Impatto Magazine // Num. 5 // 11 Marzo 2015

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!MPATTO NUMERO 5 - 11 MARZO 2015

MAGAZINE

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CHEF STELLATI MADE IN NAPOLI PAGINA 4

L’ITALIA DELLE STRAGI IMPUNITE Eternit e Ilva: quando il prezzo del progresso determina una tragedia

OMICIDI DI STATO

PAGINA 16

L’ASCESA RAPIDA DI NEW DELHI

Nemtsov come Nisman, il leader dell’opposizione e il procuratore, personaggi fastidiosi da eliminare

Le strabilianti prospettive economiche incoraggiano la crescita del mercato indiano

PROTAGONISTI DEL MAGAZINE

BORIS NEMTSOV

ALBERTO NISMAN

MARIO DRAGHI

MACCIO CAPATONDA


!MPATTO - SOMMARIO N.4 | 3 Marzo 2015

CONTENUTI LE STRAGI IMPUNITE

Eternit e Ilva: quando il prezzo del progresso determina uno scempio. Imprese e materiali passati alla storia della produzione industriale per la scia di malattie e morti e per il disastroso impatto ambientale.

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Investimenti per l’Ilva! Il segretario generale della Fiom Maurizio Landini, a Genova, chiede al Governo Renzi “interventi utili a creare condizioni per proseguire le attività e non vendere”.

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La riscossa di New Delhi Le prospettive per l’India, nonostante il gap con la Cina, sono migliori rispetto a quelle degli altri mercati.

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Hamas nel vortice dei Media Hamas in un flusso di messaggi omologati, ben serviti allo spettatore su un filo sottile tra realtà e apparenza.

OMICIDI DI STATO Nemtsov come Nisman, il leader dell’opposizione russa e il procuratore argentino, personaggi da eliminare. Rapidamente e in maniera silenziosa.

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Secondo diversi attivisti interpellati, ai combattenti stranieri viene infatti concesso di vivere in città, dove i raid aerei della coalizione internazionale sono più rari.

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IMPATTO MAGAZINE È UNA TESTATA GIORNALISTICA REGISTRATA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI CON DECRETO PRESIDENZIALE NUMERO 22 DEL 2 APRILE 2014. 2

L’ISIS contro i foreign fighters

Ecco il Quantitative Easing Riduzione della valutazione dell’Euro e calo dello spread, mentre la Grecia rischia il default e le Borse reagiscono preoccupate dalla situazione nel Peloponneso.


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L’ITALIANO MEDIO L’italiano medio se la ride sguaiatamente. Mentre i suoi difetti sono messi in mostra sul grande schermo, ride della sua indignazione. Lui, furbo e inconsapevole di trovarsi allo specchio, si appaga del trash di cui è protagonista.

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Liliana Squillacciotti - Gennaro Battista Eleonora Baluci - Marco Tregua Valerio Varchetta - Flavio Di Fusco Fabrizio Torella - Luca Norma Francesca Spadaro - Luisa Ercolano Marina Finaldi - Josy Monaco

GRAFICA Guglielmo Pulcini

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Una mostruosa solitudine L’individuo moderno alla ricerca della propria identità. Un uomo frammentato nel suo essere omologato.

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E il primo morso fu peccato

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Quattro stelle all’ombra del Vesuvio

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Nell’eterna ricerca della redenzione, l’umanità procede in un ossessivo controllo di ciò che ingerisce.

Ai piedi del Vesuvio. Le stelle Michelin per Palazzo Petrucci, Sud, Taverna Estia e Hotel Romeo. Dalle mani di chi crea con amore al sorriso di chi accoglie questo amore.

Assenza tra dolce e salato

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Corrado Assenza, tra le eccellenze italiane, alla ricerca del dolce sublime che ancora deve essere inventato. 3


!MPATTO - ATTUALITÀ N.5 | 11 Marzo 2015

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L’ITALIA DELLE STRAGI IMPUNITE

articolo di Valerio Varchetta

Eternit e Ilva: quando il prezzo del progresso determina uno scempio. Imprese e materiali passati alla storia della produzione industriale per la scia di malattie e morti e per il disastroso impatto ambientale. Il tutto mentre si è in attesa di complicati processi a rischio prescrizione. 5


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eternitas come eternità, parola che rimanda a un’idea di pace e felicità duratura, dal cui nome deriva quasi, per una dolora beffa, quello dell’Eternit, ovvero materiale da costruzione brevettato dall’azienda omonima, che in un doloroso contrappasso col concetto di eternità ha tranciato improvvisamente le vite di moltissimi operai e cambiato per sempre quelle delle loro famiglie. Ilva come l’isola d’Elba, meta di turismo e perla dell’Arcipelago Toscano, ma anche nome della principale industria siderurgica italiana, scelto in base al fatto che i primi altiforni venivano alimentati con il ferro estratto proprio dall’Isola d’Elba, diventato poi tristemente famoso per ragioni simili a quelle dell’Eternit. Ad accomunare le due imprese, infatti, non c’è solo la natura latina del loro nome, ma anche gravi conseguenze che hanno avuto sull’impatto ambientale, lasciando una lunga scia di malattie e morti dietro la loro produzione. Progresso a prezzo altissimo - Nel 1986, dopo decenni di produzione, con la chiusura dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato per il fallimento del ramo italiano dell’azienda – produttrice del diffusissimo fibrocemento a base di amianto largamente utilizzato nelle costruzioni fra gli anni ‘30 e gli anni ‘70 - si chiudeva una storia della produzione industriale del nostro Paese, ma la vicenda che lega l’Eternit alle vite degli italiani non era, e non è, ancora

LE VITTIME Le condizioni industriali hanno ucciso 386 persone nell’arco di tredici anni a causa della tossicità della scarsa sicurezza. Il sogno di una stabilità schiacciato dalla realtà della malattia e dall’inadempienza umana. 6

chiusa. Non può cadere nell’oblio la storia di una strage che ha provocato oltre 2000 morti, tra lavoratori e abitanti dei luoghi dove si trovavano gli impianti, come Cavagnolo (provincia di Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Una strage silenziosa che non ha meritato edizioni straordinarie come l’11 settembre, ma che ha mietuto le sue vittime a poco a poco, come una lunga guerra la cui ultima battaglia, spesso persa, si è combattuta in un letto d’ospedale e non su un fronte. Più o meno negli stessi anni in cui in Austria veniva brevettato l’Eternit, in Italia, precisamente nel 1905, veniva redatto a Genova l’atto di costituzione di una nuova azienda siderurgica, nata dalla fusione di più gruppi, operanti nell’isola d’Elba e a Piombino (provincia di Terni). La società, che avrebbe aperto altri stabilimenti in Italia, sarebbe diventata la principale industria italiana per la produzione di acciaio

Il grande Gruppo Riva Il Gruppo Riva è formato da diverse società operanti nel settore siderurgico, le quali sono affiancati da società finanziarie. Il gruppo Riva è controllato dalla famiglia Riva per una percentuale del 39,9%, tramite una capogruppo con sede a Lussemburgo denominata “Utia”. Tuttavia il gruppo sta affrontando un grande processo di ricapitalizzazione che andrà a incidere anche sul restante 60,1% del capitale Il 100% dell’intero gruppo è tuttavia attribuibile ai fratelli Emilio ed Adriano Riva e relativi figli.

e avrebbe avuto nello stabilimento di Taranto il suo polo principale, con oltre 12000 dipendenti. Da una perizia epidemiologica realizzata per conto della Procura di Taranto analizzando i dati tra il 2005 e il 2012, emerge che i danni alla salute delle persone sono stati altissimi: una media di oltre 1600 morti l’anno per cause cardiovascolari e


respiratorie, una media di 91 morti l’anno nei quartieri più vicini allo stabilimento per malattie dovute al superamento di emissioni di polveri sottili nell’aria. I numeri, spesso freddi, e secondo molti ingannatori, rendono forse poco l’idea di quello che è successo e succede tuttora, forse solo chi è stato colpito direttamente può avere un’idea del vero significato di queste cifre. Quel che è certo è che ogni singola cifra era una persona con la sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia, e ora quella famiglia, che ne ha pianto una scomparsa tanto dolorosa quanto ingiusta, ha reclamato e reclama quello che in uno Stato di diritto dovrebbe essere scontato: giustizia. In Italia, quando scoppia una tragedia dovuta a imperizia, negligenza o malafede di qualcuno, ci si affretta a promettere che nulla verrà lasciato impunito, ma non sempre è così: la vicenda Eternit, e forse quella dell’Ilva, ne sono un esempio. La scure della prescrizione - La lentezza dei processi in Italia è

una costante dei dibattiti in tema di giustizia e spesso si è cercato di abbreviare i termini di prescrizione col pretesto di evitare che i processi si trascinassero per anni. L’unico risultato ottenuto, però, è stato quello di vedere una serie di processi finire in fumo e con essi la possibilità per le vittime di avere giustizia, come nel caso Eternit. Quest’ultimo, in realtà, sembrava essere una brutta storia ma con un lieto fine, dato che nel 2012 i due proprietari dell’azienda, il barone belga Louis de Cartier e il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, erano stati condannati a 16 anni di reclusione, per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. Nel 2013 il lieto fine pareva confermato, visto l’inasprimento della condanna per Schmidheiny a 18 anni (de Cartier nel frattempo era deceduto). In questo clima è arrivata però la doccia fredda della Cassazione, che, nel novembre 2014, ha dichiarato prescritti i reati contestati e, quindi, per

GLI ALTOFORNI DELL’ILVA Nel 1905 iniziava la costruzione dell’impianto Ilva sulla spiaggia di Bagnoli a Napoli con due altiforni e quattro forni Martin. il magnate dell’amianto non ci sarà alcuna conseguenza perché, secondo lo stesso procuratore della Cassazione, il reato di disastro ambientale era cessato con la chiusura dell’impianto nel 1986. Era quindi passato troppo tempo per la giustizia e poco importa se la gente continuerà a morire. In un simbolico passaggio di consegne dell’impunità ambientale, nel novembre 2014 il governo ha accelerato l’approvazione del disegno di legge sui reati ambientali, che inasprisce le pene in caso di coinvolgimento della criminalità organizzata, ma che si propone di definire il danno ambientale come variazione irreversibile dell’ecosistema. Tale situazione è senza dubbio difficile da provare, con un conseguente aumento dei tempi processuali, 7


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facilitando quindi la chiusura del processo per prescrizione. La sentenza Eternit, inoltre, costituisce un precedente importante in materia, visto che mette a rischio i processi per reati simili in cui però l’attività produttiva responsabile del danno ambientale è terminata da tempo. In virtù di questo, il processo sul disastro dell’Ilva che ha causato, oltre alle vittime sinora accertate, danni all’ambiente di cui si subiranno le conseguenze per molti anni, rischia di seguire il solito copione. In nome del popolo o di chi? - Suona singolare che le sentenze, anche quelle che scatenano più indignazione, vengano lette e pronunciate nel nome del popolo italiano. I familiari delle vittime, ma non solo, hanno visto al contrario l’esito del processo Eternit come un pugno nello stomaco, come una conferma al modo di pensare comune che la giustizia non è di casa in Italia, che la collettività non è tutelata quando il suo interesse non collima con quello di chi ha più soldi e più potere. In occasione della sentenza d’appello, quella che aveva condannato Schmidheiny a 18 anni, l’avvocato dell’imprenditore disse: “Ora quale imprenditore straniero investirà più in Italia?” aggiungendo che il suo assistito aveva speso molto per la sicurezza. Può sembrare una tipica dichiarazione di un avvocato amareggiato per aver perso un processo importante ma anche l’accusa verso una sentenza che non favorisce l’imprenditoria, ed è innegabile che la sentenza della Cassazione depone a favore di imprenditori che non hanno la tutela dell’ambiente e quella dei lavoratori tra le loro priorità. Anche nel caso dell’Ilva si è 8

Maurizio Landini della FIOM: Investimenti per l’Ilva, non vendita!

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aurizio Landini, segretario della Fiom, partecipa a due assemblee, prima all‘Ilva poi a Selex Es, rilancia l’intervento pubblico in Ilva, che deve servire a un risanamento vero. E sui temi politici conferma: sul Jobs Act la Fiom é pronta a mobilitarsi con una legge di iniziativa popolare per estendere lo statuto dei lavoratori o, anche, per referendum abrogativi. Perchè spiega: “Questo governo non è stato eletto dal popolo e nessuno ha mai dato il mandato a Renzi di cambiare l’articolo 18”. Sempre rivolto a Renzi che lo accusa di criticare le riforme e le nuove leggi del governo per preparare la sua entrata in politica, Maurizio Landini replica:”mi sono rotto perchè questo è un modo un po’ furbesco di non volere fare i conti con quello che stiamo dicendo. Noi siamo un sindacato, Renzi deve farsene una ragione”. Infine la ripresa anticipata da Mario Draghi. Per Landini è tutto positivo “!a patto di non dimenticarci da dove siamo partiti. Dal 2008-2009 a oggi abbiamo perso più di un milione di posti di lavoro”. Prima all’Ilva, Landini chiarisce le posizioni della Fiom. Dice ai lavoratori: “Il decreto sull’Ilva è un fatto importante, si poteva arrivare a questo risultato qualche anno fa, ora bisogna andare avanti con gli investimenti per arrivare ad un risanamento vero che dia prospettive non solo occupazionali ma anche di rilancio, mettendo da parte la questione della vendita”. Il segretario generale della Fiom è a Cornigliano per partecipare all’assemblea dei lavoratori alle prese con il complesso delle procedure di insinuazione al credito dell’Ilva.

LE COSTRUZIONI CHE DIVENTANO TOSSICHE - Fibrocemento come materiale da copertura negli anni settanta ha rappresentato lo standard nella costruzione degli acquedotti, capannoni e tetti.


