficit di fuoco). Denise Falcomer
Operatrice olistica specializzata in bio terapie e discipline orientali; 393 94 05 536 #deniseoperatoreolistico @deniseoperatoreolistico terapieolistichedenise@gmail.com
modo intesa come un invito a seguire i dettami di questa pratica, cosa che viene sempre e solo lasciata alla libera scelta del lettore. Desidero altresì invitare sempre tutti i lettori a consultare prima di ogni cosa il loro medico di famiglia e i relativi specialisti da esso consigliati, seguendo innanzitutto le vie della medicina ufficiale. A esse può essere eventualmente affiancato un percorso che segua una o più pratiche di medicina alternativa o non ufficiale.
I rimedi naturli per la gastrite Patologia molto fastidiosa e diffusa in tutte le età, può essere affrontata con farmaci o rimedi naturali. Starà al medico individuare la cura giusta per ogni paziente, a seconda del suo stato fisico, delle cause e delle sue condizioni psichiche. Qualcuno preferisce affrontarla con medicine chimiche ma spesso i rimedi naturali forniscono una soluzione efficace e incisiva al problema senza effetti collaterali. “Ho 23 anni e soffro da mesi di dolore allo stomaco. Questo a volte mi sveglia anche di notte. È vero, sono un po’ stressato, devo andare all’Università, ma il non dormire mi stressa ulteriormente. Vorrei un aiuto…” – Marco “Sono una pensionata di 63 anni. Assumo farmaci per l’acidità di stomaco da oltre dieci. Posso fare qualcosa per provare a smettere?” – Eleonora
La gastrite è un problema che accomuna grandi e piccini. Si considera che il 70% degli adulti soffra di bruciori di stomaco e il 50% di sintomi riferibili a gastrite cronica. Anche adolescenti e anziani non ne sono immuI farmaci chimici più comunemente impiegati sono: il Pantoprazolo, il Lansoprazolo, l’Omeprazolo, l’Esomeprazolo, il Rabeprazolo, definiti ‘inibitori di pompa protonica’ (IPP). Con la loro azione impediscono alla cellula parietale gastrica di produrre l’acido cloridrico che aiuta a digerire i cibi, riducendo di fatto la produzione di una sostanza che favorisce l’infiammazione della mucosa. Peraltro un recente studio, pubblicato dalla rivista internazionale BMJ Open, ne ha ipotizzato un effetto negativo nel lungo periodo 2, con aumento della mortalità nei soggetti che ne abusano. Nota 2: Xie Y, Bowe B, Li T, et al Risk of death among users of Proton Pump Inhibitors: a longitudinal observational cohort study of United States veterans BMJ Open 2017;7:e015735. doi: 10.1136/ bmjopen-2016-015735
ni. Secondo la rivista JAMA1 una persona su cinque, nei paesi occidentali, riferisce problemi gastrici e digestivi. Come medici ci troviamo così di fronte, spesso, al dilemma relativo ai problemi sollevati da Marco ed Eleonora. Risolvere il sintomo in modo naturale o farmacologico? Innanzitutto occorre rimuovere le cause. Se queste sono psicologiche una buona tecnica di rilassamento, la musicoterapia e l’ipnosi possono essere di sicuro beneficio. E, il più delle volte, risolutive. Quando invece scegliamo di riferirci ai rimedi naturali, come ci comportiamo? Su quali facciamo affidamento? In questa sede ne citerò tre, un trittico molto efficace.
Il Ficus carica (Fico) è uno straordinario rimedio per la gastrite. Le gemme, grazie ai loro principi attivi (fra cui fibre, vitamine, magnesio, psoralene e cumarine), possiedono una marcata azione regolatrice della secrezione e della motilità gastrica, riducendo in modo significativo bruciori, dolori, nervosismo e senso di fame. Il Vaccinium vitis idaea (Mirtillo rosso) coadiuva efficacemente il precedente nel meteorismo, per l’azione sedativa e antispastica a livello dell’ultimo tratto dell’intestino. I due rimedi s’impiegano insieme, in Macerato glicerico 1DH, 15 gocce di ciascuno per tre volte al giorno, in poca acqua. Non ultimo il Mastice di Chios, una resina naturale che si estrae in estate con un’incisione della corteccia dai rami e tronco del Lentisco (Pistacia lentiscus), arbusto sempreverde dell’omonima isola greca. Questa sostanza, ricca di tannini, masticina e acido masticico, è una gommoresina ricercatissima fin dall’antichità per le sue proprietà. Viene impiegata in estratto idro enzimatico, quindi analcoolico (potete chiederla al farmacista), al dosaggio di 15 gocce per due volte al giorno, in poca acqua. L’impiego di queste sostanze risulta essere un’ottima alternativa ai farmaci di sintesi. Si consiglia tuttavia di ridurre l’esposizione alle cause e di imparare la gestione dello stress, associando una psicoterapia e tecniche mentali che aiutino a convogliare le energie, a trovare in se stessi l’equilibrio necessario per affrontare la vita e gestire al meglio emozioni e sintomi fisici. Roberto Pagnanelli Nota 1: Managemento of dyspepsia. Feld L., Cifu A. S.: JAMA.2018;319(17): 1816-17.doi: 10.1001/ jama.2018.3435
