Impatto Mag - ISSUE #1

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I

l tempo scorre? No. Il tempo si ferma. Si ferma di colpo come l’aria che ti blocca il respiro e non viene su. Si ferma quando avverti un dolore ed il corpo parla, reagisce. Una stretta allo stomaco. Una dolce e triste malinconia per un amico che non hai mai conosciuto. Per una persona che ti risulta familiare. In quell’attimo, il tempo si ferma e torna indietro. In un vortice vorticoso di ricordi e la mente macina, ritorna a te. Ai tuoi occhi, alla tua bocca, alla tua Africa. Al tuo mare alle quattro di notte in mezzo al pane. Si ferma il tempo e tu “nun ride ‘cchiù” aspettando che piova. Che una pioggia possa bagnare la terra tua in cui si erra. In cui ci si perde, in cui si sbaglia ma è la tua terra! Una Terra “piena e libertà”. Ora la senti quella libertà, vero? La paura della morte ti ha lasciato. È fatta! Sei andato libero. Con la tua voce, con i vibrati di un’anima. La tua. Anima partenopea.

I

l tempo si ferma e torna indietro. Nel buio di occhi chiusi, di corde di una chitarra che iniziano a strimpellare pian piano fino a creare una magia, penetrano dentro, in un luogo interiore non definito ma che non è materiale, fino a coinvolgere e il corpo ne è pervaso. Il corpo la sente sulla pelle la vibrazione delle tue corde, della tua voce sottile. Poi arrivano le parole. Dopo. E cade il silenzio attorno. Tutto attorno è silenzio. Null’altro esiste. Un’alienazione. C’è solo la musica. Una voce. Un ritmo. Sei catapultato in un altrove creativo, in un altrove in cui si ritrova l’essenza dell’uomo. Quell’essenza che spinge a cercare un dio nella storia, nelle religioni, nell’arte, nella musica. Per andare oltre il corpo e rendersi eterni. Parte uno swing,un blues, un’anima profonda. Un’anima sempre agli angoli. Riservata, umile, vera. Carica di quella verità ormai perduta e rara. Un’anima da Dio.


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!MPATTO - Sommario N.1 | 6 Gennaio 2015

CONTENUTI

Mangia Prega Ama

Revolución y Cuba Libre Il fumo di un Cohiba scrive nell’aria il mito disordinato e folle di un terra che ha il sapore della libertà. Accarezzata dal mare, baciata dalle verdi spianate, toccata da tutti, posseduta da nessuno. Cuba desiderata e temuta. Cuba calpestata e combattuta. La Terra dell’inganno, dell’incanto e disinganno.

27.

7. The Interview 3

Se a crollare sono le strategie fantocce di un caso spettacolarmente internazionale, lo spettatore si siede, osserva e si diverte. Ma dopo le contestazioni e gli attacchi hacker, l’applauso finale non è di certo assicurato.

25.


Chiudere la forbice

61.

Per l’OCSE un’ampia forbice tra richezza e povertà rallenta l’economia reale di una nazione.

!MPATTO magazine di approfondimento

www.impattomagazine.it info@impattomagazine.it

Direttore Responsabile

Electric 43. No Green

Emanuela Guarnieri Responsabile Editoriale Guglielmo Pulcini Contributi Anna Annunziata Giorgia Mangiapia Marina Finaldi Flavio Di Fusco Pierluigi Patacca Gennaro Battista Marco Tregua Liliana Squillacciotti Eleonora Baluci Valerio Varchetta

Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro. Nella Napoli del boom economico. Sogni ad una finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per un lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

Josy Monaco Armando De Martino Grafica Ennio Grilletto Vittoria Fiorito

67.

Colpi di tosse

À la recherche du temps perdu

49.

Edito da Gruppo Editoriale Impatto IT 07802041215 gruppo.impattomagazine.it gruppo@impattomagazine.it Coordinamento Pulseo IT 07369271213 www.pulseo.biz info@pulseo.biz Testata Registrata presso il tribunale di Napoli con decreto presidenziale numero 22 del 2 Aprile 2014. Le foto presenti su Impatto Mag sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, lo possono segnalare alla redazione (tramite e-mail: info@ impattomagazine.it) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.

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Revolución y Cuba Libre di Emanuela Guarnieri Il fumo di un Cohiba scrive nell’aria il mito disordinato e folle di un terra che ha il sapore della libertà. Accarezzata dal mare, baciata dalle verdi spianate, toccata da tutti, posseduta da nessuno. Cuba desiderata e temuta. Cuba calpestata e combattuta. La Terra dell’inganno, dell’incanto e disinganno.

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C’

è un profumo inebriante, che dall’Africa alle Ande ti racconta di tabacco e caffè”: Daniele Silvestri canta con una voce mai banale la sua Cohiba e nel frattempo da quei cerchi di fumo sembra emergere una favola di lotte, di agguati in mimetica, di barbe folte e di pugni alzati. Non è interessante parlare di rivoluzione, né di embarghi imposti e poi annullati. Lo fanno e lo hanno fatto già in troppi. Interessante è parlare di mito. Non di quello ridotto a maglietta nera e rossa, o a bandiera rossa e nera. Neanche di quello che oggi porta centinaia di persone a chiamarsi “compagni” quando non sono neanche fratelli. Il mito è l’essenza. Il mito è musica, è case colorate, è santería cubana. Il mito è Dioniso. Il mito è quasi sempre ubriaco e confuso. I Cohiba sono i sigari più contraffatti del mercato almeno quanto Cuba la più banalizzata del panorama geopolitico. u

Su un tappeto rosso velluto Stili diversi, coloniali, che sanno di passato e l’incerta compagnia della notte. Così accattivante e pericolosa. Finestre da cui spiare vite che passano. Su un tappeto rosso. (Ph. Dave Rodden - 2011)

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Fotografati tra le labbra di Fidel Castro ed Ernesto Guevara hanno fatto il giro del mondo, gigantografie in bianco e nero della revolucíón. Eppure erano già gli anni ’50. Cuba, mitica, in fondo, lo era già. Quando gli spagnoli arrivarono sull’isola, appena nel 1492, quegli indigeni circondati da un mare cristallino sembrarono avere troppe anime per un solo governo imposto, per una sola religione indotta, per una sola lingua da parlare. Obbligati alla religione cristiana e a lasciare da parte la loro fede tradizionale e politeista, gli oriundi nascosero dietro l’iconografia del cattolicesimo i loro Dei, per adorarli

in libertà, senza rinnegarli, al massimo ribattezzandoli. Elegguà, Yemayà, Changò diventarono quindi rispettivamente Sant’Antonio, la vergine Maria e Santa Barbara. Un paese pronto a reinventarsi, fin dalle origini. Chi non sa reinventarsi, è ovvio, la rivoluzione non la farà mai.

