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N.13 | 31 Dicembre 2014
CONTENUTI
African Middle Class
Your Body is a Battleground Da un segno iniziale, ad un simbolo studiato per indicare uno status, per poter esprimere un’emozione, un valore. Per stabilire autorità, rango sociale, rito di passaggio. Il tattoo è una delle forme più antiche di espressione artistica, è l’atto di incidere sulla propria pelle il proprio Io per rafforzarne l’immagine. è l’inchiostro che penetra la pelle, indelebile, come un pensiero manifesto, per tutta la vita.
45.
7. Dal buio 3
I Caravaggio. Veri e veritieri. Pennellate che rompono con la loro anima come un’immagine speculare della società di ieri e di oggi. Su fondi scuri, per dare luce alla realtà. Dai bassifondi della vita per una riflessione oltre la tela.
25.
L’ecomomia come il Rugby
41.
L’economia della Nuova Zelanda batte quella australiana. Una storica vittoria come a Rugby.
!MPATTO magazine di approfondimento
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Direttore Responsabile
La Crisi 55. di Putin
Emanuela Guarnieri Responsabile Editoriale Guglielmo Pulcini Contributi Anna Annunziata Giorgia Mangiapia Marina Finaldi Flavio Di Fusco Pierluigi Patacca Gennaro Battista Marco Tregua Liliana Squillacciotti Eleonora Baluci Valerio Varchetta
L’uomo distruttore e la Terra come forma d’arte. Salvaguardarla e proteggerla perché Madre di tutto. Iniziando dagli scarti alimentari per produrre energia. Dalla potenza all’atto aristotelico, è energia la capacità di trasformare per ricreare. È energia, la volontà di agire in maniera consapevole per salvare se stessi e il Pianeta.
Josy Monaco Armando De Martino Grafica Ennio Grilletto Vittoria Fiorito
19.
Salvate il Pianeta Terra
Vite di scarto Scarti di vista
83.
Edito da Gruppo Editoriale Impatto IT 07802041215 gruppo.impattomagazine.it gruppo@impattomagazine.it Coordinamento Pulseo IT 07369271213 www.pulseo.biz info@pulseo.biz Testata Registrata presso il tribunale di Napoli con decreto presidenziale numero 22 del 2 Aprile 2014. Le foto presenti su Impatto Mag sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, lo possono segnalare alla redazione (tramite e-mail: info@ impattomagazine.it) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.
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Chi di voi vorrĂ fare il
giornalista si ricordi di scegliere il proprio padrone
il lettore! Indro Montanelli
!MPATTO - Life N.13 | 31 Dicembre 2014
Your Body is a Battleground Da un segno iniziale, ad un simbolo studiato per indicare uno status, per poter esprimere, attraverso un disegno, un’emozione, un valore. Per stabilire autorità, prestigio, sensualità, rango sociale, rito di passaggio. Il tattoo è una delle forme più antiche di espressione artistica, è l’atto di incidere sulla propria pelle il proprio Io per rafforzarne l’immagine. È l’inchiostro che penetra la pelle, indelebile, come un pensiero manifesto, per tutta la vita.
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a che mondo è mondo, l’uomo ha sempre modificato il proprio corpo: che sia per esprimere la propria personalità o per ragioni puramente estetiche, che traduca l’esigenza di appartenere a un gruppo sociale ben definito oppure una volontà ribelle, le pratiche più disparate di body modification hanno sempre accompagnato il nostro viaggio evolutivo. Testimonianza di ciò è sicuramente la scoperta, recente, di una forma primitiva di tatuaggio sul corpo mummificato di Ötzi. Una serie ordinata di linee e croci, ottenute praticando incisioni nella pelle e poi sfregandole con carbone vegetale, adornano la spina dorsale, il polpaccio ed i piedi dell’uomo venuto dal ghiaccio. Essi non avevano uno scopo decorativo bensì terapeutico, poiché i punti del corpo in cui sono presenti mostrano segni di usura pregressa. L’usanza di fregare la cenere su una ferita aperta è ancora presente in alcune tribù africane, le quali adottano di frequente la pratica della scarificazione (dal latino “scarificare”, incidere). Tra queste ci sono i Dassanech, popolazione nomade che insegue il grande u
La forma della pelle e dell’anima Apparire per essere o essere per apparire? Colori che si fondono, disegni che prendono forma per dar forma alla pelle e forse all’anima. (Ph. Claire Lim - 2012)
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fiume Omo Omo eeche chevive viveprinciprincipalmentedidipastorizia. palmente pastorizia. Immagino la notte in Etiopia. È buio pesto, un uomo fa ritorno alla sua capanna di legno e fango. Ha le mani coperte di sangue. Questa notte ha ucciso. Ha ucciso la bestia che per tre notti ha cacciato il suo gregge, massacrando le sue povere capre una dopo l’altra. Con la mano lunga e nodosa si tocca il petto. Le dita percorrono la pelle coriacea, ricoperta da una miriade di piccole escrescenze, cicatrici in rilievo. Ricorda il motivo della corazza di un coccodrillo, animale forte, animale sacro. Il fuoco è acceso nella capanna. Il guerriero si accovaccia, le piume del suo copricapo d’argilla ondeggiano. Con il coltello si
pratica un’ incisione sul petto. Qualche goccia di sangue bagna il terreno sotto i suoi piedi, ma dalle labbra dell’ uomo non esce alcun suono. Con la cenere del focolare sfrega la ferita fresca: ora c’ è una nuova tacca sulla tela che racconta la sua vita...
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ella cultura Dassanech, la scarificazione è molto diffusa. Gli uomini della tribù, in parecchi casi anche le donne, incidono delle tacche orizzontali sul proprio corpo (di solito il petto) allo scopo di indicare la sconfitta di un nemico, sia esso umano oppure animale. In questo modo, la cicatrice svolge la doppia funzione di ornamento e appartenenza
ad un gruppo sociale. La scarificazione non è l’ unica tecnica di body modification che le popolazioni Dassanech utilizzano tradizionalmente. Un’ altra pratica assai diffusa è quella della circoncisione dei genitali maschili e femminili, che rappresenta un vero e proprio rito di passaggio all’età adulta. L’evento segna in particolar modo la vita delle ragazze, le quali cominciano ad essere considerate donne vere e proprie solamente dopo la recisione del clitoride: prima del rito vengono, infatti, chiamate “ragazzi” all’ interno della tribù, per via della somiglianza di quella particolare area del corpo femminile al pene. La mutilazione assume, dunque, u
I ruoli del villaggio Dal significato al significante In una tribù, ogni segno è simbolico e mistico. Assume significato vitale e stabilisce ruoli definiti. (Ph. Brent Stirton - 2010)
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per quanto possa suonare strano, una connotazione positiva, poiché determina il riconoscimento di un ruolo ben definito e rispettato in seno alla società. I Dassanech non sono l’unica popolazione della Omo Valley a servirsi di tecniche più o meno invasive di body modification per ragioni sociali o estetiche.
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iù giù, lungo il fiume, una donna Mursi, avvolta in una tunica color della terra che le lascia un seno scoperto, allatta l’ ultimo dei suoi bambini. Porta una corona di perline colorate intorno alla testa; appesa alle orecchie c’è una complicata struttura d’osso e corda. La cosa più stupefacente di lei sono le labbra: labbra tra le quali è incastonato un piattino d’argilla di circa venti centimetri di diametro. La pelle attorno al disco è tesa, sembra stia per spezzarsi sotto il peso dell’ oggetto. Quando, a sera, la donna rimuove il piattino prima di coricarsi, il labbro inferiore, privo del suo sostegno, pende floscio e sporgente lungo il volto. Le donne Mursi cominciano a indossare un disco decorativo di legno o di argilla qualche mese prima del matrimonio. Per far spazio al piattino, di solito, vengono asportati anche i due incisivi inferiori. Con il passare degli anni, e dell’ esperienza, le Mursi utilizzano dischi sempre più grandi fino ad arrivare, nel caso più estremo conosciuto, a oltre i cinquanta centimetri di diametro. I dischi vengono decorati a mano personalmente dalle donne che li indossano e sono per loro motivo di grande orgoglio, oltre che simbolo di forza e bellezza.Anche se la pratica della dilatazione del labbro inferiore a fine puramente estetico sta cadendo sempre più in disuso tra le giovani Mursi, molte donne continuano a portare il disco d’argilla al labbro poiché tale consuetudine attrae i turisti di tutto il mondo. Una sorte analoga è toccata alle u 11
La sua esistenza, la sua presenza Dalla terra alla terra. L’uomo è parte della Natura e come tale esprime e manifesta con forme e sfumature la sua esistenza, la sua presenza. (Ph. Photito Travel - 2013)
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donne Padaung, altrimenti note come “donne giraffa” o “ donne cigno”, in Thailandia. Qui, nel villaggio di Mae Hong Son, i turisti affollano strade e luoghi pubblici per fotografare le donne dai lunghi colli impegnate nelle loro attività quotidiane. Eccone una lì, accovacciata presso il telaio, intenta a filare, gli occhi a mandorla che seguono il disegno della 13
stoffa, le mani veloci, il tintinnio dei braccialetti. Ecco il fruscio del fazzoletto colorato che porta sulla testa, il guizzo dell’ ottone che brilla al suo collo...
