Impatto Magazine // Num. 4 // 3 Marzo 2015

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!MPATTO NUMERO 4 - 3 MARZO 2015

MAGAZINE

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OPERE D’ARTE MESSE IN TAVOLA PAGINA 24

NAPOLI DENTRO UNA FOTO Sergio Siano quando le identità di Partenope si racchiudono in uno scatto PAGINA 38

MAGICHE NOTTI DI PREMIERE Da Sanremo ad Hollywood febbraio diventa il mese delle statuette contese

LE MOSSE DI ANGELA Berlino guarda Mosca con decisione e Cina, Grecia ed Ucraina diventano le aree del confronto con Stati Uniti ed Europa.

PROTAGONISTI DEL MAGAZINE

ALEXIS TSIPRAS

ABU BAGHDADI

PETRO POROŠENKO

PAOLO MARCHI


!MPATTO - SOMMARIO N.4 | 3 Marzo 2015

CONTENUTI LE MOSSE DI ANGELA

Mentre la Germania strizza l’occhio alla tanto odiata Russia, l’America organizza nuove mosse sulla scacchiera del potere. Nel timore di una terza Guerra Mondiale Ucraina, Cina e Grecia diventano le pedine di un nuovo confronto.

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La Libia e il Regno del caos politico Dal 2011 il disastro finanziario avanza inesorabile nell’ex colonia italiana. Dalla guerra civile all’anarchia proclamata dall’ISIS, in una situazione economica grave.

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L’Europa e le Multinazionali La persuasione dell’informazione ad opera dei media per trasmettere un nuovo senso della realtà manipolata.

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Quando lo zero ti concede sollievo L’OCSE stima, tra pareri discordanti, una ripresa del prodotto interno lordo italiano, ripartendo dallo zero.

ALEXIS TSIPRAS Con grande strategia politica, Tsipras ottiene concessioni strappando assensi europei. Nel futuro della Grecia la fine della sudditanza verso la troika.

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Mediaset ha lanciato un’offerta di pubblico acquisto su Rai Way, con l’intenzione di ottenerne il controllo. I garanti si attivano, mentre, l’opinione pubblica si interroga.

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IMPATTO MAGAZINE È UNA TESTATA GIORNALISTICA REGISTRATA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI CON DECRETO PRESIDENZIALE NUMERO 22 DEL 2 APRILE 2014. 2

Le Mani di Mediaset su Rai Way

Intervista a Sergio Siano Napoli in penombra tra statue e monumenti ignoti. Sergio Siano, fotoreporter de Il Mattino, e il suo occhio dietro l’obiettivo per cogliere il “bene frammentato”.


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NOTTI DI PREMIERE Tra glamour, scintillii e red carpet. Tra stelle e notti d’oro, flash e diamanti, l’arte si mette in gara. Le serate di grandi premiere: Il film più bello, il regista più bravo, la canzone migliore e l’addio all’Ars gratia artis, un concetto ormai troppo anacronistico.

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Liliana Squillacciotti - Gennaro Battista Eleonora Baluci - Marco Tregua Valerio Varchetta - Flavio Di Fusco Fabrizio Torella - Luca Norma Francesca Spadaro - Luisa Ercolano Marina Finaldi - Josy Monaco Armando De Martino - Bits and Chips

GRAFICA Guglielmo Pulcini

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Le Janare e i Sabba del Noce Nel buio della notte, donne malefiche adepte al culto di Satana: leggenda e mitologia delle Janare.

Alchimia tra genio e sdregolatezza A Palazzo Venier dei Leoni a Venezia, nella collezione Guggenheim, si va alla scoperta dell’Alchimia di Pollock.

L’identità golosa di Milano Tra biodiversità e riciclo del cibo, MiCo ha ospitato l’undicesima edizione di Identità Golose per recuperare l’antico creando un’anima culinaria nuova.

Nutrisi con gli occhi e l’arte nel piatto

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Quando gli occhi gustano prima della bocca, la presentazione diviene un’opera d’arte all’interno del piatto. 3


!MPATTO - ATTUALITÀ N.4 | 3 Marzo 2015

BERLINO CON VISTA MOSCA

Analisi sociopolitica Valerio Varchetta Columnist David Shipley

Mentre la Germania strizza l’occhio alla tanto odiata Russia, l’America organizza nuove mosse sulla scacchiera del potere. Nel timore di una terza Guerra Mondiale Ucraina, Cina e Grecia diventano le pedine di un nuovo confronto.

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el best-seller “Lui è tornato”, lo scrittore tedesco Timur Vermes immagina un Adolf Hitler che, fallito il suicidio nel bunker della Cancelleria, si risveglia nella Berlino del 2011, ovviamente spaesato e con serie difficoltà ad adattarsi alla nuova situazione in cui si trova. Commentando la situazione politica, il redivivo Hitler si trova suo malgrado ad osservare che al vertice del Paese si trova “Una donna tozza che infondeva lo stesso ottimismo di un salice piangente”. Chissà però come l’autore avrebbe potuto rendere lo stupore del fuhrer qualora si fosse trovato nella Berlino di questi ultimi tempi, con una Germania leader e perno dell’Europa Occidentale ma che guarda sempre più a quella Russia da lui tanto odiata e al contempo importantissima per ottenere consenso non solo all’interno del Paese, ma anche all’estero come baluardo contro la diffusione del comunismo. In una parte della Germania, però, già da tempo si guarda a Mosca, con interesse, ma ancor più con nostalgia, nostalgia di quella Germania Est che costituisce oggi

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ANGELA MERKEL dal novembre 2005 ricopre la carica di Cancelliere della Germania. un grosso rimpianto per i suoi abitanti. Nei Land dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, infatti, si è sviluppato da un po’ di anni a questa parte un fenomeno ribattezzato Ostalgie, ben rappresentato da un sondaggio del 2009 - a vent’anni dalla caduta del Muro - il quale ha messo in evidenza come le condizioni di vita nella DDR fossero ricordate dagli ex Tedeschi dell’Est come si ripensa ad un’occasione perduta. Non sarà certo per questa ragione, ma fatto sta che la donna tozza che non infonde ottimismo, un Cancelliere in gonnella che

però i pantaloni li porta benissimo si sta gradualmente spostando dall’area di influenza, se non addirittura di sudditanza, degli Stati Uniti, cosa impensabile fino a venti anni fa. Da Ostpolitik a Ostalgie e ritorno - Dai tempi di Willy Brandt sono passati oltre quarant’anni, ma la sua politica che volgeva lo sguardo a est non è rimasta confinata ai libri di storia, ma sta ritornando in auge in questi ultimi mesi, in cui il “fronte orientale” è piuttosto caldo. La Germania, in verità, da dopo l’unificazione in


La fatale polveriera di guerra chiamata Germania

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ARSENIJ JACENJUK è stato Presidente della Verchovna Rada (il Parlamento dell’Ucraina) e Ministro degli Esteri ucraino. Dal 26 febbraio 2014 è Primo ministro ad interim dell’Ucraina. Nel luglio 2014 ha presentato le sue dimissioni, poi respinte nell’agosto dello stesso anno. poi, ha cercato di marcare una propria autonomia da quelli che erano, almeno sulla carta, i suoi alleati. È nella memoria di tutti il secco no rifilato dall’allora Cancelliere Schröder nel 2003 a Bush circa l’intervento in Iraq, in contrasto anche con la Gran Bretagna di Blair e la Spagna di Aznar. Anche in anni più recenti, le posizioni di Berlino sono state piuttosto autonome e vicine a quelle di Mosca, come nel 2011 quando al Consiglio di Sicurezza dell’ONU - la Germania si schierò al fianco di Russia e Cina contro l’intervento militare in Libia, al

contrario di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, e come ultimamente la Merkel ha gestito la crisi ucraina contrapponendosi a Barack Obama. Se il presidente americano infatti ha subito prospettato la linea dura contro Putin, minacciando di armare l’Ucraina, la Cancelliera ha, invece, da subito mostrato un atteggiamento più prudente, rifiutando dal primo momento l’ipotesi militare e assumendo una posizione più morbida sulle sanzioni economiche al Cremlino. Queste ultime, infatti, dopo essere state soggetto di una condotta rigida da

a Germania, negli ultimi 150 anni, ha sempre avuto un ruolo di primo piano nei grandi conflitti che hanno insanguinato l’Europa. Il desiderio di creare uno spazio vitale per i Tedeschi ha portato più volte l’Europa a prendere le armi. La prima volta nel 1870 nella guerra franco-prussiana che portò alla creazione dell’Impero Tedesco e alla cessione di Alsazia e Lorena dalla Francia alla Germania. Il desiderio di rivincita dei Francesi e quello tedesco di affermare la propria supremazia politica ed economica sul continente costituirono le basi per lo scoppio della Grande Guerra nel 1914. Terminato il conflitto, le condizioni di pace imposte alla Germania furono durissime, tanto da costituire un grande strumento di propaganda per Hitler, che, per affermare il diritto tedesco allo spazio vitale iniziò una campagna di annessioni culminate con l’invasione della Polonia e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939.

parte del Governo teutonico, a seguito delle dichiarazioni di Hollande, sono state materia di ammorbidimento, se non di revoca. Una tesi ripresa anche delle dichirazioni del ministro dell’economia Sigmar Gabriel, il quale ha affermato che le sanzioni avevano lo scopo di aiutare l’Ucraina e non di creare danni all’economia di Mosca, fatto che avrebbe avuto pesanti conseguenze sull’Europa e sulla Germania. L’economia tedesca, fin dai tempi di Schröder, ha infatti volto lo sguardo sempre più ad est, prima con il consolidamento di legami commerciali 5


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PUTIN IN VISITA ALLA SEDE DELL’UNIONE EURASIATICA Ideata sul modello dell’Unione Europea, l’EEU include piani per la futura integrazione e la creazione di una Commissione eurasiatica e di uno spazio economico eurasiatico, già entrato in vigore nel 2012. con la Russia, e poi con l’espansione sul mercato orientale, su quello cinese in particolare, delle sue maggiori aziende e banche, come Volkswagen e Deutsche Bank. Ed è proprio la Cina ad essere un attore importante in questa fase, e non solo per i legami commerciali con Berlino. In Cina, infatti, si guarda all’Europa con grande attenzione, poiché la si vede - nell’ipotesi di un rafforzamento dell’Unione - come una concorrente degli Stati Uniti in ambito politico ed economico, ossia esattamente il sistema socioproduttivo che l’America cerca da tempo di scongiurare. Per la Terra di mezzo, dunque, avere rapporti quantomeno non ostili con la Russia può essere fondamentale anche in ottica di una sempre maggiore apertura dell’economia tedesca nei confronti Pechino, non solo perché la Russia può essere un ponte verso la Cina, ma anche perché queste due potenze si contenderanno il mercato asiatico negli anni a venire. Non è da sottovalutare in quest’ottica la nascita dell’Unione Economica Eurasiatica nel 2014, che ruota intorno a Mosca e che sta guardando sempre più al sistema economico e produttivo dell’Asia centrale, attraverso due paesi osservatori quali il Kirghizistan e il Tagikistan. Sullo sfondo, poi, si colloca la questione greca: l’offerta di aiuto russo alla Grecia di Tsipras in opposizione all’auste6

rità predicata dall’Europa, e quindi dalle linee guida del capofila tedesco, impone al Vecchio Continente di dover trattare con il gigante oltre gli Urali, al fine di non indebolire la propria posizione. E i tedeschi che ne pensano - Fatta settant’anni fa, questa domanda avrebbe potuto generare risposte dagli esiti imprevedibili, tenendo conto che si veniva dalla guerra e dal tragico epilogo della spedizione Barbarossa, con Berlino ridotta ad un cumulo di macerie e l’immagine passata poi alla storia di un soldato dell’armata

sovietica che issava la bandiera con falce e martello sul Reichstag. Oggi, invece, dopo che di acqua sotto i ponti della Storia ne è passata veramente tanta, il sentimento tedesco guarda con un occhio più benevolo al vecchio nemico, a cui lo accomuna l’origine e la cultura europea e del quale è stato anche alleato ai tempi delle guerre napoleoniche. Questo atteggiamento di rivalorizzazione russa è cresciuto di pari passo con un sentimento anti-americano che sta trovando sempre più spazio nel paese governato da Angela Merkel. Al tem-


Ukraine’s least terrible option Written by David Shipley davidshipley@bloomberg.net

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Published by Bloomberg View

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t is with low expectations that German Chancellor Angela Merkel and French President Francois Hollande have gone to Moscow to secure a settlement for eastern Ukraine. And rightly so, because compromise in this conflict is obstructed by a hard historical truth: Both sides know that once Russian troops have established control over a piece of neighboring territory, it is lost for good. Since the early 1990s, Russia has controlled Abkhazia and South Ossetia in Georgia, and Transnistria in Moldova - after battles were won by a mix of locals, genuine Russian volunteers, and regulars sent to fight an unacknowledged foreign war. These so-called frozen conflicts have crippled those two countries ever since. Ukraine is determined that any peace deal should undermine Russia’s ability to repeat that experience on its territory. Russian President Vladimir Putin, by contrast, has a strong interest in ensuring a frozen conflict; it weakens his neighbors, gives him permanent leverage over them, and makes them indigestible for Western institutions such as the North Atlantic Treaty Organization and the European Union. Putin’s most recent offer to Ukrainian President Petro Poroshenko reportedly amounted to expanding the separatist borders agreed to in the Sept. 5 Minsk Protocol, then turning the region into just such a frozen conflict. The only twist is that the onus for funding the separatist territory would be on Ukraine. Even if Ukraine were to accept such an arrangement, however, Putin might well continue to stir trouble in other parts of the country. The only alternative that might get him to stop is one in which the separatist regions remain within a radically federalized structure u

I rapporti tra Schröder e Gazprom I legami commerciali Germania - Russia aperti da Schröder hanno avuto seguito anche dopo che il leader SPD ha lasciato la Cancelleria. Infatti, trasmesso alla Merkel il timone della Germania nel 2005, l’ex premier tedesco è diventato presidente del consiglio di sorveglianza di Gazprom, colosso della produzione energetica, con un compenso di un milione di euro l’anno. L’episodio è stato visto in Germania

come il primo grande caso di conflitto di interessi del dopoguerra. Questo perché le decisioni politiche di Schröder ai tempi della Cancelleria erano state molto propositive nei confronti di Mosca. Dalla mancata condanna dei crimini commessi dai militari russi in Cecenia all’accordo, molto favorevole a Putin, per la realizzazione del gasdotto sottomarino tra Russia e Germania.

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po delle due Germanie, esso aveva differenti caratteristiche a seconda della parte del muro dalla quale ci si trovava. A Est questo era quasi un sentimento di Stato, che faceva parte della cultura anticapitalista tipica dei paesi del Patto di Varsavia. A Ovest, invece, era un cavallo di battaglia della sinistra socialdemocratica (Brandt, il Cancelliere della Ostpolitik, era socialdemocratico), mentre la destra aveva nell’amicizia agli Stati Uniti un suo punto fermo, dato che vedeva l’alleato d’oltreoceano come difensore della democrazia in opposizione al comunismo liberticida. In molti conservatori della Germania Ovest però persisteva una sorta di disprezzo per lo stile di vita americano, giudicato rozzo e poco colto. Con la riunificazione e con la definitiva collocazione della Germania nella sfera occidentale, sembrava essere stata raggiunta una certa stabilità in materia, e invece ultimamente il sentimento di ostilità nei confronti degli USA trova ampio riscontro anche nella destra tedesca e negli ambienti generealmente più vicini ai conservatori. Un episodio che ha fatto pendere la bilancia del gradimento tedesco nei confronti di Mosca più che di Washington è stata la rivelazione, da parte di Edward Snowden, delle intercettazioni fatte dagli americani al cellulare della stessa Merkel. Episodio visto come una gravissima ingerenza nei confronti di uno Stato che da secoli propaganda orgoglioso la sua assoluta sovranità. Fatto non più grave del controllo a cui spesso vengono sottoposti i passeggeri di aerei sul suolo tedesco da parte di militari americani. In quest’ottica, la scelta della Cancelliera di volgere lo sguardo a Est e iniziare a voltare le spalle all’America può trovare ampio consenso nell’opinione pubblica, tenendo sempre presente la forte nostalgia della DDR che caratterizza i Land orientali. 8

Snowden claims American spies hacked into the world’s largest SIM manufacturer

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dward Snowden is back at it with more claims about government security operations. According to documents he provided to The Intercept, American and British spies hacked into Gemalto, the largest SIM card manufacturer in the world, to steal encryption keys for its cards. These keys basically allow mobile communications – both voice and data – to be decrypted without alerting the users, networks or governments of any activity. It’s analagous to having the keys to a door, instead of trying to break it down. The hack was performed by a team from the NSA and its British counterpart, the Government Communications Headquarters (GCHQ). Information about the breach was detailed in a 2010 GCHQ document. A joint unit dubbed the Mobile Handset Exploitation Team (MHET), kept secret until now, was formed in April 2010. Gemalto creates about 2 billion SIM cards a year for AT&T, T-Mobile, Verizon, Sprint and about 450 manufacturers worldwide. Gemalto also produces banking cards, electronic passports, identification cards and other digital security solutions.

BARACK OBAMA è il bersaglio numero uno delle critiche tedesche a seguito delle intercettazioni telefoniche eseguite sul cellulare della Merkel e svelate da Snowden.


Ukraine’s least terrible option FRANK WALTER STEINMEIER è stato Vice Cancelliere e attuale Ministro degli Esteri della Germania dal 2013, durante il governo di grande coalizione di Angela Merkel. Dal 2009 è deputato e capogruppo del SPD al Bundestag.