L

a stessa, piccola isola, creò tanti problemi alla Spagna del 1898: proprio così si chiamava la generazione di intellettuali spagnoli, Generazione del ’98. L’anno in cui la Spagna perse le sue ultime colonie d’oltremare

nella guerra ispano-americana: Cuba, Puerto Rico e Filippine. “Me duele España”, diceva Miguel de Unamuno: certo, aveva perso Cuba. Aveva perso il mito. E poi i missili, nel ’61, puntati verso l’America nella guerra più fredda nonostante fosse aprile. Un anno dopo, l’embargo. Cinquantadue anni di bloqueo. Oggi Barak Obama ha proposto di rimuoverlo. Fine del mito? O nuovo tentativo di controllo? “Ma in fondo, io sospetto, che l’America, l’America ha paura. Altrimenti non si spiega come faccia, a vedere in uno stato in miniatura, questa orribile minaccia”.

Vorticosa la lenta vita Gente che va e gente che viene. Nel tram tram quotidiano, una foto coglie un istante e il vortice del movimento viene fermato per un attimo. (Ph. Paolo Pellegrin - 2012)

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Il confine col paradiso Cuba, irruente come un’onda, travolge le anime che la abitano. In un cielo che l’abbraccia e case colorate che la invitano a sedersi, fumare un sigaro e ridere di pancia. (Ph. Paolo Pellegrin - 2012)

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Tra ali spiegate La libertà è eterea. Si dispiega al di sopra delle teste, degli abiti da festa, dei bambini che corrono scalzi. La libertà è la passione che si cela dietro un tramonto, oltre i palazzi, in riva al mare. (Ph. Judith Bonderman - 2012)

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Blowin’ in the wind Nel vento i lembi di un lenzuolo. Nel vento i pensieri e le miserie. Nel vento le facili gioie cubane e il fumo dei sigari. Nel vento per tornare col vento. (Ph. Giancarlo Ceraudo - 2014)

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Il potere e l’istituzione Reinventarsi, cambiare, trasformarsi mentre le radici son radicate e salde a terra. Nella terra di una Cuba dai colori cobalto e dalle partenze veloci. (Ph. Giancarlo Ceraudo - 2014)

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!MPATTO - Culture N.1 | 6 Gennaio 2015

u u u

Let the

skyfall

We will

stand talL At

skyfall

S

Seduti in una sala cinematografica. Le luci calano e scende il silenzio. Partono le note di The living daylights. Atmosfera intrigante. Nella mente: luci fluo, immagini scattanti, velocità, passaggi veloci e casi only for your eyes si mescolano al ritmo di Mission impossibile. Un mash up per inseguimenti, misteri e location favolose, spionaggi e guerre hacker. Gli USA, la Corea. Gli attacchi e le rappresaglie. Le minacce di attentati e le polemiche internazionali. La pellicola in questione non trasmette un film di 007. Non c’è James Bond né il fascino misterioso delle belle donne alla Ursula Andress. Seduti in sala si assiste alla preparazione e al lancio di un film sospeso tra blocchi e via libera. The Interview. Un film satirico e a tratti demenziale diventa un caso. Prima ancora dell’uscita. Prima ancora di poter davvero capirne il valore e lo spessore. Come in un film di 007, gli intrecci della storia e le macchinazioni per l’uscita del film girano intorno ai servizi online di Xbox e Playstation, prodotti dalla Sony e da Microsoft, che u 21


Protagonista e regista L’eclettico e il poliedrico: Seth Rogen. Attore, sceneggiatore, produttore cinematografico e doppiatore. Protagonista ed anche regista del film e caso mediatico internazionale

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u restano disabilitati per

ore. Il blocco viene riferito dalla BBC. Le reti vengono attaccate dal gruppo hacker Lizard Squad che aveva già minacciato a inizio dicembre un attacco hacker. La Corea è indignata per l’aggressività e l’affronto scandaloso, presente nel film, nei confronti della guida suprema della Repubblica democratica popolare di Corea. Pyongyang e il suo regime colpiti dalla trama e nella trama del film. Un film che istiga al terrorismo per la Commissione nazionale di difesa. Un film uscito in trecentoventi sale americane a fronte delle tremila sale previste e da dicembre disponibile online. Un film che ha scatenato polemiche e offese per Barack Obama definito una “scimmia nella giungla” perché non ha permesso l’annullamento della pellicola nel rispetto della libertà di espressione. Obama come primo colpevole perché ha spinto la “Sony Pictures Entertainment a distribuire indiscriminatamente il film” negli Usa.

G

li attacchi hacker - Dopo i primi attacchi hacker e le minacce di attentati ricevuti, la produttrice Sony e la distributrice Columbia avevano pensato di ritirare la pellicola ma proprio la Casa Bianca aveva obiettato. Così, sprezzanti del pericolo, nelle sale cinematografiche ecco comparire il film di Seth Rogen e Evan Golderg. Nonostante il cyber attacco della Corea del Nord, si può assistere alla storia di un giornalista americano, James Franco, e del suo produttore, Seth 23


u u u

Nonostante il cyber attacco si può assistere alla storia di un giornalista, inviati dalla Cia con la scusa di un’intervista ma col compito ben preciso di assassinare il leader coreano Kim Jon-un. Rogen, inviati dalla Cia con la scusa di un’intervista ma col compito ben preciso di assassinare il leader coreano Kim Jon-un. Successo assicurato per le polemiche che lo hanno investito e la curiosità che hanno scatenato. The interview: un’intervista per cambiare la vita. Per passare dal gossip e dal programma d’intrattenimento all’intervista di qualità. Un’intervista per un salto professionale e personale. Peccato sia tutto una finzione. Peccato sia solo un modo per coinvolgere e travolgere, fino a sconvolgere, giornalista e produttore. Non più interviste in

cui il massimo della verità e del clamore sia l’outing del personaggio famoso di turno sulla sua calvizie acuta e sull’uso del parrucchino. Ma un’intervista ad un capo di Stato. E così tra parodie e retorica militare, tra iperboli e cadute apocalittiche nella demenzialità, si susseguono gag fino al momento topico del film: l’intervista. I caratteri dei due personaggi vengono ben marcati nei loro ruoli: l’intelligente ambizioso e goffo Rogen e l’inconsapevole e ingenuo imbecille Franco. La scorrettezza politica è insita nelle battute di Franco. Il