La gastrite è un’infiammazione, acuta o cronica, della mucosa dello stomaco. Può essere circoscritta a una zona (gastrite del fondo, del corpo, dell’antro) o diffusa. I sintomi della fase acuta sono: fastidio nella zona epigastrica, bruciore (definito pirosi, dal greco πῦρ =fuoco), crampi, dolore e gonfiore addominali. I fastidi peggiorano a distanza dai pasti (4 o 5 ore), e si riducono assumendo cibo (pane, cracker etc…). In certi casi insorgono vomito rossastro o feci nerastre, spesso in seguito all’abuso di farmaci antinfiammatori. Tale condizione non va sottovalutata e richiede l’intervento immediato del medico. Se i malesseri si protraggono, si andrà incontro a una gastrite cronica caratterizzata dai sintomi descritti in forma attenuata e disturbi intestinali quali digestione lenta, flatulenza, eruttazioni accompagnate da anemia, causata da sanguinamenti o insufficiente assorbimento di vitamina B12. Le cause sono molteplici: la presenza di Helicobacter pylorii, un batterio che colonizza i tessuti gastrici causando una reazione infiammatoria; lo stress prolungato; patologie virali; l’abuso di farmaci, alcool, caffè, spezie, eccitanti; il fumo di sigaretta. Roberto Pagnanelli è medico-chirurgo, specializzato in Psichiatria. Psicoterapeuta, si è diplomato in Medicina Psicosomatica all’Istituto Riza di Milano, in Medicina Omeopatica all’Università degli Studi di Urbino e in Psicoterapie Brevi al CISSPAT di Padova. È autore di pubblicazioni su riviste scientifiche e di volumi sulle medicine naturali. Ha partecipato a trasmissioni radiotelevisive e scritto su Starbene, Per me, Salute Naturale, Più Salute & Benessere, Riza Scienze, Viver Sani & Belli, Top Salute, Donna Moderna, Più Sani più Belli. Ideatore della Musicoterapia Cinematografica, lavora come psichiatra psicoterapeuta, esperto in medicine naturali a Trieste, Monfalcone e Udine. www.robertopagnanelli.it Per appuntamenti: 330-240171
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chef…ame! Crema di asparagi bianchi e vongole di Marano Preparazione
Sbucciare le patate e pelare gli asparagi, separare 2 cm di punte e tagliare a pezzi le patate e i turioni degli asparagi. Sbucciare e tritare finemente lo scalogno e far imbiondire con 2 cucchiai di olio, aggiungere le patate e gli asparagi tagliati a pezzi e far insaporire, bagnare con il brodo bollente e cuocere fino a che le patate sono cotte. Passare tutto attraverso il passaverdure al disco fine. Legare con la maizena mescolata con un cucchiaio di olio, aggiungere al passato con una frusta per legare bene il tutto; far bollire fino a ottenere una crema di giusta densità. In una padella con coperchio portare a bollore il vino bianco e aggiungere le vongole, coprire e far aprire subito. Trattenere 8 vongole con il guscio e sgusciare le altre, filtrare il liquido, mettere in una casseruola, aggiungere le punte degli asparagi e far bollire pochi attimi; infine aggiungere le vongole sgusciate. Dividere la crema nelle tazze o piatti da zuppa e suddividere il composto di vongole e punte di asparagi, guarnire con due vongole aperte, un pizzico di prezzemolo e un filo di olio. Servire ben caldo.
Sparcs - Asparagi
L’asparago (Asparagus Officinalis) è conosciuto da oltre 4000 anni, originario della Mesopotamia (l’attuale Iraq), coltivato dagli antichi Egizi è arrivato in Europa attraverso la Grecia. Per arrivare verso la fine dell’800 nella nostra regione. La zona interessata a nord di Udine è quella dei comuni di Tricesimo, Reana del Rojale e Tavagnacco, considerata da sempre la capitale friulana dell’Asparago Bianco, per poi diffondersi a “macchia di leopardo” in quasi tutta la provincia di Udine dalla Bassa friulana in su, interessando i comuni di Aquileia e Fiumicello Villa Vicentina, e la frazione di Gorgo di Latisana. Interessanti produzioni anche in provincia di Gorizia, con Fossalon e Boscat di Grado, e Pordenone, con il comune di Zoppola. Fiumicello e i suoi orti vantano una interessante produzione di asparagi bianchi, grazie anche alla presenza di acqua e a un terreno fertile. Produttori locali che da oltre quarant’anni
Ingredienti per 4 perone - 500 gr di asparagi bianchi - 30 vongole di Marano - 2 patate grosse - 2 scalogni - 2 litri di brodo - mezzo bicchiere di vino bianco vegetale - 1 cucchiaio di prezzemolo tritato - 4 cucchiai di olio extravergine di oliva - un cucchiaino di maizena - sale - pepe nero macinato al momento
producono questo turione hanno fatto sì che abbia la stessa importanza del Radicchio Rosa e delle Pesche, rinomatissime quelle storiche a pasta bianca L’Ortaggio Re della Cucina di Primavera oramai è utilizzato in tutte le categorie di Germano Pontoni ristorazione e si pre- Maestro di Cucina 347 3491310 sta a essere trasfor- Cell: Mail: germanoca@libero.it mato dall’antipasto al dessert. La ristorazione ricercata e la cucina creativa seguono con interesse non solo l’asparago bianco per la sua eccellenza ma anche quello verde per il sapore e per un fatto cromatico. Si pensa che quello verde, inoltre, viste alcune zone dove è stato messo a dimora in buone estensioni, possa sviluppare in futuro un ottimo mercato. |
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11-12 / 17-19 maggio ▶ Sapori Pro Loco
La grande festa del gusto del Friuli Venezia Giulia torna nella splendida cornice di Villa Manin, dove le Pro Loco regionali cucineranno le specialità dei rispettivi territori. Previsti concerti e incontri culturali. Codroipo. Villa Manin di Passariano. Info: www. saporiproloco.it
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Il range di prezzo indicato (ove applicabile) si riferisce al costo medio di un pasto, escluse bevande alcoliche. I dati segnalati sono stati forniti direttamente dal Gestore del locale. Qualora doveste verificare delle discordanze, Vi invitiamo a segnalarcelo.
