Impatto Magazine // Num. 7 // 26 Marzo 2015

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!MPATTO NUMERO 7 - 26 MARZO 2015

MAGAZINE

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CAPOLAVORI DEVASTATI PAGINA 24

AVANTI PICCOLE IMPRESE! Marzo segna una ripresa mondiale delle piccole imprese

GIOIA E SPERANZA

PAGINA 30

LA REGINA DELLA TAVOLA ITALIANA Un breve viaggio nella madre patria della pasta. Gragnano tra tradizione e modernità

Francesco in visita pastorale a Napoli: l’amore del suo popolo dopo l’annuncio del Giubileo e l’idea di un pontificato breve.

PROTAGONISTI DEL MAGAZINE

JORGE BERGOGLIO

MASSIMO MILONE

HYUN OH-SEOK

GIUSEPPE DE MARTINO 1


!MPATTO - SOMMARIO N.7 | 26 Marzo 2015

CONTENUTI IN VIAGGIO VERSO LA SPERANZA Papa Francesco in visita pastorale per la prima volta in una metropoli. L’uomo di Buenos Aires incontra Napoli; e come un buon vento giunge a risvegliare dal tepore i figli di Partenope infondendo in loro speranza.

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Blood of Naples’ patron liquefies At the end of Pope Francis’ spontaneity-filled meeting with priests in the cathedral, the vial of dried blood of the city’s patron saint appeared to miraculously liquefy.

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L’anno della misericordia La nuova sfida del Santo Padre Francesco: un evento Giubilare per un anno all’insegna della misericordia.

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Pope Francis declares a Holy Year Francis offered another motive for the title with the surprise announcement of an extraordinary Holy Year.

LETTERA A FRANCESCO Napoli, lettera a Francesco. Un libro epistolare in cui igure di spicco della cultura napoletana raccontano Partenope al Papa. Intervista a Massimo Milone.

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Le valutazioni di Bergoglio a due anni dal suo Pontificato. Papa Francesco ha tracciato una nuova e moderna via da seguire per la Chiesa e per l’intero mondo cattolico.

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IMPATTO MAGAZINE È UNA TESTATA GIORNALISTICA REGISTRATA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI CON DECRETO PRESIDENZIALE NUMERO 22 DEL 2 APRILE 2014. 2

La goccia che scava la pietra

How Pope fooled us on LGBT issues Given the pope’s record on LGBT rights when he was Archbishop Bergoglio of Buenos Aires, he has surprised and delighted me. Others are more sceptical.


!MPATTO

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Settimanale di approfondimento An italian international E-zine

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DIRETTO DA Stefano Telese

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COORDINAMENTO EDITORIALE Giorgia Mangiapia giorgia.mangiapia@impattomagazine.it

Pierluigi Patacca

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REDAZIONE

AVANTI PICCOLE IMPRESE L’inizio di marzo segna la ripartenza delle piccole imprese: la Corea del Sud spinge le Banche ad aiutare i piccoli imprenditori. Intanto il sistema economico sottolinea come l’andamento delle piccole imprese influisca su quello delle grandi.

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Liliana Squillacciotti Eleonora Baluci - Marco Tregua Valerio Varchetta - Flavio Di Fusco Francesca Spadaro - Luisa Ercolano Marina Finaldi - Josy Monaco

AMMINISTRAZIONE Guglielmo Pulcini

guglielmo.pulcini@impattomagazine.it

GRUPPO EDITORIALE IMPATTO

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In USA everybody wants to help you

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La scricchiolante culla dell’arte

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In America it seems everybody wants to help you succeed. There’s less envy about success here than in the UK.

Capo Colonna colata di cemento. Pompei abbandonata. Storia di un’Italia che dimentica il proprio valore artistico.

La vita di un pastaio campano Sfogliando le pagine di una storia si scopre l’amore per la pasta e di chi s’inventa un mestiere e ne fa una professione. Un’intervista a Giuseppe Di Martino del Pastificio dei Campi.

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Maccaroni ... io mo te magno!

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La pasta regna sulla tavola della penisola. Simbolo di un’Italia del riscatto sociale ed economico ed essenza del Made in Italy, 3


!MPATTO - ATTUALITĂ€ N.7 | 26 Marzo 2015

articolo di Giorgia Mangiapia intervista di Guglielmo Pulcini galleria foto di Sergio Siano

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IN VIAGGIO VERSO LA SPERANZ A

L’uomo di Buenos Aires incontra Napoli; e come un buon vento giunge a risvegliare dal tepore i figli di Partenope infondendo in loro speranza. Massimo Milone, direttore di Rai Vaticano ed autore del libro “Napoli, Lettera a Francesco” racconta l’unione di due anime meridionali. 5


!MPATTO - ATTUALITÀ N.7 | 26 Marzo 2015

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n vento leggero e continuo soffia e spinge avanti la prima giornata di primavera. Un vento di cambiamento, che porta via e disperde la coltre di polvere sottile e scura che, stanca, si è appoggiata e adagiata, da troppo tempo ormai, su tettoie, tra vicoli, insinuandosi tra gli scogli fino a coprire, come un manto invisibile e spesso, il mare di Napoli. Un vento di remissività e sconforto, di scoraggiamento e abitudine all’adattamento e all’accontentarsi. Un vento che soffia e sconvolge con la sua leggerezza fatta di gesti franchi e improvvisi, sorrisi spontanei e semplici, sguardi d’amore vero e divino. Il vento si chiama Bergoglio. È il 21 marzo e soffia un vento nuovo, deciso, diretto che incanta Napoli come d’incanto e che trasforma i rumori in vibranti suoni all’unisono. Al suo arrivo, un boato. Un nome urlato come un’esplosione euforica di emozione: Francesco! Lui si volta e, come una folata improvvisa e repentina, costringe la polvere a disperdersi, a lasciar liberi vicoli, tettoie, scogli e acque del mare. Li libera dall’esistenza opaca a cui erano costretti. Li riporta alla luce con la sua presenza. “Largo alla speranza. Non lasciatevi rubare la speranza!”, le sue parole si diffondono nell’aria e Napoli si scuote, si ridesta dal sonno. È nel suo ventre che Jorge Mario Bergoglio, dal 13 Marzo 2013 Papa Francesco, ha deciso di partire. Da Pompei a Scampia, da Piazza del Plebiscito a Rotonda Diazia, dal pranzo con i detenuti del carcere di Poggioreale, tra transessuali e disabili, all’incontro con i malati I GIOVANI NAPOLETANI La celebrazione eucaristica di Papa Francesco in Piazza del Plebiscito è stata supportata da numerosi gruppi di giovani campani che hanno intonato canzoni, melodie, cori e frasi di speranza verso il Santo Padre. 6

nella chiesa del Gesù Nuovo. Pompei e il Santuario della Beata Vergine del Rosario offrono un primo rifugio al Papa, che s’inginocchia a pregare davanti al quadro della Vergine. Nel raccoglimento inizia la sua giornata verso Napoli. Con l’umana accoglienza che gli appartiene, parla con disabili e bambini malati offrendo loro parole di incoraggiamento e di dolcezza paterna. Bergoglio tra le vele - Alle 9.16 il Pontefice fa il suo ingresso a Scampia. Papa Begoglio ha desiderato iniziare la sua visita a Napoli tra immigrati, disoccupati ed emarginati di una periferia. Cinquemila persone ad accoglierlo e le parole del Papa riscaldano come i raggi di una meravigliosa primavera napoletana: “Voi appartenete a un popolo dalla lunga storia, attraversata da vicende complesse e drammatiche. La vita a Napoli non è mai stata facile, però non è mai stata triste! È questa

Le origini italiane di Jorge Bergoglio Nato in una famiglia di origini italiane, per l’esattezza piemontesi (il bisnonno Francesco è nativo di Montechiaro d’Asti mentre il nonno Giovanni Angelo era nato in località Bricco Marmorito di Portacomaro Stazione, frazione di Asti; attualmente vi vivono ancora alcuni parenti), è il primogenito dei cinque figlidi Mario, funzionario delle ferrovie salpato nel 1928 dal porto di Genova per cercare fortuna a Buenos Aires, e di Regina Maria Sivori, una casalinga la cui famiglia materna era originaria di Santa Giulia di Centaura.

la vostra grande risorsa: la gioia, l’allegria”. Parla di una “cultura di vita”, di una capacità che appartiene a chi vive in un quartiere come Scampia o altri del napoletano: la forza di rialzarsi dopo una caduta in modo che il male non l’abbia mai vinta. La risorsa è la speranza, la gioia di vivere nonostante tutto e per cambiare quel nonostante


tutto senza lasciarsi ingannare dalla corruzione. “La corruzione puzza” e di quel tanfo i quartieri di Napoli, purtroppo, sono infestati perché è facile essere vittima delle corruzioni in frazioni degradate in cui soffia il vento dei soprusi e in cui si aspetta un vento di rinnovamento. L’uragano Bergoglio parte da lì e, con schietta fermezza, parla a tutti: «La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città! Ai criminali e a tutti i loro complici io umilmente oggi, come un fratello, ripeto: convertitevi all’amore e alla giustizia!”. Il carisma di Francesco è nello schietto modo di porsi, in quel suo spontaneo rivolgersi come un fratello che ascolta e comprende, accoglie e consiglia. Si preferisce lavorare a nero al sud perché dei contributi e della pensione c’è chi pensa “A me non importa” e lui comprende, tanto da affermare: “Io ti capisco bene, fratello, e ti ringrazio per quello che hai detto. Dobbiamo riprendere la lotta per la nostra dignità che è la lotta per cercare, per trovare, per ritrovare la possibilità

di portare il pane a casa! Questa è la nostra lotta!”. Comprende ma incita e sprona affinché la dignità non vada perduta e non si chini la testa alle ingiustizie. Incoraggia e lo fa perché si rende conto di cosa significhi lavorare per portare il pane a casa ed essere vittima di facili inganni. Francesco s’immedesima, vive le emozioni e le difficoltà degli altri, di chi rimane senza lavoro e trascorre una vita da disoccupato. Chiede l’impegno attivo ed attento delle Istituzioni cittadine per una buona politica a servizio delle persone. Un Papa che abbatte le distanze, umano e vicino, che vuol fare “sentire” Dio. Spinge all’accoglienza perché tutti lo cerchino e lo vedano nell’altro. Francesco si congeda da una Scampia ai suoi piedi con una delle esclamazioni a sorpresa che caratterizzano il suo Pontificato: A Maronna v’accumpagne! E Scampia applaude, è in festa, sentendosi davvero accolta ed amata senza preconcetti e senza distinzioni da un uomo che ha parlato di immigrati, lavoro nero, corruzione come mali

IL SALUTO E LA FEDE Papa Francesco a bordo della Papa Mobile attraversa l’intenso cammino sul Lungomare. Alle sue spalle il Castel dell’Ovo simbolo delle superstizioni di quella Napoli fedele che lo accoglie. da debellare con l’unica energia che non può essere strappata al popolo: la speranza. La papamobile passa lungo il corso Secondigliano, calata Capodichino, la Marina fino a giungere a Piazza del Plebiscito. La piazza gremita - In migliaia ad accoglierlo tra cori e esplosioni di gioia, Napoli riecheggia all’unisono al suo passaggio. Alle 11.20 la Santa Messa e l’omelia rivolta ai deboli da tutelare e difendere: “Ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale diventi casa per chi ricerca rifugio” perché “quando i cuori si aprono al Vangelo il mondo inizia a cambiare”. Sessantamila persone ascoltano il Pontefice che esorta ad andare, accogliere, cercare e portare amore, ad aprirsi ad un Vangelo da cui trarre la vera parola. Una fede in movimento che deve manifestare l’umiltà di Cristo, debole tra i 7


