Una priorità per tutte le società
Come garantire cibo “sicuro” a ”tutti”
Soldi
Furti Politica
Economia
Di cosa hanno paura gli italiani? I risultati dell’ultimo rapporto su “Sicurezza e insicurezza in Italia e in Europa”
Parola d’ordine innovazione
SICUREZZA TRA SAFETY E SECURITY CITTÀ • Smart city & community protection • Sorvegliare la cultura • Infrastrutture critiche • Gestione delle folle • Sicurezza e illuminazione pubblica
I L
M A G A Z I N E
TRASPORTI • Automotive • Droni FOOD & HOSPITALITY • Contraffazione alimentare • Passaporto digitale per il cibo • Food defense • Slow food • Sicurezza in albergo P E R
U N A
V I T A
LIFE • Le grandi incertezze italiane • Impianti antintrusione • Sicurezza domestica e prodotti sicuri • Sicurezza e previsioni meteo
SOCIETÀ • Le truffe non navigano solo on line • Psicologia della sicurezza • Comunicare la sicurezza
ICT • Sicurezza nelle TLC • Firme digitali
CURIOSITÀ • Giorni smarriti
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Q U A L I T À
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S I C U R E Z Z A
Una priorità per tutte le società
Come garantire cibo “sicuro” a ”tutti”
Soldi
Furti Politica
Economia
Di cosa hanno paura gli italiani? I risultati dell’ultimo rapporto su “Sicurezza e insicurezza in Italia e in Europa”
Parola d’ordine innovazione
SICUREZZA TRA SAFETY E SECURITY CITTÀ • Smart city & community protection • Sorvegliare la cultura • Infrastrutture critiche • Gestione delle folle • Sicurezza e illuminazione pubblica
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M A G A Z I N E
TRASPORTI • Automotive • Droni FOOD & HOSPITALITY • Contraffazione alimentare • Passaporto digitale per il cibo • Food defense • Slow food • Sicurezza in albergo P E R
U N A
V I T A
LIFE • Le grandi incertezze italiane • Impianti antintrusione • Sicurezza domestica e prodotti sicuri • Sicurezza e previsioni meteo
SOCIETÀ • Le truffe non navigano solo on line • Psicologia della sicurezza • Comunicare la sicurezza
ICT • Sicurezza nelle TLC • Firme digitali
CURIOSITÀ • Giorni smarriti
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Q U A L I T À
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S I C U R E Z Z A
Numero 101 Direttore Responsabile Giancarlo Zappa Capo redattore Roberta Gramatica Progetto grafico Fortarezza & Harvey Impaginazione Corberi e Sapori Editori Hanno collaborato Federico Cerrato Simone D’Ambrosio Eliana De Giacomi Pierini Antonella Ferrara Federico Guerrini Velia Ivaldi Walter Molino Nicola Pessina Luca Salici
Direzione, Redazione, Amministrazione IMQ, Istituto Italiano del Marchio di Qualità Via Quintiliano 43 20138 Milano tel. 0250731 fax 0250991500 mkt@imq.it - www.imq.it STAMPATO SU CARTA CERTIFICATA
Tutte le informazioni qui pubblicate possono essere liberamente riprese citando la fonte IMQ Notizie, periodico d'informazione sui problemi della sicurezza e della certificazione. Via Quintiliano 43 - 20138 Milano tel. 0250731 Direttore responsabile: Giancarlo Zappa - Autor. Tribunale Milano n. 17 del 17/1/1981 Stampa: Mediaprint - Milano In conformità a quanto previsto dal D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e fatti salvi i diritti dell'interessato ex ate. 7 del suddetto decreto, l'invio di IMQ Notizie autorizza I'Istituto Italiano del Marchio di Qualità stesso al trattamento dei dati personali ai fini della spedizione di questo notiziario.
EDITORIALE
SICUREZZA TRA SAFETY E SECURITY Un numero dedicato a safety e security? Beh, in questo caso, dobbiamo proprio dire che ci è piaciuto giocare in casa. Dei vasti campi della sicurezza (attiva e passiva) IMQ si occupa infatti fin dalla sua nascita, nel 1951. La guerra era da poco finita e l’Italia doveva iniziare a ricostruire. Ma soprattutto a ricostruire bene. Il proprio territorio ma anche la propria economia. Fu così che i maggiori organi scientifici e tecnici nazionali del settore elettrico decisero di affidare a un ente terzo al di sopra delle parti, IMQ appunto, il compito di valutare sicurezza e qualità di prodotti e produttori. Di anni, da allora, ne sono passati. Ma il nostro obiettivo e impegno, sebbene estesi rispetto agli ambiti di operatività iniziali, rimangono sempre quelli. La tutela della sicurezza, la valorizzazione dei produttori affidabili, la promozione della qualità come forma di investimento per il presente e per il futuro. In questo numero di IMQ Notizie, tuttavia, pur rimanendo su strade a noi ben note, abbiamo voluto proporre spunti di “safety” e “security” su temi a tutti familiari ma anche su aspetti a cui, forse, non sempre si va a pensare. Chi di noi, ad esempio, prenotando un soggiorno in un albergo, tra le domande poste per valutare la qualità del luogo, si è mai preoccupato di chiedere “scusi, ma il vostro albergo è sicuro?”. Oppure, chi di noi pensando al food ha mai immaginato che possa costituire anche un’arma criminosa? E ancora, chi ha mai riflettuto sul perché, in generale, un terremoto ci spaventa di più che una crisi d’asma? Nelle pagine che seguono abbiamo provato a dare delle informazioni e degli spunti di riflessione che ci auguriamo siano di interesse e che magari strappino anche un sorriso, in particolare grazie all’ironico articolo di Vittorio Zucconi dal titolo Non usate il trapano sotto la doccia.
Buona lettura Giancarlo Zappa
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SOMMARIO
SOMMARIO PRIMO PIANO: SICUREZZA TRA SAFETY & SECURITY
CITTÀ
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GESTIONE DELLE FOLLE: QUANDO UN MODELLO MATEMATICO PUÒ SALVARE MOLTE VITE Intervista a Andrea Tosin, Permanent Researcher dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone”, CNR
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FOOD DEFENSE Ovvero come evitare che nel piatto ci arrivino prodotti manomessi o contaminati. Intervista a Mario Sangiorgi, Coordinator Food Defense - CSI Gruppo IMQ
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SICUREZZA E ILLUMINAZIONE PUBBLICA: IN CITTÀ NON BASTA CAMBIARE LA LAMPADA I tre punti di vista dell’accademico, del gestore e del progettista. Intervista al Prof. Angelo di Gregorio dell’Università di Milano-Bicocca, all’Ing. Alessandro Battistini di Hera Luce e all’Ing. Pietro Palladino titolare dello Studio Ferrara Palladino e Associati
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CONOSCO CIÒ CHE MANGIO? L’importanza di mangiare sano assieme all’importanza di conoscere quello che mangiamo è il fondamento della sicurezza alimentare. Intervista al Dott. Gaetano Pascale, Presidente di Slow Food Italia
LA SICUREZZA, TRA SAFETY E SECURITY SMART CITY E COMMUNITY PROTECTION Quando le diverse declinazioni di “sicurezza” possono diventare incompatibili tra loro e perché la città, per essere veramente intelligente (non solo sulla carta), deve superare la logica top-down e puntare sull’alfabetizzazione tecnologica di tutti i cittadini. Intervista a Maurizio Aiello, ricercatore CNR Genova e delegato nazionale Comitato "Secure Societies" Horizon 2020 SORVEGLIARE LA CULTURA Ovvero, come tutelare il Colosseo o il Castello Sforzesco di Milano, senza deturpare il patrimonio artistico e proteggendone i visitatori. Intervista a Fabio Garzia, docente di Ingegneria della Sicurezza all'Università La Sapienza di Roma TUTELARE LE INFRASTRUTTURE. SOPRATTUTTO SE CRITICHE Intervista al Dott. Glauco Bertocchi, componente del Consiglio Direttivo dell’AIIC (Associazione Italiana esperti in Infrastrutture Critiche) e già responsabile sicurezza alla Camera dei Deputati
LIFE 42
AUTOMOTIVE 24
LA GRANDE INCERTEZZA Gli italiani, la crisi, la paura del futuro. Cosa è emerso dall'ultimo rapporto su Sicurezza e Insicurezza sociale in Italia e in Europa. Intervista al Prof. Ilvo Diamanti sociologo, politologo e Presidente dell’Istituto Demos&Pi
LA SICUREZZA NON È UN OPTIONAL Intervista all’Ing. Fausto Mozzarelli, Responsabile della Divisione Meccanica CSI Gruppo IMQ
Furti Politica
FOOD 28
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4 MILIARDI DI CONTRAFFAZIONE ALIMENTARE Intervista al Capitano Marco Uguzzoni comandante del Nucleo Antifrodi Carabinieri di Parma del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari UN PASSAPORTO DIGITALE PER IL CIBO Un’invenzione che potrebbe comportare grandi benefici al food safety e con grandi potenzialità per il food security. Intervista a Francesco Marandino, Presidente della società italiana di servizi e consulenza ICT Penelope
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Soldi Economia
IMPIANTI ANTINTRUSIONE E ANTINCENDIO: PAROLA D’ORDINE INNOVAZIONE Pensando a Bauman, McLuhan e Schumpeter, ecco come il settore degli impianti antintrusione e antincendio può trasformarsi spalancando le porte a una sicurezza intelligente, sempre più integrata e connessa alla vita delle persone. Intervista al Dott. Luciano Ardingo, Past President Commissione Tecnica IMQ ditte installatrici impianti di allarme
IMQ NOTIZIE n. 101
QUALITÀ DELLA VITA 52
AVVERTENZE D’USO: IL FALÒ DELLE OVVIETÀ?
NON USATE IL TRAPANO SOTTO LA DOCCIA
DIETRO LE QUINTE DI UN PRODOTTO SICURO Quando un elettrodomestico può definirsi sicuro? A quali prove viene sottoposto per verificarne il grado di sicurezza? Per i non “addetti ai lavori”, un breve racconto di cosa succede all'interno dei laboratori IMQ.t
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TI CHIAMO,TI MANDO UN SMS, TI TWITTO: MA SEI SICURO? Intervista a Giovanni Mallica,Security Manager e referente Security per la Telecom Italia in Sardegna
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FIRMA BIOMETRICA: POSSIAMO DAVVERO FIDARCI? Intervista a Federico Berti Arnoaldi Veli di InfoKnowledge
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Dilaga negli Stati Uniti la mania di applicare sulle confezioni dei prodotti, avvertimenti idioti per i consumatori: ma nel Paese dei risarcimenti milionari, non è affatto inutile spiegare proprio tutto. Di Vittorio Zucconi
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ICT
SICUREZZA A 5 STELLE: OVVERO SAFETY & SECURITY IN ALBERGO Facciamo di tutto per mettere al sicuro le nostre case ma quando viaggiamo non ci chiediamo mai se l’albergo che ci ospiterà ci offrirà le stesse protezioni. E invece nelle strutture alberghiere safety e security sono aspetti di primaria importanza. Soprattutto quando la sede è in aree geografiche critiche e a rischio di attentato. Intervista a Antonio Antonucci, Managing Director Hotel Security Division presso Gruppo Security & Safety
SOCIETÀ 66
DA GRANDE VOGLIO FARE L’INGEGNERE SOCIALE Le mille strade delle truffe digitali.
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SENTIRSI AL SICURO Perché temiamo più un terremoto di una crisi d’asma? Come valutiamo i rischi intorno a noi? Perché alcune persone sembrano più sicure di sé e altre, invece, hanno difficoltà a gestire lo stress? Scopriamo come funziona e dove risiede la nostra percezione della sicurezza. Intervista al Dott. Enrico Rubaltelli, Ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università degli Studi di Padova e membro del Ce.R.D.
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HOBBY QUASI QUASI MI COMPRO UN DRONE Un drone non è un giocattolo. O, meglio: può anche esserlo. Ma prima ancora può essere un’arma, un mezzo di trasporto, uno strumento di monitoraggio. Un oggetto, insomma, dalle grandi potenzialità, che coinvolge numerosi ambiti legati alla privacy, alle telecomunicazioni, alla sicurezza in volo. Intervista all’Avv. Giovanni Battista Gallus esperto di diritto delle nuove tecnologie
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VIAGGI
COMUNICAZIONE QUANDO NEI POSTI DI LAVORO LA SICUREZZA PASSA DA UN CARTONE ANIMATO Si può comunicare la sicurezza nei posti di lavoro o in casa con un cartone animato? Lo ha fatto lo Studio Bozzetto. E non è di certo una novità. Basti pensare ad alcune creature nate molti anni orsono dalla matita del famoso Studio: il signor Rossi o la famiglia di elettrodomestici animati IMQ, voluti per parlare di sicurezza domestica. Intervista a Andrea Bozzetto e Pietro Pinetti dello Studio Bozzetto & Co.
CHE TEMPO FA Sicurezza e previsioni meteo. Intervista al Prof. Sergio Nordio, meteorologo-previsore presso l’Osservatorio meteorologico regionale dell’ARPA del FVG
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CURIOSITÀ GIORNI SMARRITI Ovvero: siete proprio sicuri che la data che state leggendo sul vostro calendario, corrisponda al vero?
RUBRICHE 88
Panorama News
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Brevi IMQ
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PRIMO PIANO: SAFETY E SECURITY
LA NOSTRA LINGUA, L’ITALIANO, UTILIZZA UN TERMINE UNICO: SICUREZZA. MA IN REALTÀ I SIGNIFICATI E LE DECLINAZIONI DI QUESTO CONCETTO SONO INFINITI ANCHE SE ESSENZIALMENTE RAGGRUPPABILI IN DUE CONTENITORI: QUELLO DELLA SAFETY E QUELLO DELLA SECURITY, COME DICONO GLI ANGLOSASSONI. VEDIAMONE LE DIFFERENZE.
LA SICUREZZA TRA
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ivere e lavorare in sicurezza è un diritto fondamentale sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Approfondire tematiche relative alla sicurezza di ciascuno di noi è un aspetto da non sottovalutare, soprattutto da quando si è iniziato a fare un utilizzo frequente, anche se non sempre azzeccato, di termini come “era del rischio” o “società del rischio”. Il primo a parlarne fu Ulrich Beck, sociologo tedesco, che in un saggio del 1986 sostenne che nell’epoca moderna la produzione di ricchezza sia indissolubilmente legata alla produzione di rischi per chi consuma e per chi produce. La graduale dipendenza dalla tecnologia dei nostri giorni sta accelerando tale processo che deve inevitabilmente essere accompagnato da una crescita della nostra società in termini di conoscenza, prevenzione e gestione del rischio. Nella nostra lingua la parola “sicurezza” è una e indivisibile: si riferisce indistintamente alla sfera personale come a quella lavorativa, alle macchine come agli esseri viventi. Nel linguaggio comune non facciamo distinzione, ad esempio, fra un sistema di sorveglianza in giardino per proteggerci da ladri e malintenzionati e un sistema anti-caduta sui ponteggi per salvaguardare l’integrità degli operai. In italiano, si tratta in entrambi i casi di “sistemi di si-
curezza”. Eppure, a livello internazionale, la questione è ben diversa come ci insegnano gli anglosassoni. In inglese, infatti, si utilizzano due termini tra loro strettamente interconnessi, ma sostanzialmente distinti e differenti: “safety” e “security”. Partiamo dalle definizioni. In parole povere, si potrebbe affermare che safety si riferisce alla prevenzione di infortuni e calamità mentre security afferisce più alla sfera della difesa di persone e cose da comportamenti dolosi di terzi. Per aiutare a comprendere meglio la differenza fra i due termini, i dizionari inglesi in calce alle definizioni spesso indicano i vigili del fuoco come lavoratori nel campo della safety e la polizia in quello della security. Ma, ovviamente, non basta questa prima distinzione per delineare un quadro chiaro. Entrando più nello specifico, per safety intendiamo soprattutto misure e dispositivi per la prevenzione o la riduzione di rischi e infortuni in ambito lavorativo, anche in relazione a calamità naturali. Allargando un po’ l’orizzonte, potremmo dire che rientriamo nel campo del rischio imprenditoriale ovvero quel complesso di rischi che derivano dall’attività imprenditoriale nei confronti di persone, cose, dell’azienda stessa e del mondo esterno. Il termine security, per contro, viene utilizzato in riferimento al pericolo criminalità e terrorismo: più in generale, parliamo di security per quanto concerne la sicurezza dei cittadini e il rischio non imprenditoriale, ovvero il complesso dei rischi che derivano dall’impatto del mondo esterno sull’impresa o sul singolo cittadino. Insomma, due ambiti perfettamente complementari, quantomeno a tavolino. Scendiamo nel concreto. I dettami contenuti nel “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” fanno riferimento principalmente al termine safety: stiamo parlando di tutto ciò che riguarda le produzioni industriali, l’edilizia e la sicurezza nei cantieri, le misure di prevenzione obbligatorie, dal caschetto al5
PRIMO PIANO: SAFETY E SECURITY
FOOD SECURITY
ANTINFORTUNISTICA NEI CANTIERI E VIGILI DEL FUOCO
le calzature anti-infortunistiche, le imbragature per i lavori in quota e sui ponteggi, servizi igienicoassistenziali, segnaletica, rimozione di materiali pericolosi, ecc. Stesso discorso per la sicurezza negli uffici, sia per quanto riguarda il luogo di lavoro (vie di fuga, uscite di sicurezza, ecc.) sia per le condizioni di lavoro (ad esempio lo stress correlato a una condizione fisiologica di malessere che nasce da situazioni lavorative non in linea con un equilibrato svolgimento psico-fisico della propria attività). Nel campo di analisi riguardante il termine safety rientrano anche i cosiddetti rischi alimentari: non bisogna dimenticare, infatti, che questo concetto non riguarda solo il principio di tutela dei dipendenti ma anche quello dei clienti. Nell’ampio contesto della sicurezza alimentare (food safety) vi sono tutti gli obblighi e le certificazioni senza cui un’azienda (indipendentemente del settore produttivo o della distribuzione) non potrebbe immettere un determinato prodotto alimentare sul mercato: dalle più elementari norme igieniche sino all’etichettatura, si tratta di un insieme di regole volte a proteggere i
ATTIVITÀ DELLA POLIZIA
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consumatori dal rischio di malattie a trasmissione alimentare. Attenzione, però: esiste anche la nozione di food security. Quest’ultima riguarda una tipologia specifica di rischio alimentare legato all’accesso al cibo da parte della popolazione. Per comprendere meglio di che cosa stiamo parlando prendiamo “in prestito” la definizione del “The State of Food Insecurity” prodotta dalla FAO nel 2001: “La food security è una situazione che si verifica quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sano, nutriente e nelle quantità sufficienti a coprire i fabbisogni e le preferenze, entro una vita attiva e salubre”. Ecco, dunque, che scendendo nel concreto della vita quotidiana le due accezioni di sicurezza diventano imprescindibilmente dipendenti l’una dall’altra. Un altro esempio significativo di questa correlazione arriva dal mondo dei trasporti. Spesso capita di leggere documenti in italiano in cui si fa generalmente riferimento alla security in tema di trasporti marittimi, su gomma, ferroviari o intermodali. In realtà, quando si parla di trasporti, il concetto di sicurezza è molto ampio e comprende certa-
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TRASPORTI
mente la security ma anche la safety. L’attività di ricerca delle aziende specializzate in sistemi di sicurezza applicati ai trasporti di merci e persone si concentra, infatti, sia sui rischi provenienti dal comportamento di terzi, come attacchi terroristici, sabotaggi informatici, furti, trasporto di merci o persone non autorizzate (quindi security), sia sulla prevenzione e la difesa da calamità naturali, infrastrutture e trattamento delle merci pericolose, sia soprattutto sulla manutenzione e ottimizzazione dei mezzi di trasporto (quindi safety). Più nel dettaglio, per quanto riguarda il trasporto aereo è sempre il termine safety a essere utilizzato nel materiale informativo che troviamo davanti a noi una volta seduti e pronti al decollo. E non potrebbe essere altrimenti: si tratta di norme di sicurezza e auto-protezione che la compagnia di volo trasmette a ogni passeggero che deve sapere come comportarsi in caso di emergenza. Certo, se poi il passeggero seduto accanto a noi è riuscito a eludere i controlli (security) e possiede coltello o spray urticante per dirottare il volo, allora le raccomandazioni di hostess e steward potrebbero servire a poco. Il tema dell’aviazione civile offre un ot-
timo assist per affrontare un caso particolare: che cosa accade quando le norme di safety vanno in conflitto con quelle di security? Un tema dibattuto in più di un’occasione (soprattutto dopo il tragico attentato alle Torri Gemelle) è quello che riguarda le misure di protezione per l’accesso all’area sterile degli aeroporti (ovvero oltre i controlli sicurezza, zona “duty free” per intenderci): norme di security impongono che gli accessi rimangano chiusi per non permettere l’infiltrazione o la fuga di terroristi e malintenzionati; d’altro canto, per questioni di safety è necessario garantire che, in caso di incidente o di emergenza, i passeggeri possano facilmente uscire dall’aeroporto. In questo caso specifico, in considerazione della maggiore ipotetica frequenza di episodi a rischio, prevalgono le norme di safety. Ma non è sempre la frequenza del “rischio” a dirimere le eventuali situazioni di conflitto: in molti casi ci si deve rifare all’esperienza di chi ricopre ruoli decisionali, come in mare dove la scelta spetta z di diritto al comandante.
RISCHI PROVENIENTI DAL COMPORTAMENTO DOLOSO DI TERZI
PREVENZIONE DI INFORTUNI
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ
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IMQ NOTIZIE n. 101
QUANDO LE DIVERSE DECLINAZIONI DI “SICUREZZA” POSSONO DIVENTARE INCOMPATIBILI TRA LORO E PERCHÉ LA CITTÀ, PER ESSERE VERAMENTE INTELLIGENTE (NON SOLO SULLA CARTA), DEVE SUPERARE LA LOGICA TOP-DOWN E PUNTARE SULL’ALFABETIZZAZIONE TECNOLOGICA DI TUTTI I CITTADINI. Intervista a Maurizio Aiello, Ricercatore CNR Genova e delegato nazionale Comitato "Secure Societies" Horizon 2020
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ
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uando parliamo di community protection chiamiamo in causa un concetto ampio e piuttosto complesso che vede protagonista il singolo cittadino non solo in quanto persona ma anche nelle sue dimensioni sociali. Sarebbe troppo riduttivo identificare la comunità con un semplice insieme di individui: certamente la persona è l’elemento fondamentale di questo campo di analisi ma a esso appartiene anche la veste pubblica del nostro vivere. Con community protection non si intende solo la sicurezza del cittadino in senso stretto ma anche quella di istituzioni, ospedali, scuole, ministeri e infrastrutture. Senza dimenticare il sistema produttivo. Risulta perciò piuttosto difficile parlare di sicurezza in termini assoluti e univoci, come ci conferma Maurizio Aiello, delegato nazionale del comitato “Secure Societies” Horizon 2020. «Il termine sicurezza è una sorta di wild card usata in centomila contesti ma non esiste un concetto assoluto di sicurezza. Per un motore di ricerca come Google, ad esempio, sicurezza è la certezza che nessuno modifichi gli output di una ricerca o che oscuri la disponibilità del motore stesso. Per
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una banca, invece, è Il termine sicu rezza Sembra ridursi tutto a fondamentale è una sorta di wild card una sorta di percezioche nessuno ruusata in cento mila contesti ne soggettiva. bi le password ma non esiste Senza dubbio la percedei conti. Sotun concetto assoluto di sicu zione di sicurezza moto lo stesso Sotto lo stesso rezza. difica il livello stesso di termine, quinterm rientrano tanti ine, domanda e offerta di di, rientrano ss declinazioni ch ime sicurezza. Se un cittaditantissime desempre vanno e non no crede di essere in un clinazioni che, d’accordo posto insicuro, chiederà alperaltro, non semtra loro. le istituzioni di provvedere o pre vanno d’accordo provvederà egli stesso. tra loro». Può farci un esempio di questa possibile “incompatibilità”? Torniamo a Google: per avere una risposta pronta e immediata, il motore di ricerca ha la necessità di abbassare al minimo i controlli che comporterebbero un rallentamento dell’elaborazione dei dati. Tuttavia, sulla stessa ricerca, il Ministero degli Interni potrebbe voler ottenere molte più informazioni qualitative (chi ha fatto la ricerca, se si tratta di una ricerca lecita, che risposte ha ottenuto e controllato l’utente) senza particolari interessi ai tempi di risposta. Insomma, molto dipende dal contesto e, ancor di più, dal soggetto che chiamiamo in causa.