24-26 maggio ▶ Terra e Fiume
Diciassettesima edizione della kermesse di primavera: oltre ai chioschi enogastronomici, previsti concerti, eventi sportivi, raduni motoristici, biciclettate e la tradizionale rassegna bandistica. Cervignano del Friuli (UD). Info: www.prolococervignanofvg.it
ristorante
e inoltre... 19 maggio ▶ Fieste da Viarte
Artigianato, enogastronomia e cultura. Cormòns (GO). Monte Quarin. Info: www.fiestedaviarte.org
24-26 maggio ▶ Olio e dintorni
Festa dell’olio extravergine d’oliva di produzione regionale. Manzano (UD). Villa Maseri. Info: www.oleisedintorni.wix.com
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ristorante trattoria
30 maggio – 2 giugno / 6-9 giugno ▶ Ethnic Festival
Ventesima edizione dell’evento che mira a promuovere, unire e far conoscere le culture di tutto il mondo, grazie a un villaggio multietnico allestito nel Parco della Spianata. Gradisca d’Isonzo (GO). Info: www.ethnicfest.it
bar
21-24 giugno ▶ Aria di Festa
Sarà la conduttrice televisiva Daniela Ferolla la madrina della 35sima edizione della kermesse gastronomica dedicata al Prosciutto di San Daniele. Attesi grandi chef tra cui Bruno Barbieri e Alessandro Borghese. San Daniele del Friuli (UD). Info: www.ariadifesta.it
6-9 giugno ▶ Fiera regionale dei Vini
Degustazioni e spettacoli. Buttio (UD). Villa di Toppo Florio. Info: www. buri.it
8-9 / 15-16 giugno ▶ Festa delle Erbe di Primavera
Mostra e degustazione di erbe spontanee. Forni di Sopra (UD). Info: 0433 886767
L I V E
M U S I C 24 maggio ▶ Massimo Ranieri
Dopo un tour trionfale negli Stati uniti e in Canada, continua il viaggio di “Sogno e son desto… 400 volte”, il celeberrimo spettacolo di Massimo Ranieri, riproposto oggi in una versione nuova e aggiornata. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 21. Info: www.azalea.it
17 maggio ▶ Fiorella Mannoia
Da maggio Fiorella Mannoia sarà live nei teatri d’Italia per presentare dal vivo il suo nuovo album di inediti “Personale”, già anticipato dal singolo “Il peso del coraggio”. A Trieste l’unica tappa in FVG. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 21. Info: www.azalea.it
e inoltre... 23 maggio ▶ Sgt. Pepper
Omaggio ai Beatles. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 21. Info: www.teatroudine.it
30 maggio ▶ Simone Cristicchi
Abbi cura di me tour. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 21. Info: www.ilrossetti.it
www.imagazine.it 22 giugno ▶ Il Volo
Il trio italiano che ha conquistato le platee internazionali torna nuovamente in Friuli Venezia Giulia per un’unica data della tournée mondiale che celebra i primi dieci anni di una magnifica carriera. Palmanova (UD). Piazza Grande. Ore 21.30. Info: www. azalea.it
27 maggio ▶ Vasco Rossi
Vasco Rossi ha scelto per la terza volta Lignano per la data “zero” del suo tour. Rispetto allo scorso anno oltre la metà delle canzoni saranno diverse con il recupero di alcune “chicche” del passato... Lignano Sabbiadoro (UD). Stadio Teghil. Ore 21. Info: www.livenation.it
e inoltre... 31 maggio ▶ Elisa
26 giugno ▶ Pipe Dream
Diari Aperti Tour. Il sogno impossibile del jazz. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 21. Info: www.aza- Cervignano del Friuli (UD). Teatro Pasolini. Ore 21. lea.it Info: www.euritmica.it
CLASSIC ARTS
19 maggio ▶ Giuseppe Giacobazzi
Un dialogo, interiore ed esilarante, di 25 anni fatti di avventure e aneddoti, situazioni ed equivoci, gioie e malinconie, sempre spettatori e protagonisti di un’epoca che viaggia a velocità sempre maggiore. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 21. Info: www.azalea.it
23-26 maggio ▶ Stomp
La perizia e la spontaneità contagiosa dei suoi performer, il disordine, gli oggetti più banali, divengono fonte di stupore e strumento per creare una musica che porta messaggi positivi. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 16 o 20.30. Info: www.ilrossetti.it