IL PROCESSO ETERNIT E LA PRESCRIZIONE - Centoquarantotto pagine di considerazioni giuridiche per la sentenza Eternit. Dopo aver provocato la morte dei suoi lavoratori, la multinazionale dell’imprenditore svizzero Schmidheiny scappa all’estero e intanto il processo rischia la prescrizione. assistito, nel corso di questi ultimi anni, a un teatrino che poco ha a che fare con l’interesse collettivo e molto con quello di politici e imprenditori. La famiglia Riva, proprietaria delle acciaierie di Taranto, ha nel tempo intessuto interessanti rapporti con esponenti politici di rilevanza nazionale, tra cui Pierluigi Bersani e Nicola Vendola. È risaputo, infatti, che i Riva hanno finanziato la campagna elettorale del 2006 di Bersani, poi divenuto ministro dello sviluppo economico dopo quelle elezioni e segretario del Partito democratico nel 2009. Forse in nome di questi finanziamenti, ripetuti nel corso degli anni per un totale di circa 110 mila Euro, dalla famiglia Riva arrivò a Bersani nel 2010 una richiesta di calmare l’attività del senatore del PD Della Seta, che stava riportando l’attenzione sui veleni dello stabilimento pugliese. Il governatore della Puglia,

invece, ha avuto uno scontro con il direttore dell’Arpa (Agenzia per la Protezione Ambientale) della sua regione perché quest’ultimo non era favorevole a una prosecuzione della produzione dell’industria. Produzione che invece è andata avanti nonostante i dubbi sull’impatto ambientale, confermati poi dai dati delle perizie. Agli inquirenti Vendola ha dichiarato di aver voluto difendere la fabbrica e i lavoratori dalla chiusura e dalla perdita del posto di lavoro, vero cavallo di battaglia per gli esponenti della sinistra, ma che è passato forse sopra la tutela della salute della sua regione in nome di una battaglia politica. Cosa rimane? - Di una grande industria d’importanza rilevante per lo sviluppo economico di una regione e di un Paese rimane un’azienda in seria difficoltà che sta per tornare sotto controllo dello

Stato attraverso la creazione di una società apposita che dovrebbe prendere in fitto l’azienda e salvarla preservando i posti di lavoro. La società nascerà quindi con denaro pubblico che, però, potrebbe essere impiegato nelle bonifiche, ma in gran parte servirà a pagare i creditori dell’Ilva, in primo luogo Intesa Sanpaolo. Per rimediare al disastro ambientale si dovrebbero utilizzare i soldi sequestrati ai Riva, attualmente scudati in Svizzera e bloccati finché non si concluderà il processo per frode fiscale nei confronti degli ex proprietari. Il denaro pubblico, quindi, prima di essere utilizzato per i cittadini che ne avrebbero bisogno, andrebbe a favore di banche ed imprenditori. Copione che si ripete in quest’Italia dove l’impunità sembra essere un denominatore comune a troppe vicende. Fino alla chiusura del sipario e all’inchino finale. 9


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UNA MORTE ANNUNCIATA

Analisi sociopolitica Valerio Varchetta Columnist David Shipley

Nemtsov come Nisman, il leader dell’opposizione russa e il procuratore argentino, personaggi da eliminare. Rapidamente e in maniera silenziosa. Tra complotti e presunti colpevoli, tesi ufficiali e verità implicite, la Presidente argentina Kirchner e il Presidente della Federazione Russa Putin nell’occhio del mirino.

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7 febbraio 2015. Nemtsov rilascia un’intervista in radio, punta il dito e aspira al cambiamento politico attraverso elezioni realmente democratiche per poter dare voce all’opposizione. Accusa Putin e la politica militare di aver acuito la crisi, dimostra che la presenza delle truppein Ucraina, da sempre negata, è invece ben documentata. La sera del 27 febbraio Nemtsov muore. Ucciso. Da chi? Pensare a Putin è fin troppo semplice. Già finito in passato nell’occhio del ciclone per vicende simili - Anna Politkovskaja, giornalista in prima linea nell’opposizione al presidente russa, fu assassinata nel 2006 – il Presidente della Federazione Russa sembrerebbe il colpevole perfetto di un giallo su cui investigare. Ma il movente esiste per davvero? Il leader dell’opposizione rappresentava un reale pericolo per Putin? La morte del suo principale oppositore risulterebbe davvero utile nella politica del consenso? La si potrebbe anche considerare una grande arma per i nemici del Presidente dentro e fuori la Russia per minarne la legittimità. Il colpevole non risulta essere né così perfetto né così motivato. In Russia come in

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VLADIMIR PUTIN il 4 marzo del 2012 è stato eletto per la terza volta Presidente della Russia. Argentina, un altro delitto e un nuovo giallo in cui cercare di districare i nodi. Andando indietro nel tempo: 18 gennaio 2015 il giudice argentino Alberto Nisman, a capo delle indagini sui rapporti tra la presidente Cristina Kirchner e l’Iran, è ucciso nel suo appartamento a Puerto Madero, un quartiere di Buenos Aires. Da Buenos Aires a Mosca: Personaggi scomodi, da eliminare - La loro presenza è fastidiosa, sono condannati a non agire perché sanno troppo, indagano troppo, vedono troppo, ficcano il naso dove non dovrebbero. Ne sono consapevoli

mentre, nel proprio vivere, agiscono controcorrente. Nel portare avanti un ideale sapendo che la lotta potrà avere esiti imprevedibili e conseguenze anche molto gravi. Nell’andare avanti consci di non poter condurre la lotta in incognito. Una morte eclatante legata agli ambienti della politica e ai vertici dell’Argentina: il giudice Alberto Nisman, a capo delle indagini sui rapporti tra la presidente Cristina Kirchner e l’Iran, è stato trovato morto nella sua vasca da bagno. Suicidio: così è stato riconosciuto


La tragica storia degli omicidi politici in Italia.

I

CRISTINA ELISABET FERNÁNDEZ DE KIRCHNER (in foto con il noto cantante Ricky Martin) è , dal 10 dicembre 2007, presidente della Nazione Argentina. Già senatrice è stata, altresì, la prima signora d’Argentina, essendo stata sposata al presidente Néstor Kirchner. in una prima fase delle indagini. Ma di suicidio non si è trattato. Nisman era stato messo alla guida delle indagini relative all’attentato condotto contro l’associazione giudaica nel centro di Buenos Aires del 1994, in cui morirono 85 persone. Attentato attribuito al governo di Teheran per via di forniture nucleari negate dall’allora presidente Menem. Nemtsov, invece, leader dell’opposizione russa e vicepremier al tempo della presidenza di Boris Eltsin, si è schierato contro il presidente Putin: nella sua ultima intervista -

rilasciata alla radio poche ore prima del suo assassinio per promuovere una manifestazione per il 1 marzo. Davano fastidio? - Nisman, nel corso delle indagini - a seguito anche delle rivelazioni di WikiLeaks sulmodo in cui l’ambasciatore americano suggerisse al governo argentino come orientarlo sulle indagini - aveva cambiato leggermente la sua veduta, cercando anche tra i rapporti che legavano e legano l’Argentina all’Iran. Nel 2013, infatti, la Kirchner aveva trattato in merito direttamente con il governo iraniano, scavalcando la

l 30 Maggio 1924, in occasione della prima seduta della XXVII Legislatura del Regno d’Italia, Giacomo Matteotti pronunciò il suo celebre discorso in cui accusava il regime fascista di aver vinto le elezioni con brogli e violenze. Minacciato anche in aula da deputati fascisti, verrà ucciso il successivo 10 Giugno, con Mussolini che si attribuirà la responsabilità dell’omicidio. Passata la guerra, nel 1962 Enrico Mattei, presidente dell’ENI, morì in un incidente aereo; Mattei aveva avviato una politica energetica stipulando accordi in Medio Oriente e anche con l’Unione Sovieticain piena guerra fredda rompendo il monopolio delle compagnie petrolifere inglesi e americane (da lui ribattezzate le sette sorelle) sull’Europa occidentale. Nel dopoguerra, però, il delitto politico per eccellenza è quello nel 1978 di Aldo Moro, presidente della DC che stava lavorando ad un governo in collaborazione con il PCI, in contrasto con gli equilibri usciti dalla Guerra.

magistratura e motivando l’azione considerando un accordo tra i due paesi necessario per giungere ai colpevoli. La versione del giudice, invece, accusava direttamente la presidente di voler trovare, in accordo con Teheran, dei finti colpevoli al fine di salvaguardare le relazioni commerciali tra i due stati. Un’intesa segreta, dunque, di cui quale Nisman doveva riferire al congresso se non si fosse stranamente suicidato pochi giorni prima di farlo. Un suicidio non preceduto da nessuna lettera d’addio e con il suicida che, pochi giorni 11


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IL PROCURATORE FEDERALE ARGENTINO ALBERTO NISMAN Alberto Nisman è stato ritrovato senza vita nel suo appartamento di Buenos Aires, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto esporre in Parlamento le accuse alla “Presidenta” di aver coperto l’Iran sull’attentato nella capitale del ‘94, che causò 85 morti. prima, aveva manifestato la paura di morire. Un dead man walking consapevole. La tesi ufficiale presenta diverse crepe destinate ad allargarsi: il suo successore ha formalmente incriminato la presidente Kirchner di aver ostacolato la giustizia in merito alle indagini sull’attentato del 1994 e la perizia indipendente richiesta dalla famiglia del giudice sembra escludere l’ipotesi del suicidio. Forse Nisman dava fastidio, come era d’intralcio Nemtsov, che aveva espresso preoccupazioni per la propria vita e la propria incolumità anche nella sua ultima intervista. Le accuse all’operato di Putin erano mirate e gravi. Attaccavano uno dei capisaldi della politica estera russa dell’ultimo anno, generando sicuramente molto imbarazzo nel Presidente, che si è affrettato a definire l’attentato come una provocazione e come un tentativo di delegittimarlo. Il mondo occidentale ha condannato l’omicidio avvenuto a due passi dal Cremlino con un bel po’ di difficoltà viste le relazioni diplomatiche e commerciali che la Russia intrattiene con diversi paesi, in primis Germania e Italia. Durante la sua visita a Mosca, il premier italiano Renzi ha deposto fiori per il politico russo ucciso, fatto che sembra stridere con le relazioni economiche tra Italia e Russia, poiché numerosissime aziende del nostro paese, tra cui Parmalat, 12

Indesit, Candy, Eni, Finmeccanica, hanno cospicui investimenti nel paese del presidente Putin. Tale ossimoro è esplicito nella vignetta satirica di Giorgio Forattini in cui Renzi sta per deporre dei fiori sulla tomba di Nemtsov per poi darli repentinamente ad un Putin venuto lì con una pistola fumante. Vale la pena quindi chiedersi se l’Occidente ha davvero intenzione di condannare quello che è un omicidio politico a tutti gli effetti o ha solamente l’obiettivo di mettere quanto prima la parola fine a questa storia che sembra essere un

incidente di percorso nei rapporti con Mosca. Tutto chiaro? Forse - La conclusione logica è evidente: troppo scomodi. Come Nisman aveva indagato troppo vicino alle stanze del potere e si era ritrovato schiacciato da quello stesso ingranaggio che cercava di scardinare così Nemtsov stava alzando troppo la voce. Bisognava zittire e eliminare la polvere alzata agendo in modo deciso. Attribuire a Vladimir Putin la paternità del delitto di Boris Nemtsov sembra l’ipotesi più accreditata, in un


Nemtsov’s Murder Defines Putin’s Russia Written by David Shipley davidshipley@bloomberg.net

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Published by Bloomberg View

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he thousands who marched in Moscow on Sunday in honor of the murdered opposition politician Boris Nemtsov did so because they recognize just how much has been lost with his death. Nemtsov had been brave enough to tell the truth in Russia under President Vladimir Putin. The official response to his apparently professional murder on Friday, in the shadow of the Kremlin, has been distasteful. Government spokesmen have spun tales of conspiracy -- involving Islamists or Nemtsov’s fellow opposition leaders -- to distract from the most plausible explanation: that Putin and his obedient state news media have created an atmosphere of hatred that encouraged such violence. Putin has announced an investigation, and he should be encouraged to follow through. Given the record of assassinations of inconvenient figures, however, it’s hard to hope for a truthful reckoning. The journalist Anna Politkovskaya, chronicler of Russia’s descent into autocracy under Putin, was shot in her apartment foyer in 2006; former Russian intelligence officer Alexander Litvinenko was poisoned a month later in London, after writing that the security agencies arranged the 1999 apartment bombings that triggered the second Chechen war and vaulted Putin to power; Sergei Magnitsky, an accountant who alleged official tax fraud, died in custody in 2009. There is no evidence the Kremlin ordered Nemtsov’s killing, and it would have as much to lose as to gain from such a public execution on one of the most closely surveilled sidewalks in Russia. Nevertheless,

Nemtsov, vacillano le accuse Dadayev Vacillano le accuse imbastite contro i sospettati per l’omicidio Nemtsov, l’oppositore freddato da quattro colpi alle spalle. Zaur Dadayev, uno dei cinque ha smentito di aver confessato il delitto. Lo scrive il tabloid Moskovski Komsomolets riferendo di una visita, nel carcere Lefortovo di Mosca, a lui e ai suoi cugini Anzor e Shagid Gubashev (anche loro indagati) da parte della commissione pubblica di controllo dei diritti umani dei detenuti, di cui fa parte un giornalista del quotidiano. Anzor non ha parlato, mentre Shagid racconta che chi lo ha catturato lo ha

picchiato e intimato di dichiararsi colpevole. «Ero con mio fratello in Cecenia, ci dissero che avevano fermato nostro cugino Dadaiev in Inguscezia e siamo andati a vedere cosa gli era capitato. Appena siamo entrati a Magobekh siamo stati fermati, ci hanno incappucciato senza spiegarci nulla, poi ci hanno portato in un locale dove hanno cominciato a picchiarci, ci hanno chiesto di dire che siamo stati noi ad ammazzare Nemtsov», ha raccontato al tabloid. Anzor ha spiegato invece la presenza di lividi sul corpo come anteriore alla cattura.