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deboli, ma forte della potenza di Dio. E Napoli rappresenta un anello debole per la corruzione e la delinquenza. Dalla sua debolezza deve trarre la forza e deve reagire” con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, che sfruttano e corrompono i poveri e i deboli col cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la speranza, non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente, la corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa città, non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano”. Da rivoluzionario silenzioso e deciso, Bergoglio rompe il protocollo e scende tra la gente per abbracciare il volto e il cuore di Napoli, terra del riscatto e Piazza del Plebiscito s’innamora di lui. Il pranzo con i detenuti - Nella Visita pastorale, il Papa ha stabilito di pranzare con i detenuti di Poggioreale. Un altro gesto simbolico di Bergoglio. Siede con centoventi detenuti tra cui tredici transessuali e mangia ciò che è stato preparato dagli stessi detenuti. Ad accoglierlo una canzone “O’surdat innamurat” e un cartello: “Questo giorno è stato fatto per te, ma Napoli non è questa”. Entra nell’istituto di pena e saluta ogni detenuto, affrontando il problema delle condizioni indegne della persona umana in cui si ritrovano a vivere i carcerati e sottolineando l’esigenza di un inserimento nella società: “C’è la convinzione che l’amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone”. Saluta i detenuti e per lui si alzano frasi come: “Sei 8

Blood of patron liquefies during Pope Francis’ visit

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t the end of Pope Francis’ spontaneity-filled meeting with priests, seminarians and religious in the cathedral of Naples, the vial of dried blood of the city’s patron saint appeared to miraculously liquefy. After Pope Francis blessed the congregation with the reliquary holding the vial, Cardinal Crescenzio Sepe of Naples announced, “As a sign that St. Januarius loves the pope, who is Neapolitan like us, the blood is already half liquefied.” The thousands of people present in the cathedral applauded, but the pope insisted on taking the microphone. “The bishop said the blood is half liquefied,” he said. “It means the saint loves us halfway; we must all convert a bit more, so that he would love us more.” The blood of the fourth-century martyr is Naples’ most precious relic. The townspeople gauge the saints’ pleasure with them by awaiting the blood’s liquefaction three times a year: in the spring during celebrations of the feast of the transfer of the saint’s relics to Naples; Sept. 19, his feast day; and Dec. 16, the local feast commemorating the averting of a threatened eruption of Mount Vesuvius through the intervention of the saint. When Pope Benedict XVI visited in 2007 and the blood did not liquefy, Msgr. Vincenzo de Gregorio, custodian of the relic, told reporters the miracle had never occurred when a pope visited on a day other than the feast day.Entering the cathedral, Pope Francis’ white cassock and his arms were yanked repeatedly by priests, seminarians and nuns wanting to touch him or attract his attention. Calm reigned briefly after the pope reached the altar, but then Sepe told the pope that, in accordance with canon law, he had given formal permission for the nuns in Naples’ seven cloistered convents to go out for the day. The nuns, who had been seated in the sanctuary, broke free, running to the pope, surrounding him, hugging him, kissing his ring and piling gifts on his lap. “Sisters, sisters, not now, later!” the cardinal shouted over the microphone to no avail. “Look what I have done,” he said, exasperated. “And these are the cloistered ones, imagine what the non-cloistered ones are like! Ay. They’re going to eat him alive.”

LE FOTO E LA PACE due elementi che caratterizzano dal primo momento il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio: il carisma dell’uomo venuto dalla fine del mondo e l’accoglienza della cristianità.


MONASTERO CLARISSE CAPPUCCINE NAPOLI Fuori al Duomo di Napoli, un’istantanea, dentro un’istantanea, che rappresenta il cambiamento degli usi e dei costumi della Chiesa Romana: una clausura che si apre, una divulgazione che diventa digitale, comunicazionale, sociale ed interattiva. uno di noi” o ”Un santo nell’inferno di Poggioreale”. Il cuore di Napoli - Napoli offre sempre volti e sfumature multiple e capita che, all’interno del Duomo, dal nulla nasca una scena esilarante immortalata in foto e che riecheggia della voce del Cardinale Sepe e delle sue colorate esclamazioni di fronte all’ingenua e dolcissima, inarrestabile reazione delle suore di clausura alla presenza del Papa. Dopo la non organizzata parentesi teatrale, Francesco parla ai seminaristi di povertà e delle chiacchiere e delle lamentele che colpiscono come un atto di terrorismo. Un monito per la Chiesa e per tutti coloro che ne sono rappresentanti . intanto il sangue di San Gennaro, baciato dal Pontefice, si scioglie a metà. Siamo buoni a metà e dobbiamo convertirci? Così Bergoglio, con umiltà, chiude l’episodio: “Pregate per me”. In piazza del Gesù, incontra gli

ammalati. Le telecamere non possono entrare per il divieto assoluto da lui imposto. Le piaghe degli infermi, quelle esteriori e quelle interne, soprattutto le ultime, vanno curate con la misericordia. Come il buon Samaritano per risollevare chi porta con sé una sofferenza, per chi vive la vita portando una croce più pesante, mettendosi al suo fianco, sollevando quella croce e dando conforto. Un sostegno che rende più umano chi aiuta e lo libera dal male dell’egoismo. Giovani e famiglia - La visita del Papa termina nell’esplosione vulcanica del lungomare di Via Caracciolo: strumenti e voci, balli e canti, per accogliere il Papa. Qui centomila persone ascoltano il Pontefice parlare della famiglia. Una famiglia non più di moda che dovrebbe fondare le sue radici nella concretezza. Tra palloncini bianchi e gialli e Bergoglio che indossa un casco che a Napoli ancora non è norma

comune usare, il Papa si rivolge ai giovani affinché apprezzino il valore degli anziani. Non un peso ma una risorsa, non un carico ma un sostegno. Gli anziani e i bambini sono cari al Pontefice perché indifesi, bisognosi di calore e di una mano tesa pronta a stringerli. Così termina l’immensa e vitale visita di Papa Francesco. Ovunque Francesco ha portato la consistenza del suo nome. Un nome di misericordia e accoglienza. Il nome di un uomo tra gli uomini che, dal primo momento, ha cercato un legame diretto e umano impugnando un’unica arma: la coerenza del suo modo di essere. È ora del rientro a Roma ma prima un saluto a mano aperta e un volto emozionante attraverso cui Dio lo si vede. Napoli rinasce per la folata improvvisa di vento e la polvere di sconforto si disperde. Un vento di speranza che ha un nome: Bergoglio. A cui Napoli intera augura: A maronna t‘accumpagne. 9


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E teatro sia...

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apule è ’nu teatro antico, sempre apierto. Ce nasce gente ca senza cuncierto scenne p’ ’e strade e sape recità. Nunn’è c’ ’o ffanno apposta; ma pe’ lloro ‘o panurama è ‘na scenografia, ‘o popolo è ’na bella cumpagnia, l’elettricista è Dio ch’ ’e fa campà”. Diceva bene Eduardo! Nella frazione di pochi secondi, il Duomo di Napoli diventa teatro per una scena degna della migliore macchietta napoletana. Non servono attori né copioni. Qui si recita a soggetto. Al centro della scena, beato e inconsapevole, siede Papa Francesco. A lato un Cardinale, no, errata corrige, non di un semplice Cardinale si tratta. In piedi, quasi nascosto come voce fuori campo, il verace Cardinale Sepe. Tutto risulta apparire in perfetto equilibrio secondo la consuetudine di un canonico rituale. Ma a Napoli, l’equilibrio non ha vita facile. È costretto a modellarsi sulle follie sbilanciate e teatralmente improvvise di Partenope. Uno stuolo di leggiadre suore di clausura, inaspettato e felino, invade la scena. Circonda il Papa, lo avvolge fino a nasconderlo alla folla. S’intravedono un pacco regalo, mani che si tendono, che cercano e stringono il Pontefice e tonache nere che s’inginocchiano, veli che s’inchinano in segno di prostrazione totale. Di lui, del Papa, si scorge solo il volto esterrefatto, divertito, smarrito. La voce fuori campo si fa sentire e manifesta tutta la sua presenza importante e ilare, da vero capocomico, al semplice: “Eccole, uéué … aro jate?”. Lo spettacolo ha inizio. Il Duomo esplode in una risata come di fronte alla più incontenibile gag di Totò. Si tratta di pochi minuti, anche meno. Ma di quelli indimenticabili. Suore inarrestabili e spettatori estasiati dalla scena. Il contrasto teatrale è perfetto! L’equilibrio per la scena madre è lì! Davanti agli occhi di tutti. Corpi in vesti nere, veloci si muovono senza pudore in preda all’entusiasmo, occhi attoniti di chi assiste e non riesce a bloccare la scena e il capocomico che urla: “Suore! Suore…suore (con la cadenza napoletana della comicità studiata ad arte) tenimm che fa!” . Il non plus ultra del teatro napoletano. Allo spettatore non resta che alzarsi per l’appaluso finale che merita l’impeto schietto, vero e innocente delle protagoniste indiscusse e della voce, non proprio, fuori campo. Chapeau al teatro a cielo aperto. Chapeau a Napoli.

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UN PAPA CHE PARLA A TUTTI

intervista di Guglielmo Pulcini trasposizione di Giorgia Mangiapia

Napoli, lettera a Francesco. Un libro epistolare in cui intellettuali e figure di spicco della cultura napoletana raccontano Partenope al Papa dal carisma comunicativo. Un’intervista al Direttore di Rai Vaticano da cui emerge la forte spinta innovativa del Pontificato dell’uomo venuto dalla fine del mondo.

