FOOD TRA SECURITY, INDUSTRIA, SOSTENIBILITÀ, SAFETY, TECNOLOGIE SECURITY • L’emergenza da risolvere Dario Gilmozzi, FAO • E se gli insetti sfamassero il mondo? Andrea Mascaretti, Edible Insects INDUSTRIA • Per una produzione "snella" Andrea Fornasier, Unindustria Pordenone SOSTENIBILITÀ • La cucina della memoria Cesare Battisti, Ratanà I L
M A G A Z I N E
• Buono per te, sostenibile per il Pianeta Barilla CFN ALIMENTAZIONE • Linee guida dietetiche alimentari SICUREZZA • La tutela degli alimenti Mario Sangiorgi, Food Defense • MOCA: la sicurezza è imprescindibile Alberto Taffurelli, CSI P E R
U N A
V I T A
COMUNICAZIONE • Il cibo ai tempi della comunicazione Maura Franchi, Sociologia dei Consumi - Università di Parma • Food journalism: al di là delle ricette Pauliina Siniauer
SCIENZA • La scienza in cucina TECNOLOGIA • Nanotecnologie & Novel Food Vito Rubino, Università Studi Piemonte Orientale • In vino drone
STORIE DI QUALITÀ • Dalle arance la moda che fa bene all’ambiente Enrica Arena, Orange Fiber
SALUTE • Quando il cibo “rende” intolleranti Silvia Caboni D I
Q U A L I T À
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S I C U R E Z Z A
Anno XXXIV Numero 103 Dicembre 2015 IMQ, via Quintiliano 43 - MI
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FOOD TRA SECURITY, INDUSTRIA, SOSTENIBILITÀ, SAFETY, TECNOLOGIE SECURITY • L’emergenza da risolvere Dario Gilmozzi, FAO • E se gli insetti sfamassero il mondo? Andrea Mascaretti, Edible Insects INDUSTRIA • Per una produzione "snella" Andrea Fornasier, Unindustria Pordenone SOSTENIBILITÀ • La cucina della memoria Cesare Battisti, Ratanà I L
M A G A Z I N E
• Buono per te, sostenibile per il Pianeta Barilla CFN
SCIENZA • La scienza in cucina
ALIMENTAZIONE • Linee guida dietetiche alimentari
TECNOLOGIA • Nanotecnologie & Novel Food Vito Rubino, Università Studi Piemonte Orientale • In vino drone
SICUREZZA • La tutela degli alimenti Mario Sangiorgi, Food Defense • MOCA:la sicurezza è imprescindibile Alberto Taffurelli, CSI P E R
U N A
V I T A
COMUNICAZIONE • Il cibo ai tempi della comunicazione Maura Franchi, Sociologia dei Consumi - Università di Parma • Food journalism: al di là delle ricette Pauliina Siniauer STORIE DI QUALITÀ • Dalle arance la moda che fa bene all’ambiente Enrica Arena, Orange Fiber
SALUTE • Quando il cibo “rende” intolleranti Silvia Caboni D I
Q U A L I T À
E
S I C U R E Z Z A
Numero 103 Direttore Responsabile Giancarlo Zappa Capo redattore Roberta Gramatica Progetto grafico Fortarezza & Harvey Impaginazione Corberi e Sapori Editori Hanno collaborato Federico Cerrato Tommaso Chierici Antonella Ferrara Agnese Fioretti Velia Ivaldi Marta Manzo Walter Molino Nicola Pessina Stefano Rizzuti Pauliina Siniauer Vito Rubino Direzione, Redazione, Amministrazione IMQ, Istituto Italiano del Marchio di Qualità Via Quintiliano 43 20138 Milano tel. 0250731 fax 0250991500 mkt@imq.it - www.imq.it
Tutte le informazioni qui pubblicate possono essere liberamente riprese citando la fonte IMQ Notizie, periodico d'informazione sui problemi della sicurezza e della certificazione. Via Quintiliano 43 - 20138 Milano tel. 0250731 Direttore responsabile: Giancarlo Zappa - Autor. Tribunale Milano n. 17 del 17/1/1981 Stampa: Mediaprint - Milano In conformità a quanto previsto dal D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e fatti salvi i diritti dell'interessato ex ate. 7 del suddetto decreto, l'invio di IMQ Notizie autorizza I'Istituto Italiano del Marchio di Qualità stesso al trattamento dei dati personali ai fini della spedizione di questo notiziario.
EDITORIALE
QUESTIONI DI FOOD “Un sacco vuoto non può stare in piedi!” dice un noto proverbio, spesso utilizzato come intimidazione ai più piccini quando non vogliono mangiare. Un proverbio che ricorda una delle citazioni di Benjamin Franklin, anche se, nel caso dello scienziato e politico statunitense, il sacco vuoto non sarebbe stato in piedi non per mancanza di cibo, ma di valori. Il rischio di non riuscire a stare in piedi a causa della mancanza di cibo è purtroppo, ancora oggi, una certezza per oltre 800 milioni di persone. Paradossalmente, a queste fa da contraltare ben un miliardo di obesi ipernutriti. Ma perché questi squilibri? Secondo Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, la discriminante sta nell’accesso al cibo. Nella realtà la possibilità di accesso al cibo, ossia la “food security”, non è però garantita per tutti perché permangono disparità enormi tra nord e sud del mondo. Ma oltre a fare in modo che gli individui ricevano “food security” occorre anche provvedere agli aspetti di “food safety”, vale a dire assicurare che il cibo sia sicuro da un punto di vista della salute, che non abbia controindicazioni e che sia corrispondente a quanto scritto sulle etichette. A questo punto dovreste averlo intuito! Il tema portante di questo nuovo numero di IMQ Notizie è il cibo. Nei suoi aspetti di “security” e di “safety” naturalmente, ma anche in rapporto a tutti gli altri ambiti della nostra società che riguardano la produzione, l’ambiente, le nuove tecnologie, la socialità, la comunicazione e, non ultimo, la salute. Argomenti approfonditi con diverse interviste, dalle quali emergono anche degli spunti per soluzioni che potrebbero contribuire a risolvere il problema della “food security”, quali ad esempio l’educazione all’entomofagia - ossia il nutrirsi con gli insetti - e l’applicazione delle nanotecnologie al cibo. Spaventati dall’idea di cenare a base di cavallette fritte o di alimenti innovativi prodotti in laboratorio? In fondo per gli insetti è solo una questione di coordinate geografiche: un piatto di cavallette in Thailandia è considerato una prelibatezza e un terzo della popolazione mondiale mangia larve e simili. Sugli aspetti di laboratorio invece è ancora tutto da vedere, anche se il Parlamento Europeo ci sta lavorando e, da poco (lo scorso 28 ottobre), ha approvato il testo che regolamenta l’introduzione e la vendita dei novel food sul mercato dell’unione europea. Ma per vedere quelli che saranno gli sviluppi pratici sulle nostre tavole, dovremo ancora aspettare. Nel frattempo, buona lettura.
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SOMMARIO
SOMMARIO FOOD TRA SECURITY, INDUSTRIA, SOSTENIBILITÀ, SAFETY, SCIENZA, NUOVE TECNOLOGIE, SALUTE, COMUNICAZIONE, START-UP
FOOD E:
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SECURITY
INDUSTRIA
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L’EMERGENZA DA RISOLVERE 795 milioni di persone nel mondo hanno scarso accesso al cibo. L’occidente si trova quindi davanti alla sua più grande sfida, all’urgenza che più di tutte necessita di una soluzione. Intervista a Dario Gilmozzi, Senior Programme Officer FAO
PER UNA PRODUZIONE "SNELLA" . L’approccio “lean”: focalizzare le imprese sulle attività e sui processi a maggiore valore aggiunto e sull'eliminazione degli sprechi, recuperando competitività, produttività e risorse. Intervista ad Andrea Fornasier, referente per Unindustria Pordenone della Lean Experience Factory
BUONO PER TE, SOSTENIBILE PER IL PIANETA Qual è l’impatto ambientale dovuto alla produzione, alla distribuzione e al consumo dei cibi? La doppia Piramide Alimentare-Ambientale ideata dal Barilla Center for Food and Nutrition.
ALIMENTAZIONE 18 LINEE GUIDA DIETETICHE ALIMENTARI (FBDG) IN EUROPA Come nascono, perché seguirle e come cambiano da Paese a Paese.
SOSTENIBILITÀ 8
E SE GLI INSETTI SFAMASSERO IL MONDO? Non è solo un semplice quesito ma la soluzione sostenuta a gran forza da “edible insects”, progetto sviluppato per aumentare la produzione mondiale di cibo in modo sostenibile. Intervista ad Andrea Mascaretti, promotore e ideatore del progetto Edible Insects
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LA CUCINA DELLA MEMORIA Per essere sostenibili difendendo il grande patrimonio italiano di tradizioni culinarie regionali e nazionali. Una ricchezza dal valore inestimabile che va conservata, trasmessa all’estero e alle generazioni future. Intervista a Cesare Battisti, Chef e fondatore del ristorante Ratanà
SICUREZZA (SAFETY) 20
LA TUTELA DEGLI ALIMENTI Scopriamo la food defense, un programma che si propone di implementare delle procedure per la prevenzione e la difesa degli alimenti dalla contaminazione intenzionale di agenti chimici, fisici o radiologici provenienti dall’esterno del sistema. Intervista a Mario Sangiorgi, coordinatore del progetto Food Defense
IMQ NOTIZIE n.103
TECNOLOGIA
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COMUNICAZIONE
MOCA: LA SICUREZZA È IMPRESCINDIBILE Sempre più spesso facciamo attenzione a cosa mettiamo nel carrello della spesa, scegliendo prodotti dei quali conosciamo a fondo ingredienti e provenienza. Quanti di noi, però, sono consapevoli del fatto che anche l’imballaggio dei cibi che compriamo deve essere sicuro? Intervista ad Alberto Taffurelli, Food Packaging Materials Division Manager - CSI, Gruppo IMQ
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NANOTECNOLOGIE & NOVEL FOOD Le nuove frontiere dell’innovazione nel settore alimentare. Di Vito Rubino, Avvocato, Ricercatore in Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi del Piemonte Orientale
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IL CIBO AI TEMPI DELLA COMUNICAZIONE Come mai scegliamo un prodotto al posto di un altro? Quali sono i valori del cibo che teniamo maggiormente in considerazione? Il costo rappresenta ancora oggi il fattore principale che orienta le nostre scelte? Intervista alla Prof.ssa Maura Franchi, docente di Sociologia dei Consumi – Università di Parma
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FOOD JOURNALISM: AL DI LÀ DELLE RICETTE Di Pauliina Siniauer - Ejo European Journalism Observatory
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SCIENZA 28
LA SCIENZA IN CUCINA Se il pane lievita alla perfezione, se la maionese si addensa correttamente e se una torta si presenta con un’invitante superficie dorata, non è solo questione di bravura ai fornelli, ma anzitutto di chimica e fisica.
IN VINO DRONE . Tecnologie SAPR per produrre meglio, spendendo meno e riducendo l’impatto sull’ambiente.
SALUTE
STORIE DI QUALITÀ 44
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QUANDO IL CIBO “RENDE” INTOLLERANTI Intervista alla Dott.ssa Silvia Caboni, specialista in allergologia e immunologia pediatrica avanzata
DALLE ARANCE LA MODA CHE FA BENE ALL’AMBIENTE Orange Fiber è una startup che sviluppa filati innovativi e vitaminici dagli agrumi. L’obiettivo è creare un tessuto sostenibile e cosmetico che risponda all’esigenza di innovazione dei brand di moda. Intervista a Enrica Arena, CMO e Cofounder di Orange Fiber S.r.l.
RUBRICHE 46
Panorama News
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Brevi IMQ
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PRIMO PIANO: FOOD SECURITY
DA RISOLVERE 795 MILIONI DI PERSONE NEL MONDO HANNO SCARSO ACCESSO AL CIBO. L’OCCIDENTE SI TROVA QUINDI DAVANTI ALLA SUA PIÙ GRANDE SFIDA, ALL’URGENZA CHE PIÙ DI TUTTE NECESSITA DI UNA SOLUZIONE Intervista a Dario Gilmozzi, Senior Programme Officer dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Food and Agriculture Organization of the United Nations, FAO)
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ggi, purtroppo, la fame e la malnutrizione uccidono più delle malattie. La povertà dilagante, l’esplosione di conflitti, lo sfruttamento dell’ambiente, i disastri climatici e la mancanza di investimenti nel settore agricolo sono i principali fattori che contribuiscono al peggioramento di una situazione già parecchio grave. Siamo davanti a un’emergenza che ormai non può più aspettare. Siamo tutti chiamati in causa e tutti possiamo portare un contributo. Quello che è certo e assodato è che non possiamo più permetterci di sprecare il cibo. Forse sembrerà banale, ma se si pensa che nel mondo viene sprecato ogni anno un terzo del cibo prodotto ci si rende subito conto di quanto si possa fare per combattere le disparità. Ne parliamo con Dario Gilmozzi della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per L’Alimentazione e l’Agricoltura che combatte il problema “fame” da circa 70 anni.
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rallentamento nella crescita economica mondiale e le varie situazioni di instabilità politica in alcune regioni come l’Africa centrale e il Medio Oriente. Gli obiettivi che erano stati fissati per il 2015 durante il Vertice Mondiale sull’Alimentazione e dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio erano molto più ambiziosi, si parlava infatti di una riduzione a circa 500 milioni.
Quali sono le situazioni di emergenza “fame” e “povertà” nel mondo? Purtroppo ci sono svariate situazioni di emergenza a cui l’Organizzazione è chiamata a dare risposta, insieme ad altri partner. Tra quelle più recenti, le crisi che si sono sviluppate in Siria, Sud Sudan, Repubblica Centroafricana e Yemen sono sicuramente tra le più pressanti. Anche se non possiamo certo dimenticare le altre regioni dove il problema della fame e della povertà - che sono ovviamente molto correlati - sono ancora persistenti. L’Africa sub-sahariana rimane, Attualmente quante persone han- con 220 milioni di persone, la regione no scarso accesso alle risorse con la più alta prevalenza di sottonutrizione (circa una persona ogni quattro). alimentari? D’altro canto, l’Asia è di gran lunCirca 795 milioni di persone sono anga la regione con il più alto cora sottonutrite globalmente, numero di persone che quindi una persona ogni Siamo davanti nove. Il numero è calato soffrono la fame oga un’emergenza che ormai di 167 milioni nell’ultigigiorno, sono cirnon può più asp mo decennio e di 216 ca 500 milioni, e tt are. Siamo tutti chia milioni dal 1990, ma anche se la remati in causa e tutti possiam il progresso è ancora gione mostra un un contributo. o portare lento e dipende da trend positivo e Q certo e assoda uello che è molti fattori tra cui il incoraggiante. to
possiamo più p è che non ermetterci di sprecare il cibo.
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PRIMO PIANO: FOOD SECURITY
Ci sono dei governi che si stanno mobilitando sul serio per risolvere il problema? Diversi governi si impegnano molto per cercare di risolvere il problema. Innanzitutto, circa 90 paesi hanno raggiunto, o sono molto vicini a farlo, l’obiettivo n.1 degli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio per il 2015”, ossia ridurre almeno della metà la percentuale di popolazione che vive in condizioni di povertà e che soffre la fame. Tra i cosiddetti “donatori”, che mettono a disposizione - tramite la FAO risorse per combattere il problema della fame nel mondo, partner come l’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America, la Norvegia, il Regno Unito, l’Olanda, il Belgio, la Germania, il Giappone e l’Italia, per menzionarne alcuni, continuano a dimostrare il loro forte impegno nell’affidare alla FAO risorse per migliorare la situazione.
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A quali progetti della FAO contriInoltre, vi è una novità di rilievo negli buisce l’Italia? ultimi anni. Un crescente numero di L’Italia ha sempre avuto un rapporto paesi in via di sviluppo, che stanno afmolto stretto e particolare con la FAO, fermandosi dal punto di vista econoda quando la sede è stata spostata a mico, stanno cominciando ad approRoma nel 1951. La cooperazione con la vare risorse, tramite la FAO, per fiFAO è dunque cominciata molto temnanziare i programmi di sviluppo nel po fa e l’Italia rimane uno dei più proprio paese. grandi contributori di risorse volontarie Alcuni stati, inoltre, hanno cominciatramite la FAO, in supporto a un noteto ad aiutare gli altri paesi più bisognosi. vole numero di iniziative pensate per miPer esempio, la Guinea Equatoriale, con gliorare la sicurezza alimentare e ridurun contributo di 30 milioni di dollari, re la povertà. e l’Angola, con un contributo di 10 milioni di dollari, stanno finanziando un Al momento, ci sono circa 40 progetti fondo di solidarietà per attivi finanziati dall’Italia tramite la l’Africa. Altri donatori FAO. Gli interventi hanno per emergenti includoobiettivo soprattutto i paedo tata n si del Medio Oriente, delno il Brasile, la a u s Da q FAO è 951, l’Africa del nord, delTurchia, la Cina, a 1 l e del oma nel re l’Africa dell’ovest e la reil Messico e, più d e s la a R semp a t gione del Sahel. recentemente, a a t o spos l’Italia h rapport Nel campo delle rispoil Camerun. n
to ou avut lto stret con mo colare e. n ti e par anizzazio l’Org
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ste alle emergenze, negli ultimi anni l’Italia ha finanziato interventi FAO principalmente nell’Africa sub-sahariana (40%), in Medio Oriente (25%) e in Asia (20%). Tra questi, un progetto volto alla diversificazione dei mezzi di sussistenza in Somalia, un progetto per la produzione di grano in Siria, e uno in supporto delle popolazioni più vulnerabili del Burkina Faso. Recentemente, l’Italia e la FAO hanno lanciato un progetto, molto attuale, che si concentra su politiche rivolte alle cause della mobilità economica. L’intervento prevede di aiutare i giovani Etiopi a trovare lavoro in agricoltura nelle aree agricole del paese, senza vedersi costretti a emigrare.
Come possono contribuire i singoli cittadini? Nel suo piccolo, ogni singolo cittadino può contribuire alla soluzione del problema. Per esempio, essere consapevoli dell’impatto delle proprie scelte per quanto riguarda gli sprechi alimentari. Circa un terzo del cibo prodotto annualmente nel mondo, approssimativamente 1.3 miliardi di tonnellate, va perso o sprecato. Le perdite alimentari ammontano a circa 680 miliardi di dollari nei paesi industrializzati e a 310 miliardi di dol-
lari nei paesi in via di sviluppo, per un totale di quasi 1000 miliardi di dollari! Ogni anno, i consumatori nei paesi ricchi sprecano circa 220 milioni di tonnellate di cibo, grossomodo la quantità prodotta in tutta l’Africa sub-sahariana. Inoltre, i cittadini possono contribuire, direttamente o tramite i propri rappresentanti nelle istituzioni, ad aumentare le risorse indirizzate allo sviluppo sostenibile specialmente per i paesi meno fortunati e più bisognosi.