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paese dove c’è un concetto del tutto peculiare di democrazia, come ribadito più volte dallo stesso Nemtsov, che auspicava elezioni libere alle quali l’opposizione potesse realmente prendere parte. A tal proposito va ricordato che, in occasione delle elezioni presidenziali russe del 2012, l’asse Putin-Medvedev auspicava un consenso elevato ma non eccessivo, in modo da non destare sospetti, in una tornata elettorale caratterizzata da irregolarità procedurali in un terzo dei seggi.Inoltre, non si dimentichi che il partito di Nemtsov, alle ultime elezioni, è rimasto fuori dalla Duma per una manciata di voti che lo hanno relegato al di sotto della soglia di sbarramento, tra fortissimi sospetti di brogli. In Italia - Anche il nostro Paese ha conosciuto nella sua storia casi di omicidi politici, in particolare, si potrebbe creare un’altra analogia di pensiero: l’omicidio a Palermo di Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto del capoluogo siciliano inviato per combattere la mafia. L’ipotesi di un agguato unicamente ordito ed eseguito da Cosa Nostra non regge: il generale si trovava in Sicilia da un tempo irrisorio e non aveva avuto il giusto appoggio da parte dello Stato per ottenere dei risultati. Dalla Chiesa affermò infatti che gli avevano dato “I poteri del prefetto di Forlì, dove non succede mai nulla”. La mafia, quindi, non aveva forse tutto l’interesse ad uccidere un prefetto che non stava ottenendo i risultati sperati, mentre le cause sono forse da ricercare anche altrove: Ferdinando Imposimato, nel suo libro I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia, ricorda come il generale fosse vicino alla liberazione di Aldo Moro e come il blitz nel covo delle BR fosse ormai pronto. Due giorni prima dell’operazione, dalla Chiesa 14

Scale of Russian military intervention in Ukraine revealed, says report

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arge-scale intervention in eastern Ukraine by regular Russian troops began last August, reaching a peak of 10,000 in December, and Moscow has been struggling to maintain operations on such a scale and intensity, according to a report. The report, by the Royal United Services Institute (Rusi), claims small teams of reconnaissance and Spetsnaz special operations units crossed the border earlier, in mid-July after Ukrainian government forces had won a series of battles and had pushed pro-Moscow separatists out of territory they had previously occupied. The Rusi report also confirms the findings of a February investigation, based on analysis of satellite imagery by the Bellingcat group of investigative journalists, that Russian artillery shelled Ukrainian positions from inside Russian territory. Vladimir Putin, the Russian president, has admitted planning the invasion and annexation of Crimea last March, but his government continues to deny any direct involvement in the gruelling conflict in eastern Ukraine. However, the Rusi report says that a total of 42,000 Russian troops from 117 combat and combatsupport units have been involved, either being rotated in and out of the front lines in Ukraine or pouring artillery fire from inside Russia.

LE IDEE DI BORIS Nemcov ha poi messo in discussione molti governatori delle Repubbliche, paragonati a “principi feudali”, proponendo una struttura che li ponga sotto controllo federale.


Nemtsov’s Murder Defines Putin’s Russia BORIS EFIMOVIČ NEMCOV è stato vicepremier del governo di Boris El’cin e cofondatore del partito Unione delle Forze di Destra (Sojuz Pravych Sil), che raggruppava alcune organizzazioni e movimenti politici indipendenti di area liberale.

e i suoi uomini erano stati obbligati a ritirarsi e ad annullare il blitz. Dalla Chiesa aveva continuato ad indagare su un delitto che vedeva coinvolti importanti esponenti della politica e dei servizi segreti. Circa un anno prima del delitto, inoltre, si era assistito alla pubblicazione della lista degli iscritti alla Loggia P2, nella quale figurava anche il nome del generale, il quale si era iscritto sotto pressioni di superiori. Il nome di dalla Chiesa era risultato uno di quelli su cui la stampa aveva insistito di più, con inevitabili ricadute sulla sua immagine. Sorge spontanea la domanda: bisogna guardare al delitto Moro e a quello che dalla Chiesa avrebbe potuto scoprire? In maniera analoga, Nemtsov, soprattutto per la questione ucraina, non aveva dalla sua nessuna informazione in più rispetto ai servizi segreti occidentali. Per cui, almeno nell’immediato, non rappresentava un reale pericolo per Putin: la morte del suo principale oppositore potrebbe risultare un’arma a doppio taglio nella politica del consenso. Nemtsov e la sua morte. Sì, eraconsapevole che ben presto sarebbe arrivato il momento di fare l’ultimo passo, ma che forse non aveva idea di chi avrebbe interrotto per sempre il suo cammino accidentato per una Russia diversa da quella in cui viveva e che desiderava cambiare.

since Putin returned to the presidency in 2012, he has systematically stirred up hatred for his political opponents, tarring men such as Nemtsov as members of a treacherous “fifth column.” Most recently, proKremlin legislator Dmitriy Sablin joined in creating the so-called Anti-Maidan movement, which brings together ultra-nationalists, Communists and a HellsAngels-style motorcycle gang to counter opposition protests. The government has also licensed Russian nationalists and the security services to pursue a covert war in Ukraine, a connection Nemtsov was threatening to expose with a report on the Russian soldiers fighting and dying there. Indeed, the most frightening interpretation of the liberal politician’s death is that the alliance of security service officers and ultranationalist thugs Putin has unleashed is now beyond his control. Nemtsov’s death may not change things in Russia; much of the population appears to be caught up in a nationalist fervor. But outside the country, perhaps it can end any illusions that Putin’s toughness is somehow a trait to be admired. He has taken Russia back to an old and discredited form of government.

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!MPATTO - ATTUALITÀ N.5 | 11 Marzo 2015

LA RISCOSSA DI NEW DELHI L’India e la propria crescita economica e finanziaria. Il PIL è cresciuto del 7,5% e le prospettive per l’economia indiana, nonostante ancora il vasto gap con la grande Cina, sono migliori rispetto a quelle degli altri mercati emergenti.

ARTICOLO DI GENNARO BATTISTA

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el corso delle ultime settimane gli economisti di Goldman Sachs, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale avevano previsto che l’economia indiana sarebbe cresciuta leggermente di più rispetto a quella cinese nel giro di un anno o due. Il momento è giunto prima di quanto avessero predetto. Secondo i dati recentemente diffusi, il PIL indiano è cresciuto del 7,5% rispetto all’anno precedente nel quarto trimestre del 2014, due decimi in più di quello cinese. I dati sono stati distribuiti il 30 gennaio, quando il Central Statistics Office (CSO) indiano ha pubblicato le sue nuove stime del PIL, rinnovate in seguito a un’operazione di cambio di base. Il PIL viene infatti misurato con riferimento ai prezzi medi di un paniere di beni calcolato durante un anno particolare, detto perciò “base”. Col passare del tempo il paniere perde di attualità e il PIL risulta meno accurato, così l’anno di riferimento viene aggiornato ogni pochi anni. Il CSO ha spostato così la base dall’anno 2004-05 al 2011-12. Dopo il cambio, la crescita del PIL per il 2013-14 è stata rivista, schizzando in alto dal 4,7% al 6,9%. Un tasso di crescita così elevato, tuttavia, risulta sorprendente. La 16

revisione ha infatti annullato la crisi degli anni precedenti, facendo mutare il 2013/14 da un esercizio stagnante per una nazione con forti prospettive di sviluppo (4,7%) in un anno di crescita più che ragguardevole (6,9%). La questione, più che curiosa, sta nel fatto che tale espansione si è verificata senza che nessuno se ne accorgesse. In India si parlava di una nazione al palo; con le esportazioni ferme, una massiccia fuga di capitali e un calo degli investimenti che aveva toccato il minimo da 10 anni a questa parte, mentre il debito pubblico sembrava crescere sempre di più. La popolazione indiana credeva così tanto nella crisi da aver punito pesantemente il partito del congresso, ormai al suo secondo mandato, durante le elezioni per il rinnovo del parlamento tenutesi a Maggio. La palla è così passata a Narendra Modi e al suo partito nazionalista, che si è aggiudicato la più ampia maggioranza parlamentare degli ultimi trenta anni. Le stime riguardanti la fine dell’anno, invece, sembrano meno fantasiose. È vero, un tasso di crescita reale del 7,5% sembra un po’ troppo vivace, viste le condizioni dell’industria indiana: i dati di vendita del mercato delle auto sono

PRANAB MUKHERJEE Capo di Stato indiano dal 25 luglio 2012, assieme al Premio Nobel per la Pace Kailash Satyarthi. stagnanti, la domanda di credito è debole (complici i tassi elevati), e i ricavi delle aziende, almeno stando ai bilanci delle società quotate, sono cresciuti molto di meno. A tutto questo, si aggiunge il fatto che il gettito fiscale non abbia subito un notevole incremento, anzi. Ma il recente e forte calo dell’inflazione può spiegare alcune delle discrepanze messe in evidenza. La crescita delle grandi imprese è indubbiamente rallentata, ma ciò trova giustificazione nel fatto che i prezzi non stanno aumentando più rapidamente, mentre il gettito


fiscale si ritrova inevitabilmente a soffrire di un’inflazione in declino. Il CSO calcola che il PIL crescerà, in termini reali, del 7,4% nel 2014-15: si tratta di un mezzo punto percentuale in più rispetto all’anno appena passato. Tuttavia, l’aumento del PIL nominale - comprensivo degli effetti dell’inflazione - dovrebbe scendere dal 13,6% all’11,5%. In altre parole, il calo dell’inflazione maschera la crescita economica facendola apparire minore di quanto sia in realtà. Le prospettive per l’economia indiana sono migliori rispetto agli altri mercati emergenti. Dopo un avvio lento, il governo di Modi pare pronto ad avviare le riforme più urgenti. Intanto, i prezzi delle materie prime sono crollati, colpendo soprattutto

IL CASO MARÒ

ALLERTA SANITARIA

Marò: il ritorno in aula

India colpita dal H1N1

La Cancelleria (Registrar) della Corte Suprema indiana ha concluso oggi a New Delhi le procedure amministrative riguardanti un ricorso presentato dai legali di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in cui si contestava fra l’altro la presenza nelle indagini della polizia antiterrorismo Nia. Dopo aver ascoltato gli avvocati delle parti, il giudice della Cancelleria M.K. Hanjura ha chiuso la fase amministrativa e disposto il ritorno del caso in aula. I due marò sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani durante un’operazione antipirateria nel febbraio del 2013. Latorre è attualmente in Italia per curarsi dopo un’operazione al cuore: il suo permesso scadrà in aprile.

È allerta sanitaria in India. Infatti, continuano a crescere in India le vittime del virus H1N1 (influenza o febbre suina) che hanno raggiunto ieri quota 1.370, mentre sono 25.190 le persone colpite. A riferirlo è Ndtv. Secondo i dati messi a disposizione dal ministero della Sanità, è lo Stato del Gujarat, diventato recentemente noto per le tragiche storie sugli stupri, quello che ha registrato finora il maggior numero di morti (322), seguito da Rajasthan (321), Maharashtra (211) e Madhya Pradesh (193). L’abbassamento delle temperature, segnalano gli esperti, ha causato una impennata nel numero delle vittime del virus che, invece, tende a perdere forza in presenza di un clima caldo.

i grandi esportatori come il Brasile, la Russia e il Sud Africa. Un dato che rappresenta una manna per l’India, che importa l’80% del suo fabbisogno di petrolio e molto altro ancora. Il disavanzo delle partite correnti si è ridotto. La rupia è stabile. Il mese scorso la Reserve Bank of India ha potuto ridurre i tassi di interesse dall’8 al 7,75%. Ci sono le basi per un ulteriore taglio dei tassi, mentre il governo potrebbe risparmiare sul bilancio tagliando gli esosi sussidi sul carburante. Resta il fatto che addirittura l’autore del paper, Arvind Subramanian, si è detto “spiazzato” dalle cifre riportate, dichiarando che l’India “è ancora in ripresa, ma non sta decollando”. Mentre, fuori dalla dimensione di questi dati, come

già accennato, nessuno in India sembra sentirsi più ricco. Ciò, in parte, può derivare dalle politiche di decremento dell’inflazione, che possono inficiare la redistribuzione dei redditi, deprimendo i consumi, ma in parte derivano dalla struttura stessa dell’India, che solo agli occhi di un ingenuo può sembrare realmente competitiva nei confronti della moderna Cina. Viaggio in un paese intrappolato nelle sue tradizioni - “L’avversario con cui ebbe in primo luogo da lottare lo «spirito» del capitalismo nel senso di uno stile di vita ben preciso, vincolato da norme e vestito dei panni di un’«etica», rimase quel modo di sentire e di comportarsi che 17


!MPATTO - ATTUALITÀ N.5 | 11 Marzo 2015

si può chiamare «tradizionalismo»” Questa citazione di Max Weber è ben nota allo studioso delle dinamiche imprenditoriali. Secondo il celebre economista austriaco Joseph Schumpeter, la figura centrale del capitalismo, ovvero l’imprenditore, è classificabile fondamentalmente come un innovatore. Cambiare gli usi per sovrastare le difficoltà è la sua funzione caratteristica: non l’efficienza, ma l’innovazione. Così il capitalismo non può aver luogo, o almeno non può svilupparsi in tutta la sua potenza, laddove la tradizione affoga il cambiamento, il rischio e l’innovazione. In India per millenni la società è stata divisa in un sistema gerarchico di caste, giustificato dall’arcaica religione induista, che ha totalmente cristallizzato la composizione delle classi sociali, impedendone il mutamento. Dopo l’indipendenza, la costituzione indiana accolse i principi di un sistema laico ed egualitario e le caste furono ufficialmente abolite. Tuttavia una legge non

può scacciare così semplicemente millenni di tradizione, per quanto malsana, e il sistema delle caste ha continuato a sopravvivere. Ancora oggi gli intoccabili, i cosidetti “Pariah” – i senza casta – hanno difficoltà a integrarsi nel tessuto sociale indiano. All’erosione di questo sistema sta lentamente contribuendo l’industrializzazione del paese. Tuttavia il capitalismo indiano presenta ancora tratti fortemente divergenti rispetto al modello globale. Sul blog “About India”, che narra da vicino la realtà indiana, sono riportati innumerevoli esempi di come il sentimento di “casta” infici ancora sulla quotidianità della popolazione indiana, e sull’organizzazione delle sue imprese: molte sono le storie che narrano di come anche semplici attività commerciali quali ristoranti e negozi non riescano a funzionare in maniera realmente efficiente a causa di una “fedeltà al ruolo” da parte dei vari attori all’opera nell’impresa che impedisce loro di stabilire