film oscilla e cade nel cattivo gusto perché si è immersi in un’atmosfera adolescenziale creata dai due protagonisti immaturi, ancora immersi in un’età mentale puerile. I ritmi alla James Bond ci sono. Il fascino è inesistente. The interview si vedrà perché tutti ne parlano? Perché ha scatenato un putiferio? I casi only for your eyes sono usciti dalla pellicola e diventati reali. Perché tra Cia, Casa Bianca, Corea del Nord, la dittatura versus la democrazia e la politica internazionale, l’intrigo prende quota. Affascina. Come spesso accade, le aspettative sono state troppo elevate rispetto al prodotto. E così da sette americani, il film è stato definito “culturalmente insensibile” perché non rappresenterebbe il cinema di Hollywood né il classico spirito americano. Mancante di spessore e consapevolezza. Mentre il pubblico considera la pellicola per quello che è, un film satirico che lascia il tempo che trova, le polemiche tra gli alti vertici continuano. La Russia appoggia la Corea del Nord. Considera il film violento psicologicamente e il portavoce del ministero degli Esteri, Alexandre Loukachevitch dichiara che la Russia “è preoccupata dalla nuova escalation di tensioni tra Stati Uniti e Corea del Nord”. Le preoccupazioni continuano mentre l’incasso del film nel solo week end di Natale è lievitato a venti milioni. The Interview conta non solo sulla proiezione cinematografica ma anche sul lancio in Vod (Video on demand), su You tube, Google Play, Microsoft Xbox Video e il sito creato u 24


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u all’occorrenza,

www.seetheinterview.com. Senza alcun clamore, tra video illegali e non, The Interview è stato, naturalmente, il film più visto di Natale superando anche Guardiani della galassia e Maze Runner. Un commercio ed un affare combattuto tra Apple e Amazon, Sony e Microsoft. Così come continua la lotta tra gli hacker: Lizard Squad contro Guardian of peace. I secondi in difesa di Pyongyang mentre i primi hanno accettato l’offerta di Kim Dotcom di voucher vitalizi su Mega e hanno sospeso le minacce. Altro vero inter-

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esse nei confronti del film che scatena colpi di scena è rappresentato dagli stipendi dei due attori. Il film è costato 44 milioni di dollari. Seth ha intascato 8,4 milioni e James circa 6,5. Soldi spesi in nome dell’arte? Soldi spesi per un film dal pessimo coreano, dalle situazioni irrealistiche, dall’assenza di un dramma vero e proprio e dal divertimento oscillante. The Interview non è altro che un prodotto ben incartato. La suspense iniziale, le critiche, le polemiche e gli attacchi hacker hanno determinato la corsa al botteghino. È il tipico prodotto

della società moderna. Scadente, facilmente cestinabile. Godereccio e superficiale quanto basta per farsi vedere. Il controverso film non fa paura. È innocuo. Vederlo significa sedersi e aspettare le nuove ripercussioni dopo la sua uscita a livello politico mondiale?

B

ugie per vivere La rappresaglia USA agli attacchi nord coreani nei confronti della Sony ha aperto la strada all’uscita del film. Un film che racchiude la sua veridicità in uno scambio di battute tra il presentatore


Un trio esilarante Un trio esilarante per battute scoppiettanti. Mentre imperversa una guerra al blocco tra hacker, loro se la ridono di gusto.

e il suddetto attore dotato di parrucchino:“Lo sai, si dice che gli attori raccontino bugie per vivere. Ma questo è vivere una bugia.” [indicando i suoi presunti capelli] “Ok, Rob. Quando sei pronto”. Aria di tensione in attesa di una rivelazione all’interno di uno studio televisivo. Si sfila il parrucchino. Mette in mostra il suo cuoio capelluto liscio come il sedere di un bambino (il termine Butthole è una costante del film. Scivola, ritorna e risuona ridondante tra un’azione da agente 007 e l’altra). Sguardi sconvolti ed emotivamente coinvolti tra il pubblico e il

presentatore per la rivelata verità. Per la maschera calata e il vero volto senza segreti dell’attore. Nella fiera della banalità e della superficialità in cui l’apparire determina l’essere. The Interview è questo: una bugia. Una bugia superficiale, bonaria. Una bugia per diffondere un film. Una bugia per dare significato ad una strategia racchiusa in un caso internazionale. Questione di business. Questione di sapersi vendere, farsi notare. Questione di astuzie e giochi da strateghi. Nell’epoca della strategia digitale e nella convinzione di poter davvero condizion-

are il pensiero delle persone. Fino ad un certo punto. Il filo sottile tra condizionamento e assoggettamento per fortuna esiste. Si pagherà per vedere il film. Il botteghino urlerà di gioia. Gli incassi daranno ragione al business. Essere ricordati per una qualità è ben altra cosa. Essere apprezzati poi non ha prezzo. La strategia può vincere nei giochi a breve termine. La sostanza non ha bisogno di tessere reti. Arriva e resta impressa come le note di Skyfall di Adele per un 007 cinematografico più vero di un fantoccio caso internazionale. 26


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La tavola e il ringraziamento La prima forma di energia è il cibo. La sostanza primaria e imprescindibile per qualsiasi essere vivente. Dalla potenza all’atto aristotelico si giunge attraverso ciò che di più naturale possa esistere. Sedersi, condividere e rendere grazie per quello che ci nutre sarebbe un gesto da ritrovare. Insieme e nella sacralità di un momento di convivio.