Quanto il semplice cittadino può contribuire ad aumentare la percezione di sicurezza? Il cittadino nel futuro deve necessariamente farsi parte attiva perché il modello per cui la sicurezza viene garantita dall’esterno non può più funzionare. L’essere “always connected” è un grande vantaggio nella direzione di una sicurezza partecipata: si stanno sviluppando tecnologie che consentono al cittadino dotato di smartphone di interagire direttamente con le istituzioni, segnalando per esempio se ci sono problemi nella gestione delle folle (manifestazioni, concerti, stadio). Insomma, il cittadino può diven-
IMQ NOTIZIE n. 101
tare un sensore distribuito sul territorio. Eccoci arrivati alla tecnologia. Quanto questa può aiutare a sentirsi più sicuri e quanto, invece, accresce i rischi? A fronte delle infinite, utili possibilità che lo sviluppo tecnologico e l’essere costantemente in rete ci offrono per poter migliorare la nostra vita, c’è un alto rischio di costante esposizione a truffe malvagie. Questo accade sostanzialmente a causa di un’elevata inconsapevolezza che abbiamo del valore dei nostri dati sensibili, sia dal punto di vista economico sia da quello del diritto alla privacy sia in un’ottica di sicurezza più globale. Pensiamo
Il cittadino nel futuro ariamente deve necess a perché ttiv farsi parte a per cui il modello viene la sicurezza terno ll’es garantita da più ò u non p funzionare.
alla percezione pressoché nulla che abbiamo del rischio di attacchi informatici: di fronte all’hackeraggio del sito della Nasa, ad esempio, facilmente reagiremmo con una risata senza però renderci conto del potere che hanno in mano i vari gruppi di cyber attivisti, non soggetti ad alcun regime democratico o comitato etico che sia. C’è una soluzione a tutto ciò? L’unica soluzione è aumentare il nostro livello di conoscenza tecnologica: siamo tutti ottimi utilizzatori ma la maggior parte di noi è uno scarsissimo conoscitore. Seguendo questo ragionamento, non sembreremmo così pronti a vivere in sicurezza in una smart city tecnologicamente avanzata. I temi della smart city, in realtà, più che sul cittadino impattano sui livelli istituzionali, amministrativi. Smart è una città che punta all’ottimizzazione dei consumi energetici, alla riorganizzazione dei trasporti in maniera intelligente e integrata: tutte cose di cui il cittadino è semplice utilizzatore finale, senza troppe cognizioni sulla tec-
nologia che sta alla base. Dobbiamo distinguere il piano in cui il cittadino beneficia di un servizio da quello in cui si fa promotore di un progresso tecnologico che contribuisce allo sviluppo della città intelligente. In questo secondo caso, senza dubbio, c’è bisogno di un’ulteriore alfabetizzazione: bisogna superare la logica top-down, altrimenti la città rischia di restare intelligente solo sulla carta senza alcun interesse e coinvolgimento della popolazione. z
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ E LUOGHI DI CULTURA
OVVERO, COME TUTELARE IL COLOSSEO O IL CASTELLO SFORZESCO DI MILANO, SENZA DETURPARE IL PATRIMONIO ARTISTICO E PROTEGGENDONE I VISITATORI.
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IMQ NOTIZIE n. 101
Intervista a Fabio Garzia, docente di Ingegneria della Sicurezza all'Università La Sapienza di Roma.
C
on il più alto numero di siti considerati Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco e una densità di luoghi, edifici e reperti di pregio con pochi eguali al mondo, l'Italia dispone sicuramente di una ricchezza invidiabile, da sfruttare sia in termini turistici e sia per il godimento dei cittadini residenti. Molti luoghi di culto e diversi manufatti, come anfiteatri, biblioteche, palazzi medioevali, sono a tutt'oggi usati per ospitare eventi culturali e ricreativi. Di recente, il ministro dei beni culturali ha addirittura lanciato una proposta suggestiva: ripristinare l’arena del Colosseo per mostrare al mondo l’aspetto che il monumento più famoso del mondo aveva fino a un secolo fa. Un’idea ispirata dall’archeologo Daniele Manacorda che ha subito diviso storici ed esperti. L'altra faccia della medaglia - Colosseo a parte - è che garantire la sicurezza di queste strutture (sia dal punto di vista dell'incolumità fisica di chi li frequenta e sia da quello della protezione da eventuali intrusioni esterne) presenta difficoltà maggiori rispetto a quanto avviene nel caso di edifici più moderni, come ci spiega Fabio Garzia, docente di Ingegneria della Sicurezza all'Università La Sapienza di Roma. “Il primo problema da affrontare riguarda i sistemi di protezione e sorveglianza, che devono essere progettati per non danneggiare il bene stesso”. Ai profani sembrerà una banalità, ma progettare un sistema di sicurezza che faccia passare cavi per sensori e telecamere senza fare neppure un buchetto sulle parti affrescate può assomigliare a un’impresa. Per non parlare di tutti quegli interventi che possono compromettere l'integrità architettonica o il godimento estetico dei monumenti. La tecnologia, per fortuna, viene in aiuto, consentendo spesso di aggirare il problema. Sia attraverso l'utilizzo di algo-
ritmi particolari, che individuano il punto migliore e meno invasivo per il passaggio dei cavi e sia con soluzioni senza fili. Anche se, risolto un problema, spesso se ne crea un altro. “Le soluzioni wireless sono più comode - spiega Garzia - ma c'è sempre il problema che bisogna sostituire regolarmente le batterie. E, a causa della cronica scarsità di manodopera, questo è spesso difficile da garantire, tanto più che parliamo di ambienti estesi”. Un altro aspetto da considerare è che si tratta, per la maggior parte, di luoghi di solito aperti al pubblico, per cui bisogna trovare il modo di separare la zona deputata alla gestione della sicurezza (dove si troverà l'operatore che controlla le telecamere e gli altri dispositivi anti-intrusione) da quella di normale passaggio, e conciliare le esigenze della security con quelle di poter garantire, ad esempio, vie di uscita adeguate per un'evacuazione in caso di emergenza. “È l'eterno problema dell'integrazione fra safety e security - aggiunge l’esperto -. Una via di uscita, magari d'emergenza, diventa anche una possibile via di accesso per un malintenzionato. In questo caso, si può pensare ad esempio di allarmare le porte e rendere ben visibile l'allarme, in modo da ridurre le probabilità che possa essere fatto scattare per errore. E poi mettere delle telecamere, sempre per capire se un'eventuale apertura è stata incidentale”. Che si tratti del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma, della Galleria Borghese o di altri capolavori dell'arte, una cosa comunque è certa: quando si tratta di intervenire su strutture così particolari e delicate, non è sufficiente progettarne la sicurezza a tavolino, perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. E si corre il rischio di interventi poco efficaci, quando non addirittura controproducenti. “Non basta poter disporre, come spesso accade, di sensori sofisticatissimi - continua il pro-
fessor Garzia - bisogna anche saperli scegliere e posizionare. Altrimenti può capitare magari di mettere un sensore a infrarossi puntato su una finestra esterna, ed è sufficiente il passaggio di una nuvola per attivarlo”. Molto, in ogni caso, dipenderà poi dalla professionalità e preparazione degli operatori che lavoreranno sul posto. Pur con tutta la tecnologia disponibile, l'elemento umano rimane fondamentale. “Un problema importante e diffuso, di cui spesso non si tiene conto è quello della centralina di controllo; si progettano sovente apparecchi troppo complessi, senza tener conto che l'operatore può anche non avere una preparazione adeguata e sufficiente”. Oltre ad assicurarsi che siano presenti le necessarie competenze, nel momento di mettere in piedi una rete di sorveglianza sono anche da considerare i complessi risvolti psicologici dell'interfaccia uomo-macchina. Basta una quisquilia, ad esempio un operatore che si annoia, per inficiare ore e ore di lavoro. “È successo varie volte - racconta Garzia - che un custode che non poteva accedere a Internet dal Pc della postazione di controllo, si sia portato una chiavetta Usb da casa, per collegarsi, compromettendo così la sicurezza di tutto l'insieme”. È perciò importante separare sempre la normale rete dati, che può essere usata per comunicare con l'esterno, leggere la mail o navigare sul Web, da quella predisposta appositamente per la sicurezza, in modo che un attacco informatico alla prima non metta a rischio anche la seconda. La rete di sicurezza va inoltre dotata di una capacità di banda adeguata, per impedire che si sovraccarichi, nel momento in cui si dovesse andare ad ampliarla con l'aggiunta di nuove telecamere. Tutti accorgimenti che potrebbero apparire banali, ma che non lo sono affatto, anche a causa dell'assenza di personale qualificato. z
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ E INFRASTRUTTURE CRITICHE
E R U T T U R T S A R F N I TUTELARE LE
LE DIAMO PER SCONTATE FINCHÉ NON CI VENGONO A MANCARE. POI PERÒ, BASTANO 10 MINUTI DI BLACK-OUT E ALLORA CI RENDIAMO CONTO DELL’IMPORTANZA DI TUTTE QUELLE INFRASTRUTTURE CHE CI CONSENTONO DI UTILIZZARE QUOTIDIANAMENTE ACQUA, GAS, ELETTRICITÀ O CHE CI PERMETTONO DI VIAGGIARE E TRASPORTARE MERCI. SONO LE INFRASTRUTTURE CRITICHE: TUTELARE LA LORO SICUREZZA, E POSSIBILMENTE INVULNERABILITÀ, È UNA PRIORITÀ ASSOLUTA PER OGNI SOCIETÀ.
Intervista al Dott. Glauco Bertocchi, componente del Consiglio Direttivo dell’AIIC (Associazione Italiana esperti in Infrastrutture Critiche) e già Responsabile sicurezza alla Camera dei Deputati
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e con la nostra trascuratezza provochiamo l'incendio di un bosco, possiamo mettere a repentaglio ambiente, vite e beni ma rischiamo anche di provocare l'interruzione di un’importante linea elettrica con imprevedibili conseguenze per le comunicazioni. In fondo, il blackout che ha "spento" l'Italia nel 2003 è stato originato dalla caduta di un albero. Troppo spesso, nella vita di tutti i giorni, diamo per scontata la disponibilità di beni e servizi come l’acqua o l’elettricità della cui imprescindibilità ci accorgiamo solo 14
quando vengono a mancare. Questi servizi dipendono da infrastrutture di cui ignoriamo l'esistenza, la complessità e la vulnerabilità: sono le cosiddette infrastrutture critiche, ovvero quelle risorse (linee elettriche, telecomunicazioni, energia, porti e aeroporti, strade, ferrovie, ecc.) il cui mancato o cattivo funzionamento altera significativamente la nostra vita quotidiana. Viene da sé che la protezione di questi gangli vitali deve essere ai primi posti nelle politiche di sicurezza di una città, di una Regione, di uno Stato. Ne parliamo con
Glauco Bertocchi, componente del Consiglio direttivo dell’AIIC e già responsabile sicurezza alla Camera. Perché è così importante parlare di sicurezza e protezione delle infrastrutture critiche (IC)? Dobbiamo essere tutti consapevoli che dipendiamo dalle infrastrutture critiche. Come cittadini dobbiamo sensibilizzare e indirizzare l'azione politica verso un maggiore impegno preventivo. La riparazione dei danni, non considerando le eventuali perdite umane, è sempre più onerosa della prevenzione. Quali sono le principali minacce a cui sono esposte le IC? Le minacce possono essere originate da fatti naturali (terremoti, inonda-
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giare disastri, specie ambientali, non facilmente prevedibili. Ci sono molti Paesi che hanno una consolidata attenzione alla prevenzione, come il Giappone, ma anche in questo caso non sempre le misure adottate sono sufficienti: lo scorso agosto una frana, staccatasi da una collina a seguito di piogge eccezionali, ha investito un quartiere di Hiroshima e ha provocato più di 40 vittime. Dobbiamo migliorare la nostra consapevolezza che la prevenzione può ridurre considerevolmente i danni iniziando a trasmettere tale concetto alle future generazioni, a partire dalle scuole.
zioni, incendi, ecc.) oppure da cause umane come errori degli operatori o, ancora, da attacchi di natura terroristica e criminale. Non tutte le minacce sono ugualmente probabili e per ogni infrastruttura critica si effettua un'analisi del rischio che pone in evidenza la gravità dei pericoli potenziali e individua le possibili contromisure per ridurre il rischio e i danni. Le motivazioni per un attacco deliberato possono essere le più varie, incluso il terrorismo di matrice interna o esterna al Paese interessato, e spesso hanno solidi interessi economici. Quali sono le zone più a rischio? I Paesi più sviluppati sono quelli che hanno il maggior numero di infrastrutture critiche e ne dipendono in manie-
ra evidente. Ciò, però, non significa automaticamente che siano a maggior rischio perché sono anche quelli con maggiori risorse e, quindi, capacità di difendersi. Una risposta corretta si deve basare sull'analisi del rischio del Paese in un preciso contesto politico e sociale. In Italia è tornato molto caldo il tema delle minacce legate a fenomeni atmosferici: si sta facendo qualcosa per garantire un’assoluta sicurezza delle IC dal rischio di disastri ambientali imprevedibili? Il “rischio zero” non esiste: purtroppo, le attività umane hanno sempre un rischio residuo ma una costante attenzione alla prevenzione può contribuire a migliorare gli strumenti per fronteg-
Dall’ambiente all’uomo. Nell’era della digitalizzazione spinta, come ci si può mettere al sicuro dalle cyber-minacce? In linea di massima, a ogni gruppo di hacker esperti e organizzati corrisponde uno o più gruppi di esperti che lavora per trovare le contromisure e aumentare le difese. È, sia pure in uno scenario virtuale, il vecchio gioco delle guardie e dei ladri: sono cambiati gli strumenti tecnici, difesa e attacco avvengono alla velocità dei computer, ma dietro questi strumenti ci sono uomini. È interessante mettere in evidenza che i servizi di intelligence italiani hanno dedicato particolare attenzione alla minaccia cyber e l'Italia si è dotata di una politica di difesa cibernetica che, ovviamente, considera come rilevante la protezione delle infrastrutture critiche. Per concludere, il terrorismo. Quanto scompiglio ha creato la recente minaccia di un possibile attacco da parte dell’ISIS in l’Italia? Gli attacchi terroristici sono una minaccia presente in molti Paesi occidentali e gli eventi già accaduti nei primi anni duemila sono stati utilizzati per migliorare le difese e la prevenzione anche in contesti diversi da quelli in cui si sono verificati fatti (vedasi, ad esempio, l’introduzione dei body scanner negli aeroporti). Anche in questo ambito la difesa parte dall'analisi del rischio costantemente aggiornata al mutare della situazione geo-politica, come sta avvenendo per l'emergere della minaccia z dell'ISIS. 15
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ E GESTIONE DELLE FOLLE
QUANDO UN MODELLO MATEMATICO
PUÒ SALVARE MOLTE VITE
OVVERO, COME LA GESTIONE DELLE FOLLE, IN PARTICOLARE NEI MOMENTI DI EMERGENZA, PUÒ ESSERE STUDIATA, PREVISTA E ANCHE CONTROLLATA Intervista a Andrea Tosin, Permanent Researcher dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone”, CNR
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li esseri umani sono soggetti a razionalità limitata. Per questo motivo, volenti o nolenti, nelle situazioni di allarme, di pericolo, di panico improvviso rischiano di perdere il controllo mettendo a rischio non solo la propria sicurezza ma anche quella di chi sta vicino. Eppure, anche quando perdiamo il controllo, compiamo una serie di azioni che ci consente di metterci in salvo: comportamenti casuali, “sesto senso” oppure le nostre reazio16
ni possono essere indotte dall’esterno? La risposta è nascosta tra le pieghe della matematica applicata come ci spiega Andrea Tosin, Ricercatore dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone” del CNR. «Non si può venire facilmente a capo del rapporto tra razionalità e panico nelle situazioni di emergenza. Le singole persone che si trovano, ad esempio, in un edificio da evacuare spesso non sono consapevoli di far
parte di un gruppo che in base ai comportamenti individuali esibisce dei comportamenti collettivi, di massa, che possono anche essere catastrofici. Quando uno è immerso in una folla non pensa tanto al gruppo quanto alla propria individualità e alle interazioni con chi gli sta vicino. Ma è proprio sul comportamento di massa che si vedono gli effetti nefasti della perdita di razionalità e dell’insorgere del panico».
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Quindi il controllo della massa in situazioni di pericolo è un problema senza soluzione? Non proprio. Per quanto riguarda lo studio dei comportamenti delle folle non abbiamo una teoria fisica di base perché non siamo di fronte a oggetti meccanici che reagiscono allo stesso modo di fronte agli stessi stimoli. Non possiamo, dunque, pervenire a previsioni delle reazioni dei singoli individui post insorgenza del panico perché ci sarebbe una variabilità eccessiva. Possiamo però provare a prevedere quando le reazioni di una folla iniziano a discostarsi dal comportamento medio normale: si tratta di codificare alcuni segnali premonitori di una situazione
zionali in qualcosa di un po’ più razionale, senza far capire ai soggetti che stai convogliando i loro comportamenti verso un determinato obiettivo.
tratto più lungo di strada per liberare la stanza, è altrettanto vero che questo allungamento consente di arrivare davanti all’uscita attraverso percorsi differenti, che necessitano di tempi diversi per essere completati. In questo modo, se il modello è stato studiato correttamente, la folla defluisce in maniera costante, senza creare ingorghi. I singoli continuano a comportarsi
istintivamente nel tentativo di aggirare l’ostacolo ma la folla è stata inconsapevolmente suddivisa e ottimizza l’evacuazione. Ricorda molto il “Grande Fratello” di orwelliana memoria. Ma in questo caso al posto del Partito che vuole controllare la vita dei cittadini abbiamo gli addetti alla sicurezza che provano a salvarla attraverso modelli matematici.
di pericolo, provando poi a intervenire per evitare l’insorgere di degenerazioni. Ci sta dicendo che il comportamento della massa può essere condizionato? Anche ammesso che si riuscisse a capire che cosa dovrebbe fare ogni singolo individuo affinché il comportamento della massa fosse il più razionale possibile, sarebbe impensabile andare da ogni componente della folla e spingerlo a comportarsi in una determinata maniera. Si può, però, attuare una serie di strategie per convertire le reazioni istintive e irra-
In che modo? Prendiamo il classico contesto dell’evacuazione di una stanza, con un’unica via d’uscita e tante persone che si accalcano nei suoi pressi. Se non c’è cooperazione, è plausibile che si crei un ingorgo perché tutti puntano a uscire per primi. Se davanti all’uscita viene posto un ostacolo (colonna, armadio, scrivania), che naturalmente deve avere forma, dimensione e posizione studiate attraverso un apposito modello matematico, ci si aspetta che il flusso verso l’uscita ne risulti intralciato. Invece, il movimento complessivo della folla potrebbe trarre giovamento da questa “intrusione”. Se, infatti, è vero che il singolo individuo deve compiere un
La matematica come via di salvezza dal panico. Un bel messaggio per studenti grandi e piccini. In realtà, i modelli matematici non vengono utilizzati tanto in maniera predittiva quanto piuttosto esplorativa. Siamo in una fase di interlocuzione tra chi produce i modelli per la gestione delle folle e chi, invece, vorrebbe andare oltre i test da laboratorio e passare all’attuazione concreta. I modelli, però, possono solo permetterci di verificare la veridicità di determinate statistiche ma non ci dicono quali sono le leggi fisiche che stanno dietro alla formazione del panico. Insomma, fin tanto che la gente si comporta esattamente come pensavamo si potesse comportare, il modello funziona ma nel momento in cui il comportamento anche di un solo individuo sfugge a questi canoni sia il modello più semplice che quello più sofisticato rischiano di non essere di grande aiuto nella realtà concreta. Insomma, al momento abbiamo più problemi che soluzioni ma è giusto che sia così perché lo studio del comportamento delle folle è un campo di ricerca tuttora attivo. z 17
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ E ILLUMINAZIONE PUBBLICA
IN CITTÀ NON BASTA CAMBIARE LAMPADA!
L’ILLUMINAZIONE URBANA È ANZITUTTO UNA QUESTIONE DI SICUREZZA. MA NON SOLO. PERCHÉ, PIÙ IN GENERALE, È ANCHE UN ELEMENTO BASILARE PER IL NOSTRO BENESSERE COLLETTIVO. E LA SUA GESTIONE È MOLTO COMPLESSA. PER SAPERNE DI PIÙ VI OFFRIAMO TRE ANALISI DI CHI, CON LA LUCE E LA SICUREZZA DEI CITTADINI, HA A CHE FARE OGNI GIORNO. UN PROFESSORE DI MANAGEMENT, UN COSTRUTTORE E GESTORE DI IMPIANTI DI ILLUMINAZIONE PUBBLICA, UNO STUDIO DI PROGETTAZIONE. 18
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'illuminazione urbana contribuisce al benessere collettivo da più punti di vista. Come ben ricorda il portale http://www.ors.regione.lombardia.it, infatti, l’illuminazione pubblica svolge le seguenti funzioni essenziali alla vita della città: garantisce la visibilità nelle ore notturne; garantisce la sicurezza per il traffico stradale veicolare al fine di evitare incidenti, perdita di informazioni sul tragitto e sulla segnaletica in genere; conferisce un maggiore "senso" di sicurezza fisica e psicolo-
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osa deve illuminare l’illuminazione urbana e come deve variare? Varia anche in base al tipo di strada e al traffico che la percorre? Sicuramente, l’illuminazione urbana deve provvedere a illuminare il suolo pubblico percorribile. Ci sono poi dei punti dello spazio della città che necessitano di particolare attenzione, ossia quelli più rischiosi per la circolazione dei veicoli e dei pedoni. L’illuminazione urbana deve variare in base all’intensità del traffico; questo non significa che nelle ore notturne la luce può anche essere spenta, però può essere ridotta, questo grazie alla tecno-
gica alle persone; aumenta la qualità della vita sociale con l’incentivazione delle attività serali; valorizza le strutture architettoniche e ambientali. Tuttavia, in un’epoca in cui sempre più realtà (soprattutto all’estero) si stanno dotando di soluzioni smart per la gestione intelligente degli impianti di illuminazione urbana, e in un’epoca in cui la cittadina danese di Albertslund ha inaugurato di recente il primo centro di sperimentazione europeo per l'illuminazione intelligente (DOLL), con
logia “punto a punto” che permette di ridurre l’intensità dell’illuminazione in base ai flussi storici del traffico. Spegnere del tutto l’impianto elettrico urbano è socialmente improponibile soprattutto per chi viaggia a piedi. Pensiamo, infatti, alla pericolosità, nelle ore notturne, di punti come i passaggi pedonali, le stazioni, le fermate dei mezzi pubblici. In un’ottica di efficienza e risparmio, esistono zone della città che possono anche non essere illuminate di notte? Non credo esistano quartieri più tranquilli di altri, i problemi possono sorge-
l’obiettivo di individuare le migliori soluzioni di illuminazione da adottare, trasformandosi così in un laboratorio a cielo aperto per l'industria del settore, ci accorgiamo, grazie alle tre interviste seguenti, come il sistema Italia riveli, in questo campo, delle pecche. Nel nostro Paese, infatti, non solo non tutti gli impianti sono a norma, ma sembra mancare persino una consapevolezza condivisa all’unanimità di cosa voglia dire avere un’illuminazione di qualità ottimale.
Intervista al Prof. Angelo di Gregorio, ordinario di Management della Scuola di Economia e Statistica dell’Università di Milano-Bicocca
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ E ILLUMINAZIONE PUBBLICA
bisogna, infatti, ammodernare l’intera linea di illuminazione urbana che spesso è vecchia, cosa che vanifica i benefici ottenuti grazie alla tecnologia. In Italia abbiamo degli esempi virtuosi e sostenibili di illuminazione urbana? Alcune città si stanno dotando di impianti di illuminazione urbana efficienti.