E l’America cosa fa? - Al contrario del titolo di un noto romanzo... Le stelle (e le strisce, ndr) non stanno a guardare! Perché una Germania troppo indipendente da Washington vuol dire un’Europa che non guarda più agli Stati Uniti come ad un punto di riferimento. Ad Obama e al suo governo non deve essere piaciuta la nomina come ministro degli Esteri di Frank Walter Steinmeier, socialdemocratico, ma soprattutto filorusso, e principale fautore di questa apertura verso Mosca. Steinmeier è stato anche oggetto di spionaggio da parte della National Security Agency, le cui intercettazioni hanno confermato i sospetti americani circa le sue simpatie nei confronti del Cremlino. Un’Europa troppo forte, del resto, è sempre stata un cruccio per gli americani, che, con la fine della Seconda Guerra Mondiale hanno visto come unico nemico del quale preoccuparsi la Russia sovietica. Ora invece, insieme al crescere della Cina si sta delineando una Germania più solida e forte, che per di più non è disposta ad essere suddita degli Stati Uniti. Accanto a questo contrasto di natura politica ce n’è un altro, altrettanto importante, di carattere economico, con Berlino leader di quella eurozona che insidia il primato del dollaro e che, nelle accuse che Berlino muove ad Obama, è vista dagli americani come un’entità da indebolire il più possibile.

u and wield effective veto power over major foreign policy decisions made in Kiev. For Ukraine, this could make an already weak and divided country ungovernable. Even so, it’s probably the least bad alternative - because it might get Russia to verifiably remove all troops and weapons from Ukraine. Then, international and Ukrainian border guards, installed as part of the settlement, could ensure nothing gets back in. With Ukraine’s border assured and no Russian troops inside, there would at least be hope that stability would return and, over time, that the disputed provinces of Donetsk and Lugansk could be reintegrated. NATO membership would remain off the table, but that prospect isunrealistic in any case, as Hollande pointed out yesterday. The worst possible outcome is that neither side is willing to compromise. Then the war will continue, and Putin will have little incentive to stop expanding the territory under his control. In that case, the U.S. might go ahead and arm Ukraine, but Putin could then hope this forces a split between the U.S. and the EU. American arms would also give him the excuse back home to claim that Mother Russia is under attack and turn his covert war into a full-blown invasion of southern and eastern Ukraine. Merkel and Hollande have gone to Moscow despite the poor prospects for a deal, because they understand how pivotal this moment could prove to be. All viable options are bad for Ukraine. The longer the war goes on, however, the worse they will become.

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LE RICHIESTE DELLA GRECIA Tsipras ottiene concessioni strappando assensi europei. Nel futuro della Grecia la fine della sudditanza verso la troika. I cambiamenti politici e i risvolti economici in uno Stato strategico che rimedia ai suoi squilibri interni.

ARTICOLO DI GENNARO BATTISTA

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l 19 Febbraio il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis ha inviato una lettera al presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Nella missiva il ministro ha innanzitutto provveduto a ricordare gli immani sacrifici fatti finora dai Greci. “Caro presidente dell’Eurogruppo, durante gli ultimi 5 anni il popolo greco ha fatto sforzi straordinari di aggiustamento economico. Il nuovo governo è impegnato in un più ampio e approfondito processo di riforme con l’obiettivo di migliorare in modo duraturo le prospettive di crescita e occupazione, conseguendo un debito sostenibile e stabilità finanziaria, aumentando l’equità sociale e mitigando i significativi costi sociali della crisi.” E ha ribadito la linea seguita da Syriza durante la campagna elettorale, agendo in funzione di rinegoziare i pesanti accordi presi dai precedenti governi. “Le autorità greche riconoscono che le procedure concordate con il governo precedente sono state interrotte dalle recenti elezioni presidenziali e politiche e che, di conseguenza, numerosi accordi tecnici sono stati invalidati. Le autorità greche rispettano gli obblighi 10

finanziari contratti dai precedenti governi nei confronti di tutti i creditori, così come affermano la loro intenzione di collaborare con i partner per evitare impedimenti tecnici nel contesto del MFA (Master Facility Agreement) che riconosciamo come vincolante riguardo al suo contenuto finanziario e procedurale. In questo contesto, le autorità greche ora chiedono l’estensione del Master Financial Assistance Facility Agreement per un periodo di sei mesi dal suo termine, periodo nel quale procederemo insieme, facendo il migliore uso della flessibilità data dal presente accordo, verso una conclusione favorevole e verso un monitoraggio sulla base delle proposte sia del governo greco sia delle istituzioni”. Per questo, come è possibile leggere, Varoufakis ha chiesto di estendere per altri sei mesi il programma di aiuti. Ciò consentirebbe di avere il «tempo necessario per negoziare con i partner senza ricatti e tempi stretti» e fornire «un “ombrello” protettivo al sistema finanziario». In cambio la Grecia si impegnerebbe a tenere i conti in ordine e ad affrontare le riforme contro l’evasione fiscale e la corruzione. L’obiettivo è costruire un ponte lungo metà anno,

ALEXIS TSIPRAS classe 1974, leader di SYRIZA e politico ellenico, dal 26 gennaio 2015 è il Primo Ministro della Grecia. che permetterebbe ad Atene di preparare un nuovo e definitivo piano economico, capace di porre fine all’austerity e rimettere in corsa la crescita. “Il governo greco esprime la sua determinazione a collaborare fianco a fianco con le istituzioni dell’Unione europea e con il Fmi per: a) ottenere stabilità di bilancio e finanziaria e (b) permettere al governo greco di avviare le sostanziali, profonde riforme necessarie per ripristinare gli standard di vita di milioni di cittadini greci attraverso una crescita economica sostenibile, un livello di occupazione digni-


toso e coesione sociale”. L’Europa ha risposto positivamente a questa lettera, accordando un’estensione degli accordi che si protrarrà, però, “soltanto” per i prossimi 4 mesi. Ma cosa accadrà dopo? Prevarrà ancora la linea dura o i greci riusciranno a strappare condizioni in grado di garantire la fine dell’austerity? Le reazioni dell’occidente - “Nein” è quanto urlano i falchi tedeschi, col ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, in testa a tutti. Tuttavia in Germania sembra essersi aperto un fronte più moderato, a cui parte della maggioranza pare aver aderito. Il resto d’Europa, invece, è diviso: alcuni seguono la linea tedesca, almeno così si sono pubblicamen-

ESTERI GRECIA

INTERNI GRECIA

L’OK dell’Eurogruppo

Lo stop al Calcio

Martedì 24 febbraio, l’Eurogruppo ha concesso la sua approvazione alle sette pagine in cui Tsipras ha riportato e ricapitolato gli impegni alla base dei quali sottoscrivere un nuovo programma da pattuire con UE, BCE e FMI. La Grecia otterrà, dopo l’approvazione del Parlamento tedesco, per quattro mesi i primi miliardi che servono alle banche per non crollare e per pagare i titoli in scadenza. Sette miliardi recuperati con tassazioni sul contrabbando di sigarette e benzina, con l’imposizione di una patrimoniale su armatori e grandi patrimoni. Un piano di riforme tacciato di un falso realismo perché il popolo greco per abbattere il debito si ritrova ad ingrassare il fisco.

Panathinaikos-Olympiakos da derby a scontro. Violento ed inutile. Il Governo di Syriza ha deciso, per tal motivo, di sospendere lo svolgimento del campionato a tempo indeterminato. La Grecia è nota per il suo calcio violento e, per ovviare alla situazione, l’ultimo comunicato a riguardo recita che non si avrà il ripristino del campionato se non sarà definitivamente debellata la violenza e se non sarà cambiato il piano legislativo. La rivalità ha il suo focolare nell’opposizione tra i rossi dell’Olympiakos del Pireo di proprietà dell’oligarca Vangelis Marinakis e i verdi dei verdi del Panathinaikos, di proprietà del grande oligarca Yannis Alafouzos. Entrambi armatori, magnati e banchieri. L’uno contro l’altro armati.

te schierate Austria e Portogallo, mentre altre nazioni si mantengono diplomaticamente vaghe, paventando – a volte - una timida simpatia per le istanze greche. In realtà la messa in discussione delle scelte tedesche, e la sconfitta della linea dura decisa a Berlino, metterebbero in discussione i rapporti di potere in seno all’unione, a tutto vantaggio della flessibilità sul rigore. Una situazione che gioverebbe soprattutto i governi del sud Europa, e vede direttamente interessati anche Renzi e Hollande, che vedrebbero così crescere il loro consenso interno. Intanto gli Stati Uniti sono scesi in campo, nella persona del segretario del Tesoro Jack Lew. In una chiamata al ministro delle Finanze ellenico

Yanis Varoufakis, Lew ha chiesto esplicitamente maggior collaborazione con Ue e Fmi. Collaborazione che, dopo la proroga quadrimestrale degli accordi, sembra meno impossibile di prima. La preoccupazione statunitense resta comunque alta, poiché guarda in realtà più a Oriente; alla Casa Bianca, infatti, si teme un avvicinamento greco a Cina e Russia. E quelle a Oriente - È chiara la politica di Vladimir Putin in occidente: finanziare qualsiasi cosa che possa destabilizzare l’ordine interno alle nazioni alleate degli USA. È in quest’ottica che vanno interpretati i finanziamenti degli scorsi mesi all’Ungheria di Orban o al Front 11


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National di Le Pen, il partito francese sciovinista e anti europeo. E in questo stesso quadro rientra la possibilità di tendere la mano ai socialisti di Syriza. Tuttavia la Russia è nel bel mezzo di una crisi economica e valutaria provocata dagli stessi statunitensi, in risposta all’aggressività moscovita dell’ultimo anno, culminata con l’invasione neanche troppo celata dell’Ucraina. Ma a posare lo sguardo sulla culla della civiltà occidentale c’è pure l’impero celeste. I Cinesi hanno palesato il loro interesse per la Grecia già da molti anni, diventando tra i maggiori investitori privati già dall’inizio della crisi. Gli accordi già presi col precedente governo sono stati molteplici e pervasivi: ormai la mano cinese guida persino alcuni dei sindacati ellenici. Dopo

alcune remore a inizio mandato, anche Tsipras sembra pronto a spalancare le porte della Grecia ai miliardi della repubblica popolare. I cinesi vogliono fare della Grecia il loro avamposto in Europa e (magari anche) nell’unione. È in quest’ottica che va visto l’investimento profuso - faraonico, oltre 3 miliardi in gioco - nell’acquisizione del porto del Pireo. E nella stessa direzione andrebbe l’acquisizione del ruolo di leader tra i creditori dello stato di Atene. Conclusioni? - In ogni caso, sia che tra quattro mesi Tsipras trovi un nuovo accordo con la Troika, sia che volga il suo sguardo a Oriente, il futuro per la Grecia si profila come ben chiaro: la fine della sudditanza totale verso la troika. Ovviamente, tutto ciò avrà diverse conseguenze

YANIS VAROUFAKIS è un economista e politico greco naturalizzato australiano, ministro delle finanze della Grecia nel Governo Tsipras. È professore di teoria economica all’università di Atene. 12

a seconda di quali accordi verranno stipulati. Andare a prevedere nel dettaglio ogni possibile evoluzione significherebbe fare fantapolitica, ma non è difficoltoso ipotizzare – a larghe linee – almeno tre diversi scenari: l’accordo con la troika e il continuo dell’avventura euro, l’accordo con la troika e l’uscita dall’euro, l’accordo con l’oriente e l’uscita dall’euro. Ipotesi 1 - È la migliore delle ipotesi per i Greci, la Germania cede al pressing di Tsipras e concede l’allentamento dell’austerity; in questo modo Atene riesce a tirar fiato, ma, soprattutto, il resto d’Europa potrebbe approfittare della “nuova aria” per far allentare i vincoli di bilancio e cominciare ad adottare politiche fiscali espansive. Si tratta di un’ipotesi poco probabile, in quanto i tedeschi finirebbero per perdere su tutti i fronti, tuttavia ha un asso a suo favore: la permanenza della Grecia nell’euro non creerebbe un pericoloso precedente (e la possibilità di una sua seducente imitazione) ribadendo ancora una volta la forza della moneta unica europea. Ipotesi 2 - La più probabile: la Grecia esce dall’Euro, in quanto non può rifinanziare il suo debito senza immani rinunce da parte dei suoi creditori e la Germania non vuol perdere la sua leadership politica sull’Europa. L’uscita dall’euro significa la fine dell’austerity, ma, probabilmente, anche l’inizio di un difficile nuovo corso, in cui i greci potrebbero ritrovarsi in una condizione di instabilità finanziaria pari a quella di un paese sottosviluppato. Solo una politica straordinariamente accorta e lungimirante, in questa situazione, potrebbe restituire la florida nazione ormai cancellata dalla crisi. A rifinanziare il debito, tuttavia, per questioni geopolitiche del tutto ovvie, sarebbe di nuovo la Troika; a condizioni che spiegheremo in seguito.


LA PROPOSTA

LA TRASPARENZA

Italia Unica di Corrado Passera ecco l’alternativa a Matteo Renzi.

Dopo la Svizzera cade il segreto bancario con il Liechtenstein.

Il programma di Italia Unica prevede: dimezzare le tasse sulle imprese; restituire il 50% dell’Iva a chi paga con il bancomat; cinquemila euro l’anno per ciascun figlio sotto i cinque anni, bonus badante da 1000 euro l’anno per gli anziani e tolleranza zero alle “continue lesioni della legalità”. Anche sull’immigrazione Passera traccia un solco: “Non siamo più in grado di accogliere altri immigrati perchè la situazione è ormai insostenibile”. E ricorda poi “con una punta di orgoglio” il suo impegno sulle start-up promettendo un partito che punterà le sue carte su innovazione e ricerca”.

Dopo la Svizzera, cade il segreto bancario anche con il Liechtenstein. Ne ha dato notizia il ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan, che ha firmato l’accordo di scambio di informazioni ai fini fiscali con il premier e ministro delle Finanze del Liechtenstein, Adrian Hasler. “Analogamente a quanto avvenuto con la Svizzera, l’accordo pone fine al segreto bancario nel Principato”, annuncia il Mef. L’impegno comune è di partire già dal 2017. I due ministri hanno firmato anche un Protocollo aggiuntivo in materia di ‘richieste di gruppo’. L’accordo Italia Liechtenstein consentirà di sviluppare ancor di più la cooperazione amministrativa tra i due Paesi.

Ipotesi 3 - La più interessante per chi “vuol solo vedere il mondo bruciare”. La Grecia esce dall’Euro e trova un accordo con Cina e/o Russia. Sarebbe una situazione estremamente interessante sotto il profilo storico, perché significherebbe l’inizio di una più manifesta influenza degli “antagonisti” dell’occidente nell’Europa del primo mondo. Proprio per questo, un accordo del genere, potrebbe tradursi persino in una totale fine della permanenza dello stato ellenico nell’unione. In ogni caso, i rapporti di forza tra le potenze del mondo si inasprirebbero, portando a conseguenze che è difficile ipotizzare con certezza e lasciano correre l’immaginazione. Concorrenza delle ipotesi 2 e 3 - Come abbiamo detto, le condizioni degli accordi a seguito dell’uscita dall’Euro potrebbero, data questa concorrenza politicamente interessata (sempre che fosse vero l’impegno degli orientali in una campagna di destabilizzazione), essere piuttosto vantaggiosi per la Grecia. In parole povere, Atene potrebbe strappare condizioni un po’ migliori di quelle che di solito spettano a un paese “praticamente fallito” (parola di Varoufakis) in virtù dello scontro e degli interessi occidentali e cinesi nella questione. Il blocco che si aggiudicherà la Grecia, infatti, sarà quello disposto ad accettare il maggior numero di compromessi. Solo quando gli accordi andranno definitivamente rinnovati, durante l’Estate, il destino della Grecia e dell’Europa risulterà più chiaro; quel che è sicuro, però, è che la sfida, per il governo di Atene, è appena iniziata.

IN ALTO Alexis Tsipras assieme al Presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. IN BASSO Alexis Tsipras con il Premier Matteo Renzi. 13


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ISIS Recruits: Radicalized Women Motivated By Ideology

Y

oung women who become radicalized and make the trip to ISIScontrolled lands are motivated by the same reasons as male recruits, including a sense of adventure and a desire to right perceived wrongs in the Muslim world, according to experts. When they arrive they are usually quickly married to a fighter with the Islamic State in Iraq and Syria and begin a strictly controlled domestic life of childrearing, cooking and cleaning. Much of this indoctrination takes places through social media, including on Twitter, as the teenagers speak with female recruiters who have already made the journey and offer advice on what to bring and who to contact once they arrive in a neighbouring country like Turkey. “It offers them a sense of adventure, which is not only the voyage — which is an allure itself — but also these romantic notions that upon arrival you will be paired,” says Erin Saltman, who leads the women and extremism program at the International Strategic Dialogue in London. Six young Quebecers left Canada in January to join militants in Syria, including at least two women. Three British teen girls flew to Turkey last week in an apparent bid to join ISIS. Although some women, particularly those from the minority Iraqi Yazidi group, are sold into sexual slavery, young Western women are treated differently, Saltman says. “But it’s not to say that once they’re married husbands aren’t abusive or forcing themselves u on them,” Saltman says.

LIBIA IL REGNO DEL CAOS POLITICO

Dal 2011 il disastro finanziario avanza inesorabile nell’ex colonia italiana. Dalla guerra civile all’anarchia in una situazione economica grave. Battute d’arresto e grida d’allarme nella difesa degli interessi politici. Quali le conseguenze per le imprese italiane in Libia?

S

i vocifera che, in Libia, l’Isis sia stato più veloce dell’ONU. La questione del terrorismo arabo, dello Stato Islamico, della sua nascita, del perché faccia tanti proseliti e di come faccia a spostarsi tanto rapidamente, non è possibile affrontarla su due piedi, si richiede una disamina accurata della situazione magrebina successivo alla primavera araba del 2011. Le rivolte 14

libiche, ultimo scenario della primavera araba del 2011, hanno fatto sprofondare il paese in un abisso di incertezza; pur non volendo delegittimare la figura ed il simbolo che le rivolte hanno assunto a livello mondiale, sarebbe fallace e poco rispondente a verità non sostenere che, proprio dall’anno soprariportato, la battaglie per la supremazia stanno esacerbando la situazione già terribilmente precaria.