Pensa che si risolverà mai il problema della distribuzione del cibo nel mondo? Nonostante i successi parziali ottenuti, la situazione è ancora drammatica. Ma dobbiamo imporci di continuare a essere ottimisti. Progressi se ne sono visti e bisogna insistere con interventi sempre più strategici e incisivi per fare in modo che i problemi di fame e povertà vengano ridotti drasticamente nei prossimi anni. Abbiamo la tecnologia e, potenzialmente, le risorse necessarie. Quello su cui si può senz’altro migliorare è la determinazione, a tutti i livelli, e principalmente quello politico, a risolvere il problema.
DARIO GILMOZZI Dario Gilmozzi è un Dottore Agronomo con oltre 27 anni di esperienza con la FAO, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Dopo aver lavorato per molti anni negli uffici decentralizzati dell’Organizzazione, ora lavora presso la sede a Roma come Senior Programme Officer nella Divisione responsabile per il Supporto agli Uffici Decentralizzati (Office of Support to Decentralized Offices, OSD). 7
PRIMO PIANO: FOOD SECURITY
E SE GLI INSETTI
SFAMASSERO IL MONDO?
NON È SOLO UN SEMPLICE QUESITO MA LA SOLUZIONE SOSTENUTA A GRAN FORZA DA “EDIBLE INSECTS”, PROGETTO SVILUPPATO PER AUMENTARE LA PRODUZIONE MONDIALE DI CIBO IN MODO SOSTENIBILE E CHE RIUNISCE AL SUO INTERNO UN NETWORK DI 300 PROFESSIONISTI TRA ENTOMOLOGI, NUTRIZIONISTI, DIETOLOGI ED ESPERTI DI ALTRE DISCIPLINE
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IMQ NOTIZIE n.103
La sfida per la co scientifica inte munità rn è rendere poss azionale ib della produttiv ile l’aumento it per mezzo di si à alimentare stem sostenibili, per i alimentari ga un’alimentazio rantire n sicura e suffici e sana, ente per essere umano. ogni
Intervista ad Andrea Mascaretti, promotore e ideatore del progetto Edible Insects
Capi di Stato e di Governo di 189 Paesi, riuniti nel 2000 al vertice di New York dell’ONU, sottoscrivendo la “United Nations Millennium Declaration”, hanno affermato la loro responsabilità verso l’intero Pianeta, ponendosi l’ambizioso obiettivo, entro il 2015, di ridurre in modo consistente la percentuale della popolazione mondiale che soffre la fame. La sfida per la comunità scientifica internazionale è rendere possibile l’aumento della produttività alimentare per mezzo di sistemi alimentari sostenibili, per garantire un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per ogni essere umano. Una risposta a questa necessità proviene da Edible Insects, progetto voluto dalla Società Umanitaria (www.umanitaria.it), che si pone l’obiettivo di un documento-manifesto sull’entomofagia come risposta per la sostenibilità alimentare del futuro e l’avvio di un percorso di cooperazione allo sviluppo su larga scala basato su microallevamenti di insetti commestibili. Nutrirsi con gli insetti, d’altronde, non costituisce una novità per l’uomo. La FAO conferma che attualmente gli insetti integrano la dieta di circa due miliardi di persone (poco meno di un terzo dell’intera popolazione mondiale) e hanno sempre fatto parte dell’alimentazione umana. Non è assolutamente escluso, quindi, che prima o poi (e a questo punto speriamo prima)
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li ritroveremo anche tra gli scaffali dei nostri supermercati, magari sottoforma di barrette o farine. Ne parliamo con Andrea Mascaretti, ideatore e promotore di Edible Insects. Quali sono le premesse a monte del progetto? La premessa è la necessità di ottenere una produzione alimentare che sia sostenibile. Partiamo da alcuni dati diffusi dalla FAO: oggi, nel mondo, siamo più di sette miliardi di persone; di questi, ben 800 milioni soffrono gravemente la fame. Si stima che nel 2050 arriveremo a essere più di nove miliardi. E dato che il 70% della superficie terrestre è occupato da acqua, e solo il 35% della restante parte è utilizzabile per la produzione alimentare, dobbiamo dedurre che al crescere della popolazione non corrisponderà un aumento del terreno utile alla produzione di cibo. Bisogna quindi attuare delle soluzioni che consentano di sfamare tutti, generazioni future comprese, e che lo facciano in maniera sostenibile. L’utilizzo degli insetti nell’alimentazione è una delle diverse soluzioni che vanno intraprese, in quanto risponderebbe bene a questa esigenza. In questo contesto, l’Italia deve giocare un ruolo da protagonista. Abbiamo una responsabilità nei confronti del mondo, visto che l’Italia ospita la sede 9
PRIMO PIANO: FOOD SECURITY
da www.edibleinsects.it
della FAO, del World Food Program, oltre all’unica Autorità europea per la sicurezza alimentare (quest’ultima si trova a Parma). Infine, abbiamo appena dedicato l’edizione 2015 di Expo al tema del food, e si è trattata della prima esposizione universale ospitata da un paese occidentale negli ultimi vent’anni. E quali sono gli obiettivi? L’obiettivo è la sostenibilità alimentare. Per raggiungerlo bisogna attuare numerose soluzioni. Una di queste è l’utilizzo degli insetti commestibili. In questo modo, una parte delle proteine e degli aminoacidi necessari al fabbisogno alimentare proverrebbe da allevamenti industriali a bassa impronta ambientale (infatti, un allevamento di insetti consumerebbe meno acqua, meno energia e meno mangime rispetto a un allevamento di polli). Verrebbe notevolmente ridotta anche la produzione di gas serra. Al momento esistono già degli allevamenti di insetti in Europa, nati con l’obiettivo di nutrire? In molti paesi in via di sviluppo, gli insetti vengono cacciati ma non allevati. E, tra l’altro, non vengono neanche reperiti in ambienti certificati. Questo, ad esempio, avviene in Thailandia, dove lo 10
street food a base di insetti è particolarmente apprezzato. In Europa, abbiamo forti asimmetrie sull’argomento. Mentre l’Italia è il paese meno tollerante riguardo al consumo di insetti, in Belgio, già nel 2013, sono stati autorizzati l’allevamento e la somministrazione di dieci specie di insetti. A Copenaghen, uno dei ristoranti stellati più celebri al mondo propone piatti a base di insetti. In Francia, numerosi ristoranti di alto livello e diversi negozi propongono pietanze a base di insetti. Anche la Svizzera sta per approvare una legge che, dal 2016, diffonderà cibi a base di insetti. Se l’Italia non prenderà simili provvedimenti rischierà di restare esclusa da un mercato importante. È importante che preparati a base di insetti vengano prodotti anche per il settore della mangimistica come alternativa sostenibile alla soia (la cui produzione comporta il disboscamento di vaste aree in Sudamerica) e alla farina di pesce (il cui reperimento impoverisce le riserve ittiche). Quale ruolo potrebbero ricoprire gli insetti nella dieta quotidiana degli italiani? Potrebbero integrare i classici piatti, rappresentando non una sostituzione ma una valida alternativa.
Quali sono i principali pregiudizi riguardo all’introduzione degli insetti nella dieta? All’estero diversi cuochi all’avanguardia fanno utilizzo di insetti nei loro piatti, così come utilizzano altri ingredienti provenienti da cucine lontane. Li impiegano non per l’alimento in sé ma per il sapore particolare che apportano ai piatti. Inoltre, la maggior parte delle persone che hanno assaggiato qualche pietanza a base di insetti all’estero dice di averli trovati buoni. In fondo si tratta semplicemente di una questione di abitudine: del resto, nella nostra tradizione gastronomica sono entrati dei prodotti che in origine non lo erano (si pensi al sushi, alla soia e persino al pomodoro!). Gli storici, poi, raccontano di banchetti a base di insetti persino nell’Antica Roma. Anche noi abbiamo avuto numerose conferme dalla presenza in Expo 2015: assieme alla Società Umanitaria e Coop Italia abbiamo curato una mostra, all’interno del Future Food District, che ha registrato 700.000 visitatori. A fine ottobre, dopo diversi mesi per ottenere tutti i permessi e gli esami microbiologici necessari, abbiamo anche organizzato la prima degustazione autorizzata in Italia, durante la quale gli invitati hanno mostrato di apprezzare notevolmente i
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da www.edibleinsects.it
cibi a base di insetti. Al Padiglione UE abbiamo presentato il Libro Bianco sugli Insetti Commestibili, pubblicazione che sostiene la possibilità di nutrire anche le generazioni future in regime di allevamenti certificati. Tutte esperienze molto positive che ci hanno dimostrato che il consumo di insetti è possibile anche nel nostro Paese. A lungo andare il consumo di insetti potrebbe comportare dei rischi per la salute (ad esempio l’insorgere di intolleranze o allergie)? Vale lo stesso discorso di qualsiasi altro cibo. Se attingo a produzioni alimentari non controllate rischio di nutrirmi di
alimenti di dubbia provenienza, non certificati.
storanti europei e asiatici dove possono trovare pietanze a base di insetti.
In Asia il consumo di insetti è frequente e comunemente accettato. Nei paesi occidentali (e in Italia) la gente come la pensa? Possiamo rispondere con un dato di Doxa, presentato da Coop a Expo 2015: il 44% degli italiani si dichiara disponibile a considerare gli insetti come cibo commestibile. Dato che in Italia la produzione e il consumo di insetti non sono ancora autorizzati, sul sito del nostro progetto www.edibleinsects.it, sezione “Entotour” abbiamo pensato di suggerire a chi si mette in viaggio i ri-
Come e dove verrebbero venduti gli insetti? Quando verranno autorizzati, immagino che alcuni ristoranti cominceranno a proporre menu o piatti a base di insetti. Magari li troveremo anche sotto forma di farine proteiche, integratori o barrette, che potrebbero conoscere un consumo importante nel settore dello sport. Potrebbero anche aprire negozi di nicchia dedicati a questo genere di prodotti. Tutto questo in una prima fase. E poi, chissà, magari in seguito toccherà alla grande distribuzione!
INSETTI, PERCHÉ? Gli insetti rappresentano una fonte di proteine e amminoacidi più efficiente rispetto agli altri animali tradizionalmente allevati per l’alimentazione umana. A parità di proteine prodotte consumano quantità infinitamente più piccole di mangimi, di acqua potabile, di energia, producono meno gas serra e possono essere utilizzati per decomporre i rifiuti, senza entrare in competizione alimentare con gli stessi esseri umani.
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PRIMO PIANO: FOOD E INDUSTRIA
PER UNA PRODUZIONE
“SNELLA”
LA GLOBALIZZAZIONE IMPONE ALLE IMPRESE DI PRODURRE BENI COMPETITIVI SU SCALA MONDIALE. PER FAR QUESTO OCCORRE ESSERE IN GRADO DI PRODURRE CULTURA INDUSTRIALE, OBIETTIVO AL QUALE L’APPROCCIO LEAN DÀ UN CONTRIBUTO IMPORTANTE. IL PENSIERO LEAN FOCALIZZA LE IMPRESE SULLE ATTIVITÀ E SUI PROCESSI A MAGGIORE VALORE AGGIUNTO E SULL'ELIMINAZIONE DEGLI SPRECHI, PERMETTENDO LORO DI RECUPERARE COMPETITIVITÀ, PRODUTTIVITÀ E RISORSE Intervista ad Andrea Fornasier, referente per Unindustria Pordenone della Lean Experience Factory
rodurre cibo sprecando meno, applicando tecniche precise e coinvolgendo il personale in un’ottica aziendale più ampia, volta all’ottimizzazione non solo dei profitti, ma della produzione stessa. È questa l’esperienza della “lean production”, filosofia nata in Giappone nel sistema di produzione della casa automobilistica Toyota e ormai applicata in moltissime aziende, anche appartenenti al settore alimentare. Ne abbiamo parlato con Andrea Fornasier, referente per Unindustria Pordenone della Lean Experience Factory.
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Cos’è la “lean production”? È un metodo che utilizza alcune tecniche per minimizzare i “muda”, cioè quelle attività inutili che non aggiungono valore e sono improduttive, fino ad annullarle. Per ottenere questo, è necessario il “kaizen”, un miglioramento continuo, la ricerca dell’efficienza dei fattori produttivi attraverso lo sviluppo di sistemi di gestione, metodi e strumenti, finalizzati al contenimento delle spese di produzione, al miglioramento del12
le performance e della qualità.
ne L’applicazio ction” produ della “lean po metodi m mette in ca e consentono i ch mazione del pere strument di migliorare e d n sonale, polivalenalle azie in termini za dei ruoli, senso e c n a m r fo er la propria p zione dei tempi del gruppo. Sono u id r di nto e im t t a b b a la parte focale delne, di produzio , miglioramento la “lean producdelle scorte qualità. tion”, visto che, sodella
Quali tecniche vengono messe in campo? L’applicazione della “lean production” mette in campo metodi e strumenti che consentono alle aziende di migliorare la propria performance in termini di riduzione dei tempi di produzione, abbattimento delle scorte, miglioramento della qualità. Le tecniche si possono suddividere in “hard” e “soft”. Alcuni esempi di tecniche “hard”, più tangibili, sono lo “SMED”, acronimo di “Single Minute Exchange of Die”, che consiste nel miglioramento dei tempi di attrezzaggio di una macchina, e la metodologia delle 5s, che racchiude in sé cinque passaggi sistematici e ripetibili volti all’ottimizzazione degli standard di lavoro e dunque al miglioramento delle performance. Esistono, poi alcune tecniche definite “soft”. Sono tecniche intangibili, legate alla persona: team leading, feedback e for-
stanzialmente, la lean investe nelle risorse intangibili e “stressa” quelle tangibili, mettendo al centro le persone, coinvolgendole, perché sono le risorse con più valore per ogni singola impresa. Ma è necessario che ci sia un imprenditore che ci crede davvero, altrimenti non funziona.
Com’è nata l’esigenza di una strategia di produzione rapida e snella? Fondamentalmente dalla necessità di rispondere a un innalzamento della competizione. Quando sul mercato la concorrenza presenta prodotti a prezzi e manodopera più bassi, è necessario trovare nuove leve. Lavorare in modo snello è una di queste. Si può pensare di ottimizzare ciò che c’è già, magari riuscendo, una volta individuati e valutati i “muda”, gli spre-
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chi, a utilizzare diversamente ciò che si ha già o, ancora, a saltare una fase che, di per sé, si rivela solamente un costo. è applicabile anche alle piccole imprese? Sì, esistono moltissimi casi. Di per sé non ci sono differenze, se non, magari, che un’azienda più strutturata abbia preposto una figura o un ufficio ad hoc per occuparsi di questi processi di lean. Nelle realtà più piccole, probabilmente, questo riferimento manca, ma ciò non toglie che tantissime aziende abbiano scelto questo processo. Innovazione, rapidità ed efficienza sono fondamentali per la produzione industriale. Come si conciliano con l’esigenza di produrre cibi sicuri e sostenibili? Sono due aspetti che si conciliano perfettamente. La lean production lavora sul metodo. Qualcuno ne ha parlato come “buon senso con metodo”. Ed, effettivamente, per il successo della lean sono fondamentali buon senso, rigore e disciplina. Pur non lavorando in prima battuta sugli ingredienti dei cibi, cominciano a esserci importanti esperienze in questo senso. Un esempio pratico sono le bustine dello zucchero per il caffè che si trovano nelle stazioni autostradali. Ovviamente ne vengono consumate moltissime, se si pensa ai flussi e agli orari di aper-
tura. Ebbene, alcune di esse oggi contengono una minor grammatura di zucchero. È un esempio di contenimento degli sprechi e della sostenibilità – se una persona vuole più zucchero mette due bustine – ma anche una riduzione dei successivi costi di pulizia dei banconi e, indirettamente, anche la riduzione dei costi di assistenza sanitaria. Nel concreto, quali sono gli sprechi dei processi produttivi che vengono eliminati o ridotti con il metodo lean? La lean individua sette “muda” tangibili, cioè sette tipi di spreco, più uno, che è invece intangibile e legato al coinvolgimento del personale. I sette sprechi sono legati ad attese, sovrapproduzione, difetti, ma anche spostamenti, trasporti, processi e magazzini inutili. Il vero spreco, però, sta nell’ultimo muda. Quante volte le persone entrano in azienda, ma solo con il corpo e non con la mente? Le persone sono e restano il fattore distintivo che costituisce un’organizzazione, dunque l’impresa. Il loro coinvolgimento è fondamentale ed è necessario creare le condizioni affinché questo avvenga. La lean sposa con forza il “visual thinking”. Immagini, grafici, tabelloni Andon consentono di coinvolgere le persone, in un dialogo continuo con la fabbrica. Per comprendere cos’è uno spreco, bisogna riuscire a rispondere a una domanda: se il cliente mi stesse guardando svolgere
questa operazione, sarebbe disposto a pagare questa attività per avere il proprio prodotto? Se la risposta è no, allora quest’attività è da considerarsi, nella maggior parte dei casi, uno spreco. Quante aziende del settore alimentare italiane stanno mettendo in pratica questa filosofia? È difficile fornire un numero preciso e dati aggregati di questo settore. Sicuramente, oggi ci sono aziende alimentari che hanno messo al centro della loro strategia di produzione queste tecniche. Durante Expo abbiamo organizzato un convegno proprio su questa tematica e sono intervenute anche un’azienda produttrice di pizze surgelate e un’altra di vino, che hanno ottenuto degli ottimi risultati in termini di maggiori ricavi e minori sprechi. C’è sicuramente molta strada da fare ancora, in questo settore come in altri – mi vengono in mente le mense – questo significa che abbiamo anche molti fattori che possono consentire di essere maggiormente competitivi. Dobbiamo però essere rapidi nell’implementare questa filosofia. È fondamentale ricordare che sono tecniche che richiedono tempo. Tempo per essere assorbite dall’organizzazione, anche se in prima battuta possono apparire semplici. In realtà, la difficoltà che molte aziende incontrano è il mantenimento: serve, dunque, costanza e volontà. Una volta avviato il processo, il “kaizen”- il miglioramento continuo - i risultati ripagheranno cer tamente gli sforzi fatti. 13
PRIMO PIANO: FOOD E SOSTENIBILITÀ
LA CUCINA
DELLA M MORIA PER ESSERE SOSTENIBILI DIFENDENDO IL GRANDE PATRIMONIO ITALIANO DI TRADIZIONI CULINARIE REGIONALI E NAZIONALI. UNA RICCHEZZA DAL VALORE INESTIMABILE CHE VA CONSERVATA, TRASMESSA ALL’ESTERO E ALLE GENERAZIONI FUTURE Intervista a Cesare Battisti, Chef e fondatore del ristorante Ratanà di Milano
’eccessiva sperimentazione e ricerca di sapori raffinati e alternativi (e spesso anche un po’ artificiali), la diffusione di locali che propongono menu etnici non sempre autentici e poco rispettosi delle tradizioni dei Paesi da cui provengono, la nascita di mode che inseguono il nuovo, l’originale, il “mai provato” e che fondono ricette tradizionali che tra loro non c’entrano nulla, le abitudini scorrette, la proliferazione di fast food e hamburger. Per lo più oggi è questo lo scenario “culinario” nel quale siamo immersi, uno scenario che poco ha a che fare con le specificità tipiche, i sapori ai quali siamo abituati da sempre, gli ingredienti genuini di una volta. In questo contesto, i grandi chef sono (quasi) gli unici detentori del nostro pa-
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trimonio gastronomico, e sono loro (o, quantomeno, una parte di loro) a invocare a gran voce la necessità di un ritorno alle origini, di una scelta accurata delle materie prime, di proteggere le tradizioni che ci hanno reso celebri nel mondo. Cesare Battisti, chef e Ambassador di Expo 2015, lo fa dal Ratanà, il ristorante da lui fondato all’interno di un’elegante palazzina liberty nel cuore pulsante di Milano. Con lui parliamo di recupero della tradizione e della scelta di cucinare in modo etico. Cosa significa “mettere sostenibilità” in cucina e qual è, secondo lei, il vero cibo sostenibile? “Sostenibilità” è una parola molto importante; tanti ne parlano ma pochi ne mettono in pratica i veri principi. Po-
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trei dire che sono sostenibili i cibi di stagione ma non basta. La sostenibilità si fa sul campo, dunque coltivando in modo etico, dando al prodotto della terra e a chi lo ha coltivato il giusto valore. Se acquistiamo frutta di stagione che però è stata raccolta da contadini che vengono sfruttati non stiamo certo parlando di cibo sostenibile. Oggi si parla tanto di alimenti sostenibili ed etici. Secondo lei questa sensibilità è davvero così diffusa? Per fare questo lavoro come lo intendiamo noi bisogna dedicare almeno il 70% del proprio tempo alla ricerca e alla scelta dei fornitori e delle materie prime. Il grosso del lavoro si svolge quindi a monte dell’atto vero e proprio del cucinare, e costa tempo e fatica. In una recente intervista ha dichiarato che “la cucina a km zero non esiste”. Come mai? Credo di non essere l’unico a pensarlo. Per la mia cucina faccio sempre attenzione a privilegiare i produttori locali. È chiaro, però, che alcuni cibi non posso essere a km zero: pensiamo ad esempio agli agrumi, che qui da noi non vengono coltivati e devono per forza arrivare da lontano. Dobbiamo impegnarci a dar voce il più possibile alle cucine tradizionali della nostra terra. Cavalcando l’onda di
Expo 2015 e del fatto che la cucina oggi va molto di moda, stiamo lavorando con il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina su una serie di progetti che hanno proprio questo obiettivo. Si lavora, ad esempio, per la difesa dei produttori locali, per introdurre le nozioni di educazione alimentare a scuola, per la liberalizzazione degli stage formativi. Il tutto, per diffondere il più possibile il valore della cultura della cucina italiana. Lei collabora al progetto degli orti didattici “Coltiviamo insieme”. Qual è la risposta della gente a iniziative del genere? La gente risponde molto bene. Per l’occasione abbiamo realizzato, proprio di fronte al ristorante, un orto di 4500 mq, una meraviglia al centro di Milano. Questo, grazie al contributo di due agronomi che ci hanno seguito lungo tutto lo svolgimento del progetto. La cosa più bella dell’iniziativa è stata il rapporto che si è creato con i bambini e con i loro genitori, ai quali abbiamo spiegato l’importanza della stagionalità del cibo. Questo è il messaggio che ci preme divulgare ogni giorno anche grazie all’attività del ristorante: il nostro corpo è tarato sulla stagionalità, non è pensabile mangiare le fragole a Natale. La stagionalità negli ultimi anni si è un po’ persa, così come si è perso il valo-
“Sostenibilità” è una parola m olto importante; ta nti ne parlano ma pochi ne m etton i veri principi. o in pratica Po che sono soste trei dire n di stagione ma ibili i cibi non ba La sostenibilit sta. à si fa sul campo .