S

edici lettere scritte al Papa per parlargli di Napoli. Lettere scritte da esponenti dei due volti di Napoli: quello cattolico e quello laico. Sedici sfumature diverse per raccontare un luogo controverso e dalla storia secolare. Così Massimo Milone, Direttore Rai Vaticano, ha deciso d’impostare il libro Pronto? Sono Francesco. Il papa e la rivoluzione comunicativa un anno dopo . Un libro per ripercorrere un anno di pontificato del Papa argentino attraverso le sue parole pronunciate ai giornalisti. Un libro per raccontare una persona dal carisma peculiare. Dall’intervista all’autore sono emersi spunti e approfondimenti che mostrano la profondità di una città e del Papa da essa atteso. Vorrei partire con una riflessione sul libro: si dice che Papa Bergoglio sia un Papa che piace a tutti e nel suo libro non troviamo solo voci religiose ma anche laiche. Com’è partita quest’ idea editoriale e perché si è deciso di dare voce anche a chi è lontano dal mondo ecclesiastico? Bisogna che io cominci con una premessa: è un Papa che parla a tutti. A chi crede 12

MASSIMO MILONE dal marzo 2013 ricopre la carica di direttore responsabile di Rai Vaticano. e, in particolare, a chi non crede. È un Papa che 2000 anni dopo propone l’annuncio evangelico contestualizzato ad una lettura dei tempi. È un Papa che accompagna ma non impone. Da napoletano ho pensato di raccontare Napoli a Papa Francesco e come potevo farlo? Napoli è una città che per tradizioni ha due filoni socio-culturali prestigiosi: il filone cattolico e quello laico e, ovviamente, è corso subito il pensiero a grandi rappresentanti del mondo cattolico. Penso al Presidente emerito della Corte Costituzionale Casavola ma

anche a rappresentanti del mondo laico come il professore Masullo, il professor Galasso e il Professore Tessitore, allo scrittore Erri De Luca, un uomo alla ricerca, e penso all’attore e regista Luca De Filippo ed è in questa polifonia che emerge Napoli oggi, con le sue contraddizioni e la forte esigenza di un recupero d identità. Innanzitutto recupero d’identità morale. C’è bisogno di un recupero dell’etica che può essere il presupposto di una rinascita civile e sociale ma questo spetta poi ad altre agenzie. Spetta alle


IL MIRACOLO DI BERGOGLIO Un bacio miracoloso. Si tratti di miracolo o esaltazione mistica, poco importa. Il bacio del Papa scioglie il freddo indurimento dei cuori di chi lo ascolta. La reazione di fronte al “miracolo a metà” racchiude un sentimento di tale riservatezza e rispetto verso il divino. Un’emozione che già traspariva dall’incipit e dal “Pregate per me”. istituzioni, alla politica, alla classe dirigente di Napoli. Questo libro è la voce di chi cercava un interlocutore morale e lo ha identificato in Papa Francesco. La visita pastorale di Papa Francesco certamente scriverà una grande pagina di Storia civile di Napoli partendo da Scampia: gli emarginati, gli ultimi e per finire poi con la speranza. I giovani sul lungomare e la Rotonda Diaz. Due momenti che vanno a connotare il suo pontificato. La grande attenzione di un Papa vescovo di una chiesa povera per i poveri e di un Papa che predilige

i giovani. Una vera speranza per Napoli. Tante generazioni hanno bruciato, nella lunga storia di Napoli, soprattutto degli ultimi decenni, iniziative e progetti. La città è piena di progetti mancati ma è anche piena di eccellenze e in particolare di una nuova classe giovanile di professionisti e volontari, di persone impegnate nel laicato e cattoliche. Questa deve essere la speranza di Napoli. Mi colpisce molto un concetto: identità e recupero dell’identità. Dal mondo mediterraneo verso sud e ovest arrivano correnti

che mettono timore al vecchio continente ma i messaggi di Papa Francesco sono sempre stati di rinnovamento e di apertura. Lei cosa ne pensa? La storia del Cristianesimo è stata scandita sempre da accoglienza e tolleranza e Francesco incarna questi elementi. Lo ha fatto da vescovo di Buenos Aires e lo ha fatto subito da Vescovo di Roma. Una chiesa senza orpelli che scende in campo anzi è ospedale da campo. Cerca di accompagnare e abbracciare l’umanità specialmente quella dolente nel rispetto delle storie. La storia di Napoli capitale del Mediterraneo è una grande storia d’identità. È la città del grande Moscati oltre ad essere la città di San Gennaro. Questa memoria non va perduta ma va riscoperta. Certo è anche la città di Benedetto Croce e di laici e anche queste memorie non vanno dimenticate. Il libro è un piccolo tassello di queste identità. Un’identità che è responsabilità dell’intera classe dirigente e penso alla borghesia un po’ tiepida rispetto ai grandi problemi di Napoli. Francesco, con la sua visita, sottolineerà la storia millenaria di Napoli sul fronte dell’impegno cristiano e laico. Pensiamo all’Istituto di Studi Filosofici e alle due Facoltà di Teologia . C‘è stato un fermento nei secoli d iniziative che hanno permeato il tessuto civile e sociale di Napoli e le sedici lettere dei co-autori lo raccontano, ognuno con le proprie sfumature. Alla fine emerge un’immagine corale della città più sudamericana del mediterraneo per il Pontefice sudamericano. Napoli e Buenos Aires sono vicinissime nei loro costumi e tradizioni. L’incontro di due realtà: un libro per un Papa sudamericano e un libro dalla grande anima partenopea. Sono due città mondo. Napoli con un milione di persone e Buenos Aires con sedici milioni di persone. Non è la quantità ma la qualità che le accomuna. Buenos Aires è figlia di un’immigrazione meridionale fortissima. E Napoli aveva ed ha problemi d’immigrazione. Queste sono le difficoltà che una classe 13


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dirigente deve affrontare in maniera netta. Il Papa ha ben presente questa visione di accoglienza: Napoli è la prima grande città d’Italia che si accinge a visitare per poi viaggiare nel mondo. Il Papa a Napoli mostrerà come incarnare il Vangelo 2000 anni dopo. A Napoli troverà l’amore e il calore che forse negli anni è andato un po’ perduto. Ma c’è! In queste settimane e in questa attesa ha dichiarato che non è una città dai cuori infreddoliti e non è una città di periferia. Altro annuncio importante, oltre quello del Giubileo, è la notizia di un pontificato breve. Cosa ci dobbiamo aspettare? Un Papa che incontrerà i popoli, un Papa che porterà parole di speranze e di fede o un Papa che prenderà altre decisioni importanti? Non c’è nessuna decisione. Solo un’intervista rilasciata ad una televisione messicana : “Sento che il mio sarà un pontificato breve”. È un uomo di profonda spiritualità, ha un carisma particolare, fatto di preghiera. Ha detto: “Sento”. Ma in questo sentire c’è tutto un percorso di vita e di magistero che dovrà percorrere e, speriamo, il più lungo

possibile. Due anni di pontificato son già passati ed hanno segnato delle tappe fondamentali nella rivisitazione pratica e operativa: si pensi alle importanti indicazioni dal punto di vista pastorale o all’attenzione verso le persone divorziate. Papa Francesco ha segnato un’autostrada. Dove porterà quest’autostrada? Su questo s’interroga il mondo cattolico e laico. Non so se il Papa abbia un progetto complessivo di Chiesa. So che ha aperto una grandissima via per annunciare il Vangelo con il linguaggio dei tempi moderni. Il resto lo farà lo Spirito.

GLI ABITANTI AFFOLLANO LA CITTÀ Non c’è una parola di troppo o un pensiero fuori luogo. Il dialogo del Santo Padre è fluido, come è fluido il sangue del Santo Gennaro nell’ampolla del miracolo. Bergoglio va oltre, va verso un legame invisibile e silenzioso tra fedeli e Dio.

Ultima domanda personale: il suo primo incontro con il Papa. Quali impressioni le ha lasciato? Sono arrivato a Roma come Responsabile di Rai Vaticano all’indomani alle dimissioni Ratzinger. Ho seguito tutto il conclave e l’elezione. Il giorno successivo ho fatto la conoscenza del Pontefice. Mi hanno presentato dicendo: “Lui è napoletano, è arrivato ieri a Roma”. Il Papa mi ha abbracciato dicendo: “Anche io vengo da lontano, da un po’ più lontano. Ci faremo buona compagnia”. Nelle sue parole ho

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ritrovato la semplicità e l’affetto con cui si era presentato la sera prima al mondo dicendo: Io vengo dalla fine del mondo.

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L’ANNO DELLA MISERICORDIA La nuova sfida dell’evento Giubilare: un anno all’insegna della misericordia. Un evento apostrofato dal Santo Padre Franceco come un’occasione per riflettere sulla centralità dei valori spirituali in un mondo pervaso da indifferenza e violenza. ARTICOLO DI ANNA ANNUNZIATA

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e parole di Papa Francesco ritornano come un’eco di onde vibranti nel mondo della cristianità e non solo. Un’eco, come un’esplosione, destinata fin da subito a sortire inevitabilmente i suoi effetti dirompenti, dotata di una tanto potente quanto disarmante carica esplosiva. E, proprio come la rinascita e il nuovo inizio conseguono alle forti esplosioni, una nuova era all’insegna dell’espiazione e della redenzione, del perdono e della riflessione, sembra auspicarsi e profilarsi nelle e dalle parole del Pontefice, pronunciate a due anni esatti dalla sua elezione. Stupore e immensa gioia hanno fatto da sfondo all’annuncio dell’Anno Santo straordinario dedicato alla misericordia, che avrà inizio l’8 dicembre prossimo, destinato a concludersi il 20 novembre 2016 con l’apertura della Porta Santa in San Pietro. Dall’ebraico Jobel, il Giubileo è finalizzato alla promozione della santità di vita. Apostrofato dai più come occasione per riflettere sulla centralità dei valori spirituali che pervadono la nostra cultura e la nostra società, in un mondo oramai pervaso 16

dall’indifferenza verso l’altro, un mondo ammalato e sofferente, sembra più che mai necessario e improcrastinabile un momento di riflessione. Ora che, i suoi più grandi mali sembrano, soprattutto negli ultimi tempi e alla luce degli ultimi fenomeni, avere origine proprio e paradossalmente da istanze religiose, seppur sotto l’egida del fondamentalismo e l’estremismo. Ora che, sotto la spinta riformatrice di un Papa non convenzionale, gli scandali e le nefandezze presenti nello stesso mondo ecclesiastico stanno venendo sempre più alla luce. “Sono convinto che la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio.” ha sottolineato Papa Francesco “Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere

BERGOGLIO E LE FOLLE Papa Francesco e il suo “Buonasera” simbolo di un pontificato popolare e non banale, fatto di gesti spontanei e al tempo stesso rivoluzionari. alla luce della parola del Signore: Siate misericordiosi come il Padre” (Lc 6,36). Non dimentichiamo che Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d’ora questo Anno alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino: il nostro cammino penitenziale, il nostro cammino con il cuore aperto, durante un anno, per ricevere l’indulgenza di Dio, per ricevere la misericordia di Dio”.


LA RISPOSTA DEL COMUNE

Marino: Roma pronta! Trasporti, mezzi pubblici, percorsi pedonali e per ciclisti. Ma niente grandi opere. Così Roma si prepara per la grande ‘sfida’ del Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco dal prossimo 8 dicembre. E il Campidoglio mette in moto la macchina organizzativa in vista del grande evento. Il sindaco della Capitale, Ignazio Marino, ha ben chiaro come preparare Roma per il grande appuntamento: “Più che a grandi opere dobbiamo pensare ad una grande organizzazione. Ce la faremo - assicura Marino - Roma e l’Italia danno il meglio proprio nelle grandi sfide”. Innanzitutto si pensa ad accelerare sul tema trasporti, cominciando con l’arrivare al più presto all’apertura della stazione metro San Giovanni e poi migliorando la rete su ferro per “ricucire alcune aree della città” o il collegamento con l’aeroporto di Fiumicino aumentando la frequenza dei treni. Il sindaco ha poi deciso di “lasciare i grandi pullman turistici al di fuori del centro storico della città dove io immagino ci si possa spostare molto meglio su rotaia”. Inoltre saranno favorite le pedonalizzazioni, a partire dai Fori imperiali che per l’occasione potrebbero diventare totalmente off-limits a taxi e bus. L’idea principale è quella di offrire ai pellegrini dei veri e propri percorsi all’interno della città.