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C

oroni l’anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stilla l’abbondanza. Stillano i pascoli del deserto e le colline si cingono di esultanza. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano. Tutto canta e grida di gioia”. Il cibo è sostanza, nutrizione e cultura dell’umanità, veicolo di emozioni e stati d’animo, frutto della terra e del duro lavoro degli uomini. Da sempre i popoli creano legami con il cibo, con gli alimenti che, nel momento in cui entrano in contatto con l’uomo, non sono più un insieme di vitamine, proteine, grassi, acqua ma assumono un ruolo sacrale. Allo stesso modo l’uomo, nel rapporto con il cibo, smette di essere animale e l’istinto di sopravvivenza del nutrirsi si trasforma nell’atto del mangiare. In tutte le religioni il cibo, da tempo immemore, assume connotazioni sacrali, essendo riconosciuto come frutto e dono del dio/divinità e non solo come prodotto della fatica dell’uomo. Pregare per ciò che si è ricevuto, dire grazie, dimostrare riconoscenza. Pratica che purtroppo, specialmente nei paesi industrializzati, u

Un braciere, un uomo e una donna Intorno ad un focolare, cibi semplici, una fiamma per riscaldare e quello che si mangia diviene cibo non solo per il corpo ma anche per la mente. (Ph. Matthieu Paley - 2014)

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dove il cibo è visto ormai un diritto, viene sempre più spesso messa da parte; nelle famiglie si mangia male e troppo in fretta, senza soffermarsi su quanto lavoro ci sia realmente dietro una forma di pane o un piatto di pasta, sprecando alimenti e risorse, approfittandosi della natura ed impoverendo il territorio, perdendo così anche le radici dei popoli e la propria cultura. Genitori e figli, seduti alla stessa tavola, che recitano una preghiera prima di iniziare il pasto quotidiano; un contadino russo che ringra29

zia per il grano accumulato nel granaio prima delle gelate; una tribù africana che venera la propria divinità per aver loro concesso la pioggia per far prosperare i campi; un padre di famiglia colombiano che ringrazia il suo dio per avergli concesso lavoro, salute e nutrimento per i suoi piccoli.

I

l popolo americano annovera, dal 1863, anno in cui fu istituita da Abramo Lincoln, una festa nazionale proprio dedicata al ringraziamento, il Thanksgiving

Day, festa nata nel 1621 ad opera dei Padri Pellegrini, arrivati nel nuovo mondo a bordo della famosa Mayflower. Questo gruppo di profughi religiosi, scappati da persecuzioni in Inghilterra, iniziò la coltivazione di molte verdure ancora sconosciute nel vecchio continente, come patate, pomodori, zucche, granoturco; il raccolto dopo pochi mesi fu così abbondante che i pellegrini decisero di organizzare una festa per ringraziare del benessere e della prosperità ottenute. Da allora ogni ultimo giovedì di u


La pace attorno ad un tavolo La famiglia attorno al tavolo nel ringraziare per ciò che si è coltivato con le proprie mani e reso pietanza col cuore di chi lo ha preparato. (Ph. William Albert Allard - 1976)

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novembre gli americani (e i canadesi il secondo lunedì di ottobre) celebrano questa festa, in ricordo dei Padri Pellegrini e per celebrare e ringraziare dei frutti della natura e del duro lavoro degli uomini.

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nche l’Italia ha la sua festa del ringraziamento, meno antica e famosa di quella americana e con tutt’altra origine: la Giornata nazionale del Ringraziamento, nata nel 1951, ad opera della Coldiretti, e celebrata la seconda domenica di novembre. Nel 1973 la Chiesa cattolica decise, con il documento pastorale “La Chiesa e il mondo rurale italiano, di curare “la Giornata del Ringraziamento in modo da renderla significativa per l’intera Chiesa particolare, oltre che occasione propizia per l’evangelizzazione del mondo rurale”. La Giornata nazionale del Ringraziamento, giunta alla 64ª edizione, nacque per sottolineare il profondo legame che lega l’uomo alla terra ed i sacrifici che si facevano un tempo (ora in gran parte alleviati da macchinari e mezzi automatizzati) nel mondo rurale; il cibo, offerto dalla terra, diventa quindi un dono. Un dono di cui rendere grazia, un dono da non sprecare, un dono da non sottovalutare come se fosse dovuto. Di conseguenza la festività vuole richiamare anche al rispetto per il territorio, troppo spesso sfruttato senza considerazione alcuna, sottolineare l’importanza di non sprecare le risorse, siano esse animali o naturali, richiamando il popolo alla riscoperta del vero valore del cibo. Un tempo, quando fu istituita la giornata, il mondo rurale era la risorsa più importante del Belpaese, soppiantato poi da un’industria in fase di sviluppo; il mondo dei campi era sudore, fatica, sacrificio, non sempre ripagati con ottimi risultati. Sarebbe infatti bastata una gelata fuori stagione, un’improvvisa moria del bestiame, un periodo di prolun- u 31


Nell’immensa prateria Le mani forti di un contadino diventano guanti delicati che accarezzano un amico fedele cosÏ come hanno scavato nella terra. (Ph. Winfield Parks - 1968)

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gata siccità per perdere tutto e vanificare ogni sforzo. Da qui il naturale desiderio di ringraziare per i doni della terra, l’esigenza di pregare, non necessariamente intesa in ambito religioso. Perché ringraziare per il cibo in tavola non è strettamente un atto connesso alla religione, non è solo pregare per il dio o la divinità di turno, ma qualcosa di mistico, qualcosa che va oltre, che connette uomo e terra, uomo e ambiente, uomo e cibo. Già nel paleolitico, ad esempio, gli uomini delle caverne compivano atti 33

rituali per far sì che le loro divinità rendessero fruttuosa la caccia, mentre nel neolitico venivano fatti sacrifici di bestie per lo stesso scopo.

I

l popolo sumero pregava, invece, per la buona riuscita del raccolto, invocando due tipi di divinità: le divinità terrestri, materne, responsabili del miracolo della crescita delle piante, come l’acqua e la terra, e le divinità celesti, paterne, indispensabili per il raccolto ma talvolta pericolose per la

loro furia distruttrice, come il cielo, il sole ed il vento. Nella religione ebraica la maggior parte delle festività sono legate al culto ed al ringraziamento del cibo, come la Pentecoste, celebrata durante la mietitura e la Festa delle Capanne, celebrata durante la vendemmia; la stessa Pasqua, anticamente, era una festa pastorale nella quale si ringraziava Dio per la fecondità del gregge. Inoltre gli ebrei recitano a tavola preghiere diverse a seconda del pasto servito, sia esso carne, pesce o verdure, ol- u


Colori provenzali e suggestivi Erba alta e passi veloci. Prendersi cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per nutrire con premura corpo e mente. (Ph. Arthur Elgort - 1993)

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tre alla Birkat Hamazon (preghiera dopo i pasti), recitata alla fine di ogni pasto in cui è presente del pane o del matzo (pane azzimo). Nella religione induista Annapurna è il nome dato alla Madre Divina, la dea della natura, colei che è capace di dare nutrimento senza limiti a tutta l’umanità; in India, in occasione del primo raccolto di riso dell’anno, si celebra il Pongal, una festa che dura tre giorni. Sempre nella religione induista i fedeli durante il pasto fanno delle offerte alla divinità, il prasada, che può essere rappresentato solo da frutta, verdura, cereali o derivati del latte; inoltre prima di consumare cibi e bevande vengono recitate formule di ringraziamento chiamate puja. In Italia, in particolare, il ringraziamento prima del pranzo e della cena è sempre stato indissolubilmente legato alle tradizioni religiose della Chiesa cattolica, andando scemando nel corso degli anni, di pari passo alla pratica effettiva del culto religioso stesso. La maggior parte delle persone che ancora è solita pregare per i pasti è tutt’oggi la stessa dedita alla pratica costante della religione, a differenza di altre culture nelle quali il ringraziamento è ancorato ai sacrifici della terra e dell’uomo per portare ogni giorno il cibo in tavola.