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PRIMO PIANO: FOOD E SOSTENIBILITÀ
CESARE BATTISTI Milanese da generazioni, inizia prestissimo a formarsi nelle cucine di rinomati ristoranti cittadini per poi cimentarsi all’estero sulle migliori navi da crociera. Il legame con la tradizione non lo distoglie dalla curiosità e la voglia di ricerca di prodotti di qualità e sostenibili per la creazione di ricette che guardano avanti senza perdere d’occhio la stagionalità e le ricette di una volta. Il ristorante Ratanà vuole recuperare la solida tradizione della ga stronomia milanese e lombarda, reinterpretata secondo la creatività del suo chef e fondatore.
re della tradizione. Questo anche a causa dei numerosi ristoranti stellati che non fanno altro che proporre piatti molto ricercati che si allontanano dalle tipicità culinarie del nostro Paese. In questo modo la cucina italiana, però, rischia di perdere la sua identità, ed è un peccato. Noi italiani siamo famosi per una cucina povera, una cucina di casa, ed è questa che dobbiamo spingere all’estero. Carlo Petrini dice: “I cuochi sonogli unici detentori del saper cucinare italiano”. A noi chef, quindi, spetta il compito di preservare il valore inestimabile della tradizione del nostro Paese. Non dobbiamo seguire le mode che oggi fanno tendenza, noi le mode dobbiamo farle. Secondo lei i bambini di oggi saranno un domani più sensibili rispetto alle precedenti generazioni nei riguardi della cucina sostenibile e della produzione sostenibile di cibo? Spero di sì. I bambini di oggi stanno crescendo anche con tanti programmi tele16
visivi che parlano di cibo e cucina che, quantomeno, hanno il vantaggio di tenere desta l’attenzione sul tema. Ci sono poi tante iniziative importanti come gli orti didattici. A noi cuochi di oggi, però, spetta il compito di fare in modo che la nostra cultura rimanga stabile e si diffonda anche presso le future generazioni. Oggi nelle grandi scuole e nelle accademie di cucina si insegna il valore della sostenibilità degli alimenti? Poco. Ma il vero problema non sono le scuole bensì il sistema economico che affanna i produttori locali. Questi sono costretti a cedere per poche lire i loro prodotti. Corrado Assenza (Caffè Sicilia, Noto), uno dei cuochi che assieme a me traina i lavori che stiamo svolgendo con il ministro Martina, alla domanda “Come vede il futuro dell’alimentazione e dei prodotti italiani?” ha risposto che spera nel ritorno alla vecchie botteghe, in cui il passaggio tra produttore e consumatore avveniva in modo diretto. Come valuta la crescente diffusione di ristoranti etnici nelle nostre città? Ha diversi aspetti positivi perché, grazie alla presenza di questi locali, possiamo conoscere le tipicità degli altri Paesi, il loro modo di cucinare. Mi sta bene anche che ci sia una contaminazione tra le diverse cucine, l’importante, però, è non che non si
cancelli la nostra identità. Vanno mantenuti dei confini ben delineati tra una tradizione gastronomica e l’altra. Cosa cercano i clienti del suo ristorante? Cercano la qualità. Al Ratanà si fa esperienza di un cibo sano, etico, si riscopre la tradizione. Da noi si mangia come una volta, ovviamente con un tocco di innovazione. Non siamo stellati ma la nostra vittoria sta nella soddisfazione dei clienti. Tempo fa, un signore 7080enne che aveva assaggiato il nostro cartoccio di mondeghili, mi ha fatto chiamare e, con le lacrime agli occhi, mi ha ringraziato per la bontà del piatto. Gli aveva ricordato il sapore dei mondeghili che cucinava sua madre, tanti anni prima. Questo è quello che mi interessa avere: una cucina della memoria. Ci racconta com’è andata la sua esperienza di Ambassador per EXPO 2015? Molto bene. Il mio compito era rappresentare il riso, un ingrediente molto importante nella mia cucina e, in generale, uno dei punti di forza della cucina milanese. L’Italia vanta la produzione di oltre 120 varietà di riso ed è stato un privilegio, oltre che una grande responsabilità, spiegarlo ai visitatori stranieri della manifestazione. Expo 2015, che ne dicano, è stato un evento di forte spessore culturale.
COLTIVIAMO INSIEME! Coltiviamo insieme! è un orto con frutteto di 4.000 mq, realizzato dalla Fondazione Riccardo Catella in collaborazione con Confagricoltura, in un’area adiacente al giardino pubblico di via De Castillia 28 a Milano. Nell’orto Coltiviamo Insieme! sono presenti moltissime varietà di colture, provenienti dall’Italia e da tutto il mondo. Oltre a 9 tipologie di alberi da frutto, disposti lungo il percorso, oltre 10 tipologie di piante aromatiche, tutti i generi di cavolo, tutte le insalate, 3 tipologie di zucchine, 3 di cetrioli, 9 di pomodori, melanzane sia lunghe sia tonde, 3 varietà di peperone e tutti i pepe-
roncini presenti al mondo. Non mancano patate, spinaci, aglio e cipolle (in differenti varietà) e un’area dedicata con molti frutti rossi, in particolare fragole. Coltiviamo insieme! è accompagnato da un programma di attività didattiche e laboratori sulla coltivazione e sull’educazione alimentare, dedicate in parti colar modo a bambini e famiglie, che prendono spunto dal programma di “MiColtivo. Orto a Scuola” che la Fondazione Riccardo Catella promuove dal 2012 nelle scuole pubbliche cittadine. Sono previste visite didattiche guidate all’orto.
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BUONO PER TE
SOSTENIBILE PER IL PIANETA QUAL È L’IMPATTO AMBIENTALE DOVUTO ALLA PRODUZIONE, ALLA DISTRIBUZIONE E AL CONSUMO DEI CIBI? PER RISPONDERE A QUESTE DOMANDE, IL BARILLA CENTER FOR FOOD AND NUTRITION HA IDEATO IL MODELLO DELLA DOPPIA PIRAMIDE ALIMENTARE-AMBIENTALE, STRUMENTO CHE METTE IN RELAZIONE L’ASPETTO NUTRIZIONALE DEGLI ALIMENTI CON IL LORO IMPATTO AMBIENTALE a piramide ambientale nasce studiando e misurando l’impatto sull’ambiente dei cibi presenti nella piramide alimentare, e disponendoli lungo una piramide capovolta, in cui gli alimenti posizionati più in basso (al vertice del triangolo) hanno il minore impatto ambientale. Accostando le due piramidi si ottiene così la “Doppia Piramide” Alimentare-Ambientale, dove si nota intuitivamente che gli alimenti per i quali è consigliato un consumo maggiore, generalmente sono anche quelli che determinano gli impatti ambientali minori. Viceversa, gli alimenti per i quali viene raccomandato un consumo ridotto sono anche quelli che hanno maggior impatto sull’ambiente. Il Barilla Center for Food Nutrition (BCFN) ha rappresentato gli impatti ambientali degli alimenti in tre diverse piramidi, una per ognuno degli indicatori ambientali presi in considerazione: Ecological Footprint (impronta ecologica: calcola la capacità della terra di rigenerare le risorse e assorbire le emissioni, ed è misurata in metri quadri globali per chilogrammo o litro di alimento); Carbon Footprint (impronta di carbonio: misura le emissioni di gas a effetto serra durante il ciclo di vita dell’alimento ed è calcolata in grammi di CO2 equivalente per chilogrammo o litro di alimento); Water Footprint (impronta idrica: quantifica i consumi e le modalità di utilizzo delle risorse idriche, ed è misurata in litri di acqua per chilogrammo o litro di alimento). Ma solo quella relativa all’impronta ecologica è stata poi utilizzata per la costruzione della Doppia Piramide BCFN.
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Ecological Footprint
Carbon Footprint
Water Footprint 26.230
CARNE BOVINA 20.000
19.525
CARNE BOVINA C ARNE B OVINA
10.000
9650
OLIO OLI O
9250
FORMAGGIO
7485
C ARNE SUIN A CARNE SUINA
BURRO
8305
8000
6260 626 60
F ORMAGGIO FORMAGGIO
5130
CARNE SUINA PESCE
6245
FRUTTA S ECCA FRUTTA SECCA
4405
CARNE AVICOLA
5 5555
BURRO BU RRO
4025 5000
4000 RISO
3115
1735
LEGUMI
Legenda
Y OGURT YOGURT
cottura
min
Legenda L egenda
1240
1000
1210
FRUTTA
2000
1090 930 920
PATATE TATE
495 0
PANE PANE
CEREALI DA COLAZIONE LAZIONE 815
555
ORTAGGI O RTAGGI DI STAGIONE E 4000
6000
8000
/
25.000
/
45.000
/
60.000
/
70.000
vvalore alore medio
1280
FRUTTA FR UTTA 1125
ORTAGGI DI STAGIONE
Impronta Imp ronta idri idrica ca deg degli li a alimenti limenti Litri di ac qua per per llitro itro o kkgg di aalimento limento acqua
1 1325
max
LATTE L ATTE
LATTE
PANE
1500
MARGARINA MA RGARINA
1610 1400 1360
PATATE
1710
P ASTA PASTA
valore medio + cottura
1695
BISCOTTI
2075
BISCOTTI BIS COTTI
2000
Impronta di carbonio degli alimenti gCO2 - eq per kg o litro di cibo
1900
MARGARINA
2410
DOLCI DO LCI 1905
PASTA YOGURT
27 710 2710 3160 160 2585 2 585
RISO RISO
2235
FRUTTA SECCA
3260 32 260 60 0
UOVA UOVA LEGUMII LEGUM
OLIO
1000
4805
4000 3810 3420
DOLCI 2000
CARNE C ARNE AVICOLA AVI V COLA
3830
UOVA CEREALI DA COLAZIONE
335 5
0
2000
4000
6 6000
8000
15.000
26.000
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PRIMO PIANO: FOOD E ALIMENTAZIONE
LINEE GUIDA DIETETICHE ALIMENTARI IN EUROPA COME NASCONO, PERCHÉ SEGUIRLE E COME CAMBIANO DA PAESE A PAESE aese che vai, usanza che trovi. Specialmente per quanto riguarda le abitudini alimentari. Senza bisogno di cercare oltreoceano, basta affacciarsi sull’Europa per vedere come ogni popolazione del nostro continente abbia nel corso della sua storia sviluppato abitudini alimentari e linee dietetiche profondamente differenti. Diversità che saltano subito all’occhio se analizziamo uno strumento che negli ultimi decenni ha influenzato le cucine di tutta Europa: si tratta delle FBDG, le FoodBased Dietary Guidelines, le linee guida del mangiar bene. Conosciute al vasto pubblico sotto forma delle piramidi alimentari, le FBDG sono diventate, in modo più o meno consapevole, le indicazioni indispensabili per tutti gli europei che provano a seguire uno stile di vita più salutare. Siamo abituati a vederle in televisione, nei programmi di divulgazione scientifica, e accompagnano anche i nostri figli fin dai primi anni di scuola, nelle ore di scienze e biologia. Divise in sezioni colorate contenenti decine di alimenti, le piramidi ci hanno insegnato a capire quali cibi consumare con più frequenza e quali limitare per non compromettere la salute del nostro organismo. Solo a partire dagli anni Novanta, le FBDG hanno ricevuto un riconoscimento ufficiale della loro funzione decisiva nella sal-
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vaguardia del nostro benessere. Ma anche in questo campo ci sono stati dei veri e propri pionieri, medici e scienziati che già nel diciottesimo secolo avevano compreso quanto una buona salute potesse derivare da corrette abitudini alimentari. Uno di questi precursori fu il dottor James Lind, medico scozzese del Settecento. Membro della Royal Navy, Lind si trovò a combattere i sintomi di una malattia diffusissima nelle navi settecentesche, lo scorbuto. Lind fu il primo medico a mettere in relazione questa malattia con una carenza di vitamina C. Attraverso un accurato studio clinico, sottopose sei coppie di pazienti affetti da scorbuto a una cura di base comune, ma che differiva per l’aggiunta di un alimento integrato diverso per ciascuna coppia. Mentre chi assumeva aglio, sidro e rafano non guariva, chi mangiava arance e limoni tornava in salute.
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Quarant’anni dopo aver pubblicato le sue scoperte, tutte le navi della marina britannica furono fornite di succo di lime, e lo scorbuto a bordo delle navi fu progressivamente sradicato. Un processo simile riuscì a debellare la pellagra, una malattia erroneamente ritenuta per secoli ereditaria e contagiosa, ma dovuta in realtà a una carenza di vitamine del gruppo B.