Il grande evento - Roma caput mundi, Roma culla della cristianità, si appresta ora ad essere, anche e soprattutto, la capitale degli affari. Per quanto stridente ed inopportuno rispetto alla magnificenza del significato spirituale, morale e religioso, si fa fatica a trascurare ed ignorare il fatto che Roma si prepari a pregustare “il grande affare”. Molti pongono il Giubileo sullo stesso piano di fenomeni di altrettanto impatto e risonanza mondiale, quali le Olimpiadi e l’Expo. Gli eventi giubilari non posso prescindere dall’essere irrimediabilmente connessi alle disquisizioni concernenti il turismo religioso, l’aspetto economico che ha già

consentito di mettere in moto, non senza polemiche, gli ingranaggi essenziali al funzionamento della macchina organizzativa. Si prevede che decine di milioni di pellegrini si dirigeranno verso la Capitale, che si prepara ad accoglierli, non senza difficoltà, secondo modalità all’altezza delle aspettative. Già con l’inizio della primavera e l’arrivo della Pasqua, accresceranno le opportunità economiche per i commercianti e stuoli di fedeli prenderanno d’assalto Roma e Piazza San Pietro. Il Giubileo straordinario, che avrà inizio l’8 dicembre, costituirà una manna dal cielo. Si ricordi che nel 2000 il prodotto interno lordo fece registrare una crescita del 2,9%. Tra

parcheggi e sottopassi, restauri di cappelle, palazzi e ristrutturazioni edilizie furono finanziati interventi superiori ai tremila miliardi di lire, venticinque milioni di arrivi la cui permanenza fruttò circa tredicimila miliardi di lire e il tasso di disoccupazione calò dell’1%. In virtù del precedente successo, l’Anno Santo si prospetta come una svolta economica determinante per Roma ma anche per l’Italia. Il 2015 è un anno di grandi ricorrenze ed anniversari memorabili : 50 anni dalla fine del Concilio Vaticano II, 15 anni dal Grande Giubileo del 2000. A ben guardare, l’indizione del Giubileo è sempre avvenuta in momenti di grande significato, di grande svolta. Bisogna retrodatare 17


!MPATTO - ATTUALITÀ N.7 | 26 Marzo 2015

di molti secoli l’inizio di questa tradizione, addirittura al 1300, sotto il pontificato di Papa Bonifacio VIII. Non è sbagliato asserire che non si tratti di una casualità il fatto che i versi della Divina Commedia si pongono nel contesto dell’anno del Giubileo, dell’espiazione e del perdono per tutta l’umanità, che si accorda alla personale vicenda di redenzione del sommo poeta, a seguito del suo traviamento, del suo allontanamento dall’ortodossia nella fede. Periodico - Successivamente fu stabilita, per il Giubileo, una cadenza periodica più breve di quella secolare, al fine di far vivere, ad ogni generazione, almeno un anno Santo. La prassi di indire Giubilei straordinari nasce dalla presa di coscienza del verificarsi di eventi altrettanto straordinari e speciali. Il Giubileo del 2000 è stato un evento senza precedenti. Ogni passaggio di secolo, infatti, ha portato con sé la paura per una fine imminente, 18

un’ansia di rinnovamento ed una conseguente sensazione di rinascita. Il 2000 è stato l’anno di grande ricapitolazione di duemila anni di cammino dell’umanità, nell’anniversario della nascita di Gesù Cristo che ha dato inizio alla nuova storia degli uomini. Si trattò di contribuire a comprendere le vicende umane di questo arco di duemila anni dalla nascita di Cristo, riconoscendo che strade nuove, aperture e generosità di dialogo, di solidarietà, di scambio reciproco e di condivisione andavano ricercate e favorite in ogni direzione. L’occhio all’Oriente - Questo Giubileo si colloca in una prospettiva molto particolare. Le persecuzioni cristiane, le imposizioni con il sangue che terrorizzano le popolazioni, sono sempre più penetranti e tragicamente forti. Spiazzanti. Gli attentati in Pakistan, l’avanzata dell’ISIS, specie in Libia, l’emergenza nel Mediterraneo, resa sempre più allarmante da un terrorismo che semina panico e sconforto e

IL SELFIE, IL PAPA E I GIOVANI Il breve Pontificato di Bergoglio è stato sin da subito rivolto ai giovani fedeli. La parte più debole di un presente che sembra non avere un futuro, sarà protagonista del Giubileo. che allarma i Governi, si pongono in una posizione assolutamente antitetica con le concezioni di santità, pace e misericordia intrinsecamente presenti nell’anno che sta per cominciare. La paura maggiore scaturisce dal fatto che nel mirino dell’ISIS sembrano esserci soprattutto i luoghi simbolo dell’Occidente. Roma, culla della cristianità, nell’anno del Giubileo, non sembra esserne esente. La vera forza dello Stato Islamico appare quella della minaccia, il disarmante potere dell’intimidazione, che rende deboli. La sua temibilità deriva dalla cultura iconoclastica, dalla forza dei simboli. Lo stato islamico gira video in quantità, disponendo della dirompente forza delle immagini, più efficace delle armi. Il Califfato mostra i muscoli, arruola


Pope Francis declares a Holy Year of Mercy Written by Inés San Martín twitter.com/inesanma

L’APERTURA DELLA PORTA SANTA L’inizio del Giubileo del 2000 con Giovanni Paolo II. forze fresche da mandare al macello, foreign fighters. Contro la barbarie dell’uomo, la follia dell’estremismo e del fondamentalismo religioso, è necessario ergere la bandiera della pace e della misericordia. Ergerla in modo che possa essere globalmente visibile, parimenti intimidatoria. È per questo che la sfida principale sarà la capacità di non smarrire mai il senso più profondo e più vero dell’evento giubilare: il suo significato religioso e spirituale. L’incertezza, fino allo smarrimento, per il presente; le paure per il futuro; la difficoltà per l’uomo contemporaneo di cogliere orizzonti di senso che aiutino a comprendere il cammino compiuto; le revisioni dolorose, i riesami di coscienza che sono indispensabili per guardare avanti con fiducia e speranza, sapendole scoprire anche nelle grandi tragedie e nei grandi interrogativi che sono aperti nella vita dell’umanità; le perenni interrogazioni sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla libertà e le tentazioni di dominio, sulle ingiustizie e lo sfruttamento, gli squilibri, gli egoismi e le cupidigie che rendono l’uomo nemico o anche solo estraneo e disattento all’altro uomo. Ecco l’orizzonte culturale che occorre sempre tenere presente, perché l’evento giubilare è dentro questa storia degli uomini, pur con tutte le conquiste (e le nuove sfide e i nuovi rischi) che anche, sotto un altro aspetto, scienza e tecnica hanno prodotto e di cui lo stesso universo mass-mediale è testimonianza eloquente.

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Published by Crux Now

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lready regarded by many as the “Pope of Mercy,” Francis offered another motive for the title with the surprise announcement on Friday of an extraordinary Holy Year of Mercy, saying he wants to make it evident that the Church’s mission is as a witness of compassion. “Let us not forget that God forgives and God forgives always,” Francis said, repeating the words he used during his first Angelus as pope, on March 17, 2013. “Let us never tire of asking for forgiveness.” Having already described his entire papacy as a “Kairos” of mercy, meaning a privileged moment in God’s plan of salvation, Francis said the time is ripe for that message. “I am convinced that the whole Church — which has much need to receive mercy, because we are sinners — will find in this jubilee the joy to rediscover and render fruitful the mercy of God, with which we are all called to give consolation to every man and woman of our time,” the pope said. Francis made the announcement in St. Peter’s Basilica while celebrating a penitential service on Friday, the second anniversary of his pontificate. Traditionally, every 25 years the popes proclaim a holy year, which features special celebrations and pilgrimages, strong calls for conversion and repentance, and the offer of special opportunities to experience God’s grace through the sacraments, especially confession. Extraordinary holy years, like the Holy Year of Mercy, are less frequent, but offer the same opportunities for spiritual growth. The jubilee will begin on Dec. 8, the day Catholics celebrate the feast of the Immaculate Conception, and which this year will mark the 50th anniversary of the groundbreaking Second Vatican Council. It will end on Nov. 20, 2016, on the feast of Christ the King. During December’s ceremony, Pope Francis will open the Holy Door in St. Peter’s Basilica, which is normally bricked up. The last one to do so was St. John Paul II, who opened it in 2000. The ceremony served as the opening of a worldwide celebration, “24 Hours for the Lord.” At the pope’s request, Catholic churches will remain open Friday and Saturday to offer the Sacrament of Reconciliation (also known as confession) to the faithful. Francis said people shouldn’t be afraid to approach a priest and confess their sins, something he did at the end of the penitential service, before getting into a confessional himself to hear the confessions of a group of faithful. According to the pope, in the confessional one has “the certainty of being welcomed in the name of God and understood, despite our misery”. “The greater the sin, the greater the love, which the Church must express toward those who convert,” Francis said. “Coming out of the confessional,” the pope said during the ceremony, “we will feel the strength [of God’s grace] that restores life and returns us with enthusiasm to faith. We have one real confessor, and He defends us always!” The biblical theme the pope has chosen for the jubilee year is “be merciful, just as your Father is merciful,” something that Francis said applies “especially to confessors.” The Holy Year of Mercy will be organized by the Vatican’s Pontifical Council for the New Evangelization and it’s designed to widen access to the Sacrament of Reconciliation. The tradition of Holy Years started 700 years ago. Since then, the Catholic Church has celebrated 26 jubilees. Of those, only three have been “extraordinary” (including this on called by Francis); the last was called by Pope St. John Paul II in 1983 to mark the 1,950 years after the death of Jesus.

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!MPATTO - ATTUALITÀ N.7 | 26 Marzo 2015

How Pope Francis fooled us all on LGBT issues Written by Michael Luongo for The Guardian

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he moment I met the man who would be pope, I cringed inside. I shook his hand, chatted briefly with him as a crowd of admirers pulled at his vestments, hoping to get a word with him, a kiss on a new baby’s cheek. A friend, an Argentine veteran of the Falklands war, enamoured of him, snapped a photo. That image is now in my mother’s living room, a proud conversation piece allowing her to tell guests about her son who knows the pope. That frozen moment took place on Christmas Eve 2010, inside Catedral Metropolitana, when Pope Francis was still Archbishop Jorge Bergoglio. At the time, he was a man who fought against progress when it came to LGBT issues and had definitively lost, presiding over an institution that was becoming increasingly irrelevant. Bergoglio had described Argentina’s 2010 same-sex marriage law, Latin America’s first, as the work of the devil. His cathedral overlooking Buenos Aires’ Plaza de Mayo was for years the site of ugly clashes between Catholic protesters and gay rights activists, who had to be kept separate by a line of police at the start of the national gay pride parade every November. By 2010, the defeated Catholic protesters were finally gone. Still, the cathedral was often splattered by vulgar graffiti and red paint, representing blood on the church’s hands. President Cristina Fernández de Kirchner openly taunted Bergoglio for his regressive attitudes. This all changed on 13 March 2013, when he was selected as pope. I made my way to the cathedral that day, photographing jubilant worshippers flocking to the building, even if their now u

LA GOCCIA CHE SCAVA LA PIETRA

Le valutazioni di Bergoglio a due anni dal suo Pontificato. Papa Francesco ha tracciato una nuova via da seguire per la Chiesa e per il mondo cattolico. Una strada fatta di gesti concreti. Il Papa della fiducia e dell’accoglienza e il suo vago sentimento di un pontificato breve. DI GIORGIA MANGIAPIA

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redici marzo 2013, ore 19.06. Si diffonde nel cielo la fumata bianca: Habemus Papam. Un Papa gesuita. Un argentino per la prima volta nella storia del Pontificato. Alle dimissioni di Ratzinger, dopo cinque interminabili fumate nere, un altro Vescovo viene proclamato a Roma. Il drappo rosso si apre e un nuovo Papa si presenta al mondo. Altro e nuovo in quanto diverso e fuori dagli schemi appare quest’uomo vestito di bianco. 20