Il post Gheddafi - In seguito all’esecuzione del dittatore Muammar Gheddafi, la guida della Libia è passata di mano in mano ad una serie di Governi; insomma, si è cercato e si è riusciti a battere ogni record, anche quello italiano della prima repubblica per cui ogni due anni il nostro paese ha avuto un Presidente del Consiglio diverso. I continui tafferugli fra la frangia dei conservatori islamici e la fazio-


ARTICOLO DI FLAVIO DI FUSCO FOTOGRAFIE DI REUTERS

UNA MACABRA FESTA Un gruppo di miliziani libici festeggia dopo aver distrutto ed incendiato una serie di autovetture e causato numerose vittime innocenti.

ne liberale filo-occidentale hanno avuto culmine quando la Corte Suprema libica ha delegittimato il Governo liberale, legittimando il Parlamento a maggioranza islamico-conservatore che era stato ormai sciolto qualche mese prima. La decisione ha finito con lo spaccare il paese: parte della nazione è sotto il controllo del Parlamento di Tobruk, laico e liberale, vicino alle istanze occidentali ed a cui è stata riconosciuta capacità internazionale; l’altra parte è sotto l’egemonia del Parlamento di Tripoli, a maggioranza islamica e che non è riconosciuto dalla Comunità internazionale. Potendo ragionare in termini di percentuali, attualmente l’ISIS che secondo i media internazionali è ad un passo dal controllo del paese – sarebbe presente (e si badi al verbo presente, utilizzato giusta-

ppunto come alternativo al più inflazionato “occupare”) nello 0.7% dei territori libici. Sicuramente quelli maggiormente popolati ma comunque una minima parte. Storicamente argomentando, dal corso dei secoli abbiamo potuto imparare come le situazioni di divisione, incertezza, crisi e malcontento, abbiano sempre favorito l’ascesa e l’instaurarsi di gruppi politico-sociali non sempre rispondenti ad esigenze di democrazia e stato di diritto. Dobbiamo quindi chiederci se anche ciò che sta accadendo in Libia, quindi, sia o meno un “corso e ricorso storico”. È ciò ovviamente indubbio. Islam contro Islam - Attualmente lo Stato Islamico minaccia non solo il Governo laico di Trobuk ma anche e soprattutto quello islamico di Tripoli. La situazione che si profila

innanzi è ancora una volta molto complicata. L’ISIS potrebbe sì cominciare ad attaccare il governo filo-occidentale che probabilmente si presenterebbe meglio armato di quello islamico, ma con quasi assoluta sicurezza la dialettica cruciale riguarderà lo Stato Islamico ed il Governo di Tripoli, battaglia “withoutbuts and ifs” per la supremazia sul mondo arabo. Sicuramente l’allarmismo mediatico è dovuto alla paura che gli sciagurati avvenimenti di Charlie Hebdo, dello scorso Gennaio, possano capitare nuovamente in Italia, piuttosto che in Germania, piuttosto che in Spagna; però, secondo parte dell’opinione pubblica, si tratterebbe di eccessivo allarmismo da prendere con le pinze. Il disgraziato evento dell’undici settembre ha dimostrato come la Comunità Internazionale talvolta tenti di allarmare ed instillare paura per giustificare e legittimare un futuro intervento armato, riuscendo quindi non solo ad ottenere il beneplacito dei più efferati interventisti ma anche quello di coloro che per indole sono restii all’intervento armato. Più in generale diremo che la questione è ancora da valutare e da ponderare accuratamente; effettivamente non sappiamo quanto la diplomazia in certi casi possa esser utile, d’altra parte, però, non conosciamo nemmeno l’effettiva portata, gli scopi e l’utilità di un intervento armato. Cui prodest? - Le ambasciate vengono sgomberate, i tanti Italiani in Libia sono pronti a far ritorno in madrepatria ed intanto giungono appelli anche dal mondo dell’impresa. Il presidente della Federpe15


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troli Italia, Michele Marsiglia, e il presidente della Camera di Commercio italico-libica, Gianfranco Damiano, lanciano l’allarme: giacimenti di petrolio a rischio, blocco totale delle forniture e della totale operatività italiana nel territorio magrebino. Centinaia di piccole e medie imprese, in settori quali manutenzione, costruzioni, impiantistica, restauri sono ancora attivi e gli importi in ballo superano sicuramente i cento milioni di dollari solo per le commesse in corso, ma un intervento militare è da evitare in quanto dilaterebbe i tempi. Un centinaio di imprese, dunque, che ancora e nonostante tutto continuano a fatturare: ci sono quelle che hanno delocalizzato la Libia, quelle che hanno creato aziende nuove per il semplice motivo che non c’era più lavoro nel bel paese e molte altre. Nel mirino - Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, è senza alcuna ombra di dubbio il motivo che fa dell’Italia il primo partner commerciale libico; nonostante un calo del 50% rispetto all’inizio della crisi economica, attualmente l’interscambio italo-libico si assesta intorno ai 10,6 miliardi di euro. I dati del primo semestre dell’anno passato rivelano come l’Italia abbia la primautécon riguardo alle esportazioni libiche relative agli idrocarburi (gas e petrolio): export Italia-Libia pari a 1732 miliardi – una flessione di poco superiore al 15% - ed import pari a 3054 miliardi – flessione di quasi il 60%. Nonostante ciò, però, i rapporti italo-libici non si sostanziano solamente nelle figura dell’Eni, Telecom o Impregilo; le aziende della camera di commercio italo-libica sono un quarto di migliaio e per la stragrande maggioranza (99%) si tratta di piccole e medie imprese. La questione energetica colpisce l’Italia maggiormente del resto d’Europa. Secondo 16

Parte l’operazione “Piattaforme” L’Eni, colosso italiano e azienda con profonde radici in Libia, è stata da sempre una certezza anche in momenti di crisi: ha dato luce alla Tripolitania in mancanza di pagamenti e metà delle esportazioni italiane sono costituite dai prodotti energetici raffinati dall’azienda. L’export italiano ha tenuto saldi i rapporti di interscambio tra i due Paesi. Per questo si teme che l’Eni possa rientrare nel mirino dell’ISIS. L’Italia ha deciso pertanto di prevenire una possibile situazione d’allarme. Venerdì 27 Febbraio dal porto di La Spezia, mezzi e forze speciali italiane insieme ad una compagnia di fucilieri di Marina e ai distaccamenti del gruppo operativo incursori si sono imbarcati sulla nave San Marco per giungere alla piattaforme petrolifere dell’Eni in Libia. L’obiettivo è proteggere e/o evacuare il personale. Anche la stazione di compressione Greenstream dell’Eni a Mellitah è sorvegliata. La paura è che possano essere rapiti gli italiani in Libia per ottenere un riscatto di milioni di euro. Pronta a partire anche la Brigata Sassari se sarà ritenuto opportuno. Intanto la Nato, nella persona del generale Stoltenberg, ha dichiarato che un intervento militare americano non è previsto.

UN ‘OCCUPAZIONE CHE SA DI DERISIONE All’interno di una ex base militare americana l’ISIS ha creato uno dei propri centri di reclutamento ed addestramento dei guerriglieri.


ISIS Recruits: Radicalized Women Motivated By Ideology Written by Jon Hembrey

LE PIATTAFORME ENI IN LIBIA Da sempre roccaforte della produzione italiana di combustile, l’ENI libica oggi è al centro delle mire le statistiche della FederPetroli, il nostro paese ha importato il 6,7% delle riserve petrolifere libiche nel periodo che va da gennaio a novembre dello scorso anno; in termini quantitativi si parla di circa 3,3 milioni di tonnellate. Analoga considerazione è da farsi con riferimento al gas naturale che, nel periodo soprariportato, è stato importato nella misura di 6,4 miliardi di metri cubi. Insomma, il 12% dell’ammontare libico. La questione risulta essere molto delicata, così come gli sviluppi. Gli interessi in gioco non ineriscono alla sfera economica, o almeno non esclusivamente. Crisi sociale e politica - Oltre ad essere in ballo milioni di euro, ci troviamo a fronteggiare una nuova e sempre più drammatica crisi sociale e politica. L’instabilità politica dei paesi del Magreb ha portato e porterà migliaia di migranti verso le coste della nostra penisola, alle Colonne d’Ercole dell’Europa Continentale. Un’Europa stanca, stremata, divisa ed in crisi. Insoddisfazione, divisioni e frustrazione, probabilmente una “bomba” ad orologeria, o probabilmente no. Teniamo sempre ben presente che, però, se dalla crisi di fine secolo (XIX) si è usciti attraverso la prima guerra mondiale e se dalla crisi del 1929 si è usciti con la seconda guerra mondiale, a distanza di sette anni dalla crisi dei mutui subprime del 2008, la pessima situazione di deficit economico imperversa ancora nel mondo.

u They are heavily restricted and unable to leave the house without their new husbands. They have little chance of escape, she says, many having turned over their passports when they arrive as a sign of allegiance to ISIS. The International Strategic Dialogue released a report last month on the radicalization of western women, which was based primarily on statements made through social media accounts. It found that the women who travelled alone appeared to be motivated by three primary reasons: the perceived oppression of Muslim people, a desire to create an ideologically pure state and a personal religious duty to assist in the process. Idealized utopia - Saltman says about 550 women from western countries have travelled to ISIS-controlled territories, including about 70 from France and another 50 from the U.K. Although some young women may be shocked at the living conditions, particularly in war-torn areas, most young women who have become radicalized to the point of leaving their families and homes have a pretty good idea of what they are getting into, she says. “They’re not just wilting violets,” Saltman says. Mia Bloom, author of Bombshell: Women and Terrorism, says online recruiters will tout the alleged benefits of living in ISIS territories, claiming they will become part of a sisterhood with many like-minded friends. “They’re trying to sell this idea that it’s a very idealized utopia,” she says. The online recruiter will often discredit the reported atrocities of ISIS by saying that the media is biased. “Like the sexual pedophile, they are creating rapport, building trust, creating an environment of secrecy, you know, ‘let’s not tell anybody,’” says Bloom, who also teaches security studies at the University of Massachusetts, Lowell. They can also provide tips on how to leave the country, including what to pack, what to wear, and how to avoid suspicion with security, as well as sometimes providing financial help for purchasing plane tickets. Similar information can also be found on websites. CBC News reported earlier this week that one young woman travelled to Syria after apparently becoming radicalized. Her sister says she was recruited under the guise of an online class to study the Qur’an taught by a woman in Edmonton. Not told specifics - ISIS has become particularly adept at using social media as a recruitment tool, particularly for young people, experts say. In Spain, four people were arrested Tuesday in what police say was a sophisticated social media campaign designed to lure women to join extremist groups like ISIS. Bloom says the women are usually told to simply fly to a country like Turkey and then to get in contact with a particular person who can ultimately take them to ISIS-controlled territories. She says the women are intentionally not told about specifics of the plan so that if they are caught in transit they can’t provide detailed information on the route they would have taken to get into Syria. Three teenagers from Denver were arrested last October in Germany, for example, in an apparent attempt to join ISIS militants. Second generation - Young women are specifically targeted largely so that they can be married off as a reward to extremist fighters. “It’s a way in which you ensure these foreign fighters aren’t going to turn around and leave if they get disillusioned or they get sick and tired of living in Syria,” Bloom says, “because they know they have a house, the wife, the kid, they’re sticking around.” It is also part of state-building efforts on the part of ISIS, Saltman says. “Now that they have this territory, the secondary aim is to actually build a state and you need women to create the second generation of this state,” she says.

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L’EUROPA E LE MULTINAZIONALI

ANALISI POLITICA FABRIZIO TORELLA

La persuasione dell’informazione ad opera dei media per trasmettere un nuovo senso della realtà manipolata e percepita così come compare in prima pagina. La discussione su “Il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli investimenti” nel villaggio globale risente sia dei media generalisti e sia dei movimenti di opinione, ormai unica voce fuori campo.

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LA POSIZIONE DI JUNCKER L’attuale Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker si è dimostrato fermo sostenitore del TTIP, nonostante le dimostranze popolari.

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l senso della realtà in cui siamo immersi noi uomini del presente è ormai determinata in gran parte dai messaggi audio, visivi e testuali, veicolati dal complesso e multiforme sistema mediatico. Internet, carta stampata, libri, e la cara vecchia televisione, hanno il potere di influenzare i nostri bisogni, le nostre emozioni, che influenzano a loro volta le azioni e le scelte quotidiane individuali. Il meccanismo dell’agenda setting, è uno dei principi elementari - ma fondamentale, di questo meccanismo di persuasione della teoria dell’informazione, come qualunque esperto o accademico del settore ben sa. Decidere arbitrariamente di pubblicare in prima pagina (per limitarci all’ambito dell’informazione scritta) un argomento piuttosto che un altro, con un titolo più o meno accattivante che possa attirare l’attenzione di chi legge, segue una logica ben precisa, ovvero quella di determinare le priorità nella costruzione della realtà percepita dai lettori; in parole più semplici: manipolarla. È questo un livello di astrazione superiore e precedente rispetto al principio di manipolazione dell’opinione pubblica: l’ignoranza di un fatto, preclude all’individuo pensante la possibilità di un qualsiasi ragionamento o giudizio di


LA SOTTOSCRIZIONE DI JOSÉ BARROSO

LA VOLONTÀ DI BARACK OBAMA

José Barroso, Presidente della Commissione Europea dal 2004 al 2014, si dichiarò fermamente convinto dell’alto potenziale mercantile ed economico che sarebbe seguito alla firma del TTIP.

Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti dal 2009, è stato sempre al centro delle contrattazioni sul TTIP, non ultima quella avvenuta al G20 in Australia con la presenza di Merkel, Hollande e Cameron.

valore in merito. Non conosco, non so, ergo, non penso, non sento, non mi esprimo. Mercato di libero scambio - Le discussioni a livello politico istituzionale riguardanti il “Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti” sono iniziate ufficialmente nel 2008, ma è solo recente la notizia sullo stato dei lavori legislativi ormai in fase avanzata, diffusa dai circuiti informativi rivolti al grande pubblico. Peraltro, i media generalisti ne hanno trattato in modo alquanto velato, salvo rarissimi casi, a seguito di spinte provenienti dal basso, da sparuti movimenti di opinione spontanei o minimamente organizzati, che ormai rappresentano la sola voce fuori dal coro nella dialettica del

villaggio globale, fragile ancoraggio alla realtà dei fatti. L’unico attore politico che abbia tentato di rendere la questione di pubblico dominio è stato il Movimento 5 Stelle, intervenendo timidamente anche nelle preposte commissioni legislative. Ad onor di verità storica, e di cronaca, a servizio della pubblica e libera opinione, già nel lontano 1995, i 29 membri dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), a cui aderiscono gran parte dei Paesi europei, insieme a Stati Uniti, Canada, Messico, Giappone, Israele, Nuova Zelanda e Australia, iniziarono ad abbozzare, segretamente, un progetto di accordo multilaterale sull’investimento (AMI), come testimoniato poi dalla rivista francese

Le Monde Diplomatique che di quel documento pubblicò una copia, sollevando un alito di polemica internazionale ben presto sopito dalle priorità confezionate del mainstream culturale globale. Torniamo al casus in questione. Il TTIP, nella sostanza, prevede la creazione del più grande mercato di libero scambio al mondo tra le due coste divise dall’Oceano Atlantico: Europa e Stati Uniti. Per i suoi sostenitori questo significa abbattimento dei dazi di importazione ed esportazione, quindi maggiore libertà degli investimenti e della circolazione di merci e servizi. Ma a quale costo? E perché tanta segretezza se la logica sottesa, la sua filosofia ispiratrice è la massimizzazione del benessere generale dei 19


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cittadini a cui dovrebbero tendere le Istituzioni nazionali e sovranazionali che li rappresentano e ne decidono le sorti con il proprio operato legislativo? I detrattori del TTIP, al contrario, etichettati dal sistema di informazione ufficiale alla meglio come disfattisti, complottisti, comunisti, quant’anche fascisti o populisti, ne criticano invece il carattere privatistico e puramente speculativo, che favorirà in gran parte - e sostanza - i grandi agglomerati dell’industria e del commercio, ossia quel sistema economico internazionale di carattere oligopolistico costituito dai giganti meglio noti come multinazionali. A conferma della sua natura quantomeno ambigua, oltre al tentativo dei suoi promotori di preservarne quanto più possibile la pubblica divulgazione fino a fatto compiuto, ci sono i contenuti dei singoli trattati che costituiscono l’intero impianto regolamentare che sarà ratificato: la polpa, l’arrosto dietro al fumo della disinformazione. Uno dei punti salien20

ti che possono aiutare il lettore a farsi una personale opinione delle conseguenze pratiche del Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, ma ancor prima dei suoi motivi ispiratori che hanno mosso l’azione legislativa dei rappresentanti politici da lui stesso eletti a rappresentarlo, è quello dei tribunali speciali previsti dall’accordo tra le parti. Queste ultime, le autorità politiche di Europa e Stati Uniti, e a scendere gerarchicamente, i singoli Stati nazionali, riconoscono valore legale a speciali tribunali ad hoc, dove l’attore commerciale potrà citare in giudizio un qualsiasi Stato sovrano, perché la sua legge nazionale a tutela dei suoi cittadini impedisca ad esempio la vendita di un determinato bene sul territorio, o la fornitura di un determinato servizio dove sia previsto un costo minimo del lavoro, come nel caso del nostro Contratto Nazionale, non risulti conveniente per l’investitore di turno. Questa sorta di arbitrati

esistono già da tempo, previsti da altrettanti trattati internazionali, nonostante pochi ne parlino, tutti troppo impegnati a sognare con le canzonette di Sanremo o inorridire davanti alle atrocità del terrorista che minaccia uno scontro di civiltà inesistente. Forse pochi sanno che l’Organizzazione Mondiale del Commercio, altra entità sovranazionale a cui aderiscono centinaia di Paesi, ha recentemente condannato l’Unione Europea a pagare un’ammenda di svariate centinaia di milioni di euro (denaro pubblico ovviamente), per aver impedito l’importazione di organismi geneticamente modificati (OGM). La legislazione europea si è ben presto adeguata ai diktat dell’interesse economico extra-sovranazionale: in Europa, quindi anche in Italia, è sì ancora vietata la coltivazione di sementi ogm, ma non l’importazione di prodotti finiti coltivati egualmente con tale tecnica. Una quantità non indifferente della pizza, del pane e della pasta che ogni giorno mangiamo a casa


A SINISTRA E NELL’ALTRA PAGINA Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e Donald Tusk, attuale Presidente del Consiglio Europeo, sono loro i principale interlocutori europei per la contrattazione del TTIP. La controparte americana è invece rappresentata dall’attuale Vicepresidente americano Joe Biden che, ad inizio febbraio, è stato in visita a Bruxelles per accellerare le operazioni messe in campo dai due capi negoziatori UE e USA, Ignacio Garcia Bercero e Dan Mullaney.