Il problema della luce nel nostro Paese è che, in molti casi, gli impianti non sono a norma. Oppure, in altri casi, l’illuminazione è sproporzionata rispetto al bisogno, cosa che comporta dei rincari
getici che forniscano indicazioni in tal proposito. Alcune linee guida provengono, ad esempio, dal progetto Lumiere di ENEA, che nasce con l’obiettivo di promuovere l’efficienza energetica nel settore dell’illuminazione pubblica e favorire la riduzione dei consumi di energia elettrica degli impianti d’illuminazione dei Comuni. Quali sono i criteri che devono osservare i progettisti e i gestori degli impianti di illuminazione urbana, partendo dagli apparecchi, per poter considerare gli impianti sicuri ed efficienti? Il criterio è uno solo e anche se può sembrare banale in realtà non lo è: bisogna illuminare ciò che serve. Questo significa capire che ci sono situazioni che richiedono un’illuminazione ad hoc (ad
re ovunque. In una società molto complessa come la nostra, dove c’è un forte disagio sociale, è molto riduttivo pensare che esistano zone più pericolose di altre. Quanto i cittadini percepiscono l’illuminazione urbana come un fattore determinante per la loro sicurezza? Viaggiare per strada da soli e al buio non fa piacere a nessuno. L’illuminazione pubblica è un fattore che sicuramente accresce la percezione della sicurezza; questo però non può bastare. Se uno spazio è bene illuminato ma la gente scappa per evitare il proprio coinvolgimento in incidenti e aggressioni non c’è luce che tenga. Quindi, è giusto parlare di percezione della sicurezza tramite l’illuminazione urbana; però bisognerebbe anche fare in modo che la gente sviluppi il proprio senso civico e che il territorio venga maggiormente controllato. L’illuminazione è solo un prerequisito. Quali sono i benefici di un sistema di illuminazione a LED per la città? Oggi i LED hanno raggiunto la maturità tecnologica che gli consente di modulare lo spettro colore e di essere sostenibili. Tuttavia, i LED da soli non bastano; 20
GLI SPRECHI SONO NUMEROSI E DERIVANO TUTTI DALL’UTILIZZO DEI VECCHI IMPIANTI DI CUI SONO ANCORA DOTATE LE CITTÀ nella bolletta elettrica sostenuta dai Comuni. Gli sprechi sono numerosi e derivano tutti dall’utilizzo dei vecchi impianti di cui sono ancora dotate le città. Bisognerebbe procedere con l’ammodernamento della rete e con audit ener-
esempio i monumenti o i luoghi di richiamo per i turisti), spazi che invece necessitano di un’illuminazione efficiente (e che sia efficiente in tutti i suoi elementi, dalla lampada utilizzata al quadro elettrico). In pratica, non basta cambiare le lampade e scegliere quelle con le tecnologie più all’avanguardia: bisogna ammodernare l’intera linea. Solo così i Comuni riusciranno a risparmiare in bolletta e a perseguire altri obiettivi importanti come la sostenibilità, la sicurezza dei cittadini e l’attrazione per il turismo.
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stallato sul territorio diversi punti luce intelligenti che ci informano quando lampade e lampioni non funzionano; molto spesso, però, le telefonate dei privati, allarmati perché il lampione di fronte casa è spento, arrivano prima delle segnalazioni degli apparecchi!
Intervista all’Ing. Alessandro Battistini, Responsabile Tecnico di Hera Luce Cosa deve illuminare l’illuminazione urbana e come deve variare? Varia anche in base al tipo di strada e al traffico che la percorre? L’illuminazione pubblica è un’opera di urbanizzazione primaria, indispensabile per garantire le necessarie condizioni di sicurezza alla cittadinanza; non a caso segue norme generali tarate per ridurre i rischi. Ci sono poi anche delle disposizioni specifiche per il tipo di strada in base all’intensità del traffico o alla pericolosità della zona. A differenze delle vecchie norme, quelle che seguiamo oggi consentono, infatti, di ridurre la quantità di luce nelle fasce orarie in cui il traffico è meno intenso in zone poco frequentate come le aree industriali o le strade ad accesso esclusivo. In un’ottica di efficienza e risparmio, esistono zone della città che possono anche non essere illuminate di notte? In un’ottica di risparmio, in zone come le aree industriali o le strade ad accesso privato o esclusivo, la luce può anche essere spenta, ovviamente se questo non mina la sicurezza dei cittadini. Lo stesso vale anche per i monumenti (che senso ha che restino accesi alle tre di notte?) e per i parchi. In quest’ultimo caso se invece di ridurre la quantità di illuminazione io la spengo del tutto è meglio, così la gente sa che di notte il parco è al buio e non ci va. Quanto i cittadini percepiscono l’illuminazione urbana come un fattore determinante per la loro sicurezza? La luce trasmette tranquillità sia a casa e sia per strada, sia a piedi e sia in automobile. Il cittadino si muove meglio se c’è luce, è psicologicamente provato. E l’illuminazione è fondamentale per la sicurezza di tutti. Per questo motivo abbiamo in-
Quali sono i benefici di un sistema di illuminazione a LED per la città? Dal 2013, i LED sono la tecnologia più competitiva e affidabile sul mercato dell’illuminazione. In Italia, però, abbiamo iniziato a usarli troppo presto, già nel 2009, quando non era ancora stato raggiunto l’equilibrio energetico e quando i LED non erano ancora stati normati. Il risultato è stato la forte spesa sostenuta dai nostri Comuni. Oggi, facendo un’analisi dei costi e dei benefici sul lungo periodo, posso affermare che la tecnologia a LED sia la migliore.
curezza dei cittadini. Terzo punto, il risparmio energetico e l’efficientamento, cose che si ottengono a seguito di un’approfondita analisi dei costi e dei benefici nel lungo periodo e a seguito del recepimento dei criteri ambientali minimi. Una volta eseguite queste tre cose basilari, il Comune può procedere con la city beautification e con l’integrazione di servizi smart: non ha senso, infatti, usare tecnologie all’avanguardia o creare impianti belli da vedere se però le infrastrutture sono vecchie o non rispettano le norme attuali.
In Italia abbiamo degli esempi virtuosi e sostenibili di illuminazione urbana? Posso dire che nel nostro Paese ci sono progettisti, amministratori, ingegneri che seguono una corretta gestione del problema “illuminazione pubblica” e tengono bene in mente i criteri ambientali minimi emanati nel 2012 dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Si tratta di criteri di qualità sostenibili nella gestione degli impianti di illuminazione che derivano dalla codificazione del Piano Nazionale degli acquisti verdi della Comunità europea e che nascono in seguito all’analisi sul mercato italiano fatta in occasione del World Economic Forum con dati del 2010-2011. Quali sono i criteri che devono osservare i progettisti e i gestori degli impianti di illuminazione urbana, partendo dagli apparecchi, per poter considerare gli impianti sicuri ed efficienti? Ci sono dei passi che è necessario seguire nella progettazione di un impianto di illuminazione urbana. Innanzitutto bisogna conoscere molto bene l’impianto, le sue componenti e le sue criticità. Secondo, devo valutarne la messa a norma meccanica, elettrica e illuminotecnica, per la si21
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: CITTÀ E ILLUMINAZIONE PUBBLICA
Intervista all’Ing. Pietro Palladino, titolare dello Studio Ferrara Palladino e Associati Cosa deve illuminare l’illuminazione urbana e come deve variare? Varia anche in base al tipo di strada e al traffico che la percorre? Parto dal presupposto che il cosa bisogna illuminare è stato oggetto di numerose rivisitazioni. Sappiamo che gli utenti della strada rientrano in due categorie: i pedoni e gli automobilisti. Se ci chiediamo “cosa bisogna illuminare”, a mio avviso, la risposta è molto semplice: bisogna illuminare la città. Cosa che, allo stato attuale, non succede poiché l’illuminazione urbana (che dovrebbe essere una cosa diversa dall’illuminazione stradale) va incontro solo alle esigenze di veicoli e automobilisti. L’aspetto notturno delle nostre città, infatti,
non è molto piacevole per chi le vive a piedi. Bisogna smettere di pensare che la luce in strada sia utile solo a chi guida e bisogna invece tener presente che la luce caratterizza i luoghi, li rende diversi, riconoscibili. Usando una metafora, posso dire che a casa mia non illumino il bagno come illumino la cucina; allo stesso modo, non posso pensare di usare gli stessi dispositivi sia in 22
una tangenziale e sia in una via del centro. Purtroppo questo è quello che succede oggi: nell’illuminazione urbana manca l’aspetto culturale che la caratterizzava negli anni del secondo dopoguerra. Oggi prevale solo l’esigenza economica del risparmio, e questo non basta per avere un’illuminazione di qualità in linea con le esigenze delle città moderne.
In un’ottica di efficienza e risparmio, esistono zone della città che possono anche non essere illuminate di notte? Grazie agli impianti intelligenti presenti oggi sul mercato è possibile ridurre la quantità di illuminazione in alcune zone e in alcune fasce orarie. Ma insisto sul fatto che non possiamo continuare a seguire solo la logica del risparmio a di-
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mobilisti non possono prevalere su quelle dell’intero contenitore. Per come stanno le cose oggi, tornando a paragonare le nostra città a una casa sarebbero case fredde e poco accoglienti. Quanto i cittadini percepiscono l’illuminazione urbana come un fattore determinante per la loro sicurezza? Tantissimo. Magari ignorano le tecnologie che stanno dietro un impianto ma se c’è la luce se ne accorgono. A volte si accorgono anche se la qualità dell’illuminazione cambia da un giorno all’altro o da un posto a un altro.
scapito del valore della luce. I cittadini chiedono la luce, la vogliono gradevole, chiedono che dia loro sicurezza e chiedono anche che la città sia resa più vivibile grazie alla luce. Se vogliamo prolungare la vita notturna delle nostre città non possiamo prescindere da questo, non possiamo ignorare i benefici di una buona illuminazione. La città è un contenitore e le esigenze degli auto-
Quali sono i benefici di un sistema di illuminazione a LED per la città? L’avvento dei LED è come quello del computer: una vera e propria manna. Ma se il computer viene usato male, abbiamo bambini instupiditi che ci stanno davanti tutto il giorno o studenti che non sanno più ragionare con la propria testa. Lo stesso vale per il LED: a mio avviso si tratta di una tecnologia davvero innovativa ed eccezionale ma non è la condizione necessaria e sufficiente per avere un impianto di illuminazione efficiente e di buona qualità. Questo dipende dal lavoro di chi amministra che, come dicevo, segue solo la logica dei costi e trascura la qualità e la cultura dell’illuminazione. In Italia abbiamo degli esempi virtuosi e sostenibili di illumina-
zione urbana? Dal punto di vista del risparmio energetico sì, si vedano ad esempio gli interventi in atto a Milano negli ultimi tempi. Qualche esperimento positivo si ha anche quando gare e concorsi vengono vinti da architetti e progettisti, cosa che però non accade spesso. Faccio ancora un esempio: se voglio confezionare un vestito è inutile che scelga il tessuto migliore se poi manco del tutto in stile. Per la luce vale lo stesso: abbiamo perso lo stile italiano. Quali sono i criteri che devono osservare i progettisti e i gestori degli impianti di illuminazione urbana, partendo dagli apparecchi, per poter considerare gli impianti sicuri ed efficienti? Il miglior criterio è quello di immaginare la città come fosse il salotto di casa propria. Oggi si dimentica che l’illuminazione è uno dei tanti plus urbani, così come lo sono parchi e panchine; ma non viene trattata adeguatamente. L’Italia della luce bella è quella del passato, fatta da architetti e progettisti che lavoravano a stretto contatto con le amministrazioni. Oggi la fase del progetto manca quasi sempre e bisognerebbe davvero ripristinare il ruolo del progettista, ente terzo che lavora per il benessere della cittadinanza. Oggi, sulla carta potremmo avere impianti davvero di qualità grazie agli strumenti che abbiamo ma, di fatto, la situazione sta peggiorando sempre più. z 23
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: AUTOMOTIVE
LA SICUREZZA
PIÙ AFFASCINANTI DEL MERCATO. E, GRAZIE AL RIGORE DEI LABORATORI DI PROVA E AL FERMENTO NORMATIVO AL QUALE DEVONO SOTTOSTARE I PRODUTTORI (ALMENO IN EUROPA), È ANCHE UNO DEI SETTORI PIÙ SICURI
E Intervista all’Ing. Fausto Mozzarelli, Responsabile della Divisione Meccanica CSI Gruppo IMQ
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pensare che invece, fino a poche decine di anni fa, lo era quasi (un optional)! Assieme al Responsabile della Divisione Meccanica di CSI, Società del Gruppo IMQ che si occupa anche di certificazione e sviluppo nel settore dell’automotive e che con l’acquisizione, lo scorso giugno, di Prototipo Technologies S.r.l. è diventato il più grande polo italiano per la sicurezza di veicoli e componenti di eccellenza, scopriamo come è cambiata la percezione della sicurezza nei costruttori di veicoli e quale percorso normativo ha portato, oggi, a fare
dei prodotti europei una garanzia per chi sta al volante. Com’è cambiata negli anni l’attenzione dei produttori di autoveicoli e componenti nei riguardi della sicurezza? Negli ultimi quarant’anni del secolo scorso, la sicurezza non rientrava ancora tra i requisiti primari nella costruzione dei veicoli. L’obiettivo dei produttori, infatti, erano target prestazionali come la rigidezza strutturale o le prestazioni dinamiche del propulsore o, ancora, l’handling della vettura. La sicurezza (at-
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tiva e passiva) era un requisito di minore importanza. Lo spartiacque è arrivato con le norme per la sicurezza passiva ECE R94 ed ECE R95, dei protocolli che definiscono gli standard europei per l’urto frontale e quello laterale. Nel 1996 queste norme sono diventate cogenti. Ed è da questo momento che vengono sviluppati dispositivi di sicurezza come i sistemi di ritenuta e il telaio progettato con una notevole capacità di assorbimento energetico dell’urto. Già nel 1997 erano stati pubblicati i primi protocolli EuroNCAP, un set
normativo volontario fondamentale per la sicurezza del veicolo. I protocolli EuroNCAP stabiliscono requisiti di sicurezza superiori a quelli omologativi e, per questo motivo, hanno riscontrato una certa resistenza da parte del mercato. Questo fino a quando, nel 2001, viene prodotto il primo veicolo a cinque stelle, ossia il top score secondo i requisiti richiesti dagli EuroNCAP. E come è cambiato il ruolo dei laboratori di prova? L’importanza dei laboratori di prova è cresciuta in proporzione alla ri-
levanza delle norme di sicurezza. Quindi, man mano che sono stati fissati i target di sicurezza per i veicoli e per i componenti, è aumentato il peso delle prove e dunque dei laboratori. In ogni caso, parlare di laboratori di prova è generico: ci sono, infatti, i laboratori che hanno, oltre alla funzione di certificazione, anche quella di sviluppo del prodotto. Per le certificazioni, il laboratorio come ente terzo acquisisce sempre più importanza: CSI, ad esempio, da laboratorio di puro sviluppo è diventato un laboratorio riconosciuto da
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: AUTOMOTIVE
più ministeri europei per prove di omologazione e, dal 2011, è laboratorio di prova ufficiale di EuroNCAP. Tra le varie prove cui sottoponete autoveicoli e componenti, ci sono degli “scogli” che di frequente non vengono superati? Non ci sono scogli validi per tutti, ogni veicolo può avere diversi tipi di difficoltà in base alle sue caratteristiche. Ad esempio, un Suv, rispetto a un’auto sportiva, può incontrare più “criticità” per quanto riguarda la sicurezza dei pedoni. Ma, solitamente, i problemi vengono calcolati già a partire dalla campagna di sviluppo del veicolo. Un’utilitaria, destinata a un pubblico di massa, che viene commercializzata sia in Europa e sia negli Usa, durante il suo
a zza attiv La sicure che sviluppa che iplina è la disc ioni del veicolo z o le presta gono o mitigan e. n n e io v pre na collis e, entra u i d i t t e c gli eff passiva, inve ta e zza venu La sicure a collisione av ridurre in gioco la capacità di riguarda chi di lesione. i ris
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sviluppo deve superare centinaia e centinaia di prove (sono cento solo quelle d’urto). Prima che un prodotto sia messo sul mercato vengono realizzati numerosi prototipi che tengono conto sia delle norme di sicurezza vigenti nel Paese e sia delle prestazioni richieste. Che differenza c’è tra sicurezza passiva e sicurezza attiva dell’automobile? La sicurezza attiva è la disciplina che sviluppa le prestazioni del veicolo che prevengono o mitigano gli effetti di una collisione. La sicurezza passiva, invece, entra in gioco a collisione avvenuta e riguarda la capacità di ridurre i rischi di lesione per gli occupanti della vettura e per i vulnerable road users (ad esempio i pedoni). Il campo della sicurezza attiva è sempre in fermento: sono in fase di validazione, infatti, i nuovi protocolli EuroNCAP per la sicurezza dei pedoni e, in futuro, si proverà a fare altrettanto per la sicurezza dei ciclisti.
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LE PROVE DI CRASH
Le prove di crash effettuate sui veicoli sportivi nei laboratori di CSI sono di tre tipi: frontali, laterali e posteriori. Per quelle frontali, un modello di una cellula di sopravvivenza viene collocata sulla “slitta” e spinta contro una barriera fissa a una velocità di 54 km/h. Nelle prove di crash laterali, invece, la velocità e pari a 36 km/h e per quelle di urto posteriore a 39,6 km/h. Tutte le prove sono mirate a misurare le capacità-
I produttori di auto mirano a una normativa comune per Usa ed Europa nel campo della sicurezza dei veicoli. Secondo lei è auspicabile? Come giudica le attuali normative europee di riferimento per la sicurezza dell’automotive? L’armonizzazione tra le normative dei vari mercati è auspicabile sia perché potrebbe semplificare di molto le cose e sia perché molti requisiti di sicurezza dovrebbero essere validi ovunque. Ci sono però due grosse differenze tra il sistema normativo europeo e quello statunitense. La prima riguarda il fatto che gli Usa sviluppano e chiedono prestazioni anche in condizioni di uso improprio del veicolo (ad esempio nel caso in cui non venga utilizzata la cintura di sicurezza). Scenari come questi non dovrebbero essere considerati in fase di sviluppo ma andrebbero proprio evitati e scoraggiati. Non ha senso, infatti, progettare un seggiolino per bambini immaginando che esista la possibilità che sia installato male; il risultato è un prodotto che richiede
maggiori prestazioni e quindi più difficile da sviluppare, più pesante e più costoso. La seconda differenza è che le norme Usa, nei test di sicurezza non contemplano solo la presenza dell’uomo standard medio, come invece avviene in Europa. Al contrario ipotizzano anche la presenza in vettura di donne e bambini (dunque con strutture fisiche diverse). Questa è probabilmente la più grossa lacuna del nostro sistema normativo; ma è solo questione di tempo: i protocolli di prova EuroNCAP, infatti, hanno già inserito i bambini nella gamma dei possibili occupanti del veicolo. Oggi i produttori europei devono tener presenti sia le norme cogenti e sia i protocolli volontari che prevedono target di sicurezza più alti. Si tratta di un approccio molto ragionevole in virtù del quale si può tranquillamente affermare che in Europa produciamo auto sicure. z
di assorbimento a seguito di impatto e alla fine delle prove di crash la cellula deve risultare completamente intatta. Superano la prova solo le cellule che non mostrano fessure anche minime. Nel caso di autovetture, al fine di ottenere l’omologazione per il mercato europeo, la prova viene eseguita con una vettura “in ordine di marcia” a una velocità di impatto che può arrivare fino a 64 km/h. In genere l'impatto frontale avviene contro barriera fissa o deformabile con la macchina spinta a una velocità di 56 km/h. Nella prova di impatto laterale viene invece spinto contro il veicolo fermo un carrello da 10 quintali a 50 km/h. Per rilevare gli effetti dell'impatto sull'uomo, negli abitacoli vengono collocati dei manichini antropomorfi, opportunamente disposti e fermati con le cinture, e dotati di sensori in grado di misurare le decelerazioni, le forze e le deformazioni subite. I valori registrati dagli strumenti, le deformazioni subite dalla carrozzeria e dai manichini e l'analisi dei fotogrammi delle riprese ad alta velocità durante l'urto consentono di identificare gli elementi specifici che possono intervenire sui dati biomeccanici del manichino. Tutti questi dati sono poi quelli che consentono ai progettisti di trovare le migliori soluzioni possibili per minimizzare le lesioni agli occupanti. 27
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: FOOD
QUATTRO
MILIARDI DI CONTRAFFAZIONE ALIMENTARE Intervista al Capitano Marco Uguzzoni comandante del Nucleo Antifrodi Carabinieri di Parma del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari
U
n volume d’affari di oltre 4 miliardi di euro solo in Italia, e oltre 60 miliardi nel resto del mondo. Sono i numeri della contraffazione alimentare che mettono a rischio oltre 200 registrazioni di prodotti DOP, IGP e STG del nostro Paese. Un gigantesco business criminale che il Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari contrasta attraverso i Nuclei Antifrodi Carabinieri (NAC) di Roma, Salerno e Parma con competenza territoriale rispettivamente per il Nord, il Centro e il Sud Italia. La sfida più complicata si gioca però in Europa, dove il
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Comando collabora con l’INTERPOL e l’EUROPOL, la rete di cooperazione internazionale di polizia con l’OLAF (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode) di Bruxelles, ed è rappresentato da un Ufficiale Superiore quale esperto nazionale. In ballo ci sono i finanziamenti europei al mercato agroalimentare, ma soprattutto la salute e i risparmi dei consumatori. Per saperne di più abbiamo intervistato il Capitano Marco Uguzzoni, comandante del Nucleo Antifrodi Carabinieri di Parma del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari.
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Quando è corretto parlare di contraffazione agroalimentare? Quando sul mercato vi sono prodotti con un’etichetta che in maniera illecita riporta i segni distintivi o altre indicazioni che imitano, evocano e richiamano in tutto o in parte un marchio tutelato e registrato. È un fenomeno che può riguardare anche prodotti irregolari in
particolare denominazioni di origine e indicazione geografica, come DOP, IGP, STG. L’agro-pirateria poi raggruppa tutte le condotte illecite, sanzionate in maniera più o meno severa in relazione alla loro gravità, e che costituiscono in senso generale un inganno al consumatore.