Cammino, fratellanza, fiducia: le tre parole chiave del discorso iniziale di Jorge Mario Bergoglio. Un cammino da iniziare insieme: vescovo e popolo, popolo e vescovo. In un cammino di fiducia. “Fiducia tra noi”. Una parola che richiede impegno. L’affidarsi comporta il mettersi nelle mani dell’altra persona senza aver timore. E il nuovo Papa li lascia cadere i timori mentre parla e guarda con una semplicità disarmante. Parla di fratellanza e preghiera. Una

preghiera da recitare tutti insieme. E comincia a pregare. Un padre nostro, un Ave Maria, un Gloria al padre, tutti insieme. Il Popolo - Parla di aiuto e sostegno per l’evangelizzazione e chiede un favore: “Prima che il Vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica. La preghiera del popolo per la benedizione al suo Vescovo. In silenzio la preghiera di voi su di me”. Cala il silenzio. Così ha inizio


L’INCONTRO Nel chiuso del Monastero Mater Ecclesiae, all’ombra di sguardi indiscreti e riparati dal possente cancello, Benedetto XVI e Francesco si incontrano spesso. Parlano, si confrontano, si salutano. non si siede sul seggio ma riceve i cardinali stando in piedi; non calza le lussuose scarpe rosse.

la storia del pontefice Francesco. Francesco ha voluto chiamarsi. Un nome importante, il nome del Santo d’Assisi . Il nome dell’uomo della pace e della povertà, dell’uomo che ama e custodisce il Creato. Durante lo scrutinio, un cardinale lo abbraccia e lo bacia dicendogli “Non dimenticarti dei poveri”. I poveri e l’uomo povero. Il popolo e il Vescovo. Per Bergoglio è l’uomo povero a dare lo spirito di pace. “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Così hanno inizio dei gesti simbolici e materiali: l’anello d’oro è sostituito da un anello dorato con l’effige di san Pietro con le chiavi; la scelta di una suite della residenza Santa Marta utilizzata dopo il conclave anche se l’appartamento papale è pronto; la conferma del suo stemma anteriore, scelto fin

dalla consacrazione episcopale e caratterizzato da lineare semplicità; la sostituzione della Scv 001 con un’auto meno lussuosa. Nulla di sconvolgente se si ricorda che dopo la sua elezione aveva deciso di rientrare alla Domus Santa Maria in autobus. Nei giorni i gesti dirompenti si susseguono: la scorta della Polizia di Stato Italiana è ridotta ad una sola automobile; il rifiuto della croce d’oro dell’abito del Papa sostituita con una croce su cui è incisa la raffigurazione del buon pastore che porta sulle spalle la pecorella smarrita e, dietro, il suo gregge. In alto una colomba. La sua umiltà è disarmante: nel ritirare i bagagli alla Casa del Clero dove aveva soggiornato nei giorni precedenti al Conclave, paga il conto; appena eletto, ancora all’interno della Cappella Sistina,

Il Papa Rivoluzionario - Chi è Papa Bergoglio? Un rivoluzionario della semplicità. È la goccia che scava la pietra, lentamente e in silenzio. Un silenzio apparente di solchi leggeri e profondi. Scomodo forse per la coerenza delle sue azioni e per la determinazione dei suoi fermi e decisi no. Un Papa che viene da un paese alla “fine del mondo”. Una frase che potrebbe essere una citazione del gesuita padre Matteo Ricci, evangelizzatore della Cina. Un paese alla fine del mondo che rivoluziona il Vaticano con il suo modo di pensare. Riceve la lettera di un transessuale che denuncia la propria condizione di emarginazione, lo chiama e lo riceve in Vaticano; alla Conferenza internazionale sulla nutrizione è esplicito nel dichiarare che la lotta alla fame è ostacolata dal mercato in un’epoca in cui il sospetto tra le nazioni si trasforma in forme di aggressione bellica ed economica riducendo il cibo ad una merce; nel discorso all’Associazione internazionale di diritto penale chiede l’abolizione della pena di morte, legale e illegale, e di non usare la carcerazione preventiva perché costituisce una pena illecita occulta; chiede, inoltre, che sia abolito il carcere per anziani e bambini; sostiene che nelle carceri di massima sicurezza si attua una forma di tortura per la mancanza di stimoli sensoriali e della completa impossibilità di comunicazione e di contatto umano; ritiene che i divorziati possano accedere ai sacramenti e i divorziati risposati debbano essere accolti sulla base di una nuova concezione della Chiesa che sappia curare le ferite perché “questa chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di 21


!MPATTO - ATTUALITÀ N.7 | 26 Marzo 2015

tutti. Non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate”. Ecco chi è Bergoglio. La disoccupazione - Durante un incontro con Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica, il Papa ha manifestato il suo atteggiamento rivoluzionario parlando di proselitismo: “Il nostro obiettivo non è il proselitismo ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo dare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore. Dobbiamo includere gli esclusi”. Un Papa che affronta uno dei mali del giorno d’oggi: la disoccupazione. Francesco sa che se manca il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire o una famiglia non si ha stimolo. Sa che i giovani sono demotivati e cerca di emozionarli con le sue parole, con i suoi gesti. Un pontificato fatto di gesti. Gesti simbolici e pratici, gesti quotidiani dati da mani aperte, braccia spalancate, occhi sorridenti, pensierosi e riflessivi ma sempre comunicativi, attenti e aperti all’ altro. Un Papa della libertà perché Dio ci ha resi liberi e per questo non è possibile l’ingerenza spirituale nella vita personale e, pertanto la Chiesa non può chiudersi nei suoi precetti. “ Dio, quando guarda una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola? Bisogna sempre considerare la persona”. Il Papa dell’accoglienza ma, allo stesso tempo, un Papa che condanna con norme severe i dipendenti della Curia e del personale diplomatico della santa Sede e dei nunzi apostolici per reati come la prostituzione, l’abuso e la pedofilia. Di fronte agli scandali e alle polemiche vuol perseguire l’obiettivo unico 22

How Pope Francis fooled us all on LGBT issues Written by Michael Luongo for The Guardian

u famous leader was in Rome, waving from a balcony. I myself was struck by the fact that I now knew the man in the Holy See, something I could never have dreamed possible. I assumed that Pope Francis would be the same as Bergoglio, backwards on LGBT and other progressive issues, his church sliding ever more into irrelevance. But was I wrong. Bergoglio as Francis fooled me. Indeed I believe, he fooled us all. While not changing doctrine, the pope made his famous declaration: “Who am I to judge?” in reference to gay clergy. He has spoken of including the children of gay families and the divorced in communion. He met and embraced a transgender man, Diego Neria Lejarraga. I know through social networks that he has met with members of the Argentine LGBT community, though whether those were merely handshakes or more substantial occasions isn’t clear to me. What is clear is that we could never have imagined Pope Benedict XVI, Joseph Ratzinger, doing the same. Yet nor could I have ever imagined Archbishop Bergoglio, the very same man in different vestments, doing the same either. However, my own meetings with Italian politicians and gay activists for New York’s Gay City News have shown me they are more sceptical than the rest of the world. They’ve been through the church’s Machiavellian manoeuvres before. Andrea Maccarrone, head of Circolo Mario Mieli, Rome’s main gay rights group, told me the church will pretend to change with the times. “They are very good at this, to adapt to the situation,” he said, explaining that’s how they’ve lasted for more than 2,000 years. Sergio Lo Giudice, an openly gay senator of the Democratic party, thinks the rhetoric is merely image. “There has been no opening on the doctrinal, so homosexuality remains for the Catholic church a sin as well as a moral disorder.” Whether or not doctrine changes in the future, a dialogue that never existed before has begun. During WorldPride 2000, held in Rome, an event that directly challenged u

IL REGALO in linea con il pensiero di carità e poverta, don Renzo Zocca, oggi parroco di Santa Lucia di Pescantina, a Verona, ha donato al Santo Padre la propria Renault 4 del 1984.


How Pope Francis fooled us all on LGBT issues

VISITA AD ASSISI il Santo Padre, durante il cammino, si ferma a giocare con un bambino. di una lotta accanita contro la pedofilia ma anche contro il genocidio, l’apartheid e la tortura. Francesco che si è occupato anche del riciclaggio del denaro e di terrorismo internazionale ispirandosi alle Convenzioni Internazionali. Francesco che ha preteso maggior trasparenza attraverso una riforma importante dello IOR incaricando una commissione referente in modo da attuare in maniera precisa la raccolta delle informazioni anche riguardo la “banca vaticana”. Su temi etici come l’aborto, il matrimonio omosessuale e l’uso di contraccettivi, ritiene che la Chiesa non debba essere ossessionata dalla trasmissione di una serie di dottrine da imporre ma che ogni singolo argomento debba essere contestualizzato. Francesco è il Papa del movimento delle idee e dell’inarrestabile agire per motivare. È il Papa che indice un nuovo Giubileo speciale, un anno santo in nome della Misericordia. È il Papa che guarda all’incontro con Dio oggi e non nel passato perché solo così Dio

sarà sempre una sorpresa. Il Papa che va contro ogni visione statica e involutiva ma ha in sé il germe dell’evoluzione e dell’innovazione attraverso uno stile semplice, silenzioso che non si macchia di spettacolo, che non si contamina di apparenza. Il disegno - Bergoglio, nel suo incedere silenzioso, ha ridisegnato di nuove sfumature la Chiesa cattolica. Il suo modo di essere lo fa apparire semplice come un prete, di quelli che vedi ogni domenica, che ti hanno accompagnato negli anni e con cui puoi scambiare parole non formali. Nel suo lavoro in Vaticano si dimostra intanto alacre, preciso, presente. Lui che ha la sensazione di un pontificato breve: “Quattro o cinque anni. Non lo so, o due, tre. Ben due sono passati da allora. È come un piccolo vago sentimento». Una vaga sensazione di un uomo concreto che, spostato il drappo rosso, la sera del 13 marzo 2013 con le mani congiunte e gli occhi assorti ha preso tra le sue braccia l’intera umanità per abbracciarla e accoglierla in un amore divino e semplice.

u the Vatican and Pope John Paul II, I tried writing about gay Italian issues for an ItalianAmerican magazine. At the time, the editor said the topic was untouchable because of conservative “spaghetti potstirring grandmothers,” among her readers. I would argue that even without doctrinal change, under Pope Francis those same grandmothers are serving spaghetti and having conversations with gay relatives because of his words. Yes, as Pope Francis of Rome, the Bergoglio I knew in Buenos Aires has fooled me. The pope still has his conservative leanings on longstanding doctrine, most notably on ordination of women, a particular issue in the United States as nuns take on expanding roles. Conservatives are also cautious, if not worried, about changes the Pope might enact; the New York Times writer Ross Douthat has warned of schisms in the church and how real doctrinal change contradicts the notion of papal infallibility. I am not the only LGBT journalist who finds the new pope both refreshing and surprising. Philadelphia Gay News publisher Mark Segal, long aware of the damage the Catholic church has wreaked on the LGBT community, has written a column thanking Pope Francis for his stance, in contrast to “Philadelphia Archbishop Charles Chaput [who] now seems to be leading a campaign of opposition,” against the pope’s progressive attitude. The pope’s views on these issues will become clearer when he visits the city of brotherly love this September for the World Meeting of Families, but perhaps this always was Bergoglio’s true self. There’s no one above him any more telling him how to behave, unless you believe in the big guy in the sky.