NARENDRA MODI Primo ministro dell’India, dopo aver vinto le elezioni del 2014 col suo Partito Popolare Indiano (BJP), assieme Satya Nadella attuale amministratore delegato Microsoft. 18

una sana e utile collaborazione. Una mancanza di solidarietà che, nell’ottica di una piccola impresa che deve necessariamente far squadra, si può spiegare soltanto attraverso il riverbero opprimente dell’antica divisione. Gli indiani conservano ancora un’autentica ossessione per il loro status sociale, con il titolo che ha sostituito la vecchia casta. Sempre sullo stesso blog, è possibile leggere: “Il titolo, che nessuno dimentica mai di attaccare al proprio nome, chiarifica chi si ha di fronte e garantisce determinati tipi di privilegi (per esempio i politici sono esentati dalla perquisizione all’aeroporto). Il quartiere in cui si abita comunica la posizione della famiglia e lo stato sociale. Naturalmente è desiderio condiviso cercare di muoversi per quanto possibile più in alto e se le caste sono ereditarie e fisse la classe si può migliorare con la scelta della scuola dove studiare, il tipo di studi (Ingegneria al primo posto, studi umanistici all’ultimo), dove cercare casa, la padronanza dell’inglese… e il numero di zeri nel conto in banca. Quando poi si raggiunge una Posizione è d’obbligo segnalarla chiaramente con targhe, titoli e altri stratagemmi – l’India ha inventato l’istituzione dei VVIP, non essendo VIP sufficiente a indicare quanto più importante una persona sia.” La corsa alla scalata sociale, però, non deve esser letta come sinonimo di una grande mobilità tra le classi; l’ossessione per il ruolo infatti, oltre al desiderio di migliorare la propria posizione, scatena da parte di chi ha già raggiunto l’apice una forte propensione a porre delle barriere a difesa del suo status. L’immobilità della società Indiana è facilmente leggibile attraverso il più evidente tra i limiti dell’India (rispetto agli altri paesi in via di sviluppo): una burocrazia elefantiaca. Il calo degli investimenti nel paese è proprio dovuto, in maggior misura, all’inestricabile rete della burocrazia


LA SCARCERAZIONE

LA PENA CAPITALE

Sri Lanka, attivista tamil innocente liberata dopo 362 giorni di prigione.

Il Governo del Pakistan revoca la moratoria sulla pena di morte.

Dopo 362 giorni di prigione senza accuse a suo carico, l’attivista tamil per i diritti umani Jeyakumari Balendaran, 50 anni, è stata liberata questa mattina a Colombo. Il tribunale ha accolto la sua richiesta di rilascio, stabilendo una cauzione di 200mila rupie (3.300 dollari). Per il momento, la corte ha imposto alla donna una serie di restrizioni, incluso il divieto di lasciare il Paese e l’obbligo di firma presso la polizia una volta al mese. Insieme a lei sono stati rilasciati altri sei detenuti, inclusa una donna incinta di nome Geethasudha e una signora di 64 anni, Mahalingam Padmawathi.

Finisce la moratoria delle esecuzioni capitali in Pakistan. Rovesciando una decisione precedente, Islamabad ha annunciato che la pena di morte sarà applicata a “tutti i crimini per i quali è prevista, indipendentemente dalla loro natura”. La moratoria di fatto era in vigore dal 2008 ma lo scorso dicembre, quando i talebani massacrarono 134 bambini e 19 adulti, fu deciso gli imputati accusati di terrorismo sarebbero stati giustiziati. Sono circa 8.000 i pachistani condannati a morte, e spesso, affermano le organizzazioni per i diritti civili, al termine di processi poco affidabili sulla difesa dei diritti dell’imputato.

indiana. Molteplici sono gli esempi capaci di chiarificare questa realtà: il Fisco indiano è una chimera mostruosa, grosse multinazionali quali Nokia e Microsoft hanno preferito chiudere i loro stabilimenti produttivi piuttosto che affrontare i lunghissimi processi che spesso seguono l’apertura di un’inchiesta. Le lobby indiane - La capacità delle varie lobby indiane di tutelare i propri interessi di classe e la lentezza di qualsiasi procedura istituzionale ha fatto di recente il giro del mondo grazie al caso di un ingegnere indiano, A.K. Verma, licenziato per non essersi presentato al lavoro per la bellezza di 24 anni! Licenziamento, tra l’altro, avvenuto solo per lo scoppio di un caso di dimensioni nazionali, che ha visto il diretto interessamento del ministro dello sviluppo urbano Venkaiah Naidu. Anche l’Italia ha potuto osservare da vicino l’assurdo red tape indiano, prima con la vicenda finmeccanica e poi con l’infinito caso politico dei Marò: al di là dei giudizi morali sull’operato dei due militari, infatti, c’è da ricordare che essi restano ancora in attesa di un regolare processo. Le famose riforme promesse dal governo di Mr Modi dovrebbero abbattere, in primo luogo, proprio quelle storture che generano i fatti qui riportati, ma è chiaro che la resistenza al cambiamento resterà durissima. L’India, se vuol competere con le grandi potenze mondiali, deve anzitutto rinnovare la coscienza della sua società. Pochi decimi di vantaggio sulla Cina nelle percentuali di crescita sono niente se si prendono in esame i numeri assoluti. L’economia indiana, infatti, resta ancora cinque volte inferiore a quella dell’impero celeste.

SHRI P. CHIDAMBARAM Attuale ministro delle finanze, assieme a Shri Takehiko Nakao, presidente della Asian Development Bank. 19


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PLO calls for end to security co-ordination with Israel

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Written by Kashmira Gander

he leadership of the Palestine Liberation Organisation (PLO) has called for an end to security co-ordination with Israel, in a move which will put further strain on existing tensions. A statement issued by the PLO’s central committee on Thursday night called for the suspension of “all forms of security coordination given Israel’s systematic and ongoing non-compliance with its obligations under signed agreements, including its daily military raids throughout the State of Palestine, attacks against our civilians and properties,” the Guardian reported. It also called for a boycott of “Israeli products and not only those coming from Israeli settlements”, arguing that the state must “pay the price for its refusal to assume its responsibilities under international law, including the systematic denial of the Palestinian right to self-determination.” Palestinian President Mahmoud Abbas must now decide whether to implement the resolution by the PLO’s Central Council, which would end coordination between Abbas’ forces and Israeli troops in the West Bank. The decision, which came after two days of talks by the Central Council, comes amid the Israeli election campaign. Relations between Israel and Palestine continue to simmer, after Abbas sought membership in the International Criminal Court, which would allow the government to launch war crimes charges against Israel. Israel responded by withholding tax transfers to the Palestinian Authority, which was counters by Abbas’ Fatah activists boycotting of goods made by Israeli food companies. Nevertheless, earlier on Thursday, Israel said Thursday it would ease restrictions on Gaza vegetable exports for the first time since the Islamic militant group Hamas seized power in 2007.

HAMAS NEL VORTICE DEI MEDIA Il villaggio globale, i mass media, la difficoltà nel generare un pensiero libero individuale e la parabola ascendente dei nuovi terroristi. Israele e Hamas in un flusso di messaggi omologati per verità precostruite e ben servite allo spettatore su un filo sottile tra realtà e apparenza.

A

ll’incirca al 1449, anno in cui Johannes Gutenberg pose le basi per la nascita della stampa moderna attraverso l’invenzione dei caratteri mobili, si può far risalire l’inizio della cosiddetta globalizzazione, o meglio, la nascita del cosiddetto villaggio globale. Le grandi e piccole conquiste, per mare o per terra, i primi scambi commerciali, vicini e lontani, 20

hanno determinato contaminazioni culturali spontanee, intaccando, alterando, senza tuttavia snaturare le tradizioni che lentamente si radicano nella memoria storica dei popoli. Con l’avvento dei mass media, la storia dell’uomo ha cambiato irrimediabilmente il suo corso naturale, reale, determinato dagli istinti, dalle passioni, dalla ragione. Il potere esercitato dai mezzi di comunicazione di massa, di

ogni specie, impedisce la formazione di un pensiero libero individuale, castrando il libero fluire delle emozioni. Ragione e sentimento trovano la loro sintesi nel linguaggio che non è semplice mezzo descrittivo della realtà esteriore alla persona sensiente, quanto artefice e creatore della realtà stessa. Il meglio noto Stato Islamico che sta sconvolgendo gli equilibri geopolitici internazionali, causa apparente di


ARTICOLO DI FABRIZIO TORELLA FOTOGRAFIE DI REUTERS

NEI TUNNEL DI HAMAS Fondata dnel 1987, per combattere militarmente lo Stato di Israele, la cui presenza nella Palestina storica viene considerata illegittima.

un vero e proprio scontro di civiltà, a leggere la bibbia della conoscenza moderna, Wikipedia, sarebbe nato da una costola di Al Qaeda, il gruppo precursore del terrore musulmano ai tempi moderni. Uno dei suoi leader indiscussi, se non addirittura il capo supremo – vai a capirci qualcosa - Abu Bakr al-Baghdadi, dopo essere stato detenuto presso un carcere iracheno controllato dalle forze armate statunitensi, venne rilasciato con grande stupore di alcuni dei massimi vertici delle forze di sicurezza. Da quel momento, le sue tracce seguono due percorsi paralleli: quello dell’informazione ufficiale dei grandi network e quello alternativo dei mille rivoli di controinformazione che scorrono tra le maglie della rete virtuale. Secondo svariate fonti più o meno ufficiali (cioè?), il terrorista oggi più ricercato al mondo avrebbe

agito e tutt’ora agirebbe al soldo degli interessi di Stati Uniti e Israele, addestrato dal Mossad e dalla Cia, con il fine di destabilizzare il governo Siriano di Assad, e l’intero Medio Oriente. Se anche una minima parte di queste notizie fosse attendibile, descrittive di fatti e azioni accaduti concretamente, ancora una volta la realtà percepita da noi inermi spettatori risulterebbe falsata; impedita la nostra capacità di un pensiero il più possibile critico, libero. Un lettore ordinario - ma non disattento - del circuito informativo generalista, avrà potuto notare che l’attenzione mediatica nei confronti dello Stato islamico, che oggi a pochi mesi dall’onore delle cronache, conta inspiegabilmente un esercito di decine di migliaia di combattenti, organismi amministrativi e addirittura una moneta corrente,

conosce il suo zenit pressappoco durante la metà dello scorso anno. Il periodo coincide casualmente con la recrudescenza dei massacri di civili, spesso donne e bambini, nei territori palestinesi. La parabola ascendente dei nuovi terroristi corrisponde all’inasprimento della politica estera dello Stato di Israele. In questi giorni, non a caso, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, parlando davanti al Congresso degli Stati uniti d’America, ha rivendicato il diritto del suo Paese alla detenzione di armamenti nucleari, contestandone simultaneamente la prerogativa al vicino Iran. Si ha l’impressione che lo Stato di Israele necessiti della costante presenza di un nemico che dia senso alla propria stessa esistenza: l’aggressività caratterizzante la sua diplomazia internazionale dagli esordi tradisce un complesso di inferiorità ancestrale ma latente. Le vicende palestinesi - Un altro indizio a sostegno di questa tesi facilmente etichettabile come complottista, al pari di tutto ciò che non si conforma all’informazione generalista, è rappresentato dalle vicende politiche interne al quasi-Stato di Palestina. Il gruppo politico-terroristico Hamas, da varie fonti accreditato anch’esso vicino ai servizi segreti americani ed israeliani, è tuttavia considerato dalle opinioni pubbliche distratte e indottrinate, il capo espiatorio delle rappresaglie israeliane a danno della popolazione palestinese. Sono anni che Hamas rivendica il lancio di centinaia di missili contro gli insediamenti israeliani, a cui puntualmente fanno seguito le 21


!MPATTO - ATTUALITÀ N.5 | 11 Marzo 2015

infami, brutali e indiscriminate stragi di civili abitanti quel lembo di terra denominato Striscia. Anche in questo caso, un osservatore poco distratto potrebbe verificare quante sono state fino ad oggi la vittime accertate, perite sotto il fuoco dei Qassam, i missili che prendono il nome dall’omonimo braccio armato di Hamas, le brigate “Izz ad-Din al-Qassam”. Evidentemente, gli artiglieri di Hamas devono essere affetti da strabismo congenito se dopo oltre trent’anni di guerriglia, continuano inesorabilmente a fare cilecca. L’orrore normalizzato dall’informazione, legittima ormai anche l’ironia sulle violenze più atroci. La realtà dei fatti è ormai confusa dal flusso tumultuoso dei messaggi quotidiani omologati, presentati e offerti con la medesima dignità informativa, con eguale caratterizzazione etica e valoriale: dai conflitti armati che uccidono uomini e donne in carne ed ossa, passando per il solito gossip demenziale, fino ai consigli di seduzione amorosa del patetico esperto di turno. Il marketing commerciale impone prepotentemente modelli di status sociale e comportamentale, creando stati di ansia generalizzata, smarrimento individuale; soggiogando e manipolando le coscienze, i sentimenti, e le ragioni dei cittadini moderni, i consumatori. Oggi come oggi, in un qualsiasi Paese economicamente sviluppato, non possedere uno smartphone, non essere parte delle comunità di Whatsapp o di Facebook, non vestire alla moda, equivale a non esistere. Gli stessi meccanismi comunicativi esistono in politica, forieri di modelli e verità precostituite, dogmatiche. Così il pensare critico, dubbioso, indagatore, è etichettato complottista, come un brand sfigato da cui tenersi alla larga per non sentirsi fuori dal coro, stigmatizzati, emarginati. Per esistere. Per non esistere. 22

L’ISIS contro i foreign fighters Dissenso, defezioni e sconfitte sul campo di battaglia stanno cominciando ad erodere dall’interno la forza dell’organizzazione jihadista Stato islamico (Isis) in Siria e Iraq. È quanto scrive il Washington Post, riferendo in particolare di crescenti tensioni tra i foreign fighter e i combattenti locali per il trattamento di favore riservato ai primi. Secondo diversi attivisti interpellati dal quotidiano, ai combattenti stranieri viene infatti concesso di vivere in città, dove i raid aerei della coalizione internazionale sono più rari, mentre i miliziani siriani sono dispiegati nelle postazioni più vulnerabili agli attacchi e vengono mandati al fronte. Agli stranieri verrebbero anche riconosciuti salari più alti. Le sconfitte sul campo di battaglia starebbero anche erodendo la capacità dell’Isis di arruolare la popolazione locale che solo pochi mesi fa aveva sostenuto la causa dei jihadisti a fronte della possibilità di avere uno stipendio. Per questa ragione l’Isis starebbe reclutando un numero crescente di bambini, più vulnerabili alla propaganda del gruppo. “La principale sfida che oggi l’Isis deve affrontare è più interna che esterna - ha detto al Wp Lina Khatib, direttore del Carnegie Middle East Center di Beirut - stiamo assistendo a un crollo del principale cardine dell’ideologia dell’Isis, ossia unire persone di origine diversa sotto il califfato. Questo non avviene sul terreno. E li sta rendendo meno efficaci nell’azione di governo così come nelle operazioni militari”.