Quanto è avvertito, dalla popolazione, il problema della contraffazione dei cibi e della sicurezza alimentare? I consumatori ripongono una grande attenzione ai loro consumi e acquisti. Per questo è fondamentale l’azione preventiva e di controllo che può essere svolta dagli stessi operatori del settore e dai consumatori che hanno diversi strumenti per mettersi al riparo da rischi, a partire dalla “carta d’identità” del prodotto, l’etichetta, che va letta con molta attenzione sia per quanto riguarda gli ingredienti sia per il processo di trasformazione. Ma se anche l’etichetta è contraffatta? Con uno sforzo di curiosità si possono chiedere chiarimenti al venditore sull’origine e sulla qualità dei prodotti. Bisogna sempre affidarsi a etichette chiare in cui i caratteri e le informazioni cercate siano leggibili e ben visibili. Ancora oggi, pure in tempi di moderne tecnologie, gli stessi protocolli dei laboratori di analisi si affidano sempre all’esame visivo e organolettico, su cui ciascuno di noi può affinare una maggiore conoscenza e anche un po’ di buon senso. Può sembrare elementare, ma è sempre valido il consiglio di guardarsi attorno quando si entra in un negozio di alimentari per verificare se vi è cura del personale e dei locali, se i prodotti sono regolarmente etichettati e non vi sono dubbi sulla loro origine, trasformazione e conservazione. Gli operatori - produttori e commercianti - certamente hanno tutto l’interesse a investire nel loro futuro procedendo con la massima trasparenza a documentare la genuinità dei loro prodotti. 29
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In ogni caso, va sempre considerato che per dubbi, o quando ci sono irregolarità, il cittadino non ha che da rivolgersi alla più vicina Stazione Carabinieri, o al nostro Numero Verde (800 020 320). Quali sono i prodotti italiani maggiormente contraffatti? Risulta difficile stilare un elenco dei prodotti più a rischio, le attività investigative svolte e i sequestri effettuati rappresentano il senso dell’impegno profuso nei controlli e dell’attenzione delle Istituzioni alle necessità di sicurezza del cittadino e al tempo stesso costituiscono un segnale di repressione molto forte che può tranquillizzare i consumatori senza categorizzare gli allarmismi. Quindi qual è il ruolo del Nucleo Antifrode dei Carabinieri e che controlli vengono effettuati per combattere la contraffazione alimentare? Il nostro primo obiettivo è quello di operare in un quadro di collaborazione inter-istituzionale. In primo luogo, le nostre verifiche non sono mai controlli occasionali e casuali sul singolo esercizio commerciale o sul singolo prodotto, ma sono “controlli di filiera” e “verifiche di sistema” sulle linee produttive e sulla distribuzione e sono sempre preceduti da una mirata attività di analisi e di pianificazione operativa. L’azione dei NAC è orientata a individuare selettivamente progetti investigativi sui fenomeni fraudolenti di maggiore rilievo, con implicazioni riguardanti gli interessi illeciti più strutturati, specie collegati alle nuove forme della criminalità economica e alla criminalità organizzata e transnazionale. Che tipo di progetti investigativi? In particolare quelli sulle irregolarità che possono compromettere seriamente la corretta destinazione di finanziamenti UE, le regole di mercato, la sicurezza alimentare e la qualità di un’intera filiera, i flussi dell’import e dell’export cui è dedicata priorità d’intervento. Il ruolo è quindi ben delineato nel quadro degli organi di controllo: i Nuclei Antifrodi Carabinieri costitui30
scono un “Servizio di Polizia Giudiziaria”, a competenza nazionale e internazionale, di cui il Mipaaf si avvale direttamente per fare fronte ai fenomeni illeciti più gravi sulle due principali “macro–aree” di illegalità del comparto: le frodi all’UE e le frodi alimentari. Il cibo “italiano” che troviamo all’estero è davvero italiano o si tratta solo di “Italian sounding”? Tra le attività che il Comando svolge vi è certamente il rafforzamento della cooperazione internazionale di polizia (INTERPOL e EUROPOL). Un’azione svolta sistematicamente con mirate segnalazioni ai nostri paritetici organi di polizia estera. Questo contribuisce a incrementare la sensibilità delle Polizie degli altri Paesi verso i prodotti “Made in Italy” e sulla reale offensività della contraffazione dei prodotti alimentari, che ancora oggi in molti Paesi, anche europei, non è percepita con la stessa sensibilità di quella italiana. Può accadere che in ambito nazionale vengano tutelati incisivamente i prodotti stranieri perseguendo, ad esempio, il falso champagne, il falso whisky, i falsi formaggi di altri Paesi, configurando queste contraffazioni come reati molto gravi, mentre negli altri Paesi non verrebbe riscontrata la stessa sensibilità per la tutela dei prodotti italiani. Su questo fronte, in effetti, è necessaria un’armonizzazione della normativa anche a livello internazionale, in cui sarà importante distinguere l’Italian sounding - che probabilmente va “regolamentato” con i rapporti di politica commerciale - e i fenomeni più dannosi di vera e propria contraffazione, che non vanno tollerati. Di quali numeri stiamo parlando, può farci un esempio? Nel 2013 i NAC hanno segnalato alla rete INTERPOL 70 tipologie di prodotti contraffatti con il falso Made in Italy. E a quanto ammonta il mercato dell’agropirateria? Recenti analisi di settore segnalano che il fenomeno riguarderebbe un volume d’affari per l’Italia pari a più di 4 miliardi di euro, mentre nel resto del mondo il
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falso “Made in Italy”, anche nella sua forma insidiosa dell’italian sounding, è stato stimato in oltre 60 miliardi di euro, rappresentando più della metà del fatturato alimentare nazionale. Per questo la lotta all’agropirateria è un obiettivo strategico per il Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari anche in relazione alla normativa europea e nazionale sui marchi di qualità che è chiamato a tutelare. Sul piano del commercio internazionale, tale normativa può rappresentare il sistema complessivamente più avanzato e articolato di tutela della qualità dei prodotti alimentari. E l’Italia con il primato delle oltre 200 registrazioni di prodotti DOP, IGP e STG e degli oltre 300 vini di qualità ha un grande interesse strategico nella Tutela del Made in Italy. Che fine fanno i prodotti sequestrati? Per i prodotti contraffatti la legge italiana ne prevede la confisca obbligatoria e pertanto la perdita del possesso da parte dei produttori. In genere tali prodotti vengono distrutti ma talvolta, qualora riuniscano ancora i requisiti di qualità e salubrità previsti, vengono destinati in beneficenza ad enti caritevoli. Molti prodotti alimentari sequestrati per infrazioni ritenute più “lievi”, previo pagamento di consistenti sanzioni amministrative pecuniarie e qualora il prodotto conservi ancora le caratteristiche originali, possono essere ri-etichettati, sotto la vigilanza degli organismi di controllo con obbligo di rimozione delle indicazioni. Tutti gli altri, le cui irregolarità non sono sanabili e che non riuniscono più i requisiti di sicurezza per il consumatori, sono destinati alla distruzione. z
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UN PASSAPORTO DIGITALE
PER IL CIBO CON GRANDI BENEFICI PER IL FOOD SAFETY E CON GRANDI POTENZIALITÀ IN TERMINI DI FOOD SECURITY
Intervista a Francesco Marandino, presidente della società italiana di servizi e consulenza ICT Penelope 32
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Come siete arrivati all’idea di un passaporto digitale dei cibi e come funziona? La società Penelope ha realizzato circa sei anni fa una piattaforma innovativa per la tracciabilità di tutta la filiera con due obiettivi principali: anticontraffazione e sicurezza alimentare. Le tecnologie che utilizziamo si basano su software che permettono di “catturare” i momenti salienti della trasformazione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari. Per noi, infatti, la tracciabilità è un processo che parte all’origine e che riesce a raccogliere informazioni lungo tutta la filiera: materie prime, produzione, trasformazione, conservazione, distribuzione. In queste fasi si verificano dei grossi momenti di discontinuità, all’interno dei quali si insidiano problemi relativi alla sicurezza alimentare. Rispetto all’attuale legge 178/2002 in questa maniera estendiamo il controllo, di solito demandato a semplici bolle di accompagnamento, allo stato del prodotto in tutte le fasi di trasformazione e distribuzione. Abbiamo sempre lavorato per far sì che chiunque possa accedere a open data verificati per ottenere sia vera trasparenza, sia prevenzione.
“S
afety for food” è una piattaforma che riunisce le migliori pratiche in tema di controllo della qualità degli alimenti, le nuove tecnologie di partecipazione e collaborazione, creando una banca dati di informazioni accessibili, trasparenti a tutti gli attori della filiera agroalimentare. Il progetto, patrocinato dall’Agenzia per l’Italia Digitale, offre nuovi strumenti per tracciare e gestire in modo più efficace tutti i processi che devono garantire la qualità dei prodotti che arrivano ogni giorno sulle nostre tavole. Ne parliamo con Francesco Marandino, presidente di Penelope, la società italiana di servizi e consulenza ICT che ha creato il progetto “S4F” (Safety4Food) in collaborazione con Cisco Italia, i partner tecnologici SAS, Samsung e NTT Data, l’advisor tecnologico Gartner e il CNR come partner scientifico.
Quali benefici trarranno consumatori e produttori dal progetto “Safety4Food”? Il primo beneficio è ricevere informazioni sulla qualità del prodotto e della filiera che lo ha generato. Dalla verifica dei parametri e conformità prima della trasformazione o produzione fino ai benefici in termini di marketing. La tracciabilità, per i produttori, apporta notevoli vantaggi al posizionamento del bene, al brand aziendale e alla percezione dei consumatori. Si tratta di un vantaggio competitivo che assicura la fiducia degli acquirenti. I consumatori, invece, sono parte attiva del processo. Abbiamo previsto una app studiata per interagire con gli alimenti, per la verifica in tempo reale di tutti i processi e ricostruire la storia di produzione. Le informazioni possono così soddisfare il bisogno di sicurezza e qualità dei consumatori, rendendo del
tutto trasparente e “open” i dati relativi alla produzione. Sono previsti benefici anche per i paesi del terzo e quarto mondo? Tantissimi. Da tempo sosteniamo che bisogna educare alla sicurezza alimentare anche i Paesi che domani diventeranno fornitori di materie prime per tutti i consumatori globali. È troppo anacronistico che nel 2014 l’unico modo che abbiamo per assicurarci della qualità dei prodotti sia il blocco alle frontiere. L’unico modo per prevenire è iniziare a costruire una rete di sicurezza alimentare che parta dai Paesi del terzo e quarto mondo, contemplando scambi tra di loro in piena sicurezza. Lavoriamo per una sicurezza alimentare globale, anche da un punto di vista scientifico. Qui entra in gioco il CNR, che ha sposato appieno il progetto Safety4Food e che lo ha voluto fortemente in uno dei suoi progetti da presentare a EXPO 2015. Stiamo mettendo insieme una rete di scienziati di oltre duemila istituzioni mondiali che si occupano di cibo, nutrizione e sicurezza alimentare. Obiettivo principale: una carta costituzionale della sicurezza alimentare in tutti i Paesi. Grazie al passaporto digitale riusciremo finalmente a tutelare le eccellenze alimentari del “made in Italy”? Oggi parliamo di un consumatore globale che deve avere informazioni sulla provenienza del prodotto. Il nostro progetto coinvolge aziende, agenzie nazionali, internazionali e numerosi altri enti. Ciò prospetta una grande opportunità per difendere e tutelare il Made in Italy, offrendo uno strumento potentissimo per la lotta alla contraffazione e alla sofisticazione alimentare. In generale la sicurezza alimentare non deve essere un costo, ma un beneficio riconosciuto da tutti. Credo che debba essere fatta una armonizzazione del prezzo: paghiamo il 40% di un prodotto per le spese di trasporto e solo il 4% per la sicurezza alimentare. Dobbiamo globalizzare qualità, best practice e quindi sicurezza alimentare. z 33
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FOOD DEFENSE
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OVVERO COME EVITARE CHE NEL PIATTO CI ARRIVINO PRODOTTI MANOMESSI O CONTAMINATI OPPURE CHE UN MALINTENZIONATO VERSI ETTOLITRI DI BRUNELLO DI MONTALCINO IN UN CANALE (CHE SPRECO!) Focus sui sistemi di tutela, ovvero quei sistemi studiati per prevenire tutte le situazioni determinate da atti intenzionali, che potrebbero seriamente danneggiare il consumatore o i lavoratori di una determinata azienda. Di Mario Sangiorgi, Coordinator Food Defense CSI, Gruppo IMQ.
C
on il passare degli anni l’evoluzione aziendale ha portato sempre di più verso processi produttivi automatizzati, ovvero a utilizzare impianti sempre più sofisticati e sempre meno persone, aumentando in modo esponenziale l’offerta di distribuzione: maggiore è la quantità di prodotti associati a un marchio, maggiore è il valore del marchio e dell’azienda. È proprio da questa situazione che sono nate nuove esigenze strategiche
aziendali, che ad oggi possiamo tradurre con le parole security e, per le aziende agroalimentari, con l’espressione food defense: ovvero protezione dei prodotti da atti intenzionali di manomissione o contaminazione. Questo concetto di tutela non è solo rivolta al prodotto ma anche al marchio aziendale e alle persone che vi lavorano, garantendo sostenibilità nel tempo e fiducia nel consumatore che acquista i prodotti. Ad oggi non vi è una vera norma relativa alla tutela, ma un insieme di norme che in simbiosi portano alla 35
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IMBALLAGGI ALIMENTARI: MA QUANTE VERIFICHE! La sicurezza di ciò che mettiamo nel piatto passa anche dal packaging. Innanzitutto, ogni materiale destinato a contenere alimenti deve essere autorizzato dal Ministero della Salute. Per legge, i materiali d'imballaggio idonei a contenere prodotti alimentari devono riportare, in evidenza, l'indicazione "per alimenti" oppure il simbolo equivalente che raffigura un bicchiere e una forchetta. In laboratorio, le analisi vengono condotte sia sull'imballaggio, sia sull'alimento confezionato, per verificarne la conformità ai requisiti legislativi vigenti in tema di caratteristiche dei materiali a contatto con gli alimenti, ma anche per analizzare l'aspetto qualitativo, inteso come capacità di mantenere le caratteristiche organolettiche del prodotto e garantire l'assenza di contaminazione (chimico o microbiologica) dell'alimento. Le principali verifiche riguardano: il controllo dell'idoneità al contatto con alimenti, atta a verificare che gli imballaggi di ogni natura, gli oggetti utilizzati in cucina per la preparazione e la cottura degli alimenti, gli impianti e le macchine che le aziende utilizzano durante la lavorazione dei loro prodotti alimentari siano idonei. C’è poi la verifica dei parametri funzionali mediante il controllo delle proprietà diffusionali e la caratterizzazione meccanica. Nella prima, è fondamentale la valutazione dell’ermeticità delle confezioni al fine di assicurare l'igiene dell'alimento e il mantenimento delle condizioni iniziali per l'intera “shelf life” del prodotto, come ad esempio il mantenimento dell'atmosfera modificata. La caratterizzazione meccanica dei materiali consente invece di percepire se l'imballaggio è resistente alle sollecitazioni cui è sottoposto nelle fasi del confezionamento, ma anche durante il trasporto e la conservazione dell’alimento. Segue il controllo compositivo, dalle materie prime alle strutture più complesse, quali i film e i contenitori, al fine anche di valutare l'inerzia chimica e l'assenza di contaminazione dal packaging agli alimenti. C’è poi la verifica dell'inerzia sensoriale, per accertarsi che gli imballaggi siano sufficientemente inerti da escludere il trasferimento di sostanze ai prodotti alimentari in quantità tali da mettere in pericolo la salute o da comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle loro caratteristiche organolettiche. Questa verifica viene eseguita da giudici selezionati e addestrati con tecniche innovative quali l'analisi dell'immagine e il naso elettronico. Seguono poi gli studi di Shelf Life condotti sia allo scopo di validare il confezionamento alimentare adottato, sia a ricercare nuovi sistemi che permettano di apportare un miglioramento dei parametri qualitativi degli alimenti e della loro conservazione e sia per introdurre elementi di innovazione, come un nuovo tipo di imballaggio, più economico, funzionale ed ecocompatibile.
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tutela, basandosi sempre di più sul concetto di valutazione dei rischi. L’implementazione di un sistema di gestione della tutela parte dall’individuazione di 4 principali aree aziendali (management, sito, stabilimento e produzione), passa attraverso l’analisi delle minacce a cui queste aree possono essere sottoposte, per arrivare alla individuazione delle zone di vulnerabilità e alla decisione delle azioni da intraprendere, a tutela dei prodotti e del nome dell’azienda. A differenza dei sistemi di sicurezza, che sono pensati per difendersi da situazioni non intenzionali, i sistemi di tutela sono studiati per la prevenzione di tutte quelle situazioni, provenienti da azioni intenzionali, che potrebbero seriamente provocare dei danni al consumatore, alle persone che lavorano all’interno dell’azienda o al business. In un sistema di gestione della tutela efficace, ogni funzione interessata deve coinvolgere i responsabili dei vari settori aziendali: manager, risorse umane, produzione, manutenzione e centralino. Proviamo a fare qualche esempio: - Per l’area “management”, è strategica la tutela della proprietà intellettuale; si pensi semplicemente alla formula della Coca Cola, suddivisa in più parti e in mano a più persone in modo che sia di difficile duplicazione, oppure alla guerra fra due colossi come Apple e Samsung per i brevetti: da questi due esempi si vede quanto sia autorevole il nome di una azienda e quanta importanza abbia la sua difesa. Un esempio di minacce di questa area è rappresentato da: spionaggio industriale, migrazione di personale strategico da un’azienda all’altra concorrente, mass media che con servizi giornalistici potrebbero mettere in difficoltà il marchio aziendale. Nel coinvolgimento dei vari responsabili, senz’altro l’Information Techno-
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logy nei confronti della tutela diventa strategica nelle gestione delle informazioni e dei dati che vengono scambiati all’interno dell’azienda e al di fuori. Dal management parte anche la gestione di una eventuale crisi che per le diverse industrie e soprattutto quelle alimentari, si può tradurre con un ritiro e richiamo del prodotto. - Per l’area “sito”, diventa fondamentale la tutela da potenziali minacce interne, come dipendenti insoddisfatti, o esterne come criminali o sovversivi o ex dipendenti. Le aree vulnerabili del sito sono le recinzioni, eventuali fonti idriche, i parcheggi, gli accessi allo stabilimento ed eventuali stoccaggi esterni (es. silos). Gli attacchi possono essere portati al prodotto, ma anche alle persone che lavorano all’interno dello stabilimento o ai mezzi aziendali che sostano quando il sito non è operativo. La tutela del sito, come si diceva prima, riguarda anche la tutela delle persone: nel 2013 negli USA ci sono state oltre 1.000 persone uccise da criminali che sono entrati in luoghi di lavoro privati e pubblici armati. In Italia, ad oggi, non rappresenta un problema l’uso delle armi (anche se nell’ottobre 2014 a Roma vi è stato un
caso di attacco alle persone); più sentita, invece, è la tutela del prodotto (si ricorda il caso della cantina a Montalcino, quando un ex dipendente versò nel canale adiacente all’azienda ettolitri di Brunello). - Per l’area “stabilimento” è fondamentale la salvaguardia di magazzini di materie prime e prodotti finiti da minacce esterne (fornitori) o durante il trasporto del prodotto finito. Fra le aree dello stabilimento rientrano gli spogliatoi e le aree di manutenzione, dove eventuali persone interne possono custodire sostanze o utensili per effettuare l’attacco in un secondo momento. - Infine, l’area “produzione” rimane una delle aree più vulnerabili per il prodotto, anche se è una delle aree più facili da gestire e controllare.
Ad oggi, sempre più aziende ricorrono a valutazioni di rischio sulla tutela, per cercare di capire quali possano essere le vulnerabilità e insieme valutare quali azioni intraprendere. CSI già da oltre un anno ha implementato per le aziende alimentari un sistema di risk assessment in particolare per il comparto food; questo modello tuttavia, è adattabile ad aziende di altro settore. Qualora l’azienda abbia delle criticità con i fornitori, ad esempio le aziende che operano nel settore del lusso o grandi multinazionali, risulta utile l’implementazione di un sistema di gestione che risponda alla norma ISO 28000. Security, food defense, sostenibilità sono le sfide per il prossimo futuro. z 37
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CONOSCO
CIÒ CHE MANGIO L’IMPORTANZA DI MANGIARE SANO ASSIEME ALL’IMPORTANZA DI CONOSCERE QUELLO CHE MANGIAMO È IL FONDAMENTO DELLA SICUREZZA ALIMENTARE
Intervista al Dott. Gaetano Pascale, Presidente di Slow Food Italia
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roduzione industriale massiccia, contaminazione chimica, omologazione delle culture, contraffazione dei cibi, offerte e promozioni: sono tutti concetti che si scontrano profondamente con quello di food security. La sicurezza di ciò che mangiamo è costantemente messa a repentaglio non solo dai grandi produttori ma anche da noi stessi, che al supermercato siamo sempre alla ricerca del prezzo più basso a discapito della bon-
tà, della ricchezza e della bellezza dei prodotti della nostra terra. Servono, quindi, più sensibilità, più consapevolezza, più formazione. Per fortuna, abbiamo in Italia qualcuno che, da anni, lavora per favorire la diffusione universale di una cultura dei cibi e di un’educazione alimentare con l’obiettivo di arrivare, prima o poi, a una più equa distribuzione delle risorse in tutto il pianeta. Ne parliamo con il Presidente di Slow Food Italia.
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zionali a rischio di estinzione) è molto ampio e contempla anche la food security in quanto ci preoccupiamo di presidiare le produzioni buone, pulite e giuste. In una parola: salubri. Ci occupiamo di food security anche, ad esempio, nei corsi che teniamo per le scuole dove insistiamo molto sull’importanza della sicurezza alimentare.
Cosa indica il concetto di food security e quando, per la prima volta, si è avvertita l’esigenza di parlarne? Il concetto di food security va delineato su due fronti. Dobbiamo infatti distinguere la possibilità di garantire le risorse alimentari a tutto il pianeta dall’aspetto della salubrità del cibo, aspetto nato a seguito di una crisi come quella della “mucca pazza” o del “pollo alla diossina”. Sono entrambi lati della food security e presentano soluzioni molto diverse. In Slow Food seguite dei progetti per tutelare la food security? Il nostro progetto dei Presìdi (interventi mirati per salvaguardare o rilanciare piccole produzioni artigianali e tradi-
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Legislazione UE, norme e tutela della sicurezza alimentare. Cosa ne pensa? Inizio con una premessa: la legislazione dell’Unione europea si muove in una direzione diversa da quella degli altri continenti: in genere, a favore della sicurezza alimentare, non agiscono solo i governi ma anche tanti enti e organismi di controllo e ognuno svolge solo una parte. A ciò aggiungo due considerazioni. La prima è che la burocrazia non è necessariamente sinonimo di garanzia: le troppe norme, infatti, spesso ostacolano i buoni produttori. La seconda considerazione, invece, riguarda la necessità di una maggiore informa-
zione. A questo proposito Slow Food, con il progetto dell’etichetta narrante, che prevede che l’etichetta dei Presìdi descriva in modo esauriente, chiaro e anche un pò poetico l’intero processo produttivo dei cibi, ha voluto proprio fornire ai consumatori tutti gli strumenti necessari per scegliere bene i prodotti da mangiare. Quando si riuscirà ad avere una distribuzione equa delle risorse alimentari in tutto il mondo? Se perseveriamo con il modello attuale, che concentra tutta la produzione nell’industria, non ci arriveremo mai. Se invece cambiamo strada e decidiamo di favorire l’agricoltura familiare, la produzione diffusa e le economie di piccola scala, allora otterremo presto degli ottimi risultati. Basti pensare che oggi l’agricoltura familiare impiega solo il 12% dei terreni disponibili e dà da mangiare a oltre la metà del Pianeta. Qual è il rapporto tra sicurezza ed educazione alimentare e salvaguardia dell’ambiente? Il primo investimento che va fatto per
Fondata in Piemonte nel 1986 da Carlo Petrini, Slow Food è una grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce e in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie alla sapienza di cui sono custodi territori e tradizioni locali. Ogni giorno Slow Food lavora in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti. Slow Food lavora in tutto il mondo per tutelare la biodiversità, costruire relazioni tra produttori e consumatori, migliorare la consapevolezza sul sistema che regola la produzione alimentare. In una visione che parte delle radici per arrivare alle nostre tavole, Slow Food promuove il diritto alla terra e sostiene i diritti della terra grazie a tantissime iniziative che partono dalle Condotte Slow Food (le associazioni locali) fino a progetti di portata internazionale.
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garantire la sicurezza alimentare è l’educazione. La sicurezza arriva solo se siamo informati e l’educazione, su cui noi di Slow Food puntiamo moltissimo, è decisiva già a partire dalle scuole. A questo si collega il fatto che conoscendo e scegliendo cibo salubre, si fa anche un favore all’ambiente. Le produzioni biologiche, infatti, sono a basso impatto ambientale e non mettono a repentaglio la nostra salute.
DIFENDI IL CIBO VERO. COI DENTI.
Quali potrebbero essere gli interventi per far capire alla popolazione (bambini compresi) quanto è importante l’educazione alimentare? Bisognerebbe portarli in campagna, in fattoria, far vivere loro tutti i cicli della natura. Con il nostro progetto degli Orti in Condotta, ad esempio, vogliamo avvicinare scolari e famiglie alla cultura alimentare, insegnare loro il valore di semi e frutti, spiegargli come tutelare le risorse della terra, per poi scegliere ciò che mangiamo in base alle nostre esigenze e non secondo quelle del mercato. È importante far conoscere il cibo alle persone. Spiegare che il cibo non è solo nutrimento ma è veicolo di salute (per l’uomo e per l’ambiente), socialità, economia. Come e perché nasce l’associazione Slow Food? Slow Food è nata con l’intento di dare territorialità, cultura e salubrità al cibo quando, negli anni ’80, c’era un forte rischio di omologazione alimentare nel mondo. L’alimentazione era troppo semplificata (in parte lo è anche adesso: guardando ai grandi numeri, mangiamo tutti le stesse cose), bisognava restituire dignità a ciò che si z mangiava.
DIVENTA SOCIO SLOW FOOD
WWW.SLOWFOOD.IT
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Tasse
Furti Politica
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Lavoro
Soldi Economia
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LA GRANDE
INCERTEZZA
LE TASSE, IL LAVORO, I PROBLEMI ECONOMICI. GLI ITALIANI VIVONO IMMERSI IN UNA NEBBIA DI INSICUREZZE E INCERTEZZE CHE GLI SI È CUCITA ADDOSSO E LI SEGUE OVUNQUE. A PRANZO, AL LAVORO, AL CINEMA. UNA NUVOLA BIANCA E OVATTATA CHE IMPEDISCE LORO DI PROGETTARE IL FUTURO. “LA GRANDE INCERTEZZA” È IL TITOLO CHE ILVO DIAMANTI, SOCIOLOGO, POLITOLOGO E PRESIDENTE DELL’ISTITUTO DEMOS&PI HA SCELTO PER L’ULTIMO RAPPORTO SU SICUREZZA E INSICUREZZA SOCIALE IN ITALIA E IN EUROPA. “PARAFRASANDO IL FILM DI SORRENTINO - SPIEGA - VOLEVO SOTTOLINEARE CHE LA PAURA ECONOMICA È QUALCOSA CHE DILAGA E PENETRA ALL’INTERNO DELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA”.