e inoltre... 18 maggio ▶ I giovani e la musica
Rassegna corale strumentale. Ronchi dei Legionari (GO). Auditorium. Ore 18. Info: www.lenoteallegre.it
21 maggio ▶ Balletto del Gran Teatro di Ginevra
Prima ed esclusiva nazionale. Pordenone. Teatro Verdi. Ore 20.45. Info: www.comunalegiuseppeverdi.it
www.imagazine.it
26 maggio ▶ Soirée des Étoiles
Sul palco grandi interpereti della scena mondiale: Laetitia Pujol e Alessio Carbone (Opera di Parigi) Liudmila Konokalova (Vienna State Opera), Dinu Tamazlacaru (Staatsballett Berlin) e Daiana Ruiz e Jason Reilly (Stuttgart Ballet). Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 20.45. Info: www.teatroudine.it
11 giugno ▶ Atti-Sani & Non
Il pubblico sarà condotto in un viaggio tra avvenimenti passati, il sorgere, l’evolvere e la senescenza delle grandi culture, a loro volta fusi con la divulgazione scientifica d’eventi che hanno molta probabilità di verificarsi. Udine. Palamostre. Ore 20. Info: www.azalea.it
11 giugno ▶ Predis
Spettacolo teatrale in lingua friulana. Gorizia. Kulturni Dom. Ore 20.30. Info: www.teatro-incerto.it
21-29 giugno ▶ Carmen
Opera su musiche di Georges Bizet. Trieste. Teatro Verdi. Ore 16 o 20.30. Info: www.teatroverdi-trieste.com
SPORT
18 maggio
▶ Lignano Sunset Run
Quarta edizione della mezza maratona al tramonto, con un percorso mozzafiato sul lungomare e fino alla laguna. Gruppi musicali allieteranno il passaggio degli atleti in alcuni punti ad hoc. Lignano Sabbiadoro (UD). Info: www.lignanosunset.it
30 maggio – 2 giugno
▶ World Para Swimming
Terza edizione della World Series, Coppa del mondo di nuoto paralimpico, a Lignano Sabbiadoro, che ospiterà atleti di livello internazionale. Lignano Sabbiadoro (UD). Info: www.worldseriesitalia.com
e inoltre... 26 maggio ▶ Regata Regionale
Coinvolte tutte le società di canottaggio del FVG. San Giorgio di Nogaro (UD). Info: www. canottaggio-fvg.org
14 giugno ▶ Collio by Night
Combinata sia per podisti che per bikers. Cormòns (GO). Info: www.colliobiketeam.it
w w w.imag azine.i t
31 maggio – 2 giugno
▶ Verzegnis – Sella Chianzutan
Gara automobilistica internazionale di velocità in salita, inserita nel calendario internazionale F.I.A. (Federazione Internazionale dell’Automobile) e nazionale A.C.I.-C.S.A.I. Si correrà sulla strada provinciale 1 della Val d’Arzino nel comune di Verzegnis. Verzegnis (UD). Info: www.scuderiafriuli.com
30 giugno
▶ Finale Euro 2019
Sarà Udine a ospitare la finalissima dei Campionati europei under 21 di calcio 2019. Il capoluogo friulano e Trieste ospiteranno inoltre nei giorni precedenti le sfide delle fasi eliminatorie a gironi. Udine. Dacia Arena. . Ore 21. Info: www.uefa.it
14-16 giugno ▶ Magraid
Corsa nella steppa friulana. Cordenons (PN). Info: www.magraid.it
23 giugno ▶ Berglauf Tarvisio
Corsa in montagna fino al Monte Lussari. Tarvisio (UD). IInfo: www.ustositarvisio.it
MEETING
w w w. i m a g a z i n e . i t
16-19 maggio ▶ Vicino / lontano
13-16 giugno ▶ Festival Risonanze
23-26 maggio ▶ èStoria
28 giugno – 6 luglio ▶ ShorTS
Sarà “contagio” il filo conduttore della quindicesima edizione del festival culturale con incontri, dibattiti, conversazioni, conferenze, mostre, spettacoli e proiezioni. E la consegna del Premio Terzani al giornalista e scrittore Franlkin Foer. Udine. Info: www.vicinolontano.it
Quindicesima edizione del Festival Internazionale della Storia, che quest’anno avrà come tema “Famiglie”. In programma dibattiti e presentazioni di libri. Con la consegna del Premio èStoria a Carlo Ginzburg. Gorizia. Info: www.estoria.it
Passeggiate guidate lungo i sentieri tematici della zona, passeggiate per bambini, mountain bike e pilates, ma anche incontri culturali riguardanti i temi dell’Abete di Risonanza, la liuteria e molto altro. Malborghetto-Valbruna (UD). Info: 0428 64970