CORPO TERRORISTICO O POLITICO? L’Europea considera Hamas come gruppo terroristico dal 2003, tuttavia nel 2014 è stato dichiarato che tale deliberazione è figlia di un vizio di forma.



!MPATTO - ECONOMIA N.5 | 11 Marzo 2015

Quantitative Easing e l’Europa in bilico

Articolo di Marco Tregua

Riduzione della valutazione dell’Euro e calo dello spread, mentre la Grecia rischia il default e le Borse reagiscono cautamente preoccupate dalla situazione nel Peloponneso. Sull’ago della bilancia pendono situazioni differenti: Bruxelles e Grecia. I segnali positivi per l’effetto quantitative easing e il contrappeso greco. Entusiasmo frenato per la scossa europea.

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l Quantitative Easing dà una scossa all’Europa, ma la zavorra rappresentata dalla Grecia, che rischia sempre più il default dopo la richiesta di proroga del Governo Tsipras alla restituzione e la richiesta di nuovi finanziamenti, soprattutto nei confronti della Germania. Le iniezioni di liquidità, difatti, hanno portato benefici immediati alle economie europee, dato che le banche centrali hanno comprato oltre 3 miliardi di titoli del settore pubblico, riducendo la valutazione dell’Euro nei confronti del Dollaro

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e, in aggiunta, portando in leggero calo lo spread, a livelli che non venivano registrati da oltre due anni. Le Borse, però, non hanno reagito positivamente come ci si aspettava, poiché preoccupa la situazione della Grecia, le cui condizioni sono legate “a doppia mandata” al resto dell’Europa e gli indici calano di circa l’1% in Germania, Francia e Italia. Questo dato frena, quindi, l’entusiasmo con cui era iniziata la giornata, in particolare il tweet con cui si era dato inizio alla procedura di quantitative easing, che durerà per i

prossimi 20 mesi, salvo immediata risoluzione delle condizioni inflattive, in base alle indicazioni della Banca Centrale Europea. Cosa c’è dietro la scelta del quantitative easing? Uno sguardo al passato, innanzitutto, dato che fu la Banca del Giappone a realizzare un’operazione simile durante la Grande Recessione, quando iniziò a stampare banconote per poter colmare quote del proprio debito. Oggi l’Europa intraprende lo stesso percorso, con un tetto di 60 miliardi di Euro al mese e con alcuni stati particolarmente interessati


alla procedura di acquisto, soprattutto Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna e Belgio sono considerati come i potenziali maggiori beneficiari, anche per l’effetto attrattore di investimenti; alcuni investitori di profilo elevato, difatti, sottolineano la maggior appetibilità dei debiti sovrani, che, sebbene a rendimento ridotto, acquisirebbero una maggior credibilità rispetto al passato. Resta, tuttavia, l’incertezza legata alle condizioni della Grecia per l’effetto domino che un default del paese ellenico potrebbe comportare in tutta Europa, con conseguenze dirette sulla posizione di liquidità degli stati membri dell’Unione Europea, ma ancor di più con una scossa preoccupante alla credibilità del piano di interventi realizzato da Draghi e dal suo staff. In sintesi, quindi, il territorio europeo è sussultato da positivi segnali di matrice finanziaria per l’effetto quantitative easing, ma le “scosse” provenienti dall’Egeo sembrano essere annunciatrici di peggioramenti dell’equilibrio. Quale epicentro diffonderà i maggiori effetti, Bruxelles oppure Atene? Ai sismografi dello staff di Draghi l’ardua sentenza.

IN THE PAST

Who has done Quantitative Easing before European Central Bank? The US Federal Reserve, the Bank of Japan and the Bank of England are three major central banks that have spent trillions on quantitative easing. The Bank of England spent £375bn over three years before it stopped in late 2012, and the Fed reached $4.5tn over more than five years before it brought the curtain down last October. The Bank of Japan is still pumping money into its economy, and even ratcheted up its programme just two days after the Fed ended QE. When the Fed and Bank of England embarked on QE in recent years, it was described as unprecedented. This is not entirely true. After the Wall Street crash of 1929 and the subsequent banking crisis, the Fed started buying Treasury bonds on a big scale to keep yields low, beginning in 1932. Then in 2001, Japan had a stab at quantitative easing, after what became known as the “lost decade” of the 1990s, when property prices slumped and banking lurched from crisis to to crisis.

What is Quantitative Easing? Written by Phillip Inman What is quantitative easing? It is also called “printing money”. But rather than dishing out sacks of newly minted coins and notes, central banks use a more complicated process to inject cash into their economies – by buying assets, typically government bonds, from banks or other financial institutions such as pension funds. The hope is that banks will use the extra funds to increase lending to households and businesses. QE is used when central banks run out of other (more conventional) options, such as reducing borrowing costs. At the moment, interest rates are so low globally that further cuts would do little to revive ailing economies. What does it involve? The European Central Bank said it would buy €60bn of public and private sector securities a month from March, until September 2016. Generally, QE involves creating electronic money – rather than actually cranking up the printing presses – and using it to buy government bonds from the market. Willing sellers tend to be commercial banks that can re-cycle the money through loans to companies or consumers in the form of mortgages or car credit. How does it boost economies? Banks that increase their lending using QE funds are expanding the supply of money in the economy. Turning on the money tap allows companies that need overdrafts and short term loans to survive, while others can make investments through longer-term loans. But, as experts point out, the impact of eurozone QE is heavily dependent on the money reaching businesses and households rather than merely flowing to banks’ balance sheets. The ECB also hopes to bolster confidence and push down the value of the euro in currency markets, giving a boost to exporters. Will it work today? Some argue that the ECB should have acted sooner. One problem is that while the US acted quickly to rid its banking system of toxic assets, putting them in a better position to increase lending when QE arrived, the eurozone has not done this. Critics also note that QE will ease the pressure on economies like France and Italy to carry out badly needed structural reforms. Larry Summers, the former US treasury secretary, says QE works best when there is an element of surprise, and scope to reduce bond yields. But bond yields are already very low. The size of the ECB’s QE programme had an “awe” effect even though the central bank had been publicly flirting with QE since last summer. It seems certain that doing nothing would have made things worse. If anything, QE could boost confidence in the eurozone.

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!MPATTO - SPETTACOLO N.5 | 11 Marzo 2015

Cultura & Spettacolo Liliana Squillacciotti

RISUS ABUNDAT IN ORE STULTORUM L’italiano medio se la ride sguaiatamente. Mentre i suoi difetti sono messi in mostra sul grande schermo, ride della sua indignazione. Lui, furbo e inconsapevole di trovarsi allo specchio, si appaga del trash di cui è protagonista.

Italian Cinema by The Guardian Investment in the film industry last year fell off a cliff. Government statistics put it 27% lower than in 2012. “Italian cinema is like the country – on its knees,” said Isabella Ferrari, one of the stars of The Great Beauty, last week. The increase in ticket sales last year was largely down to just one movie. Sole a Catinelle, starring a southern comic, Luca Pasquale Medici (aka “Checco Zalone”), earned €52m (£41m) in Italy – more than any Hollywood blockbuster has ever done. It may not have been to the taste of some critics – La Stampa called Zalone “the champion of trash humour” – but in February Sole a Catinelle won international recognition when it was awarded the top prize at the Monte Carlo film comedy festival. John Hooper

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l riso, si sa, abbonda sulla bocca degli stolti. Ma, non volendo in nessun modo contravvenire alle verità assolute generate dalla saggezza popolare, in che modo questo assioma può combaciare con l’idea che vede l’autoironia come espressione più alta, evidente ed inequivocabile di una viva e rara intelligenza di fondo? Saper ridere di se stessi, delle proprie manie, dei propri difetti non è esattamente una qualità 26

MARCELLO MACCHIA in arte Maccio Capatonda. Nel 2013 è ideatore, regista e interprete principale della serie tv Mario.

appartenente alla massa. I confini, in questo ambito, sanno essere estremamente sottili, e passare dall’autoironia partecipativa all’inconsapevole presa in giro, il passo è davvero breve. In questo eterno via vai di risate, intrise di ironia e sarcasmo, in che posizione si pone quell’essere mitologico conosciuto con l’appellativo di “italiano medio”? L’italiano medio, quello che la domenica pomeriggio subisce, senza colpo ferire, la

lobotomia calcistica mentre, legalmente, gli sfilano anche il portafogli dalla tasca, come si pone nei confronti di chi ha imparato a sfruttare i difetti, le manie, le passioni, le intolleranze che lo delineano in un eterno ritorno di luoghi comuni? L’italiano medio, da bravo italiano medio, ride. Ride di cuore, credendo così di potersi vantare di quella, solo presunta, vivace autoironia che a sua volta sa essere sinonimo di un’ intelligente


percezione di sé. Almeno così deve avergli detto la nutrita schiera di opinionisti televisivi. E la tv, si sa, non mente mai. “Non litighiamo mai più, ti prego!”, Homer Simpson insegna. L’italiano medio è bersaglio continuo di ogni tipo di bombardamento mediatico con finalità comiche, promosso dalla rete nazionale. E non lo sa. L’inconsapevole ingenuità di fondo, è disarmante. Il credere fermamente di trovarsi dalla parte di chi punta il dito e ride (“AHHA!”, Nelson. Ancora Simpson.) quando si è invece oggetto di quella stessa ilarità, che non accenna a placarsi. Dalla musica alle sale cinematografiche, dal teatro alla televisione. La comicità, in questo senso, appare semplice, scarna, non combatte il luogo comune ma lo alimenta creando una voragine di cui è difficile percepire il fondo. Qualora un fondo esistesse. Scavare, è pur sempre una possibilità. L’Italia è una Repubblica fondata sul controsenso. Sull’assurdo, sul verosimile e non sul vero, sulla capacità di ridere davvero di tutto, anche della propria indignazione. E il riso continua ad abbondare sulla bocca degli stolti. La scarsa sicurezza dell’italiano medio - Ridere ad alta voce, in maniera sguaiata. Ridere, fino a non sentire più i propri pensieri. Ridere credendosi superiori; più furbi, più intelligenti, più scaltri. Ma di cosa, di chi? In fondo questa è la base della forma mentis del Bel Paese. Sentirsi una spanna sopra gli altri, perché in un passato che sa di antichità qualche possibile avo avrebbe potuto far parte di coloro i quali, il mondo, lo ebbero davvero in un palmo di mano. Perché è risaputo, crogiolarsi in un passato rassicurante, magari attaccati ancora alla sottana della mamma, fa sentire forti tutti.

L’italiano medio è un insicuro. Cerca, nel diverso da sé, l’origine di tutti i propri mali. Tende l’indice, in una litania continua fatta di scuse, giustificazioni e accuse gratuite a chi, con il suo insuccesso, c’entra poco e nulla. Soffre, spesso, di manie di persecuzione. Grida al complotto, ad un mondo che sembra essere stato creato per ostacolarlo. Quando, guardando con un minimo di onestà intellettuale (e non) la propria vita, capirebbe che l’unico ostacolo posto tra se stesso e gli obiettivi posti, è quell’aura di mediocrità in cui è ormai abituato a vivere. Tra gossip di quarta lega e mercificazione del dolore. Tra presentatrici dalle mille faccine e presentatori pronti a generare la notizia dall’avvilente nulla.

L’italiano medio sa ridere davvero di se stesso, o ride di ciò che pensa siano gli altri, tutti gli altri? È un po’ come trovarsi in un’enorme casa degli specchi, di quelli che non si limitano a riflettere, ma che distorcono la realtà, continuando a far rimbalzare quell’immagine distorta da una superficie all’altra, generando il caos. Un risultato quasi pirandelliano, dove la verità effettiva delle cose assume i contorni incerti del miraggio. Specchiarsi e non riconoscere se stessi è un risultato già di per sé grottesco. L’italiano medio non risulta essere autoironico, è più che altro poco attento, o volutamente distratto. Giustifica la propria incapacità di concentrarsi con i problemi al sapor di crisi lasciati a prendere

IN ALTO AL CENTRO Paolo Ruffini assieme a Frank Matano. A SINISTRA La mitica coppia dei cinepanettoni, Cristian De Sica e Massimo Boldi. A DESTRA Paolo Villaggio in Ugo Fantozzi. 27


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polvere a casa. Come se il periodo di congiuntura economica mondiale, possa in qualche modo giustificare anche una sorta di appiattimento non semplicemente culturale, ma neurale. Che siano dunque spiegati gli innumerevoli anni di “Uomini & Donne”. L’italiano medio è ormai lontano dallo stereotipo portato avanti da Paolo Villaggio ed il suo ragionier Fantozzi, ha dismesso i panni dell’esasperato servilismo per vestire quelli del trash più assoluto. Maccio Capatonda, al secolo Marcello Macchia, gli ha recentemente prestato l’identità. Ancora una volta, sul grande schermo scorrono immagini prevedibili, intrise di ripetitività. Il terreno è quello conosciuto da tutti, e quello che tutti denigrano. Ma questa volta non si parla di cinepanettoni, quindi appare tutto più concesso. L’effetto Matrioska - Le sale si riempiono, i pop-corn si vendono, e si crea un fenomeno particolare in cui la quasi totalità dei posti presenti, è occupata da quasi altrettanti possibili protagonisti del film proiettato. Effetto matrioska. Effetto meta cinema. Effetto “Inception”, se si trattasse di Nolan. Ma Nolan non c’è. E non c’è nemmeno la consapevolezza di ciò che sta accadendo. Se ci fosse, potremmo ad oggi affermare a gran voce che l’italiano medio, tra i mille difetti, tra le mille manie, passioni ed intolleranze; riesce a trovare la dimensione in cui potersi definire a pieno titolo “autoironico”. Invece, l’italiano medio ride, con chi lo deride, del proprio vicino di posto, per il quale il fenomeno è ovviamente reciproco. L’Italia è una Repubblica fondata sulla scheggia nell’occhio altrui. Le travi, restano ben piantate dove sono, e il riso continua ad abbondare sulla bocca degli stolti. 28

Capatonda diverte con la sketch-comedy. “Mario” secondo il critico Aldo Grasso.