Gli italiani, la crisi, la paura del futuro: intervista al Prof. Ilvo Diamanti Cosa rende insicura la vita degli italiani? Il lavoro. Il dato risale a qualche mese fa, ma in generale negli ultimi anni lavoro ed economia sono diventati i principali motivi di insicurezza degli italiani. La ragione è presto detta: ormai sono sempre più numerose le famiglie colpite dalla disoccupazione. Ciò che rende questa preoccupazione particolarmente rilevante è il rapporto che ha con la nostra identità. Al lavoro non sono legati solo il reddito e la mobilità sociale. Nella nostra carta d’identità dopo il nome, il cognome e la provenienza tro-
viamo la professione. Chi non ha un lavoro non esiste all’interno della società. È un problema che non si lega solo all’insicurezza economica ma crea una rete di insicurezze molto più ampia. Non è un caso che quest’anno gli indici di insicurezza siano cresciuti tutti. Compreso quello sulla criminalità. A proposito di crimini. Nell’ultimo Rapporto su Sicurezza e Insicurezza realizzato da Demos&Pi, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis emerge un aumento della paura dei furti. Secondo lei, è un dato legato alle preoccupazioni economiche? Assolutamente sì. In Italia i reati violenti sono in declino da molti anni. Al contrario sono cresciuti molto i furti nelle abitazioni. Un tipo di reato che genera insicurezza perché la casa è considerata l’ultimo rifugio. Se qualcuno
I NUMERI DEL RAPPORTO Altro che terrorismo: soldi e disoccupazione tolgono il sonno agli italiani. Preoccupato per la propria situazione economica, risentito verso le istituzioni e in ansia più per i furti in casa che per la minaccia dell’Isis. È questo il ritratto dell’italiano fatto dal settimo rapporto europeo sulla Sicurezza, realizzato da Demos&Pi, dall’Osservatorio di Pavia e dalla Fondazione Unipolis.
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: LIFE
LE PREOCCUPAZIONI ECONOMICHE Secondo gli ultimi sondaggi le preoccupazioni economiche sono il principale motivo di inquietudine tra i cittadini. Niente più paura di migranti e criminali: a rendere insonni le notti degli italiani è il timore di perdere il lavoro o di non trovarlo. Preoccupano il reddito familiare e il costo della vita e la paura delle tasse è sempre dietro l’angolo. Ma in Europa non siamo gli unici a temere i contraccolpi della crisi nella vita privata. Accanto a noi ci sono Francia e Spagna mentre in Gran Bretagna e Germania l’inquietudine si concentra più sullo stato dei servizi sociali e sul problema dell’immigrazione.
la viola, crolla ogni tipo di sicurezza. I grandi omicidi non fanno paura perché non riguardano tutti, i piccoli reati, invece, quelli che non hanno nome e cognome, possono capitare anche noi. Si tratta di paure trasversali o si possono distinguere per strati sociali? Esiste una struttura sociale delle paure. Da una parte ci sono quelle materiali dei poveri, dall’altra quelle globali a cui sono più sensibili i ricchi. I timori legati a piccoli reati riguardano i ceti mediobassi, le donne e gli anziani. Ultimamente però le preoccupazioni economiche sono cresciute anche nei ceti medi che nel frattempo hanno smesso di sentirsi tali. Negli ultimi cinque anni la maggior parte degli italiani ha percepito un abbassamento della classe di appartenenza e i ceti medi sono diventati medio - bassi. Le paure dei privilegiati, invece, sono quelle legate a problemi più globali e alla perdita di status economico-sociale. Secondo il Rapporto dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, l’in-
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stabilità politica costituisce una delle principali cause di insicurezza. Come interpreta questo dato? Negli ultimi anni l’insicurezza politica è quella che è cresciuta di più. Si tratta di un dato profondamente legato all’instabilità economica e alle preoccupazioni che gravitano intorno alla sfera del lavoro, dei redditi e delle tasse. Quotidianamente impegnati a lottare contro l’insicurezza economica, gli italiani hanno cercato qualcuno cui attribuire la responsabilità delle proprie inquietudini. Così si è sviluppata una crisi di fiducia nelle istituzioni, nella loro capacità di fare le riforme e di prendere le iniziative necessarie. La politica è diventa un fattore di insicurezza che in qualche misura fonda le altre insicurezze. Non è considerata solo come la responsabile della crisi economica generale ma anche come la causa primaria dei nostri problemi quotidiani. Gli sbarchi sulle coste italiane hanno incentivato la paura dei migranti? Sicuramente quest’anno l’incertezza legata alla presenza dello straniero è aumentata ma non eccessivamente. Tutto
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dipende dall’enfasi con cui si discute di questo problema. L’immagine di Lampedusa è ambivalente. Richiama da una parte l’invasione e dall’altra la pietà. Ecco che anche in questo caso la chiave con cui si guarda al problema non è la criminalità in sé ma la preoccupazione economica. La lampadina del pericolo rispetto al migrante si accende nel momento in cui si teme che possa rubare il lavoro agli italiani. Nella classifica delle insicurezze la paura della politica ha declassato quella dei migranti? La paura dei migranti poteva avere un senso quando le nostre preoccupazioni erano legate alla criminalità. Oggi la perdita del lavoro e i problemi economici hanno scalato la classifica dell’insicurezza e di conseguenza anche la paura ha cambiato volto: la faccia delle nostre inquietudini non è più quella dello straniero ma quella dei politici.
I FURTI A far paura non sono più i reati legati alla criminalità fatta eccezione per i furti. Secondo il Rapporto infatti il 31% degli italiani teme di essere derubato. Effettivamente si tratta di uno dei reati in crescita nell’ultimo anno ed è fra quelli che entra direttamente nella sfera privata e familiare. “Le preoccupazioni economiche hanno modificato a fondo la percezione delle persone - spiega il presidente dell’Istituto Demos&Pi, Ilvo Diamanti - l’insicurezza è come un paio di occhiali che indossiamo e oscurano e deformano quel che osserviamo”.
L’ANTIPOLITICA Grande novità dell’ultimo Rapporto sull’Insicurezza è l’ingresso dell’instabilità politica sul podio delle paure. La precarietà di vita crea risentimento verso chi governa. Così in Italia la percentuale di chi ha fiducia nelle istituzioni è calata al 13%. Un valore ben al di sotto della media europea. Basti pensare che in Spagna si attesta al 20%. Nella grande “nebbia” della crisi economica, che ha rimescolato le carte dell’insicurezza, la politica si è trasformata nello “straniero più ostico e più lontano”. Fino a qualche tempo fa a rendere insicura la vita degli italiani era la criminalità legata alla presenza dei migranti. Oggi il mosaico dell’insicurezza è formato da altre tessere: disoccupazione, reddito, tasse. Le preoccupazioni economiche dominano le inquietudini e le istituzioni sono percepite come causa delle paure delle famiglie.
Qual è l’atteggiamento di TV, social network e stampa rispetto ai temi dell’insicurezza? I media sono un moltiplicatore delle nostre paure. Dai Tg alle fiction di grande successo, tutto tende a spettacolarizzare l’insicurezza. Ma non bisogna dimenticare che noi siamo attratti dalla paura. All’estero le cose vanno diversamente: i notiziari danno meno spazio alle notizie ansiogene, si parla molto meno dei crimini. I media riflettono l’aumento delle preoccupazioni economiche? No, di solito nei media italiani vengono privilegiate le paure legate alla criminalità mentre si parla poco delle preoccupazioni economiche. Atteggiamento, questo, che non trova alcun parallelo negli altri Paesi europei. In Italia più che altrove la paura fa spettacolo e in nome dell’audience i media z la assecondano.
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: LIFE E IMPIANTI ANTINTRUSIONE
PAROLA D’ORDINE
INNOVAZIONE PENSANDO A BAUMAN, MCLUHAN E SCHUMPETER, ECCO COME IL SETTORE DEGLI IMPIANTI ANTINTRUSIONE E ANTINCENDIO PUÒ TRASFORMARSI, SPALANCANDO LE PORTE A UNA SICUREZZA INTELLIGENTE, SEMPRE PIÙ INTEGRATA E CONNESSA ALLA VITA DELLE PERSONE.
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Intervista al dott. Luciano Ardingo Past President Commissione Tecnica IMQ Ditte installatrici impianti di allarme
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econdo Luciano Ardingo, fondatore della società SPEE S.r.l. con esperienze pluriennali nel mondo dei sistemi di sicurezza, degli edifici intelligenti e da ultimo negli innovativi scenari delle smart cities, l’industria dei sistemi di sicurezza sembra vivere ancora legata a un passato (soprattutto normativo) che non esiste più e che stona pesantemente con l’esigenza odierna di connessione estrema e globale. Ma un futuro migliore è sempre possibile. Basta “saper interpretare il cambiamento”, fare largo all’innovazione. Come è cambiato negli ultimi anni il settore della sicurezza nei sistemi antintrusione e antincendio? Quello che vedo oggi è un mondo regolato ancora da normative risalenti a quasi quarant’anni fa. Un’industria ferma sulle lancette dell’analogico che insiste su un mercato che non c’è più. Impianti antintrusione e antincendio oggi sono proposti e forniti nella maggioranza dei casi da manovalanze tuttofare, nella gara quotidiana del prezzo più basso. Siamo di fronte a un’assenza totale di proiezione industriale, di conoscenza applicata, di integrazione, di innovazione. Questa situazione rappresenta una pesante sconfitta di settore per quanti, dal ‘79 in poi, avevano futuristicamente intravisto come sbocco
evolutivo del comparto sicurezza l’integrazione dei sistemi e dei servizi nell’Edificio Intelligente, nella Città Sicura, nella Teleassistenza e nella Telemedicina. Oggi il settore sicurezza rappresenta una sorta di archeologia industriale che ostenta periodicamente simulacri vecchi e simboli stantii, solo all’apparenza rimodernati. La politica di questo comparto industriale è caratterizzata da una cronica mancanza di visione strategica ed è sospesa tra un passato che non riesce a superare e un futuro che non arriva. Un settore senza futuro, quindi? No, assolutamente. Dico soltanto che il settore sicurezza non ha saputo interpretare il cambiamento. Oggi viviamo in un mercato complesso, dinamico, molto competitivo, dove la selezione è impietosa. In questa selezione vengono eliminati i più deboli, cioè quelli che per le loro caratteristiche non si adattano a sopravvivere a nuove condizioni di business. L’intero nostro settore deve trasformarsi in un nuovo concetto di sicurezza, sempre più aperto alle innovazioni, dove la funzione integrata del servizio sia basata sull'informazione e prevalga su quella del prodotto e/o dell’impianto monofunzione a sé stante. È necessario parlare di una sicurezza integrata, una sicurezza connessa e monitorata, una sicurezza più sicura. Una sicurezza sempre più legata a una migliore qualità di vita delle persone, disponibile e semplice nella gestione e accessibile a tutti economicamente. Una sicurezza intelligente, connessa, monitorata e gestita in tempo reale, 24 ore su 24, in
Mappa delle cose connesse a Internet - fonte Shodan grado di garantire alle persone il diritto a vivere sereni. Integrata e complementare al mondo delle soluzioni ICT, nella casa e nell’edificio intelligente, nei nuovi scenari di smart cities. Una sicurezza a 360 gradi, che interagisce continuamente con la vita delle persone? Sì, la sicurezza come insieme di più elementi. La svolta consiste nel pensare alla sicurezza non più in modo settoriale, ma sistemico. Aumentare il livello di sicurezza complessivo vuol dire, quindi, tenere sotto controllo una moltitudine di parametri differenti e agire su diversi fronti non solo per rispondere ai pericoli o alle emergenze, ma anche e soprattutto per prevenire. In questo approccio la tecnologia può giocare un ruolo fondamentale purché non la si consideri come l’elemento unico e fondamentale. Sensoristica distribuita, data analysis, sistemi di comunicazione efficienti, integrazione e interoperabilità tra sistemi, monitoraggio e centralizzazioni, software evoluti di simulazione e strumenti predittivi sono tutti strumenti abilitanti di una gestione integrata e 47
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innovativa della sicurezza, la cui altra faccia della medaglia è rappresentata da una governance dinamica, efficiente, real time. Cosa servirebbe per attualizzare il suo concetto di sicurezza? È opportuno favorire un processo di profonda innovazione dell’insieme sicurezza che utilizzi i concetti di integrazione e di resilienza, sia in ambito tecnologico, sia in quello organizzativo. Il miglioramento dei sistemi di previsione di eventi naturali e antropici insieme alla stima dei rischi connessi a eventi criminosi può contribuire a mettere in moto meccanismi di allertamento, di reazione e di predisposizione tempestiva di strategie di mitigazione dei danni, anche in presenza di perturbazioni rilevanti. Una sicurezza che è diventata liquida (Bauman), “bevibile” ovunque, dove anche le case, gli edifici, gli spazi pubblici, le città dovranno comunicare e trovare il percorso per diventare fruibili.
Servirebbe una sicurezza aperta, intesa come un insieme di nodi attraversati da flussi informativi, percorsa da un’elettricità che farà implodere lo spazio, come profetizzava McLuhan nel 1960 nel suo concetto di “Villaggio Globale”. Un mondo innovativo dove la sicurezza si integra con la società in rete e il capitalismo culturale. Un grande network collettivo per l’innovazione, un insieme di nodi attraversati da flussi che generano, veicolano e distribuiscono la conoscenza, i prodotti e i servizi necessari alla sicurezza attuale. Usa spesso il termine innovazione. Cos’è per lei l’innovazione? Innovare è una sfida. Che si gioca a più livelli: tecnologia, processi, modelli di business, cultura. Nel caso della sicurezza significa saper intercettare le tante esigenze di cui i clienti finali hanno forse percezione, ma non trovano sul mercato risposte adeguate e quindi non riescono a soddisfarle. Per dirla con il vecchio Schumpeter innovare significa “fare le cose vecchie in modo nuovo”. Produrre innovazione è la funzione propria e tipica dell’impresa, il suo compito, la sua missione sociale. Chi non produce innova-
zione non è più un’impresa, e il mercato prima o poi ne farà giustizia. Quindi è necessaria un’innovazione continua per poter sopravvivere. Quali sono gli scenari futuri? Oggi la sicurezza è di fatto una delle principali componenti del mondo ICT, un mondo complesso in forte evoluzione, destinato a mutamenti anche sostanziali e dinamismi organizzativi continui. Conseguentemente anche la sicurezza dovrà essere in grado di adeguarsi in termini dinamici ed evolutivi, per tenere il ritmo dei cambiamenti strategici e culturali del 48
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nuovo che avanza. Utilizziamo già da tempo termini inglesi come home and building automation, building management system, ai quali oggi si stanno prepotentemente connettendo i concetti di smart working e smart city. Si tratta di modelli di futuro che testimoniano come oramai la nostra casa, il nostro lavoro, le nostre città sono un insieme di nodi attraversati da flussi informativi che interagiscono con la nostra sicurezza, il nostro comfort, la nostra qualità di vita. Lo scenario più intrigante intellettualmente e che avrà presto un impatto sociale epocale sarà quello determina-
to dall’Internet delle cose (IoT), l’ennesima evoluzione dell’uso della rete. Nato negli ambienti di ricerca del MIT di Boston, si tratta di un concetto semplice, quasi banale, secondo il quale tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo grazie al collegamento alla rete. L'Internet delle cose è una possibile evoluzione dell'uso dell’intelligenza nella vita di tutti i giorni delle persone, nell’intelligenza di un edificio o di una città e quindi anche della sicurezza in senso lato. Gli oggetti si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stessi e accedere a informazioni aggregate da parte di altri.
Si richiedono quindi soluzioni affidabili, standard, basate su piattaforme software open source e apparati open hardware a basso costo. Architetture performanti - già presenti sul mercato, alcune sviluppate anche da eccellenze italiane - totalmente trascurate dall’attuale mondo della sicurezza. Ma la cosa più grave è che queste innovative soluzioni, non essendo rispondenti alle vigenti (datate) normative del nostro settore, non sono certificabili né come tecnologie, né come sistemi. In questo nuovo mondo IoT, non avranno più ragione di esistere tecnologie e/o architetture proprietarie. Le 49
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normative di settore, se non adeguate alle soluzioni di mercato e quindi al trend dell’innovazione, saranno superate di fatto. L'obiettivo dell'internet delle cose è di far sì che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando un'identità elettronica alle cose e ai luoghi dell'ambiente fisico. Si chiamerà ancora sicurezza? A questo non so rispondere, ma poco importa di come sarà classificato questo nuovo settore. È noto che attualmente il 99,4% degli oggetti fisici che potenzialmente potrebbero far parte di IoT non è ancora connesso. Questo dimostra la potenzialità di questo nuovo immenso mercato, limitrofo e integrabile nel nostro mondo. I dati di questa crescita sono impressionanti: nell’anno 2000 gli oggetti connessi a Internet erano circa 200 milioni, nel 2013 erano 10 miliardi, nel 2020 saranno circa 1.500 miliardi. Stime attendibili sul business derivante da questa crescita dell’IoT indicano che l’impatto economico sarà di circa 15.000 miliardi di dollari, nel periodo compreso dal 2014 al 2020. La gara nel mondo che innova è iniziata. L’Italia e il settore sicurezza parteciperanno? Il ruolo dell’IMQ in questa rivoluzione? Sono stato presidente della commissione tecnica dell’IMQ per le società di integrazione e installazione per un paio di
mandati, ho rappresentato associazioni di categoria ai massimi livelli nazionali e internazionali, divulgato in convegni e su riviste tematiche scientifiche di settore, partecipato alla realizzazione delle normative nei comitati tecnici CEI ed UNI, quindi ho grande rispetto di chi opera nella sicurezza, degli enti di normazione e di certificazione. Posso però dire con estrema convinzione che la carenza più grave in questo settore è oramai, e da troppi anni, la mancanza di una vision. Si vive sul presente, sul carpe diem. Non c’è più un momento di riflessione collettivo sulle strategie di settore. Una volta c’erano i congressi, le sessioni tematiche, erano persino entrate le università e i centri di ricerca nelle nostre associazioni, c’erano grandi fermenti innovativi e partecipazioni intellettuali. Oggi però percepisco solo l’aspetto mercantile, esibito tramite manifestazioni orientate alla tentata vendita. Un’ottica miope che non porta alcun beneficio dell’evoluzione del settore. Grazie alla sua costante attività di sensibilizzazione all’innovazione, IMQ può esercitare un ruolo importante in questo sfinito comparto sicurezza e a mio giudizio anche in quello appena descritto di Internet delle cose. IMQ potrebbe essere il motore culturale e organizzativo per aggregare imprese, università ed enti di normazione in una collettiva, importante, necessaria riflessione sul futuro del settore. È augurabile non solo per il mondo della sicurezza, ma per l’intero sistema Paese. z
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: LIFE E SICUREZZA DOMESTICA
Avvertenze d'uso:
IL FALÒ DELLE OVVIETÀ? A
lzi la mano chi, leggendo il libretto di istruzioni di un asciugacapelli, all'avvertenza “non usare con le mani bagnate” non ha pensato che fosse un'indicazione superflua, un'informazione trita e ritrita e decisamente ovvia. E invece no: le istruzioni per l'uso devono riportare il prevedibile e l'imprevedibile, dare rilievo a quello che può essere considerato scontato, ma anche all'inimmaginabile. Nella nostra esperienza di informazione e diffusione della cultura della sicurezza presso i consumatori, ci è capitato di sentire persone che riscaldavano il bagno con il fon o preparavano il letto per la notte, intiepidendolo con l'aspirapolvere, rischiando di bruciare il motore degli elettrodomestici e di provocare un inizio di incendio. Persone che asciugavano vestiti e panni sulle stufette elettriche o che, per non sentire freddo tappavano i fori di aerazione, obbligatori nei locali con apparecchi a gas, per evitare che entrassero gli spifferi. Ci è capitato di ascoltare il racconto di un consumatore che, volendo verificare in prima persona se lo sportello del forno a microonde provvedeva a filtrare adeguatamente le microonde, inseriva il cellulare all'interno del 52
forno e poi faceva squillare il cellulare. Esperienze di vita vissuta, che confermano che nessun consiglio è mai troppo scontato. Ai fini della nostra sicurezza anzitutto. Almeno per quanto riguarda il nostro continente. Perché se ci spostiamo oltreoceano, negli Stati Uniti, ogni omissione di avvertenze può diventare motivo di denuncia legale. Un esempio? La causa vinta da una signora 79enne (nota come causa Liebeck vs. McDonald's) che, qualche anno fa, negli USA, denunciò McDonald's dopo che si era provocata considerevoli bruciature rovesciandosi addosso un bicchiere di caffé caldo acquistato nella nota catena fast food. Il risultato? La signora venne risarcita con 2,9 milioni di dollari e da allora sui bicchieri di carta McDonald's e di altri fast food si trova la scritta CAUTION: MAY CONTAIN HOT BEVERAGE. Certo questo è un esempio estremo, frutto di una legislazione - quella americana - diversa dalla nostra. Altri esempi divertenti, ma che confermano come nessuna avvertenza vada mai sottovalutata, ci vengono da una firma autorevole del giornalismo, Vittorio Zucconi, nell’articolo qui a fianco riportato.z z
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NON USATE IL TRAPANO SOTTO
LA DOCCIA DILAGA NEGLI STATI UNITI LA MANIA DI APPLICARE SULLE CONFEZIONI DEI PRODOTTI AVVERTIMENTI IDIOTI PER I CONSUMATORI: MA NEL PAESE DEI RISARCIMENTI MILIONARI, NON È AFFATTO INUTILE SPIEGARE PROPRIO TUTTO di Vittorio Zucconi
Nell'ultimo quindicennio è esplosa negli Stati Uniti la pandemia degli avvertimenti e delle istruzioni appiccicate su ogni prodotto dai legali, terrorizzati dalla celebre verità secondo la quale "nulla può essere costruito a prova di idiota, perché gli idioti sono straordinariamente ingegnosi". Su un asciugacapelli, l'etichetta ammonisce: "Non usare mentre si dorme". Sul passeggino pieghevole, il costruttore premuroso consiglia di "rimuovere il bambino prima di ripiegarlo" (il passeggino, s'intende, non il bambino). Una scatola di veleno per topi informa che "questo prodotto ha provocato il cancro in topi da laboratorio", quelli sopravvissuti al veleno, si presume, ma nati comunque sfortunati. Il ferro da stiro non va assolutamente "usato per stirare abiti mentre li indossate", provate per credere. Sul retro del grande ventaglio di cartone da dispiegare dietro il parabrezza per evitare che il cruscotto e il volante esposti al sole divengano incandescenti, compare a grandi lettere il saggio invito a "non guidare la vettura con il ventaglio aperto sul parabrezza". Perché, e l'ipotesi è perfettamente ragionevole, guidare alla cieca "può causare incidenti". La scatola della pizza recapitata a casa (fa schifo, ma piace ai nipoti e non si discute) informa che "la pizza può essere calda", mentre un sacchetto di patatine Fritos mi grida dallo scaffale: "Potresti avere vinto un milione! P.S: L'acquisto delle patatine non è necessario per partecipare al concorso". Ma poi mi getta in un dilemma filosofi-
co irrisolvibile, perché l'eventuale prova della vittoria sta "all'interno del sacchetto". Forse un amico radiologo potrebbe risolvere il problema con una tac al sacchetto, senza aprirlo. Il trapano multivelocità è assolutamente da non adoperare mentre si fa la doccia, saggia precauzione per coloro che pensassero di montare scaffali mentre sono nudi e grondanti sotto l'acqua, rischiando magari di confondere la mano che regge il sapone con la mano che regge il trapano, con conseguenze probabilmente dolorosissime. Il termometro per sederini, che in una casa frequentata da bambini va sempre tenuto a portata di mano, insegna a: "Non usarlo oralmente dopo averlo usato per via rettale". E la pallina di gomma con la quale vengono centrati preziosi vasi e porcellane della nonna, "può causare soffocamento se ingerita" perché "questa è una pallina di gomma". Sullo specchietto retrovisore esterno dell'auto il costruttore ha inciso l'avvertenza: "Gli oggetti riflessi appaiono più piccoli di quello che sono in realtà" e io che pensavo che quel Tir minuscolo fosse un giocattolo dimenticato sull'autostrada da un bambino. Ma la mia avvertenza per l'uso preferita è quella che accompagnava uno scopino da bagno, sulla fascetta di carta attorno al manico: "Da non usare per igiene orale", forse presumendo che l'acquirente potesse essere un cavallo. Non specificava
tuttavia se si dovesse evitare di usarlo come spazzolino da denti prima o dopo averlo adoperato nel water. E qui scatta la tentazione forte. Quanti soldi potrei strappare, in danni morali e sofferenza psicologica e conati di vomito, se, in un momento di distrazione, ancora insonnolito, mi lavassi i denti con lo scopino del gabinetto? Con un buon giudice probabilmente non avrei neppure bisogno di aprire il sacchetto delle patatine, per diventare ricco. z
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: LIFE E SICUREZZA DOMESTICA
DIETRO LE QUINTE DI UN PRODOTTO
QUANDO UN ELETTRODOMESTICO PUÒ DEFINIRSI SICURO? A QUALI PROVE VIENE SOTTOPOSTO PER VERIFICARNE LA SICUREZZA? PER I NON “ADDETTI AI LAVORI”, ECCO UN UN BREVE RACCONTO DI COSA SUCCEDE ALL'INTERNO DEI LABORATORI DELL'IMQ. 54
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o avete mai pensato? Anche solo il gesto diffuso e quotidiano di inserire o disinserire una spina nella presa di corrente potrebbe rappresentare un grosso pericolo se gli apparecchi non sono costruiti con criteri di sicurezza. Per evitare qualsiasi rischio, all'IMQ ogni anno vengono verificati migliaia di prodotti, dal frigorifero all'asciugacapelli passando per gli apparecchi di illuminazione. Tecnici specializzati infliggono loro urti e pressioni, li prendono a martellate, li innaffiano con getti d'acqua per verificare che i prodotti siano stati costruiti in conformità con tutti i requisiti di sicurezza elettrica, meccanica e termica. Per esempio bloccano il rotore del compressore o alimentano un asciugacapelli con una tensione superiore a quella domestica. O ancora: provocano un cortocircuito nel termostato di uno scaldabagno e poi vedono se l'acqua viene fatta bollire oppure no. Il tutto, naturalmente, condotto sulla base di rigorose procedure di prova definite dalle normative internazionali di riferimento. Per avere un'idea della severità con la quale i prodotti vengono testati, basti pensare che la prova di un apparecchio di illuminazione comporta circa 200 test per la durata di 15 gior-
ni. 30 giorni e più di 700 prove e verifiche sono richiesti per l'esame di una cucina a gas. Descriverle tutte è naturalmente impossibile, anche perché per lo più si utilizzano apparecchiature sofisticate, con metodi di rilevazione complessi. Anche se, a “suggerire” ai normatori le tipologia di prova da considerare, spesso è la stessa quotidianità. In passato frequentemente i giornali ci raccontavano purtroppo di "Pierini" (bambini molto vivaci) che s'appoggiavano a una cucina con lo sportello del forno aperto o magari ci salivano sopra rovesciandosi addosso l'intera cucina con conseguenze a volte gravissime. Ecco allora che nelle norme venne inserita la prova di "Pierino": si apre completamente la porta del forno; si mette un peso uguale a quello di un bambino nel bel mezzo dello sportello aperto: se la cucina non si rovescia ma sta ben ferma, la prova viene considerata superata. Suggerita dall’esperienza è anche un delle prove più curiose a cui vengono sottoposti i forni a microonde: la prova della patata. Viene messa una patata nel forno nel punto in cui la concentrazione delle microonde è più alta. Si chiude il forno e lo si regola al livello massimo e nella posizione più sfavorevole. Si compie il ci-
clo completo e si lascia riposare per 15 minuti. Se in questo periodo la patata prende fuoco ma le fiamme non si propagano all'esterno, la prova si considera superata. La patata è purtroppo persa, ma il forno è sicuro. Per verificare la sicurezza di prese e spine una speciale macchina esegue 5000 inserzioni e 5000 disinserzioni. Al termine della prova il campione non soltanto non deve presentare deformazioni, ma non deve neppure mettere in evidenza delle parti in tensione accessibili all'utente. Il ferro da stiro viene sottoposto alla prova delle 1.000 cadute su una lastra d'acciaio. Sugli asciugacapelli si arriva a simulare l'ingresso di capelli all'interno dell'apparecchio attraverso la presa d'aria del motore con la conseguente riduzione di velocità o il blocco del motore. Per quanto riguarda i giocattoli esistono "bocche di prova" dimensionate sulla bocca dei bambini che permettono di evitare la presenza di parti ingeribili e pericolose. Insomma, le prove a cui vengono sottoposti gli apparecchi elettrici per verificare la sicurezza sono davvero tante. E per fortuna. Solo in questo modo, infatti, noi tutti possiamo avere la garanzia di portare nelle nostre case prodotti affidabili e costruiti a regola d'arte. z
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CHE TEMPO FA?