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a quanti modi esistono per dire grazie del cibo che si mangia ogni giorno? Avere rispetto della terra e dei suoi frutti, non sprecare gli alimenti e non gettare gli avanzi, essere consapevoli della storia e del lavoro che si trova dietro ogni piatto: sono tutti modi di ringraziare, di essere grati, si potrebbe dire, più correttamente. Non solo pregare una divinità quindi, non solo preghiere dette a mezzo voce in tavola, non solo altarini consacrati nei campi o nelle case dei contadini; dire grazie per il cibo ricevuto può essere anche un gesto in intimità, una consapevolezza che l’intrinseco legame tra uomo e natura e, di conseguenza, tra uomo e cibo, può spezzarsi da un momento all’altro se non si attuano delle scelte corrette o si é troppo esigenti. Il rispetto per il cibo diventa quindi alla base di tutto perché, come recita il testo sanscrito Taittiriya Upanishad, “Tutte le creature che si trovano sulla terra traggono origine dal nutrimento e da esso sono mantenute in vita. 35


Sorridere di gusto Ridere, urlare di gioia, divertirsi insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo intenso di armonia con gli altri. (Ph. Lynsey Addario - 2012)

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L’energia antica di mani vissute Cappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama. Stesa come una bambina, vitale come una donna senza etĂ , persa nel verde. (Ph. Matthieu Paley - 2014)

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Mangiare è condividere Un gesto che dona, un sorriso che invita. Nel poco si trova il tanto. Nella semplicità si scoprono ricchezze. Bisogna saperle afferrare. (Ph. Jim Richardson - 2014)

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u u u

le

auto elettriche

inquinano più di quelle

a benzina

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uidare una macchina elettrica conferisce un’aura da amico dell’ambiente, o almeno così vogliono lasciar credere i dipartimenti di marketing dei loro costruttori. Tuttavia un report che analizza il ciclo di vita delle emissioni delle automobili (ovvero tutte le emissioni, da quelle rilasciate per estrarre i materiali delle batteria, effettuare la produzione della vettura, dell’energia necessaria a muoverla, a smaltirla, e infine anche la classica misurazione delle emissioni dal tubo di scarico) presenta un quadro assai diverso. Un auto alimentata a batterie, ricaricata con elettricità prodotta da centrali elettriche a carbone, si scopre, può causare un numero di morti per inquinamento tre volte superiore a quello di una normale auto a benzina. Persino un’auto elettrica ricaricata con energia prodotta da un mix di fonti pari alla media di energia elettrica prodotta in America è molto più pericolosa dell’alternativa convenzionale. Christopher Tessum, Jason Hill e Julian Marshall dell’università del Minnesota hanno appena pubblicato questo studio negli atti dell’accademia nazionale delle scienze. Essi stimano come i livelli di polveri sottili e ozono nella troposfera – due componenti importanti dell’inquinamento u 44


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u atmosferico, che uccide

più di 100mila persone l’anno in America – cambierebbero se ognuno degli 11 modi di alimentare una vettura fosse utilizzato per il 10% delle miglia che si stima verranno percorse nel 2020 dai veicoli Americani. Non è una sorpresa constatare che le auto elettriche le cui batterie sono state alimentate dal vento, l’energia solare o l’idroelettrico siano state le più pulite, causando 231 morti presunte nel corso di un anno, rispetto alle 878 delle auto a benzina. Anche le auto elettriche ricaricate con l’energia prodotta dalle centrali a gas naturale sono state molto meno letali rispetto a quelle a benzina, con 439 morti. Ma se quelle stesse auto vengono ricaricate con l’energia del carbone, queste

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divengono responsabili, secondo il modello, di oltre 3000 decessi. Anche i biocarburanti hanno causato più problemi di salute della benzina.

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l duro nodo Diesel Mentre il diesel, che sta generando preoccupazione per l’inquinamento in molte parti d’Europa, dove è molto più popolare che in America, è di poco più pulito della benzina. Questo anche perché il modello del Minessota assume l’ipotesi che entro il 2020 le tecnologie di controllo delle emissioni saranno maggiormente utilizzate, in particolare i filtri antiparticolato, che hanno un effetto marcato sulle emissioni dei motori diesel. Le auto a gasolio, inoltre, hanno anche maggiore autonomia rispetto

a quelle alimentate a benzina. In generale, la ricerca mostra che le auto elettriche sono più pulite di quelle che si basano su motori a combustione interna solo se l’energia utilizzata per ricaricarle proviene da una fonte verde. Difficilmente questa può essere una sorpresa, ma le dimensioni della differenza lo sono.

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ove sono guidate Quanto siano verdi le auto elettriche, quindi, dipende principalmente dal luogo in cui sono guidate. In Francia, dove più della metà dell’energia è ottenuta dalle centrali nucleari, sembrano una buona scommessa. In Cina – dove c’è la moda delle auto elettriche, ma una produzione di elettricità che dipende per l’80% dal carbone – molto meno.


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L’ultimo successo di Musk si chiama Solar City, un’impresa che produce impianti fotovoltaici di ultima generazione per la casa. La novità è l’uso di potenti batterie per che stipano l’energia in surplus.