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hi è «Mario»? È un trovatello abbandonato di fronte alla sede di un canale tv e cresciuto amorevolmente dalla dirigenza della rete, che ne fa il suo anchorman di riferimento, il giornalista di punta dell’edizione delle 13 del telegiornale Mtg. «Mario» è la prima fiction sketchcomedy tv interpretata su Mtv da Marcello Macchia, ovvero Maccio Capatonda, l’autore (già dai tempi di «Mai dire» e poi con «Flop Tv») di molti personaggi comici cult, dai protagonisti di Drammi medicali alla saga radio-televisiva Mariottide (il giovedì alle 22.50, sabato sera maratona degli episodi migliori). Lo stile di Maccio si gioca tutto sul filo di una vena comica tra l’ironia demenziale e il non sense, con qualche dose di pulp e politicamente scorretto in abbondanza: graffia, ma non lascia il segno. Quando questo strano mix gira bene, riesce a generare dei ritratti interessanti sui vizi e sulle manie collettive del nostro Paese. In «Mario» il tutto si applica a un gioco impietoso sui tic dell’informazione tv: il protagonismo dell’anchorman, l’ossessione per il meteo, le domande importune ai protagonisti dei casi di cronaca nera, gli inviati in collegamento con ben poco da raccontare, i servizi sugli animali.

CHECCO ZALONE Luca Medici, avvocato e pianista al Conservatorio, ha scelto come nome d’arte Checco Zalone in dialetto barese, equivale all’espressione: che tamarro!


UNA MOSTRUOSA ED ETEREA SOLITUDINE ARTICOLO DI LUISA ERCOLANO

L’individuo moderno alla ricerca della propria identità. Un uomo frammentato nel suo essere omologato tra solitudini e ossessioni contemporanee. Alla ricerca di un senso, senza sosta, senza respiro nel disperato bisogno di qualcuno che accolga il proprio io.

Mary Godwin Shelley Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin, fu una scrittrice, saggista e biografa inglese. È l’autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus), pubblicato nel 1818. Curò le edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley.

una domanda all’apparenza tanto semplice e banale quanto: “Chi sei?” Chi siamo? Se lo chiedeva anche Paul Gauguin, che, nel 1897, intitolò una sua tela proprio “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, riprendendo quelle che possono considerarsi le domande esistenziali di ognuno di noi.

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ho are you? He never gave me a name ... Nelle scene finali del Mary Shelley’s Frankenstein, horror splatter diretto e interpretato da Kenneth Branagh nel 1994, Robert Walton (interpretato da Aidan Quinn) chiede alla Creatura (cui presta magistralmente il proprio volto Robert De Niro), sorprendendola a piangere sul cadavere di Victor Frankenstein (interpretato proprio dal regista, Kenneth Branagh), di rivelargli chi egli sia. Tuttavia,

il povero Mostro non ha una risposta per il giovane capitano: il suo creatore non gli ha dato un nome, privandolo in tal modo di un’identità, e costringendolo ad un’affannosa ricerca, che lo porterà, in quel triste frangente, a riconoscere il proprio creatore, finora accusato di essere la causa di tutte le sue sventure e l’origine delle sue sofferenze, come suo padre. Al pari del Mostro nato dalla penna di Mary Shelley circa due secoli fa, anche l’uomo di oggi non è del tutto in grado di rispondere ad

Uno, nessuno e centomila - Chi sono? È la domanda che ci assilla tutta una vita, alla quale difficilmente riusciamo a dare una risposta. O, per lo meno, una risposta sola. Perché a nessuno di noi corrisponde una sola identità. Siamo tutti “Uno, nessuno e centomila”, come sosteneva Pirandello, mandando in crisi un suo personaggio per un naso storto. In ognuno di noi, infatti, risiedono diverse identità, diversi concetti con cui gli altri si riferiscono e noi ci riferiamo a noi stessi: siamo i figli di, i fratelli o le sorelle di, le mogli, i mariti, i genitori di, gli amici di… e questi mille volti sono tante piccole tessere dell’immenso mosaico che, in fondo, chi più chi meno, tutti 29


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PARMA

Modigliani e la sua Parigi

Mater. Percorsi sulla Maternità

Henri Matisse Arabesque

Dal 14 Marzo al 12 Luglio 2015, a Torino presso la Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, saranno esposte circa novanta opere di Amedeo Mogliani, tra cui sessanta capolavori provenienti dal Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou di Parigi.

Dal 8 Marzo al 28 Giugno 2015, a Parma presso il Palazzo del Governatore, si tiene la Mostra, promossa dalla Regione Emilia Romagna, Diocesi di Parma e MiBact, valore ancestrale e antico che da sempre accompagna il destino dell’Umanità, ossia la maternità.

Dal 5 Marzo al 21 Giugno 2015, a Roma presso le Scuderie del Quirinale, si tiene una Mostra, curata da Ester Coen, che vuole restituire un’idea delle suggestioni che l’Oriente ebbe nella pittura di Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi e i suoi colori.

LA MIA IMMAGINE Sentirsi sul bordo, dovendo scegliere come vivere. Tra sostanza ed apparenza, tra immagine e concretezza. 30

ROMA

TORINO

noi siamo. Ma qual è il disegno che queste tessere, questi piccoli frammenti variamente colorati vanno a comporre quando, con mano più o meno esperta, andiamo a porli uno accanto all’altro? Qual è l’immagine che viene fuori alla fine? Il risultato finale, il quadro completo, mostra una piccola ombra solitaria e sola, con una disperata necessità di essere amata dagli altri e, al contempo, terrorizzata dal contatto umano, che preferisce nascondersi dietro l’anonimato dello schermo di un computer o una faccina sorridente sullo smartphone per non essere ferita, che indossa mille maschere per difendersi da un mondo del quale vorrebbe far parte ma che, al contempo, la terrorizza. Che riesce ad essere sola, perdutamente sola, anche in una stanza affollata. Paradossalmente, in un mondo in cui tutto e tutti sono a portata di mano, riusciamo ad essere sempre più soli e lontani ogni giorno che passa. In un mondo in

VENEZIA

Henri Rousseau Dal 6 Marzo al 5 Luglio 2015, a Venezia presso il Palazzo Ducale, si tiene una Mostra, promossa da Musées d’Orsay, su Henri Rousseau, famoso per le atmosfere oniriche, le foreste e i paesaggi incantati, sfugge da sempre a qualsivoglia catalogazione.

cui non ci manca nulla e nel quale non potremmo fare a meno di essere relativamente felici, non facciamo altro che maledire la nostra esistenza, quella vita che non abbiamo chiesto di avere, quella luce nella quale non abbiamo chiesto di venire, nella quale ci hanno trascinati, promettendoci amore e poi abbandonandoci a noi stessi e all’inclemenza del mondo, per poi scaraventarci giù, di nuovo nelle tenebre, alla ricerca di altri come noi, di altre anime perdute. E allora cerchiamo - Perché, anche se ci rivestiamo della nostra solitudine come di un’armatura difensiva per proteggerci dagli altri, degli altri abbiamo bisogno, perché nella solitudine quale felicità, quale gioia si può trovare? O, se anche la si trovasse, chi riuscirebbe a goderne appieno? Nessuno. E allora cerchiamo, cerchiamo senza sosta, senza respiro, ci affanniamo, corriamo in lungo e in largo, alla disperata quanto forse vana ricerca di qualcuno che ci accetti. Ma, più di


MENTRE IL MONDO SCORRE Treni in corsa, ore ad aspettare, stazioni a cui scendere dimenticando chi siamo o cercando, per quanto possibile, di ritrovarsi.

tutto, di qualcuno che ci ami così, con le nostre infinite maschere; che ci protegga, che ci difenda dalla nostra solitudine e da quella degli altri. Che ci dica che non c’è nulla di diverso, in noi, che non c’è nulla di sbagliato, che non siamo noi il mostro. Che una maschera che ci renda uguali agli altri, per non esserne scherniti, per non esserne abbandonati, per non avere un dito puntato contro da qualcuno che motteggia alla nostra unicità considerandola stranezza, non ci serve, non è necessaria. Non chiediamo altro, noi, piccoli mosaici, puzzle a cui manca sempre un pezzo, immagine che si riflette distorta in uno specchio crepato, generandone mille altre, che l’approvazione altrui. Ne abbiamo un disperato bisogno, esistiamo per essere approvati. Tutto quello che facciamo, lo

facciamo perché gli altri lo vedano e lo approvino, ci dicano quanto siamo stati bravi, ci applaudano e ci lodino. Ci vestiamo al mattino per pubblicare sul Facebook l’outfit del giorno e aspettiamo con ansia quel numeretto rosso, in alto sulla barra, che ci dica quanti complimenti abbiamo ricevuto per essere stati in grado di abbinare una maglietta a un paio di pantaloni. Leggiamo un libro solo per condividere sagge citazioni e riflessioni sul senso della vita, che magari nemmeno ci appartengono, ma che danno di noi una precisa impressione, ci fanno apparire interessanti, attirano gli altri. Lodiamo in pubblico ciò che piace alla massa e, allo stesso modo, disprezziamo in pubblico ciò che tutti detestano in modo da convincere gli altri che siamo come loro, non abbiamo il coraggio di

IN ALTO Frankenstein interpretato da Robert De Niro nel 1994 (diretto da Kenneth Branagh) e interpretato da Aaron Eckhart nel 2014 (diretto da Stuart Beattie)

mostrare un’opinione dissonante per paura di essere allontanati, guardati con disprezzo perché abbiamo il coraggio di pensare con la nostra testa, perché abbiamo un cervello e non temiamo di usarlo. Un confuso e caotico noi - E allora annulliamo la nostra individualità, ciò che ci rende unici, in favore dell’omologazione, del diventare tutti uguali, tutti mosaici in scala di grigio, senza colore, senza niente che ci faccia risaltare, senza nulla che ci faccia brillare. Senza nulla che ci renda un “io”, in mezzo ad un confuso e caotico “noi”. Tutto per essere approvati. Tutto per essere amati, anche da chi ci distrugge. Tutto per sfuggire a quella mostruosa solitudine che ci portiamo dentro e che, non importa cosa facciamo, non ci abbandonerà mai. 31


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E IL PRIMO MORSO FU PECCATO

Nell’eterna ricerca della redenzione, l’umanità procede in un ossessivo controllo di ciò che ingerisce mentre la realtà sfugge da ogni parte. Tra chi tocca e addenta e chi guarda e si trattiene, il frutto proibito tenta e cerca di corrompere.

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i gola fu il primo peccato. Un serpente, infido e silente, avvicinò il primo uomo e la prima donna. Seducente, il rettile, li corruppe con un pomo rosso lucente. Il morso di una mela condannò l’umanità a perdere il proprio Eden e a vivere alla ricerca della redenzione. Oggi, scissa tra tentazioni e punizioni, c’è una TV che avvicina e condanna. Piatti essenziali, pietanze invitanti. Cucina francese, italiana, orientale. Dolci e design. Frutta e cupcake. Bombardamento perenne del quotidiano palinsesto, gli show cooking dettano ingredienti e dispensano consigli. Che sia entrée, finger o dessert, mostrano, aiutano e guidano nella preparazione del piatto. Dogmatica è l’impostazione dei format: ambiente spartano, ma colori sgargianti. Piatti revival di antiche ricette. Spesa modesta, ingredienti comuni. Padelle e stoviglie di non troppe pretese. Infine, frutto di attenti e approfonditi studi, c’è la scelta del cuoco o la cuoca. Mero strumento voluto dal marketing, in cucina ci attende un volto di donna ridente. Casalinga di nuova generazione, preda del tempo che corre e che

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sfugge, tra figli, un marito, la spesa e lo sport. È goffa dietro ai fornelli, il taglio impreciso, l’ordine è poco, ma in qualche minuto, tra un timer che suona e un ruoto che scotta, sono in tavola piatti alla portata di tutti. Oppure c’è un cuoco, o un giovane chef. Carino, simpatico, sorriso smagliante. Spadella, sfiletta, sminuzza e rassetta. La sua mano esperta rassicura e incoraggia, regalando, stavolta, l’impressione che tutto sia semplice. Immedesimati nell’una o ispirati dall’altro, giochiamo col cibo e con i nostri strumenti. Impariamo i trucchetti, gli ingredienti segreti. Spendiamo e spandiamo, convinti di fare cucina fusion e cucina gourmet. E ancora, i reality: sfide appassionate di comuni mortali, incitati o offesi, esortati alla competizione da chef esperti, giudici severi. Le regole del gioco seguono copioni ben precisi che da anni si ripetono in diversi paesi del mondo. I concorrenti, col capo chino sugli ingredienti, cucinano sudati e agitati, sfidando il tempo che è sempre più poco. Con la pretesa che il set di un programma sia un reale esercizio sul campo, questi programmi promettono di insegnare in pochi

articolo di Francesca Spadaro


mesi tutto quello che uno chef ha imparato in anni di duro lavoro e sacrificio. Anni in cui si è mosso silenziosamente e frettolosamente nelle cucine senza orario di grandi maestri, dove ha studiato le tecniche e le materie prime. Programmi che promettono di insegnare in pochi mesi tutto quello che uno chef, forse, non impara in una vita. E così illusi e abbagliati da un mondo che è sempre più ammaliante, i concorrenti, i comuni mortali, lasciano casa, lavoro, famiglia per andare a conquistare il regno di una grande cucina. Schizofrenia mediatica - Ma poi basta un click, cambiamo il canale e cambia registro. Primi piani di corpi mortificati dall’adipe, danni degli organi e vite sospese. Umiliazione del grasso, condanna del fritto, deplorazione di ogni forma di food che sia Junk, spazzatura, rifiuto del corpo e della società. Contenuti e immagini vengono impacchettati in programmi serali, confinati oltre lo schermo. Tenuti a distanza. Disgustati e terrorizzati assistiamo a questa mediatica condanna dell’opulenza che getta gli obesi in un inferno di diete e flessioni. Chirurgia oversize, addomi mollicci, bypass gastrico e liposuzioni sono spiattellati in mondovisione come monito all’abuso di cibo. Cibo che sugli altri canali, viene cotto, venduto, adorato. E questa tv che premia chi cucina e punisce chi mangia, disintegra il piacere, non integra un bisogno. Schizofrenia mediatica, dunque. Perché schizo è scisso, non integrato. E se nella patologia ad essere scissa è la “phrene”, la mente, e non integrate le sue funzioni, oggi i media riflettono la scissione di una società, suddivisa in tanti – singoli e soli – individui. Sempre più

ALAIN DUCASSE chef francese, ha ottenuto 21 stelle Michelin in carriera.