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e Padaung cominciano volontariamente a indossare anelli d’ ottone intorno al collo all’età di cinque anni, aggiungendo
periodicamente altri anelli fino a provocare lo slittamento della clavicola che conferisce loro il caratteristico aspetto da cigno. Secondo la tradizione popolare, le donne Padaung indossano la spirale d’ottone come tributo alla dragonessa che, unitasi al vento, diede origine al loro popolo. Molte di esse indossano spirali analoghe anche intorno alle caviglie. Il fatto
L’accattivante riflesso Un ornamento per ammaliare Nella rigidità di un collo d’ottone, la sensualità dell’inavvicinabile. L’accattivante riflesso di un metallo che veste e allo stesso tempo scopre. (Ph. Valerio Berdini - 2013)
che gli abitanti del villaggio di Mae Hong Son siano praticamente considerati dai turisti non come persone, ma come parte del paesaggio esotico, il fatto che il loro sfoggiare la propria cultura, le proprie origini al collo automaticamente li etichetti come fenomeni alieni da fotografare al pari di un bel tramonto o un animale buffo per poi sfoggiarli, a mò di
trofeo, alle cene coi parenti di rientro dalle vacanze, la dice già lunga sul nostro modo di intendere l’arte della body modification.Se, infatti, nei casi che abbiamo elencato, tatuaggi e body modification esprimono in massima parte il senso di appartenenza a una determinata comunità e sono simbolo di una identità collettiva quasi spirituale, nel nostro Occidente tatuag-
gi e modificazione del corpo assolvono al compito diametralmente opposto: quello di prendere le distanze dalla società, di differenziarci dagli altri.
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atuaggi, scarificazione, piercing, innesti sottocutanei rispondono alla nostra esigenza di gridare al mondo la nostra u 14
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individualità, il nostro “essere speciali”, essere unici. Quest’esigenza non è mai innocente o fine a sé stessa: si accompagna, infatti, alla propensione al voler far parlare di sé, al voler provocare a tutti i costi una reazione nell’altro, alla frenesia dell’affermare che io esisto e ho il diritto di fare al mio corpo ciò che mi pare, nonostante le istituzioni. Non a caso, tatuaggi e piercing sono da sempre tratto distintivo delle subculture che abbracciano la ribellione e il rifiuto della società come stendardo.
È
sabato sera. Un giovane dai capelli lunghissimi sorseggia qualcosa al bancone del locale notturno. Con la testa tiene il ritmo della musica. Gli occhi socchiusi sono di due colori diversi: uno è nero intenso, l’ altro di un bianco lattiginoso. Grossi spilloni gli perforano il labbro inferiore. Sotto la barba a punta, la stampa della maglietta mostra il logo sbiadito è blasfemo di una qualche rock band del Nord Europa. Il ragazzo al bancone guarda la gente intorno a sé. Ballano, bevono, si scambiano convenevoli. Come lui, molti sfoggiano piercing, capelli lunghissimi e trucco pesante. Come per lui, le magliette extralarge di band sconosciute e i pantaloni in finta pelle che indossano, celano lo spettacolo variopinto di tatuaggi raffiguranti draghi e croci celtiche, angeli della morte e simboli tribali. Sono tutti così impegnati a cercare di essere diversi da non accorgersi di somigliarsi tanto da sembrare uguali.
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l documentario “Modify”, girato nel 2005 da Greg Jacobson e Jason Gary, cerca di definire il fenomeno della modificazione del corpo arrivando alla conclusione che tutto, dal tagliarsi i capelli al farsi impiantare un paio di corna sotto pelle, può essere considerato body modification. In quest’ottica, tutti facciamo parte di un’unica grande tribù, con le sue consuetudini e le sue regole, le sue tradizioni e contraddizioni, che fa della body modification, dell’apparenza, il veicolo più forte e più vero della sua espressione, che ci raggruppa non per la forza del nostro senso d’appartenenza, ma per la vulnerabilità nel nostro voler a tutti i costi essere “io”. 15
Un passato che ancora vive Dischi deformanti. Per orgoglio, forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare. (Ph. Brent Stirton - 2010)
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salvate
il pianeta
terra Ottenere combustibile dagli scarti alimentari è un ottimo rimedio per risolvere il problema dei rifiuti e produrre nuova energia.
“L’
uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”. Il pianeta Terra è la risorsa più grande che l’uomo possiede. Una risorsa non solo da sfruttare e spremere fino all’osso, ma da valorizzare per vivere in armonia con la natura e trarne un reciproco vantaggio; obiettivo purtroppo spesso sacrificato in nome del progresso, dimenticando che le risorse non sono infinite e, soprattutto, che determinati comportamenti hanno come unica conseguenza la distruzione del pianeta stesso. La Terra ha dei diritti, e come tali vanno rispettati. Prendersene cura diventa quindi un dovere vero e proprio, attuabile, a piccoli passi, a partire dal singolo uomo e cittadino fino alle grandi aziende e multinazionali. Nel 2014 la National Geographic Society (una delle più grandi associazioni senza scopo di lucro che si occupa di ambiente dal 1888) ha nominato 14 “emerging explorers”, riconoscimento dato a donne e uomini che si prendono cura del pianeta con le loro idee ed invenzioni. Di questi 14 esploratori fa parte Sanga Moses, che partendo da uno dei maggiori problemi che affliggono il suo Paese, l’Uganda, ha realizzato un nuovo tipo di combustibile, ricavandolo da scarti alimentari. Per secoli l’unico combustibile conosciuto da queste popolazioni è stata la legna; u 20
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u deforestazione, malattie
respiratorie e sottrazione dei bambini all’istruzione le conseguenze. Moses ha così progettato e poi realizzato, fondando la Eco Fuel Africa, delle macchine in grado di trasformare gli scarti dell’agricoltura, come residui di canna da zucchero, caffè, riso ed altri rifiuti, in bricchetti cilindrici, combustibile meno costoso e più ecologico del legno. Seguendo l’esempio di Moses, trasformare gli scarti alimentari in energia non è più solo un’utopia, ma un modo concreto di porre rimedio a due dei problemi principali che affliggono l’uomo nell’epoca moderna: la sovrabbondanza di rifiuti e la carenza di fonti energetiche. Negli ultimi decenni l’umanità è stata costantemente alla ricerca di nuovi modi di produrre energia, privilegiando in modo particolare le fonti di energia pulita. I grandi disastri nucleari di Chernobyl, nel 1986, ed il recente disastro alla centrale di Fukushima, nel 2011 (entrambi classificabili al 7° grado della scala INES - International Nuclear Event Scale), incidenti gravissimi la cui entità in termini di danni a persone, cose e natura non è del tutto calcolabile, hanno lasciato un segno profondo, oltre ad un vivido ricordo nell’immaginario collettivo, spingendo l’uomo a trovare fonti di energia più sicure e stabili, ma altrettanto produttive. Inoltre è sempre più impellente la necessità di trovare fonti alternative ai combustibili fossili, quali carbone, gas naturali e petrolio, che pur essendo economici sono altamente inquinanti per l’ambiente 21
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è sempre più impellente la necessità di trovare fonti alternative ai combustibili fossili altamente inquinanti (per esempio essi determinano l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, aumento responsabile del surriscaldamento globale) e non sono rinnovabili, soggetti quindi ad un progressivo esaurimento. Per questo negli ultimi decenni si è puntato molto su nuove fonti energetiche, quali l’energia solare, l’energia eolica e l’energia idroelettrica. L’energia solare è la fonte di energia per eccellenza, la fonte primaria sul pianeta; infatti, è quella normalmente usata dagli organismi vegetali, tramite la fotosintesi clorofilliana. Essa viene sfruttata per la produzione di calore, con i pannelli solari termici,
ed elettricità, con i pannelli fotovoltaici. L’energia eolica sfrutta invece la forza del vento, tramite aerogeneratori che producono elettricità; è una fonte verde e rinnovabile, che produce energia per il commercio in 83 Paesi del mondo. Infine l’energia idroelettrica sfrutta l’energia cinetica prodotta dall’acqua, potenza sprigionatasi dal suo spostamento. Per quello che concerne invece il secondo problema, secondo l’International Solid Waste Association (ISWA, l’associazione mondiale che riunisce gli operatori del settore trattamento e smaltimento rifiuti) ogni anno, nel mondo, vengono