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ntanto Elon Musk investe sul solare Elon Musk è uno dei miliardari americani più chiacchierati del momento. Inventore di paypal, società leader nei pagamenti online, è uscito poi dalla società per fondare Space X, con l’obiettivo di raggiungere Marte, e soprattutto Tesla Motors, casa produttrice di veicoli elettrici di lusso, che ha sdoganato questo tipo di alimentazione divenendo subito leader del nuovo mercato. Il celebre imprenditore ha una chiara visione di come evolverà il settore nei prossimi anni, e di quello che richiedono gli amanti del verde per continuare

a comprare i suoi prodotti. Perciò sta investendo pesantemente sull’energia del Sole. L’ultimo successo di Musk si chiama Solar City, un’impresa che produce impianti fotovoltaici di ultima generazione per la casa. La novità introdotta da Solar City è l’uso di potenti batterie al litio per stipare l’energia prodotta in surplus durante le ore in cui il Sole è più intenso. Il successo dell’azienda è indiscutibile, il bilancio del 2013 indica chiaramente che le sue quote di mercato sono in continua crescita, e ne hanno già consacrato il trono di leader del mercato con un market share del 32%, che si traduce

in 280 megawatt di energia prodotta dagli impianti installati in circa 70mila abitazioni. In Nevada, le ruspe sono al lavoro per la costruzione della “GIgafactory”, la più grande fabbrica di batterie al mondo, in parte alimentata proprio dall’energia solare. L’impianto vale 5 miliardi di dollari, e per Musk rappresenta un passo fondamentale verso la realizzazione di auto elettriche più accessibili. Le batterie prodotte, inoltre, verranno impiegate anche per gli impianti domestici di Solar City, rendendoli economicamente più appetibili. Tant’è che anche il gigante dei centri commerciali WalMart si è dimostrato interessato. Secondo Amory Lovins, co-fondatore del Rocky Mountain Institute, un consulente energetico con sede a Snowmass, in Colorado, l’evoluzione di queste batterie rappresenta una minaccia mortale per il vecchio modo di produrre energia, e quindi per i vecchi modelli di business: “l’assenza di una regolamentazione su questi prodotti li rende incredibilmente appetibili”. Eon AG, uno dei più grandi produttori di energia in Germania, sembra essere dello stesso parere. Dopo l’aumento dell’imposta per sovvenzionare l’energia pulita sugli impianti a carbone e gas naturale, la società ha annunciato uno spin off del vecchio business per concentrarsi totalmente sulle energie rinnovabili, prima che i nuovi concorrenti in campo ottengano un vantaggio troppo u marcato. 46


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L’

evoluzione del mercato - In California, nazione dove il 40% delle auto vendute è un’ibrida plug-in, circa la metà dei proprietari di una vettura elettrica ha un impianto fotovoltaico, e l’altra metà desidera installarlo. Il solare inoltre rappresenta una grande opportunità in tutti quei luoghi dove i costi dell’energia sono proibitivi, tra questi ci sono molti paesi della fascia compresa tra i tropici. Gli stessi analisti sono concordi nell’affermare che l’industria stia reagendo troppo lentamente. Tesla, 47

Solar City e le altre greencompany si stanno muovendo aggressivamente in uno spazio inoccupato. Per Ben Kallo, un analista di San Francisco che lavora per la Robert W. Baird & Co. “alcune delle aziende che si sono mosse più velocemente, stanno letteralmente prendendo a pugni le vecchie compagnie”. Secondo gli analisti di Morgan Stanley “non vi è un sufficiente apprezzamento della grandezza della riduzione dei costi di stoccaggio energetico che Tesla ha già raggiunto, né dell’entità dell’ulteriore riduzione che Tesla potrebbe essere in grado di ottenere

una volta che avrà ultimato la costruzione della “Gigafactory”. Solar City e altre aziende del fotovoltaico come SunPower affermano che il loro obiettivo non è portare i consumatori ad abbandonare la rete elettrica, ma a diventare più indipendenti da essa, e in questo le nuove batterie rappresentano il santo Graal per energie non sempre disponibili come il vento o i raggi solari. Per le aziende elettriche la posta in gioco è davvero alta. Le aziende di fornitura elettrica statunitensi affermano di avere già in lavorazione le loro stazioni di ricarica per le auto elettriche. Per James


Avery, vice presidente senior della San Diego Gas & Electric “i veicoli elettrici possono essere sia la cosa migliore che la più distruttiva mai accaduta per la nostra industria”.

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uardare Elon Musk Secondo Lovins: “le industrie della energia elettrica dovrebbero guardare Elon Musk come un brillante innovatore e imprenditore che sta creando un nuovo settore di successo, con la consapevolezza che scommettere contro di lui finora non ha funzionato. Piuttosto, dovrebbero trovare il modo di beneficiare di ciò che sta portando nel mercato”. 48


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A’ vita è n’affacciata ‘e fenesta Il tempo, il nostro tempo con il tanto tempo e il troppo poco tempo. L’unica cosa che abbiamo ma che non possediamo illimitatamente. Come la sabbia che scorre in una clessidra o il continuo tic toc di un pendolo. Ci sfugge, lo inseguiamo. Sarebbe più opportuno lasciare andare le lancette e scivolarci su, per andare al ritmo del nostro tempo.

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i dovrebbe iniziare con il morire, per poi ritrovarsi in un letto d’ospedale, così il trauma sarebbe ormai superato; ci si godrebbe la pensione finché - recuperate le forze e sparite le rughe – si inizierebbe a lavorare, quarant’anni fino a che non si è talmente giovani da ritirarsi dalla vita lavorativa; poi comincia la scuola, ci si diverte, si fa sesso, si beve e senza obblighi e responsabilità si arriva ad essere neonati; arrivato ad essere abbastanza piccolo, ti infili in un posto che empiricamente già conosci. Gli ultimi nove mesi li trascorri facendo capriole in un posto con servizio in camera ed aria condizionata, per poi - da ultimo – abbandonare questa vita in un orgasmo. Sarebbe tutto molto più semplice e divertente se le cose andassero in questo modo: il più classico dei pensieri targati Woody Allen. Purtroppo, però, le cose non vanno così: si nasce, si cresce, ci si riproduce (nel migliore dei casi) e si muore. Ecco, la morte. L’unica certezza della vita: la morte. Che si nasca ad Hong Kong piuttosto che a Pittsburgh, a Canberra piuttosto che ad Oslo, il nostro tempo su questo pianeta è limi- u

Il tempo naturale Un lento movimento di lancette e un suono impercettibile tra un verde muschio e un marrone terra, perché il tempo scorre naturalmente.

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tato. A’vita è n’affacciata ‘e fenesta, come sostenevano i più eruditi. Scorre, inesorabilmente scorre e rende tutto così precario e fragile; basta che la tua dirimpettaia abbia cattive intenzioni e l’indomani non sarai più lì, affacciato alla tua bella finestra.