Proiezioni, incontri, workshop e molto altro. Torna anche quest’anno a Trieste, per la sua ventesima edizione, il festival dedicato al mondo dei cortometraggi e non solo. In programma proiezioni e incontri con attori e registi. Trieste. Info: www.maremetraggio.com
e inoltre... 15-19 maggio ▶ #Pordenoneviaggia
1-2 giugno ▶ CjargnAlive
24-26 maggio ▶ Be Heart
15-16 giugno ▶ The Game Fortress
Festival del viaggio e dei viaggiatori. Pordenone. Info: www.pordenoneviaggia.it Gente, arte, terra. Festival dell’espressività. Latisana (UD). Parco Gaspari. Info: 338 8759450
Festival culturale. Tolmezzo (UD). Info: www.turismofvg.it Festival del fumetto e dei film a esso dedicati. Palmanova (UD). Info: www.thegamefortress.it
F U O R I
R E G I O N E
T R E V I S O 11-19 maggio
▶FESTA DELLA CULLA DELLE FATE Rievocazione del mondo fatato con spettacoli e attività per bambini: dalla scrittura elfica su pergamena alla ricerca delle pietre degli elfi fino alla scuola di spada. Resana. Info: http://proloco.prolocoresana.it 18 maggio – 2 giugno
▶PRIMAVERA DEL PROSECCO Selezionata esposizione di vini tipici dei Colli del Conegliano Valdobbiadene, i quali possono essere degustati anche abbinati alla gastronomia locale con spiedo e carni alla griglia. Tarzo. Corbanese. Info: www.prolococorbanese.it 23 maggio
▶RAF TOZZI I due artisti saranno protagonisti di un tour che li vedrà per la prima volta insieme e che farà cantare e ballare il pubblico dei palasport delle principali città italiane. Villorba. Palasport. Info: www.azalea.it 26 maggio
▶FESTA DEL NARCISO Pranzo all’aperto e festa nei cortili per bambini, bancarelle, espositori con 60 stand e minifiera. Previste anche passeggiata in bicicletta e a piedi tra le colline. Musica, giochi e intrattenimenti vari. Segusino. Località Milies. Info: www.prolocosegusino.it Fino al 31 maggio
▶UN IGNOBILE SUBLIME Un nucleo scelto di opere di alcuni artisti tedeschi rappresentativi del Gruppo “Nuovi Selvaggi” saranno esposti alla galleria l’Elefante. Treviso. Galleria L’Elefante. Info: www.galleriaelefante.com Fino al 23 giugno
▶I CIARDI. PAESAGGI E GIARDINI La rassegna consente di apprezzare attraverso più di 60 opere gli elementi qualificanti della produzione di questa famiglia, mettendo in evidenza peculiarità, convergenze e divergenze tra i tre artisti. Conegliano. Palazzo Sarcinelli. Info: www.palazzosarcinelli.it Fino al 30 giugno
▶GIAPPONE. TERRA DI GEISHA E SAMURAI Il percorso espositivo propone uno spaccato delle arti tradizionali dell’arcipelago estremo-orientale attraverso una precisa selezione di opere databili tra il XIV e il XX secolo. Treviso. Ca’ dei Carraresi. Info: www.casadeicarraresi.it
V E N E Z I A Fino al 30 maggio
▶TURBULENT AMERICA La retrospettiva comprende il lavoro di Jean-Pierre Laffont dal suo arrivo nella Grande Mela fino alla fine degli anni ‘80, un lungo periodo in cui ha documentato gli aspetti sociali, politici e culturali degli Stati Uniti. Venezia. Centro Culturale Candiani. Info: www.centroculturalecandiani.it 1-2 giugno
▶FESTA DELLA SENSA Rievocazione che più di ogni altro appuntamento fa rivivere la millenaria storia della Serenissima, il suo intimo rapporto con il Mare e con la pratica della Voga alla Veneta. Venezia. Bacino di San Marco. Info: www.events.veneziaunica.it Fino al 9 giugno
▶CANALETTO A VENEZIA La mostra racconterà di un secolo straordinario e del suo protagonista, Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto. L’esposizione è in collaborazione con RMN-Grand Palais di Parigi. Venezia. Palazzo Ducale. Info: www.palazzoducale.visitmuve.it 9 giugno
▶VOGALONGA Giunge alla 45^ edizione la manifestazione sportiva ludico-motoria amatoriale, non competitiva, che si svolge nel contesto della laguna di Venezia su un tracciato di circa 30 km. Venezia. Info: www.vogalonga.com Fino al 16 giugno