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!MPATTO - ECONOMIA N.7 | 26 Marzo 2015

RIPARTIRE DALLE PICCOLE IMPRESE ... Articolo di Marco Tregua

L’inizio di marzo segna, in molte parti del mondo, la ripartenza delle piccole imprese: la Corea del Sud spinge le Banche ad aiutare i piccoli imprenditori negli investimenti all’estero, mentre Romania e Kazakistan incentivano le PI a sfruttare i trend attuali. Intanto il sistema economico sottolinea come l’andamento delle piccole imprese influisca su quello delle grandi.

L’

inizio di marzo ha visto una linea comune in molte zone del mondo, una sorta di richiamo alle banche per far sì che le piccole imprese possano beneficiare del loro supporto finanziario e far ripartire gli ingranaggi di un motore che, sempre più, si trova ad arrancare, in Europa come nel resto del mondo. Un supporto che non deve tradursi in iniezioni di denaro a pioggia o a fondo perduto, ma che premi determinati investimenti, condizioni di liquidità e prospettive di rientro dei finanziamenti.

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Quest’impostazione sembra non discostarsi dal passato, ma non è così, poiché tanti governi si sono mossi nei quattro angoli del globo per sottolineare quanto sia necessaria una maggiore apertura al credito per le piccole imprese, con condizioni più agevoli dal punto di vista temporale e dei costi delle operazioni, pur sempre nel rispetto degli standard valutativi del sistema bancario, onde evitare di traslare i problemi delle imprese industriali su quelle bancarie e innescare, così, un pericoloso “effetto domino”. Nei vari paesi

l’impostazione di queste nuove misure segue le problematiche del contesto, come in Corea del Sud, dove le preoccupazioni in materia di internazionalizzazione delle imprese hanno spinto il Ministero delle Finanze a chiedere l’intervento delle banche per i piccoli imprenditori pronti a realizzare investimenti all’estero, con la costruzione di filiali e stabilimenti produttivi. L’innovazione è, invece, la direttrice di sviluppo per le imprese romene, con il Ministro delle Finanze pronto a sottolineare come


le condizioni attuali rappresentino un treno in corsa, su cui la Romania può salire oggi o guardarlo andare lontano e abbandonare i sogni di gloria, che passano proprio dalle piccole imprese locali. Termini simili sono stati utilizzati in Kazakistan, dove preoccupa il rallentamento della crescita e le piccole imprese vengono invogliate a mettere a sistema i propri punti di forza. Il destino delle grandi - Scelte simili riguardano anche economie più mature, come quella nipponica, in cui l’analisi del sistema economico ha sottolineato quanto il destino delle grandi imprese sia subordinato al buon andamento delle piccole imprese, che vanno adeguatamente supportate. Anche in Italia, il richiamo verso un alleggerimento delle rate per le imprese non “in sofferenza” è un premio ai buoni risultati conseguiti e una modalità di rilancio dell’economia dal basso; allo stesso modo l’Inghilterra, che oltre a stimolare le banche, prepara un’apertura alle forme di finanziamento alternative, tra cui il social lending. I binari sono tracciati ovunque ed è compito di piccole imprese e banche rilanciare insieme i percorsi di sviluppo, a ritmo di locomotiva o treni veloci, ciò che conta è evitare preannunciati deragliamenti.

LA RISCOSSA DEI BALCANI

La Banca europea degli investimenti appoggia la Serbia La Banca europea degli investimenti (Bei) ha firmato due accordi di prestito per un complessivo di ottanta milioni di euro con Societe Generale Bank Serbia (Sgrs) e Sogelease Serbia (Slrs); un’operazione finanziaria a sostegno delle piccole e medie imprese e dei progetti infrastrutturali collocati in Serbia. L’obiettivo, ha riferito la Banca europea degli investimenti, in un comunicato, è quello di appoggiare la Serbia impegnata su una giusta strada verso l’integrazione nell’Unione europea. “Con queste due linee di credito noi ribadiamo l’impegno della Banca Ue a sostegno di progetti in Serbia con l’obiettivo di aiutare il Paese nei suoi sforzi di rapida integrazione nell’Unione”, ha detto Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti e responsabile per i Balcani occidentali.

‘In America everybody wants to help you succeed’ Part one, written by Emma Featherstone Tim Rhodes, director of Aquaforno - Before the trade mission, the idea of exporting to America was like standing in a dark room. But with every talk I heard or contact I made during the trip, it’s like another light has come on. I’ve been surprised that in America it seems everybody wants to help you succeed. There’s less envy about success here than in the UK. I’ve learned how important contacts are here and how I’ll need to adapt to systems in American business – it’s very different to the UK. The best contact I made was probably Gordon McRae, vice president of JML [one of the expert speakers on the trade mission]. He taught me that it’s really important to use agents to get your products in US stores, and his knowledge about which agents could help us could be fantastic. I’m also planning to contact Brad Paulsen, senior director of product development at Home Depot. I want to see if he could recommend some offshore manufacturers that can deal with the volumes of products that we need to produce, which could fill in the missing piece in our puzzle. Roger Lopez [VP of marketing at Sideqik] struck me, and John from Plastic Castle, as the Lionel Messi of the online marketing world. The information he shared will allow us to market successfully with smaller budgets. Laurence Kemball-Cook, chief executive of Pavegen Systems - I have learnt that, as Pavegen develops, the chances of partnerships with flooring companies and corporations based in Atlanta will be a focus for our development. Companies there are focused on renewable energy, boosting CSR initiatives and open to adopting new technologies and ways of working. It was incredible how many major flooring companies are headquartered in Atlanta. We are keen to build on this visit and grow the outreach of our sustainable flooring. The chance to connect with businesses like Coca-Cola, Mohawk and Gensler has been crucial in making this trip a success. I’ve made so many useful contacts and I’m already exploring the possibility of a return trip in the coming months. Max Wiseberg, chief executive of HayMax - It’s important when taking your business to a new place that you know everything you can – the better you do it, the less money you waste. And the trade mission reinforced my thoughts on the US, including the scale of doing business there. To enter the American market, you need to take baby steps. I also had no idea what Atlanta was like, and I’ve discovered that it’s central to so many things. The brand’s my baby; I built it. But the trip has taught me that I need to improve it. I’m now looking to get some outside branding advice. I had a great chat with Rahul Lathia, the owner of British Food Imports. I also met some English companies at the Natural Products Expot West in LA, which I went onto after the trade mission. I hope to get some insights from them, which will help with the process of getting HayMax into US stores.

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!MPATTO - CULTURA N.7 | 26 Marzo 2015

Cultura & Arte Luisa Ercolano

LA SCRICCHIOLANTE CULLA DELL’ARTE L’Italia e il suo patrimonio artistico: pietra miliare in bilico per far spazio al progresso. A Capo Colonna una colata di cemento sul foro romano. Pompei abbandonata all’incuria. L’Italia con i due terzi del patrimonio artistico mondiale, protagonista nella Storia e nella cultura delle civiltà moderne europee dimentica il valore del proprio passato?

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Italia viene riconosciuta praticamente in tutto il mondo come la culla dell’arte e della cultura. Secoli di Storia, grandi Maestri che hanno lasciato un segno più o meno grande o profondo. Ce ne sarebbe abbastanza non solo per poter riempire i manuali di Storia e Storia dell’arte (cosa che, tra l’altro, già accade), ma anche per rimpinguare le casse dello Stato col turismo artistico. Ogni anno, infatti, non

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How to teach Volcanoes A good idea is to use volcanoes as a way of teaching topical science. This news article and activities by The Day is about a giant volcano at the centre of Yellowstone National Park. This one is about an Indonesian volcano that erupted after 400 years of dormancy and this one considers who should be in charge of saving archaeological treasures such as Pompeii. We also have a case study resource by the Geographical Association about the eruption of Mount Ontake on Honshu Island in Japan in September 2014. Asking students to imagine what it would be like to witness a volcano erupt could be a good cross-curricular, creative writing exercise.

POMPEI gli scavi archeologici, voluti da Carlo III di Borbone, sono una delle maggiori testimonianze della vita romana in Campania. sono pochi i turisti che affollano i nostri musei, si assiepano intorno ai monumenti, passeggiano per le nostre città, piene di opere d’arte in bella vista o più o meno nascoste, visitano siti archeologici, imparano attraverso le loro gite ed escursioni la nostra Storia, si innamorano del nostro Paese – o si re-innamorano del loro, quando si tratta di turisti italiani che si spostano da una zona all’altra – si riempiono gli occhi e il cuore di meraviglia, di Bello, di cultura. Eppure, non siamo in

grado di sfruttare la piccola, grande miniera d’oro sulla quale siamo seduti, non siamo in grado di far fruttare ciò che tutto il mondo ci invidia, ma, anzi, lasciamo che vada in rovina, lo deturpiamo (o lo lasciamo deturpare ad altri), minimizziamo il grande patrimonio che dovremmo proteggere, preservare, esaltare e usare come biglietto da visita e richiamo, o, peggio ancora, buttiamo giù tutto e lo copriamo con una bella colata di cemento per far spazio al cosiddetto


COLONNA superstite del Tempio di Hera Lacinia. Il santuario di Capo Colonna, dipendente dalla città di Crotone antica, fu uno dei più importanti della Magna Graecia.

CAPO COLONNA Il sito del santuario era in una posizione strategica lungo le rotte costiere che univano Taranto allo stretto di Messina. (Ph. Giancarlo Parisi). “progresso”. Cancelliamo con un colpo di betoniera il nostro lungo e variegato passato per far posto a un futuro standardizzato in neutri toni di grigio. Capo Colonna - Quest’ultimo è il caso, ad esempio, del sito archeologico di Capo Colonna, in provincia di Crotone, dove era stato deciso che i resti di un antico foro romano, scoperti durante gli scavi per la ripavimentazione del sagrato della chiesa situata sul promontorio, sarebbero dovuti essere coperti da una colata di cemento per realizzare un parcheggio. I lavori- che erano stati “giustificati” come lavori di preservazione di un mosaico sotto la pavimentazione del sagrato – sono stati sospesi soltanto dopo la lunga protesta della popolazione. Quello del sito archeologico di Capo Colonna non è certamente l’unico

caso di mancata valorizzazione del patrimonio culturale (o, nel caso specifico, di distruzione del patrimonio culturale, non è ben chiaro in nome di cosa), ma probabilmente solo uno dei, purtroppo, pochi che ha avuto una vera e propria risonanza mediatica. Sono sicuramente molti di più i casi che, purtroppo, non arrivano all’attenzione del grande pubblico, passando inosservati. Probabilmente, ognuno di noi vive in una città o un piccolo centro costruito su se stesso. Quanti di noi non sanno di camminare ogni giorno, magari andando al supermercato, accompagnando i bambini a scuola o portando a spasso il cane, sulla propria Storia, coperta di asfalto e cemento perché lì, in quel punto, faceva più comodo una strada che un ponte

tufaceo, o una piazza per coprire una grotta con un lago sotterraneo. Più frequentemente rispetto alle “coperture”, capita di avere notizie di danni dovuti all’incuria, basti pensare ai continui crolli degli scavi di Pompei: ogni qualvolta le condizioni metereologiche sono particolarmente avverse, i resti dell’antica città, i templi, le domus, i bellissimi affreschi, le stesse strade, si sbriciolano come castelli di sabbia sulla spiaggia alla prima onda, abbandonati dal bambino che li ha costruiti, sotto il peso dei loro anni e a causa della trascuratezza– non indaghiamo su quanto volontaria – da parte di chi di dovere. Anche Pompei, come Capo Colonna, è solo un esempio dei tanti siti archeologici, centri storici più o meno antichi, monumenti e chiese che, se ricevessero le attenzioni necessarie per poterli preservare nel tempo – o, per lo meno, prevenirne i rovinosi crolli, disfacimenti e deturpazioni varie – potrebbero richiamare nel nostro Paese ancora più turismo culturale di quanto già non facciano nello stato in cui versano. Tuttavia, anche il turismo culturale – e quindi l’accesso ai luoghi, agli spazi, ai monumenti, a città intere, volendo – dovrebbe essere attentamente controllato. Non è detto che il turista culturale che magari passeggia per la città d’arte armato di macchina 27