Solo a inizio Ottocento, a seguito di indagini promosse dall’impero austriaco, che allora governava anche il Nord Italia, si riuscì a capire che la malattia era causata dall'abuso di un alimento vegetale, il granoturco. E proprio nelle zone più povere del Veneto e della Lombardia, dove si consumava tantissima polenta, si raggiungevano i picchi di mortalità più alti dovuti alla pellagra. Dalla storia abbiamo imparato che mangiar sano è viver sano e per questo ogni popolo ha col tempo perfezionato le proprie linee dietetiche alimentari. Nel nostro Paese, la guida per una dieta più sana passa attraverso alcuni punti fondamentali che scoraggiano l’abuso di grassi, zuccheri, bevande dolci e alcoliche. D’altra parte la FBDG italiana sottolinea la necessità di consumare tuberi, cereali, verdura e frutta, bere molta acqua e cercare di ridurre al minimo l’utilizzo del sale. Il tutto arricchito da una costante attività fisica. Una dieta che però sembra non andar bene per tutti. Se infatti prendiamo in considerazione la piramide alimentare irlandese, ci accorgiamo come nel gradino più basso, quello contenente i cibi che possiamo mangiare con più frequenza, siano presenti pane, cereali e tuberi, in quantità nettamente maggiori rispetto alle abitudini consigliate agli italia-
ni. L’indicazione è infatti di mangiarne fino a sei volte al giorno e, se siamo sportivi e la nostra attività fisica lo richiede, possiamo arrivare a consumarne fino a 12 porzioni giornaliere. Curioso anche il caso delle piramidi alimentari del Belgio e della Svizzera. Nel loro gradino più basso inseriscono come genere alimentare autonomo acqua, tè e tisane, da consumarsi abbondantemente lungo tutto l’arco della giornata. E a differenza delle linee guida irlandesi, nella piramide svizzera troviamo il suggerimento di consumare più frequentemente frutta e verdura rispetto a pane, cereali e tuberi. Spesso le linee guida dell’alimentazione di un Paese riflettono aspetti della sua cultura locale e dei prodotti caratteristici di quel territorio. È il caso di Spagna e Grecia, che nella loro piramide alimentare inseriscono una sotto sezione dedicata esclusivamente all’olio d’oliva, posizionandolo proprio accanto ai prodotti da consumare con maggiore frequenza. Con colori e immagini dei cibi, le piramidi sono diventate maggiormente fruibili per il grande pubblico. Sono più di impatto rispetto alle RDA - quantità giornaliere raccomandate - quei valori numerici di calorie, grassi e carboidrati che troviamo ormai da anni su ogni confezione. Ma anche le piramidi alimentari hanno subito un’evoluzione e alcuni Paesi hanno ideato nuovi metodi grafici per diffondere i consigli del mangiar sano. Ne sono un esempio i cerchi alimentari, rappresentazioni con al centro l’acqua, come principale alimento da prendere in considerazione. O le “scale” diffusesi in Francia: gradini stilizzati in cui si raccomanda acqua a volontà, tanta frutta e legumi, pochi prodotti caseari e solo una porzione giornaliera di carne o pesce. I continui tentativi di sensibilizzazione verso una dieta più salutare rappresentano sempre un punto fondamentale dell’agenda di molti governi europei. Una buona alimentazione porta un minor numero di casi di obesità, malattie cardiache, diabete e cancro. E di conseguenza un notevole risparmio in termini di spese sanitarie. 19
PRIMO PIANO: FOOD SAFETY
TUTE DEGLI ALIMENTI SCOPRIAMO LA FOOD DEFENSE, UN PROGRAMMA ANCORA POCO DIFFUSO IN ITALIA CHE SI PROPONE DI IMPLEMENTARE DELLE PROCEDURE PER LA PREVENZIONE E LA DIFESA DEGLI ALIMENTI DALLA CONTAMINAZIONE INTENZIONALE DI AGENTI CHIMICI, FISICI O RADIOLOGICI PROVENIENTI DALL’ESTERNO DEL SISTEMA
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a filiera alimentare comprende una serie di passaggi complessi: i prodotti, prima di arrivare sulle nostre tavole, sono sottoposti a vari processi di lavorazione. Il rischio è che qualcosa, durante queste tappe, vada storto e metta a rischio la salute del consumatore. Per evitare che questo accada si fa riferimento alla tutela degli alimenti e ad alcune sue varianti. Mario Sangiorgi, coordinatore del progetto ‘Food defense’, spiega di cosa si tratta e quali sono gli strumenti a cui le aziende possono ricorrere per rendere i loro prodotti sicuri.
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Intervista a Mario Sangiorgi, coordinatore del progetto Food Defense
Cos’è la food defense? La food defense nasce negli USA, l’unica nazione in cui è presente una legge in proposito. In sostanza, per tutti i prodotti che vanno verso gli Stati Uniti, lo stato chiede che le aziende abbiano un sistema per tutelare gli alimenti. Per questo, le aziende hanno due tipologie di sistemi: l’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) un protocollo volto a prevenire i pericoli non intenzionali e la “food defense” per ciò che potrebbe essere fatto in maniera intenzionale. Che differenza c’è tra sicurezza alimentare e tutela del cibo? La sicurezza alimentare, o food safety, gestisce i rischi non intenzionali, mentre la tutela del cibo, o food defense, valuta quelli intenzionali. Chi trae vantaggio e come dalla food defense? La food defense non tutela solo il prodotto alimentare, ma anche le aziende. Ad esempio, se viene attaccata la Nutella, il rischio è che tutta l’industria delle creme spalmabili vada a rotoli. Gli attacchi possono arrivare per recare un
danno a un consumatore, all’azienda o anche al mondo di quel prodotto. E ci sono vari tipi di attacco: un esempio è quando viene rubata una ricetta. Gli attacchi possono provenire da varie fonti. Un esempio banale è il lavoratore scontento dell’azienda. Magari può decidere di agire buttando qualcosa di chimico all’interno di un prodotto. Quali sono gli strumenti a disposizione delle aziende per tutelare i loro prodotti? Gli strumenti sono vari e dipende dal tipo di attacco subìto. Si può avere un attacco dall’esterno, quindi uno strumento per la propria tutela può essere la videosorveglianza. Ce ne sono di due tipi: real time (che avvisa quando cambia il panorama) o historical time (registra di continuo quindi va controllata). Un altro strumento è quello di tenere il sito chiuso. In casi di attacchi interni, invece, si può far ricorso alla sorveglianza per controllare cosa stanno facendo i lavoratori. Ad esempio, se un dipendente entra in un magazzino e ci resta per due ore, il fatto fa sorgere qualche dubbio. Un modo per evitare che accadano cose del genere è quello di fidelizzare il personale. Nei casi di grandi aziende, con molti dipendenti che non si possono conoscere tutti personalmente, spesso si studia approfonditamente il background di quella persona: ad esempio per appurare se si sia mantenuta in contatto con un’azienda per cui ha lavorato in passato che si occupa degli stessi prodotti. Non a caso, esistono ‘patti di non concorrenza’, per cui un dipendente, quando decide di cambiare lavoro, non può andare a lavorare in un’azienda che operi in competizione. Altre volte ancora, invece, i prodotti sono meno attaccabili perché il processo di lavorazione li espone a rischi minori.
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PRIMO PIANO: FOOD SAFETY
In particolare, su cosa un’azienda deve vigilare affinché il suo prodotto sia sicuro? Innanzitutto sul personale, che fa parte a tutti gli effetti delle possibili minacce. Anche sul personale che arriva dall’esterno, come ad esempio chi fa un controllo per gli infestanti: nel momento in cui entra in un sito si deve stare attenti perché potrebbe avere con sé una sostanza chimica pericolosa. I controlli vanno poi fatti sulle materie prime: si deve osservare se arrivano cartoni aperti, cisterne senza sigilli, materie prime manomesse. Cosa prevede il piano di controllo hACCP? Prevede un controllo su tutto ciò che definiamo ‘involontario’, ovvero la gestione dei pericoli in forma non accidentale. Ad esempio, i controlli fatti con il metal detector per rilevare la presenza di un corpo estraneo nel prodotto alimentare. Se il pezzo di metallo - in questo caso - si è staccato da un macchinario in maniera involontaria, i controlli HACCP sono in grado di rilevarlo. Non sempre però è facile controllare tutto. Ad esempio, col metal detector non può essere rilevata la presenza di pezzi di vetro o di plastica. Non esiste, quindi, un metodo veramente sicuro, la valutazione del rischio è sempre una pro-
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babilità, quindi non potrà mai essere uguale a zero.
In Italia semb che la preoccup ra a maggiore sia d zione a ta solo dai furti delle materie prime , non si pensa a ncora molto alla food defen se vera e propria .
Quanto conta oggi, per le aziende, rispettare i requisiti di food safety e food defense? Al giorno d’oggi, l’HACCP è applicato da quasi il 100% delle aziende italiane. La food defense, invece, è una questione culturale: in Italia abbiamo per lo più piccole e medie imprese, dove ci si conosce tutti. Non ci sono - come negli Stati Uniti - problemi riguardanti l’introduzione di armi o i dipendenti che cambiano stabilimento di continuo; c’è un modello sociale diverso. Inoltre negli Stati Uniti il processo di food defense è obbligatorio per legge, mentre in Italia c’è solo un timido approccio. A livello culturale non è ancora una prassi diffusa, anche se le aziende che esportano negli Stati Uniti potrebbero essere soggette a una verifica sulla base della legge statunitense.
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IL CONSORTIUM FOR SEQUENCING THE FOOD SUPPLY CHAIN Nel 2014 l’Italia è stato il primo Paese europeo per numero di segnalazioni di alimenti contaminati inviate alla Commissione europea. Negli Stati Uniti, ogni anno, una persona su sei è colpita da malattie di origine alimentare e vengono richiamati circa settantacinque miliardi di dollari di cibo contaminato. La colpa è anche del fatto che, con il passare del tempo, la filiera alimentare è diventata sempre più complessa e articolata e quindi più facilmente a rischio in quinamento. Per migliorare la sicurezza di ciò che mangiamo, la Ibm Research e il produttore alimentare Mars hanno creato il , una piattaforma collaborativa in materia di sicurezza alimentare che utilizza i progressi della genomica per rendere gli alimenti che ingeriamo davvero sicuri. Grazie al più grande studio di metagenomica mai realizzato finora, infatti, il consorzio vuole categorizzare e comprendere i microrganismi e i fattori esterni che influenzano la normale attività di produzione in un’azienda. Un lavoro che potrebbe essere esteso a tutta la filiera e che potrebbe portare a nuove intuizioni su come tali microrganismi interagiscono nell’ecologia della fabbrica, per poi essere controllati da dati scientifici e pratiche mirate. Come funziona? I ricercatori valutano inizialmente le materie prime e gli ambienti di produzione, considerato che, finora, a parte i vari test in catena, poco è stato invece fatto dal punto di vista della tecnologia per aggirare la contaminazione nelle fasi di “processazione”, un termine che indica l’analisi e l’elaborazione di campioni biologici. Quindi, gli studiosi raccolgono e sequenziano il DNA e l’RNA di semplici campioni di alimenti, per determinare i punti in cui si verificano anomalie e mutazioni dovute a organismi comuni, come geni, tossine o metalli pesanti. “Il sequenziamento del genoma fu nziona come un preciso microscopio – scrive sul sito del consorzio Jeff Welser, vice presidente e direttore del laboratorio di Ibm Research – per capire, dai dati genomici, come identificare, interpretare e creare nuovi sistemi di gestione microbica sani, cioè di protezione, all’interno della catena di approvvigionamento alimentare”. Il consorzio, quindi, investiga le “impronte digitali” genetiche di organismi viventi come batteri, funghi, virus e come questi crescono in ambienti diversi. Una volta creata questa “base microbica” di riferimento, produce un indice base, che può essere utilizzato da tutti i funzionari alimentari e sanitari a livello globale come metro di misura per capire cosa fa scattare la contaminazione e, quindi, la diffusione della malattia. “Una rivoluzione per la sicurezza alimentare – ha dichiarato a sua volta Dave Crean, vice presidente e corporate researcher di Mars – che fornisce un potente strumento per individuare e affrontare le minacce su una scala senza precedenti”.
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PRIMO PIANO: FOOD SAFETY
MOCA:
LA SICUREZZA È IMPRESCINDIBILE SEMPRE PIÙ SPESSO FACCIAMO ATTENZIONE A COSA METTIAMO NEL CARRELLO DELLA SPESA, SCEGLIENDO PRODOTTI DEI QUALI CONOSCIAMO A FONDO INGREDIENTI E PROVENIENZA. QUANTI DI NOI, PERÒ, SONO CONSAPEVOLI DEL FATTO CHE ANCHE L’IMBALLAGGIO DEI CIBI CHE COMPRIAMO DEVE ESSERE SICURO?
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Intervista ad Alberto Taffurelli, Food Packaging Materials Division Manager - CSI, Gruppo IMQ
er poter definire un alimento “sicuro” deve essere sicuro ogni passaggio della filiera produttiva. È quindi importante che siano sicuri anche i materiali e oggetti che vengono a contatto (diretto e indiretto) con l’alimento, i cosiddetti MOCA. Nella categoria MOCA rientrano quindi gli imballaggi, la carta di incarto, le etichette, le pellicole di plastica, ma anche i macchinari usati in produzione, i piani di lavoro, gli utensili da cucina, ecc. Questi materiali, come stabilito dalla normativa vigente, non devono in al-
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cun modo trasferire agli alimenti sostanze che possano rappresentare un pericolo per la salute dei consumatori o che possano apportare modifiche alla composizione e alle qualità organolettiche del cibo stesso. Ecco perché quando si parla di MOCA non si può prescindere dalla sicurezza. È quanto emerso anche durante il convegno “MOCA a portata di food - Sicurezza, sostenibilità e innovazione dei materiali a contatto con gli alimenti”, organizzato dal Gruppo IMQ, che si è svolto a Expo lo scorso ottobre, nell’ambito di “Anie per Expo 2015”. Approfondiamo l’argomento con Alberto Taffurelli, Food Packaging, Materials Division Manager di CSI, che durante l’evento ha trattato il tema della cultura della sicurezza dei materiali a contatto con gli alimenti partendo dall’analisi degli attuali orientamenti sociali e legislativi nel settore del packaging. Quando e perché è nata la consapevolezza della sicurezza dei MOCA? In Italia vige ancora oggi un decreto ministeriale che risale al 1973, si è trattato di uno dei decreti più importanti e più completi sull’argomento. A questo hanno fatto seguito più di 40 emendamenti. Il 2004 è stato un anno importante per i MOCA in quanto ha segnato la nascita di un regolamento europeo che stabilisce un quadro generale di riferimento per i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti
Per poter defi n un alimento “si ire cu ro” deve essere si curo ogni pass aggio della filiera pro duttiva. È quindi im che siano sicuri portante an oggetti che ve che i materiali e ngono a co con l’alimento ntatto , i cosiddetti MO CA.
alimentari. Per tenere conto dei progressi scientifici, il regolamento del 2004 autorizza l’introduzione degli imballaggi «attivi» e «intelligenti» che prolungano la durata di un alimento e forniscono informazioni sulla sua freschezza (un imballaggio intelligente può ad esempio cambiare colore se l’alimento è deteriorato). Nel 2010, poi, è entrato in vigore il regolamento europeo per le materie plastiche in contatto con alimenti. Quali sono i requisiti che definiscono sicuro un materiale? Per molti materiali, purtroppo, non esiste ancora una regolamentazione. Per i materiali regolamentati la legislazione prevede quasi sempre - e per la maggior parte dei materiali - l’idoneità compositiva e la possibilità di cessione di sostanze e molecole costituenti all’alimento. Da un punto di vista di idoneità tecnologica e funzionale il MOCA deve fungere da barriera protettiva in grado di conservare l’alimento da microrganismi, contaminanti chimici, luce e aria.
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PRIMO PIANO: FOOD SAFETY
Quanto le aziende italiane si attengono ai requisiti di sicurezza richiesti per i MOCA? Statisticamente le aziende più strutturate hanno reparti dedicati al controllo e alla gestione della sicurezza dei loro prodotti che, in quanto tali, riescono a stare al passo con la legislazione - nonché con la sua sempre maggiore strutturazione - e a compiere tutte le verifiche necessarie per la sicurezza dei propri prodotti. Le aziende più piccole incontrano notevoli difficoltà, mentre le aziende di medie dimensioni, di fronte al notevole impegno richiesto in termini di tempo e denaro, tendono a soddisfare i requisiti di base. Uno sguardo alla legislazione in materia di sicurezza del packaging alimentare: a che punto è in Europa e nel mondo? In Europa si applicano sia regolamenti comunitari (armonizzati), sia regolamenti nazionali. A quali bisogna fare riferimento dipende dallo specifico materiale e, in caso di legislazione nazionale, dal paese di commercializzazione. I materiali come la plastica, la ceramica e la cellulosa rigenerata (cellophane) seguono normative comunitarie; per la carta, invece, non c’è una legislazione a livello europeo, ma una regolamentazione a livello nazionale. Alcuni paesi, poi, non possiedono un im-
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pianto normativo nazionale e a volte recepiscono le disposizioni degli altri paesi, così come ci sono materiali (ad esempio il legno e il cotone) che non sono inseriti in regolamenti specifici ma che sono regolati in modo trasversale e non meglio definito dal regolamento del 2004 (Reg. CE n. 1935 / 2004). La situazione quindi è molto variegata e spesso complessa da gestire. In Europa chi sono i più virtuosi in materia di sicurezza dei MOCA? Paesi come la Germania, l’Italia, la Francia e, per alcuni aspetti, anche la Spagna godono di una legislazione abbastanza strutturata. Esistono altri Paesi della comunità che invece non prevedono disposizioni specifiche; il trend è comunque quello che prevede di creare impianti legislativi più completi, recepirne di esistenti o armonizzare diverse legislazioni (processo tecnico/sociale/politico non di certo banale). A livello mondiale, una delle legislazioni di spicco è quella adottata dalla FDA americana, ma avanzano la nuova release della legislazione Cinese (prevista per l’anno prossimo) e quella Giapponese. Quali rischi concreti corrono i prodotti e i consumatori se i MOCA non sono sicuri?
La legislazione in materia di MOCA deriva da considerazioni riguardanti il rischio tossicologico intrinseco di sostanze e molecole che compongono il materiale e la pericolosità che questo può assumere in uno scenario espositivo per il consumatore dell’alimento in esso contenuto. I rischi più frequenti possono andare da semplici manifestazioni di ipersensibilità a forme di allergie più gravi o intossicazioni, in dipendenza dalle quantità ingerite. In ogni caso, il consumatore deve essere tutelato anche nel caso di consumi sporadici del materiale. Il regolamento del 2004 è molto chiaro da questo punto di vista nel suo articolo 3 in cui si parla di tutela rispetto alla salute del consumatore ma anche di danno organolettico all’alimento. Quali sono le prove cui CSI sottopone i materiali a contatto con i cibi per testarne l’affidabilità? Ci occupiamo di tutto quello che serve per valutare la conformità dei MOCA, spaziando dalle prove di resistenza del materiale, ai test di biodegradazione, test fisico-meccanici in conformità ai principali standard tecnici esistenti, nazionali e internazionali. Aiutiamo i clienti che vogliono esportare e li seguiamo in ogni fase del processo.
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PACKPROLIFE: DALLA NATURA UN IMBALLAGGIO ATTIVO PER GLI ALIMENTI Packprolife, programma della divisione Food, Packaging and Materials del CSI, è uno dei progetti innovativi ammessi ai finanziamenti del bando sul PII Nuove Tecnologie per il Made in Italy lanciato nell'ambito di Industria 2015. Il programma (partito nel mese di giugno del 2011 e conclusosi nel maggio del 2014) prevedeva lo sviluppo di un imballaggio innovativo ottenuto da un processo produttivo altamente tecnologico e dall’uso di ingredienti naturali, in grado d i conservare più a lungo le caratteristiche di qualità di alcuni prodotti tipici della tradizione gastronomica italiana (in particolare, prodotti per il settore lattiero-caseario e dei salumi). Parliamo di un imballaggio attivo, ossia che agisce attivamente nei confronti dell’alimento che sta al suo interno rilasciando dei principi attivi che contribuiscono all’estensione della shelf life del prodotto confezionato. L’ingrediente naturale utilizzato per ot tenere l’imballaggio è la propoli, ricavata da piante e alveari esclusivamente italiani. L’obiettivo principale che il progetto Packprolife ha permesso di raggiungere è l’utilizzo della propoli in due tipi di packaging attivi a rilascio controllato: il primo a base di materiali flessibili di natura cellulosica, il secondo a base di materiali flessibili plastici. Numerose sono state le attività intraprese dagli esperti del CSI che hanno portato a questo risultato: dalla selezione della propoli e dalla analisi accurata della sua composizione, dell’attività antimicrobica e di quella antiossidante, si è passati poi allo studio delle modalità di incorporazione della propoli nella formulazione della carta e allo studio della formulazione del coating a base propoli per la spalmatura sia su carte politenate, sia su imballaggi plastici flessibili. A questo hanno fatto seguito lo studio delle cinetiche di rilascio dei polifenoli da parte dell’imballaggio, le prove industriali di produzione del packaging e la verifica dell’idoneità alimentare su scala industriale. Infine, gli ultimi test hanno riguardato gli effetti dell’attività antiossidante e antimicrobica dell’imballaggio sugli alimenti.