prodotte più di 4 miliardi di tonnellate di rifiuti, metà provenienti dalle famiglie e metà come risultato di attività produttive ed industriali. Da questo dato si può facilmente dedurre come lo smaltimento dei rifiuti sia una vera e propria piaga della società moderna. Nei Paesi industrializzati la discarica è ancora il sistema più diffuso per lo smaltimento dei rifiuti, sistema ancora largamente utilizzato in Italia, ma soggetto a diversi problemi, come la ricerca di nuovi spazi, la mal tolleranza delle popolazioni limitrofe, la pericolosità a livello ambientale. Dopo aver a lungo, e per troppo tempo, inquinato mari e fiumi con il riversamento di rifiuti e prodotto diossina, poi dispersa nell’aria, con gli inceneritori, si è giunti a capire che solo una corretta gestione dei rifiuti può rappresentare la soluzione del problema, iniziando con una specifica raccolta differenziata, attuabile già dal singolo cittadino nelle abitazioni private, fino all’ideazione ed alla costruzione di appositi impianti di smaltimento e riciclo. Delle 4 miliardi di tonnellate di rifiuti prodotte annualmente, 1,3 miliardi sono rifiuti di tipo alimentare, tra risultati della trasformazione e alimenti gettati via. Per risolvere entrambi i problemi gli scarti alimentari possono essere trasformati in energia grazie ai termovalorizzatori o agli impianti a biomassa. I primi creano energia bruciando i rifiuti in appositi forni: la loro combustione produce calore che andrà a riscaldare l’acqua contenuta in una caldaia, producen- u 22
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Vi sono in atto ricerche da parte di aziende ed università. u do vapore ed infine ener-
gia elettrica. Gli impianti a biomassa invece sfruttano i rifiuti urbani, gli scarti delle industrie agro-alimentari, gli oli vegetali, diversi tipi di legname; l’energia viene prodotta mediante combustione diretta delle biomasse, o tramite pirolisi, ovvero una combustione in assenza di ossigeno che scinde i legami chimici, o tramite gassificazione, per estrarre i gas 23
di sintesi. Bruciare gli scarti alimentari non rappresenta però l’unica soluzione. L’UE finanzia il progetto di ricerca NOSHAN, presentato in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione 2014 tenutasi il 16 ottobre, progetto volto a trasformare i rifiuti alimentari (in particolar modo latticini, frutta e verdura) in mangimi per animali, a basso costo e con un dispendio energetico
contenuto; tale esempio di riciclo potrebbe, sempre secondo il NOSHAN, portare anche alla creazione di specifici mangimi atti a prevenire le malattie e tenere in buona salute gli animali. Vi sono inoltre sempre in atto ricerche da parte di aziende ed università per recuperare gli scarti alimentari e trasformarli in materie prime, come bioplastica, carburante o carta. Un in-
gegnere italiano, Alberto Volcan, ha brevettato un sistema per trasformare gli scarti della lavorazione del succo di frutta, mele in particolare, per ricavare carta ed ecopelle, CartaMela e PelleMela; i rifiuti essiccati produrrebbero infatti una particolare farina bianca ricca di cellulosa. È del 2008 una ricerca del Cnr volta a trasformare gli scarti di lavorazione del pomodoro (bucce e semi)
in plastiche di origine non petrolchimica, e quindi ecologiche. Un’azienda inglese, la Ecotec (che già produce biodiesel dall’olio di cottura di scarto) ha sperimentato un metodo per ricavare carburante, ecologico ed a basso costo, dagli scarti della lavorazione del cioccolato. Infine l’università La Sapienza di Roma sta cercando di promuovere l’utilizzo dei fondi di caffè come com-
bustibile per stufe e caldaie, riciclando quindi rifiuti urbani prodotti dai singoli cittadini Uomini, ricercatori, inventori che cercano di rendere il pianeta migliore, preservandone le risorse e difendendone le virtù, perché, come disse un tempo Andy Warhol, “credo che avere la Terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”. 24
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La realtà senza drappi e senza cenci Una tela fatta di carne viva, muscoli contratti, volti sbarrati, occhi sconvolti e corpi scomposti. Veri e veritieri. Pennellate su dipinti che rompono con la loro anima come un’immagine speculare della società di ieri e di oggi. Su fondi scuri, per dare luce alla realtà. Dai bassifondi della vita per una riflessione oltre la tela.
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ell’era degli scatti veloci, delle immagini per parlare, del selfie per affermare la propria esistenza, delle foto per testimoniare stragi, disastri, vendette, progressi e regressi, la realtà giunge con l’impatto dell’immediatezza. In un fermo immagine da osservare e interpretare. Ma quale messaggio viene immortalato? Cosa osservano gli occhi? Cosa percepisce la mente? Davvero si ha di fronte la realtà o un’ immagine distorta di essa? Cosa c’è in quell’immagine? O meglio ancora: cosa si cela dietro quell’immagine? Si parta dal presupposto che immaginare è: in me mago agere. Lasciare agire il mago che c’è in me. In Arte, l’immaginare si traspone in osservazione attenta di ciò che l’occhio propone alla visione, per ottenere la chiarezza di un’immagine limpida nella sua struttura interna, anche se non sempre visibile. La vita come luogo di contraddizioni risolte e superate perché idealizzate attraverso l’arte. D’altronde l’immaginare è anche ciò che appare dalla visione. Ciò che non si vede non interessa. Non è importante. L’attenzione u
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puntuale deve cogliere il dato visibile e non vi è possibilità di trasfigurazione del reale. Non è possibile nessuna idealizzazione. La realtà deve apparire nuda così com’è. Senza drappi, senza cenci. In un’aderenza intima alla realtà. In una compenetrazione sanguigna, verace, dove scompaiono le bellezze e le perfezioni e compaiono le realtà nelle proprie verità. Realtà che assalgono per la loro drammatica veridicità. Realtà che parlano senza parole e lasciano sconvolte per la spietata onestà.
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aravaggio docet. Caravaggio crea e imbarazza. Turba e ammutolisce. Genialità dell’Arte. Materi-
alizzazione di un’intuizione interiore e superiore. Oggi sconvolgerebbe come allora. Per la sfrontatezza nel mostrare un mondo fatto di carne, muscoli, volti contratti, spaventati, indifferenti; di occhi sgranati, bocche aperte in una smorfia di dolore, stupore, passione; di corpi sporchi, quasi nudi e scomposti; di ventri gonfi, di frutta bacata e marcia, di foglie appassite, di personaggi grossolani, dissacranti, umani; di morti vere e sangue reale. Guardare un Caravaggio e rendersi conto che si possono ritrovare in esso le realtà di oggi. Compenetrarsi in quel buio alla ricerca della luce e vedere chiaramente il mondo dei nostri giorni. Come se quei corpi fossero
stati presi, allora come oggi, dalla vita reale e fossero stati posti su tela, inglobati in una cornice, in un misterioso e intrigante gioco di luci e ombre. I suoi dipinti assumono il ruolo di uno specchio attraverso cui potersi guardare specularmente. Come immagine rovesciata e peggiorata ma che ritrova in essi la stessa tensione. Fermando la famosa immagine che nasconde e lascia scorgere al contempo. Uno sfondo buio, risucchiato nell’ombra, un panneggio rosso sangue, la morte che incombe attraverso tre espressioni diverse, sangue che zampilla e schizza senza pietà alcuna. Siamo di fronte ad Oloferne, ubriaco e stordito, riverso su un letto che diventa u
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vittima dell’inganno di Giuditta. La lotta patriottica in difesa di un territorio che si combina in difesa della fede. L’essenza di una donna vedova in una società patriarcale e maschilista. Un gigante nel suo spasmo che tende ancora i muscoli e le mani aggrappate al lenzuolo. Una donna ferma e algida con braccia tese compie il suo dovere. Una serva anziana corrugata e terrorizzata osserva, in attesa di raccoglierne la testa. Il rosso sangue è sulle mani sporche e negli occhi dei giovani musulmani, convinti di portare avanti una lotta patriottica e che abbandonano le loro famiglie per prendere parte ad una falsa idea diffusa dalle milizie dell’ISIS: una “crociata musulmana contro l’Occidente”.
L
o sfondo buio e nero è nelle nere bandiere dell’ISIS su cui campeggia la frase “There is no god but God Muhammad is the messenger of God”. Nel Caravaggio il buio e la luce sono fonte di esaltazione di drammaticità delle scene. Una luce che arriva quasi brutalmente a scoprire parti di una scena che altrimenti resterebbero avvolte dalle tenebre. Nell’agire spietato e cruento dei combattenti dell’ISIS il buio è accecante e la luce tenebrosa. Sulla bandiera nera, la scritta bianca avvolge nel’orrore le vittime di atti terroristici compiuti nel nome di uno scontro tra civiltà. Il patriottismo di Giuditta versus un mero desiderio di vendetta colto in uno spasmo, quello di Oloferne moribondo. Un gigante bloccato in una smorfia di terrore, in quell’attimo in cui è sospeso tra la vita e la morte. In uno spasimo eterno. Come eterno sembra essere quel desiderio di vendetta agonizzante e inquietante dei jiadisti nel respingere la democrazia, la laicità, il nazionalismo. Intanto il mondo assiste, come l’anziana serva non bella e immobile, ad un martirio continuo, ad una u 29
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!MPATTO - Culture Cases
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violenza gratuita. In attesa di una testa recisa da una donna libera ebrea che vuol salvare il suo popolo, oggi come ieri, in una società maschilista e patriarcale.