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!MPATTO - GASTRONOMIA N.5 | 11 Marzo 2015

“cibomaniaca”, la società è divisa tra chi muore di fame e chi muore d’abbondanza. Mutevole, la società tenta, seduce e spinge al consumo o addita e allontana gli eccessi di un corpo corrotto, che cede agli impulsi e che perde il controllo. E noi, gli individui, ci aggiriamo, persi e isolati nel villaggio globale, alla costante ricerca di una identità, di un ruolo, di un credo o di un partito morale in cui riconoscersi, con cui immedesimarsi. Perché identificarsi significa riappropriarsi della sensazione di essere parte di un tutto. Questo tentativo di unicizzazione e ri-personalizzazione dell’individuo, questo disperato bisogno di appartenere a qualcosa è espressione del desiderio di ottenere di nuovo il controllo. Di non sentirsi merce alla mercé delle mode e dei media. E in un mondo in cui siamo sempre di più e abbiamo sempre di meno. In un mondo in cui avere è diventato un privilegio di pochi, ci riappropriamo del controllo dell’essere, essere come apparire, apparire di un corpo. Perché il corpo è l’unica certezza che sappiamo di avere. I nostri credo diventano diete e noi i controllori accaniti. Tribù alimentari - È l’era del “Homo Dieteticus”, come titola l’ultimo libro dell’antropologo Marino Niola. Approfondito, meticoloso e affascinante è lo studio dell’antropologo. Viaggiando tra i territori impervi di un’umanità frustrata e insicura, il prof. Niola descrive questo nuovo stadio dell’evoluzione, in cui le Diete severe, privanti e punitive diventano «i trattati del comportamento di questo tempo senza certezze e senza sicurezze». Divisi in “tribù alimentari”, sempre più ghettizzate e ghettizzanti, ci uniformiamo, differenziandoci dagli altri. Vegetariani, vegani, crudisti, macrobiotici, tutti che rivendicano supremazia e verità dei propri 34

Lo spoiler sulla finale di Masterchef? Striscia la Notizia ha fatto bene!

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l paese del gossip, del chiacchiericcio e del buco della serratura manomesso ha ancora la forza di inalberarsi. Lo stesso paese che ha fatto toccare al Grande Fratello punte del 60% di share e che ora tiene gli occhi incollati su Cayo Cochinos teatro dell’Isola dei Famosi in attesa di una tresca o di una lite è ancora capace di inorridire. Striscia la Notizia svela i vincitori della quarta edizione di Masterchef con due giorni di anticipo e scoppia il finimondo: “La voce dell’indecenza” – il lungimirante sottotitolo di quest’anno del tg satirico di Canale 5 – scuote le case degli italiani a colpi di indignazioni e sbalordimenti. Per così poco. Antonio Ricci ha peccato perché ha avuto l’ardire di violare una delle poche regole sacre dei nostri tempi: lo spoiler. E si è scelto anche il pubblico perfetto da far incazzare, quello di Sky. Molto social, mediamente acculturato, in buona parte radical, accanito fan di serie tv straniere. Dove le anticipazioni sono il Male assoluto Non è la classica trovata per recuperare ascolti – Striscia non ne ha bisogno: 20% medio, testa a testa quotidiano con Affari Tuoi senza né vittorie larghe né sconfitte sonore – ma una lucida strategia, il tentativo deliberato quanto ambizioso di spostare l’asticella, di esplorare l’insondabile. Vedere cosa c’è oltre la tv che abbiamo fin qui conosciuto, infrangere i suoi tabù, e capire l’effetto che fa. L’esperimento è nuovo e allo stesso tempo urticante, di conseguenza disorienta, sconcerta, offende. Esattamente la parte migliore della poetica di Striscia. Dalle soffiate sui vincitori di Sanremo ai fuorionda, dalla battaglia con i pacchi di Raiuno agli scandali svelati in diretta Gabibbo e compagnia hanno sempre fatto come volevano. Creando tormentoni e personaggi, dettando l’agenda, riscrivendo la grammatica televisiva. In un momento storico in cui ci si interroga parecchio sul giornalismo e sulle sue regole è una mossa di certo azzardata. Ma a ben vedere non ci perde nessuno: se Striscia e Canale 5 si sono portati a casa il loro picco di ascolti, non vediamo perché non debba accadere lo stesso per Masterchef e Sky Uno, con l’affezionato e indignato pubblico ancora più invogliato a seguire la finale o per una vicinanza quasi ideologica al programma o anche solo per vedere se il pronostico declamato da Max Laudadio sia giusto o meno. Per non parlare della coda lunga sui social, gli hashtag (spicca #striscianospoiler), i tweet, i nuovi follower, i brand di entrambi che crescono. Win-win insomma, anche se non dovesse vincere Stefano. Ops. Giordano Giusti - Giornalettismo.com

I TRE GIUDICI DI MASTERCHEF da sinistra a destra, il sette stelle Michelin, Bruno Barbieri, il pluripremiato Carlo Cracco, e Joe Bastianich. Dalla quinta si unirà Antonino Cannavacciuolo.


FOOD PORN - FASHION

FOOD PORN - JUNK

Il fashion e il sopraffino simbolo di una società che declama il buongusto e serve piatti di estremo lusso.

Grasso, unto e salato per riempirsi fino ad esplodere, per colmare un vuoto e non implodere. Cibo spazzatura, tra golosità e peccato.

dogmi con integralismo escludente. Tutti, atti a castigare bisogni e desideri, ripudiano il piacere della gratificazione immediata e «resistono alle tentazioni gastronomiche». Ciò che emerge da questo spaccato degli uomini e delle donne di oggi, da questo bignami, disamina nelle nuove psicopatologie della vita quotidiana, è una società dall’anima smarrita, che parla, che grida aiuto attraverso il corpo. Volti emaciati combattono ventri opulenti, diete imperanti contro panini tracimanti. Trattato di un’umanità che si scinde, ancora una volta, tra chi vince “guardando ma non toccando” e chi è vinto e inghiottisce ad occhi chiusi. E l’ossessivo controllo di ciò che viene assunto diviene atto sublimatorio e provvidenziale «come se riconoscere ed eliminare tutti pericoli– reali o immaginari – che si annidano in quel che mettiamo dentro di noi ci desse l’illusione di riconoscere ed eliminare tutti i pericoli che si annidano fuori di noi». Le mine che invadono il presente - Crisi economica, disoccupazione, inquinamento, sono mine che invadono i campi del presente. Piaghe del nuovo millennio, configurano un futuro incombente e apocalittico. Ecco che in uno spazio-tempo così incerto «il controllo sugli alimenti diventa il succedaneo consolatorio di una realtà che ci sfugge da ogni parte». Atterriti dall’attesa di quel che resta del mondo, gli uomini si sentono colpevoli e puniti. E l’umanità tutta, procede in un’eterna ricerca della redenzione, resistendo con pervicacia al morso di quel pomo che le fece perdere il suo Eden.

Are ‘food porn’ selfies damaging the intellectual property of chefs? Written by Wayne Beynon www.capitallaw.co.uk

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Published by The Guardian

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hether you love it or hate it, there’s no denying that the new cultural obsession with documenting pictures of our food on social media channels shows no sign of abating. For some social media naysayers, this behaviour is rude/pathetic/tragic in equal measure, while for those who have wholeheartedly embraced the new social media era, it is an integral part of their online lives. With pictures usually accompanied with a cacophony of hashtags including #foodporn, #tweetwhatyoueat, #instafood... the list goes on. There are lots of theories about why people like to share pictures of food. In most cases, people are simply documenting their daily lives, of which mealtimes may be a highlight. As eating is one of society’s most essential communal activities, sharing food photos is a natural extension of this in a digital age. Some simply love beautiful “food art” shots, while others suggest that food has become a status symbol, and by sharing a photo of a meal, particularly from a high end restaurant, you raise your social media hierarchy. No matter the reasons why we share photos of food, we do. Americans are said to be sharing more than 50m photos a day on Instagram alone. And we’re clocking up a significant number over here, too. But it’s all a bit of harmless fun, right? Wrong. Well, if you’re a French chef that is. u

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LE STELLE NAPOLETANE

DI FRANCESCA SPADARO

Ai piedi del Vesuvio, distesa come una sirena, la città riluce delle sue stelle. Le stelle Michelin per Palazzo Petrucci, Sud, Taverna Estia e Hotel Romeo. Dalle mani di chi crea con amore al sorriso di chi è accolto ed accoglie questo amore.

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raggi del sole infrangono le nuvole. Ancora assonnati, si distendono nello spazio infinito del cielo e si allungano a toccare il mare. Come bimbi nell’acqua a giocare, schizzano di colore quel vulcano imponente. È il Vesuvio, padre austero e taciturno, che osserva, fiero, la sua Napoli, città di voci e di rumori, e gode del suo silenzioso risveglio. Illuminate, le strade di Napoli iniziano a cantare, e si riempiono di suoni i quartieri, e si stancano le orecchie dei passanti. In quelle stesse strade, dove storie di diverse umanità si scontrano o scorrono parallele senza incontrarsi mai, da mattina a sera brillano, stellati, diversi ristoranti. È la luce delle stelle Michelin: riconoscimento dovuto e premio più ambito di chi fa della cucina il proprio credo e della ristorazione il proprio rito. Perché ristorare ha un significato profondo, desiderio di dare conforto, sollievo. Sollevare il peso della vita che corre, fermando, per un lungo momento, tutto ciò che è fuori dal piatto. Ma quel piatto che viene servito

racchiude, rinchiude e sprigiona il duro lavoro di chi in cucina ci passa la vita. Perché al di qua di quel mondo che placido siede ad aspettare, c’è un mondo che è in piedi, instancabile, a lavorare. È il mondo di Lino Scarallo, Marianna Vitale, Salvatore Bianco e Francesco Sposito, uomini e donne di Napoli. Chef stellati di questa città. Varcando la soglia delle loro cucine, si accede alla storia di questi signori. Perché la cucina è spazio fisico dei grandi ristoranti ed è spazio psichico nella mente del cuoco. Non è solo il luogo dove il cibo viene cotto, manipolato o diversamente elaborato e non è solo fil rouge che lega i piatti in menu. È l’intreccio dei due spazi che dà vita ad un nuovo insieme, più della somma delle sue parti. Microcosmi gerarchicamente organizzati, intime proiezioni di chi esprime se stesso attraverso la materia edibile, le cucine raccontano vite. Lino Scarallo, classe ‘75, nasce nel Rione Sanità, quartiere così vicino e così lontano dalla storia antica della città. Cresce in una famiglia numerosa, macellai da generazioni e da sempre

PALAZZO PETRUCCI Lino Scarallo rivisita la cucina tipica della cultura partenopea dando vita a piatti spettacolari, dal suo” Pacchero al ragu’” alla “ Pastiera stratificata”, passando dal pescato alla freschezza stagionale dei prodotti campani. 36


Are ‘food porn’ selfies damaging the intellectual property of chefs?