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PRIMO PIANO: FOOD E SCIENZA
LA SCIENZA IN CUCINA SE IL PANE LIEVITA ALLA PERFEZIONE, SE LA MAIONESE SI ADDENSA CORRETTAMENTE E SE UNA TORTA SI PRESENTA CON UN’INVITANTE SUPERFICIE DORATA, NON È SOLO QUESTIONE DI BRAVURA AI FORNELLI, MA ANZITUTTO DI CHIMICA E FISICA. E IN FONDO, A BEN PENSARCI, SONO MOLTI GLI ELEMENTI CHE ACCOMUNANO RICETTE CULINARIE E RICETTE CHIMICHE on si può proprio negare che al giorno d’oggi l’arte culinaria occupi una posizione rilevante nella nostra quotidianità: basti pensare al numero di trasmissioni televisive che trattano di cucina sotto i più svariati approcci (competizione spinta all’eccesso, tradizione, salute, rapidità e facilità di preparazione, ecc.), per accattivarsi un pubblico che in fondo vi ricerca e vi proietta il proprio modo di essere e di vivere. Se inoltre si considera la diffusione e il successo di siti Internet riguardanti ricette o argomenti di carattere gastronomico con relativi scambi di opinioni, la popolarità e l’importanza di questo tema divengono lampanti. Appare quindi evidente che la preparazione del cibo non consiste più solamente in un atto il cui fine ultimo è il sostentamento del corpo, ma si è trasformata piuttosto in un rito in cui convergono molteplici aspetti culturali e sociali. La nostra intuizione ci suggerisce che l’abilità nel cu-
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cinare sia maturabile solo empiricamente, affinandosi da una pratica esercitata nel tempo e da un continuo accumulo di esperienze. In effetti è sempre stato così: un grande cuoco può essere considerato tale solo per via del proprio passato. Tuttavia, essendo l’essere umano curioso all’inverosimile, numerose discipline scientifiche si sono ormai affacciate in ambito culinario: non solo la scienza della nutrizione, che evidentemente per sua natura è strettamente legata all’alimentazione e quindi alla cucina, ma anche la chimica, la fisica, la medicina, l’ingegneria e altri campi. In fisica, ad esempio, è nata una nuova branca: la gastrofisica, assolutamente da non confondere con l’astrofisica, che ha ben altri oggetti di indagine! A volte l’accostamento tra scienza e cucina è poco convincente e alquanto strambo: avere una formula contenente una decina di parametri per la descrizione della
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PRIMO PIANO: FOOD E SCIENZA
consistenza diviene invece cottura ideale di un La scienza in cu simile a quella dell’uovo uovo “alla coque” ci n a non riguarda so cotto. Tale preparazioè scarsamente la m e n te aspetti innova ne è spesso riportata utilizzabile a litivi e bizzarri: è piuttosto intr sotto il nome di “cavello pratico, in se ca mente già presente n gliata di uovo”. pur ammettenelle conoscenze pratiche e nell Proseguendo attrado la difficoltà a tradizione. La vera novità verso le meraviglie nel raggiungere co n ella consapevo nsiste della cucina molecolala consistenza lezz re, termine coniato dal desiderata. stiamo finalme a che nte fisico Nicholas Kurti che Cucinare implica acquisendo. ne fu un precursore, non si l’applicazione, consapuò tralasciare un soggetto tanpevole o meno, del metodo to curioso quanto gustoso, ovvero sperimentale scientifico: esperimento (preparazione), modellizzazione (ricetquello del cosiddetto gelato “all’azota), osservazione (degustazione) e ripeto”. Aggiungendo infatti azoto liquido tizione di passaggi di questo ciclo mo(-196°C) alla miscela base del gelato, il dificando le variabili fino a conseguire raffreddamento estremamente rapido un risultato soddisfacente. causa la formazione di cristalli molto In fondo, una ricetta di cucina altro non più piccoli di quanto si ottenga con le tecniche di lavorazione tradizionali. Olè che una formula chimica macroscotre al vantaggio di produrre gelato pica, in cui i reagenti sono chiamati ingredienti, i rapporti stechiometrici dosi e lo sperimentatore cuoco. Ricordiamoci che l’interazione tra visioni, competenze e approcci diversi è di solito molto prolifica e genera esiti spesso inattesi e sorprendenti. Sapete che si può “cuocere” un uovo senza scaldarlo? Basta versare l’uovo (senza guscio) nell’alcool etilico: le proteine dell’albume si denaturano e coagulano, creando una struttura simile a quella ottenuta con la cottura; gli aromi rimangono quelli dell’uovo crudo, ma la
LETTURE CONSIGLIATE • Barham Peter, 2007, Bollati Boringhieri • Cassi Davide; Bocchia Ettore, 2005, Sperling & Kupfer • Cazor Anne; Lienard Christine, 2009, Bibliotheca Culinaria
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quasi istantaneamente, anche la qualità ne viene influenzata: avete presente quella dolorosa e improvvisa fitta alla testa che si prova quando si morde ghiaccio o del gelato in eccesso? La struttura microcristallina non consente che questo possa capitarvi. Non crediate però che tutto ciò sia unicamente qualche cosa di esoterico e inaccessibile: esistono già gelaterie che offrono questo prodotto e altre ne stanno aprendo. La scienza in cucina non riguarda solamente aspetti innovativi e bizzarri: è piuttosto intrinsecamente già presente nelle conoscenze pratiche e nella tradizione. La vera novità consiste nella consapevolezza che stiamo finalmente acquisendo. Ad esempio, nel linguaggio scientifico il termine emulsione è riferito a miscele di sostanze tra loro insolubili e di certo non ci fa venire l’acquolina in bocca; sappiate però che in questa categoria ricadono alimenti come la maionese, il gelato, il latte, il pesto, la vinaigrette e molti altri ancora. Addirittu-
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ra la meringa può essere pensata cotura, baNicholas Kurti gnomame un’emulsione tra aria e albume, d “È una triste ri iceva: con lo zucchero utilizzato per ria,…), fless svolgere la funzione di stabilizp e r sulla nostra civ ione iltà zante. Avete mai riflettuto su espoche mentr siziocome effettivamente l’aria ne noi possiamo m e sia un ingrediente fondamentane altemperatura d isurare la ell’a le? le midi Venere, non tmosfera sappiamo croonIl fatto che nella preparazione di cosa succeda a ll’interno de; i riuna ricetta sia presente una fase d e i n o st ri so di cottura è dato per scontato, essultati otufflé”. tenibili diffesendo un procedimento decisamente riscono notevolordinario e abituale; eppure solo il genere umano utilizza tale pratica mentre mente tra loro e quindi a ogni pietanza il resto delle creature viventi si nutre in- possiamo associare la tecnica più idodipendentemente da questo. Esistono nea. Il nostro gusto ci chiede cibi cotti, la scienza ci dice che la cottura svolge numerose modalità di cottura: per irraggiamento da fonte di calore (forno, molteplici funzioni, quali l’eliminazione di organismi patogeni (virus, batteri e griglia, piastra), per trasmissione di caparassiti), la prevenzione di intossicalore tramite immersione (bollitura, fritzioni alimentari, la modificazione delle caratteristiche organolettiche (sapore,
odore, colore, consistenza, ecc.) rendendo i cibi più digeribili o addirittura commestibili. Non possiamo che rallegrarci di constatare un ottimo accordo tra utilità e piacere. Le persone che si sentono meno attratte dalle discipline scientifiche non si devono preoccupare, poiché sappiamo bene quanto la creatività e la fantasia siano ingredienti fondamentali per soddisfare degnamente il nostro palato. Nel 1969 Nicholas Kurti diceva: “È una triste riflessione sulla nostra civiltà che mentre noi possiamo misurare la temperatura dell’atmosfera di Venere, non sappiamo cosa succeda all’interno dei nostri soufflé”. A tutt’oggi molto deve essere ancora spiegato, compreso e investigato. Il bello deve ancora venire e come per ogni grande esplorazione che si rispetti, prepariamo viveri e provviste per lanciarci verso una gran-
CALENDARIO 2016 DEL GRUPPO IMQ: LA SCIENZA IN CUCINA Nel calendario 2016 del Gruppo IMQ, mese per mese sono raccontate alcune delle leggi fisiche e chimiche che si nascondono dietro a un buon piatto, oltre ad altre curiosità scientifiche nascoste in cucina. Ricordando come il Gruppo IMQ, attraverso le sue società, offre al settore dell’agrofood un supporto concreto per verificare la conformità ai requisiti internazionali di sicurezza, prestazione, igiene, di prodotti, materiali, apparecchiature per la produzione, il trattamento e la conservazione degli alimenti.
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PRIMO PIANO: FOOD E TECNOLOGIA
NANOTECNOLOGIE
& NOVEL FOODS LE NUOVE FRONTIERE DELL’INNOVAZIONE NEL SETTORE ALIMENTARE Vito Rubino, Avvocato, Ricercatore in Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi del Piemonte Orientale l Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione hanno raggiunto a novembre un accordo definitivo sul testo del nuovo regolamento UE in materia di “Novel Foods”1, che ne consentirà finalmente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, con essa, l’aggiornamento della disciplina pregressa2. I novel foods sono alimenti non utilizzati, prima del 15 maggio 1997, in misura significativa per il consumo umano nei paesi dell’Unione europea.
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Nella definizione rientrano sia prodotti ali-
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mentari come, ad esempio, gli insetti, alcuni tipi di funghi, alghe ecc., che possono essere anche di consumo corrente in alcune regioni del Mondo ma che non sono stati introdotti sui nostri mercati prima della data indicata, sia i prodotti alimentari costituiti da ingredienti nuovi (quali, ad esempio, i cosiddetti “nanomateriali ingegnerizzati”), ovvero ottenuti mediante processi produttivi innovativi. La necessità di sottoporre questi prodotti a una procedura autorizzatoria preventiva basata su una valutazione di sicurezza si fonda sull’articolo 14 del regolamento UE 178/02 CE (“General Food Law”), in base al quale gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. La rischiosità deriva dalla possibilità che l’alimento risulti pericoloso per la salute umana o comunque inadatto al consumo, sicché l’obbligo generale di sicurezza viene declinato per i prodotti tradizionalmente in vendita sul mercato come presunzione di adeguatezza, derivante dalla storicità dell’utilizzo e dall’assenza di effetti nocivi rilevati, mentre per i prodotti cosiddetti “nuovi” (considerati tali a partire dalla data di entrata in vigore del primo regolamento sui novel foods) impone il superamento di un’analisi di sicurezza da parte delle Autorità competenti. Il nuovo regolamento interviene
anzitutto sul meccanismo autorizzatorio in questione, centralizzando la procedura e demandando all’EFSA il compito di effettuare tutte le valutazioni di sicurezza per il consumo umano di queste nuove sostanze. La modifica si è resa necessaria in quanto il regolamento 258/97 CE (tutt’oggi in vigore, fino ad applicazione della nuova disciplina) aveva optato per una gestione “nazionale” delle singole valutazioni, che esponeva gli operatori al rischio di contestazioni in altri Paesi membri della UE anche dopo che l’Autorità nazionale competente nel proprio Stato di origine (in Italia è il Ministero della Salute) avesse escluso la natura di novel food del prodotto sottoposto a valutazione, ovvero ne avesse ritenuto comprovata la sicurezza. Il passaggio a una procedura unica, gestita da EFSA e dalla Commissione europea, consentirà, dunque, maggiore certezza per gli operatori economici. Tuttavia, vista la rigorosità degli standard adottati nelle valutazioni EFSA in altri settori (ad esempio claims salutistici, OGM, ecc.) non sorprenderebbe che questi nuovi prodotti riscontrassero una maggior difficoltà di accesso al mercato e un deciso aumento degli oneri legati alla predisposizione del dossier scientifico da sottoporre a istruttoria rispetto agli standard attuali, a scapito della capacità innovativa dell’industria alimentare europea.
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Per garantire il rispetto del diritto fondamentale all’identità culturale ed enogastronomica dei popoli il regolamento introduce, peraltro, una procedura semplificata per l’autorizzazione di prodotti considerati “tradizionali” in Paesi terzi, sulla sicurezza dei quali gli Stati membri non esprimano particolari timori: in questo caso sarà sufficiente una mera “notifica” da parte dell’operatore del settore alimentare interessato a commercializzarli sui mercati U.E. Particolare importanza è poi attribuita dal nuovo testo alle procedure per garantire la riservatezza dei dati sottoposti a valutazione: l’elevata innovatività di queste sostanze può dipendere da segreti tecnologici delle imprese che intendono ottenere l’autorizzazione o da approfonditi e costosi studi effettuati in anni di ricerche finanziate dall’operatore privato, che devono essere protetti. Peraltro la riservatezza dei dati, unita alla procedura autorizzatoria individuale, può creare un valore aggiunto (derivante dalla esclusiva di fatto che il sistema determina) molto utile per le imprese, le quali devono poter vedere riconosciuti i propri sforzi innovativi mediante l’acquisizione di vantaggi competitivi non comunemente replicabili. Nel contesto dei cosiddetti novel foods si inseriscono anche i nanomateriali ingegnerizzati, definiti dal regolamento 1169/2011 UE, concernente le informazioni fornite ai consumatori sugli alimenti: l’articolo 2, co. 2, lett. “t” del regolamento li definisce, infatti, come “il materiale prodotto intenzionalmente e caratterizzato da una o più dimensioni dell’ordine di 100 nm o inferiori o che è composto da parti funzionali distinte, interne o in superficie, molte delle quali presentano una o più dimensioni dell’ordine di 100 nm, ma che presentano proprietà caratteristiche della scala nanometrica”, ossia quelle connesse all’elevata superficie specifica dei nanomateriali considerati e/o le proprietà fisico-chimiche che differiscono da quelle dello stesso materiale privo di caratteristiche nanometriche. I nanomateriali non hanno ancora trovato una larga diffusione nel settore del
food: a parte la vicenda del biossido di titanio, autorizzato come additivo alimentare (E 171) pur in sospetto di assenza di sicurezza3, la scarsa propensione dell’industria verso il ricorso a queste sostanze dipende soprattutto dalle reazioni tendenzialmente avverse dei consumatori nei confronti dell’esposizione a sostanze percepite - sia pur in modo del tutto acritico - come un pericolo. L’impiego dei nanomateriali inizia, invece, a essere più diffuso nell’ambito dei “MOCA”4, dove le dimensioni nanometriche delle particelle possono attribuire al materiale proprietà e utilità in precedenza non ottenibili con tecniche tradizionali, a beneficio della durabilità e della qualità degli alimenti imballati5. Ovviamente anche in questo caso il rischio principale risiede nella possibilità di un carry-over di queste particelle nell’alimento, che ne determini la contaminazione rendendolo quantomeno inadatto al consumo umano. Quanto descritto evidenzia, quindi, due rilevanti criticità. In primo luogo la “innovatività” dei nanomateriali e in parte dei novel foods (specie quando utilizzati come componenti di ingredienti o di materiali a contatto) rende particolarmente difficile la loro identificazione analitica e il controllo delle materie prime impiegate dagli operatori del settore alimentare. Ciò espone l’industria a notevoli rischi, specialmente se si considera la rilevanza mediatica di un’eventuale scoperta, da parte delle Autorità di controllo, della presenza di queste sostanze e la diffusione su larga scala dei prodotti contaminati. Appare quindi evidente, via via che l’ingegnerizzazione dei materiali progre-
disce, l’assoluta necessità dell’implementazione di strumenti di autocontrollo che prevedano anche la ricerca di nanoparticelle o nuove sostanze, da indirizzare in funzione dell’origine dei prodotti, della conoscenza o conoscibilità della presenza di determinate sostanze nella catena di approvvigionamento degli ingredienti e della segnalazione attraverso fonti attendibili di contaminazioni, anche solo accidentali, di questi materiali con gli alimenti. Sotto un diverso profilo l’implementazione dell’apparato regolatorio UE porta ancora una volta in evidenza la carenza del Legislatore italiano nel munire le norme della legislazione alimentare di sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive: la disciplina sui novel foods, ormai in vigore da quasi 10 anni, non ha ancora una disposizione specifica per sanzionare la violazione delle procedure (mancata notifica, commercializzazione in assenza di autorizzazione, ecc.), sicché in assenza di prove concrete di nocività dei prodotti aventi queste caratteristiche eventualmente commercializzati in violazione di legge, risulta oggi opinabile la possibilità di adottare misure repressive “adattando” norme sanzionatorie diverse con interpretazioni estensive che rischiano di sconfinare nell’analogia legis in malam partem (vietata dal principio costituzionale di legalità e tassatività). L’approvazione del nuovo regolamento potrebbe costituire, in questo senso, un’importante occasione per metter mano alla revisione dell’apparato sanzionatorio in materia alimentare includendo anche disposizioni specifiche per questo settore.
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Cfr. il comunicato stampa della Commissione europea disponibile su Internet all’indirizzo: http://europa.eu/rapid/press-release_STATEMENT-15-5877_en.html L’entrata in vigore è prevista per il 2017 Cfr. sul punto Cécile Voss, Veleni in tavola? Utilità e rischi degli additivi alimentari, Editoriale Altro Consumo, 2002 Materiali ed Oggetti destinati a venire a Contatto con gli Alimenti Si pensi alla cosiddetta “gas-permeabilità” dei film di rivestimento degli imballaggi
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PRIMO PIANO: FOOD E TECNOLOGIA
IN VINO DRONE
TECNOLOGIE SAPR PER PRODURRE MEGLIO, SPENDENDO MENO E RIDUCENDO L’IMPATTO SULL’AMBIENTE
l Mit ha messo al primo posto i droni in agricoltura tra le tecnologie che cambieranno il futuro. Sarà davvero così? Al momento, quel che è certo è una sempre più rapida diffusione dei SAPR (Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto) in particolare nell’ambito della viticultura.