A DESTRA Il Premier italiano Matteo Renzi ha dichiarato che l’appoggio del Governo italiano alle contrattazioni del TTIP è incondizionato e totale. Sempre il primo ministro ha posto l’accento sulle capacità economiche e commerciali che può garantire questo trattato facendolo divenire allo stesso tempo un punto focale del semestre italiano all’Unione Europea.

o nel nostro ristorante preferito, è prodotta con grano proveniente dagli Stati Uniti, dove le coltivazioni OGM sono ormai la regola, a causa di anni e anni di pressioni esercitate dai lobbisti senza scrupoli sugli organismi legislativi del Paese faro della democrazia nel mondo. Per non parlare poi dei mangimi che ingrassano milioni di animali d’allevamento che si trasformano poi nelle tanto amate braciole, nei petti di pollo per la nonna, nelle succulenti salsicce alla griglia, nell’agnello sacrificale che imbandirà le tavole di milioni di italiani durante le prossime festività pasquali. L’argomento richiederebbe ben altro approfondimento, poiché investe praticamente tutti gli ambiti della vita di ognuno di noi: servizi pub-

blici, acqua, energia, sicurezza alimentare, diritti del lavoro, brevetti e proprietà intellettuale, fino alla libertà di Internet. Posizione italiana - L’Italia ha da poco terminato il semestre di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, organo dell’Unione Europea che esercita la funzione legislativa insieme al Parlamento, e stipula a nome di tutti i cittadini europei, accordi internazionali tra l’Unione e uno o più Stati, o organizzazioni internazionali. La posizione del Governo italiano riguardo ai trattati del TTIP, e il tenore della sua azione durante il periodo di Presidenza conclusosi il 31 dicembre 2014, sono riassumibili nelle poche ma significative parole rilasciate pubblicamente dal Premier Matteo Renzi,

in occasione di un convegno sull’argomento nell’ottobre scorso: “Ogni giorno che passa è un giorno perso: il semestre italiano può essere l’occasione per un salto di qualità e uno scatto in avanti nell’accordo TTIP tra UE e USA” “L’appoggio del governo italiano è incondizionato e totale”. “Si tratta di una scelta strategica”. “Per noi è assolutamente centrale che i principali elementi di negoziazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership, siano al più presto non solo chiariti ma evidenziati e rafforzati”. “Vorrei che fosse chiara da parte italiana l’assoluta convinzione di fare il semestre italiano non più l’occasione per chiudere l’accordo, ma l’occasione per un salto di qualità e uno scatto in avanti”. 21


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QUANDO LO ZERO TI CONCEDE SOLLIE VO Articolo di Marco Tregua

Dopo i risultati allarmanti degli ultimi semestri, si registra una ripresa dei consumi capace di compensare la riduzione della spesa pubblica e degli investimenti privati. L’OCSE stima, tra pareri discordanti, una ripresa del prodotto interno lordo partendo dallo zero: dopo semestri bui, infatti, l’Italia torna a crescere facendo registrare un più 0.1 sul proprio PIL.

T

alvolta usato in frasi di scherno, altre volte per segnalare un risultato disastroso, lo zero è spesso foriero di notizie poco confortanti, quelle che spingono a cambiare canale, a cercare una pagina web più rasserenante, o ancora a chiudere quella pagina di giornale e pensare ad altro. Altre volte, però, lo zero può riaccendere una speranza, come ha fatto qualche giorno fa nel presentare le prospettive per l’economia italiana. Guardare allo zero per 22

un set di grandezze che misurano la “ricchezza” di un paese e farlo, per giunta, in prospettiva è quantomeno un ossimoro, ma riportare l’andamento in alto dopo i disastrosi risultati conseguiti negli ultimi semestri è come riprender fiato dopo l’apnea. Si parte dal PIL che dovrebbe emergere in relazione alle attività dell’ultimo trimestre del 2014, in quanto il fatidico zero sembra esser stato raggiunto proprio nello scorso dicembre e tra qualche giorno i dati ufficiali potranno confermare

o smentire la previsione; al di là di quanto emergerà in termini effettivi, questo dato va letto quale trampolino verso l’obiettivo rappresentato dal segno più che dovrebbe poter caratterizzare i primi mesi dell’anno da poco iniziato. Le stime degli operatori di mercato più rilevanti e, soprattutto gli studi realizzati dall’OCSE, mostrano che la ripresa dei consumi potrebbe essere tale da compensare la costante riduzione della spesa pubblica e degli investimenti privati, favorendo, così, una


crescita del prodotto interno lordo. Il dato, non solo in quanto stima, va considerato con tutte le cautele del caso, come mostrano alcuni pareri discordanti – provenienti proprio dell’OCSE – rispetto a valutazioni più fortemente positive e basate sul potenziale apprezzamento delle riforme in rampa di lancio. Gli organi centrali europei, difatti, si erano mostrati particolarmente entusiasti delle conseguenze positive raggiungibili nei prossimi mesi. L’azione “da vigile del fuoco” di Angel Gurria, Segretario Generale dell’OCSE, è giustificata ed è imputabile al permanere di condizioni negative che riguardano aspetti quali il mercato del lavoro, la prosecuzione del trend inflazionistico, le restrizioni espresse dal sistema fiscale, la costante presenza di livelli di debito pubblico esorbitanti e, soprattutto, la reale fattibilità delle azioni di riforma che, finora, sono state solo messe in cantiere. Quel che viene fuori, dunque, è un’istantanea in cui all’interno del tunnel e particolarmente in lontananza sembra poter essere scorto un punto di luce, che col passare del tempo dovrebbe presentarsi sempre più vicino e assumere, ironia della sorte, proprio la forma di uno zero.

LA RIVOLTA

La Bolivia investe sullo Shale Gas ma il popolo è in rivolta per la scelta. Lo sviluppo del settore shale promosso di fatto dal governo della Bolivia si scontra oggi con un nuovo movimento di protesta, tuttora preoccupato per l’impatto ambientale delle tecniche di estrazione. Lo segnala il Guardian. Il valore dei giacimenti di shale gas presenti nel Paese, evidenzia la “Declaration against Fracking in Bolivia” ripresa dal quotidiano britannico, ammonterebbe a 1,36 trilioni di metri cubi. Estrarre tutto il gas, nota la dichiarazione, significherebbe “contaminare per sempre 242 miliardi di litri d’acqua e produrre emissioni di CO2 per 2,6 miliardi di tonnellate”.

Le Mani di Mediaset su Rai Way?

Commento di Gennaro Battista È senza dubbio la storia del momento, almeno tra gli appassionati delle grandi battaglie politiche di questo paese: Mediaset ha lanciato un’offerta di pubblico acquisto su Rai Way, con l’intenzione di ottenerne il controllo. Rai Way è la società, scorporata pochi mesi orsono dalla tv statale, che possiede l’infrastruttura e le torri di trasmissione televisive della rete pubblica. Rai Way è stata quotata in borsa, con un flottante pari al 35% del capitale, durante il mese di Novembre, per recuperare le risorse drenate dal taglio di fondi alla Rai per 150 milioni, deciso in precedenza dal governo. Lo stesso governo che, oggi, invece non sembra particolarmente favorevole a un’acquisizione da parte di Berlusconi. L’offerta, lanciata a 4,50 euro per azione, valuta Rai Way pressappoco 1,22 miliardi di euro. Secondo gli analisti si tratta di un’offerta piuttosto generosa, con un premio del 22% rispetto al prezzo di riferimento delle azioni ordinarie al 23 febbraio. Il buon esito dell’operazione porterebbe alla nascita di “un grande operatore unico nazionale nel settore delle infrastrutture destinate all’ospitalità degli apparati televisivi e radiofonici, in grado di svolgere un ruolo rilevante anche nel settore delle telecomunicazioni.” In parole povere alla formazione di un monopolio privato in uno dei settori strategici dell’economia contemporanea. Il Governo ha rassicurato i timori di molti dichiarando che Rai Way resterà in ogni caso almeno per il 51% di proprietà pubblica, come stabilito nel decreto che ne consentì la quotazione. Ma ci sono molti dubbi sulla questione: secondo il giornalista del Corriere Francesco Verderami “la rigidità del decreto governativo si ammorbidisce tra le pieghe del prospetto informativo, e dunque (italianamente) sarebbe possibile l’una e l’altra cosa”. In ogni caso l’acquisizione dovrebbe superare ben tre fasi: l’accettazione da parte del cda della Rai, il beneplacito dell’Antitrust e la definitiva autorizzazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. La notizia sta comunque suscitando un intenso dibattito, dato che segue di pochi giorni un’altra offerta lanciata dalla famiglia Berlusconi: quella di Mondadori per acquistare RCS Libri, un grande gruppo editoriale concorrente che comprende Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Adelphi e ancora altre case editrici storiche. Anche in questo caso, infatti, il buon esito dell’operazione si tradurrebbe nella creazione di una nuova società dotata di un potere di mercato enorme. Cosa sta accadendo in Italia? Finita l’era della grande impresa pubblica, crollato il capitalismo microscopico delle pmi, il sistema produttivo del paese si avvia forse a diventare oggetto di grandi monopoli privati? Si tratta di un’idea che spaventa non solo gli economisti.

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MEMORIE EVANESCENTI DELLA CITTÀ CAPOVOLTA

Intervista di Giorgia Mangiapia Galleria di Sergio Siano

Napoli in penombra tra statue e monumenti ignoti. Sergio Siano, fotoreporter de Il Mattino, e il suo occhio dietro l’obiettivo per cogliere il “bene frammentato” e carpire la Storia che vive a Napoli e di cui Napoli vive.

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l male riesce ad unirsi. Il bene no». Il bene non si unisce, « si frammenta, s’insinua nei vicoli. Anonimo, inosservato nell’ombra, vaga e si ferma in antri, sosta in sotterranei, si nasconde nei cunicoli; s’incastra in fessure, tra le mura, sorvola balconi e persone, si respira attraverso odori che provengono da finestre spalancate e scivolano tra tende sventolanti. Il bene sembra perdersi, sembra non esserci ma è lì, nella penombra di una città e la impregna della sua insospettabile essenza. Si stratifica, si sedimenta come la storia di Napoli, creando memorie evanescenti e solide al contempo. Memorie di un passato che è lì, tutto intorno: sopra e sotto, dietro, dentro e avanti. Ovunque. Lo scorgi nel paniere “calato” sulla salita della Riccia, quartiere San Carlo all’Arena, rotola tra i quattrocentoquattordici scalini della Pedamentina di San Martino. Pedemontanus, ai piedi della collina, tra discese e gradinate, per collegare la Certosa di San Martino e il Corso Vittorio Emanuele per poi giungere a Montesanto. Nomi che risuonano di storia, nomi portatori di memoria. Il bene è lì, disperso, presente e dimenticato perché “il male riesce ad unirsi ma il bene no”. Con queste semplici e dirette parole, inizia l’ intervista a Sergio Siano, fotoreporter de Il Mattino e autore del libro fotografico Il mare che bagna Napoli. Lo aspetti in strada, ti passa davanti con la sua macchina fotografica al collo e pronunci il suo nome come se lo conoscessi da sempre anche se, in realtà, è la prima volta che hai CAPPELLA SANSEVERO ideata da Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, ospita una delle opere più spettacolari al mondo. Il Cristo velato realizzato da Giuseppe Sammartino nel 1753. 26

il piacere e l’onore d’incontrarlo: “Sergio”, lui si ferma, sorride e inizia un’intervista che assume la forma di un ascolto piacevole fatto di immagini, luoghi, opere, tante volte viste ma raramente osservate di cui Siano sembra essere custode. Custode di una Storia scoperta attraverso le strade, girando per vicoli e soffermando lo sguardo su particolari caduti nell’oblio. Il mare che bagna Napoli su un tavolo con la sua immagine da copertina che cattura l’occhio per il fondersi e confondersi dei confini tra mare, cielo e terra. Il viaggio inizia girando la prima pagina: la foto di una statua in controluce “perché nessuno conosce in realtà la storia dei monumenti che sono a Napoli. Non c’è scritto”. È vero, non c’è scritto. Non ci sono targhe per riconoscere e capire la storia che vive a Napoli e di cui Napoli vive. Ad una domanda di rito, segue una risposta che racchiude il senso di un incontro.

Biografia di Sergio Siano Sergio Siano, figlio d’arte, 44 anni, è nato e vive a Napoli. Fotoreporter per il quotidiano Il Mattino, è un attento osservatore dei cambiamenti politici, culturali e sociali di Napoli. Artista dell’obiettivo, ha partecipato a varie mostre collettive e ha esposto in alcune personali, come “Minori di città”, “Ultima dimora” e “Leggenda Young 1996” e il premio “Cosimo Fanano 2010”. Ha al suo attivo molte collaborazioni con artisti e diverse case editrici.

Cosa ti ha spinto a realizzare un libro fotografico? «Il bisogno di entrare in rapporto con quello che ci circonda. Non è passione per la Storia. È rispetto per la memoria. È rispetto per la Storia». Siano racconta che a Piazza del Plebiscito vi è una statua equestre. Si tratta dell’ultima statua del


Canova. Qui a Napoli, un’ultima opera del maestro Canova. Ma nessuno lo sa perché “non c’è scritto”. Il mare che bagna Napoli sottende quindi un impegno oltre che una raccolta fotografica? «Pubblicare un libro fotografico oggi non è semplice e tanti si meravigliano della mia scelta ma il mio impegno è dare un nome a monumenti ignoti». Monumenti fotografati nella penombra che aspettano di trovare una luce nell’ombra, che attendono il rispetto loro ancora non concesso. Maurizio de Giovanni introduce, in una prosa che racchiude poesia, Il mare che bagna Napoli: “C’è una cosa che è difficile raccontare di questa città ed è il rumore. Non la cacofonia di clacson e sirene […] si tratta piuttosto di una vibrazione, uno di quei suoni che il corpo percepisce facendo a meno delle orecchie, accogliendone il riflesso nel torace come un tuono”. Il fascino del suono ritorna nella fotografia accanto: la fontana del Nettuno che suona la tofa da cui esce acqua leggera.

La foto del Nettuno racchiude un significato? «Una delle emozioni più belle legate al libro è stato il modo in cui è nata la presentazione. Quando mi sono recato da De Giovanni, lui ha cominciato a guardare le foto e le ha associate al rumore e ai suoni di Napoli. Le sue parole mi riportavano alla mente la tofa come se si trattasse del suono della città. Il suono della tofa insieme all’acqua. Mentre parlavamo, lui continuava a guardare le fotografie. Finché ci abbracciamo e vado via. Uscito in strada pioveva. Affascinato dal momento, sentivo l’acqua come l’elemento della città. Impiego un quarto d’ora per arrivare a casa, mi siedo al pc e trovo la presentazione già scritta. È stato per me un momento straordinario. Una delle più grandi emozioni». Il suono di una conchiglia da cui zampilla acqua. Acqua che lava, acqua simbolica, come la pioggia che ha accompagnato Siano a casa, come elemento di una città che ondeggia sulle sue acque. Si gira la pagina e tutto assume spessore: si passa dal rumore al silenzio perché sfogliare Il mare

GLI ABITANTI AFFOLLANO LA CITTÀ La vivono tra le strade, nella distrazione del caos e del via vai, nel disordine dell’improvvisazione. Inventando mestieri e gallerie d’arte nei Decumani. che bagna Napoli significa essere assorti da un silenzio totale, essere catapultati in un assoluto che sa di sinfonia, di note mute, di violini e strumenti d’arco, di tammurriate ritmate e veloci. Il fremito della fotografia, il tuono dello scatto, la melodia di un fermo immagine in cui quel bene è colto nel suo essere frammentato e disperso. Siano lo ha catturato il bene e vuol dargli un nome, strappandolo al buio dell’anonimato. È la fotografia a parlare. La tua fotografia coglie delle realtà che superano le immagini. Nell’800 scrittori stranieri son giunti a Napoli - si pensi a Stendhal, a Goethe, White Mario, all’interesse del Villari, della Serao, di Fucini per catturare quelle realtà. Tu lo hai fatto attraverso una l’arte della fotografia. Come definiresti le realtà che hai intrappolato nelle tue foto? 27


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LA FONTANA DEL NETTUNO che suona la tofa. L’acqua simbolo della città di Napoli con il suo scorrere e continuo divenire e rigenerare. Essere tormenta e pura, paradisiaca e demoniaca allo stesso tempo. «Napoli e le sue identità. Le varie identità di Napoli si sono stratificate e sovrapposte ma nessuna ha sostituito l’altra. Sono tutte presenti e non così invisibili e nascoste». Così dalle colline al mare, dai Decumani alle Vie dei Canti fino a Piazza Mercato, dal Pallonetto ai Quartieri Spagnoli, una foto toglie via la polvere e rende chiara un’immagine dimenticata dal tempo. Fino a soffiare sull’immagine di una donna al balcone. In questa fotografia, l’occhio si sposta dalla donna ad una maschera. È intenzionale l’effetto?