!MPATTO - SPETTACOLO N.7 | 26 Marzo 2015

fotografica, naso all’insù e bocca spalancata, sia, per forza di cose, più civile. Spesso, infatti, sembra quasi essere il contrario. Esempi lampanti sono gli sfregi che i nostri pezzi di Storia ricevono quasi su base giornaliera, un esempio su tutti il Colosseo, che sembra essere il “preferito” per questo genere di atti: scritte in varia misura censurabili, firme realizzate con gli oggetti più disparati – dalla matita alle chiavi, passando per i classici pennarelli indelebili – graffiti più o meno artistici ma che comunque non danno un valore aggiunto ma, anzi, vanno a ledere l’immagine del monumento in sé. E la nostra, in aggiunta. Il rispetto - Perché che senso ha essere stati la culla del Rinascimento, il Paese che ha dato i natali a grandi Maestri del calibro di Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Filippo Brunelleschi, Michelangelo Buonarroti o Gian Lorenzo Bernini, geni ancora oggi indiscussi? Che senso ha essere invidiati e copiati da mezzo mondo per la nostra Storia e la nostra arte, quando non siamo capaci di prendercene cura? Quando non siamo capaci di preservarla, di conservarla, di impedire che qualcuno – sia proveniente da fuori Italia che indigeno – ne faccia scempio, colorando l’acqua delle fontane, amputando statue, riempiendoli di spazzatura o di gomme masticate? Che senso ha avere un tale patrimonio artistico e culturale, tale da far invidia al mondo, e poi non prendercene cura? Non rispettarlo e non pretendere che gli altri lo rispettino? Verrebbe da dire che, se questo è il trattamento che gli riserviamo, noi che professiamo di essere fieri delle nostre origini, delle nostre radici, della nostra Storia, allora non la meritiamo. Se non sappiamo curarla e amarla quanto dovremmo, proteggerla dagli altri e da noi stessi, allora non la meritiamo. 28

Riso Avaro - Un anno di Vignette di Marco Gaucho Filippi con prefazione di De Luca

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ungente, irriverente, dissacrante e blasfema o goliardica e ridanciana, la satira è sottile come un taglio di lama ben assestato. Ne è consapevole Marco Gaucho Filippi nel suo ebook Riso avaro. Un anno di vignette. Centoventi strisce in cui si evidenziano i problemi palesi e mascherati di un’Italia nelle mani di personaggi tanto surreali da sembrare disegnati e su cui non è possibile affondare un segno di matita ben solcato. Mancano di spessore. Così, gratuitamente omaggiata da L’Espresso, si può godere della lettura di proverbi in satira. Non per irridere i nostrani potenti, sia ben chiaro. La satira richiede soggetti degni d’irriverenza. Nell’Italia dell’ inetta abitudine al riciclo e ripescaggio di volti, ideali e nomi, la satira fa da monito. Una vignetta per essere redarguiti, educati e bacchettati con un classico della tradizione italiana: una massima e la sua morale frutto di saggezza popolare. Perché, si sa, ferisce più la lingua che la spada. Soprattutto se la lingua batte dove il dente duole rivelando verità mentre il lupo, politico potente nell’Italia impotente, perde il pelo ma non il vizio. Emilio De Luca

IL SITO DI POMPEI è risultato essere nel 2013 il secondo sito italiano per numero di visitatori, con 2.457.051 persone e un introito lordo totale di 20.337.340,30 Euro.


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LA VITA DI UN PASTAIO CAMPANO

Sfogliando le pagine di una storia si scopre l’amore per la pasta e di chi s’inventa un mestiere e ne fa una professione. Un’intervista a Giuseppe Di Martino del Pastificio dei Campi per ritrovare la passione e l’arte di un vero artigiano italiano.

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apita, sovente, di leggere un libro e trovare, nella conseguenza armonica delle parole scritte, un varco da attraversare. Curiosi, ci lasciamo trasportare da quel lento fluire e osserviamo, in cùpido silenzio. Diamo forma e colore ai soggetti e agli oggetti che, chiusi tra prima e quarta di copertina, si muovono nello spazio-tempo di una storia. È il naturale processo della lettura che, dal suono immaginato delle singole lettere, crea parole, immagini e poi persone, voci, caratteri, luoghi e profumi. Ascoltare Giuseppe Di Martino, amministratore delegato del “Pastificio dei Campi”, mentre parla della sua azienda, della storia e della vita di una famiglia, è come sfogliare le pagine di un vecchio libro. Uno di quelli letti tante volte, dove le immagini e i personaggi ci sono familiari. Uno di quei libri in cui, riaprendoli, ritroviamo la trepidante attesa di chi sta per girare pagina, riscopriamo quel momento in cui il fluire da lento è diventato vorace, avido di sapere dove lo spazio-tempo ci avrebbe portati. Vorace e avida è la curiosità di chi ascolta Giuseppe e le sue

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parole danzanti. Sospinte da una musicalità tipicamente partenopea, le parole aprono quel varco e noi, astanti ignari, lettori inconsapevoli, ci ritroviamo ad attraversarlo. Siamo in una storia, sospesi e attenti in un tempo e in uno spazio che, tra flashback e forward, procedono senza soluzione di continuità. Così, da un’aula universitaria al calar del sole, veniamo catapultati in una Gragnano dei primi ‘900. Osserviamo un giovane ragazzo, squattrinato e intraprendente, lavorare duramente in un pastificio. L’arte è nel sangue, la sua ascesa è rapida e, nel 1912, il giovane rileva l’azienda per cui lavora. È Giuseppe Di Martino, nonno del fiero narratore. L’azienda, da uno sfortunato padre di sole figlie femmine, passa nelle sue mani e diventa il Pastificio di Martino, 194° pastificio registrato a Gragnano. Le pagine si perdono, saltano i capitoli e cambia lo scenario. Calpestando i marciapiedi di Londra, ascoltiamo la storia di Giuseppe, Di Martino di terza generazione. È il 1995 quando Giuseppe si schiera tra le file del “battaglione Tamigi”, gruppo tattico di giovani italiani sfuggiti al servizio militare obbligatorio.

articolo di Francesca Spadaro


A Londra Giuseppe rimane due anni, lavora sodo e impara tanto. Torna a casa nel ’97, carico di idee e accompagnato da un vento foriero di rivoluzioni. Ma la tradizione ha orecchie dure e, vane come quel vento, rimangono le parole. Giuseppe, giovane, inesperto e sognatore secondo la famiglia, viene impiegato nel reparto export dell’azienda. Con audacia e inglese perfetto inizia a muovere passi e pedine, eludendo il controllo di quella tradizione che l’inglese non lo parla. Perché si sa, «Tradurre è un po’ tradire» come scherza il vecchio padre. I successi non tardano ad arrivare e con essi la fiducia della famiglia. Spettatori rapiti dalla scena, sorridiamo per i suoi racconti e aspettiamo il prossimo atto. Giuseppe è in Canada questa volta, è il 2003 e partecipa, infastidito, al congresso del Canadian Wheat Board (Consorzio Canadese del Grano). I relatori, fantocci asserviti al potere, rivendicano la supremazia del grano canadese, glorificando le sue quattro varietà. Si alza Giuseppe, saluta poco cordialmente e trascina con sè un mite mugnaio appena conosciuto, che gli siede accanto. Nessuno dei due sa che, quel preciso istante segna la nascita di un progetto, di un lavoro di squadra. Figlio di un antico desiderio di Giuseppe, il Pastificio dei Campi prende forma in quel momento. Nicola De Vita - Il mite mugnaio è Nicola De Vita e il suo mulino viene utilizzato ancora oggi per la molinazione del grano del pastificio. Accompagnato da Nicola, Giuseppe inizia un viaggio, un percorso tra terre e varia umanità che lo conduce lì dove lo troviamo oggi. Tra la Puglia, il Molise e la Campania,

LA PASTA CAMPANA un viaggio nella famiglie della pasta a Gragnano.

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scopre distese di campi a perdita d’occhio. E li studia quei campi, ne impara a conoscere il terreno e il clima; la rotazione delle colture che ne aumenta la fertilità e il rispetto dei tempi che la natura chiede, per dare i suoi frutti. Capisce che ogni appezzamento è unico e diverso dagli altri e che per ogni terreno «esistono specifici semi, che attecchiscono, al meglio, solo in specifici campi». Ascolta le voci dei coloni, padri e figli, del loro territorio. Con la sapienza di chi dà vita e vive della terra, i contadini gli insegnano le diverse varietà del grano. Più di 357 in Italia. E riparte da qui, Giuseppe, da questa unica, straordinaria, diversità. Riparte da Gragnano, dove affianca e non calpesta la vecchia azienda di famiglia. Nel 2007 nasce il Pastifico dei Campi. Giuseppe Di Martino - Ci muoviamo rapidamente nella storia e nella vita di quest’uomo, padre amorevole di due figli maschi e marito martire di moglie milanese. Ardono gli occhi quando parla della pasta, di quella sua. Cerchiamo timidamente di inserirci nel flusso delle sue parole, e ogni risposta ci porta a un momento, racconta una storia. Ascoltiamo, ammaliati, la novella degli spaghetti. Dallo spaghettino «timido, di buona famiglia… ragazzo con le scarpe lucide» al Vermicellone 2.1, scugnizzo mascalzone. Ognuno ha il suo carattere. Personalità valorizzate, rispettate o domate dai pomodori più saporiti. Dal mondo fantastico dei piennoli ruspanti e degli austeri San Marzano, ci spostiamo alla realtà. Giuseppe Di Martino, oggi, è un grande imprenditore, abile comunicatore. Ha saputo investire in una materia che ha reso prima per qualità, la sua pasta. Le ha affiancato un bene immateriale che vende assieme al grazioso pacchetto, la sua storia. Negli anni di viaggi, di 32

Giuseppe Di Martino: pastaio per nascita e vocazione. La terra della pasta: Gragnano