Ce ne parla il Professor Sergio Nordio, meteorologo previsore presso l’Osservatorio meteorologico regionale dell’ARPA del FVG
LE PREVISIONI DEL TEMPO SONO ENTRATE PREPOTENTEMENTE NEL QUOTIDIANO E NON NE POSSIAMO FARE A MENO: CHI NON HA NEL PROPRIO SMARTPHONE O IPHONE UNA APP DI PREVISIONI METEO, O CHI NON HA MAI CONSULTATO UN SITO WEB PRIMA DI ANDARE IN VACANZA O METTERSI IN VIAGGIO? LA METEOROLOGIA IN REALTÀ È UNA SCIENZA MOLTO COMPLESSA E PER NULLA IMMEDIATA ALLA QUALE ULTIMAMENTE SI CHIEDE FORSE UN PO’ TROPPO.
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hi è un meteorologo e cosa si intende, in una accezione un pò più tecnica, per "previsioni del tempo"? Per rispondere a questa prima domanda, molto interessante, è molto utile dare un’occhiata a quanto è stato recentemente predisposto dalla Regione Emilia Romagna (capofila in Italia nel settore della meteorologia regionale) per definire il ruolo del meteorologo operativo. Il meteorologo operativo studia i fenomeni atmosferici e interpreta i processi fisici e chimici che avvengono nell’atmosfera, utilizza i dati e i prodotti modellistici di simulazione del comportamento dell’atmosfera, al fine di realizzare previsioni meteo e valutazioni meteo-climatiche.
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Le previsioni del tempo comprendono un articolato diagramma di flusso che inizia con l’identificare e riconoscere la significatività e la natura di dati e immagini derivanti dalle diverse stazioni meteorologiche e piattaforme osservative presenti sul territorio (boe, radiosondaggi) gestite da appositi strumenti oggettivi e manuali di rilevazione e mediante il controllo a vista. Prosegue poi con la valutazione e il controllo, manuale e automatico della qualità del dato, con l’archiviazione e la stampa dei dati, effettuato prevalentemente con l’utilizzo di apposite banche dati informatizzate. A questo punto si inizia a comprendere i principali processi e fenomeni atmosferici applicando specifici modelli numerici e interpretando i fenomeni
meteorologici a diversa scala spaziotemporale ai fini previsionali e di allerta meteo. Occorre quindi tradurre e interpretare graficamente i prodotti di previsioni numeriche applicate sia su scala globale (planetaria e/o continentale) sia su area limitata (regionale o sub-regionale), sviluppare analisi statistiche dei dati storici per trarne valutazioni climatologiche, utili a comprendere la normalità o l’eccezionalità degli eventi previsti. Infine occorre individuare la terminologia e lo stile della divulgazione del comunicato meteo più efficace, in relazione al mezzo utilizzato e al destinatario finale e adottare tecniche adatte di comunicazione e presentazione al pubblico con le modalità più idonee alle
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SERGIO NORDIO È METEOROLOGO PREVISORE PRESSO L'OSSERVATORIO METEOROLOGICO REGIONALE DELL'ARPA FVG DAL 1995. SI DEDICA ALLO STUDIO DELLA METEOROLOGIA E DELLA CLIMATOLOGIA REGIONALE E ALLA SUA DIVULGAZIONE, IN PARTICOLARE CON I GIOVANI (PROGETTO "TOCCARE L'ARIA" A UDINE, "METEOROLOGIA A SCUOLA" A TRIESTE). PROMOTORE DEL PROGETTO ADRIAMET (2004-2008) PER LO SVILUPPO DELLA METEOROLOGIA E LA COOPERAZIONE INTERREGIONALE DELL'AREA ADRIATICA. È SOCIO FONDATORE DELL'UNIONE METEOROLOGICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA.
specifiche esigenze settoriali (ambiente, agricoltura, settore marittimo, turistico, ecc..) e alla rilevanza dell’impatto sul territorio. Come opera il meteorologo: ha a disposizione modelli matematici e qual è la percentuale di attendibilità? Il lavoro di un meteorologo - previsore si fonda sullo studio di diversi modelli matematici di simulazione del comportamento dell’atmosfera, che risolvono in tempi relativamente brevi (alcune ore) le espressioni matematiche (equazioni denominate PDE - Partial Diffe-
rential Equations) che tengono conto delle leggi fisiche del comportamento dell’atmosfera, effettuando comunque un’approssimazione per la mancanza di informazioni complete. L’atmosfera si comporta in modo complesso perché subisce l’influenza del moto di rotazione del Pianeta, della componente astronomica della radiazione solare entrante, interagendo continuamente con l’orografia terrestre e gli oceani. I modelli di simulazione hanno bisogno di grande potenza di calcolo per cercare di affrontare tutta questa complessa simulazione e per questo motivo anche gli investimenti econo-
mici necessari all’acquisto e al mantenimento dei supercalcolatori sono molto consistenti. In Europa c’è un consorzio fra tutti gli stati che ha creato l’ECMWF (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine con sede a Reading in Gran Bretagna), dove due volte al giorno vengono predisposti i grigliati numerici a cui si fa principalmente riferimento. Esistono tuttavia anche altri modelli predisposti nei singoli Paesi europei e negli Stati Uniti, oltre che vari modelli a scala limitata predisposti da molti istituti di ricerca in Italia, dai centri meteo delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente tra le quali anche l’ARPA del Friuli Venezia Giulia. La percentuale di attendibilità di tutti i modelli sta continuamente migliorando nel tempo e per i più performanti siamo oramai vicini al 90% per le 24 ore successive, in calo progressivo nei giorni seguenti, tanto che, oltre i 6 giorni ha poco senso fare previsioni perché l’attendibilità è attorno al 50%. In ogni caso più andiamo a cercare il dettaglio sul territorio e più rischiamo di incorrere in previsioni sba57
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: LIFE E METEOROLOGIA
gliate anche nel giro di poche ore, dovute al fatto che i modelli non sono pronti ad affrontare le micro-diversità di zone altamente complesse geograficamente e orograficamente e perché l’atmosfera è intrinsecamente caotica e quindi spesso difficilmente prevedibile con esattezza. Se a questa situazione già complessa nel suo insieme ci aggiungiamo il cambiamento climatico in atto sul Pianeta, che con l’aumento della temperatura media globale sta portando a nuove e importanti evoluzioni della circolazione atmosferica, 58
pretendere di avere sempre previsioni meteo perfette è molto difficile, se non impossibile. Qual è il margine di errore delle previsioni meteo? Il discorso completa quanto detto prima: tutto dipende da cosa vorremo conoscere del tempo per il giorno seguente, su che scala spazio-temporale basiamo le nostre attività quotidiane, sul grado di adattabilità di esse in relazione alle varie condizioni meteo, ecc. Quindi è molto difficile risponde-
re in maniera univoca, la cosa più saggia è iniziare a valutare le previsioni del tempo su elementi probabilistici, in modo che ciascuno possa interpretare e calcolare ciò che è opportuno fare in relazione alle diverse condizioni meteo, al costo e al beneficio della propria scelta. Per fare un esempio: per domani è previsto sole per il 60% delle ore della giornata e la restante parte delle ore nuvolosità, con un 20% di probabilità di pioggia che a sua volta per il 10% potrebbe essere intensa: si va al mare oppure no?
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Ognuno deve essere consapevole della scelta e decidere se accetta quel minimo rischio di pioggia, forse anche di forte intensità, e valutare se rimanere a casa, oppure uscire. Le previsioni meteo aiutano a capire il rischio di una scelta, ma per natura non esprimono certezze. È possibile prevedere l’arrivo di perturbazioni che possono causare gravi danni a persone o cose? Il compito del meteorologo - previsore è di osservare, studiare e cercare di prevedere e segnalare tutte le situazioni di tempo e le loro possibili evoluzioni, comprese quelle di forte intensità, ma non ha il compito di prevedere la gravità dei danni a persone o a cose, compito che spetta invece a un pool di tecnici di molteplici settori, con i quali è costantemente in dialogo. Nelle previsioni meteo quali sono le variabili più significative? Preferirei parlare di elementi dell’atmosfera e quindi sono tutti importanti: temperatura, direzione e velocità del vento, pressione atmosferica, umidità, precipitazioni (pioggia, neve, grandine, ecc), infine, ma non ultima, la radiazione solare e i fattori geografici, soprattutto l’altitudine e la latitudine, la distanza dal mare e la sua profondità, e più in generale non bisogna dimenticarsi della distribuzione dei continenti e degli oceani. Quali di queste sono le più instabili, cioè quelle che possono far sì che una previsione non si riveli esatta? Gli elementi più difficili da prevedere sono l’umidità dell’aria e la distribuzione delle precipitazioni, spesso anche gli estremi di temperatura massima e minima, specialmente in relazione alle variazioni di giacitura del territorio (avvallamenti tipo le doline). Che tipi di collegamento esistono tra i centri della meteorologia a livello europeo? Chi si occupa di meteorologia è logicamente portato a condividere le os-
servazioni, le informazioni e le conoscenze del tempo in atto con i colleghi. La natura stessa dei fenomeni meteorologici è in continua evoluzione e spostamento: nel giro di pochissimo tempo questi interessano molte nazioni anche distanti. Quindi da sempre con i mezzi tradizionali (radio, corrispondenza, fax) e particolarmente negli ultimi venti anni con l’avvento di Internet, qualsiasi meteorologo e qualsiasi Centro Meteo è praticamente obbligato a tenersi costantemente in contatto con il resto del mondo, secondo piani di collegamento formali e automatici ma anche informali per lo scambio di dati, osservazioni, elaborazioni e notizie. Come descritto all’inizio dell’intervista esiste un’istituzione sovranazionale europea che si occupa di modellistica (ECMWF) e ci sono poi i singoli servizi meteo nazionali (per l’Italia l’Aeronautica Militare). In Friuli Venezia Giulia, regione di confine, fin dalla nascita del Servizio Meteorologico Regionale con l’ERSA, diventato poi OSMER dell’ARPA, si sono avviate continuative collaborazioni con i Paesi vicini (Slovenia e Austria), non solo basate sullo scambio automatico dei dati osservati, ma anche sullo studio e sulla ricerca scientifica a partire dal progetto transfrontaliero sulla grandine, già più di 30 anni fa, che permise di poter installare a Fossalon di Grado, in zone di confine, uno dei primi radar meteorologici che potesse essere utilizzato sia dall’Italia che dalla Slovenia. Le attività operative in meteorologia non possono prescindere da una adeguata e costante attività di ricerca e sviluppo dedicata sia allo studio dei fenomeni meteorologici, sia allo sviluppo di piattaforme utili al miglioramento delle attività operative, senza
dimenticarsi il necessario e costante lavoro da implementare per il miglioramento della modellistica numerica di simulazione eseguito in concerto da tutti gli enti di ricerca europei e mondiali. Ogni anno puntuale arriva la polemica degli albergatori che si lamentano per i mancati guadagni a causa di previsioni sbagliate. Esistono i cosiddetti "meteoterroristi"? Come accennato prima, le previsioni del tempo hanno intrinsecamente dei margini di errore, a causa dell’indeterminazione di alcuni elementi e quindi le previsioni perfette sono quasi inesistenti. Esistono sul mercato molti soggetti, pubblici e privati che si occupano di previsioni del tempo, i primi per compito istituzionale e i secondi piuttosto per finalità commerciali e per trinciare giudizi. Sarebbe più opportuno farlo a ragion veduta con dei criteri oggettivi di valutazione delle performance delle previsioni operate, da farsi con l’ausilio della statistica su dati osservati e registrati correttamente, altrimenti rimangono delle opinioni, comunque rispettabili, ma opinabili. Sparare, metaforicamente parlando, sulle previsioni del tempo e sui meteorologi è divenuto uno sport diffuso, per poter trarre delle conclusioni occorrerebbe fare delle valutazioni approfondite. Ritengo opportuno che le previsioni del tempo debbano informare su tutte le possibili evoluzioni del tempo, che ci piaccia o meno, ponendo come primo obiettivo la sicurezza e la possibilità di fornire informazioni utili che poi ognuno dovrebbe imparare a valutare in termini di costi e benefici per le proprie attività, economiche o turiz stiche che siano. 59
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: LIFE E METEOROLOGIA
2014: UN ANNO DI ALLUVIONI Fenomeni meteorologici esasperati, piogge intense che i territori non riescono a smaltire, tornadi con scenari tropicali, città sott’acqua, interi crinali che si sgretolano. Ripercorriamo da inizio anno le maggiori alluvioni che hanno interessato il nostro Paese.
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19 Gennaio - Alluvione di Modena: la rottura dell'argine destro nella frazione di San Matteo a pochi chilometri a valle della città di Modena ha provocato l'esondazione del fiume Secchia. Un morto e 1000 persone evacuate. 31 Gennaio - Alluvione a Ponsacco: piogge insistenti causano la piena del fiume Arno e di gran parte dei suoi affluenti. La situazione diviene critica verso le 12:00 in provincia di Pisa, dove a causa di una grossa piena del fiume Era si verifica un'improvvisa rottura dell'argine sinistro dello stesso corso d'acqua nei pressi del comune di Ponsacco, che ver-
rà in gran parte alluvionato con seri danni. Nessuna vittima. 3 Maggio - Alluvione Senigallia e Chiaravalle: forti piogge interessano tutta la parte nord della regione Marche causando piene di corsi d'acqua, allagamenti e disagi alla circolazione. Lo straripamento del torrente Triponzio provoca vasti allagamenti che interessano molte zone della cittadina con danni seri a strade e scantinati delle abitazioni. L'alluvione raggiunge anche Senigallia interessando la parte sud della città. Tre le vittime. 8 Luglio - Alluvione a Milano: le forti
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4/5 Settembre - Alluvione Gargano: le forti piogge portano ad allagamenti soprattutto nei comuni di San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo. Invase dall'acqua e dal fango diverse arterie stradali, capannoni e abitazioni private. Disagi segnalati anche nelle zone turistiche di Mattinata, Vieste, Peschici e Rodi. Due le vittime. 20 Settembre - Alluvione a Imola e alta Romagna: una serie di violenti temporali con grandine grossa come noci, tra la mezzanotte e le 6.00 del mattino. Il Senio rompe gli argini nel Ravennate allagando Borgo Rivola. Flagellato anche tutto il Faentino, a Modigliana (ForlĂŹ-Cesena) 120 mm di pioggia causano lo straripamento del torrente Marzeno. Danni anche ad abitazioni e aziende agricole invase dal fango. 9/10 Ottobre - Alluvione di Genova: forti temporali autorigeneranti scaricano in poche ore ingenti quantitĂ di acqua che portano allo straripamento del torrente Bisagno e del torrente Ferregiano. Una vittima. 11/12 Ottobre - Alluvione ad Alessandria: forti piogge causano lo straripamento di numerosi torrenti con allagamenti su tutta l'area compresa tra le valli Scrivia, Orba e Curone. Allagate anche le cittĂ di Novi Ligure e Tortona.
piogge temporalesche fanno straripare il fiume Seveso presso il quartiere di Niguarda, nei pressi di via Ca' Granda. Le acque, esondando dai tombini e creando autentiche fontane d'acqua e fango, allagano interamente viale Zara e tutto il quartiere. L'area coinvolta dall'esondazione si estende molto coinvolgendo anche il quartiere Isola, situato a breve distanza dal centro storico di Milano. Nessuna vittima. 21 Luglio - Alluvione a Valfreddana: nella notte tra il 21 e il 22 luglio un violentissimo nubifragio si abbatte sulla
valle del torrente Freddana, situata a cavallo tra i comuni di Camaiore e Lucca, causandone lo straripamento con seri danni ad abitazioni e strade, in particolare nei centri di San Martino in Freddana e Torre. 2 Agosto - Alluvione di Refrontolo: un violento nubifragio colpisce in serata la valle del torrente Lierza, causando una piena secolare del corso d'acqua stesso che presso il molinetto della Croda straripa investendo un centinaio di persone che erano riunite sotto un ampio gazebo per festeggiare una manifestazione locale. Quattro le vittime.