SAN GENNARO FACCI LA GRAZIA Il moderno e antico che si fondono insieme nel rosso, nella città dei mille colori. L’uomo di strada, il graffito e san Gennaro con tre occhi: l’arte di essere semplicemente napoletani. 28

«Mentre camminavo tra stradine, mi ritrovo di fronte ad uno dei primi palazzi fatti costruire dai principi Spinelli di Tarsia, ceduto alle suore scalze di Santa Teresa. Alzo lo sguardo e fotografo una donna affacciata al balcone intenta a stendere il bucato. Guardo la foto e intravedo una macchia nella parete, ingrandisco e noto che non si trattava di una macchia ma di una piccola maschera in rilievo. Chiedo ad una persona del posto di che cosa si tratti. Mi guarda stupita, osserva l’ingrandimento e poi di nuovo me e, sempre più meravigliata, risponde che era convinta si trattasse di calce rovinata mentre invece si trattava di una maschera antica che è lì ma non ha diritto alla sua storia». Ecco, di nuovo, un pezzo di memoria stratificata, incastonato in un palazzo come un piccolo diamante e considerato parte di

un muro decadente. Un nuovo ignoto a cui dare un nome anche se “non c’è scritto”. Continuando tra aneddoti e ricordi, giungiamo ad osservare una fotografia in cui è ripresa, all’interno della Villa Comunale, la fontana della Tazza di Porfido, conosciuta come la fontana delle Paparelle o delle Quattro Stagioni. Una fontana progettata dall’architetto svizzero Pietro Bianchi verso la fine del 1700 e l’inizio del 1800. Cosa ha di particolare proprio questa fontana? «Non si vede ma al centro c’è la testa di medusa. Nessuno lo nota perché non c’è alcun riferimento. Non si vede perché non la si può vedere in quanto inserita al centro della fontana. Ma, quel che è peggio, non si potrà mai sapere. Potrebbe essere coperta da un vetro con l’aggiunta di una targa ma così non è». È vero, anche in questo caso, “non c’è scritto”. La testa di Medusa, rinvenuta nel sito archeologico di Paestum, collocata nel portico della cattedrale di san Matteo a Salerno e infine trafugata dal re di Napoli, dal centro della fontana, fissa immobile i passanti, inconsapevoli della sua esistenza. Dal fondo delle acque dirama i suoi capelli come serpenti, pronta a rendere pietra chiunque incontri il suo sguardo. Sperando che ci sia chi la noti, medusa ignota e senza nome, viva e austera nel suo fascino da Gorgone. Intanto si alternano fotografie in penombra ad altre di vita quotidiana nel caos disordinato di una Napoli verace e cattura l’attenzione la fotografia di un documento presente nell’archivio del Pio monte di Misericordia. Si tratta della decisione dell’inamovibilità della tela del Caravaggio “che non si levi il quadro dell’altare maggiore e che


I PANNI STESI AL VENTO E AL SOLE Una piccola maschera nel Palazzo dei principi Spinelli di Tarsia, ceduto alle suore scale di Santa Teresa. Un’opera ignota, senza nome, di cui quasi nessuno nota l’esistenza. È lì, imperterrita, e osserva inosservata restando sempre in attesa di un nome.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA rappresentate drammaturgicamente fanno vivere le emozioni dell’opera del Merisi.

non si venda per nissun prezzo”. Le sette opere della misericordia del Caravaggio che crea e imbarazza, turba e ammutolisce per la genialità dell’arte perché materializzazione di un’intuizione interiore e superiore. Caravaggio è come Napoli: per la sfrontatezza nel mostrare un mondo fatto di carne, muscoli, volti contratti, spaventati, indifferenti; di occhi sgranati, bocche aperte in una smorfia di dolore, di ventri gonfi, di frutta bacata e marcia, di foglie appassite, di personaggi grossolani, dissacranti, umani; di morti vere e sangue reale. Caravaggio è vero come Napoli. È vero e veritiero come le fotografie di Sergio Siano, come il suo modo di raccontare e vivere Napoli: “Quando parlo di Napoli, io mi riferisco a tutta Napoli perché sento ogni metro

Come si riesce a trasmettere l’amore per una qualsiasi forma d’arte?

quadrato di questa città”. Siano e la sua Napoli tra palloni e colombi: “Ovunque trovavo un pallone o un colombo. Come puoi trovare un pallone in un sotterraneo? Anche lì li ho trovati!”. Forse perché Napoli è senza angoli, è un giro continuo, un ciclo che si ripete come la Storia, un continuo girare in tondo senza fine. È una città incorporea, immateriale, sfuggente, libera come un volo, ribelle e difficile da tenere in gabbia. Come l’intensità fotografica di Siano, semplice e articolata, sentita e catartica. Un’intervista da cui emergono le doti di una persona e la sua capacità di contatto che scivola diretta, guarda negli occhi e trasmette una verità di pensiero. Un’ultima domanda che esula dall’intervista ma nasce spontanea, per una curiosità personale:

«Ripeto spesso a chi vuol intraprendere questo mestiere che l’unica regola da seguire è racchiusa nella sigla VIC : volontà, impegno e concentrazione. Solo così una capacità, una predisposizione, si costruisce e assume una forma concreta». Siano riprende la sua macchina fotografica, si cammina insieme per le stradine di Napoli per salutarsi come se si lasciasse un amico. Dopo ti ritrovi ad osservare Napoli diversamente cercando di riconoscere la Storia e di vedere, oltre la polvere, l’arte e il bene che si è frammentato ovunque anche se “non c’è scritto”. Non c’è scritto ancora, si spera. 29


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1) Sergio Siano - Quartieri Spagnoli lapide a Pagano (Via Nuova San Maria). 30

2) Sergio Siano - Quartieri Spagnoli (una moderna Gioconda partenopea).


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3) Sergio Siano - Rampe di Pizzofalcone (il nuovo Quarto Stato napoletano).

4) Sergio Siano - Il pallonetto e il Dio Santos (ossia l’irriverenza napoletana). 31


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LE JANARE E I SABBA S DEL NOCE

TESTO DI EMANUELA GUARNIERI

ILLUSTRAZIONI DI FRANCISCO GOYA

Nel buio della notte, donne malefiche adepte al culto di Satana: leggenda e mitologia delle Janare. In una Benevento misteriosa ed arcaica, carismatica e accattivante, le padrone dell’ombra in fuga alla prima luce del giorno.

ott a l’acqua e sott u vénto sott a la noce de binivénto: mito, leggenda, superstizione. Paure ancestrali da raccontarsi per secoli intorno a un caminetto, voci dai capelli bianchi che sussurrano tra lo stupore e il terrore storie a cui tutti vogliono in fondo credere, accompagnate in eterno dal fascino immortale del brivido. Chiudi gli occhi e immagina un noce: è un albero alto, con un cespuglio di foglie tanto ampio da sembrare una nuvola gigante, che, nel giorno di sole più splendente, è capace di creare

IL GRANDE CAPRONE è un dipinto realizzato tra il 1797 e il 1798 dal pittore spagnolo Francisco Goya. È conservato nel Museo Lázaro di Madrid 32


un’enorme zona d’ombra. Proprio lì, sotto la chioma folta di un noce, si svolgono i sabba, gli incontri tra streghe con Diana (da cui forse Dianare corrotto in Janare), la signora della notte, o con Satana sotto le spoglie di bestia antropomorfa, nella notte tra sabato e domenica. Tradizione vuole che le donne giungano all’”appuntamento” a cavallo di una giumenta che rubano dalle stalle per scorazzare in lungo e in largo, lasciandole stremate e con la criniera ricoperta di treccine, proprio per testimoniare il loro passaggio. La superstizione contadina medievale raccontava che accanto alla porta, che in latino veniva chiamata Janua (altra probabile ragione etimologica del termine janara), si collocasse una scopa o un sacco con del sale grosso: la strega, forse affetta da mania ossessivo compulsiva, non può fare a meno di contarne rispettivamente i fili di paglia o i chicchi. Indugiando nell’espletamento di questo bisogno, giunge il giorno, e con esso la fuga disperata della strega. Le leggende sulle Janare - A Benevento, le storie sulle janare sono tante. Dal cacciatore ucciso dopo aver assistito a un sabba in cui si calpestavano croci e si praticavano orge, ai contadini che potevano e possono vantarsi, dopo appostamenti studiati, di averne presa una per i capelli, punto debole dal sapore specularmente biblico. “Che ttie mman?”: ferro e acciaio o capelli? Attenzione a cosa rispondere a una janara una volta afferrata. Risponderle “capelli”, infatti, le darebbe la magica possibilità di liberarsi con una sola frase: “e je me ne sciulie comm a n’anguilla”, scappo via come un’anguilla. Riuscire a bloccarla rispondendole ferro e acciaio, invece, significa garantire a se stessi e alla propria famiglia la protezione delle janare per

LAS BRUJAS è un dipinto realizzato da spagnolo Goya. Conosciuto anche come El Conjuro

Goya: the Witches and Old Women

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Written by Jonathan Jones jonathan.jones@guardian.co.uk Published by The Guardian

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he hell of Francisco Goya has no parallel in art. No one has ever painted and etched such convincing and utterly terrifying visions of cruelty, superstition and madness. Goya’s Black Paintings unveil a world without hope. A dog drowns in quicksand. The god Saturn eats his children. The Fates – or are they witches? – float airborne over a barren twilit landscape. These visions that Goya painted in his late years on the walls of his house outside Madrid – they were later transferred to canvas and now hang in the Prado – have a unique atmosphere of reality, as if we are seeing matter-of-fact reportage from someone’s unconscious. Even their most extreme and repulsive details have this quality of honest observation. They are not fantasy art. They are the awful truth. Now, at last, we know where these appalling pictures come from. An extraordinary exhibition at London’s Courtauld Gallery lays bare Goya’s thinking as he painted some of the most terrifying works of art that exist. This exhibition, it seems, is the key to the Goya Code, the door to this private artist’s inner world. It reveals exactly why his horrific scenes are so convincing, immediate, and yet inscrutable. The exhibition reassembles Album D, a long-scattered sketchbook that Goya filled with drawings of witchcraft, old age and other obsessions in about 1819-23. These were the years when he was creating the Black Paintings on the walls of his house. Album D thus exposes Goya’s imagination at work as he looked into the darkness of his own mind and dredged its secrets. The faces in these drawings are harrowing. They are tiny masks of monstrosity. Each face is drawn with microscopic precision. Each is utterly demonic. Some of Goya’s witches laugh. Others grimace. In his drawing Visions – the titles are written by Goya beneath his sketches – one face glares darkly at us while its partner, nuzzled close, grins emptily. Neither personage is quite human. Calling these images “old women” seems debatable: most look more like demons or ghosts than mortal humans of any gender. They all look more dead than alive. Goya’s merciless depictions of aged faces go beyond cruelty. u 33


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ben sette generazioni in cambio della libertà: le cavalle saranno al sicuro e nessun bambino sarà infilato in un treppiede per deformarlo, come pure si racconta. Quando arrivarono i longobardi nel regno di Benevento, nonostante la massiccia conversione al cristianesimo, in molti adoravano ancora divinità pagane, tra queste Iside, Ecate e, ovviamente, Diana. I nordici, dal canto loro, portarono con sé il culto degli alberi al sapore di boschi tedeschi. Una commistione di paure e credenze magiche che non conosce confini territoriali, un bisogno sublime di avere paura insito nell’animo umano. Fantasia - Sensazioni tanto sublimi da giustificare le streghe dipinte di Francisco Goya, le letterature internazionali e, soprattutto, la musica. Si racconta infatti, che il musicista russo Mussorgsky, ospite per un periodo della duchesse Pignatelli, fosse rimasto tanto affascinato dai racconti sulle Janare e sulle notti di sabba del noce di Benevento da comporre la sinfonia “Notte sul Montecalvo”, diventata celebre per aver musicato alcune scene del film d’animazione Disney “Fantasia”. I violini stridono e le streghe danzano come forsennate sotto la pioggia, i suoni cupi annunciano la tempesta, il ritmo incalzante crea nella mente un traffico nero di scope e giumente sudate. Poi arriva la campana del giorno, e con lei la luce, la quiete della normalità. Si va a lavorare, si va in chiesa a purificarsi dalle tenebre della notte. E, alla messa della notte di Natale, presta attenzione: le ultime donne ad uscire dalla chiesa sono le janare. O almeno, così si dice. Unguendo, unguendo, mandame a la noce di Benivento supra acqua et supra ad vento et supra ad omne maltempo. 34

BRUJERÍA EN GOYA disegni di Francisco Goya tempera ed acquarello.

Goya: the Witches and Old Women u These sagging, lumpen visages show the skull under the bone. The grave is at hand. That mixture of death and life is at the root of the horror that creeps up on you bit by bit. The horror is not just some Gothic schlock. It is a painfully true recognition of corruption, decay and dying. The bodies of the witches, as they float up into an empty white sky, are round and plump like children painted by Bruegel, but their faces give away the deadly truth. In his drawing Wicked Woman, a creature with just a few shreds of skin on its skull, as emaciated and evil as a vampire, is about to eat a baby. This and all the scenes here have even more truthfulness than the Black Paintings. The calm accuracy of Goya’s brush and ink uncannily creates a sense that he actually saw this. The bestial baby-eater pauses in its meal and looks directly at the artist. The exchange of looks is terrifying. We really seem to be looking at a cannibal caught in the act. If the curators are right in the sequence they have reconstructed for Album D, what happens next is a direct window on Goya’s creativity. After the drawing of a female monster eating a baby, we see a man kicking violently as he wakes in his bed. This drawing is called He Wakes Up Kicking. It’s obvious the man has woken from a nightmare. He kicks his legs as if to drive off some ghoulish horror. Goya shows us what his dark images really are. They are records of his nightmares. The creatures he sees are not imagined by him – at least, not by his waking mind. They are things he sees in his sleep. Other drawings confirm this. In a drawing called Nightmare, a man who looks like the artist is falling through empty air. His bed has become a clifftop. He plummets into the void. Another vision, of an old woman bearing what look like two living corpses on her back, is also called Nightmare. But it is the poor dreamer kicking in terror who takes us to the heart of Goya’s darkness. The artist is revealed in these works as a kind of shaman. He sees things. His nightmares are icily lucid. These drawings are not about old women, but an old man. Goya, facing illness and age and death, stares at the monsters in his dreams. He finds fascination there, not to mention artistic inspiration, grotesque humour, the beauty of great drawing. He finds everything, except comfort.


ALCHIMIA TRA GENIO E SREGOLATEZZA ARTICOLO DI LUISA ERCOLANO

ILLUSTRAZIONI DI JACKSON POLLOCK

A Palazzo Venier dei Leoni a Venezia, nella collezione Peggy Guggenheim una mostra innovativa, attraverso un percorso multimediale, alla scoperta dell’Alchimia di un genio fuori dagli schemi. Jack the dripper, Pollock e la sregolatezza del colore.

Alchimia di Pollock Dal 14 Febbraio al 6 Aprile 2015, a Venezia presso la Collezione Guggenheim, si tiene la Mostra scientifica, curata da Luciano Pensabene Buemi e Roberto Bellucci, Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia. La prima di tre articolate mostre sull’artista.

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uando si pensa ad un dipinto, le prime immagini a venire alla mente sono tele e tavole di grandi maestri, per lo più opere di figurativo, ovvero quel tipo di opere in cui il soggetto è dato da figure più o meno riconoscibili, siano queste figure umane, paesaggi o nature morte. Molto più raro è, invece, pensare all’arte astratta, che vanta capolavori non meno invidiabili e che preferisce non sottostare a rigide regole compositive. Uno tra i grandi esempi è

Jackson Pollock, che, innamorato del colore, abbandonò l’arte figurativa e l’idea dell’artista dietro il cavalletto per dedicarsi ad un tipo di arte molto più libero, vicino alla scrittura automatica degli autori surrealisti. Il dripping - La fama di Jackson Pollock è legata soprattutto alla sua tecnica di pittura prediletta, il cosiddetto dripping (o sgocciolatura), che gli valse, nel 1956, da parte della rivista Time, il soprannome di “Jack the Dripper”. Si tratta di un metodo singolare, in

cui il colore viene lasciato gocciolare, colare oppure viene schizzato direttamente sulla tela stesa sul pavimento o fissata ad una parete, ottenendo effetti molto particolari, immagini che attirano lo sguardo del fruitore, ipnotizzandolo al pari di una macchia di Rorschach, mostrando figure diverse a seconda del punto in cui va a posarsi l’occhio, catturato dall’intrico di linee casuali. L’artista prediligeva questa tecnica in quanto gli consentiva di calarsi completamente (letteralmente) nel quadro, divenendo contemporaneamente parte integrante del dipinto ed egli stesso il pennello, di lasciare che l’opera emergesse a modo proprio, senza essere “condizionata” dalla sua mano creatrice, non compiendo gesti deliberati, ma lasciando che il caso guidasse la composizione. Una delle prime opere eseguite da Pollock utilizzando la tecnica del dripping è Alchimia (Alchemy), risalente al 1947. Si tratta di un’opera complessa, realizzata con materiali diversi, quali sabbia, sassolini, resine, smalti, bastoncini di legno 35


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BOLOGNA

ROMA

FIRENZE

MILANO

Da Cimabue a Morandi

Giuseppe negli arazzi

Gherardo delle Notti

No Curves. Exp(l)oration

Dal 14 Febbraio al 17 Maggio 2015, a Bologna presso il Palazzo Fava, si tiene la Mostra, curata da Vittorio Sgarbi, su una serie di significative testimonianze dalla fine del Duecento al Novecento: l’arte felsinea da Cimabue a Giorgio Morandi.

Dal 16 Febbraio al 12 Aprile 2015, a Roma presso il Palazzo del Quirinale, si tiene la Mostra, promossa dalla Presidenza della Repubblica e da EXPO Milano 2015, sugli splendidi venti arazzi raffiguranti le storie di Giuseppe Ebreo.

Dal 10 Febbraio al 24 Maggio 2015, a Firenze presso la Galleria degli Uffizi, si tiene la Mostra, curata da Gianni Papi, su una serie di quadri bizzarri e cene allegre raffigurate da Gerrit van Honthorst, conosciuto ai più con il nome d’arte Gherardo delle Notti.

Dal 15 Febbraio al 15 Marzo 2015, a Milano presso il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, creatività e sperimentazione sono protagoniste della personale firmata dall’artista No Curves, esponente della “tape art”.

e olii. La tela, insieme ad altre realizzate nello stesso decennio, fu acquistata da Peggy Guggenheim, mecenate dell’artista, ed esposta nella galleria Art of This Century, di proprietà della stessa Peggy, e oggi si trova in mostra a Palazzo Venier dei Leoni a Venezia, parte della collezione permanente Peggy Guggenheim, insieme ad altre opere di Pollock, come La donna luna e Direzione, nelle quali ancora non era stato del tutto abbandonato il figurativo, o Occhi nel caldo e Foresta incantata, realizzate, come Alchimia, ricorrendo alla tecnica del dripping.