L
a donna libera, umana, raccolta per strada nei bordelli e dipinta come una Madonna. Lontano dalla sublimazione del sa31
cro, Caravaggio non ha innalzato lo sguardo dell’uomo verso il divino ma il divino è nel mondo degli uomini ed è nell’uomo. Lì, il genio di Caravaggio cerca il divino e lo trova tra le cortigiane, nei bassifondi bui di Roma. In quella Roma del 1593, tra le osterie, prostitute e artisti avevano in comune la strada, la quotidiana realtà e anche l’intimità con gli uo-
mini della Chiesa. I dipinti di Caravaggio per lo scarso “decoro” vengono commissionati e poi rifiutati. La Madonna dei Palafrenieri rimase sull’altare per meno di un mese. Nell’opera in cui Caravaggio ha raggiunto la più alta vetta della classicità, le forme del corpo femminile vengono contestate, rifiutate, perché troppo manifeste nel loro porgersi
in avanti con una lascivia di bellezza assoluta. Forme troppo sensuali nel lasciarsi intravedere. La scelta della modella venne considerata oltremodo scandalosa: una prostituta. Lena, prostituta d’alto borgo che rasserenava l’esistenza degli ecclesiastici romani di fine ‘600. La donna di Caravaggio e la sua modella preferita. Lena che scriveva per essere ricor-
data. Lena, una cortigiana, ritratta come una Madonna nell’irruenza delle sue forme calde. Il sacro e profano in un unico corpo dipinto su tela. Un mestiere legale allora e illegale oggi. In Italia almeno. Caravaggio ha donato alle sue prostitute la seduzione dell’arte, la bellezza delle pennellate, il segno inconfondibile della profondità. Erano guardate e consider-
ate non solo nell’oscurità e nel silenzio. Ben diversa è l’immagine della prostituzione oggi. Sempre come in un’immagine speculare, ci si ritrova ancora a discutere sulla legalizzazione della prostituzione. In termini che non hanno nessuna sfumatura artistica o pennellata di colore brillante, nel computo del PIL è inserita una stima delle attività illegali. La u 32
!MPATTO - Culture
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prostituzione è illegale ma inserita nel calcolo del Prodotto interno Lordo Italiano. Come stabilito dalle linee guide dell’Eurostat bisogna quantificare tutti gli introiti delle attività non legali. Se la prostituzione fosse legalizzata, andrebbe a incrementare una spaventosa quantità di risorse nel sistema economico. Senza torcere il naso, senza sconvolgersi. A fine ‘600, di fronte alle Madonne del Caravaggio, si restava estasiati per la sensualità, rapiti dalla vividezza del corpo, ma non lo si poteva né doveva ammettere. Bisognava ammirare il silenzio ma nascondere, staccare dalla parte. Ancora oggi, in ambientazioni disadorne e indefinibili, senza consentire un riconoscimento e una protezione alle moderne cortigiane, si accetta e si ha piacere di poter contemplare e toccare un quadro dipinto quotidianamente da mani scaltre ma non lo si tiene ufficialmente sull‘altare. Meglio celarlo, staccarlo dalla parete principale dell’altare e porlo su pareti all’ombra da occhi bigotti.
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n gesto per sporcarsi le mani. Un dito per penetrare in un costato. Per incredulità e per accertarsi di una verità per cui la vista non basta. Vi è il bisogno di toccare. L’incredulità di san Tommaso è l’incredulità degli apostoli che si nascondono dietro di lui ma che hanno bisogno delle stesse conferme. Si affacciano con sguardi sbigottiti, mentre una mano rozza con unghie sporche– quella di Tommaso presa da Gesù stesso – è portata nella ferita del costato. Nella contrapposizione cromatica di luce e ombre si potrebbe ritrovare il nostro oggi. Sporcarsi le mani è nel traffico di stupefacenti, nella corruzione, nel traffico d’armi, nell’estorsione, nell’ usura, nel recupero crediti, nel metodo mafioso,nella corruzione. È Roma mafia capitale. È terrorismo. È omertà. È il fracking. u 33
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È nell’estrazione del petrolio con getti d’alta pressione di acqua provocando una caduta dei prezzi del petrolio mentre gli ambientalisti urlano il loro no. È nel sovrapporsi dell’uomo sull’ambiente. Nel suo sovrapporsi al tempo, agli spazi. È nel mettere le mani in un costato fino in fondo. In un corpo che non nasconde le sue ferite, ma le mostra lasciando sul corpo i segni dei chiodi e della lancia. È nella verità delle cicatrici di carne viva in cui affondano mani che palpano in un crudo realismo attuale e circolare. “Vivrà 35
fino a quando non conoscerà se stesso” . Così l’indovino Tiresia rivela alla ninfa Liriope - avvolta e sedotta nelle onde del dio fluviale Cefiso – il futuro del figlio. Dalla loro unione, nascerà Narciso.
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l bellissimo Narciso, ritratto nel momento che precede la scoperta dell’inganno mentre, nel riflesso dell’acqua, si rivede senza riconoscersi e s’innamora di se stesso. Cercherà un contatto fisico con il suo sé riflesso. Tutto è rappresentato in quel rif-
lesso. Le pieghe delle maniche della camicia sono nel loro preciso e minuzioso rovesciamento. Nel riconoscersi e nel conoscersi, Narciso si perderà. Mai un quadro è stato più attuale. Nell’era dell’autoscatto, ci si è persi. Tutto è specularmente riflesso in uno scatto, in un’immagine a rovescio. Il bisogno di essere visti e di auto-affermarsi rispecchia specularmente Narciso nella sua identità assoluta che non conosce l’alterità. Il solfitis: un neologismo per indicare l’ossessivo del selfie. È tale la mancanza di autostima u
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e la lacuna della propria intimità da voler compensare l’immagine di sé attraverso la presenza artefatta , curata e studiata sui social network ormai considerati luoghi di connessione affettiva e rassicurante? Un selfie influenza il senso d’identità e dell’io nella società perché consente un controllo della propria immagine condivisa. L’immagine di ciò che si vuol far apparire ma non di ciò che si è. Si vuol sondare il noi stessi, a che punto si è nella vita, consapevoli di condividere quel sé ma, forse, non consapevoli che si potrebbe far agire quel mago che è in ognuno. Una soluzione ci sarebbe. Alzarsi. Recarsi in un museo qualsiasi. Si tratti di un Caravaggio o di un altro pittore è scelta personale. Sarebbe anticonformista e dissacrante ai nostri giorni, fermarsi ad osservare un quadro. Contemplarlo. Immergersi in esso e perdersi. Non come Narciso riflessi e ripiegati su se stessi per sfuggire a se stessi ma per uscire dalla stasi in cui la società, per il suo inarrestabile movimento continuo, spinge a collocare l’individuo. Per emergere dal buio dello sfondo e generare luce.
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Dal rugby
all’economia Nuova Zelanda
batte Australia D
di Marco Tregua
opo i tanti successi nello sport nazionale, che vanno ormai avanti da anni, la Nuova Zelanda batte l’Australia anche in un altro campo, quello economico, a valle di una lunga rincorsa e in controtendenza rispetto ai risultati degli ultimi anni e alle previsioni che il governo di Sidney aveva rilasciato alla fine dello scorso anno. Numerosi sono i fattori che hanno portato l’economia australiana a ridurre la propria crescita e a favorire “l’operazione sorpasso” dei vicini di casa neozelandesi; in primis, le variazioni in diminuzione dei prezzi nel mercato metallifero – pari al 50% in soli 12 mesi, benché un calo del 20% era stato già messo in preventivo dagli esperti del settore –, carbonifero e in quello petrolifero hanno rappresentato una mannaia per l’economia australiana, le cui esportazioni erano fortemente dipendenti dall’offerta di ferro, carbone e idrocarburi. Questi ultimi due mercati pesano, u 41
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u rispettivamente, per il 14 e l’11%
per l’economia dell’Australia, quindi, l’effetto moltiplicativo del calo dei prezzi è stato di particolare rilievo per la bilancia commerciale.
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principali esponenti del governo australiano hanno sottolineato come il calo delle esportazioni pone fine al positivo trend economico, che durava da ormai 23 anni e che è stata aggravata dal confronto con la Nuova Zelanda rispetto al tasso economico di crescita (3,2% contro 2,7%) e a quello di disoccupazione (5,4% contro 6,3%). La forza della Nuova Zelanda sta, inoltre, nei suoi consumatori, il cui potere d’acquisto è solido e la cui fiducia è in crescita, all’opposto di quanto accade a Sidney e dintorni.
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e i timori del governo australiani sono forti, diversa sembra essere la prospettiva dell’OECD, secondo cui un aumento dell’imposizione fiscale in linea con le aliquote applicate nelle maggiori economie occidentali è la soluzione che può ridare stabilità all’economia e favorire il rientro del deficit, che pian piano si è accumulato negli ultimi semestri, raggiungendo un ammontare record nella storia del paese. In risposta a tale proposta il governo australiano ha riconosciuto la necessità di modificare il proprio regime fiscale, ma ha parallelamente fatto ammenda, puntando il dito contro le (proprie) previsioni che sovrastimavano i risultati economici e ha ribadito che gli investimenti pianificati verranno realizzati con il supporto di tassi d’interesse ridotti e prezzi bassi per l’energia. A settembre 2015 ci saranno i mondiali di rugby e se in quell’ambito il gap è più difficile da colmare, la struttura economica dei paesi può offrire un confronto più combattuto e l’Australia proverà a ristabilire le gerarchie consolidate dalla fine del secolo scorso. 44
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Come quando fuori piove In una partita a poker, un due di picche e la Nigeria è presa. Rapita, occupata, sventrata. Ciò che resta sono le Slums. Tra contrasti in bianco e nero, l’alpha e l’omega s’incontrano nel luogo degli ossimori. Pregiudizi, separazione, problemi, disagi e presagi di un nostalgico mal d’Africa.