11/12 Ottobre - Alluvione Parma: forti piogge causano l'esondazione del torrente Baganza, che allaga la parte sudoccidentale della cittĂ . Diversi residenti ai piani bassi e negli scantinati sono stati evacuati. Invasa anche una casa di cura. 14 Ottobre - Alluvione in Maremma: le incessanti piogge causano ingenti danni per allagamenti ed esondazioni che interessano soprattutto i comuni di Manciano, Magliano e Orbetello. Due le vittime. 14 ottobre - Alluvione a Trieste: a Muggia in provincia di Trieste muore una donna. z
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: ICT
MA SEI SICURO? LA SICUREZZA DELLE TELECOMUNICAZIONI Intervista a Giovanni Mallica, Security manager e referente security per la Telecom Italia in Sardegna
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a diffusione delle nuove tecnologie nel campo delle comunicazioni con lo sviluppo e l’espansione di Internet e delle reti informatiche ha rivoluzionato il nostro stile di vita modificando profondamente le relazioni umane. Amicizie, amori e rapporti di lavoro si gestiscono utilizzando strumenti come Facebook, Twitter, Whatsapp. E-mail e Sms hanno soppiantato la tradizionale corrispondenza. Le operazioni economiche si svolgono attraverso la home banking, il bancomat, le carte di credito. La progressiva espansione di questo settore ha determinato la crescita esponenziale di nuovi servizi e tecnologie. L’avvento del Web ha dato vita a un sistema che mette in relazione un numero infinito di Reti informatiche collegate tra di loro. Se ci fermiamo a riflettere scopriamo che gran parte della nostra vita si svolge di fronte a un touchscreen. Tutto è più veloce, immediato e dinamico, ma anche più pericoloso. Lo scambio di informazioni tra utenti infatti ha comportato un incremento del numero di tipologie di dati personali trasmessi e scambiati nonché dei pericoli connessi al loro illecito utilizzo da parte di malintenzionati. Non dobbiamo mai dimenticare infatti che tutte le operazioni che vengono compiute online lasciano una traccia, una sorta di scia elettronica che a ritroso può svelare il nostro passato sia recente che remoto e renderci vulnerabili. Ecco perché nel settore delle telecomunicazioni la sicurezza diviene un elemento prioritario, strettamente correlato alla tutela della privacy. Lo scenario tecnologico e di mercato è diventato molto articolato e complesso e gli aspetti di sicurezza sempre più rilevanti. “Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in particolare Internet e i servizi di messaggeria elettronica - ci spiega Giovanni Mallica, Security manager e referente security per la Telecom Italia
in Sardegna – sono un settore interessato da un’ampia e dettagliata legislazione. A livello europeo si è lavorato a norme capaci di dettare prescrizioni specifiche e puntuali finalizzate a garantire il diritto al rispetto della vita privata. Si tratta di una legislazione in linea con il progresso tecnologico e le esigenze del mercato, prima tra tutte la Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche contiene norme fondamentali destinate a garantire la fiducia degli utilizzatori nei servizi e nelle tecnologie delle comunicazioni elettroniche. Le disposizioni riguardano in particolare il divieto di spam, il sistema di consenso preventivo dell’utilizzatore, il cosiddetto opt-in e l’installazione dei marcatori denominati cookies”. Che cosa vuol dire esattamente? Il fornitore di un servizio di comunicazione elettronica deve garantire e salvaguardare la sicurezza dei suoi servizi. I dati personali che vengono trasmessi devono risultare accessibili solo al personale autorizzato, e devono essere tutelati, non devono cioè venire distrutti, persi o alterati accidentalmente. Se ciò accade, il fornitore di servizi deve comunicare la violazione alla persona interessata, nonché all’autorità nazionale preposta alla regolamentazione. Vige in questo settore il principio di riservatezza nelle comunicazioni. Ci spiega esattamente di che cosa si tratta? Si tratta di uno dei principi della Direttiva europea del 2002 secondo il quale gli Stati membri devono garantire, con la legislazione nazionale, la riservatezza delle comunicazioni effettuate tramite una Rete pubblica di comunicazioni elettroniche. È fatto divieto di ascoltare, intercet-
tare, memorizzare le comunicazioni senza il consenso degli utenti interessati. L’abbonato o l’utente che memorizza le sue informazioni deve essere preventivamente informato sulle finalità del trattamento dei suoi dati e può ritirare il suo consenso al trattamento dei dati relativi al traffico. Un altro elemento significativo riguarda la conservazione del dati Anche in questo caso ci aiutano le disposizioni europee che stabiliscono che i dati sul traffico e i dati relativi all’ubicazione devono essere cancellati o resi anonimi quando non sono più necessari ai fini della trasmissione di una comunicazione o della fatturazione, a meno che l’abbonato non abbia dato il consenso a un utilizzo diverso. Ci sono alcune deroghe in caso di indagini su atti criminali o quando ci troviamo di fronte alla necessità di preservare la sicurezza nazionale, la difesa e la sicurezza pubblica. Spamming e cookies: come tutela la legge? Le norme adottano l’approccio di libera scelta (opt-in) in relazione alle comunicazioni elettroniche commerciali indesiderate. Gli utenti devono dare il loro accordo preliminare prima di ricevere queste comunicazioni. Lo stesso vale per gli Sms e gli altri messaggi elettronici ricevuti su qualsiasi terminale fisso o mobile. Lo stesso principio vale per i marcatori (cookies): gli utenti devono dare il loro consenso alla memorizzazione delle informazioni nella loro apparecchiatura terminale. A tale scopo, devono ricevere informazioni chiare e precise sulla finalità della memorizzazione o dell’accesso. Queste disposizioni tutelano la vita privata degli utenti contro i codici cosiddetti maligni, come i virus o i software spia, ma si applicano anche ai marcatori. z
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: ICT
firma digitale vediamoci chiaro L
a firma digitale è ormai entrata a far parte del mondo del lavoro e della pubblica amministrazione. Per ognuno di noi è possibile firmare documenti elettronici in qualsiasi luogo e occasione anche senza particolari conoscenze informatiche. È quindi molto importante conoscere a fondo questo strumento, comprenderne le caratteristiche e, soprattutto, i margini di affidabilità e sicurezza. Per chi fosse a digiuno in materia, occorre innanzitutto precisare che il termine “firma digitale” non si riferisce alla semplice riproduzione elettronica della firma scritta bensì a tutto l’insieme di dati elettronici utili all’identificazione informatica del dichiarante. Nello specifico, la firma digitale è una tipologia di “firma elettronica avanzata” che a sua volta differisce dal concetto di “firma elettronica semplice”. Basti pensare che ognuno di noi utilizza la firma elettronica semplice quotidianamente anche senza rendersene conto, ad esempio digitando ID e password per entrare nella casella di posta o il codice PIN del bancomat per effettuare un’operazione bancaria. L’insieme di dati che caratterizzano le firme elettroniche avanzate garantisce invece, oltre all’identificazione, anche la connessione univoca con il firmatario grazie all’utilizzo di strumenti diversi (token, smart card o tablet per il riconoscimento biometrico) e conferisce al documento efficacia probatoria pari alla scrittura privata, costituendo cioè piena prova della provenienza delle di-
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chiarazioni di chi l’ha sottoscritto. La sicurezza di questi dati è un tema di grande rilevanza, soprattutto in relazione ai processi di semplificazione della firma digitale e alla conseguente rapida diffusione della stessa che nei prossimi anni potrebbe toccare volumi anche tre volte superiori a quelli attuali. Le informazioni collegate alla nostra firma (e conseguentemente alla nostra persona) sono al sicuro da eventuali utilizzi impropri da parte di terzi? In particolare, la diffusione della firma biometrica (o meglio grafometrica) in ambito bancario e postale ha sollevato non pochi dubbi per quanto riguarda la privacy e la protezione dei dati sensibili. La firma biometrica (che rientra nell’insieme delle firme elettroniche avanzate) si basa sull'utilizzo di specifici tablet sui quali un qualsiasi utente può apporre la
propria firma, in maniera naturale, con un pennino dedicato, alla stessa stregua di quanto accade su un documento cartaceo. I dispositivi di acquisizione sono capaci di rilevare non solo il tratto grafico del firmatario ma anche parametri dinamici più specifici associati all’atto della firma come, ad esempio, la velocità di tracciamento, l’accelerazione, la pressione del tratto, l’inclinazione e i cosiddetti “salti in volo” (quanto, quando e come il pennino si solleva dal foglio durante l’applicazione della firma), tutte caratteristiche che permettono di ricondurre la firma in maniera certa al soggetto sottoscrittore. Ma, una volta siglato il documento, dove vanno a finire i dati generati dal movimento della mano? Chi li custodisce? L’istituto bancario? Una socie-
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tà di servizi? Possiamo affermare che, prima di tutto, i dati vengono “custoditi” dal documento stesso. I dispositivi, infatti, non prevedono l’analisi biometrica della firma ma la semplice “cattura” che viene automaticamente salvata sul documento firmato senza che i dati biometrici possano essere riproducibili. I dati elaborati vengono salvati contemporaneamente anche su un supporto capace di preservarne la leggibilità nel tempo e che dovrà essere conservato da una “parte terza”, un ente certificatore o un notaio. Così operando, in caso di necessità di verifica, sarà possibile decriptare i dati biometrici e confrontarli con quelli raccolti dal perito grafico che effettuerà le proprie comparazioni secondo regole non così diverse da quelle utilizzate negli attuali processi di verifica di sottoscrizioni su carta. Il concetto viene spiegato nel documento del Garante per la Privacy (formalmente, Garante per la protezione dei dati personali) “Linee guida in materia di riconoscimento biometrico e firma grafometrica”, in cui si precisa che i dati biometrici di una firma digitale non sono funzionali al riconoscimento biometrico di un individuo in quanto incorporati all’interno di documenti informatici: “Nella firma grafometrica - riporta il documento - si costituisce un set di informazioni biometriche che, con l’ausilio di tecniche crittografiche, viene strettamente associato a un determinato documento informatico, in modo tale da consentire ex post lo svolgimento di analisi grafologiche da parte di un perito calligrafo sulla genuinità della sottoscrizione, analogamente a quanto avviene con le firme sui documenti cartacei […]. L’utilizzo della firma grafometrica per la sottoscrizione di documenti non richiede, in genere, la creazione di una banca dati biometrica poiché le singole firme grafometriche sono volta per volta acquisite e incorporate, con le opportune protezioni crittografiche, nel documento informatico sottoscritto, eventualmente archiviato in un sistema di gestione docuz mentale”.
FIRMA BIOMETRICA: POSSIAMO DAVVERO FIDARCI? Lo abbiamo chiesto a Federico Berti Arnoaldi Veli, Sales & Marketing Manager di InfoKnowledge, che ci ha risposto: Dobbiamo inquadrare la questione in tre ambiti: tecnologico, normativo e di processo. Per quanto riguarda la tecnologia, l’hardware certificato (Smart card fino a ieri, al quale oggi si sono anche aggiunti i server di firma HSM), gli algoritmi degli standard di cifratura (della famiglia SHA – Secure Hash Algorithm), l’utilizzo del dispositivo di firma secondo i dogmi della sicurezza (qualcosa che ho, che so, che sono e che genero), combinati insieme sono elementi sufficienti a garantire sicurezza e integrità del dato/documento firmato. La normativa nazionale ha ormai messo sullo stesso piano la firma autografa e quella digitale, anzi quest’ultima porta in dote l’inversione dell’onere della prova (sono io che ho firmato che devo dimostrare che non sono stato io a firmare e non l’inverso, come avviene per la firma su carta). La firma digitale è uno strumento riconosciuto come valido per garantire autenticità e integrità del dato/documento in tutto il mondo. Forse manca ancora una reciprocità ed equipollenza dei vari tipi di firma fra i vari paesi ma, poco per volta, si sta arrivando anche a questo, ad esempio in Europa, con i recenti sviluppi che portano alla convergenza e all’interoperabilità delle troppe e diverse tipologie di firme digitali. Infine, il processo: il teorema fondante della firma digitale è basato, come detto, sui dogmi della sicurezza di possesso e conoscenza. La firma digitale oggi è declinabile in varie forme, qualificata, avanzata e grafometrica. Per quella qualificata esiste un riconoscimento a monte del firmatario da parte di un terzo che certifica la sua identità (Certification Authority), e questo ovviamente garantisce che io sono io perché il dispositivo è connesso “indissolubilmente” a un certificato di identità. Negli altri casi, invece, l’identificazione viene normalmente eseguita o prima/durante la firma oppure viene Punti di forza: massimo valore legale fatta con una certificazione di tipo inFIRMA Debolezza: diffusione più complessa terno (in sostanza: io ti dico che io soQUALIFICATA Opportunità: obbligatoria in molti casi, no io e tu ti fidi), dove il processo fifacilita processi b2b ad alto valore aggiunto duciario non è legato solo alla tecnologia e a processi standardizzati universalmente/ampiamente riconosciuti (si veda il rilascio delle credenPunti di forza: meno costosa FIRMA Debolezza: valore legale medio ziali di firma qualificate da parte delAVANZATA Opportunità: facilita processi b2c le CA). La sicurezza assoluta, però, non esiste, in quanto qualche falla può sempre annidarsi sia nella tecnologia e Punti di forza: intuitiva e, in teoria, più facile da usare sia nella normativa, così come, e ahiFIRMA Debolezza: valore legale medio, GRAFOMETRICA mè di frequente, nel processo. formati proprietari, strumenti verifica non standard Per info: http://www.firma-facile.it Opportunità: facilita processi b2c
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: SOCIETÀ E TRUFFE DIGITALI
L’INGEGNERE SOCIALE
LE MILLE STRADE DELLE TRUFFE DIGITALI
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econdo il Centro per gli Studi Strategici di Washington le truffe digitali e il crimine informatico in generale causano ogni anno danni per almeno 300 miliardi di euro a livello mondiale. A leggere le statistiche l’Italia parrebbe essere uno dei Paesi meno colpiti, dato che la percentuale di perdite causata dal cybercrime si colloca attorno allo 0,04% del Pil, a fronte dell’1,6% della Germania e di una media europea dello 0,41%. In realtà, le cifre traggono in inganno, e sono dovute più che altro a una scarsa consapevolezza del fenomeno e a una tendenza a denunciarlo, specie da parte delle aziende, che temono di subire
danni di immagine. “In Italia c'è un fortissimo bisogno di sensibilizzazione - spiega Raoul Chiesa, celebre hacker “etico”, esperto di fama mondiale e consulente di numerose organizzazioni internazionali -. Il numero di utenti Internet nel nostro Paese cresce vorticosamente ma sono utenti che, innanzitutto, non hanno un'educazione ‘di base’ all'ICT, e tanto meno alla sicurezza informatica. Sono inoltre persone che, sempre più spesso, accedono a Internet da mobile (smartphone, tablet) e su questi dispositivi è più difficile, rispetto ai classici PC desktop e laptop, l'utilizzo di strumenti di protezione”.
Un ruolo, dicono gli esperti, lo gioca anche la perdurante crisi economica: gli utenti, spinti dal miraggio del risparmio o del guadagno senza sforzo, tendono a cliccare anche offerte poco credibili; alla peggio, si dicono ingenuamente, non ci rimetteranno nulla, si tratta solo di un gioco “virtuale”. Va anche sottolineato come il cybercrime si sia molto evoluto nel corso degli anni, e utilizzi tecniche sempre più mirate di Social Engineering, e strumenti tecnici estremamente sofisticati evoluti, in grado di intercettare anche i Pin, i token e le password usa e getta via Sms, adoperate in ambito bancario.
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: SOCIETÀ E TRUFFE DIGITALI
Un trend molto recente è quello degli attacchi ai Pos e ai totem di pagamento (parcheggi, biglietterie automatiche): se prima questi dispositivi erano violati “fisicamente”, tramite, ad esempio, la manomissione per permettere la clonazione dei dispositivi - per esempio dai benzinai e nei supermarket - oggi l'attacco avviene via Internet, e ci sono già cinque differenti tipologie di malware pensate proprio per “bucare” questo tipo di dispositivi. Spesso le conseguenze negative di questo tipo di attacchi portati nel cyberspazio sono tutt'altro che virtuali, cosa di cui i malcapitati si accorgono 68
presto sulla propria pelle. “Ho visto di tutto - racconta Chiesa - da macchine prese in leasing all'insaputa di persone o aziende, sino a conti bancari svuotati tramite e-banking e il classico utilizzo dei "money mule" (nel gergo criminale, quelli sui cui conti correnti viene fatto transitare, spesso a loro insaputa, denaro sporco). La reputazione dei singoli individui poi è ovviamente a rischio: pensiamo solo a quanto impatto hanno oggi i social network sulla vita dei più e meno giovani”. Che fare, dunque? La migliore difesa sarebbe quella di creare internauti consapevoli e attenti ai possibili rischi della
navigazione su Internet. Educare, sensibilizzare. Come ha fatto, non molto tempo fa, un'associazione bancaria belga, sponsorizzando uno spot televisivo in cui un presunto sensitivo fa credere a degli sbalorditi cittadini di poter leggere le loro menti e “vedere” informazioni molto personali: dal giorno della loro ultima sbronza, al numero di carta di credito; dal numero di amanti, al prezzo della casa in vendita. Naturalmente il trucco c'è e, alla fine del filmato, si vede: tutte le informazioni, comprese quelle più intime e personali, erano state in precedenza raccolte da un team di analisti che non avevano
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RISPETTO AL PIL
0,04% 1,6% 0,41% ITALIA
fatto altro che scandagliare il Web. Erano stati gli stessi utenti, di propria volontà, a metterle online sui social network. “Purtroppo - spiega ancora Chiesa - in Italia l'Abi (Associazione bancaria italiana) non ha fatto nulla del genere; in rete c’è un tutorial del Garante per la Privacy e basta. Poi solo qualche breve inchiesta televisiva di programmi come Le Iene e Striscia la Notizia”. Un po' poco, anche considerando che si va sempre più verso servizi di e-government che obbligheranno i cittadini ad avere a che fare con la Pubblica amministrazione sempre di più per via digitale.
GERMANIA
MEDIA EUROPEA
“Una svolta giustissima, per carità - conclude Chiesa che però, se non adeguatamente gestita, può aprire scenari catastrofici per la privacy e sulle frodi economiche. Bisognerebbe che nelle gare di appalto pubbliche per la creazione di piattaforme che erogheranno servizi di e-government fosse contemplata, come percentuale dell'importo dell'appalto, la voce sicurezza informatica, esattamente come nel mondo edilizio viene inserita la voce riguardante la sicurezza fisica sul luogo di lavoro”. z 69
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SENTIRSI AL SICURO
PERCHÉ TEMIAMO PIÙ UN TERREMOTO DI UNA CRISI D’ASMA? COME VALUTIAMO I RISCHI INTORNO A NOI? PERCHÉ ALCUNE PERSONE SEMBRANO PIÙ SICURE DI SÉ E ALTRE, INVECE, HANNO DIFFICOLTÀ A GESTIRE LO STRESS? SCOPRIAMO COME FUNZIONA E DOVE RISIEDE LA NOSTRA PERCEZIONE DELLA SICUREZZA.
Intervista al Dott. Enrico Rubaltelli, Ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università degli Studi di Padova e membro del Ce.R.D. Centro di Ricerca sul Rischio e la Decisione
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a percezione del rischio è un processo cognitivo che riguarda diverse attività quotidiane e che orienta i comportamenti delle persone di fronte a decisioni che possono implicare dei rischi potenziali. Essa coinvolge più dimensioni come, per esempio, le conseguenze sia immediate sia future e le loro implicazioni tanto su un piano razionale e oggettivo quanto su un piano emozionale e soggettivo. Gli psicologi hanno cominciato a occuparsi di percezione del rischio quando hanno compreso che i vari approcci al calcolo oggettivo del rischio erano insufficienti per poter comprendere i comportamenti delle persone e per poterle indurre a reagire nel modo corretto al pericolo. Infatti, i modelli per il calcolo del
rischio oggettivo sono spesso delle approssimazioni di ciò che costituisce una specifica insidia e non considerano una lista esaustiva dei fattori che potrebbero essere coinvolti. Inoltre, un particolare limite del rischio inteso come misura oggettiva della pericolosità di un’attività è che in realtà le persone non utilizzano stime oggettive nel momento in cui devono decidere come comportarsi. Spesso, infatti, le persone tendono a sovrastimare o sottostimare il rischio a seconda che percepiscano un’attività più o meno pericolosa di quello che affermano le statistiche e le valutazioni di tipo oggettivo. Approfondiamo l’argomento con il dott. Enrico Rubaltelli, ricercatore del Ce.R.D. dell’Università di Padova.
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PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: SOCIETÀ E PSICOLOGIA DELLA SICUREZZA
Quali sono le situazioni della vita quotidiana nelle quali più spesso capita che l’individuo non si senta al sicuro? Per prima cosa va detto che nonostante molti rischi possano essere misurati più o meno oggettivamente, le persone tendono a valutare questi stessi rischi in modo soggettivo. Per questo motivo nella letteratura psicologica si parla di percezione del rischio, ovvero di come le persone si sentono rispetto a determinate situazioni o eventi. Essendo la valutazione del rischio soggettiva, esperienze precedenti, informazioni apprese dai media e confronto con gli altri (amici, colleghi e parenti) sono tutti fattori che ricoprono un ruolo importante nel determinare le sensazioni delle persone. La ricerca condotta fin dagli anni ’70 ha dimostrato che diversi fattori (o caratteristiche del rischio) determinano gli atteggiamenti delle persone. Tra questi fattori ci sono la percezione di poter controllare o meno il rischio insito in una particolare attività o situazione, il fatto che uno specifico rischio sia conosciuto dalla scienza o meno, la portata delle conseguenze (pericolo collettivo o individuale) e così via (il principale autore in questo senso è Paul Slovic, un professore americano che collabora anche con alcuni membri del Ce.R.D.). Tutti questi fattori possono essere raggruppati in due principali dimensioni che aiutano a descrivere il modo in cui la maggioranza delle persone percepiscono il rischio. La prima dimensione è quella del rischio terrificante, non controllabile, con conseguenze gravissime anche per generazioni future, assunto non volontariamente e con conseguenze probabili a livello collettivo (fattore del rischio terrificante). La seconda dimensione è quella del rischio non osservabile, non conosciuto dalla scienza, nuovo, con effetti differiti nel tempo (che ne rendono più difficile l’osservazione). Sulla base di questi fattori si può comprendere perché le persone sono propense a sopravvalutare eventi la cui rischiosità è relativamente bassa, mentre tendono a sottovalutare eventi la cui rischiosità è invece elevata. Per fare un esempio: dati americani, che certamente valgono anche in Italia, mostrano che la popolazione tende a sopravvalutare il rischio di morire a causa di 72
In modo simile si possono analizzare i cadisastri naturali come tornado o terremosi del rischio di morte per alluvioni o altri ti (eventi non controllabili, le cui conserischi naturali che vengono molto seguiti guenze sono collettive e terrificanti). Al dai media, creano evidenti problemi ai citcontrario, la popolazione tende a sottotadini colpiti come è successo recentevalutare il rischio di morire a causa di eventi molto più frequenti come le crisi d’asma mente a Genova, ma non uccidono nuo l’influenza (eventi che in molti casi sono meri elevati di persone (per fortuna!). Il controllabili, frequenti nella popolazione, terrorismo ha più o meno lo stesso impatconosciuti dalla scienza, non distruttivi e le to sulle nostre reazioni psicologiche, dal momento che è chiaramente percepito cui conseguenze sono individuali piuttocome terrificante (basti pensare alle imsto che collettive). magini degli aerei che si sono schiantati In parte, questo dipende anche dalla tendenza delle persone a sopravvalutare le sulle torri gemelle l’11 settembre 2001 probabilità più basse e a sottovalutare che rimangono scolpite nelle nostre memorie), ha la capacità di uccidere molte probabilità medie e alte (si veda la funziopersone allo stesso tempo, è poco famine di ponderazione della Teoria del Prospetto proposta da Kahneman e Tversky, liare e ha una natura incerta dal momento che è quasi impossibile sapere quando, 1979). Inoltre, le persone tendono ad associare agli eventi delle reazioni di tipo come e dove un attentato avverrà. Gli stessi processi psicologici e dimensioni emotivo, automatiche e di cui non sono del rischio sono coinvolti anche consapevoli, per cui si spaventanella sfera sempre più perno per ciò che induce loro vasiva della vita virtuaemozioni negative piuti ch molti ris le. tosto che di fronte a Nonostante misurati più re e s s e eventi caratterizzati possano ttivamente, da alta probabilità o meno ogge a valutare questi di produrre consendono le persone te in modo soggettivo. guenze negative. stessi rischi vo nella letteratura Si parla di perceoti Per questo m i parla di percezione zione proprio perpsicologica s ro di come le persone ché gli individui vve basano le loro readel rischio, o spetto a determinate o zioni su ragionamensi senton ri ni o eventi. situazio ti intuitivi piuttosto che su un calcolo di probabilità statistica (che sarebbe più coerente con la valutazione oggettiva del rischio). Se applichiamo questi ragionamenti alla vita quotidiana, considerando anche il ruolo dei media nell’influenzare la frequenza con cui ogni avvenimento viene riportato e reiterato, è facile capire che una potenziale epidemia di Ebola in Italia potrebbe suscitare grande preoccupazione non appena un caso di contagio dovesse verificarsi. Le persone non conoscono questo virus, che tra l’altro arriva da lontano, e anche la scienza ha una scarsa comprensione del fenomeno (come si diffonde? Perché persone con indumenti protettivi sono state contagiate e ad oggi ancora non esiste un vaccino?). Infine, le conseguenze vengono percepite come collettive visto che l’epidemia potrebbe contagiare un elevato numero di persone.