▶L’ULTIMA CROCIATA Francesco Morosini nella storiografia della Serenissima. Percorso espositivo costruito sulla base della biblioteca e delle carte dello storiografo pubblico Pietro Garzoni. Venezia. Fondazione Stampalia. Info: www.querinistampalia.it 18-23 giugno
▶SALONE NAUTICO Evento fieristico internazionale dedicato alla nautica, con il coinvolgimento di attori locali, nazionali ed internazionali. Su un bacino acqueo di 50.000 metri quadri e padiglioni per circa 6.000 metri complessivi. Venezia. Arsenale. Info: www.salonenautico.venezia.it 28 giugno
▶CARMEN COSOLI MARINA REI EVA Tre live speciali in un’unica serata, durante la quale le tre strepitose artiste porteranno sul palco le loro diverse anime rock. Ingresso libero. San Michele al Tagliamento. Bibione, piazzale Zenith. Ore 20. Info: www.azalea.it
O L T R E
C O N F I N E
C R O A Z I A 18-19 maggio
▶HISTRIA CLASSIC Le “oldtimer”, ovvero le auto d’epoca che partecipano al raduno, seguiranno un percorso che attraversa la penisola istriana è lungo circa 200 km. Rovigno. Info: www.istra.hr 22-26 maggio
▶DANCESTAR WORLD FINALS Campionato mondiale di ballo. Parenzo ospiterà di nuovo più di 5000 tra i migliori ballerini al mondo. Previsti anche workshop e concerti per il pubblico. Parenzo. Info: www.dancestar.org 23-26 maggio
▶SEA STAR FESTIVAL Musicisti famosi e artisti locali tra i più popolari si esibiranno su sei palcoscenici diversi, per un’offerta musicale variegata in grado di soddisfare i gusti più diversi. Umago. Info: www.seastarfestival.com 25 maggio
▶FESTIVAL DELLO SCAMPO DEL QUARNERO Oltre alle specialità marine, potranno essere degustati pure i vini dei produttori pluripremiati provenienti dall’area di Labin. Riva. Info: www.istra.hr 29 maggio – 2 giugno
▶LIGHTHOUSE FESTIVAL Festival di musica elettronica underground. Sulla spiaggia si alterneranno diversi dj che si sfideranno con i mixaggi più alternativi. Torre. Info: www.lighthousefestival.tv 13-16 giugno
▶STAAARI ROKERI Uno dei più grandi motoraduni della regione inaugurerà la stagione in modo frenetico e rumoroso all’interno del campeggio Stella Maris per la gioia di tutti i biker e gli amanti delle due ruote. Umago. Info: www.istra.hr 15-16 giugno
▶ANTICA FIERA SOTTO IL CASTELLO Rievocazione storica che prende spunto dallo Statuto di Orsera del 1609. Figuranti in costume accompagneranno i partecipanti tra mercatini e concerti, con tappe speciali di carattere gastronomico. Orsera. Info: www.infovrsar.com
18-23 maggio
▶TOUR DE KAERNTEN Sei tappe di ciclismo nella Carinzia centrale, con lunghezze tra 54 e 122 km e fino a 2.100 metri di altitudine al giorno. Per un percorso complessivo di 360 km di lunghezza totale. Ossiach. Info: https:// tourdekaernten.at 29 maggio – 1 giugno
▶WÖRTHERSEE TREFFEN Raduno GTI a Rifnitz sul lago Wörthersee, tra esposizione d’auto, concerti live e spettacoli dal vivo, quattro giorni ad alto tasso di adrenalina. Reifnitz. Info: https:// woertherseetreffen.at 31 maggio – 2 giugno
▶SPECK FEST Festa gastronomica in cui sarà possibile degustare le migliori qualità di speck del Gailtal. Numerosi eventi collaterali: dai concerti alle escursioni. Hermagor. Info: www. speckfest.at
O L T R E C A R I N Z I A 15 giugno
▶THE HIGHLANDER Estrema o normale? 52 km o 27 km? È l’unica scelta che gli irriducibili delle ascese in alta quota possono fare per partecipare a questo evento che conduce i partecipanti tra le cime più affascinanti della Carinzia al confine con la Stiria. Klopeinersee. Info: www.klopeinersee.at 20-23 giugno
▶UNITED WORLD GAMES Giovani da tutto il mondo si ritrovano per confrontarsi in diverse discipline sportive. Un evento che non è semplicemente un torneo, ma un’occasione di conoscenza e condivisione sostenuta anche dall’Unesco. Klagenfurt. Info: www.unitedworldgames.com 6 luglio
▶IRONMAN AUSTRIA TRIATHLON Una delle gare ufficiali “Ironman” del mondo. Il programma sportivo davvero eroico è riservato agli oltre 2.800 atleti iscritti, provenienti da 5 continenti (3,8 km a nuoto, 180 km in bici, 42 km di corsa). Klagenfurt. Info: www.ironman.com