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Sporco di vergogna Stracci, disperazione, sporco di vergogna nel buio dell’Africa piÚ nera. Tra le sbarre del ferro e i materassi umidi di una slums. (Ph. Robin Hammond - 2014)
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ome Quando Fuori Piove. Cuori Quadri Fiori Picche. Anche se la storia non riferisce questo, la leggenda narra che i Sultani Fulani persero la Nigeria durante una partita a Poker: un due di picche più amaro del solito, al gusto di Tea and biscuits. È risaputo che i colonizzatori non siano portatori di buone nuove, difatti ciò che tutt’oggi rimane permeante nel sostrato sociale nigeriano è la lingua inglese – unico mezzo di comunicazione tra persone di etnie diverse – e le Slums. Slums, favelas, bidonville, baraccopoli, che 47
dir si voglia… proprio quei sobborghi urbani densamente popolati e caratterizzati da edifici fatiscenti con condizioni di vita al di sotto degli standard di benessere che hanno così accuratamente descritto Dickens o Stevenson nelle loro novels. Quando ci si trova a parlare con gli amici, piuttosto che a scuola, e si sta chiacchierando di contrasti, di yin e yang, di bianco e nero, di alpha ed omega, di diavolo ed acqua santa, di su e giù, di povertà e ricchezza, sovviene sempre alla mente la città San Paolo in Brasile– da decenni l’eponimo del gap fra ricchezza e povertà- in un netto spartiacque fra occidental-
izzazione, con i propri pregi ed i molti difetti, e la cruda realtà stile romanzo sociale dickensiano. San Paolo e mai Johannesburg, San Paolo e mai Pretoria, San Paolo e mai Il Cairo, San Paolo e mai Lagos. Lagos, la città africana dei primati, vanta una stima di circa ventuno milioni di abitanti – la città africana più popolata, la più fiorente economia di tutto il continente ed ospita un esorbitante numero di persone più ricche del continente; al contempo, però, è caratterizzata anche da sterminate distese di baracche, febbre tifoide, colera, AIDS, assenza di servizi igienici e alta criminalità. u
Sotto un cielo di nuvole Sotto un cielo di nuvole, tra segreti e deserto oltre le stanze si va tra vicoli e viuzze, in un continuo, incessante e circolare vivere. (Ph. Robin Hammond - 2014)
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agos è pregiudizio ma soprattutto è netta separazione ed ossimoro. Lagos è edifici fatiscenti, rara elettricità, l’acqua consegnata a mano, le strade allagate; ma se si presta maggiore attenzione, fra tutti questi problemi e disagi, non sarà difficile scorgere uomini con abiti e ventiquattrore e donne con tailleur, auto lussuose a destra ed a manca. Quanto è costata la modernità a questa gente? Dolphin Estate è un melting-pot: la futura classe dirigente borghese che si confonde e si fonde con i braccianti più umili, quelli che sono chiamati a servirli, insomma; e fra chi governa, chi fattura e chi stenta, la notte cala e tutti si sentono più simili ed uguali stesi, orizzontali, sui loro letti. Un Paese, una città, una frazione… una sfida ai secoli per i narratori! Siamo figli di una cultura omologatrice ed omogeneizzante; siamo soliti percepire le popolazioni estere collocandole in piccole scatole nella nostra testa: i tedeschi sono in questo modo e solo in questo modo, gli arabi invece sono così e non schiodano dalle loro idee, dal loro modo di fare e dal loro modo di pensare. Molto spesso i pregiudizi operano a nostro vantaggio, in apparenza; ci tengono lontano da persone o cose o idee che potrebbero arrecarci fastidio o non piacerci, in realtà questi operano contro di noi, tenendoci lontano dalla scoperta di cose che non conosciamo. Come d’altronde scriveva Wayne Dyer in “Le vostre zone erronee”. Sfidare la più comune visione delle cose e della realtà, la presunzione ed il preconcetto occidentale, piuttosto che orientale, secondo cui la propria cultura sia quella giusta, combattere il pregiudizio. Sfidiamo la visione che si ha del continente: quella che per i più poveri si chiama miseria e per i più ricchi si chiama mal d’Africa. Il vecchissimo continente si estende per circa trenta milioni duecentoventimila chilometri quadrati, ed è impensabile che possa essere racchiuso in questo binomio. Aprite il vaso di Pandora e scoprirete che quello che viene definito Il Continente nero, in realtà, è molto di più. Una varietà di culture, società e idee da far impallidire persino lo spettro dei colori. È disuguale, resta disuguale, difficile ma bella, non bella a mo’ della Città Eterna, ma bella almeno quanto la Città Eterna. 49
Prigionieri in una giungla Salire piani, aprire porte, superare gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertĂ , si vive come prigionieri in una giungla. (Ph. Robin Hammond - 2014)
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Il calore delle braccia e dei sorrisi Il verde senape di una tradizione anticae l’arancio, il colore della terra. Il tepore di una casa, Il calore delle braccia paterne e dei sorrisi infantili. (Ph. Robin Hammond - 2014)
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Dentro come il sangue Prima di essere accolti tra le braccia di Morfeo, una piccola lampada per illuminare i sogni. Sogni di un luogo che si avverte dentro come il sangue. (Ph. Robin Hammond - 2014)
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CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE
TEMPESTA
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li ultimi 15 anni, caratterizzati dalla crescita del prezzo del petrolio, hanno fatto maturare nel Cremlino la presunzione di aver ottenuto la stabilità economica, fino addirittura a far ipotizzare il rublo come possibile valuta di riserva per le altre ex repubbliche sovietiche. Ora la Russia è ossessionata dai ricordi del default e della svalutazione del 1998. “Felice nuovo 1999”, recita il titolo di un quotidiano finanziario. Vladimir Putin, presidente della Russia, ha parlato della crisi valutaria durante la conferenza stampa annuale del 18 Dicembre. Il paese a cui si è trovato a rispondere u 56
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u ora ha sentimenti molto diversi da quelli di allegria per l’annessione della Crimea e l’intervento in Ucraina. Il 15 Dicembre, Dimitry Medvedev, il primo ministro di Putin, ha pubblicato un articolo di giornale sui problemi economici dell’Ucraina. I lettori russi erano però troppo impegnati con la loro personale crisi per potergli prestare attenzione. All’esaurirsi dell’ebbrezza patriottica di un anno di avventure militari, si stanno facendo avanti i postumi della sbornia. La middle class urbana è stata colpita dal crollo del valore dei suoi risparmi e dall’aumento del costo dei mutui
frowmiRussia
th love
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È troppo presto per dire se la crisi influenzerà l’indice di gradimento di Putin, che è ancora superiore all’85%. denominati in valuta estera. La popolazione più povera, fuori dalle grandi città, è stata colpita dall’inflazione sui prezzi degli alimentari, che è salita di oltre il 30% È troppo presto per dire se la crisi influenzerà l’indice di gradimento di Putin, che è ancora superiore all’85%. Ma il suo sostegno potrebbe sciogliersi più velocemente di quanto pensino la maggior parte degli analisti occidentali. Le accuse al governo di esser la causa dei problemi economici e dell’isolamento internazionale della Russia stanno diventando sempre più frequenti. La soap opera nazionalista di una guerra contro i presunti “fascisti” ucraini, con cui la televisione russa ha continuamente bombardato il pubblico nei passati sei mesi, non attrae più gli spettatori. In definitiva,
nella guerra tra il frigorifero (i prezzi del cibo in aumento) e il set televisivo (la guerra in Ucraina), il primo sembra uscire vincitore. La crisi ha posto fine all’era del consumo di Putin, il tacito accordo in base al quale il Cremlino ha promesso alle classi medie standard di vita crescenti in cambio del silenzio politico. Come farà Putin a rimpiazzarlo? Tra le varie possibilità, potrà sicuramente incolpare nemici interni ed esteri per i problemi della Russia. Ma per essere realmente efficace, questa strategia richiede di essere sostenuta dalla repressione politica – qualcosa per cui l’opinione pubblica russa non è ancora pronta, secondo un recente sondaggio. Potrebbe tentare di riavviare la guerra in Ucraina, ma la maggior parte della popolazione non sostiene la presenza delle
truppe russe lì. In effetti, la retorica di Mosca verso Kiev è stata più conciliante negli ultimi giorni di quanto non lo sia stata nei mesi passati. Sergei Lavrov, ministro degli Esteri del Presidente Putin, il 16 dicembre ha dichiarato che “la Russia non insiste sulla federalizzazione dell’Ucraina o l’autonomia del Donbas”, una brusca svolta rispetto alla vecchia linea del Cremlino. Per mesi, la Russia ha negato qualsiasi connessione tra le sue azioni in Ucraina e i problemi economici, giustificando la caduta del rublo con il calo dei prezzi del petrolio. Negli ultimi giorni, con il venir meno della correlazione, è diventato chiaro che la caduta del rublo rifletta anche la mancanza di fiducia nel governo russo. Nel frattempo, la guerra delle immagini infuria. Un video promozionale per la conferenza stampa di Putin mostra Kiev messa a ferro e fuoco, l’oro olimpico di Sochi, un dollaro al collasso (molto sognante), e onde che lambiscono la Crimea. Il grande assente è il rublo in caduta libera. Per questo, i russi devono rivolgersi al sito russo Zen, che visualizza semplicemente il tasso di cambio per l’euro, il dollaro e il prezzo del petrolio, con musica meditativa e l’immagine delle onde dell’oceano che si accavallano in sottofondo. Cosa è andato storto nell’economia russa? La Russia è nel bel mezzo di una crisi valutaria. Il 15 Dicembre la sua valuta ha perso il 10% del suo valore, dopo aver già perso il 40% durante l’anno. La banca centrale ha aumentato di u 58
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putin in versione karate
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u molto i tassi d’interesse,