UN GAMBERO STELLATO una colorata composizione dello chef Lino Scarallo, di Palazzo Petrucci, con gambero crudo adagiato su una porzione di mozzarella. amanti della cucina buona, attenti alla scelta delle materie prime e alla preparazione dei piatti. Frequenta l’istituto alberghiero e subito inizia a lavorare in diversi ristoranti. Si sposta tra Sardegna, Toscana e Sicilia, terre di antica tradizione gastronomica. Impara a conoscere la diversità dei cibi che del nostro paese sono figli e apprende i diversi modi con cui, delicatamente, trasformarli. Nel ’98, a soli 23 anni diventa chef della Maschera di Avellino, neonato ristornate dell’Irpinia. Crescono, l’uno grazie allo spazio dell’altro e nel 2006 è deciso a ripartire da Napoli. Scambio fruttuoso di idee è quello con Edoardo Trotta, commercialista appassionato di enogastronomia. Dall’incontro

tra i due nasce il progetto di creare un ristorante nel pieno centro storico di Napoli. Nel 2007 apre Palazzo Petrucci, in piazza San Domenico Maggiore, sito nelle ex stalle del palazzo da cui prende il nome. L’arredo è minimal e i colori accesi, in pieno contrasto con la storicità circostante. Cuore concettuale del ristorante è la cucina a vista che sovrasta i tavoli. La trasparenza di quel vetro è un messaggio. Simbolo di una trasparenza nella scelta degli ingredienti e dei modi con cui vengono trattati. Lino, da dietro quel vetro, chino e concentrato su ogni piatto, propone una cucina che non si allontana troppo dalla tradizione. Il ritorno a Napoli ha portato un ritorno del pesce, accantonato

In recent weeks, a flurry of stories have emerged from the Michelin starred establishments of France, which indicate that certain chefs are fed up with patrons snapping photographs of their deluxe dishes and posting them online. Gilles Goujon, from the three-starred L’Auberge du vieux puits in the south of France, has stated in an interview with news website France TV that foodtography is not only poor etiquette but he believes that when his dishes appear online, it takes away “a little bit of my intellectual property”. Another chef in La Madelaine-sous-Montreuil has also included a “no camera” policy on his menus for this reason. Many of you may already be rolling your eyes at the fact that it is French chefs complaining about intellectual property in relation to their food, however, we can’t just pin the blame on the French. US chef RJ Cooper, from Rogue 24 in Washington DC, has made similar claims on Eater, stating: “They publish food photos without your consent, which is taking intellectual property away from the restaurant. And also, generally, the photographs are terrible. “If you’re publishing something in a public forum without written consent, that’s problematic.” But not all chefs are so unwelcoming of the craze. Justin Llewellyn is the head chef at the award-winning Laguna Kitchen & Bar at Park Plaza Cardiff, and he believes social media has boosted the dining experience and business in general: “Those chefs complaining about breaches to their intellectual property are fighting a losing battle. You can’t copyright food or food ideas, and even if you could I wouldn’t want to. u

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nell’esperienza irpina. Pochi fronzoli, tanta passione. Nel piatto e fuori dal piatto e dopo un anno, nel 2008, arriva la stella Michelin. Marianna Vitale - Una sera, per caso, di quello stesso 2008, siede a Palazzo Petrucci una giovane donna. Occhi brillanti, capelli bruni. Piccola nel corpo e audace nello spirito, chiede di entrare in cucina. Saluta lo chef con una semplice domanda: «Cosa posso fare per lavorare qui dentro?». Un cenno del capo, sguardi d’intesa e Marianna Vitale inizia la sua prima esperienza dietro ai fornelli. Inesperta ma caparbia, in un anno impara a riconoscere le materie prime e le tecniche gentili con cui rispettarle. Impara a giocare con il suo territorio e con la tradizione che è negli ingredienti e nel 2009 è matura per dar forma al suo progetto. A maggio di quell’anno apre SUD, il suo ristorante a Quarto. Siamo nel cuore dei Campi Flegrei, “campi che ardono” come racconta la storia greca di quel nome, e arde, brucia come quei campi, la passione di Marianna. Supportata da Pino Esposito, sommelier affabile e valente, raggiunge in poco tempo traguardi inaspettati. Nel 2011 arriva la stella Michelin. Ma Marianna ha una storia, raccontata ogni giorno nei suoi piatti. Nasce a Porta Capuana, antico quartiere di Napoli. La sua casa d’infanzia, crocevia di parenti e amici, profuma di cibo e caffè, sempre pronti per essere offerti. E il brusio delle voci si confonde con il borbottio della moka e delle pentole calde sul fuoco. Geneticamente predisposta all’ospitalità, Marianna Vitale cresce con il desiderio di aprire un ristorante. Desiderio che diventa realtà dopo l’incontro con Lino Scarallo. Oggi Marianna Vitale è una chef competente di incontenibile creatività. Tema dei suoi menu è 38

MARIANNA VITALE - Classe 1980. Napoletana, di Porta Capuana. Marianna si è laureata summa cum laude nel 2004 in lingua e letteratura spagnola con una tesi sul mito del “Convitato di Pietra”.

Are ‘food porn’ selfies damaging the intellectual property of chefs? Social networks are the new word of mouth. It’s the new advertising. You have to move with the times.” Without going into the legal details, most IP lawyers would be nonplussed about the question of intellectual property and food pictures. Unfortunately for the chefs in question, a plate of food is hard to substantiate as a protected “work”, and while a chef may often be described as an artist, the profession does not enjoy such strong protection as those artists who wield paintbrushes. In any event, copyright belongs to those taking the photos rather than the chef or the restaurant owner.At the root of the problem is the fact that most of these chefs are upset because they think someone might steal their ideas. However, the majority realise they have no argument and to date no claims have been raised by restaurants who believe their offerings have been devalued by exposure on social media. In any case, our #foodporn pictures show no sign of dwindling. Whether the chefs like it or not.

RIVISITAZIONE TRA PASSATO E FUTURO Marianna Vitale e una sua ricetta con baccalà: Cheesecake di Baccalà Profumato al Finocchietto con Ceci, Pomodori Confit e Buccia di Limone.


CHEF FRANCESCO SPOSITO - Naturalismo di parmigiana, una rivisitazione futuristica di uno dei grandi piatti che da secoli rappresenta la tradizione culinaria partenopea (Ph. Ivan Quaroni). il concetto di rinforzo/sostituzione, ricordo rubato al passato, racchiude l’immagine di una nonna che sostituisce, ad ingredienti ricchi nella spesa, ingredienti ricchi solo nel sapore. Necessità di sfamare molti usando poco, diventa virtuoso gioco con gli elementi. Osa Marianna, condendo pasta di Gragnano con Wasabi e accostando pomodorini del Vesuvio al lime. Francesco Sposito Basta spostarsi un pochino e alle falde del vulcano c’è un giovane talentuoso, intraprendente. Francesco Sposito ha poco più di trent’anni, vanta già due stelle Michelin e innumerevoli riconoscimenti. Il suo percorso in cucina inizia al fianco del padre, Armando, insegnate di professione, capace di abbandonare il lavoro per dar forma e vita alla sua passione: nel 2002 apre Taverna Estia, a Brusciano, in piena area vesuviana. E quest’audacia Francesco ce l’ha nel sangue. Finiti gli studi classici, è così affascinato e attratto dagli echi che dalle grandi cucine portano venti di rivoluzioni, sperimentazioni che inizia subito le sue peregrinazioni tra grandi luoghi e grandi chef.

Chiave di volta è l’incontro, nel 2002, con Igles Corelli, patron del ristorante Atman, che diventa il suo maestro. Carico di esperienze, conoscenze ed entusiasmo, nel 2005 Francesco torna a casa. Diventa chef del suo ristorante e, affiancato da Mario, il fratello che gestisce sala, vino e risorse umane, iniziano un percorso di inarrestabile ascesa: il 2008 è l’anno della prima stella, la seconda arriva nel 2014. Superata la

grande ombra del Vesuvio, andando verso il mare, posizionato di vedetta sul porto c’è un enorme palazzo, è l’Hotel Romeo. Nato per ospitare equipaggi stranieri, tra giochi di luci e di acqua, mescola, nell’arredo, stile orientale e architettura moderna. I tre ristoranti, Sushi Bar, Beluga e il Comandante dal 2012 sono diretti e guidati dal giovane e promettente chef Salvatore Bianco. Un ragazzone timido ma sorridente, che ha girato il mondo, passando di cucina in cucina. Facendo suoi, tecniche e saperi. È rimasto umile Salvatore, fiero di essere tornato a cucinare a Napoli, nella sua terra, e di essere tornato a Torre del Greco, la sua casa. Anche per lui ficcano riconoscimenti e nel 2013 il ristorante gourmet dell’hotel, il Comandante, conquista la stella Michelin. Vista mozzafiato sul mare, modi gentili ed eleganti di chi accoglie, cantina ricca e profonda. Tutti e quattro questi giovani chef, partiti da Napoli e a Napoli tornati, con entusiasmo provano e riescono a dare nuova luce e speranza a questa terra. Con i piedi ben piantati in essa, a contatto con le radici dei fiori e dei frutti che le appartengono, volano con la fantasia per creare e stupire chiunque un giorno decida, placido, di sedere e aspettare.

CHEF SPOSITO – Risotto al limone con crudo di gamberi e vongole veraci (Ph. Ivan Quaroni). 39


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ASSENZA TRA DOLCE E SALATO

ARTICOLO DI ELEONORA BALUCI

Corrado Assenza e il suo caffè a Noto, tra le eccellenze italiane, alla ricerca del dolce che ancora deve essere inventato in una sublime mescolanza di dolci sapori e salate percezioni. Tra palazzi storici, viali antichi, e tradizioni lontane, seduti ad un caffè innovativo e rivoluzionario per accostamenti contrastanti e rischiosi alla conquista di nuovi sapori.

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CORRADO ASSENZA lo chef - pasticcere che non ama le divisioni teoriche: non esiste il cuoco “salato” di qua e il pasticcere di là, perché la natura stessa non è mai o dolce o sapida. 40

ercorrendo la via principale della storica cittadina di Noto, in provincia di Siracusa, il Corso Vittorio Emanuele, tra palazzi e chiese antichi, custodi di tanti tesori ed allo stesso tempo spettatori di tanti avvenimenti storici, si incontra il bar-pasticceria “Caffè Sicilia”. Questa attività, aperta nel 1892 e poi passata attraverso 4 generazioni, ora è gestita da Corrado Assenza, pasticcere che ha ottenuto negli ultimi anni fama mondiale. Lui stesso ammette di essere cresciuto nel laboratorio di famiglia, usando attrezzi e macchinari come compagni di gioco, formando così la sua innata passione per la cucina, passione che lo porterà ad abbandonare gli studi universitari, a 25 anni, per aiutare la zia nell’attività. Da allora non ha più lasciato la pasticceria, inventando sempre abbinamenti nuovi e prestando particolare cura alle materie prime. Nel suo laboratorio infatti non si usano preparati industriali, né si comprano gli ingredienti al mercato: frutta e verdura vengono acquistate direttamente dagli agricoltori, permettendo così di scegliere il giusto grado di maturazione del prodotto in modo da ottenerne il gusto migliore. Un occhio di riguardo è poi dato ai prodotti delle terre siciliane, come mandorle, pistacchi, ricotta e formaggi, agrumi, fiori di gelsomino,


GIOCANDO ... LA CONSISTENZA Gelato al latte di capra con miele di tiglio e riso al miele d’arancia e mandorla di Noto. miele; i suoi dolci sono infatti, come da sua stessa ammissione, frutto della storia e della cultura del popolo siciliano, influenzati dalle numerose dominazioni che si sono susseguite nella storia dell’isola. Mielarò - Sua è l’idea di creare una linea di mieli particolari, i Mielarò, prodotti estraendo a freddo essenze e componenti aromatiche di frutti, spezie ed erbe; queste magiche fialette, che si possono ammirare in tutta la loro perfezione appese nel Caffè Sicilia a formare un lampadario, sono disponibili in 15 gusti, ognuno adatto ad esaltare pietanze differenti, come il Mielarò al pepe bianco, alla cannella, allo zafferano, o quello al bergamotto, al mandarino, al limone. Mieli aromatizzati che sono ormai usati dagli chef stellati di tutto il mondo e che Assenza stesso utilizza per arricchire piatti dolci e salati indifferentemente. Nascono così i gamberi marinati nel miele, così come lo sgombro, il tonno o il baccalà; tutti piatti in cui la marinatura dolce conferisce all’ingrediente principale una croccantezza e una consistenza particolare. Corrado Assenza ha preso parte dal 2005, come relatore, a tutte le 11 edizioni di Identità Golose, regalando sempre piatti nuovi e, di conseguenza, nuovi viaggi sensoriali alla scoperta del gusto. È del 25 gennaio 2005 la sua prima lezione al congresso milanese, occasione

per presentare un piatto estremo intitolato “Dolce pasta nel mare di mandorla”, spaghetti con Mielarò allo zafferano, adagiati su salsa di mandorla di Noto, con gelato di ricotta ovina ed estratto di origano. Un piatto che per la prima volta, in tempi in cui ancora nessuno chef aveva mai osato abbinamenti così drastici, abbatte la distinzione tra alimenti dolci ed alimenti salati; pasta, zafferano ed origano da un lato, miele, mandorle e gelato dall’altro. Le barriere che cadono - Per lo chef siciliano, infatti, non esiste distinzione tra dolce e salato, tra pasticceri e cuochi, “perché la natura stessa non è dolce o sapida: queste sono categorie che applichiamo noi umani, in maniera del tutto arbitraria, alla cucina e all’ordine delle pietanze”. Assenza rivela che dietro a questo connubio dolcesalato esistono dei ricordi personali, di quando, da bambino, dopo aver fatto il bagno a mare mangiava della frutta e nel suo palato si fondevano il sale e il dolce del pasto. Nella sua pasticceria si possono gustare quindi gelati allo zafferano, al basilico, torte che fondono il gusto pungente del pepe nero allo stucchevole della marmellata di pompelmi rosa, il gusto estivo del gelato al pomodoro e dell’origano con l’esotico della

vaniglia, il sapore particolare del peperone con il piccante del curry e lo zuccherino dell’uvetta. Sempre in occasione di altre edizioni di Identità Golose, Assenza ha presentato altri esperimenti, come un provocante gelato alla carne, ma anche piatti che richiamano colori e profumi della sua amata Sicilia. Nascono così “Il tempo del riposo”, perfetta fusione tra ingredienti locali come la gelatina al gelsomino e la marmellata di cedro, e gusti esotici come il riso venere e il tè Matcha, e “Friscura aruci”, piatto dedicato ad un amico erborista, perfetto omaggio al suo popolo perché fusione tra grano rossello, sciroppo di menta e di mandarino, sale nero di Cipro, Mielarò e pistacchi di Bronte. Emblema della sua grande creatività, passione per il mestiere che egli stesso definisce quasi un gioco per lui, e dell’enorme voglia di sperimentare, è una frase del grande chef: “Il dolce che mi piace di più forse devo ancora inventarlo”. Ricordando che alla base di ogni sua ricetta c’è qualità, semplicità, materie prime stagionali ed eterna ricerca di “eleganza globale”. E tralasciando, a volte, la perfezione dell’impiattamento, per dolci così dire “imperfetti”, con una sbavatura nella crema o una fettina di frutta in più, ma dal gusto insuperabile.

L’APERITIVO – Pizzetta con salsa di pomodoro, semi di finocchietto, pecorino e olive nere salate. 41


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