JACKSON POLLOCK ha combattuto tutta la vita con i fantasmi dell’alcolismo per poi restare vittima nel ‘56 in un incidente stradale. 36

Il ritorno di Alchimia - Dopo un lungo restauro, Alchimia torna finalmente nelle sale di Palazzo Venier a farsi ammirare dal pubblico, in una mostra dal titolo Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio al centro della materia, apertasi il 14 febbraio e che chiuderà il 6 aprile. Durante la mostra, eccezionalmente, l’opera sarà priva del consueto schermo della teca protet-

tiva, in modo da permettere ai visitatori di poterne ammirare la superficie tridimensionale, dovuta alla sovrapposizione dei diversi materiali e dei molteplici strati di vernici dense. Attraverso una complessa operazione di indagine microscopica, è stato possibile scoprire i materiali utilizzati dall’artista per la realizzazione dell’opera. Mediante il ricorso ad analisi ancora più approfondite, sono stati inoltre individuati quindici tipi diversi di pigmenti, tra i quali l’oltremare, il bianco di zinco e di titanio, il blu e il cadmio. Il lavoro di restauro ha permesso la rimozione dei depositi di pulviscolo, rendendo così possibile ammirare l’opera in tutto il suo splendore, godendo della piena brillantezza dei colori: le tonalità dei bruni predominanti sullo sfondo, le graffianti sferzate di giallo che fanno da protagoniste in primo piano, intervallate, fuse, intrecciate ai toni più scuri del blu e dell’oltremare, a quelli più chiari dei bianchi e ai rossi accesi, che


RESTAURO A FIRENZE Nel laboratorio dell’Opificio è stata eseguita la pulitura della superficie pittorica di Alchimia così da restituirne la brillantezza.

creano una rete di percorsi che vanno e vengono, si sovrappongono, si intrecciano e si allontanano per poi ricongiungersi e allontanarsi ancora, in sentieri virtualmente infiniti, creati dall’occhio di chi osserva e ne resta stregato. Il percorso creativo di Pollok - La mostra, di cui Alchimia è il perno centrale, si pone come scopo non solo di mostrare allo spettatore l’opera restaurata e riportata allo splendore originario, ma anche guidarlo all’interno dell’opera stessa, del percorso creativo messo in atto da Pollock e di quello di restauro, il tutto attraverso un percorso multimediale che si presenta come molto più interessante e, sicuramente, coinvolgente delle classiche brochure informative, composto di video, strumentazio-

ne interattiva, touch-screen, oggetti storici provenienti dall’abitazione di Pollock (ora museo, la Pollock-Krasner House and Study Center di Long Island), un modello in 3D e un software per la visualizzazione interattiva attraverso il quale lo spettatore può ingrandire i dettagli dell’opera per meglio apprezzarli ed esaminarli, modificare l’illuminazione o visualizzare il dipinto in toni di grigio per potersi concentrare sulla struttura materiale di Alchimia. Il tutto viene accompagnato da un video realizzato e prodotto dalla web tv del Consiglio nazionale delle ricerche, nel quale vengono mostrate le fasi del progetto di restauro e conservazione dell’opera, oltre ad un’intervista a Peggy Guggenheim, nella quale la collezionista racconta di come scoprì Pollock.

IN ALTO le opere del “periodo blu” di Jackson Pollock, classe 1912 è considerato il massimo esponente novecentesco dell’Espressionismo astratto.

Indubbiamente, Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio al centro della materia si presenta come una mostra innovativa, un viaggio all’interno di un’opera, di un modo di fare arte e di un artista che non hanno nulla di convenzionale, ma che sono, al contrario, completamente liberi, fuori dai rigidi schemi compositivi dell’arte classica e spesso, per questo, fraintesi e non apprezzati quanto dovuto. Si tende spesso a considerare, infatti, questo tipo di arte come di seconda categoria, rispetto a quella convenzionale che si attiene a regole ben precise, o ad etichettarne gli artisti come semplici imbrattatele senza talento quando, probabilmente, ci vuole molto più talento a piegare o distruggere una regola piuttosto che rispettarla. Così che si creano capolavori unici e inimitabili. 37


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Cultura & Spettacolo Liliana Squillacciotti

IL CARROZZONE VA AVANTI DA SÉ Tra glamour, scintillii e red carpet. Tra stelle e notti d’oro, flash e diamanti, l’arte si mette in gara. Le serate di grandi premiere: Il film più bello, il regista più bravo, la canzone migliore e l’addio all’Ars gratia artis, un concetto ormai troppo anacronistico.

Il Volo by the Observe in 2011 It is the group’s youth, says the dream team, which gives it the edge over Il Divo, the other pop-opera group invented by Simon Cowell in 2003. Promotion in the US focused on TV, combined with a “real tough grind” of appearances at parties attended by industry bigwigs, said Leber. Accompanied on tour by parents, the group is now learning to sing in Chinese, after songs sung in Spanish helped to earn them Latin Grammy nominations. One market where superstardom may be elusive is Italy. “Three kids singing O Sole Mio is not groundbreaking here,” admitted a spokeswoman. After performing the standard, moaned one Italian blogger, “they might as well have performed in front of a plate of spaghetti and talked like they do in The Sopranos.” Tom Kington

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l carrozzone. Il circo in città, la ventata di malinconica allegria al seguito. Il carrozzone si muove, instancabilmente, mostrando quanto di spettacolare abbia da offrire. Il carrozzone ha una propria anima, talvolta venduta, ma ce l’ha. Ha un’anima, ha una sensibilità. Senza quelle non esisterebbe la possibilità della corruzione, ed anche quella, spesso, è presente all’appello. Il carrozzone è, allo stesso tempo, 38

IL VOLO è un gruppo composto da due tenori e un baritono. Il trio ha vinto il Festival della Canzone Italiana con Grande amore.

vittima e fruitore di quel linciaggio mediatico che al giorno d’oggi si esprime a suon di hashtag. Quel linciaggio mediatico pronto a decretare il successo o il fallimento di un evento, di qualunque natura esso sia. Perché chi lo frequenta, lo sa. Internet è un brutto posto, abitato da brutte persone. Ma. Il “ma” c’è sempre, ed è quasi d’obbligo. Ma, in quest’epoca in cui tutto è fruibile ed alla portata di tutti, dove quei tutti sentono

la necessità e quasi il dovere di esprimere la propria opinione, appare evidente quanto tutto faccia brodo. Tutto è critica, tutto è degno di nota, tutto e tutti diventano improvvisamente fonti attendibili, vere, concrete. Per il semplice fatto che esistono. Mai come negli ultimi anni risulta evidente quanto il mantra che recita “bene o male, purché se ne parli”, non solo sia vero, ma necessario. Nell’accezione più filosofica possibile. È necessario


che se ne parli, e se non ne parla nessuno, hai fallito. Non importa se sono 65 anni che il carrozzone va avanti, e nemmeno 87. Febbraio, mese di premiazioni. Mese di scintillio, di glamour, di red carpet. Mese delle stelle, notti d’oro che sembrano susseguirsi in maniera frenetica, creando un’aurora boreale di sfumature fatte di flash e diamanti. Quelli di chi se li può permettere. Ars gratia artis - L’arte in gara. Il film più bello, il regista più bravo, la canzone migliore. Addio, “Ars gratia artis”, come concetto, ci sei piaciuto tantissimo, ma sei anacronistico. L’arte per l’arte. La bellezza fine a se stessa, senza ragioni, senza la necessità intrinseca di essere spiegata né a se stessa, né al prossimo. Il carrozzone continua la propria strada. Schivando buche, rischiando di rimanere impantanato nel fango del “già visto e già sentito”. Il carrozzone non può rinunciare alla propria natura, raccatta, là dove può, stralci di quell’arte che riesce allo stesso tempo a commercializzare Dare un prezzo all’arte. Creare il fenomeno. Insegnare al pubblico, cosa deve e non deve apprezzare. Mercificare l’emozione. Quale sia, ad oggi, nell’epoca del “tutto è concesso” il ruolo di un’istituzione luccicante come quella rappresentata dai festival (vari ed eventuali), resta un quesito inevaso. Due mondi paralleli -L’attenzione a Los Angeles, e gli occhi ben piantati a Sanremo. Due mondi, paralleli. Se non per qualche ospitata di lusso in terra ligure. Distanze incolmabili, per prestigio, forse. Ma non solo. Musica da una parte, tutto il resto dall’altra. I vari signorotti in tiro della tv di stato da un lato, attori sopra le righe che prestano servizio alla presentazione, dall’altro. Il

glamour vero, e quello che forse appare un po’ come di provincia. L’amaro in bocca per la conferma di un paese che, anche nelle proprie rappresentazioni culturali, sembra trovare nell’eterno ritorno alla tanto rassicurante tradizione, la sua unica ragione d’essere. Il mondo dei festival, delle statuette, dei premi, delle classifiche, riesce a far davvero bene all’arte? Far competere le emozioni, i brividi, il lavoro estenuante presente dietro ogni centimetro di pellicola, così come dietro ogni singola nota, è davvero tanto diverso da un moderno spettacolo di gladiatori? Buttare tutto nella mischia, senza la possibilità di gettare la spugna. Una guerra all’ultimo sangue, perché l’arte, infondo,

è fatta di quello. Di ogni singolo battito di cuore dell’artista, e di ogni battito in corrispondenza del pubblico. Il pubblico poi, cosa ne guadagna? Cosa riesce davvero a fare proprio di un meccanismo che tende a fagocitare chiunque gli presti orecchio, ed occhi? Forse ben vengano questi enormi carrozzoni dipinti e scintillanti. Ben vengano, se capaci di portarsi dietro l’arte vera. Probabilmente non più fine a se stessa, ma vera. Forse, nonostante si abiti da tempo nell’era del “tutto è concesso”, il pubblico ha ancora bisogno di direttive. Ha ancora bisogno di sapere quando valga la pena dedicare una settimana alla musica, e quando al cinema. Forse il carrozzone, con tutti i suoi personaggi-protagonisti, ha

IN ALTO AL CENTRO Alejandro González Iñárritu, miglior Film e Regia. A SINISTRA Migliore attrice protagonista Julianne Moore. A DESTRA Miglior attore Protagonista Eddie Redmayne. 39


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il ruolo di dirigere. Di indicare, di lanciare suggerimenti. Di regalare spunti, a chi abbia la sensibilità di coglierli, al di là dei riflettori. Forse il carrozzone va guardato con occhi indulgenti, più che assetati di sapere. Va guardato cercando di cogliere, tra le innumerevoli sfumature e chiaro-scuri, qualche briciolo di verità. Perché poi può accadere anche che un meccanismo così bene oliato, riesca a sorprendere se stesso. Uscendo da ogni tipo di schema e pronostico. Allora, se è stato guardato con gli occhi giusti, finisce per sorprendere anche chi si trova dall’altra parte dello schermo, magari in un altro continente. E magari riesce a far trapelare quale sia il senso della spasmodica attesa, delle nottate davanti alla tv, sperando che anche il resto del mondo, anche chi ha la reale competenza per farlo, riesca a decretare che il film più bello è davvero quello che ti ha fatto uscire dalla sala con una luce diversa negli occhi. Forse, di questi tempi, il ruolo dei festival è quello di legittimare le opinioni di un pubblico, dotato di troppa autonomia. E poca coscienza critica. O forse, il carrozzone è semplicemente fine a se stesso. Esiste, fine a se stesso. Per l’allegria dello scintillio e l’emozione dell’assegnazione dei premi. Forse è una macchina più semplice di ciò che si possa immaginare, e, nell’era del “tutto già visto, tutto già sentito e tutto concesso”, riesce ancora a regalare brevi momenti di piacevole ribellione allo schema. E, allora, magari, è meglio che restino in piedi questi carrozzoni allegorici. Espressione massima della caotica superficialità degli anni a cui appartengono. Luci e rumors durano qualche settimana, “bene o male, purché se ne parli”. “Con le regine, con i suoi re, il carrozzone va avanti da sé”. 40

Sarà Il Volo a tenere alta la bandiera italiana all’Eurovision Song Contest il 19 Maggio.

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al 19 al 23 maggio a Vienna si terrà l’Eurovision Song Contest 2015. Il Volo, gruppo vincitore di Sanremo, prenderà parte direttamente alla serata finale con la canzone Grande amore. In gara Austria, Germania, Regno Unito, Francia, Spagna, Australia insieme ad altri Paesi che dovranno affrontare le semifinali. Grande amore, canzone vincitrice del Festival, sta riscuotendo un grande successo all’estero per lo stile pop-lyric di Pio Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble. Il trio nato dal talent show della Clerici si appresta a rappresentare l’Italia all’Eurovision 2015, vinto lo scorso anno da Conchita Wurst. La vittoria comporterebbe per il nostro Paese il diritto di realizzare l’Eurovision Song Contest 2016. Sul palco della Weiner Stadthalle, l’Italia potrebbe riaffermare la qualità della propria arte canora di respiro internazionale grazie alla voglia di emergere dei tre vincitori della kermesse italiana e ora in gara in una manifestazione musicale nata nel 1956 e organizzata dall’Unione Europea di Radiodiffusione.

MILENA CANONERO nata a Torino e trapiantata a Los Angeles, è stata premiata per la quarta volta agli Oscar come migliore costumista, grazie al film Grand Budapest Hotel.


What Patricia Arquette got wrong at theOscars During her acceptance speech for the Academy Award for Best Supporting Actress, Boyhood’s Patricia Arquette drew uproarious applause with a plea for “equal rights for women in the United States of America.”

WRITTEN BY ERIN C. CASSESE WRITTEN BY TIFFANY D. BARNES WRITTEN BY REGINA P. BRANTON

Who is Patricia? Arquette was born in Chicago, Illinois, the daughter of Lewis Arquette, an actor, and Brenda Olivia “Mardi”, who was also involved in the arts. Arquette’s father was a convert from Catholicism to Islam; through him, Patricia is distantly related to explorer Meriwether Lewis. Arquette’s mother was Jewish (from a family that immigrated from Poland and Russia). As a child, her parents offered to get her braces for her teeth; but she refused, telling them she wanted to have flaws because it would help her with character acting.

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atricia Arquette’s Oscar acceptance speech and her follow-up comments backstage came under scrutiny for implicitly presenting equal pay as an issue for straight, white women. Critics argued that her call to action — “And it’s time for all the women in America and all the men that love women, and all the gay people, and all the people of color that we’ve all fought for to fight for us now” — cast the women’s movement as distinct from the gay rights and civil rights movements

and overlooked women at the intersection of multiple minority groups. “Intersectionality” research contends this invisibility of particular subgroups of women is a symptom of their disadvantage. When race and gender are treated as separate movements either implicitly or explicitly, this research argues, women of color fall through the cracks. When Arquette called on “people of color” to help “us” now, she implicitly placed many women outside of the “us” category. The data on the wage gap between men and wom41


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PATRICIA ARQUETTE AT THE OSCAR IN HOLLYWOOD You can’t ignore the intersection of gender and race. Patricia Arquette accepts the award for best actress in a supporting role for “Boyhood” at the Oscars on Sunday in Hollywood.

en illustrates what intersectionality researchers are talking about. The most well-known data point is that women earn about 77 cents on the dollar compared with men. But African American women and Latinas earn less: from 62 cents to 66 cents and 52 cents to 55 cents on the dollar respectively, compared with white men. The presentation of a single wage gap obscures both the magnitude and the origins of the problem, framing it as a function of gender and ignoring race. Our own research shows how both gender and race affect political thinking about these kinds of policy issues. In a 2012 survey, we conducted an experiment in which people were asked whether government should be doing more to address the wage gap. People were randomly assigned to answer one of three versions of the question: a version making no reference to race, a version mentioning the larger wage gap facing black women, and a version mentioning the larger wage gap facing Hispanic women. The results showed that references to black and Hispanic women activated racial attitudes and decreased policy support, relative to those who answered the question that made no mention of race. These results are consistent with research on similar policies. For instance, affirmative action policies enjoy more public support when white women are featured as the primary beneficiaries, and, in practice, these policies have contributed to greater gains for 42

white women relative to black and Hispanic women. In an interesting twist, our research revealed that the racialization of the wage gap and resulting decline in policy support occurred primarily among whites who self-identified as “moderate” or “liberal” but nevertheless expressed conservative views on race. Among whites who self-identified as conservative, support for government action on pay equity was low regardless of how the question was phrased. This pattern of results is found in public opinion toward other policy areas – for example, racially conservative liberals oppose race-targeted, but not class-targeted, scholarship programs. When

people express support for an issue like equal pay and cast it as a woman’s issue but not a racial issue — as Arquette did at the Oscars — it overlooks two things. One is the reality of economic stratification among women based on race and ethnicity. The other is the persistent racial tensions that exist even among liberals and, thus, within the Democratic party. Liberals are sometimes guilty of looking past race when race isn’t in the foreground of policy debate — even though minority women face larger wage gaps and higher rates of poverty. Failing to acknowledge these disparities at the intersection of gender and race keeps them underground.


Essere Amélie in giro per Pigalle Immaginare di essere nel corpo di Amelie Poulain in giro per Pigalle tra erotismo e cafè. Partire da Boulevard de Chily 72, salire in metro e rivivere, attraverso i suoi occhi, le clandestine notti francesi tra merletti, donne seducenti ed accondiscendenti, strade infiammate d’arte amorosa e sfumature parigine.

i Viaggi di Josy Monaco

MONTMARTRE tra guglie e pinnacoli. Un intreccio di moderno e antico in una Parigi che dà luce alle stelle nel firmamento di uno sfondo astrale, amplificatore del misterioso fascino della città.