ma invece di calmare il mercato, l’aumento è stato percepito come un segno di disperazione. Il giorno seguente il rublo è sceso nuovamente, perdendo fino al 20% (e chiudendo la giornata con un meno 10%). La banca centrale calcola che il PIL nel 2015 potrebbe scendere del 5%. L’inflazione attualmente è al 10%, ma si prevede che accelererà rapidamente. I russi cercano di spendere velocemente tutto quello che hanno; le banche sono a corto di dollari. Cosa è andato storto nell’economia russa? I problemi sono di lunga gestazione. La Russia dipende fortemente dalle entrate sul petrolio (gli idrocarburi contribuiscono per oltre metà del bilancio 59
federale e due terzi delle esportazioni) e negli ultimi dieci anni ha fallito nel diversificare la sua economia. È tremendamente corrotta, ha istituzioni deboli e nessun vero diritto di proprietà. Il Cremlino distribuisce il denaro proveniente dal petrolio attraverso le banche statali, ad aziende e progetti che seleziona in base alla loro importanza politica e la loro posizione a favore di Putin, piuttosto che seguire la regola del mercato che vuole che il capitale sia allocato nelle aziende più efficienti. Se guardiamo alla distribuzione della ricchezza, la Russia è il secondo paese con la più forte diseguaglianza al mondo. La sua popolazione in età da lavoro sta calando rapidamente. Le sanzioni
occidentali imposte in risposta alle ingerenze russe in Ucraina hanno inferto un duro colpo all’economia. Ma la causa più diretta delle turbolenze degli ultimi giorni riguarda il tessuto imprenditoriale della Russia. Durante il 2015 le imprese russe dovranno rimborsare 100 miliardi di dollari di debito estero. Ma con il rublo in caduta, ripagare in dollari diventa sempre più difficoltoso. Giganti dell’energia come Gazprom e Lukoil sono in condizioni molto peggiori di quanto si pensasse, Rosneft, una compagnia petrolifera, si è appoggiata al Cremlino per finanziarsi. All’inizio di quest’anno ha richiesto un paracadute di 44 miliardi al Cremlino; il 12 Dicembre la banca centrale l’ha aiutata
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con un bond da 7 miliardi di dollari denominato in rubli. Un accordo del genere è pari alla stampa di rubli per l’acquisto di dollari – un modo infallibile per indebolire ulteriormente una valuta. C’è il rischio concreto che la crisi valutaria della Russia possa trasformarsi in una ben più grande crisi bancaria. La popolazione potrebbe iniziare ad assaltare gli sportelli. Una raffica di fallimenti potrebbe lasciare il Cremlino responsabile di una grossa fetta del debito. Non stupisce se la fiducia nelle riserve in valuta estera del Cremlino, valutate attorno ai 370 miliardi di dollari ma in pratica molto inferiori, sia in calo. Il Cremlino prega per un rialzo del prezzo del petrolio, ma al momento ciò sembra improbabile. Si potrebbe imporre una moratoria sul rimborso del debito estero, ma questo renderebbe la Russia un Pariah (un senza casta ndT) agli occhi degli investitori stranieri. Si potrebbe cercare di imporre controlli sulla circolazione dei capitali, per prevenire le uscite di denaro dal paese; ma anche la prospettiva di una mossa simile rischia di avere l’effetto opposto, accelerando la fuga dei capitali. A meno che la Russia non si prepari a mostrare un serio impegno per le riforme – e si muova a calmare le acque in Ucraina – dovrà aspettarsi che la crisi economica continui.
Il Cremlino distribuisce u il denaro u u alle aziende basandosi sul fattore favore verso Putin. 60
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orse un giorno un futuro Heinrich Schliemann farà per Milano quello che l’archeologo tedesco fece per Troia, riportandola alla luce dai tempi omerici. Schliemann, però, non trovò solo la Troia narrata nell’Iliade e nell’Odissea ma otto città, l’una costruita sulle rovine dell’altra. Questo archeologo dei secoli che verranno potrebbe scoprire i cambiamenti che a Milano ci sono stati al tempo dell’Expo 2015, perché la città si avvia a cambiare volto nel momento in cui sta per ospitare l’esposizione universale. Si avvia, quindi, a confermarsi come capitale italiana del progresso, dell’innovazio-
ne, del futuro, oggi come ai tempi del Futurismo e di Umberto Boccioni, autore de “La città che sale”. Boccioni forse è noto per la scultura che si trova sul retro della moneta da 20 centesimi di produzione italiana, ma questo quadro è emblematico del suo modo di pensare. La città del sale rappresenta una città in evoluzione, in cui uomini, cavalli e palazzi in costruzione si fondono in un unico insieme, dominato dal rosso, colore che dà l’idea di movimento, di velocità, del sangue che, secondo i futuristi, doveva essere, attraverso la guerra, il lavacro dell’umanità. A 100 anni di distanza, quando siamo molto lontani dalla belle epoque che in quegli
anni viveva il suo crepuscolo prima di affondare insieme al Titanic e di essere spazzata via dalla Grande Guerra, Milano si appresta a salire ancora, col mare di cantieri sorti per l’Expo all’indomani dell’assegnazione, avvenuta nel 2008. Ma cosa troverebbe il nostro archeologo, risalendo allo strato corrispondente al tempo dell’esposizione? Troverebbe le prove di un cambiamento urbanistico, che dovrebbe forse trasformare Milano in una città diversa da quella che conosciamo. Se però si vuole far posto al nuovo, è necessario eliminare quanto di vecchio c’è già o, quantomeno, trasformarlo: è il caso delle strutture che ospitavano gli stabilimenti Alfa u
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di Arese, il più grande della casa del Portello, su un’area di due milioni di chilometri quadrati e con circa 20000 lavoratori impiegati nel periodo di massima produzione. Quella che era chiamata la “cattedrale dei metalmeccanici”, per essere stata teatro di rivendicazioni sindacali nel corso degli anni, è diventata nel frattempo una cattedrale nel deserto, completamente abbandonata nella periferia nord-ovest di Milano. Si è pensato di ridare vita a un insieme di costruzioni abbandonate in occasione dell’Expo, creando un complesso di abitazioni residenziali e soprattutto uno shopping center, il più grande d’Europa, oltre alla realizzazione di un mega parcheggio e ad un’area di servizi per Expo 2015. Progetto senz’altro importante, però con qualche punto di domanda, legato al futuro dell’area una volta conclusa l’esposizione. Se è vero che la creazione di un plesso residenziale può avere una sua utilità, le altre soluzioni previste rischiano di essere il preludio ad una nuova cattedrale nel deserto, in quanto il parcheggio e l’area servizi, una volta terminato l’evento, rischiano di veder ridotta la loro attività, così come lo shopping center. Tenendo conto del problema degli alloggi che c’è a Milano, forse non sarebbe stato insensato pensare a progetti alternativi. Sullo sfondo inoltre c’è la questione dei lavoratori dell’ex stabilimento Alfa, prima ricollocati, poi licenziati, ora nuovamente reintegrati dal tribunale, che potrebbero avere nuove opportunità, ma sempre con lo spettro di un precariato che non sono disposti ad accettare. A Manaus, in Amazzonia, lo stadio costruito per gli ultimi Mondiali di calcio, che ha visto l’ esordito dell’Italia di Prandelli e che non sarebbe stato riutilizzato dopo la manifestazione, è stato convertito in carcere a Mondiale concluso. Speriamo di non arrivare a tanto. u 65
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uomo dove sta? Nella zona della stazione Garibaldi, luogo di arrivo di numerosi lavoratori della grande metropoli, è partito da qualche anno il progetto Porta Nuova, incentrato sulla Torre Unicredit e sul centro direzionale di Milano. Inaugurato nel 2012, le fotografie scattate dopo l’inaugurazione sono state ri67
toccate, eliminando tutte le figure umane, dando un’idea di perfezione che non lascia spazio all’uomo, che in un centro direzionale non deve fare altro che lavorare. Che spazio allora occupa l’uomo in questa nuova città che sale? Forse quello di uno spettatore messo in disparte, quasi come quando ai bambini si fa vedere qualcosa di fragile, di importante o
prezioso badando che si tenga a distanza e che soprattutto non tocchi nulla, per paura che lo rompa o lo rovini. Il bisogno dei cittadini, forse, non è l’interesse primario dell’edilizia connessa all’Expo, come testimonia la vicenda del quartiere Gallaratese, uno dei più popolosi della città, con quasi sessantamila abitanti. È un quartiere popoloso ma poco
vissuto, data l’assenza di servizi collettivi pur essendo collocato in un’area grande con vasti spazi vuoti. La riqualificazione del quartiere è stata progettata, ma mai realizzata, e ora, come progetto collaterale all’Expo, vi è la costruzione del nuovo quartiere di Cascina Merlata, al confine con quello Gallaratese. Il bisogno dei cittadini è quindi passato in
secondo piano, a vantaggio del mattone e dell’edilizia sregolata, copione purtroppo non nuovo. È ovvio che l’Expo abbia costituito l’occasione per ingenti investimenti immobiliari, che finiranno con il mutare notevolmente la città e anche la vita di chi vive in città e nelle nuove realtà abitative che verranno. Quello però che il futuro Schliemann potrà
solo eventualmente intuire è che l’uomo verrà messo in secondo piano, non solo per quanto riguarda il lavoro o i servizi, ma anche per la qualità della vita di tutti i giorni, che non dipende solo da quanto una persona può spostarsi velocemente o da come può accedere alle cure ospedaliere, ma anche da quello che vede dalla finestra della propria camera u 68
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la mattina quando si sveglia. Ci si sta forse avviando verso una metropoli in cui dalla finestra si vedrà solamente la facciata del palazzo del vicino, distante pochi metri? In molti quartieri di diverse città italiane è un fenomeno già diffuso, ma forse un giorno potrebbe diventare la norma non solo a Milano ma un po’ ovunque e quella finestra, che permette all’uomo di affacciarsi e rimanere solo con se stesso anche pochi attimi prima di affrontare una nuova routine quotidiana, potrebbe diventare un freddo e brutale richiamo alla realtà.