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iuseppe Di Martino è fondatore e amministratore delegato del Pastificio dei Campi. Pastaio per nascita e vocazione, sin da ragazzo matura l’idea di creare un progetto tutto suo, sogna di fare la “miglior pasta di sempre”. È la sua idea, mancano mezzi e strumenti. Riposto il desiderio nel cassetto, Giuseppe vive la sua vita, crescendo professionalmente e personalmente. Dopo un’esperienza a Londra, torna a casa e nel 1997 inizia a lavorare per l’azienda di famiglia, lo storico Pastificio di Martino, fondato dal nonno nel 1912. Nel 2002 diventa presidente del Consorzio dei Pastai di Gragnano e nel 2007 fonda il Pastificio dei Campi. I primi pastifici di Gragnano vengono costruiti nel XVIII secolo e, nel tempo, questa piccola cittadina della Campania, diventa capitale mondiale della pasta. I documenti dell’epoca raccontano che verso la metà del ‘700 fu ridisegnato l’assetto urbano della città, in particolare, la storica Via Roma, fu ricostruita per favorirne l’esposizione al sole e la concentrazione delle correnti ventose del Golfo di Napoli. La strada diventò un naturale essiccatoio di pasta e moltissime foto di fine ‘800 la ritraggono colma di filari di canne con pasta messa ad asciugare all’aria. A metà dell’800 il 75% della popolazione gragnanese era impiegata nell’industria della pasta, i pastifici erano più di 100 e la produzione superava i 1000 quintali al giorno. Il Pastificio Di Martino fu il 194° pastificio della città. Nel 2013 la pasta di Gragnano ha ottenuto il marchio I.G.P. europeo. Certificato di qualità e garanzia. La produzione della pasta gragnanese segue fedelmente le regole della tradizione. L’impasto si ottiene mescolando semola di grano duro e acqua. La trafilatura avviene rigorosamente al bronzo, materiale che, a contatto con la pasta, le conferisce una superfice ruvida. Grezza e polverosa alla vista, la pasta di Gragnano è callosa e consistente sotto ai denti e la sua texture è il quid che consente perfetta unione, indissolubile legame, con il condimento. Francesca Spadaro

GIUSEPPE DE MARTINO imprenditore e comunicatore, patron del Pastificio dei Campi, ospite, nel Novembre del 2011, dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.


Has Italy lost its passion for pasta? Written by Matthew Fort twitter.com/matthewfort

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Published by The Guardian

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he news that Italians are eating less pasta – consumption has dropped from 40kg to 31kg per family per year in the past decade according to the Wall Street Journal – would have come as welcome news to the poet, writer and founder of the Futurist Movement, Fillipo Marinetti. In the Manifesto of Futurist Cooking, published in 1930, he suggested banning the consumption of pasta on the grounds that it led to lassitude, pessimism and general absence of get-up-and-go. (Incidentally, he also wanted to do away with knives and forks.)

IL PASTIFICIO DEI CAMPI Eccellenza nella produzione della pasta in Campania, estende le sue abilità anche nell’aspetto comunicativo. congressi e di confronti in giro per il mondo, Giuseppe ha imparato a conoscere i clienti, a sedurre gli astanti. Quando carezza l’epa ingombrante e descrive una ricetta, quando distoglie lo sguardo, impegnato a scavare nella memoria, quando fissa negli occhi e racconta il ricordo ritrovato, nulla è lasciato al caso. E nulla è caso o fatto fortuito nel suo lavoro. È impegno e rispetto della tradizione e della trasparenza. L’uso di seminatrici di precisione che dosano la quantità di semi per ogni ettaro, la geolocalizzazione che permette di sapere, per ogni pacco di pasta acquistato, da quale campo proviene – e come è stato prodotto – sono il frutto del lavoro di un uomo appassionato. Dal 2002 – anno della sua fondazione – è presidente del Consorzio dei Pastai di Gragnano, e da che ne ha memoria sogna di fare «la miglior pasta di sempre». Fanatico artigiano del nuovo millennio, continua ogni giorno a lavorare al suo progetto e ambisce a creare un prodotto perfetto che è «il prodotto di chi rasenta la perfezione e si spinge ogni giorno più avanti, per tentare di raggiungerla».

The reasons behind the recent decline may be more prosaic. Changes in work practices and a gradual incursion of foreign foods (sushi in particular) are tempering the nation’s passion for pasta. Fear of weight gain is another factor: according to a Nielsen survey, the percentage of women aged between 26 and 30 who believe pasta is fattening increased by 26% between 2008 and 2012. Among men of the same age, the figure rose by 16%. As John Dickie pointed out in his fascinating book, Delizia!, the four-course structure that we have come to accept as the classic Italian meal – antipasto, primo piatto (pasta or rice), secondo piatto (meat or fish), dolce (pudding) – is of relatively recent 1930s origin. It could be argued that, in eschewing pasta, Italians are only returning to older habits. Indeed, in my various journeys through the country, I sometimes felt I was the only person stuffing themselves with all four courses twice a day. Except on high days and holidays, people would eat two courses, including pasta, at lunch, then a meat course in the evening. While Italians may be eating less pasta than of yore, it would be premature to diminish its importance in the national psyche. In all its forms, it is still the national dish, with a history going back to the Etruscans. Pasta links Italians to their past and to their sense of identity. In spite of the effects of internal migration, external cultural pressures and the modern trend to culinary homogenisation, most Italians still have an intense sense of local loyalty – campanilismo – part of which is reflected in local foods and dishes. Anyone who has witnessed the passion with which Piedmontese, for example, discuss the proper filling for agnolotti will understand the remark of an Italian friend of mine, who told me that his countrymen “speak and eat in dialect”. It is, perhaps, ironic, that consumption of pasta is growing outside Italy. In the UK, according to the International Pasta Organisation, in 1987 we consumed just £53m worth of the stuff. In 2009, this had risen to £282m. And that figure is still rising. While Italy may be slowly falling out of love with pasta, our own passion shows no sign of abating.

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MACCARONI IO ME TE MAGNO ARTICOLO DI ELEONORA BALUCI

La pasta regna sovrana sulla tavola della penisola. Simbolo di un’Italia del riscatto sociale ed economico, essenza del Made in Italy e del brand gastronomico al di là dei confini geografici. Tra variazioni, cotture ed invenzioni, la produzione s’intensifica fino al mito della pastasciutta. Dalla pasta fresca all’uovo alle paste ripiene, una storia dal sapore nostrano.

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ANTONIO DE CURTIS Totò nel ruolo di Felice Sciosciammocca nel film del 1954 Miseria e Nobilità, diretto da Mattoli, tratto dall’omonima opera teatrale (1888) di Eduardo Scarpetta. 34

li Inglesi non vivono che di roast-beef e di budino; gli Olandesi di carne cotta in forno, di patate e di formaggio; i Tedeschi di sauer-kraut e di lardone affumicato; gli Spagnuoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido; gl’ltaliani di maccheroni”. Già agli occhi, ormai più di cent’anni fa, del grande gastronomo Pellegrino Artusi, autodefinitosi con il titolo di “mangia maccheroni”, la pasta era l’alimento principe del popolo italiano, considerata parte integrante della cultura locale, indispensabile su ogni tavola, mensa, banchetto degni di questo nome. Le origini controverse - Dalle sue origini antiche, ancora controverse tra i popoli per stabilire a chi spetta la paternità, la pasta ha subito variazioni infinite, adattandosi a tempi, luoghi e bisogni. Dalla sua iniziale cottura in forno si passò all’invenzione, medioevale e tutta italiana, della bollitura in acqua, quando, all’incirca nello stesso periodo storico, vennero create le prime paste forate (penne, rigatoni), la pasta fresca all’uovo e le paste ripiene; nel giro di pochi anni la richiesta divenne così intensa che il Papa dovette imporre delle norme sulla vendita, circoscrivendo i pastai in vere e proprie corporazioni di mestiere.


Inizialmente un alimento solo per ricchi, solo nel corso del ‘700, grazie ad alcune invenzioni che ne abbassarono notevolmente il costo di produzione, divenne il pasto delle classi più disagiate; l’abbinamento con il pomodoro, giunto dalle Americhe due secoli prima ma a lungo considerato velenoso, fu il passo successivo per la creazione del mito della pastasciutta. Nel corso dell’800 la produzione si intensificò con nuovi macchinari, a vapore ed acqua prima, a corrente elettrica successivamente; nello stesso periodo numerosi pastifici nacquero al sud, nel salernitano e nel napoletano in primis, dove le condizioni di umidità, vento e temperatura erano perfette per la fase dell’essiccazione. Da allora la produzione di pasta, in Italia, non si è più arrestata. È cambiato il metodo, dalla lavorazione casalinga e manuale a quella industriale e meccanizzata, sono cambiati forme e colori, dai formati classici a quelli più stravaganti ed arricchiti con cacao, nero di seppia, spinaci, pomodoro, zafferano, sono cambiati consumo e richiesta, ma questo genuino alimento, così semplice da essere composto solo da acqua e farina, è sempre rimasto saldo nell’immaginario collettivo. Così tanto che, soprattutto nel dopoguerra, la pasta irrompe e diventa protagonista nel cinema italiano; a partire da Totò, in “Miseria e nobiltà” e nella famosa scena degli spaghetti, portati in valigia fino a Milano, in “Totò, Peppino e la malafemmina”, fino ad arrivare ad Alberto Sordi e Sophia Loren, incarnazione rispettivamente del pastasciuttaro romanesco e della pastaia napoletana, passando per gli spaghetti-western, dove il termine spaghetto era già diventato emblema del popolo italiano, e per il timballo di maccheroni reso celebre da “Il Gattopardo”. Tutt’oggi l’Italia è il Paese maggiore produttore di pasta, seguito da Stati Uniti e

Brasile, la cui metà viene esportata in tutto il mondo; suo è anche il record mondiale di consumo annuo pro capite, ben 86 kg. Impasto per eccellenza - Ma la pasta è molto più che nutrimento, è il pasto per eccellenza, considerato il piatto povero da secoli, ma amato e desiderato anche dai ricchi, ospite d’onore in ogni ricorrenza, festività, cerimonia; accompagnata da ogni sorta di condimento ridà vita alla cucina con il suo aroma, proiettando i commensali in un turbinio di ricordi. In Italia la pasta si consuma fin da piccoli, non appena lo svezzamento ed i primi dentini permettano al bambino di masticarla, e da quel momento non la si abbandona più; essa viene consumata tutti i giorni, senza pericolo di stancarsi mai del gusto, che sarà sempre nuovo e diverso a seconda del sugo, verdura, carne, pesce, formaggio con cui sarà servita. Un piatto di pasta, infatti, per gli italiani, rappresenta pura poesia, qualunque sia l’ingrediente, povero o ricercato, usato per condirla. Una poesia

che regala sensazioni ed emozioni diverse ad ogni strofa, o ad ogni morso in questo caso; una poesia che solo chi è nato nel nostro Paese, ed è cresciuto viziato e coccolato da questo voluttuoso alimento, può comprendere appieno, al punto che neanche in giro per il mondo si riesce a rinunciare al primo piatto per eccellenza. Un rito che si compie sempre uguale, la pentola più consona per il formato da cucinare, l’acqua che bolle, il sale, fino o grosso che sia, il mestolo immerso nel sugo, il piatto fumante, lo spaghetto che scivola dalla forchetta. E ricordi di bambino, di donne col grembiule infarinato intente a fare miracoli con mattarello e spianatoia, di piatti fumanti, di pentole bollenti da cui stare alla larga, di pranzi e cene e domeniche e giorni festivi tutti intorno alla tavola; ricordi di infanzia, di risate, di persone che non ci sono più, di momenti felici con amici e parenti, perché si potrebbe dire, usando le parole di Fellini, che “la vita è una combinazione di pasta e magia”.

ALBERTO SORDI La celebre scena degli spaghetti in un Americano a Roma (regia di Steno). 35


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