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Cosa possono fare i droni in viticultura? In estrema sintesi potremmo rispondere che il drone permette di raccogliere informazioni fondamentali ai fini della qualità della produzione, consentendo significativi risparmi in termini di tempi, di costi e di impatto sull’ambiente. Le riprese con UAV (Unmanned Aerial Vehicle), SAPR (Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto), APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto), quadricotteri, esacotteri, octotteri o droni che dir si voglia, grazie ai dispositivi con i quali
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possono venire equipaggiati (termocamere, fotocamere, sensori, ecc.) consentono ad esempio di individuare problemi di irrigazione, presenza di parassiti e funghi non evidenti a vista, potenziali rischi di maturazione dell’uva dovuti a una crescita della vite troppo vigorosa; consentono di effettuare semplici attività di ispezione dello stato dei vigneti a seguito di una grandinata. Riprese capillari, frequenti e dettagliate, che in concreto si traducono nella possibilità di interventi immediati volti a modificare il programma di irrigazione del terreno o il quantitativo dei fertilizzanti, di individuare le migliori pratiche di raccolta. Il tutto, naturalmente, con conseguenti risparmi e minimizzazione degli impatti ambientali. Il monitoraggio per immagini della viticoltura non rappresenta una novità. Fino a pochi anni fa era infatti affidata
a riprese satellitari o aeree che però comportavano costi e tempistiche molto più dispendiose e, nel caso dei satelliti, con immagini a bassa risoluzione, non in grado di distinguere tra filare e interfilare e soprattutto non in grado di offrire un monitoraggio personalizzato del territorio. Le immagini aeree nel visibile e nel vicino infrarosso consentite dai droni, possono invece offrire immagini multispettrali e, grazie ai costi contenuti, permettono di poter rilevare i dati di interesse ogni settimana, ogni giorno, ogni ora. La raccolta dati tramite i droni, naturalmente, non deve essere fine a se stessa ma finalizzata a un piano di azione preciso. Che tra i suoi obiettivi principali non può non elencare una riduzione dell’acqua necessaria per l’irrigazione, riduzione nell’uso dei pesticidi, ma soprattutto un miglioramento della qualità del vino prodotto.
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L’AFFIDABILITÀ DEL DRONE PASSA DA IMQ In assenza di una normativa specifica in merito alla qualità delle prestazioni dei droni, IMQ ha sviluppato un capitolato di prova volto a verificarne l’affidabilità per quanto riguarda aspetti di R&TTE, EMC, comportamento in particolari condizioni climatiche e controvento. Un servizio a supporto di produttori e utilizzatori che si fa ancora più interessante a fronte dei dati resi noti dal VII° Report dell’ADCO (Administrative Cooperation) pubblicato in data 21 ottobre 2015, e relativo alla vigilanza del mercato effettuata sui droni relativamente alla Direttiva R&TTE: • 92 % dei campioni testati è risultato NON CONFORME • 82 % dei campioni testati è risultato NON CONFORME ai requisiti amministrativi della Direttiva • 51 % dei campioni testati è risultato NON CONFORME ai test per l’uso efficace dello spettro (frequenze, potenza, emissioni spurie) • non conformità attribuibili maggiormente ai controlli remoti.
LE ISPEZIONI IMQ METTONO LE ALI Nello svolgimento delle attività di ispezione per particolari settori quali il fotovoltaico, l’impiantistica, l’energia, l’agrofood, IMQ ha aggiunto ai propri strumenti di valutazione anche le verifiche tramite drone. Un sistema efficace e sicuro, in grado di ridurre i costi e i tempi di intervento, ma soprattutto di ridurre i problemi di sicurezza degli operatori, in caso di intervento in contesti potenzialmente a rischio, quali quelli in alta quota.
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PRIMO PIANO: FOOD E SALUTE
QUANDO IL CIBO
“RENDE” INTOLLERANTI Intervista alla dott.ssa Silvia Caboni, specialista in allergologia e immunologia pediatrica avanzata
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iamo quello che mangiamo. Ma, a volte, il nostro corpo può non essere d’accordo su ciò che ingeriamo ed è così che si incorre nelle intolleranze alimentari. Come gestirle? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Silvia Caboni, specialista in allergologia e immunologia pediatrica avanzata.
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Che cosa sono le intolleranze alimentari? Sono delle reazioni indesiderate scatenate dall’ingestione di uno o più alimenti, che si manifestano in soggetti geneticamente predisposti. Sono dose-dipendenti, cioè la loro intensità è strettamente correlata alla quantità dell’alimento ingerito, e coinvolgono i processi metabolici del nostro organismo, ma non il sistema immunitario. In una grande distinzione, si dividono in intolleranze enzimatiche e reazioni pseudoallergiche da additivi,
conservanti e amine vasoattive. Le prime sono determinate dall’incapacità dell’organismo di metabolizzare alcune sostanze presenti negli alimenti, a causa di deficit enzimatici. Tra queste troviamo l’intolleranza al lattosio e al fruttosio, il favismo. Le altre, invece, mimano le allergie mediate dagli anticorpi specifici e possono essere causate da conservanti, additivi alimentari e amine vasoattive. Discorso a parte è legato alla malattia celiaca, che è una malattia immuno-mediata che trova nel glutine la causa scatenante. Quanti sono oggi gli italiani intolleranti? È difficile fare una stima precisa della reale incidenza delle intolleranze alimentari in Italia. Esiste una sovrastima del problema, dovuta alla confusione del termine, oggi alquanto abusato e usato im-
propriamente. Inoltre, mancanza di procedure diagnostiche idonee, errori di valutazione della sintomatologia, mancanza di studi standardizzati, ricorso a test “alternativi” privi di validità scientifica contribuiscono a questa confusione. In generale possiamo dire che circa l’8% dei bambini e il 2% della popolazione adulta soffre o ha sofferto di ‘reazioni avverse a uno o più cibi’ che si manifestano per lo più con sintomi gastrointestinali: dolori addominali, crampi, diarrea, vomito. A livello europeo i dati sono sovrapponibili, con incidenza complessiva delle reazioni avverse a cibo circa al 7,5% nei bambini e al 2% negli adulti. Quali sono quelle più comuni? La più frequente è quella al lattosio. La forma congenita è caratterizzata dalla completa assenza dell’enzima lattasi, viene diagnosticata precocemente, con test 37
PRIMO PIANO: FOOD E SALUTE
genetico, e determina sintomi importanti anche per dosi basse di lattosio. La forma acquisita è molto frequente, si stima che il 70% della popolazione ne sia affetto. È assolutamente benigna e la soglia di tolleranza è soggettiva, richiede moderazione nell’introduzione dell’alimento. La malattia celiaca è anch’essa molto frequente. Definita impropriamente intolleranza al glutine, è di fatto una malattia immuno-mediata, scatenata dall’ingestione di glutine che, in soggetti geneticamente predisposti, determina un processo infiammatorio cronico nell’intestino tenue e conseguente malassorbimento e manifestazioni extraintestinali. Sono inoltre molto frequenti le intolleranze dovute a un’aumentata reattività a determinate molecole presenti in alcuni cibi: le amine vasoattive e altre sostanze tra cui la caffeina e l’alcol etilico, gli additivi e conservanti, come i solfiti. Come mai sono così frequenti? Alla base esiste sempre una predisposizione genetica, su cui agiscono poi vari fattori. Un ruolo importante è senz’altro da ascrivere alle abitudini alimentari, molto diverse rispetto al passato, all’introduzione massiva di pesticidi, additivi e conservanti alimentari, alla contaminazione ambientale. È poi vero che c’è una maggiore atten-
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zione al problema, con metodiche che consentono di arrivare a delle diagnosi prima non possibili. Oggi, però, il paziente si fa un’autodiagnosi, in modo semplicistico: una stanchezza inspiegabile, qualche difficoltà digestiva, mal di testa, dolori alle articolazioni, altri disturbi non facilmente inquadrabili vengono indicati come “intolleranza” e si cerca il colpevole in questo alimento o quell’altro. Spiana la strada anche il ricorso a esami inaffidabili che, oltre a un effetto “scenografico” sul paziente, non hanno attualmente alcuna validità scientifica riconosciuta. Esistono fattori esterni al cibo in grado di contribuire all’insorgenza? Lo stile di vita è fondamentale. Cattive abitudini come fumo, alcol, dieta squilibrata, determinano una flogosi della mucosa intestinale che può cronicizzare e alterare la normale flora batterica residente nel tubo digerente, con conseguenti sindromi da “intolleranza” a numerosi cibi, per il fatto che vi è una compromissione della funzione di barriera
e digestiva dell’intestino. Anche lo stress e l’ansia giocano un ruolo chiave, perché portano alla produzione di molecole che hanno un’azione “pro-infiammatoria” che si ripercuote notevolmente a livello intestinale, non dimentichiamo che esiste una strettissima correlazione fra psiche e intestino, che è il nostro cervello viscerale. Si guarisce dalle intolleranze? Per l’intolleranza al lattosio è sufficiente gestire il disturbo, mentre per la celiachia attualmente la cura prevede la dieta priva di glutine, che porta a risoluzione dei sintomi e a negativizzare gli anticorpi. In generale per le intolleranze da additivi, solfiti, amine vasoattive come l’istamina, moderazione è la parola d’ordine. Non è necessario escludere nessun alimento in modo definitivo, alla lunga sarebbe controproducente, ma limitare l’assunzione e non associare alimenti troppo “carichi” in quella sostanza. È poi fondamentale agire nel periodo gestazionale, oggigiorno esiste un integratore specificamente studiato per la gravidanza, che ha capacità immuno-modulante e protettiva nei confronti dello sviluppo di allergia nel nascituro, tutte le future mamme dovrebbero assumerlo.
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Quali sono i test realmente efficaci per individuare un’intolleranza? Occorre effettuare un’anamnesi accurata, che già orienta lo specialista verso un sospetto diagnostico: allergia vera sì o no? In caso di sintomi suggestivi, è necessario appurare un’allergia alimentare IgE mediata, che può comportare un rischio per la vita del paziente anche per assunzione di piccole dosi dell’alimento. Gli unici test cutanei attendibili e standardizzati sono gli Skin Prick Test, che possono essere
eseguiti sia con gli estratti commerciali, sia con gli alimenti freschi (Prick by Prick). Se necessario, si esegue poi un prelievo ematico per il dosaggio degli anticorpi specifici per l’alimento incriminato o per il singolo allergene. A questo punto, fatta la diagnosi di allergia vera, è necessaria una dieta di esclusione per l’alimento. È valida anche nei casi di intolleranza: eliminare un alimento o una combinazione di alimenti sospetti per circa 2 settimane prima di ef-
fettuare una prova di verifica. Se in questo periodo i sintomi scompaiono, i cibi sospetti vengono reintrodotti nella dieta, uno per volta, in quantità ridotte e aumentate gradualmente fino alla dose normale. Una volta verificati tutti, è possibile evitare quelli che causano problemi.
INTOLLERANZE ALIMENTARI Come si riconosce un’intolleranza alimentare? I primi sintomi, spesso, possono essere simili a quelli di un’allergia, con crampi allo stomaco, nausea e diarrea. Sono dovuti al fatto che il nostro corpo non riesce a digerire correttamente un alimento o una parte di esso, anche se siamo ancora in grado di sopportarne l’ingestione in piccole quantità. Tuttavia, poiché l’intolleranza potrebbe verificarsi anche a distanza di ore, o di giorni, per evitare che questi episodi si ripetano ci sono alcuni campanelli di allarme che è bene tenere d’occhio. Il primo è verificare se si sta subendo un aumento di peso, anche nel caso in cui si mangi poco. Un addome teso, un mal di testa continuo, la sensazione di avere le estremità gonfie, ma anche difficoltà a dormire, sonnolenza o ansia sono alcuni tra i sintomi che possiamo valutare autonomamente. Il primo tentativo che possiamo fare per valutare l’insorgenza o meno di un’intolleranza è eliminare gli a limenti che scatenano i vari sintomi. A seconda della gravità della reazione, il tempo per “ripulire” il corpo cambia e possono essere necessari fino a sei mesi. Una volta passato questo tempo, si può provare a reintrodurre gli alimenti uno per volta e a distanza di alcuni giorni l’uno dall’altro, e monitorare l’eventuale ricomparsa dei disturbi. Qualora la reazione fosse nuovamente d’intolleranza, allora si rende necessario eliminare quei cibi dalla propria dieta. Se, invece, i sintomi non si ripresentano, vuol dire che il sistema immunitario si è riequilibrato e si può tranquillamente ricominciare a mangiarli, con l’unica accortezza di diminuirne le porzioni e, in caso si vada fuori a cena, non scordarsi di chiedere sempre degli ingredienti e della cottura. Per capire, invece, se siamo realmente intolleranti a determinati cibi, possiamo sottoporci ad alcuni test scientifici. I primi sono i test cutanei, la cui efficacia, però , non è certa e i risultati non sono affidabili al cento per cento. A seguire, il test Rast: nella provetta vengono mescolati piccoli campioni di sangue del paziente e gli estratti degli alimenti cui si suppone intollerante: il risultato è la determina di un’allergia, ma non il grado di sopportazione dell’allergene. Un ultimo test è quello in doppio cieco con controllo di placebo. Si tratta di un esperimento che impedisce le reazioni consce e inconsce a determinati stimoli: nel caso dell’intolleranza, prevede di somministrare a insaputa del paziente un alimento contenente l’allergene sotto stretto controllo medico, per individuare se esistano realmente componenti in grado di produrre effetti negativi.
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PRIMO PIANO: FOOD E COMUNICAZIONE
IL CIBO AI TEMPI DELLA
COMUNICAZIONE
COME MAI SCEGLIAMO UN PRODOTTO AL POSTO DI UN ALTRO? QUALI SONO I VALORI DEL CIBO CHE TENIAMO MAGGIORMENTE IN CONSIDERAZIONE? IL COSTO RAPPRESENTA ANCORA OGGI IL FATTORE PRINCIPALE CHE ORIENTA LE NOSTRE SCELTE?
Intervista alla Prof.ssa Maura Franchi, docente di Sociologia dei Consumi presso il dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Parma
ossiamo dire che oggi il cibo sia onnipresente nelle nostre vite (oltre che sulle nostre tavole): le star televisive del mondo della cucina sono sempre più numerose; sui giornali e sul web ultimamente leggiamo spesso di scoperte e ricerche che attribuiscono vantaggi o svantaggi a questa o quella pietanza; la pubblicità, poi, non ha mai smesso di circondarci e di riempirci gli occhi di leccornie. Per non parlare dei sei mesi di Expo 2015, durante i quali il cibo è stato l’indiscusso protagonista a livello mondiale. Noi consumatori, però, siamo cambiati. Pur restando sensibili al fascino delle ultime tendenze e a ciò che sostengono gli opinion leader in materia di cibo, non ci accontentiamo di semplici suggerimenti e di “seguire la massa”. Non rispondiamo automaticamente a una curiosità acquistando questo o quel prodotto ma preferiamo prima ca-
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pire bene cosa stiamo per mettere nel carrello. Siamo ben consapevoli del fatto che il valore del cibo non stia solo nel suo buon sapore e nella soddisfazione del momento del pasto ma riguardi sfere “più alte” come la salute, la sostenibilità, la sicurezza. Ne parliamo con Maura Franchi, docente di Sociologia dei Consumi. Sul cibo, in particolare su alcuni alimenti più “critici” tutti (non solo gli esperti) dicono di tutto. Come può un consumatore fare ordine nel caos delle numerose informazioni che legge in giro ogni giorno, di chi si può fidare? Io credo che esista oggi uno spazio per l’informazione scientifica e divulgativa affidabile e di qualità ed è proprio questa che fornisce un’immagine aggiornata di ciò che viene scoperto in sede di ricerca. La qualità dell’informazione su temi che
riguardano il cibo e la salute si misura sulla rappresentazione corretta della ricerca scientifica basata su prove e verifiche. In rete possiamo trovare anche messaggi contraddittori che si basano più sulle mode del momento piuttosto che su elementi fondati. Questi ultimi non sono facili da riconoscere. Diciamo che i messaggi seri sono spesso più problematici, fanno presente che ogni persona è un caso a sé, che non ci sono “scorciatoie” di buona vita e che per lo più non ci sono “frutti proibiti”. Il consumatore può fidarsi di sé e della propria capacità critica, della pratica della comparazione e del confronto. Il consumatore deve sapere che una serie di parametri che influiscono sulle scelte alimentari sono sempre soggettivi: i consumi, infatti, sono sempre legati alle abitudini, ai target, alle preferenze, ai valori, alle capacità di spesa. Ognuno può fidarsi del proprio buon senso: la mo-
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derazione e la varietà dei cibi è il criterio più saggio. Lo diceva la Scuola Salernitana già intorno all’anno Mille. Quali sono gli aspetti che oggi spingono i consumatori a scegliere un determinato prodotto alimentare invece di un altro? Tutte le scelte avvengono per via prevalentemente emozionale e per lo più attraverso scorciatoie, vale a dire attraverso processi mentali che ci portano a semplificare le scelte. Sappiamo che la nostra mente funziona così: se ho fiducia di un prodotto tenderò ad avere fiducia di un altro della stessa gamma. Poiché la dimensione emozionale è molto importante, le immagini che alludono a mondi felici, o rassicuranti, ecc. hanno maggiore forza attrattiva. Oggi è soprattutto l’immagine associata alla “natura” a essere vincente. Indubbiamente, sulla scelta di un prodotto agisce anche il fattore prezzo, specialmente per quella fascia di consumatori che lo considera ancora come il fattore decisivo. Se però guardiamo ai dati di tendenza, si nota che, a partire dal periodo di ripresa dalla crisi, sul food siamo disposti a spendere molto più che su altri settori, come l’abbigliamento o il lusso. Questo perché sulla dimensione economica prevalgono valori che fanno riferimento alla salute, alla genuinità dei prodotti. Il benessere è diventato un driver importante nei consumi alimentari. Quanto sono attenti i consumatori agli aspetti sostenibili dei cibi? Attualmente lo sono abbastanza, se non costa troppi sacrifici. Attraverso la sostenibilità, i consumatori riducono una generale ansia di vivere in un contesto che può essere danneggiato dallo spreco e dall’eccesso. Il principale punto di attenzione, infatti, oggi riguarda la salute. La novità più interessante sul piano dei fenomeni sociali è che tutti noi ci sentiamo responsabili della nostra salute e quindi di ciò che mangiamo. Come andrebbe comunicato un prodotto alimentare e quali aspetti del prodotto andrebbero evidenziati? I consumatori chiedono di essere rassicurati e informati. Sono due richieste potenzialmente contraddittorie. Ci piace sentirci dire: “è buono e ti fa bene” anche se messaggi del genere, di per sé, vogliono dire poco. Consideriamo una garanzia il
fatto che nel cibo confezionato ci siano etichette chiare e già questo ci rassicura, anche se poi non le leggiamo. Ma se l’etichetta manca o se è illeggibile, ci facciamo caso e pensiamo che quella azienda preferisca non farcela leggere. Un’altra cosa importante è che venga comunicato l’apporto calorico del prodotto e le quantità raccomandate per il fabbisogno della persona. Alle aziende che producono cibi per i bambini, soprattutto, è richiesto che il prodotto venga presentato nelle dosi che corrispondono al quantitativo necessario. In generale, le aziende italiane produttrici di food come comunicano i loro prodotti? In cosa sbagliano e in cosa invece fanno bene? Sbagliano nell’omologare i messaggi sulla base delle credenze, delle promesse troppo facili. Fanno bene invece a mettere etichette veritiere e a fornire indicazioni corrette soprattutto sull’apporto calorico commisurato alla porzione e non a un’ideale quantità. Sbagliano a promettere miracoli, ma fanno bene a indurre uno stile di vita “buono”. La comunicazione orienta i consumi? Sì, ma in un senso nuovo rispetto al passato: non solo in senso verticale, ma anche orizzontale, con meccanismi “di rimbalzo” che mescolano informazioni di diverse fonti con le esperienze proprie e di altri, la capacità critica con l’adesione a mode. Oggi, grazie ai social network, infatti, viviamo “in diretta”. Comunichiamo continuamente cosa stiamo mangiando, cosa abbiamo acquistato, quali sono i nostri consumi. In questo modo mettiamo in atto quello che un tempo era il passaparola. Questo non vuol dire che poi ci fidiamo ciecamente e passivamente di quello che leggiamo su Facebook; rispetto alle generazioni passate, infatti, ci piace sì seguire le mode ma siamo anche molto più critici e informati. Quali sono gli strumenti della comunicazione che maggiormente influenzano le scelte dei consumatori (la pubblicità, il packaging, l’informazione di quotidiani e webzine…)? Tutti questi strumenti conservano un’influenza, contrariamente a quanto sembrava qualche anno fa, in relazione ai diversi target. È ovvio che una seria in-
formazione in rete avrà un’importanza crescente. Credo che dopo tanto eccesso di pagine e di commenti, impareremo a scegliere le fonti accurate, meno propagandistiche e più di qualità. Una libreria australiana ha recentemente deciso di incartare tutti i libri in vendita con una anonima carta da pacco, offrendo per ciascun volume solo indicazioni inerenti ai contenuti del libro. Un sistema per fare in modo che i consumatori scelgano in base ai contenuti e non al “packaging”. Cosa succederebbe se si facesse lo stesso con i cibi? Quanto “influisce” il pack sulla scelta dei prodotti? Quando acquistiamo un prodotto non decidiamo solo su base cognitiva ma anche emozionale. Packaging e confezioni gratificano la nostra sfera simbolica. Del resto, i negozi che vendevano i prodotti semplicemente “a peso”, senza confezione, non hanno mai conosciuto un boom. Quando scelgo un prodotto scelgo anche una marca, anzi compio un vero e proprio atto di fiducia nei confronti di una marca che conosco già e della quale so che posso fidarmi. Altrimenti compreremmo tutti la pasta e il riso negli anonimi sacchi di juta. Poi, indubbiamente sugli acquisti delle persone influiscono anche le pubblicità trasmesse in televisione, ma non è solo questo. Il packaging ci racconta tanto di una marca e della sua storia, contribuisce alla costruzione della brand reputation, è parte integrante del prodotto. Quando pago un prodotto di marca pago anche la sua brand reputation ed è giusto, visto che, rispetto a una “non marca” anonima, la marca nota ci mette la faccia.