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ilano o Venezia? - Realtà che però potrebbe essere diversa da quella che si è abituati a considerare. Parlare di vie d’acqua, infatti, fa immediatamente venire in mente i canali di Venezia, dove sfilano le gondole e i turisti scattano foto romantiche. Il tema delle vie d’acqua sta toccando anche Milano, creando una via attraverso i canali, dal Villoresi al Naviglio Grande, fino al sito espositivo. Il tema dell’acqua è molto ricorrente in questa esposizione, come bene comune da salvaguardare. Nell’ottica di rilancio ambientale e del paesaggio nella zona dei Navigli, rientra la realizzazione della via d’acqua: 20 chilometri attraverso Milano, da far diventare, almeno in parte, “città d’acqua”. Progetto senz’altro ambizioso, ma con un forte richiamo urbanistico e sociale, che potrebbe davvero restituire una città come non ce l’aspettiamo. Accanto al circuito azzurro, infatti, ne dovrebbe sorgere uno verde, destinato ai percorsi ciclabili e pedonali, per far riscoprire ai cittadini il piacere di vivere la propria città. Se dovesse andare in porto sarebbe un vero cambiamento per Milano, vista anche da fuori come città industriale, dedita al lavoro di giorno e alla movida di notte, in cui è difficile vivere, in cui è impossibile fare una passeggiata senza essere invasi da smog e fumi di scarti industriali. Ridare Milano alla gente che ci vive è forse la scommessa maggiore dell’Expo. La scommessa sarà vinta? Non lo si può dire ancora ma, nonostante gli errori e il lavoro che c’è ancora da fare, si potrà forse creare una città migliore. Bisognerebbe però tener conto di tutti i bisogni, e, se per il momento ci sono idee buone, ce ne sono altre che non camminano in questa direzione. Quando nel 2008 venne battuta la concorrenza di Smirne si pensò ad una grandissima occasione. Se diventasse l’ennesima occasione sprecata all’italiana non ce lo potremmo mai perdonare. 69
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BUONa visione
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omincia a fare freddo. Mi preparo un caffè forte. Apro la posta, pubblicità. Siamo quasi in campagna elettorale, comincia la marcia mediatica. La telecrazia impone presenze, non richieste. Amici mai avuti che tornano amici del cuore. Fa freddo sul serio. Oltre alla camicia serve un maglione. Sguardo fugace alle mail. “Per il tuo futuro, io sono qui”. Immaginavo. Lettere fredde. Lettere che non scaldano. Lettere lontane dal Maiakowsky che ricordava alla politica di scendere in piazza e non a restarsene in un partito. Partito, andato, defunto. Partiicpio di partire, scappare, ma anche evadere, sparire. Il caffè fischia, il vento tace. Le finestre sono appannate che mi viene voglia di fare uno smile. Lo faccio. Mi sorride il vetro. Non si rompe. Mi guarda e mi sorride. Simpatico. Lei mi ha portato l’aria forte di Peròn, le scorazzate dei bandoleros, la bombilla bollente. Il respiro asmatico dei pellerossa. Tifavo per gli indios e non per i cows-boys. Mio nonno diceva che erano buoni i cows-boys, io non ero d’accordo. Ma lui aveva avuto la cioccolata dagli americani. Il processo di americanizzazione con babbo natale sulla coca-cola aveva funzionato. Cerco invano il mio cappello di lana. Il caffè mi ha sporcato il naso, ci fumo u 74
!MPATTO - Stories
N.13 | 31 Dicembre 2014
u sopra.
Leggo un’altra mail. Questa volta è lunga. È una lettera. Un chiaro intento di convincermi a votare per lui. Questi personaggi circensi sbagliano l’approccio. Quando si vota si dà una responsabilità, non si rende un favore. Oramai più che rappresentanti del popolo abbiamo impiegati di partito. È un lavoro tra più ambiti in Italia. È una garanzia. Un vitalizio. I comici fanno i comici; i politici fanno i comici con la cravatta. Le scarpe sempre sportive. Mi scoccia mettere quelle a stivaletto. Non sono il tipo. La tazza nel lavandino. Il vetro sorride sempre. Gli disegno anche i capelli. A spazzola, con un ciuffo. Devo muovermi. Lei mi aspetta. Andiamo al cinema. Ora compreremo i pop corn a cioccolato e le caramelle appiccicose. Chiudo le luci. Prendo il cappotto. Il cappello l’ho trovato e lo indosso. Chiudo la porta e 27 75
scendo. Un volantino nella posta. Elettorale. Ci sono le primarie. Altra grande performance comica. Primarie. Tutti possono votare. Ma si paga. Per votare si paga. Ti chiamano, ti chiedono di votare e di pagare per votare. Mi avvio a piedi. Ci sono buche ovunque sull’asfalto. Zero vigili e zero controllo. Però poi paghi per votare. Incontro un personaggio che riempie le bacheche di facebook con i suoi slogan elettorali. Mi ferma. Fa un sorriso enorme. Gli dico delle buche, risponde che verranno riparate. Gli chiedo dei vigili, ride dicendo che siamo abbandonati perché non si votano le persone giuste. Gli dico che c’era un consiglio municipale a quell’ora, mi risponde che non ha avuto tempo. Però paghiamo per votare, e lui dice di essere un rappresentante del popolo. Passi l’italiano pessimo, l’analfabetismo si enfatizza sui social net-
work, ma l’etica deve essere alla base di certe carriere. Eccola. Bella, con quegli occhi luminosi e profondi. C’è tutto un mondo che affonda in quel caldo abbraccio di palpebre. Salgo. Ci avviamo al cinema. Accendiamo una sigaretta in due. Le racconto del politico. Sorride rassegnata. Decidiamo insieme quale film guardare. Qualcosa di leggero. Qualche commedia diretta. Arriviamo. Il parcheggio è semplice. Dietro ci raggiunge un tipo con fare aggressivo. Vuole i soldi. I soldi di cosa? Del parcheggio. Proprietà privata? Metteremo il grattino grazie. Il grattino però non ci protegge da furti e graffi. Tre euro. Tre euro più due euro di grattino. Cinque euro per posare un auto. Lui insiste. Ci gurda la macchina. Noi tentenniamo. Decidiamo di darli dopo. Lui dice che dopo non c’è. Cosa guarda allora? Non li abbiamo pronti, conveniamo che
al ritorno avrà un compenso. Ci avviciniamo alla sala. Ci sono dei vigili con l’auto in doppia fila. Gli diciamo che ci sono dei parcheggiatori abusivi aggressivi e palesi. Dicono di saperlo, ma sono li per un altro compito. Ovviamente ci viene da sorridere. Vado al parchimetro. Stampo la ricevuta. Torno e lo metto sul parabrezza. Si avvicina un altro tipo, col cappellino. Vuole i soldi. Gli dico che già ho discusso con un altro. Torno da lei. Compriamo i pop corn e la pepsi per me. Entriamo in sala. Ci sediamo. Luci spente, occhi vivi, mano nella mano. Sullo schermo lo spot politico. Primarie. Scelte di partito. La Regione sei tu. Pagare per votare. Pagare per parcheggiare. In doppia fila i vigili che sono li per altro. I parcheggiatori sono li per sempre, come le buche ed i silenzi della coscienza. Buona visione. 76
stanco della
vecchia editoria? !MPATTO MAG con i suoi formati si apre a tutte le device digitali. !MPATTO MAG offre ogni settimana una linea editoriale innovativa. !MPATTO MAG viene distribuito gratuitamente. !MPATTO MAG assume un impegno ecosostenibile ed etico.
Chi di voi vorrĂ fare il
giornalista si ricordi di scegliere il proprio padrone
il lettore! Indro Montanelli
!MPATTO - Innovation N.13 | 31 Dicembre 2014
S
amsung presenterà uno smartphone economico basato sul S.O. Tizen - Samsung, dopo il clamoroso flop di cui è stata artefice in Russia, si prepara a lanciare per la seconda volta il proprio Sistema Operativo “Tizen”, questa volta in India. Il 18 gennaio del 2015 verrà presentato lo smartphone di fascia bassa Z1, con il quale il colosso sudcoreano tenterà di fare concorrenza ai terminali più economici basati su Windows Phone ed Android. Per questo secondo lancio Samsung ha cercato di migliorare l’esperienza d’uso, rendendo disponibili fin da subito alcune applicazioni indispensabili, come ad esempio WhatsApp, sebbene molte altre siano ancora mancanti. Costruito attorno ad hardware di livello molto basso (SoC Dual Core, schermo da 4” con risoluzione 480x800 e soli 512MB di Ram), lo Z1 potrebbe rivelarsi ancora una volta un fallimento, considerato il prezzo di commercializzazione pari a 90$, costringendo di fatto Samsung ad abbandonare il progetto Tizen definitivamente.