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iamo sette miliardi, siamo tanti, tantissimi, fin troppi, ma non è il numero che spaventa, sono i bisogni. Oggi sette, domani otto, dopodomani 51

nove miliardi di persone con una prospettiva di vita media di ottanta anni: poco tempo, troppo poco tempo. Volli, volli, fortissimamente volli: ottanta anni di bisogni, di “io voglio questo” oppure “io preferisco questo” o ancora e soprattutto “questo lo voglio anche io”. Il mondo si divide in due grandi fazioni: quelli che vogliono qualcosa e quelli che avrebbero voluto qualcosa; insomma, troppa gente e stessi bisogni. Ci si ritrova al termine della propria esistenza a tirare le somme chiedendosi cosa ab-

biamo avuto, cosa abbiamo lasciato e se gli sforzi sono valsi a qualcosa. Fin dall’alba dei tempi l’uomo si è tempestato di domande del genere, si è scervellato a forza di congetture, di paure e speranze, prospettive e progetti. Tantum tempum nostrum est, soltanto il tempo è nostro, secondo Seneca; siamo artefici nostrae quisque fortunae, siamo il Dio Vulcano che forgia il proprio futuro. Per quanto il libero arbitrio sia determinante, un humus fertile è comunque fondamentale; u


Vellutato come un petalo Il tempo passa e va via senza poter tornare, con la delicatezza di un petalo vellutato, con la forza di un rosso intenso e romantico.

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siamo come il Gigante nella favola di Goethe: un bestione di diversi metri che a causa di un sortilegio è costretto ad agire soltanto attraverso la sua ombra. Quando il sole è allo zenit e rifulge del suo splendore, la sua capacità d’azione è minima, quando invece è in fase crepuscolare, l’ombra si allunga, facendo sì che il gigante possa e debba agire. È un po’ la metafora della nostra vita: l’astro sulla parte occidentale del globo risplende, e per noi, piccoli grandi giganti, è tutto più semplice; l’astro orientale, invece, tramonta, rendendo gli altri giganti bisognosi di agire per tirare avanti. Il tempo è denaro. Per i più fortunati il tempo è lavoro, hobby, famiglia, relax. Il tempo è fatturare: si fattura in estate, si fattura in inverno, di giorno o di notte. In occidente un bambino si sveglia e sa che dovrà studiare per lavorare e lucrare. Il tempo è denaro. Per i meno fortunati il tempo è lavoro, lavoro, lavoro, lavoro. Il tempo è fatturare, si fattura in estate, si fattura in inverno, di giorno o di notte. In oriente un bambino si sveglia e sa che dovrà lavorare per contribuire al sostentamento della propria famiglia e, forse, per studiare, un giorno.

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n dollaro l’ora, nel peggiore dei casi è questo il costo del tempo. Il bisogno di un paio di scarpe di marca è il costo di un bambino in Cina, in Taiwan o in Malesia.Nel migliore dei casi, invece, il costo del tempo è un deja-vu, una risata per un qualcosa che è già accaduto o che sta per accadere. Si dovrebbe riuscire a togliere al tempo l’accezione di rendimento per sostituirla con quella di fattore di ricchezza: il tempo come legame fra persone e non come misura; il tempo soggettivo, emotivo ed il ritmo personale e comunitario; il tempo come scelta e condivisione; il tempo come riabilitazione del presente; concepire la morte come fondamento della nostra vita. Il tempo assoluto non esiste, è soltanto un’astrazione mentale. Il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente- come separazione fra due cose che non esistono – come fa ad esistere? Nel momento in cui il lettore girerà la pagina, provocando un rumore, quando lo percepirà, sarà già passato ed inesistente…non presente! Come si può, allora, cogliere un attimo che non esiste e che ipoteticamente fluisce inesorabile? La quarta dimensione, secondo Socrate, non esisterebbe. Secoli di storia hanno dimostrato il contrario ma è comunque molto più poetico realizzare che il tempo, fondamentalmente, non esista. Quindi restate fermi su questo aggettivo, fermi ed il tempo non passerà mai! 53


Un riflesso in un istante Ăˆ un attimo e una stanza prende vita. In un attimo che sembra eterno. In un attimo che riscalda con l’intensitĂ di un raggio luminoso di Sole.

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Chiuso come in un baccello Il tempo si dischiude come un fiore, come un baccello e si apre nella sua bellezza temporale e naturale donando il tempo per goderne.

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In un soffio di vento Come un soffio, come uno stelo che sinuoso si flette al vento. Come un corpo immobile che aspetta di esserne avvolto e trasportato via.

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tagliare la

crisi

chiudendo la

forbice A

di Marco Tregua

cquisto di titoli di stato da parte dell’Unione Europea, Grecia sull’uscio dell’Euro e tagli agli investimenti su istruzione e ricerca salgono alla ribalta tra gli interventi posti come potenziali soluzioni alla crisi in Europa, ma a far riflettere è una condizione strutturale messa in luce dall’OCSE: quanto più ampia sarà la forbice tra ricchi e meno abbienti tanto più frenata sarà la crescita di un paese. La relazione tra le due variabili sembra inequivocabile, stando a dati e stime, che mostrano come elevate percentuali di crescita siano andate perse, laddove è più forte la disparità tra chi “non arriva a fine mese” e chi, invece, può permettersi spese folli. I numeri rendono il concetto meglio di ogni altra espressione: 10% in Messico e Nuova Zelanda, dal 6 al 9% nel Regno Unito e in Italia, cifre simili in Svezia, Finlandia e Norvegia. Inoltre, in passato si sono registrati PIL crescenti in paesi in u 61


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u cui la distribuzione della ricchezza è più omogenea, come in Francia, Spagna e Irlanda a inizio secolo.

L’

analisi dei dati non dà adito a perplessità, dal 1980 c’è la più alta disparità tra classi più agiate e classi in difficoltà con patrimoni nel rapporto di 1 a 9, contro il 7 a 1 di 30 anni fa. La prima tra le conseguenze dirette di questa forte forbice tra i più ricchi e i meno abbienti è la forte contrazione dei consumi da parte di questi ultimi e la concentrazione dei consumi sulle fasce top per chi ha maggiori possibilità di spesa, con effetti altamente negativi per la maggior parte delle imprese, che si trovano costrette a dover modificare il proprio target, ma soprattutto a ripensare le proprie offerte.