MAURA FRANCHI Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze della Formazione, insegna Sociologia dei Consumi all’Università di Parma. Studia i comportamenti di consumo e i cambiamenti sociali indotti da Internet nello spazio pubblico come nella vita quotidiana. Ha pubblicato numerosi saggi e contributi sui mutamenti sociali correlati alle tecnologie della comunicazione e sui comportamenti legati al consumo.
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PRIMO PIANO: FOOD E COMUNICAZIONE
FOOD JOURNALISM
AL DI LÀ DELLE RICETTE di Pauliina Siniauer Ejo European Journalism Observatory (traduzione di Alessandro Olivo)
iamo ormai molto lontani dai giorni in cui scrivere di cibo consisteva nel pubblicare graziose ricette in magazine femminili. Ora le pubblicazioni che proclamano le più recenti mode alimentari riempiono le edicole di tutto il mondo e proliferano anche online. Eppure “food journalism” rimane un termine sostanzialmente nuovo. Quando dico alle persone che faccio ricerche su quel filone di giornalismo che si occupa di cibo, di solito si risponde così: “Anche io adoro mangiare! Vai molto al ristorante allora?”. Scommetto che pochi giornalisti economici si sentono dire: “Anche io adoro il denaro! Quindi spendi molto?”. Ad ogni modo non li biasimo, quello del food
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journalism è un nuovo settore che riscontra al suo interno una grande varietà. Ci sono ancora ricette e recensioni di ristoranti, ma ci sono anche saggi in prima persona, storie di interesse umano che coprono aspetti storici, religiosi e culturali connessi al cibo. Ci sono anche trend e fenomeni gastronomici di cui parlare. Scrittori come Michael Pollan, Professore di giornalismo all’Università di Berkeley, in California, si sono fatti un nome attraverso critiche coscienziose e cronache
sull’industria del cibo. Il più grosso cambiamento nel food journalism si è rivelato il fatto che oggi quando leggiamo di cucina, leggiamo inevitabilmente anche di persone. Nonne, chef, fattori, panettieri, idealisti, gente che ama il cibo. Il food journalism si è fatto insomma storytelling.
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IL FOOD JOURNALISM INVESTIGATIVO Ci sono anche storie sugli alimenti che molti vorrebbero tenere all’oscuro: carne di cavallo o ratto rivenduta come di manzo, polvere di latte velenosa, il cosiddetto morbo della mucca pazza, cibo vecchio rivenduto con nuove marche e ingredienti di scarto alla base di convenienti fast food sono solo alcuni esempi. Recenti argomenti in Europa oggi sono per esempio come la Bielorussia stia esportando prodotti europei in Russia, a discapito delle sanzioni sugli alimenti e della pessima qualità del cibo negli ospedali inglesi. Eppure, non c’è niente di nuovo nel fatto che i giornalisti investigativi prendano di mira il cibo. Nel 1906, Upton Sinclair, romanziere e giornalista, rivelò nel suo libro The Jungle le pratiche anti-
golamentazioni e le politiche, il buffet dei food journalists investigativi è insomma aperto e ricco.
SFIDE COMMERCIALI Il food journalism riguarda da vicino anche il business. Buone recensioni possono incidere enormemente sugli incassi di un ristorante, ad esempio e la storia di un bar di recente apertura e delle enormi difficoltà superate dal suo gestore possono ad esempio attrarre per simpatia molti clienti. Elogiare in un articolo un nuovo hamburger biologico di produzione locale può risultare più efficace di tanta pubblicità. Si capisce così anche il motivo per il quale i food journalists abbiano anche una grossa responsabilità etica: essere oggettivi e dire la verità, perché i lettori faranno affidamento sulla loro onestà. Gli inserzionisti, invece, cercano sempre un modo per relazionarsi ai consumatori. I legami tra il contenuto giornalistico e la pubblicità si stanno allargando e in alcuni giornali è già possibile comprare articoli sponsorizzati. Se per esempio una storia includesse una ricetta, che problema si potrebbe presentare se si menzionasse esplicitamente una marca? Questa è una tipica domanda che devono affrontare gli editori che si occupano del mondo gastronomico. Il segreto è mantenere l’inserzionista felice e al contempo scrivere criticamente e obiettivamente.
frontando le stesse crisi del resto del giornalismo: come guadagnare soldi dai contenuti Web? Come inserirsi nei social media e guadagnare tempo e attenzione dalle persone nel mezzo della loro frenesia mediatica? Instagram si alimenta di foto culinarie, il numero di blog che tratta di cibo è esploso, ci sono tantissimi servizi online con cui tutti possono valutare e recensire un ristorante. E questa è la ragione per cui il food journalism sta vivendo i suoi giorni d’oro: articoli di sfondo ben scritti, toccanti e commoventi, oltre a storie, recensioni comparabili a romanzi ed esposizioni di truffe e inganni del mondo alimentare che solo giornalisti professionisti riuscirebbero a realizzare. La qualità è più alta che mai e ci sarà sempre un pubblico per il giornalismo di qualità. E il cibo, infine, sarà sempre parte delle nostre vite.
UNA VISIONE PER IL FUTURO
gieniche di un’azienda che confezionava carne a Chicago. Fu un grosso scandalo e il volume divenne un bestseller che ebbe anche un grosso impatto: il consumo di carne scese e nuovi standard igienici vennero introdotti. Con un ampia gamma di argomenti quali il cibo industriale, gli studi sulla salute, le re-
Il cibo è una parte importantissima della nostra vita ed è divenuto tale anche per i media. Solo stare in piedi nell’edicola, a Berlino – dove vivo – fa venire fame: la copertina di Zitty comunica quanto sia facile vivere da vegani in città; vicino a questo, la copertina di Tip Berlin mostra braccia tatuate che servono piatti vegani proclamando il cibo come nuova moda pop. I giornali trattano di cibo nelle loro pagine di economia, salute, viaggi e politica e persino le guide televisive comprendono show di cucina e chef televisivi. Ciononostante, il food journalism sta af-
PAULIINA SINIAUER Pauliina Siniauer è una giornalista e produttrice radiofonica finlandese. Ha concluso una fellowship presso la Freie Universität Berlin, dove ha fatto ricerca sul food journalism. Ha lavorato per Helsingin Sanomat, la Finnish Broadcasting Company e Radio Helsinki. Insegna food journalism presso la Haaga Helia University of Applied Sciences.
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STORIE DI QUALITÀ
DALLE ARANCE
LA MODA CHE FA BENE ALL’AMBIENTE Intervista a Enrica Arena, CMO e Cofounder di Orange Fiber S.r.l. ph. Vincenzo Leonardi
ORANGE FIBER È UNA STARTUP CHE SVILUPPA FILATI INNOVATIVI E VITAMINICI DAGLI AGRUMI. L’OBIETTIVO È CREARE UN TESSUTO SOSTENIBILE E COSMETICO CHE RISPONDA ALL’ESIGENZA DI INNOVAZIONE DEI BRAND DI MODA. PER FARLO, LA STARTUP RIUTILIZZA LE OLTRE 700.000 TONNELLATE DI SOTTOPRODOTTO CHE L’INDUSTRIA DI TRASFORMAZIONE AGRUMICOLA ITALIANA PRODUCE OGNI ANNO a lotta allo spreco si fa anche con la creatività, lo studio e la ricerca. E poi con la tenacia, la determinazione e l’amore per la propria terra. Tutti elementi che alla fine premiano, come dimostra la storia di Orange Fiber, startup catanese che nell’arco di un paio d’anni ha ottenuto numerosi riconoscimenti e finanziamenti. Il merito va alle sue fondatrici, Enrica Arena e Adriana Santanocito, siciliane trapiantate a Milano, che hanno trovato un modo originale di riutilizzare gli scarti della produzione agrumicola della loro regione: producendo fibre tessili. Ne parliamo con Enrica Arena.
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Come è nata l’idea di utilizzare delle arance per realizzare dei tessuti? Nel 2011, Adriana completava i suoi studi in Design e nuovi materiali all’AFOL Moda di Milano. Con la voglia di innovare la tradizione tessile italiana e fare qualcosa 44
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che portasse valore alla nostra terra – la Sicilia - iniziò a ragionare sull’ipotesi di utilizzare gli agrumi per creare tessuti sostenibili e vitaminici per il settore della moda. Approfondendo i bisogni del territorio abbiamo scoperto il problema dello smaltimento di quello che resta dopo la spremitura degli agrumi, il cosiddetto pastazzo, e così ha iniziato a prendere forma il primo tessuto sostenibile e vitaminico creato a partire dai sottoprodotti dell’industria agrumicola. Quanti anni di ricerca si sono resi necessari prima di depositare il brevetto? Dall’idea al brevetto è passato poco più di un anno. Grazie al supporto del Politecnico di Milano, che ha permesso ad Adriana di provare la fattibilità della sua tesi accedendo ai laboratori di Chimica dei Materiali, siamo riuscite a depositare il brevetto italiano nel 2013, poi esteso a livello internazionale nel 2014, di proprietà esclusiva della Orange Fiber s.r.l. Quali sono i vantaggi dei tessuti ottenuti dagli agrumi? Il tessuto Orange Fiber finora prodotto ha un aspetto serico, del tutto simile alla seta e, variando i blend in tessitura, è possibile produrre diverse tipologie di tessuti, dai più strutturati ai più delicati, in modo da soddisfare tutte le esigenze di creazione dei brand di moda. Inoltre, il nostro prodotto può essere colorato, lavato, confezionato come i principali tessuti sul mercato. Ad oggi, i tessuti più presenti sul mercato sono derivati dal petrolio oppure di origine cotoniera. Rispetto a questi, Orange Fiber ha un minor impatto ambientale, utilizzando una materia prima/seconda non rivale all’alimentazione, che valorizza un prodotto naturale che altrimenti andrebbe smaltito. Rispetto a tessuti simili, ovvero di derivazione cellulosica, la maggior parte di questi viene prodotta a partire dal legno, mettendo a rischio la sopravvivenza di alcune foreste antiche non sufficientemente tutelate. Il tessuto Orange Fiber invece è prodotto con la cellulosa ricavata dal pastazzo di agrumi, a zero impatto sull’ecosistema della foresta.
i primi passi, la spinta più grande l’abbiamo ricevuta dalla vincita di premi per StartUp, come la StartCup Milano Lombardia, MedKed della Provincia di Milano e la Global Social Venture Competition.Oltre al riconoscimento, questi premi prevedevano un percorso di accompagnamento da parte di professionisti per la scrittura del Business Plan e per trasformare l’idea in un piano d’impresa vero e proprio. A seguire, con veri e propri percorsi di incubazione come Changemakers for Expo di Telecom Italia, Avanzi – Make a Cube ed Expo2015, la menzione speciale di Tim #WCAP nell’acceleratore di Catania e il Bando Alimenta2Talent del Comune di Milano e del Parco Tecnologico Padano ci siamo dedicate full time al progetto e al suo sviluppo. Grazie al programma di Confindustria AdottUp, siamo entrate in contatto con le maggiori aziende tessili del territorio e grazie allo StartLab di Unicredit siamo entrate in contatto con il sistema bancario e abbiamo beneficiato del supporto di giornate di formazione dedicata. Dopo tanti sforzi, grazie alla vittoria del bando Seed Money di Trentino Sviluppo e Smart&Start di Invitalia abbiamo avuto accesso ai finanziamenti necessari per lo sviluppo del progetto, che abbiamo affrontato grazie anche ai nostri Business Angels privati che hanno investito sulla nostra idea. Come risultato dei primi investimenti, abbiamo prodotto i primi prototipi di filato, grazie alle partnership strette con le aziende della nostra filiera, dai trasformatori di agrumi siciliani a un’azienda di filatura in Spagna, per finire con alcune aziende comasche leader
nella tessitura in Italia. In tutti questi processi, sono stati cruciali i collaboratori che ci affiancano dall’inizio per quanto riguarda lo scale-up industriale di processo, l’ingegneria tessile e la gestione aziendale. In ultimo, abbiamo deciso di ricorrere al debito bancario grazie al rapporto consolidato con Unicredit e alle possibilità per Startup, connesse al Fondo di Garanzia. Nel mondo sono stati studiati brevetti simili al vostro? Negli ultimi anni l’industria della moda sta vivendo profonde trasformazioni in chiave green, anche nella ricerca e nello sviluppo di nuovi materiali sostenibili dagli scarti alimentari e industriali. Fra le proposte più originali, c’è il progetto di un gruppo di studenti della Willem de Kooning Academie di Rotterdam per la realizzazione di pellame dalla frutta o di tessuto con la polvere di marmo del Garda, di Alice Zantedeschi. I tempi sono maturi e crediamo che il nostro prodotto arrivi al momento giusto e che attraverso la ricerca e lo sviluppo costante riusciremo ad allargare ulteriormente la nostra offerta per consumatori consapevoli e brand di moda esigenti in termini di bellezza e qualità. Quali saranno i vostri prossimi passi? Al momento stiamo lavorando sulla messa a punto del processo di produzione industriale e in futuro intendiamo continuare a impegnarci sul fronte della sostenibilità e dell’innovazione proponendo collezioni di tessuti per la moda sempre più varie e all’avanguardia.
Avete ottenuto numerosi riconoscimenti. Quali realtà hanno creduto nel vostro progetto e supportato? Il nostro progetto è sempre stato accolto con entusiasmo. Quando muovevamo
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PANORAMA NEWS
ANIE E MIUR SIGLANO UN PROTOCOLLO D’INTESA PER L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO La Federazione dell’industria elettrotecnica ed elettronica italiana e il Ministero dell’Istruzione, Universita?e Ricerca insieme per dare concretezza alle novita?introdotte da “la Buona Scuola” Promuovere la collaborazione e il confronto tra il sistema scolastico e il sistema imprenditoriale offrendo agli studenti opportunità formative di alto e qualificato profilo per acquisire competenze spendibili nel mercato del lavoro: è questo l’obiettivo del Protocollo d’intesa siglato oggi tra ANIE Confindustria, l’Associazione delle imprese elettrotecniche ed elettroniche, e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Con la firma del Protocollo ANIE e MIUR si impegnano ad affrontare insieme e concretamente le molteplici questioni aperte dalla Legge 107, cosiddetta ''la Buona Scuola”, approvata lo scorso 13 luglio, che individua per gli ultimi due anni delle medie superiori periodi di permanenza obbligatori degli studenti in azienda nella misura di 200 ore per i licei e 400 ore per gli istituti tecnici. Dal punto di vista operativo ANIE predisporrà un elenco di imprese che si rendono disponibili ad accogliere e inserire gli studenti in progetti di alternanza scuola-
lavoro, supportandole nelle attività connesse all’accoglimento dei giovani in azienda e, attraverso un Comitato paritetico MIUR–ANIE, a svolgere attività di monitoraggio e valutazione dell’efficacia degli interventi. La firma del Protocollo è frutto del lavoro del Comitato Education di ANIE, nato nel 2012 con l’obiettivo di approfondire il tema del complesso rapporto scuola – impresa in tutte le sue declinazioni, attraverso analisi, indagini e incontri di approfondimento. L’impegno congiunto di ANIE e Ministero è quello di sviluppare un sistema scolastico che si avvicini e dialoghi proficuamente con l'industria, così da affrontare la grave questione della disoccupazione giovanile (oggi alla cifra record del 44,2% - dati Istat) e contestualmente supportare le aziende che faticano a reperire sul mercato le figure professionali adeguate alle loro esigenze: personale ad alto potenziale, flessibile, che sappia progettare l’innovazione, districarsi nei nuovi mercati e gestire i rapidi cambia-
La Firma del Protocollo ANIE MIUR da parte del Presidente ANIE Claudio Andrea Gemme e del Direttore Generale del MIUR Carmela Palumbo.