I
l mercato dell’Internet of Things sopravvalutato secondo ARM - ARM, l’azienda che sta dominando il settore Mobile, grazie alla propria architettura economica ed allo stesso tempo molto efficiente, si dimostra assai dubbiosa sul prossimo futuro successo del mercato chiamato “Internet of Things”. Da molti analisti considerato la gallina dalle uova d’oro dei prossimi anni, secondo ARM rimarrà ancora allo stato embrionale per diverso tempo, in quanto attualmente neppure le stesse case produttrici sono in grado di inquadrarlo. In cosa consiste? Smartwatch? Elettrodomestici? Indossabili? Quale categoria di prodotti bisogna realizzare per rendere questo mercato profittevole? Manca, in poche parole, un prodotto in grado di caratterizzarlo. Per il mercato PC negli anni ‘80 vi è stato il Personal Computer IBM, per il mercato Mobile negli anni 2000 vi sono stati l’iPhone e l’iPad. Per l’IoT non si è visto ancora nulla. Per questo motivo ARM crede che per i prossimi 5 anni il vero mercato trainante, dopo quello Mobile, sarà quello Embedded (di cui fa parte, ad esempio, l’Automotive e quindi i computer di bordo delle automobili).
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SMIC si espande grazie a Qualcomm La Cina, seppure lentamente, si sta espandendo non solo nei mercato manifatturiero informatico (attraverso l’assemblaggio di Smartphone e Tablet, ad esempio), ma anche nella produzione diretta di semiconduttori. La più grande fonderia cinese, SMIC, ha finalmente chiuso un importante accordo con Qualcomm, il più importante produttore mondiale di SoC per Smartphone e Tablet. Questo permetterà a SMIC, e alla Cina stessa, di poter concorrere anche nei settori tecnologici più avanzati. 80
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u u u
cos’è una
I
daw
l termine DAW sta per Digital Audio Workstation, una vera e propria stazione operativa (software e hardware) che permette di registrare,editare e riprodurre le tracce. Per chi voglia fare musica col proprio personal computer una DAW è fondamentale e, per questo, è necessario scegliere la più idonea allo scopo. Innanzitutto, dobbiamo tener conto di due fattori: il sistema operativo che s’intende usare (Mac os x o Windows) ,e il budget disponibile. Detto ciò, e tenendo da parte (per questa volta) gli hardware,che programma scegliere? Sul mercato esiste una varietà davvero impressionante, nonostante esistano comuni caratteristiche di base: Fl Studio, Reason e Ableton Live rappresentano un’opzione più semplice ed intuitiva, ideale per chi comincia a muovere i primi passi in questo ambiente. Il primo, in particolare, è molto utilizzato per creare musica elettronica e, oltre ad essere molto semplice, è dotato di un mixer, un sequencer e un multitraccia, risultando compatibile con vari strumenti virtuali (VST). Il secondo, invece, è una sorta di studio virtuale che offre VST integrati, un campionatore e sintetizzatore (Synth). Ableton Live, infine, è sicuramente una delle opzioni più versatili. Ottima soluzione per i live e spesso
utilizzato da molti DJ grazie alla possibilità di mix in tempo reale,ad una grande quantità di effetti e un’ottima velocità di elaborazione, può essere utilizzato anche in studio per le proprie produzioni. Tra i software più completi troviamo poi Pro Tools, Logic Pro (compatibile solo con Apple), Cubas, Sonar, Nuendo, Digital Perfomer. Guardando da più da vicino solo i primi due, che sono tra i più diffusi negli studi di registrazione. Oltre alle solite componenti, offrono compatibilità di plug in di terze parti, supporto oltre 100 tracce simultanee e frequenza di campionamento fino a 24bit/192kHz. Se Pro Tools è tra i più utilizzati nella fasi di post produzione (mixing e mastering) e nelle fasi di registrazione, grazie ad un monitoring del segnale senza latenza, Logic Pro ha invece dalla sua il costo ed un interfaccia intuitiva ideale per la fase di produzione, grazie anche alle sue vaste librerie di VST. Si deve tener presente infine che per far funzionare al meglio questi software si necessita anche di hardware di buona qualità. Una pessima scheda audio non darà ottimi risultati, così come poca RAM non darà stabilità al programma. Bisogna ricordare di trarre maggiori informazioni possibili da chi ha più esperienza nel settore per evitare spese azzardate o sbagliate. Buona musica!
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Vite di scarto Scarti di vista di Emanuela Guarnieri Lo scarto come distanza e divario. Lo scarto delle Villas. Uno scarto di vista che non sfugge ma cattura e ammalia. Tra luci, rumori e movimento sei in Argentina. Sei nelle baraccopoli tra immigrati e ritmo di cumbie, tra il sangue misto delle disparate origini dei villeri. In poche parole, sei tra il reale e il surreale.
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e luci, la folla, la torre de los Ingléses con il suo orologio che segna il tempo. I grattacieli porteni che riempiono gli occhi e fanno alzare la testa. Il fischio dei treni e le code di micros, colectivos o bondies che dir si voglia. Il senso è sempre quello: il trasporto, il movimento. Nel quartiere bonaerense di Retiro, tra Recoleta e Puerto Madero, i secondi sono vortici. Non ci si ferma, non ci si può fermare. Da ogni lato l’odore di choripan ti avvolge come una sciarpa d’inverno, i venditori ambulanti dal viso poco raccomandabile ti fanno istintivamente stringere in una mano i pesos contati che ti hanno raccomandato di mettere da parte, i passi veloci degli altri ti tentano di andare al loro ritmo, di non guardare in faccia, di non intavolare discorsi. Ti tentano. Ma non è detto che tu lo faccia. Può sorgere invece il te la volontà di camminare tranquillo, di non perderti quelle espressioni del volto che diventa tavolozza impastata di freddo, di caldo, di miseria, di cattiveria o tristezza, di povertà e destrezza. Puoi sentire la tentazione di staccare gli occhi u
Sentimenti ancora vivi L’Argentina è l’antico. È il legno scuro, è la cornice opaca. È una donna su una sedia che le dondola i pensieri e i sentimenti ancora vivi. (Ph. Natacha Pisarenko - 2012)
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u dai grattacieli in lonta-
nanza, di non concentrarti sull’orologio della torre e le sue aiuole, di non badare alla grande scritta “Terminal de omnibus”. Smettere di guardare anche le valigie ruotate e i cappotti lunghi della gente. Buttare i tuoi occhi nelle strade che costeggiano la grande piazza: la prima cosa che vedrai sarà carta, di mille colori, cartoni, spezzati, rotti, sporchi, piedi scalzi, muri scrostati, polvere. Lo puoi solo immaginare il ventre marcio in cui le strade sporche e coloratissime si vanno a riunire come tanti capillari malati: la villa. In Argentina si chiamano così gli agglomerati di povertà, di precarietà, di lamiere colorate ammassate a for-
mare sorte di abitazioni. In una villa, da solo, non ci puoi entrare. Te lo raccontano gli argentini: a meno di andarci accompagnato da una persona conosciuta della villa, addentrarsi lì da solo è fuori discussione. La criminalità è il biglietto da visita, la pasta base è lo scarto della cocaina che circola indisturbata: tutto rimanda allo scarto, in una villa, dalle persone, alle case, al gergo, alla droga. Lo scarto però, non è solo qualcosa di “difettato”, di “inutile” o “inutilizzabile”. Lo scarto è anche distanza, divario. Troppo spesso imposti, a volte consapevolmente scelti. Alle spalle di Retiro, la villa 31, originariamente, negli anni ’30, denominata “Villa desocupación”:
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0mila abitanti circa. La più famosa, ma non l’unica: a Buenos Aires c’è anche Ciudad Oculta, un nome che è tutto un programma, come il Fuerte Apache della provincia di Tres de Febrero. Definite ovunque anche come “villas miserias” o “villas de emergencias”, i titoli che le classificano le etichettano e al tempo stesso le ridicolizzano, mettendone in evidenza la sempre vera e forte miseria e sbeffeggiando con quel termine “emergenza” che dovrebbe rimandare al concetto di soluzione provvisoria e istantaneo recupero, delle enormi baraccopoli che non sono mai state un’emergenza, ma u
Il dolore del villero La sofferenza della nudità. Distogliere lo sguardo, storcere il naso, non servirà a cancellare la sofferenza di un villero. (Ph. Natacha Pisarenko - 2012)
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u sempre e solo un’essenza, eterna
ed immutabile, nonostante i tanti progetti di urbanizzazione o quelli di abbattimento, disegnati e mai realizzati. Le hanno raccontate in tanti le villas miserias, ci hanno scritto libri, ci hanno fatto quadri, ma il villero, che vive in una villa, resta ancora marchiato a fuoco: non tutti sono criminali, ma provenire da quel ventre marcio è troppo spesso un motivo per non essere assunti, per non essere frequentati, per non essere considerati.
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ppure qualcosa si muove, come ci racconta Virginia Negro di Repubblica in un articolo di questo giugno, due anni fa si sarebbe formata un’organizzazione per il diritto alla casa: La Corriente Villera Independiente è fatta di volontari dell’urbanizzazione, che “dedicano i loro sforzi alla pavimentazione delle strade, costruiscono servizi igenici, impianti di illuminazione e lottano per un habitat urbano sostenibile”. Urbanizzazione o no, l’essenza villera, che non è solo scarto sociale ma anche scarto di ricca diversità, formata orginiariamente da immigrati delle più disparate origini, scorre nel sangue insieme al ritmo delle cumbie e nelle gambe dei suoi miti, dai goal di Tevez dedicati alla sua baraccopoli alla favola di Lavezzi. Dentro o fuori? Dov’è la civiltà? Dove invece la barbarie? Le villas miserias sono fuori dalla città? O è la città ad essere fuori dalle villas? Scarti di vista.
Lamiere e incastri di vita Lamiere e vita, lamiere su lamiere, incastri di vita e bucato steso. La normalità e la capacità di adattarsi nella miseria. Benvenuti nelle villas. (Ph. Natacha Pisarenko - 2012)
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