C O N F I N E S L O V E N I A 17-19 maggio
▶IL MEGLIO DEGLI ARTIGIANI DELLA SLOVENIA Gli artigiani della Slovenia presentano le proprie specialità gastronomiche con ricette tipiche della tradizione culinaria. Agli spettatori il compito di degustare… Ptuj. Info: www.ptuj.info 18 maggio
▶CAPODISTRIA NELLA TUA MANO La festa cittadina di metà maggio diventa l’occasione per la comunità e le associazione di presentare le proprie tradizioni attraverso attrazioni folkloristiche e gastronomia locale. Capodistria. Info: www.koper.si 24 maggio
▶SLOVENIA BUSINESS RUN Evento podistico che punta tutto sulla solidarietà. Lo sport diventa infatti occasione per raccogliere fondi in favore delle persone meno fortunate. Kranj. Info: www.bled.si 25-26 maggio
▶ROSE & ROSÈ FESTIVAL Musica jazz e blues come sottofondo a passeggiate nello splendido Parco delle Rose, accompagnate dalla degustazione dei migliori vini rosati, degli spumanti e di altre prelibatezze. Portorose. Info: www.portoroz.si 1-2 giugno
▶GIORNATE MEDIEVALI Il Castello di Bled diventa l’affascinante cornice di una appassionante rievocazione storica lunga due giorni, che riporterà i visitatori indietro nei secoli. Bled. Info: www.bled.it 4 giugno
▶STING La rockstar inglese, accompagnata dalla sua band, riproporrà al pubblico tutte le sue hit che hanno fatto la storia della musica internazionale. Lubiana. Info: www.visitljubljana.com 21-29 giugno
▶LENT FESTIVAL Il più grande festival culturale all’aria aperta della Slovenia e uno dei principali in Europa. Per una settimana la città diventa un grande palcoscenico per le esibizioni di artisti provenienti da tutto il mondo. Maribor. Info: www.festival-lent.si
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marzo-aprile 2015
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my
3 maggio Buon compleanno Graziana! Cesare, Marina, Elisa, Mattia, Riccardo, Andrea 9 maggio Tanti auguri Nick!
Cinzia
14 maggio Buon compleanno Luca 17 maggio Tanti auguri Claudio!
papà Stefano
Lo staff di iMagazine
21 maggio Felice anniversario a Roberto e Carla Antonio e Serafina 25 maggio Buon compleanno Damiano 27 maggio Tanti auguri Luigi
Lo staff di iMagazine
Eva, Alexandra, Stefano, Manuel
30 maggio Buon compleanno Eva! 10 giugno Auguri Simone! 20 giugno Buon anniversario Marina! 20 giugno Tanti auguri Fabio 29 giugno Buon compleanno Vanni! 29 giugno Tanti auguri Paola!
Stefano & Fans
Lo staff di iMagazine
Andrea
Stefano
Lo staff di iMagazine
Luca, Marta, Stefano
Mandaci entro il 1º giugno i tuoi auguri per le ricorrenze di luglio e agosto! Li pubblicheremo gratuitamente su iMagazine! Segnalaci giorno, evento, mittente e destinatario e spedisci il tutto via e-mail (info@imagazine.it), via posta ordinaria (iMagazine, c/o via Aquileia 64/a, 33050 Bagnaria Arsa – UD) o via fax (040 566186).
Fonte: Federfarma Gorizia e Ordine dei Farmacisti di Trieste
96 | marzo-aprile 2015 FARMACIE DI TURNO
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STORICA via Cosulich 117 Monfalcone, tel. 0481 711315 CENTRALE pzza Repubblica 16 Monfalcone, tel. 0481 410341 COMUNALE 1 via Aquileia 53 Monfalcone, tel. 0481 482787 COMUNALE 2 via Crociera 14 Monfalcone, tel. 0481 480405 REDENTORE via IX Giugno 36 Monfalcone, tel. 0481 410340 RISMONDO via Toti 53 Monfalcone, tel. 0481 410701 SAN ANTONIO via Romana 93 Monfalcone, tel. 0481 40497 SAN NICOLÒ via Iº Maggio 92 Monfalcone, tel. 0481 790338 ALL’ANGELO via Roma 18 Ronchi dei L., tel. 0481 777019 ALLA STAZIONE v.le Garibaldi 3 Vermegliano, tel. 0481 777446 LEDRI via Marina 1 Grado, tel. 0431 80058 COMUNALE via C. Colombo 14 Grado, tel. 0431 80895 ZANARDI via Trieste 31, Staranzano, tel 0481 481252 AL LAGO via Roma 13, Doberdò, tel 0481 78300 LUCIANI via Dante 41, Sagrado, tel 0481 99214 SPANGHERO via Aquileia 89, Turriaco, tel 0481 76025 VISINTIN