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problemi si ribaltano, però, anche sul medio lungo termine, dato che le famiglie con maggiori difficoltà economiche si ritroveranno a dover rinunciare a tipologie di spesa per il proprio futuro o per quello dei propri figli, come per l’istruzione. I dati, difatti, pongono l’accento su come le classi sociali meno agiate si comportino allo stesso modo di quanto fanno alcuni governi: nel tagliare le spese sacrificano in primis le uscite per l’istruzione, che sta diventando come un bene di lusso. Nel lungo termine, così, le potenzialità di chi proviene da famiglie più povere tendono a essere ancora più ridotte e ciò comporterà un ampliamento della forbice tra le classi sempre più ricche e quelle più in difficoltà. L’allarme lanciato dall’OCSE si conclude con l’auspicio che i governi nazionali possano impostare delle politiche che, in primis, combattano la disoccupazione e, successivamente, possano favorire miglioramenti nel mercato del lavoro, nonché attività a supporto dei giovanissimi e dell’istruzione, quali passi necessari per riequilibrare le differenze. 64


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Il nero che opprime il respiro Pareti sporche come sporchi sono i polmoni di chi lavora in fabbrica. Scale per un lavoro in salita che ti scaraventa in una discesa infernale. (Napoli - Discesa Metropolitana)

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Colpi di Tosse

Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro. Nella Napoli del boom economico. Sogni ad una finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per un lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

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Come una foto antica Napoli è in una foto in bianco e nero con sfumature seppia. Ăˆ la Napoli del compromesso. Del boom economico che ritorna indietro come un boomerang. (Napoli - La Pignasecca)

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ognavo una vita tranquilla. Sognavo un futuro. Una donna accanto. La mia vita sacrificata. Non avevo mai letto Marx e non sapevo nulla dell’alienazione. Non sapevo nulla. Da fuori i botti cominciavano ad annunciare che tra pochi giorni sarebbe stato Capodanno. Io con la mia famiglia. Avrei vissuto tante ultime notti dell’anno. Appena sarei riuscito ad entrare in quella fabbrica. La mattina consegnavo caffè. La sera lavavo piatti. Dal bar al ristorante, in mezzo la vita. Tutti i giorni. Andavo avanti a mance e minimi salari settimanali. Desideravo un posto fisso. Un posto con

i turni. Con un dopolavoro magari dove giocare a carte o parlare di calcio. Gli anni settanta. Il Boom strascicato che provava a riesplodere. Fernet Branca, e caffè la mattina. Pizze, fritture la sera. Napoli mi accoglieva di notte. Stanco e negli occhi un silenzio di speranza. Un lavoro da aspettare e mangiare con avidità. Il mio posto con una tuta. La sirena di fine giornata che mi avrebbe consegnato la casa insieme a lei. Ai miei figli che mi parlavano di scuola, di recite. Di calci ad un pallone. Una mattina a Piazza Del Gesù, nella foschia del giorno appena sbadigliato, tra il Genovesi e la Chiesa del Gesù, incontrai la mia speranza. Democrazia

Cristiana, il passepartout in doppio petto e valigetta. Il posto in fabbrica in cambio di voti. Molti voti. Dio ti aiuta. Basta mettere una croce. Una croce doppia. Una croce come ideale, merce di scambio, clientelismo spicciolo. Croce. Ma la tuta, la sirena di fine turno, la poesia di Natale dei bambini. Una casa. Una vita da operaio. Magari leggerò pure Marx. Magari avrò i sindacati con me. Avrò una posizione in questo mondo. Basta Fernet, amari, sambuca. Basta mance. Stipendio, tredicesima, pensione. Basta presente. Ora futuro. In fabbrica tutto era come sognavo. Lastre di amianto. Colleghi simpatici. La sera dopo il lavoro mi fermavo u

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al bar a bere un caffè ristretto. Andavo a casa. Mangiavo insieme alla mia famiglia. La domenica portavo i miei figli in villa comunale. Il pomeriggio gli inculcavo il culto del Napoli. Alla radio. Con la testa sul tavolo. Ad ascoltare la partita. L’unico giorno in cui tutto si fermava ed ero padrone di un benessere fatto di calli e polmoni sgretolati. Andavo avanti ed ero contento. Andavo avan71

ti. Avevo letto Marx, come mi ero ripromesso. Non mi sentivo estraneo al bene che producevo. Non ero affatto estraneo. Il bene che ho prodotto, ho aiutato a diffondere, mi è appartenuto per trent’anni. Me lo porto dentro. Me lo porto come cicatrice, e l’ho elargito a tutti quelli che hanno respirato il mio lavoro. Napoli non la vedevo più di notte. Non mi accoglieva più rumorosa e

stanca. Mi abbracciava come una grande mamma, e coccolava i sabati notte che mi avrebbero portato al mare con i miei bambini. Mi avevano tatuato il petto a fuoco, col marchio del prodotto che ho realizzato negli anni. Con il quale hanno costruito palazzi. Ha contribuito al boom dell’abusivismo. Ha fatto mangiare tanti, ma proprio tanti. Con le croci e senza croci. I chiodi però li u


Una bellezza da vivere Termini il lavoro, desideri passeggiare, muoverti tra i vicoli, fermarti ad osservare mentre il passo prosegue lento e incessante. (Napoli - Piazza del Ges첫)

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E poi lo sguardo si perde Il sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire. (Napoli - Lungomare e Golfo)

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hanno lasciati a me, e a tanti come me. Volevamo solo un lavoro che mi portasse la vita in braccio. La fabbrica sul mare. L’odore saliva e si mescolava al fumo. Amianto il cielo. Amianto dappertutto. Amianto. Giocavo con la parola. Ami-anto. Ami. Amo i sacrifici che hanno portato alla laurea i miei figli. Amo mia moglie. Amo il modo in

cui dal garzone del bar sia arrivato ad estinguere il mutuo della casa. Amo il dorso delle dita sul viso di mia moglie, mentre dorme, serena perché sa che mi troverà sempre accanto. Amo la salita di Coroglio che si intreccia con Posillipo e si tuffa sul golfo ancora indispettito dalla notte e si volta sul fianco per vedere sparire Capri all’o-

rizzonte. Ho iniziato a non amare più la mia voce, però. La mia tosse. I miei colpi di tosse. Violenti nel cuore della notte. La mia faccia che si decompone ed in ginocchio mi chiede di rompere gli specchi. “Signor Esposito. Sospendiamo le chemio. Torni a casa. Avrà bisogno dei suoi cari in questi ultimi giorni”. Amen. 74


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Il male che ha creato L’uomo e i suoi disastri. L’uomo e le sue manie da superuomo costretto a ripiegarsi su se stesso. A scoprirsi debole, malato di un male che ha creato. (Bagnoli Napoli - Italsider)

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