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ono le dieci del mattino e si è su una scalinata di Montmartre. A Parigi da appena un giorno e già si desidera di non fare più ritorno a casa. Arrivati a metà dei gradini, con il fiatone, risulta naturale fermarsi a scattare qualche foto con una Reflex rimanendo colpiti da un lampione che sorride e che ispira: la foto sarà ad un papà per posta ordinaria restando anonimi. Ci si potrebbe servire volentieri di un nano da giardino ma lo ha già fatto Amélie Poulain ed è proprio con i suoi occhi che si è de-

ciso di visitare qualche insolito scorcio di Parigi. Tra i programmi della giornata c’è la visita al Museo dell’erotismo che si trova nei pressi di 72 Boulevard de Clichy 75018 PARIS. Non si ha la certezza di trovarlo aperto oppure no, ma in vacanza si ama vivere alla giornata senza orari stabiliti. Lo smartphone risulta un ottimo collaboratore nella ricerca di qualche informazione sul museo di interesse e si constata così che, per fortuna, è aperto perché l’orario è continuato tutti i giorni dalle 10,00 del mattino

fino alle 2,00 P.M. Si sale in métro per scendere alla fermata Blanche ou Pigalle. Uno sguardo e si resta caldamente colpiti da questo luogo insolito che si trova nel cuore di Pigalle (noto come quartiere a luci rosse) e che è totalmente votato e dedicato al sesso in tutte le sue forme artistiche, sacre e culturali. Alla biglietteria alla ricerca di informazioni: tariffa piena 10 euro, 14 euro a coppia e sconto studenti 6 euro. È andata, avere il libretto universitario nel marsupio da viaggio a volte serve: questo tour nel mondo dell’erotismo costerà meno di 10 euro! Un museo di sette piani organizzati sull’arte popolare dalla fine del XIX secolo fino al 1946 che ogni paese ha incentrato sull’universo del sesso con fotografie, disegni, sculture, dipinti e una sezione dedicata ai famigerati bordelli; nell’ammirare le maestose opere creativo-erotiche degli abitanti di Europa, Asia, America, Africa e Oceania, la fantasia vola e ci si chiede: chissà quante persone in questo preciso momento stanno avendo un orgasmo. Con il sorriso sotto i baffi si lascia il museo e, passando di fronte 43


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ad una buca per lettere, è automatico spedire l’ anonimo semaforo sorridente. Prima di svoltare l’angolo di Boulevard de Clichy, il mistero del luogo si respira nell’aria e non si può non fare un salto al Moulin Rouge; di sera ha tutto un altro fascino ma di giorno non è da meno soprattutto quest’anno che festeggia 125 anni. Dal sito web ufficiale si apprende che il Moulin Rouge nasce nel 1889 con spettacoli come Paris qui danse, Paris Cancan, Ouverture du Moulin Rouge, Les Caucauseries de la Butte. Costruito da Joseph Oller, proprietario dell’Olympia, fu inaugurato nel 1891 attirando folle di curiosi per via della forma ispirata ad un mulino rosso e per i peccaminosi spettacoli che andavano in scena al suo interno; nonostante tutto il Moulin Rouge ha catturato anche l’attenzione del ritrattista Henry de Toulouse-Laterc che molto amava assistere alle esibizioni di can-can una danza che nasce dall’usanza delle lavandaie di 44

LE PAZZE E SFARZOSE NOTTI AL MULINO ROSSO Il Moulin Rouge è il tempio del varietà che rinnova ancora oggi il suo mito. Luogo di scandali come baci offerti sul palco, nella storia si ricorda il bacio di Colette a Madame de Morny, o riecheggianti dei dipinti di Toulose-Lautrec raffiguranti ballerine come Jan Avril e La Goule. Edit Piaf, Yves Montand, Josephine Baker, Ginger Rogers, Lisa Minelli, Frank Sinatra hanno calcato le scene del Moulin Rouge entrando nel mito del cabaret più famoso del mondo. Monmartre di mostrare le proprie gonne in giro per il quartiere. Oggi il Moulin Rouge propone spettacoli dal sapore internazionale come Fréerie. La tentazione di entrare è davvero forte ma è preferibile tornarci di sera per assistere a qualche esibizione. Prossimo obiettivo ora è raggiungere il piccolo café-brasserie nei pressi di Rue Lepic ,zona che il celebre pittore Van Gogh era solito frequentare. Si entra nel Café e ci si fionda dietro il bancone per divertirsi ad osservare tutti i clienti; d’altra parte c’è un piccolo trambusto che fa tremare le pareti a causa dell’amore che sta scoppiando tra la vostra collega e un assiduo cliente. Meglio inventarsi un

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LA RICERCA PARIGINA Perdersi tra le strade soffusamente illuminate di Paris e ritrovarsi avvolti dai sensi. Tra bistrot, brasserie e cafè alla ricerca della memoria di artisti di un passato eternamente presente.

gioco e distribuire tanti bigliettini sui tavoli raccontando la storia e le origini della brasserie, così giusto per stuzzicare la fantasia e l’appetito dei clienti. Prima di distribuire le ordinazioni, fazzolettini di carta e penna alla mano! Punto primo: Differenza tra Bistrot, Brasserie e Cafè. Le brasserie in origine erano luoghi dove si beveva la birra e dopo la rivoluzione francese sono stati trasformati in ristoranti; i café sono invece noti perché in passato erano molto frequentati da artisti come Van Gogh e Monet e perché ancora oggi sono i contesti preferiti dai francesi per scambiare quattro chiacchiere o bere un caffè al volo. Il Bistrot, un piccolo

SVOLTANDO L’ANGOLO Pigalle, nel mistero di un rosso porpora ammaliante, svoltando l’angolo di Boulevard de Clichy per tornare indietro al 1889 tra accesi can can e spettacoli peccaminosi.

caffè che in origine corrispondeva ad una sorta di osteria. Probabilmente l’etimologia di Bistrot deriva da Bistraud o Bistroquet. Entrambi i termini erano utilizzati inizialmente dai commercianti di vino, si narra che fu anche pronunciato per indicare dei piccoli locali frequentati dai soldati russi (tra il 1814 e il 1818 c’è stata l’occupazione Russa) e che vi si rifugiavano chiedendo di consumare velocemente qualche bicchiere per sfuggire al controllo degli ufficiali. Essi quando si recavano in questi piccoli locali erano soliti annunciarsi con: Bouistro. Mentre i clienti apprendono con piacere l’insolita spiegazione, lo stupore pervade l’animo

per l’insolita scoperta della giornata: il cafè-brasserie che si sta osservando, con gli occhi e il corpo di Amélie Poulain, è il Café des deux Moulins, uno dei locali più famosi di Parigi. Questo café-brasserie il cui nome è ispirato al Moulin Rouge e al Moulin de La Gallette, dopo il rischio di chiudere definitivamente, è tornato allo splendore per essere stato il set del film “Il favoloso mondo di Amélie” (2001) girato da Pierre Jeunnet e interpretato dalla formidabile Audrey Tautou. Il giro per Pigalle tra erotismo e cafè, come in un meraviglioso universo parallelo e smaliziato, si conclude sorseggiando un caffè fumante e caldo come la sua strada. 45


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L’IDENTITÀ GOLOSA DI MILANO

Tra biodiversità e riciclo del cibo per un nutrimento dell’anima. MiCo ha ospitato l’undicesima edizione di Identità Golose per recuperare l’antico creando un’anima culinaria nuova. L’ego del cuoco è servito in maniera Sana e Intelligente.

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’è stato un periodo, non molto lontano, in cui l’ego del cuoco invadeva gli spazi delle grandi cucine, asservendo a se stesso la materia prima. L’alimento/elemento che sfidava destrutturava e ricostruiva. Oggi non è più così. Pare sia in atto una rivoluzione. Sia ben chiaro, l’ego del cuoco è sempre maestoso, gli alimenti sono ancora elementi con cui, come piccoli scienziati, si continua a giocare. Rivoluzionaria è invece l’identità restituita alle materie prime. Identità di nascita, residenza e stagionalità. Rivoluzionario è ancora l’avanguardistico sguardo al passato, non solo, e non tanto, ai piatti della tradizione, ma un ritorno a quell’innato e spontaneo rispetto del ciclo e riciclo dei fiori e dei frutti. “Recupero” è la parola chiave di questa rivoluzione in atto. La dilagante politica di “Austerity” che impazza nelle cucine di tutto il mondo è stata raccontata sui palchi del MiCo (Centro Congressi di Milano) che dall’8 al 10 febbraio di quest’anno, ha ospitato l’undicesima edizione di Identità Golose. Sana e Intelligente, come voluta dal Patron dell’evento Paolo Marchi, la nuova identità del

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cibo ha affascinato e affabulato gli astanti, stimolato la penna degli attenti giornalisti, spinto i protagonisti a nove sfide. Ma, cos’è Identità Golose? Identità Golose è il primo grande congresso di cucina e pasticceria d’autore nato in Italia. Definizione didascalica. Di chi ne legge, ma non ne sa. Definizione riduttiva. Identità Golose è una realtà, nata dalla mente, feconda e ingegnosa, di Paolo Marchi. Il Patron è un ex giornalista sportivo che nel tempo, e sempre più, ha preferito al fuori gioco, il fuori menù, al calcio mercato il mercato del pesce, e alla posizione a uovo di Vuarnet, l’uovo alla coque di Escoffier. Da sempre in giro per il mondo ad inseguire i grandi dello sport, ha conosciuto del mondo le sue diverse identità, che si esprimono attraverso la cucina. Testimone delle grandi rivoluzioni che hanno riscritto le grammatiche della gastronomia contemporanea, affascinato dai primi congressi di cucina d’autore, Paolo Marchi ha deciso di ripartire da qui. Dall’Italia, la sua patria. Da Milano, la sua casa. Mette in piedi, nel gennaio del 2005, un raccolto congresso al Palazzo Mezzanotte. “Avrà cadenza

inviata Francesca Spadaro


annuale”, dice. “Identità come capacità di un cuoco, di un pasticcere ed in futuro anche di un vignaiolo, di firmare il suo lavoro…” crede. Ma la resa supera l’attesa. La realtà supera l’immaginazione. Complice la virale pandemia che negli ultimi 15 anni ha fatto del cibo un fenomeno mediatico impressionante, il congresso si è conquistato il suo posto nel mondo. Mind Potitionig - Catalizzatore di occhi esperti, obiettivi, telecamere e canali multimediali, Identità Golose vanta, oggi, una “mind potitionig” enviable tra gli chef di ogni nazione e paese che inventano, creano e sperimentano. Sbagliano, sudano e riaggiustano quella ricetta, quel piatto, quell’intervento tout-court, da portare ogni anno sul palco. Ogni anno c’è un tema che domina e ispira l’evento. Quest’anno non è un piatto o un banale ingrediente che la fa da padrone. Ma l’espressione di un mondo che cambia, che ridisegna la sua direzione e che grida i suoi desideri, attraverso le voci che si fanno ascoltare. I media, i social e adesso gli chef. La deriva degli eccessi passati cerca redenzione. E così, affianco alle politiche di green economy e ai motori elettrici, si fa spazio una cucina di salvifica ambizione. Il 2015 è l’anno dell’Expo, e se Nutrire il Pianeta è il suo pay off, che sia nutrito in maniera Sana e Intelligente, suggerisce Identità Golose. L’opening di Pietro Leemann - Ad aprire il congresso nella Sala Auditorium è stato il misticismo di Pietro Leemann, chef e titolare del Joia di Milano, primo ristorante europeo vegetariano ad aver ricevuto una stella Michelin. La sua benedizione dell’acqua perplime, ma le sue parole incantano. Sempre più in linea con la filosofia del “siamo ciò che

PAOLO MARCHI milanese e classe 1955, è il patron di Identità Golose.

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mangiamo”, Leemann esorta al rispetto della terra e ad una cucina da lui definita “naturale”, perché «innaturale è l’assassinio di un animale e ancor più innaturale e dannoso, per noi e per la terra, è cibarsi di un animale assassinato». Paladino della biodiversità è invece Alain Ducasse. Elogia il lavoro dei piccoli produttori, garanti di eccellenza, e il ruolo che essi hanno affinché l’identità di ogni territorio sia rispettata. Ducasse inoltre riconosce il ruolo di opinion leader conquistato negli ultimi anni dagli chef, ed incoraggia i suoi colleghi a fare di questo fenomeno un’arma vincente: «lo chef deve portare il suo messaggio perché sa di essere ascoltato. Che sia allora un messaggio positivo, per favorire un’azione responsabile e di rispetto della terra, prima, e verso noi stessi, poi». A smorzare questa entrée accorata e quasi perentoria ci pensa il vulcanico brianzolo, Enrico Crippa. Precursore della imperante moda della “vegetal way”, Crippa festeggia i 10 anni del suo orto e di Piazza Duomo, il suo ristorante ad Alba, caldeggiando un compromesso tra ciò che il territorio offre, ciò che il cliente vuole e ciò che il cuoco vuole fare. Nonostante il nipponismo ingombrante, è il riciclo il tema pregnante. Dal salvataggio in extremis dei Daikon eccessivamente fermentati ai piatti da portata, realizzati da una cooperativa di Bologna con materiale di scarto. Senza sosta procedono le voci dei tanti altri chef, ognuno che porta un concetto. Ognuno sublima il pensiero in un piatto. Profumi, rispetto, sapori, no grassi: ognuno il suo slogan che echeggia in platea. Magnetico è il verbo di Davide Scabin che travolge e stravolge con la sua Sezione Aurea. E mentre racconta di piatti matematicamente perfetti, di Fibonacci e la sua serie, affida ad una pentola a pressione la cottura della sua Amatriciana. Piatto che, con l’80% d’acqua risparmiati diviene simbolo di 48

Identità Golose con i riflettori accesi sull’irrefrenabile ascesa del gusto all’estero

L’

ultima edizione di Identità Golose ha acceso, ancora una volta, i riflettori sui prodotti italiani, orgoglio e vanto del Belpaese, richiesti da sempre in tutto il mondo. Cina, Emirati Arabi e Russia sono i Paesi che maggiormente importano dall’Italia; vino, olio extravergine di oliva, formaggi, dolci, gli alimenti più richiesti. Il made in Italy spopola, il cibo italiano piace e gli stranieri fanno a gara per assaggiare le nostre specialità, diventate a tutti gli effetti beni di lusso; prodotti che, un tempo di nicchia, nati spesso da piccole realtà locali, sono diventati emblema della cucina vera, sana e pura. Di conseguenza vi è un ritorno al cibo semplice, alla naturalità e genuinità dei prodotti, sottolineando l’importanza degli alimenti a km 0, che passano direttamente dal produttore al consumatore senza intermediari, e inneggiando alla stagionalità, rispettando i cicli biologici, a favore della natura, del gusto e del portafogli. Un nuovo boom quindi della dieta mediterranea, dieta ambita da tutti coloro che desiderano mantenersi in salute senza rinunciare al gusto; un ritorno ai sani principi della tavola, alla qualità delle materie prime, al sano piacere del mangiare. Non a caso il tema dell’ultima edizione è stato “Una sana intelligenza”: mangiare con gusto sì, ma in maniera più consapevole, privilegiando i prodotti locali, le materie prime più umili, le composizioni di sapori più semplici. Senza però rinunciare al lato estetico del piatto perché, si sa, si mangia anche con gli occhi. Eleonora Baluci

IL GIUDICE CARLO CRACCO veneto, classe 1955, dopo essere stato allievo di Marchesi e Ducasse, ha ottenuto due stelle Michelin all’Enoteca Pinchiorri, prima di Peck a Milano.


IL GEOMETRA DAVIDE SCABIN

L’ISTRIONICO MASSIMO BOTTURA

Chef patron del Combal.zero a Rivoli, ha fatto della cucina eclettica ed intelligente il suo cavallo di battaglia.

Chef e proprietario dell’Osteria Francescana, ristorante con tre stelle Michelin a Modena, è considerato uno dei migliori chef al mondo.

una cucina oculata, del Km 0 e del made in Italy. Intenerisce la giovane Antonia Klugmann, che ama il suo Argine come il figlio più piccolo, che dal dietro le quinte del suo macellaio, recupera ciò che andrebbe buttato. E studia, lavora e poi serve “nervetti”, dalle ginocchia di manzo che nessuno vorrebbe. E poi lunedì. Dopo Cracco, l’austero, dopo Humm e Guidara (Chef e Maître di Eleven Madison Park e NoMad, NY), che con turni ritmici e parole danzanti elogiano, l’uno dell’altro, il lavoro importante, arriva Bottura, la star più acclamata. L’arte del recuperare - Sapiente incantatore e incantevole istrione, racconta di un cibo che è nutrimento dell’anima. “Food for Soul”, come il nome del suo progetto per Expo 2015: recuperare il cibo sprecato, recuperare un teatro antico in disuso e creare qualcosa di nuovo o forse, guadagnare qualcosa di vecchio. L’obiettivo è un refettorio per nutrire chi ha fame e ristorare, anche per un solo momento, non solo il corpo, ma l’anima, tutta. E guadagnato è anche il suo piatto: passatelli di bucce di tuberi. Certosino è il lavoro che dalle bucce, essiccate con estrazione verticale, ha portato alle farine e da queste al passatello. Da uno scarto a un piatto di pasta: un piatto guadagnato. Ma Identità Golose non è stata solo Auditorum e mostri sacri. Dovuto riconoscimento è stato dato alla sala. Si è parlato di dolci, e dal pane e la pasta ai cibi più estremi. Vetrina di prodotti eccellenti, di artigiani operosi, produttori instancabili, Identità Golose, ha celebrato l’Italia. Cercando, come fa da anni, di restituire dignità alla cultura gastronomica del nostro paese.

Why we never get fed up of our favourite restaurants Written by James Ramsden www.jamesramsden.com

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Published by The Guardian

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h, those fickle millennials and their inability to eat anywhere more than once, lest the intervening week has turned the hottest seat in town into the place your mum wants to go because that nice AA Gill liked it. It’s killing the restaurant industry. At least, that’s the cry that goes up every time one of the old guard is taken off the menu for good. It happened last month when Knightsbridge favourite Racine announced it had served its last steak tartare. Food television executive Melanie Jappy lamented: “Here’s a thought: how about going to good established restaurants once a week rather than chasing the new ones – then they might not close.” Guardian restaurant critic Marina O’Loughlin recited her mantra minted for just such an occasion: “Use ’em or lose ’em”. The message seems to be that if we don’t support established venues, their days are numbered. But a survey recently commissioned by the restaurant reservation app Uncover has found that for the majority of people, the opposite is true: 98% of us, apparently, are likely to revisit the same few restaurants repeatedly. A staggering 3.8 million people in this country are said to go to the same eatery every single time they dine out. This dinner-time deja vu is responsible for what is irritatingly being called – just by them, it seems – Repetitive Restaurant Disorder. While I’d quibble with some of the data in the survey (not least the fanciful claim that half of us return to the same place because we have the hots for the staff), this all u

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NUTRIRSI CON GLI OCCHI ARTICOLO DI ELEONORA BALUCI

Quando gli occhi gustano prima della bocca, un impiattamento diviene un’opera d’arte. L’aspettativa visiva crea interesse e desiderio di assaggiare, perché pregustare una pietanza è come una poesia: stimola la mente ed acuisce i sensi.