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menti tecnologici. Con “la Buona Scuola” l’Italia sembra avere riconosciuto, almeno sul piano culturale e legislativo, il valore insostituibile del lavoro come momento effettivo di formazione. Gli aspetti positivi del provvedimento sono evidenti: si tratta di una grande opportunità per i ragazzi, che potranno stringere un link con le imprese del territorio e apprendere quelle competenze, anche tacite, che saranno spendibili sul mercato del lavoro e garantiranno loro un approccio più consapevole alle realtà in cui opereranno. Nello stesso tempo l’alternanza scuolalavoro potrà essere un’opportunità anche per le aziende, che potranno gestire personale formato, qualificato e flessibile, disponendo di una significativa leva di competitività. L’applicazione pratica della Buona Scuola lascia tuttavia aperte numerose questioni organizzative e metodologiche legate alla distribuzione nel sistema economico – produttivo nazionale di un milione di studenti per uno o due mesi l'anno. “Con la firma del Protocollo ci impegniamo a mettere a disposizione le nostre esperienze, risorse, conoscenze scientifiche e gestionali per creare una proficua sinergia con il sistema scolastico nazionale, in particolare con gli istituti tecnici ad indirizzo elettrico, elettronico e meccatronico – ha spiegato Claudio Andrea Gemme, Presidente di ANIE – L’alternanza scuola-lavoro, entrata stabilmente nel modello scolastico italiano è fondamentale per rimettere l’Italia al passo con le più avanzate economie europee. Rendere l’alternanza scuola-lavoro una pratica strutturale significa investire, di fatto, sulla reindustrializzazione del Paese e sul futuro delle giovani generazioni. È questa l’unica strada percorribile per tornare a far crescere l’Italia.”
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SCUOLA E LAVORO: DUE MONDI TROPPO SPESSO LONTANI Dalle indagini del Comitato Tecnico Education piu?della meta? delle aziende ANIE ha gia?esperienze di alternanza scuola-lavoro STUDENTI AL LAVORO PER ACQUISIRE SOFT SKILLS SECONDO LE RICERCHE ANIE, NON SONO LE COMPETENZE TECNICHE A MANCARE NEI GIOVANI NEO-DIPLOMATI E NEOLAUREATI CHE MUOVONO I PRIMI PASSI IN AZIENDA, SEGNALE CHE IL SISTEMA FORMATIVO ITALIANO È IN QUESTO SENSO VALIDO E SOLIDO.AI RAGAZZI CHE SI AFFACCIANO PER LA PRIMA VOLTA AL MONDO DEL LAVORO MANCANO INVECE QUELLE COMPETENZE CHE SONO DIRETTAMENTE COLLEGATE AI MECCANISMI DI FUNZIONAMENTO DI UN AMBIENTE PROFESSIONALE. È UNA CARENZA CHE SI RISCONTRA SOPRATTUTTO NEI GIOVANI CHE HANNO APPENA TERMINATO GLI STUDI UNIVERSITARI, SPESSO PURTROPPO CONCENTRATI SUI RISULTATI ACCADEMICI E POCO INCLINI AD INTRAPRENDERE SEPPUR MINIME ESPERIENZE LAVORATIVE. CIÒ CHE VIENE CONSIDERATO CARENTE DALLE IMPRESE ANIE, QUINDI, NON SONO TANTO LE COMPETENZE TECNICO-SCIENTIFICHE, QUANTO PIUTTOSTO INFORMAZIONI APPROPRIATE SUL FUNZIONAMENTO DELL’AZIENDA. IL 68% DELLE AZIENDE SEGNALA TRA LE CARENZE PRINCIPALI: CONOSCENZA DEL MONDO LAVORATIVO, CAPACITÀ DIADATTAMENTOALLE ESIGENZEAZIENDALI, PROPENSIONE RELAZIONALE, ORIENTAMENTO AL RISULTATO, FLESSIBILITÀ.INSOMMA, IN BUONA PARTE SOFT SKILLS, SEMPRE PIÙ RICHIESTE NEL MONDO DEL LAVORO. NON TRASCURABILE APPARE INOLTRE IL FATTO CHE IL 21% DEGLI INTERVISTATI HA INDICATO COME CARENTE TRA I NEO-ASSUNTI LA CONOSCENZA DELLE LINGUE STRANIERE.
I DIPLOMATI PIÙ RICERCATI DALLE AZIENDE ANIE SONO COSTITUITI DA DIPLOMI DI ISTITUTO TECNICO-TECNOLOGICO (41,58%) O PROFESSIONALE (24,75%) E SPECIALIZZAZIONI IN ELETTRONICA ED ELETTROTECNICA (52,63%), MECCANICA (25,10%), INFORMATICA E TELECOMUNICAZIONI (14,57%). HANNO BUONE POSSIBILITÀ DI SBOCCO ANCHE I DIPLOMATI DEGLI ISTITUTI TECNICI AD INDIRIZZO ECONOMICO. SI STIMA CHE ESSI RAPPRESENTINO CIRCA UNTERZO DELLA FORZA LAVORO ATTUALE, CON EVIDENTI IMPORTANTI DIFFERENZE TRA UN’AZIENDA E L’ALTRA. LATIPOLOGIA DI INSERIMENTO DOMINANTE È QUELLA DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO (40,89%), SEGUITA DA APPRENDISTATO (19,70%), STAGE (19,21%) E CONTRATTO A PROGETTO (5,91%). IL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO VIENE COMUNQUE APPLICATO NEL 14,29% DEI CASI. LA FORMAZIONE DEI NEO-ASSUNTI IN AZIENDA I NEO-ASSUNTI PRESSO LE AZIENDE ANIE SONO OGGETTO DI UNA FORMAZIONE PRIVILEGIATA E INTENSIVA: SONO LE IMPRESE STESSE AD INSEGNARE AI PIÙ GIOVANI LE COMPETENZE CHE IL SISTEMA DELL’ISTRUZIONE NON RIESCE (E MOLTO SPESSO NON PUÒ TRASMETTERE LORO, OGGETTO DI ATTIVITÀ FORMATIVE AD HOC QUASI PER IL 73% DEI RISPONDENTI ALLA PIÙ RECENTE INDAGINE DEL CTE ANIE. LA LORO FORMAZIONE VIENE PREFERIBILMENTE PORTATA AVANTI CON UN TRAINING SPECIFICO EROGATO IN MODALITÀ ON THE JOB. I DATI SUL TIPO DI FORMAZIONE FORNITO, TUTTAVIA, SONO
MOLTO ETEROGENEI E VARIANO ANCHE IN FUNZIONE DEL RUOLO PROFESSIONALE. TRASVERSALE ALLA FORMAZIONE DI TUTTI I NEO-ASSUNTI, COMUNQUE, È IL TRASFERIMENTO DEL KNOW-HOW PROFESSIONALE, UNA QUALITÀ CHE VIENE FORTEMENTE RICONOSCIUTA ALL’INTERNO DELLE AZIENDE: PER IL 69% DEGLI INTERVISTATI INFATTI È MOLTO IMPORTANTE LA TRASMISSIONE DI CONOSCENZA MATURATA DAI LAVORATORI PIÙ ANZIANI. OLTRE CHE PER ASSOLVERE AGLI OBBLIGHI DI FORMAZIONE IMPOSTI DALLE NORMATIVE, LE AZIENDE ANIE PORTANO QUINDI AVANTI PROCESSI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA PER GARANTIRE LE CONOSCENZE NECESSARIE AI NUOVI COLLABORATORI (92% DELLE RISPOSTE, A SCELTA MULTIPLA), E PER AUMENTARE L’EFFICIENZA E L’EFFICACIA OPERATIVA DEGLI ADDETTI (89%). DIVERSE SONO INOLTRE LE INIZIATIVE CONCRETE PORTATE AVANTI DA ANIE CONFINDUSTRIA PER FAVORIRE LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA DI IMPRESA E FACILITARE L’INSERIMENTO DEI GIOVANI NEL MONDO DEL LAVORO, CON UN OCCHIO SEMPRE ATTENTO ALLA FORMAZIONE PERMANENTE E ALL’AGGIORNAMENTO DEI PROFESSIONISTI DEL SETTORE: L’ADESIONE AL CONCORSO ‘LA TUA IDEA DI IMPRESA’, LE GIORNATE ORIENTA GIOVANI, GLI INCONTRI CON GLI STUDENTI NEGLI ATENEI ITALIANI. CON IL PROTOCOLLO ANIE-MIUR COMINCIA UNA NUOVA FASE DELLE ATTIVITÀ DELLA FEDERAZIONE A FAVORE DEI GIOVANI. GUARDANDO AL TOTALE DEGLI ADDETTI, INOLTRE, L’ATTENZIONE DELLE AZIENDE DEL COMPARTO ELETTROTECNICO ED ELETTRONICO NEI CONFRONTI DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA (QUELLA RIVOLTA CIOÈ AL CAPITALE UMANO AZIENDALE) È EVIDENTE: DALL’INDAGINE EMERGE INFATTI CHE IL 76% DELLE IMPRESE INTERVISTATE RICORRE ALLA FORMAZIONE DEGLI ADDETTI IN MODO SISTEMATICO. CIÒ VALE PARTICOLARMENTE PER LE AZIENDE CON PIÙ DI 50 DIPENDENTI E COLLOCATE NEL NORD-OVEST.
L’ESPERIENZA
DELLE AZIENDE ANIE CON IL MONDO DELLA SCUOLA LE AZIENDE ANIE, ANCHE PRIMA DELL’AVVENTO DE ‘LA BUONA SCUOLA’ E DELL’ISTITUZIONE DELL’OBBLIGO DI ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO PER TUTTI GLI STUDENTI DEGLI ULTIMI DUE ANNI DELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI (QUANTIFICATO IN 200 ORE PER I LICEI E 400 ORE PER GLI ISTITUTI TECNICI) HANNO DIMOSTRATO GRANDE ATTENZIONE AL RAPPORTO TRA IMPRESA E MONDO DELLA SCUOLA. PIÙ DELLA METÀ DELLE IMPRESE, INFATTI, SECONDO INDAGINI ANIE, DICHIARA DI COLLABORARE CON GLI ISTITUTI TECNICI E ANALOGA PERCENTUALE VIENE RAGGIUNTA CON LE UNIVERSITÀ. TALE COLLABORAZIONE VIENE VALUTATA POSITIVAMENTE PRATICAMENTE ALL’UNANIMITÀ. CON GLI ISTITUTI TECNICI VENGONO OGGI ATTUATE BREVI ESPERIENZE DI ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO, NELLA FORMA DI STAGE O DI BREVI PERCORSI LAVORATIVI. CON LE UNIVERSITÀ INVECE LA COLLABORAZIONE ASSUME LA FORMA DI STAGE PER STUDENTI ITALIANI, DI OSPITALITÀ E SUPPORTO PER LA REALIZZAZIONE DI TESI DI LAUREA E LA PARTECIPAZIONE A ‘CAREER DAY’ DI ATENEO.
SICUREZZA A NORMA CEI Prima del Natale, il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) ha voluto sensibilizzare i consumatori richiamando l’attenzione sulla sicurezza e sull’etichettatura dei prodotti elettrici ed elettronici, tra i quali giocattoli e catene luminose. Per prevenire incidenti domestici come incendi, cortocircuiti e scosse elettriche, è necessario acquistare prodotti sicuri e affidabili, conformi alla normativa vigente. In aggiunta alla marcatura CE che indica la rispondenza ai requisiti essenziali delle direttive comunitarie applicabili ai prodotti presi in considerazione, un’ulteriore garanzia può essere data dalla presenza di uno dei marchi rilasciati da un Ente di certificazione di parte terza (come ad es. IMQ) che attestano che il prodotto, prima di essere commercializzato, sia stato sottoposto a prove per verificarne la conformità alle norme in vigore. Nel comunicato vengono riportati consigli di sicurezza oltre che i riferimenti alle norme che vengono applicate alle singole categorie di prodotto.
Consulta il comunicato completo al seguente link: http://goo.gl/SRyfbo
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BREVI IMQ
ETICHETTATURA ENERGETICA E REQUISITI ECODESIGN PER ARMADI FRIGO E CONGELATORI PROFESSIONALI A seguito della pubblicazione sulla G.U.U.E dello scorso 8 luglio dei primi Regolamenti Europei per l’applicazione delle Direttive ErP e Etichettatura energetica anche agli apparecchi professionali, i produttori di armadi frigo e congelatori professionali sono chiamati a cambiare l’approccio alla progettazione delle loro apparecchiature. IMQ è in grado di eseguire le misure e la valutazione di conformità previste dai Regolamenti su tutte le tipologie di apparecchi professionali.
GDO, RETAILER E SICUREZZA ALIMENTARE Sempre più negli ultimi anni i retailer si sono spinti verso l'adozione di standard di sicurezza alimentare internazionalmente riconosciuti. Standard che nascono con lo scopo di uniformare i criteri in base ai quali le organizzazioni della grande distribuzione, direttamente o anche attraverso gli organismi di certificazione, effettuano verifiche di conformità e qualificano i propri fornitori di prodotti a marchio. I suddetti standard coprono ormai un’ampia gamma di requisiti che riguardano aspetti organizzativi per la gestione della qualità, requisiti igienico-sanitari, sulle strutture e gli ambienti produttivi, norme comportamentali del personale e aspetti di prodotto. I più diffusi ad oggi sono gli standard: • BRC Global Standard for food safety e IFS International Food Standard Queste certificazioni, necessarie ormai per esportare nella maggior parte del mondo, sono divenute indispensabili anche per accedere al mercato dei retailer italiani. Gli standard utilizzati, sviluppati e sostenuti dalla grande distribuzione, sono applicabili ad aziende di produzione/trasformazione alimentare, successivamente alla fase primaria, e definiscono una serie di requi48
siti finalizzati alla corretta gestione degli aspetti igienici in tutte le fasi dei processi di gestione, produzione e distribuzione dell’industria di trasformazione alimentare. Il Gruppo IMQ è anche in grado di offrire servizi di certificazione per il settore primario: • GlobalG.A.P (Good Agricultural Practice) IFA (Integrated Farm Assurance) Questo sistema di certificazione del settore della produzione primaria, attraverso i moduli specifici relativi ai prodotti oggetto di certificazione, è accomunato dall'utilizzo sistematico delle buone pratiche agricole volte al minore utilizzo di fitofarmaci e fertilizzanti per la coltivazione dei prodotti ortofrutticoli e destinati all’alimentazione del bestiame a favore della sicurezza alimentare del consumatore e alla tutela dell'ambiente.
SICUREZZA FOOD E MOCA I laboratori del settore Food, Packaging Materials del Gruppo IMQ offrono alle aziende servizi di testing, ricerca applicata, validazioni, studi di conformità e certificazioni di prodotto secondo norme tecniche e disposizioni di legge. I principali settori di attività riguardano tre aree specifiche e interagenti: • area FOOD: è dotata delle più moderne strumentazioni. Le sue competenze sono l’analisi compositiva, nutrizionale, microbiologica e sensoriale degli alimenti, la definizione dei parametri qualitativi, la ricerca di OGM, di contaminanti, pesticidi, metalli, additivi, allergeni. Dalla collaborazione con l’Università di Milano è nato il Centro di Eccellenza per gli Studi di Shelf Life, la più completa struttura per studi avanzati di Shelf Life. Il Centro d’Eccellenza ha competenze in termini di scienza degli alimenti, tecnologie di confezionamento, analisi chimiche, test sensoriali, indagini microbiologiche; • area FOOD CONTACT: con espe-
rienza pluriennale nella conformità compositiva dei materiali al contatto con alimenti. Prove di migrazione globale e specifica di monomeri, additivi, metalli, coloranti in accordo con le diverse legislazioni europee ed extraeuropee, valutazioni sensoriali, assistenza tecnico normativa; • area MATERIALS: validazioni, caratterizzazioni, certificazioni, indagini compositive e prestazionali degli imballaggi alimentari. Test fisico meccanici sui materiali di ogni genere. La Divisione Food Packaging Materials collabora con Istituti pubblici e privati e sviluppa metodologie di prova nell’ambito degli enti di normazione. Alcune di queste attività si sono trasformate in progetti di norma UNI destinati al settore dell’imballaggio primario.
ISO 9001 E ISO 14001 EDIZIONE 2015 A fronte della pubblicazione dell’edizione 2015 delle norme ISO 9001 e ISO 14001, tutti i certificati in essere dovranno essere aggiornati entro un periodo di transizione di 3 anni. IMQ è stato tra i primi Organismi accreditati (16.09.2015) per operare secondo la nuova edizione delle norme.
SISTEMI DI SICUREZZA: IMQ UNICO ENTE ITALIANO RICONOSCIUTO PER IL RILASCIO DELLA CERTIFICAZIONE INCERT Le aziende del settore sistemi di sicurezza, interessate a esportare in Belgio e Olanda, possono rivolgersi a IMQ che è in grado di supportarle con: • il rilascio diretto del certificato INCERT • l’esecuzione di prove accreditate ISO/IEC 17025 secondo la nota tecnica CEB T031:2014 che diventerà obbligatoria dal 1 gennaio 2018 • l’esecuzione di prove accreditate ISO/IEC 17025 secondo le note tecniche CEB T014:2013 e CEB T014A:2013.
FOOD
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PRODUTTORI PRODUTTOR RI DEL SETTORE
FOOD POSSO POSSONO ONO SOCIETÀ DEL D
CONTARE SU SUL UL SUPPORTO DELLE
GRUPPO IMQ Q PER VERIFICARE LA CONFORMITÀ CONFORM MITÀ DEI PROPRI PRODOTTI, SISTEMI E SERVIZI AI REQUISITI IINTERNAZIONALI NTERNAZIONALI DI SICUREZ ZZA, SICUREZZA PRESTAZIONE E, EFFICIENZA, IGIENE RICHIESTI RICHIE ESTI RITÀ E DAL MERCATO. DALLE AUTOR AUTORITÀ