via Matteotti 31, San Pier d’Isonzo, tel 0481 70135 RAMPINO piazza Venezia 15, San Canzian d’Is., tel 0481 76039 DI MARINO via Redipuglia 77, Fogliano, tel 0481 489174 TRIESTE via Ginnastica 6, tel. 040.772148 TRIESTE piazza Venezia 2, tel. 040.308248 TRIESTE via Curiel 7/B (Borgo S. Sergio), tel. 040.281256 TRIESTE via Giulia 14, tel. 040.572015 TRIESTE via Dante 7, tel. 040.630213 TRIESTE via Costalunga 318/A, tel. 040.813268 TRIESTE via Giulia 1, tel. 040.635368 TRIESTE Corso Italia 14, tel. 040.631661 TRIESTE via Zorutti 26, tel. 040.766643 TRIESTE piazza della Borsa 12, tel. 040.367967 TRIESTE via Rossetti 33, tel. 040.633080 TRIESTE via Mascagni 2, tel. 040.820002 TRIESTE via S. Giusto 1, tel. 040.308982 TRIESTE via Roma 15 (angolo via Valdirivo), tel. 040.639042 TRIESTE via Piccardi 16, tel. 040.633050 TRIESTE via Baiamonti 50, tel. 040.812325 TRIESTE piazza Oberdan 2, tel. 040.364928 TRIESTE piazzale Gioberti 8, tel. 040.54393 TRIESTE via Oriani 2 (largo Barriera), tel. 040.764441 TRIESTE piazza Cavana 1, tel. 040.300940 TRIESTE viale Miramare 117, tel. 040.410928 TRIESTE via dell’Istria 33, tel. 040.638454 TRIESTE piazza Giotti 1, tel. 040.635264 TRIESTE via Belpoggio 4 (angolo via Lazzaretto Vecchio), tel. 040.306283 TRIESTE via Bernini 4 (angolo via del Bosco), tel. 040.309114 TRIESTE largo Piave 2, tel. 040.361655 TRIESTE via Felluga 46, tel. 040.390280 TRIESTE piazza Libertà 6, tel. 040.421125 TRIESTE via dell’Istria 18/B, tel. 040.7606477 TRIESTE via di Servola 44, tel. 040.816296 TRIESTE viale XX Settembre 6, tel. 040.371377 TRIESTE via dell’Orologio 6 (via Diaz 2), tel. 040.300605 TRIESTE via Pasteur 4/1, tel. 040.911667 TRIESTE via Tor S. Piero 2, tel. 040.421040 TRIESTE piazza Goldoni 8, tel. 040.634144 TRIESTE via Revoltella 41, tel. 040.941048 TRIESTE via Brunner 14, tel. 040.764943 TRIESTE campo S. Giacomo 1, tel. 040.639749 TRIESTE piazzale Valmaura 11, tel. 040.812308 TRIESTE via Roma 16 (angolo via Rossini), tel. 040.364330 TRIESTE piazza Garibaldi 6, tel. 040.368647 TRIESTE via Stock 9, tel. 040.414304 TRIESTE largo Sonnino 4, tel. 040.660438 TRIESTE piazza S. Giovanni 5, tel. 040.631304
COMUNE DI MONFALCONE Dati: N.P.
Recapiti: 0481 494280, www.comune.monfalcone.go.it
COMUNE DI SAN CANZIAN D’ISONZO Abitanti: 6.205
(dati Anagrafe dic 2018-feb 2019) nati: 10, deceduti: 19, immigrati: 80, emigrati: 62, matrimoni: 1 Recapiti: 0481 472311, www.comune.sancanziandisonzo.go.it
Le farmacie contrassegnate dal fondino arancione anticipano di un giorno le date di turno indicate. Le farmacie di Trieste iniziano e terminano i turni 2 giorni dopo rispetto alle date indicate
06-12
29-05
22-28
15-21
08-14
01-07
25-31
18-24
11-17
04-10
2015 | 97 MAGGIO | marzo-aprileGIUGNO
COMUNE DI STARANZANO Abitanti: 7.256
(dati Anagrafe giu-dic 2018) nati: 26, deceduti: 49, immigrati: 204, emigrati: 187, matrimoni: 18 Recapiti: 0481 716911, www.comunedistaranzano.it
COMUNE DI RONCHI DEI LEGIONARI Dati: N.P.
Recapiti: 0481 477111, www.comuneronchi.it
M ST ON ED IZIO AR FA NE A N LCO C PE ZA NE ERCET NO - VGRIRVIE R LE FA 328 G R I - S ONORNGSANTE MIG 90|/2200 LIE 11029 AN CHIZNIAN1 CA I DAO OD D DI NZ EI ELEL IA LE FRFR N D GI IUIU ’IS ONALILI ON RI ZO
98 | maggio-giugno 2015 | 98 | marzo-aprile 2012 |
Evropske volitve 2019 Kdo ve, kdaj pridemo na tiste svetovne Europawahl 2019 - Wer weiß, wann wir zur Weltwahl kommen werden! Elezions Europeanis 2019 - Cuissà cuant che o passarìn a chês mondiâls! Elezioni Europee 2019 - Chisà quando paseremo a quele mondiali Elesioni europee 2019 Chi sà quand che sarà quele mundial?
Elezioni Europee 2019 - Chissà quando passeremo a quelle mondiali! Per le traduzioni si ringrazia: Irene Devetak (sloveno), Isa Dorigo - Regjon autonome FVG Servizi lenghis minoritariis (friulano), Andrea Coppola Università di Trieste (tedesco), Marianna Martinelli (bisiaco), Alessandro Samez (triestino).