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ualcuno un giorno disse che “il più bel successo in cucina è riuscire a riempire lo stomaco con l’immaginazione”: mai frase fu più adatta al modo in cui sono cambiati usi e costumi in tavola negli ultimi anni, dal momento in cui l’arte del cucinare è stata spettacolarizzata in ogni forma e modo, dai programmi tv ai reality, dalle riviste patinate ai blog di cucina, e si è invasi, continuamente, da immagini di dolci perfetti e piatti abilmente composti da chef stellati. Nella società moderna, figlia del benessere economico e sociale, il pasto assume connotazioni diverse dal semplice nutrirsi; non ci si accontenta più, soprattutto nelle grandi occasioni - quali festività, ricorrenze, ospiti a cena - di servire un prodotto di qualità e buon sapore, senza che esso sia accompagnato, ed allo stesso tempo esaltato, da un impiattamento a regola d’arte. Decorazioni, ma anche accostamenti insoliti di forme, colori, ingredienti, diventano quindi protagonisti delle tavole, spinti, a volte, fino a forme di im-

piattamento estremo. La quantità di cibo passa in secondo piano, in quanto sfamare, perlomeno con la bocca, non è più l’obiettivo primario: i commensali vengono introdotti in un nuovo gioco, con nuove regole, in cui ci si nutre in primo luogo con gli occhi. Si abbattono le barriere tra dolce e salato, tra alimenti caldi e freddi, si ribaltano gli schemi classici e si sfruttano tutti e cinque i sensi per dar vita a creazioni spettacolari. Diventa fondamentale la scelta del piatto più adatto per servire ogni pietanza, selezionandolo tra una varietà praticamente infinita di forme e colori, si gioca con la disposizione dell’alimento, stratificando le pietanze ed accompagnandole con decorazioni, di ogni tipo e sorta, ma rigorosamente commestibili. Via libera quindi a fiori, erbe aromatiche, sale colorato, creme, salse e composte, verdure e frutti intagliati da mani sapienti: un semplice piatto può diventare una vera e propria opera d’arte, senza porre limiti alla fantasia. In questo nuovo gioco anche i colori assumono un ruolo primario: uno studio

L’ARCHITETTURA IN TAVOLA Il concetto di forma e simmetria è diventato uno dei punti focali della cucina moderna. Un fermento che ha stimolato anche lo studio giapponese Nendo, che ha dedicato alcuni suoi concept design alla cioccolata. 50


Why we never get fed up of our favourite restaurants

QUEL ‘PAZZO’ DI DUCASSE lo chef francese, 21 stelle Michelin in carriera, è considerato da molti il padre del moderno concetto di impiattamento. della Cornell University ha dimostrato che si mangia il 22% in più se le pietanze vengono servite in piatti di colore simile al cibo, mentre al contrario si tende a mangiare meno se tra i due vi è un netto contrasto cromatico. Inoltre da sempre si è portati ad associare i colori a stati d’animo, a sensazioni, ad emozioni, collegandoli anche con le esperienze: ad esempio il blu fa diminuire l’appetito, per un’associazione mentale dovuta alla quasi totalità di assenza di alimenti di questo colore in natura, il verde si associa alla natura e genuinità del piatto, il giallo all’acidità dell’alimento. A volte però la necessità di abbellire ed esaltare una pietanza viene portata all’estremo, arrivando a decorazioni ed

impiattamenti esagerati, in cui il cibo ormai non conta più, al punto che il piatto si potrebbe anche solo osservare, senza assaggiare nulla, per sentirsi sazi ed appagati. Ricette semplici diventano quindi fonte di ispirazione per opere d’arte, come le pietanze servite scomposte, destrutturate; gli stessi ingredienti di sempre, a volte banali, ma proposti separati, con una struttura differente, regalano libertà di scelta nella degustazione e possono aprire mondi diversi. Può considerarsi una forma di sistemazione degli alimenti nel piatto portata ad alti livelli, quasi al limite. Uno dei maggiori chef a praticare la cucina destrutturata è stato lo spagnolo Ferran Adrià, all’interno del suo famoso ristorante

u sounds more familiar, and more credible, than the theory that neophilia is causing the deaths of old restaurants. There is undoubtedly a fractional coterie of food geeks and buzz-feeders who make a point of hitting every new truck and soft launch in town, but this is a largely urban and relatively minute crowd. Their enthusiasm may help launch a restaurant, but it won’t kill another by displacement. The rest of us are, it seems, like Jack Nicholson in As Good As It Gets, trudging to the same restaurant time and again (though, granted, he does have the hots for the waitress). And yet I’m not sure this Repetitive Restaurant Disorder is much more than a bit of puff invented by PRs trying to flog an app. When it comes to eating out, familiarity breeds contentment. I’m one of those geeky food-truck chasers, and still go to the same pub more often than not – it does a fine roast and the landlord is the nicest man in London. Guardian wine critic Fiona Beckett heads to Bell’s Diner in Bristol a couple of times a month. “I’d go once a week if I was closer,” she says, for the “brilliant food, wine, and cocktails. It’s a great place to hang out with friends”. Norfolk’s self-styled pork-pie queen Sarah Pettegree loves the Anchor Inn in Morston, where “the food is unfailingly delicious, the staff are young, friendly and interested, and it’s just stylish enough to make us feel like we’re doing something a bit special”. If these two restaurants go about their cooking in a relatively serious way, that certainly isn’t a prerequisite for the regular haunt. Guardian writer Stuart Heritage has a confession: u

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El Bulli, chiuso nel 2012. La particolarità di tale locale era la chiusura per diversi mesi l’anno per permettere di compiere ricerche sui piatti, sulla loro preparazione e il loro impiattamento. Adrià nel suo Manifesto scriverà: “La cucina è un linguaggio mediante il quale si può esprimere armonia, creatività, felicità, bellezza, poesia, complessità, magia, humour, provocazione”. Frase emblematica non solo della sua cucina ma dei cambiamenti della società. L’arte del piatto - L’impiattamento estremo non è però una novità degli ultimi decenni, periodo in cui si è riscoperto il piacere di mangiare non solo con la bocca ma anche con gli occhi. Da secoli la cucina giapponese trasforma il momento del pasto in vera e propria arte, facendo entrare in intimo contatto il commensale con il cibo servito. La cucina Kaiseki (derivazione della cucina zen) si basa proprio su questo principio: un banchetto costituito da numerose portate, frugali nella quantità, servite ognuna in un piatto diverso. Ogni piatto è perfettamente in armonia con gli alimenti che contiene, ogni pietanza si accosta ed armonizza con quelle che la precedono e la seguono, in un connubio perfetto di aromi, odori, colori e forme; i piatti vengono inoltre abbelliti con fiori e frutti, rigorosamente di stagione, abbinando ad essi stoviglie ed utensili. Nella cucina occidentale invece la pratica di trasformare l’impiattamento in una forma d’arte nasce nel Medioevo, spinti dal bisogno di esaltare il sapore e l’aspetto delle pietanze. Nei banchetti delle corti dei nobili e delle dinastie reali spuntarono quindi foglie d’oro come guarnizione e, allo stesso tempo, simbolo di ricchezza, ma anche piume di pavone, pellicce di animali: la scenografia dei piatti, portata 52

FERRAN ADRIÀ ACOSTA cuoco spagnolo, classe 1962, è uno dei personaggi più controversi della gastronomia moderna, padre del piatto destrutturato, è criticato per l’uso di additivi.

Why we never get fed up of our favourite restaurants u “I have a horrible feeling that I’ll lose my job for this, but I’ve got an enormous soft spot for Frankie and Benny’s. Going for a fancy meal after a film would be weird now. I want a Black and Blue burger and a pudding that hasn’t been defrosted properly. When Claridge’s offer that, we’ll talk.” Food blogger Danny Kingston is a Giraffe fan. “The kids love it, mainly because of the plastic giraffes they get with their drinks, so we go there a lot. And actually the food is quite good – a strange mishmash, maybe, but it’s always tasty and reasonable. To be honest, though, the plastic giraffes seal the deal”. When I was growing up in Ripon, Yorkshire, Valentino’s was – despite there being other options – the place my parents would take us nine times out of 10. The food was middling at best, and we were usually the only people in there, but as kids we loved it and the staff were patient with our greedy cavorting. Perhaps, in fact, new restaurants need the often-derided stampede of bloggers and Instagrammers to give them a fighting chance. Without the froth generated by them and the largely better-informed critics, who’s going to take a punt on that new Iberian barbecue in a railway arch? Most folk, after all, know what they like and like what they know. We prefer not to risk our money and our time on an unknown quantity when the known quantity does a good steak. And when you fancy the waiter. What restaurant do you visit most frequently and why?


BROCHETTE DE POULPE ET ENCORNET un impiattamento capace di esaltare le forme, i colori e le simmetrie inventato dal famoso chef Alain Ducasse (ph. Thomas Dhellemmes) all’estremo in termini di sontuosità ed ingredienti rari, diventò veicolo della potenza del padrone di casa, ostentazione del suo rango. Dopo il periodo medioevale bisognerà poi attendere molti anni, fino agli inizi del XIX secolo, per ritrovare un connubio arte-cibo, grazie ad uno dei più celebri chef francesi, Antonin Careme. Grazie al “re dei cuochi e cuoco dei re”, così come fu definito, l’impiattamento delle pietanze si fuse con l’architettura, dando vita con il cibo a grandiose forme verticali, cascate, piramidi, riproduzioni di monumenti famosi. Nuovamente una forma estrema di presentazione degli alimenti, nuovamente in primo piano il concetto visivo di qualità degli ingredienti. I nuovi utensili - Frutto del cambiamento avvenuto negli ultimi anni degli usi e costumi in tavola è anche la nascita, e il conseguente utilizzo massiccio, non più solo nelle cucine dei ristoranti, di utensili adatti ad ogni scopo, dal cucinare, al decorare, al servire. Le cucine moderne si arricchiscono quindi di oggetti, professionali e non, talora dalla dubbia utilità, per far risparmiare

tempo in cucina e dar vita a pietanze particolari. Nascono quindi mestoli per ogni varietà di pasta, grattuggie per ricavare scaglie di ogni grandezza, lame per intagliare nei più svariati modi, attrezzi per pulire, spellare, snocciolare, schiacciare praticamente ogni alimento, stampi per ogni dolce; in cucina non si vuole perdere più tempo, non sono più ammessi sbagli, non ci si vuole più sporcare le mani. Forse questi uten-

sili definiti “indispensabili” possono semplificare il lavoro agli chef, forse possono contribuire alla bellezza di un piatto, ma rischiano di far perdere il piacere di cucinare, il piacere di un taglio imperfetto, di una pasta sfoglia tirata a mano, di una ciliegia da gustare con il nocciolo. La ricerca ad ogni costo del perfetto senso estetico, il raggiungimento del connubio perfetto cibo-arte è sempre un bene? Il rischio è che la cucina troppo scenografica possa far perdere di vista i prodotti stessi e le loro tipicità, che la ricerca della perfezione nella presentazione del piatto possa andare a scapito della qualità delle materie prime e delle tecniche di preparazione e cottura stesse. Non si deve dimenticare che ogni pietanza portata in tavola è frutto di lavoro da parte di agricoltori, pescatori, allevatori, senza il quale non esisterebbero le materie prime atte a preparare tali prelibatezze. Soprattutto in un Paese come l’Italia, patria della cultura gastronomica e culla di alimenti pregiati, non si dovrebbe perdere di vista la vera essenza della cucina, l’origine dei prodotti più semplici che hanno però una storia da raccontare, che portano con sè delle tradizioni. Perchè si può gustare con gli occhi sì, ma si mangia innanzitutto con la gola.

MASSIMO BOTTURA impegnato assieme un suo assistente nell’operazione dell’impiattamento. 53


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OPERE D’ARTE MESSE IN TAVOLA 1) Achille Pinna - Pesce spada affumicato (ph. Pietro Pio Pitzalis) 54

2) Mauro Uliassi - Gambero, basilico e melone (ph. Giovanni Ghiandoni)


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3) Mauro Uliassi - Mozzarella di Pian del Medico (ph. Giovanni Ghiandoni)

4) Francesco Apreda - Raviolo e polipetti affogati (ph. Giovanni Ghiandoni) 55


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5) Andrea Berton - Il giardino arancione (ph. Cristian Parravicini) 56

6) Claudio Petrolo - BaccalĂ morro in oliocottura (ph. Marcello Serra)


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7) Andrea Berton - Due giri di glassa dolce (ph. Cristian Parravicini)

8) Claudio Petrolo - Nero con chips di patate viola (ph. Marcello Serra) 57


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9) Achille Pinna - La pasta va al mare (ph. Pietro Pio Pitzalis) 58

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10) Nello Cassese - Le geometrie del secondo (ph. Lido Vannucchi)


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10) Roberto Petza - Mattonela di carciofi e prosiutto (ph. Pietro Pio Pitzalis)

11) Heinz Beck - Spaghetti al verde e giallo (ph. Bob Noto) 59


!MPATTO - TECNOLOGIA N.4 | 3 Marzo 2015

BITS N’ CHIPS

L’ANTITRUST

L’americana Qualcomm si piega alle leggi antitrust cinesi IL LANCIO

Microsoft rilascia la preview di Windows 10 per alcuni Lumia Microsoft ha rilasciato una versione preview (non ancora definitiva, quindi) di Windows 10, installabile sui seguenti modelli di smartphone Lumia: 630, 635, 636, 638, 730 e 830. Le principali novità di questa nuova versione sono: immagine a schermo intero per l’interfaccia Start, un numero maggiore di Quick Action presenti nell’Action Center, notifiche interattive e tramite pop-up, modalità text-tospeech decisamente migliorata e potenziata, app foto rinnovata e migliorata. Per installare la preview di Windows 10 è necessario registrarsi al programma “Windows Insider” e scaricare l’applicazione dello Store che provvederà a scaricare il sistema operativo e ad installarlo. Nel caso Windows 10 dovesse risultare non stabile, o non dovesse piacere, sarà possibile tornare alla versione precedentemente installate sullo smartphone senza problemi.

La statunitense Qualcomm, pur di non perdere il gigantesco mercato cinese, ha deciso di accondiscendere alle richieste dell’antitrust locale. Accusata di posizione dominante riguardo le tecnologie LTE, Qualcomm è stata costretta ad abbassare i costi di licenza dei propri brevetti di un terzo per le aziende locali produttrici di SoC, ed allo stesso tempo a pagare una salatissima multa pari a 975 milioni di dollari. Questo “ricatto” da parte del governo cinese, andato in porto, sta però convincendo altre nazioni ad intraprendere azioni simili. Il governo della Corea del Sud, sotto pressioni di Samsung ed LG, entrambe impegnate nella realizzazione di SoC proprietari, ha deciso di chiedere a Qualcomm il medesimo trattamento commerciale, forte di una semplice constatazione: se i cinesi possono pagare così poco le licenze, perché le aziende coreane devono acquistarle al vecchio prezzo? Una situazione spinosa per Qualcomm, la quale potrebbe vedere diminuire notevolmente i propri introiti, derivanti dalla vendita delle licenze delle tecnologie sviluppate in casa attraverso l’esborso di notevoli cifre per i reparti di Ricerca & Sviluppo.

ARM presenta i nuovi core ad alte prestazioni ARM ha presentato i core ad alte prestazioni Cortex-A72 (architettura ARMv8A), i quali andranno a sopravanzare, ma non a sostituire, i core Cortex-A57 (architettura ARMv8). Queesti core sono stati studiati non solo per offrire un discreto boost prestazionale rispetto ai core precedenti, ma anche per scalare meglio di frequenza (arrivando

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fino a 2,5 GHz) con i nuovi processi produttivi a 14nm e 16nm FinFET che saranno attivi tra qualche mese. I primi SoC dotati di Cortex-A72 sono attesi per i primi mesi del 2016, ed ARM offre in accoppiata con questi le nuove GPU Mali-T880, caratterizzate dalla piena compatibilità, tra l’altro, con le librerie grafiche di Microsoft DirectX 11.


NEL PROSSIMO NUMERO Magazine 5 - 9 Marzo 2014 - Anno II

L’individuo moderno alla ricerca della propria identità: “Who are you?” “He never gave me a name…”

La crescita dell’India Nel corso delle ultime settimane gli economisti di Goldman Sachs, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale avevano previsto che l’economia indiana sarebbe cresciuta leggermente di più rispetto a quella cinese nel giro di un anno o due. Il momento è giunto prima di quanto avessero predetto. Secondo i dati recentemente diffusi, il PIL indiano è cresciuto del 7,5% rispetto all’anno precedente nel quarto trimestre del 2014, due decimi in più di quello cinese. Intanto in Cina si investe nell’istruzione facendo studiare i propri figli in America.

L’Isola d’Elba- Illva dal nome latino dell’Isola d’Elba, meta di turismo e perla dell’Arcipelago Toscano, ma nome anche della principale industria siderurgica italiana, scelto in base al fatto che i primi altiforni venivano alimentati con il ferro estratto proprio dall’Isola d’Elba, diventato tristemente famoso.

Al pari di Frankestein, nato dalla penna di Mary Shelley circa due secoli fa, anche l’uomo di oggi non è del tutto in grado di rispondere ad una domanda all’apparenza tanto semplice e banale quanto: “chi sei?” Chi siamo? Se lo chiedeva anche Paul Gauguin, che, nel 1897, intitolò una sua tela proprio “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, riprendendo quelle che possono considerarsi le domande esistenziali di ognuno di noi. Chi sono? è la domanda che ci assilla tutta una vita, alla quale difficilmente riusciamo a dare una risposta. O, per lo meno, una risposta sola. Perché a nessuno di noi corrisponde una sola identità. Siamo tutti “Uno, nessuno e centomila”, come sosteneva Pirandello, mandando in crisi un suo personaggio per un naso storto. In ognuno di noi risiedono diverse identità, diversi concetti con cui gli altri si riferiscono e noi ci riferiamo a noi stessi: siamo i figli di, i fratelli o le sorelle di, le mogli, i mariti, i genitori di, gli amici di… e questi mille volti sono tante piccole tessere dell’immenso mosaico che, in fondo, chi più chi meno, tutti noi siamo.

L’ITALIA DELLE STRAGI IMPUNITE

Eternit ed eternità Aeternitas come eternità, che rimanda a un’idea di pace, dal cui nome deriva quasi, per una dolorosa beffa, quello del Eternit, materiale da costruzione brevettato dall’azienda omonima che, in un contrappasso col concetto di eternità, ha tranciato improvvisamente le vite di moltissimi operai e cambiato per sempre quelle delle loro famiglie. 61


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