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Il saggista e crittografo Bruce Scheiner dice: “Security is both a feeling and a reality and they are not the same. You can be secure even though you don’t feel secure.” Come mai a volte ci sentiamo al sicuro anche se in realtà non lo siamo? A volte le persone possono provare una sensazione di insicurezza mentre camminano per le strade della loro città, nonostante non ci siano rischi evidenti. Di conseguenza, una sensazione di insicurezza potrebbe essere ingenerata anche quando la realtà oggettiva è ben diversa e sufficientemente sicura. Questo avviene perché basiamo le nostre valutazioni su sensazioni intuitive piuttosto che su dati oggettivi, di conseguenza percepiamo la sicurezza nello stesso modo in cui percepiamo gli stimoli fisici. In percezione esistono numerosi casi di illusioni percettive, ossia condizioni in cui le persone pur sapendo il trucco sottostante a un gioco percettivo rimangono convinte dalla loro sensazione che qualcosa non sia come gli vie-
ne detto. In modo simile un individuo può incorrere in illusioni cognitive, ovvero detenere delle convinzioni che sa essere non corrette ma a cui non può non credere a meno di esercitare costantemente attenzione per modificare la sua reazione immediata (dal momento che fare una cosa del genere affatica il sistema cognitivo, è molto probabile che l’individuo si fidi delle sue reazioni di pancia, intuitive). Il mondo circostante quindi sarà percepito in modo coerente con le proprie convinzioni. Se un individuo ritiene che un certo ambiente o situazione sia rischioso sarà molto più sensibile a informazioni che confermino questa sua intuizione piuttosto che a informazioni che suggeriscono che il rischio è inferiore. Ad esempio, se due persone camminano per una strada cittadina la sera ed è buio, la persona convinta che la città sia insicura tenderà a vedere la luminosità dei lampioni come inferiore rispetto a quanto non percepisca l’altra persona che invece si sente a suo agio e non percepisce quella stessa strada
come rischiosa. Le informazioni che raggiungono i nostri sensi e su cui ragioniamo vengono quindi rielaborate e interpretate in base ai nostri valori, credenze e sensazioni e una situazione non rischiosa può essere percepita come insicura da qualcuno ma non da altri. La conseguenza di tutto questo è quindi quanto sostiene anche Bruce Scheiner, ovvero che possiamo sentirci insicuri anche in un ambiente sociale, di lavoro o familiare che invece è più sicuro di quanto non fosse molti anni fa (o di quanto noi siamo convinti). Provi a chiedere a qualcuno se il numero di omicidi commessi in Italia è aumentato, diminuito o rimasto uguale negli ultimi 10-15 anni. Molti le risponderanno che è aumentato o al massimo rimasto uguale, invece è diminuito in modo significativo. Steven Pinker ha scritto un libro di più di 700 pagine in cui sostiene che viviamo nel periodo più sicuro della storia del mondo e soprattutto nel periodo in cui c’è il numero di uomini uccisi in guerra più basso di sempre. Alcuni antropologi hanno suggerito, con analisi scientifiche dei resti di uomini preistorici, che per ogni 100.000 maschi adulti le tribù preistoriche uccidevano in situazioni di guerra (o battaglia) un numero di individui maschi molto maggiore di quello registrato successivamente e che questo numero è diminuito costantemente nella storia dell’umanità (incluso il ‘900 nonostante due guerre mondiali). A ciascuno la libertà di controllare i dati e trarre le proprie conclusioni, tuttavia pochi hanno una simile intuizione o sposano una simile conclusione dal momento che i media sono zeppi di riferimenti a situazioni belliche come quelle recenti in Ucraina, Iraq, o Siria. Infatti, molti sono convinti di vivere nel momento più pericoloso della storia. Anche in questo caso, è difficile per le persone capire se si tratta di un periodo davvero più pericoloso rispetto a tempi passati o se è solo una percezione dovuta alla qualità della copertura mediatica di eventi che avvengono, a volte, lontano dai confini italiani. Paura, insicurezza, percezione del rischio; in quale/i zona/e del cervello risiedono tutti questi sentimenti? E come mai alcuni individui reagiscono in un modo e altri in un altro? 73
PRIMO PIANO SAFETY E SECURITY: SOCIETÀ E PSICOLOGIA DELLA SICUREZZA
Non c’è una zona precisa del cervello in cui risiedono questi sentimenti e sensazioni. Ho parlato in precedenza di ragionamenti e percezioni intuitive. Queste nascono in regioni profonde del cervello (ad esempio nell’amigdala che si trova in profondità all’interno dei lobi temporali ed è coinvolta nell’immagazzinamento e memoria di stimoli ed esperienze emotive), ma vengono poi comunicate agli emisferi cerebrali e in particolare ai lobi frontali, una regione del cervello coinvolta nella pianificazione del comportamento e nel mentalizing (l’abilità di comprendere i propri e altrui stati mentali) e nella consapevolezza delle emozioni. Per chiarire l’importanza dei lobi frontali, un motivo per cui gli adolescenti sono particolarmente propensi all’assunzione di rischi è dovuta al fatto che le strutture più profonde sono le prime a svilupparsi completamente durante la crescita mentre i lobi frontali sono l’ultima struttura del cervello a raggiungere il pieno sviluppo (avviene intorno ai 30 anni). Di conseguenza, gli adolescenti tendono a faticare nel pianificare i propri comportamenti e anticipare le conseguenze indesiderate, comportandosi invece in modo piuttosto intuitivo. Chi è molto sicuro di sé vive meglio degli altri? Certamente chi è più sicuro di sé vede il mondo come più prevedibile e dà particolare importanza ai feedback che gli danno ragione piuttosto che a informazioni che vanno in direzione contraria rispetto alle proprie “certezze”. Tuttavia, queste persone possono anche essere esposte a sorprese più grandi nel momento in cui le loro certezze vengono messe in crisi. D’altra parte, la mancanza di certezze, i dubbi e la sensazione che il mondo sia pericoloso perché imprevedibile e pieno di rischi è sicuramente una notevole fonte di stress e questo tipo di vissuto psicologico alla lunga può diventare un ostacolo a una vita normale e al benessere psicologico. In parte questo è l’obiettivo del terrorismo, ovverosia dare la sensazione che qualcosa di spiacevole potrebbe accadere in qualsiasi momento. In conclusione, gli studi sulla felicità e sul benessere delle persone sembrano mostrare che chi vede il mondo in modo più prevedibile ed è più sicuro ha minori livelli di stress, tuttavia questo potrebbe non
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IL Ce.R.D Il Centro di Ricerca sul Rischio e la Decisione (Ce.R.D.) opera nel campo della psicologia della decisione. In particolare, l'attività di ricerca del centro si concentra su alcuni temi principali: decisioni economiche, decisioni mediche, percezione del rischio, decisioni morali e responsabilità sociale. La psicologia della decisione è un campo di ricerca che ha subito una rapida evoluzione negli ultimi decenni e che si è caratterizzata per il fatto di aver riportato l'individuo e il suo funzionamento cognitivo al centro dell'indagine relativa al comportamento di scelta in condizioni di incertezza. Questa disciplina si basa sull'ipotesi che le persone hanno risorse cognitive limitate e in molte situazioni della vita quotidiana utilizzano delle strategie intuitive per prendere delle decisioni. Ciò accade spesso quando il contesto decisionale è troppo complesso e richiede un eccessivo dispendio di risorse cognitive (per esempio, risorse attentive, abilità di calcolo, ecc.). Per questi motivi, è di fondamentale importanza lo studio dei processi cognitivi che guidano le scelte e i comportamenti dei cittadini in modo tale da creare delle politiche sociali tali da rispettare la percezione che i cittadini hanno dei risultati che ci si attende di ottenere. Per maggiori informazioni: http://dpss.psy.unipd.it/cerd/
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dipendere solamente da una questione di sicurezza in sé ma in gran parte dalla capacità di regolare e gestire meglio le proprie emozioni (questi temi sono stati studiati da autori come Diener o Gross). L’espressione “terrorismo psicologico” spesso viene usata anche nei rapporti tra gli individui. Quali meccanismi entrano in gioco in questi casi? Come mai alcune persone rimangono “vittime” del terrorismo psicologico (ad es. in ambito lavorativo)? Persone che hanno meno certezze o con una personalità meno sicura possono trovarsi in questo tipo di situazioni perché più suscettibili al giudizio altrui. Sicuramente un aspetto rilevante in queste situazioni è quello della regolazione delle emozioni e della gestione dello stress. Ci sono perso-
ne che hanno una migliore abilità di regolazione delle emozioni, che potrebbero percepire gli attacchi di un collega o di un superiore come delle sfide da cui cercare di uscire vincenti (e in generale sono capaci di dare un’interpretazione positiva anche alle situazioni negative). Altri invece potrebbero faticare a reinterpretare queste situazioni e a dargli un senso (per quanto possibile), trovandosi quindi a gestire elevati livelli di stress indotti dal fatto di sentirsi attaccati o giudicati o in posizione di debolezza. Queste persone potrebbero reagire cercando di negare l’esistenza del problema o cercando di sopprimere lo stress e la negatività creati dagli attacchi subiti. Tuttavia, questo tipo di strategia è svantaggiosa dal momento che sopprimendo le proprie emozioni
negative non le si risolve e queste tendono a riemergere costringendo la persona a affrontarle nuovamente e sopprimerle in continuazione. L’esito finale sarà quello che lo stress o l’emozione negativa invece di diminuire tenderanno ad aumentare. Questo penso sia il motivo principale per cui alcune persone sembrano “impermeabili” al “terrorismo psicologico”, mentre altre sembrano particolarmente suscettibili a queste strategie. Ovviamente, tratti di personalità, l’ambiente in cui si è cresciuti, eventuali distanze tra ciò che si desidera e ciò che si sta vivendo, oppure una differenza tra le nostre ambizioni e le aspettative altrui nei nostri confronti sono tutti fattori che possono modulare l’effetto del “terrorismo psicologico”. z
LA DISTANZA? È QUESTIONE DI CULTURA! Negli anni sessanta l’antropologo Edward Hall conia il termine “prossemica” per indicare la disciplina che studia i gesti, la gestione dello spazio e delle distanze all’interno di una comunicazione. Concetto centrale della prossemica è quello di Spazio Vitale (o Prossemico): una specie di bolla che ci avvolge e che definisce la distanza in base alla quale regoliamo i nostri rapporti interpersonali. Nel nostro spazio si alternano processi di avvicinamento e processi di allontanamento, a seconda del rapporto che vogliamo avere con gli altri. Distinguiamo quattro distanze prossemiche: la distanza intima (da 0 a 45 cm), ossia la distanza dei rapporti intimi (ad esempio quelli tra partner o tra amici e parenti molto stretti) che può implicare il contatto fisico con l’altra persona, un uso basso del tono della voce, frequenti gesti ed espressioni di intesa; la distanza personale (da 45 cm a 70 cm/1 m), ossia lo spazio che mettiamo tra noi e amici e parenti, che può comportare un contatto fisico e una ricerca dello sguardo più frequente rispetto alla distanza intima; la distanza sociale (da 120 cm a 2 m), ossia la distanza presa nelle situazioni formali, come gli incontri di lavoro; la distanza pubblica (da 2 m in poi), tenuta in situazioni pubbliche ufficiali che comporta un’enfatizzazione dei movimenti e una intensità elevata della voce. Dunque, più stiamo vicini e più il nostro comportamento cambia: aumentano l’intesa, i contatti fisici, la voce si abbassa, si riducono gli sguardi. Ovviamente le “regole” prossemiche non valgono per tutti: i comportamenti, infatti, dipendono dal temperamento, dalla storia personale, dallo stato d’animo o anche dall’etnia del singolo individuo. Lo Spazio Prossemico, infatti, varia anche in base alle culture: si riduce molto nei paesi arabi e si allarga in quelli nordici. Possiamo fare numerosi esempi: in Italia, ad esempio, è molto frequente che due donne, o una donna e un uomo (ma raramente nel caso di due uomini), si scambino due baci sulla guancia quando si salutano; in Giappone, invece un bacio in pubblico è escluso anche nel caso di padre e figlio, mentre in Turchia il bacio è d’obbligo anche tra uomini. Anche lo spazio personale nel luogo di lavoro è vissuto diversamente: nel nostro Paese, la porta chiusa di un ufficio indica prestigio, distacco dal resto dei colleghi; prima di entrare si bussa anche se non sempre si aspetta il permesso. I giapponesi, invece, preferiscono gli spazi aperti anche per definire al meglio i ruoli gerarchici. I nordici, addirittura, considerano gli spazi aperti come una mancanza di rispetto. Per quanto riguarda la sfera intima, in Italia la sua ampiezza è pari alla lunghezza di un braccio teso; nel Mediterraneo arabo, invece, la sfera intima si riduce e spesso si tocca l’interlocutore mentre si parla; gli americani e gli europei dell’area non mediterranea si pongono a una distanza pari alla lunghezza di un doppio braccio teso. 75
QUALITÀ DELLA VITA: VIAGGI
SICUREZZA A CINQUE STELLE.
OVVERO
SAFETY E SECURITY ANCHE IN ALBERGO 76
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FACCIAMO DI TUTTO PER METTERE AL SICURO LE NOSTRE CASE MA QUANDO VIAGGIAMO NON CI CHIEDIAMO MAI SE L’ALBERGO CHE CI OSPITERÀ CI OFFRIRÀ LE STESSE PROTEZIONI. E INVECE NELLE STRUTTURE ALBERGHIERE SAFETY E SECURITY SONO ASPETTI DI PRIMARIA IMPORTANZA. SOPRATTUTTO QUANDO LA SEDE È IN AREE GEOGRAFICHE CRITICHE E A RISCHIO DI ATTENTATO.
S
entirsi al sicuro. Che si viaggi per lavoro o per divertimento, la sicurezza personale, dei propri cari e dei beni è condizione prioritaria e irrinunciabile e può influenzare la scelta della destinazione finale e dei luoghi nei quali soggiornare. È un aspetto che chi opera nel settore turisticoalberghiero non può e non deve mai sottovalutare se vuole raggiungere standard elevati e non perdere clientela. “Le grandi compagnie, soprat-
tutto quelle statunitensi come Hilton, Starwood, Marriott e Intercontinental - ci spiega Antonio Antonucci, per molti anni responsabile Sicurezza Italia della Starwood Hotels - hanno sempre prestato particolare attenzione alla security dei propri clienti anche prima del famigerato attacco terroristico alle Twin Towers dell’11 settembre 2001, attentato che ha inciso profondamente sulle dinamiche del settore. Queste grandi catene alberghie-
Intervista a Antonio Antonucci, Managing Director Hotel Security Division presso Gruppo Security & Safety per molti anni Responsabile Sicurezza Italia Starwood Hotels re si sono trovate in vantaggio rispetto ad altre compagnie internazionali, soprattutto per quanto riguarda le procedure, le normative da applicare e la presenza di attrezzature idonee e di personale formato. Quanto il terrorismo internazionale ha modificato e orientato i sistemi di sicurezza? Il terrorismo internazionale ha alzato vertiginosamente la soglia di attenzione. È stato necessario individuare e introdurre nuovi sistemi di sicurezza più sofisticati, capaci di prevenire e rispondere alle diverse e possibili tecnologie di attacco. Gli alberghi hanno dovuto investire per definire misure di protezione puntuali e articolate. A livello generale ci si è concentrati più sul fattore tecnologico che su quello umano con la conseguenza che i nuovi dispositivi di sicurezza sono sì molto efficienti, ma sono passivi e non proattivi e quindi i siti restano sempre
potenzialmente vulnerabili. La dimensione difensiva di una struttura per essere efficiente deve essere sempre integrata da personale qualificato. Il successo si ottiene quando le risorse umane e quelle tecnologiche sono bilanciate e complementari e si adattano alle necessità specifiche di salvaguardia delle persone o dei beni. La sicurezza di una struttura o di un luogo è fattore determinante nella scelta del cliente che si muove per una vacanza e quindi per un periodo di sicuro relax. Quali sono le priorità per gli operatori? Sono diversi i fattori che incidono quando si deve organizzare la security di un sito. Ad esempio se un albergo sorge in aree geografiche dominate dall’instabilità politica quali Israele o la Turchia, l’elevata percentuale di rischio porta all’installazione di più sistemi di controllo, come il metal detector da collocare su tutte le porte 77
QUALITÀ DELLA VITA: VIAGGI
d’ingresso, le videocamere di sorveglianza lungo il perimetro della struttura e la presenza di guardie armate. Vengono inoltre scrupolosamente controllate tutte le automobili in entrata e intorno all’hotel e ispezionata scrupolosamente la corrispondenza postale e i pacchi in arrivo. Quale politica di comunicazione viene adottata per trasmettere ai clienti gli standard di sicurezza adottati? Un cliente abituato a viaggiare si rende subito conto degli standard di sicurezza adottati da un albergo sia dal punto di vista tecnologico (telecamere, metal detector...) sia in termini di personale specifico dedicato.
tazione puntuale dei pericoli? In generale si fa riferimento ad aziende o realtà specializzate in tali tipi di valutazione. Sicuramente è importante considerare l’ubicazione dell’edificio, l’ampiezza e la tipologia. Ad esempio per un resort composto da bungalow o ville la situazione è più critica poiché il numero di fabbricati e la distanza tra di essi comporta un esame più approfondito. Per il personale vengono fatti corsi periodici di aggiornamento sui rischi da affrontare e ci si avvale di personale specializzato per il training.
normativa molto più avanzata. Ad esempio lo sprinkler system, il sistema automatico di estinzione a pioggia che ha lo scopo di rilevare la presenza di un incendio e di controllarlo è obbligatorio negli States. La normativa italiana invece ritiene sufficiente l’installazione di dispositivi di rilevamento di fumi o di variazione di calore. E il personale all’interno della struttura? Per il personale la formazione continua su queste tematiche è il vero valore aggiunto ed è una metodica standard per le grandi catene alber-
Il cliente è “elemento” da proteggere, ma anche autore di comportamenti spesso discutibili e
L’attuale crisi economica e la conseguente opera di contenimento dei costi quanto ha inciso sugli standard di sicurezza nel settore?
Dipende da hotel a hotel e da compagnia a compagnia. Le società internazionali non hanno diminuito gli standard, anzi in molti casi li hanno aumentati. La situazione è diversa per gli alberghi padronali o a conduzione familiare che con la crisi hanno dovuto, gioco forza, rivedere la base dei costi aziendali tra cui anche quelli relativi alla sicurezza. Cliente, personale interno, strutture e edifici: sono i tre vettori verso i quali si orienta la politica in materia di sicurezza. Esiste una politica di esame dei rischi, una valu78
avventati. Può essere causa di reale pericolo per se stesso e per gli altri. Spesso atteggiamenti poco rispettosi o rilassati hanno provocato autentici disastri. Come si educa il cliente alla sicurezza? I clienti sono informati dal personale presente all’interno della struttura e da apposite indicazioni sul corretto comportamento da seguire per evitare rischi e pericoli di ogni genere. In questo campo, più strettamente della safety e non della security, sono le compagnie statunitensi a tenere elevati standard di sicurezza rispetto al resto del mondo perché esiste una
ghiere internazionali. Proprio la formazione del personale è l’elemento distintivo delle compagnie rispetto a un hotel senza brand e a conduzione familiare. La figura di security manager e quella di responsabile della sicurezza interna ed esterna alla struttura sono reperite tra i dipendenti o appaltate all’esterno? La figura del security manager deve far parte della pianta organica, lavorare all’interno della struttura e rispondere a livello gerarchico solo ed esclusivamente al direttore generale. Le altre figure professionali che operano nel campo della sicurezza possono anche essere reperite all’esterno. Ci si può avvalere di ditte specializzate
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purché rispondenti a requisiti adatti alla funzione da svolgere. Struttura: quali dispositivi o sistemi vengono adottati? Esiste una protezione esterna che riguarda anche le zone circostanti? Le soluzioni sono diverse e la tecnologia adottata sempre più sofisticata. Si passa dai sistemi antifurto alle televisioni a circuito chiuso e ancora serrature particolari e casseforti. Tutto è utile, ma nulla è sufficiente a contrastare i reati, se il sistema non viene integrato con “il fattore umano”. Solo con il supporto di personale adeguatamente formato una catena alberghiera è in grado di prevenire e contrastare i reati e raggiungere gli standard di sicurezza auspicati. Fino a che raggio di azione una struttura alberghiera può operare in autonomia e quando invece si deve interfacciare con organi di polizia esterni? In presenza di situazioni sospette e di rischio che potrebbero degenerare e provocare danni a persone o cose, è sempre necessario coinvolgere le forze dell’ordine sia nella fase di intelligence sia in quella successiva della repressione. Spesso la collaborazione parte anche dalle forze di polizia che segnalano alla struttura la presenza tra i clienti di individui sospetti. All’interno della struttura l’operatore alberghiero organizza esercitazioni legate alla sicurezza con autonomia? Sì, fanno parte generalmente del training e della formazione del personale che si espleta anche con una serie di esercitazioni pratiche nel settore safety. Due volte l’anno vengono organizzate anche esercitazioni di evacuazione dell’immobile al fine di testare la conoscenza delle normative dei dipendenti e verificare la corretta applicazione della procedura da parte dei diversi attori coinvolti.
Dal suo punto di osservazione la normativa italiana è più o meno severa rispetto alle disposizioni internazionali in materia? Sicuramente meno severa rispetto agli Stati Uniti o Israele, dove il rischio attentati è molto forte. Una maggiore omogeneizzazione delle normative sarebbe auspicabile. Quanto è difficile conciliare le politiche di sicurezza con quella della privacy? È estremamente difficile conciliare sicurezza e privacy, in quanto spesso la privacy ostacola fortemente la sicurezza. Solo in caso di azioni congiunte con le forze dell’ordine i vincoli legati a questa problematica vengono meno. Nel caso di telecamere installate all’interno o all’esterno dell’edificio come si risolve il problema della privacy? Per quanto riguarda l’utilizzo delle telecamere è fondamentale seguire le normative vigenti posizionando apposita cartellonistica informativa per il cliente. Per l’uso di telecamere interne è necessario raggiungere un’intesa con il personale soprattutto per concordare il posizionamento delle stesse.
Quali sono gli accorgimenti o le strutture tecnologiche più avanzate per garantire la massima sicurezza delle persone o degli oggetti? Direi senz’altro telecamere a circuito chiuso, allarmi nelle uscite di emergenza e non, metal detector e dispositivi per la rilevazione di esplosivi. Ribadisco però ancora una volta che il fattore strategicamente più importante riguarda il coinvolgimento del personale perché la sicurezza è un compito che coinvolge tutti coloro che lavorano all’interno della struttura. Sotto il profilo delle esperienze personali svolgendo questa professione si è mai trovato in pericolo? Le è mai capitato in strutture alberghiere o negli aeroporti internazioni di percepire carenze o lacune nelle politiche di sicurezza? In pericolo vero e proprio non direi. Spesso però faccio alcuni test di verifica e constato con amarezza che molti alberghi sono assolutamente privi delle strumentazioni base. Troppo spesso esistono lacune e i controlli latitano. z 79
QUALITÀ DELLA VITA: HOBBY
QUASI QUASI MI COMPRO UN UN DRONE NON È UN GIOCATTOLO. O, MEGLIO: PUÒ ANCHE ESSERLO. MA PRIMA ANCORA PUÒ ESSERE UN’ARMA, UN MEZZO DI TRASPORTO, UNO STRUMENTO DI MONITORAGGIO. UN OGGETTO, INSOMMA, DALLE GRANDI POTENZIALITÀ, CHE COINVOLGE NUMEROSI AMBITI LEGATI ALLA PRIVACY, ALLE TELECOMUNICAZIONI, ALLA SICUREZZA IN VOLO. CE LO SPIEGA MEGLIO L’AVV. GIOVANNI BATTISTA GALLUS, ESPERTO DI DIRITTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE.
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ono dei piccoli velivoli senza pilota a bordo, in grado di percorrere, telecomandati, anche grandi distanze e svolgere missioni di vario tipo: dagli omicidi mirati, nel caso dei mezzi stanziati per usi militari, al monitoraggio delle zone a rischio di incendio o alla ripresa di immagini da utilizzare al cinema o in Tv, nel caso di quelli adibiti ad usi civili. La definizione esatta è “sistemi aeromobili a
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pilotaggio remoto” (Sapr), ma sono conosciuti più comunemente come droni. Il burocratese, però, in questo caso ha il suo perché. Come spiega l’avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie Giovanni Battista Gallus, “la normativa italiana mette infatti l’accento sul ‘sistema’ drone, che comprende non soltanto il singolo apparecchio, ma anche la centralina di controllo e pilotaggio a terra e il
pilota”. Il nostro Paese è uno dei pochi ad aver finora emanato – tramite l’ente preposto alla regolamentazione dello spazio aereo, l’Enac – un regolamento apposito per disciplinare un settore finora lasciato quasi totalmente a se stesso, ma che a livello globale, entro il 2020, secondo uno studio del Gruppo Teal potrebbe valere qualcosa come 11,3 miliardi di dollari annui.
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Purché appunto, arrivino codici e regolamento a fissare i confini del diritto consentendo ad aziende e privati di accedere a un quadro di riferimento puntuale e preciso. Anche e soprattutto, sul piano della sicurezza, un aspetto non certo marginale quando si tratta di far volare su radure e centri abitati dei congegni che possono arrivare a pesare anche centinaia di chili (sebbene quelli per uso civile di solito siano di solito di peso molto inferiore) e che potrebbero causare danni ingenti a cose e persone in caso di avaria o imperizia. Il regolamento Enac, approvato a dicembre 2013 ed entrato in vigore ad aprile 2014, introduce una prima grande linea di demarcazione fra i cosiddetti “aeromodelli” e i droni. La distinzione riguarda principalmente la finalità di utilizzo: i primi vengono fatti volare soprattutto per svago e divertimento; i secondi, come accennato più sopra, possono compiere missioni anche delicate. Oltre a ciò l’ente distingue, ai fini delle autorizzazioni e delle certificazioni richieste, fra gli apparecchi con peso minore di 25 kg e quelli che superano tale soglia. “C’è anche l’ipotesi di stilare norme apposite per i mini-droni con peso inferiore a due chili - spiega Gallus - ma per il momento si tratta solo di una possibilità accennata nel regolamento”.
Per il momento, e in attesa di integrazioni, le regole sono queste: per far decollare i Sapr che pesano meno di venticinque chili e non sorvolano zone critiche (centri abitati, infrastrutture industriali e simili) basta un autocertificazione che attesti l’adeguatezza del sistema. È necessaria comunque una targhetta di identificazione, simile a quella di automobili e motorini, che riporti il nome del costruttore, il numero di costruzione e il nome dell’operatore. Un altro aspetto disciplinato dal regolamento è la distanza che il velivolo può percorrere rispetto al pilota e le modalità di controllo visivo: nel caso di apparecchi di peso inferiore a 25 kg, lo stesso deve rimanere sempre in modalità VLOS (Visual line of sight), senza essere mai perso d’occhio dall’operatore. I droni più pesanti possono invece scomparire per brevi tratti dallo sguardo del pilota. Fin qui, comunque, è tutto abbastanza semplice. Le cose si fanno molto più complicate, invece, nel caso di droni inferiori a 25 kg, ma impegnati in operazioni critiche, oppure di mezzi che pesino di più. In questi casi, le qualifiche del pilota devono essere certificate dall’Enac e occorrono gli stessi requisiti necessari per condurre aerei tradizionali: età maggiore di 18 anni, conoscenza delle regole del volo e relativo brevetto, certificato medico di tipo aeronautico. “In questo caso l’approccio chiaramente non è più, ‘prendo un drone e lo faccio volare’, come poteva avveni-
re in assenza di regole - sottolinea Gallus - si tratta invece di una vera e propria attività imprenditoriale, che è organizzata passo per passo”. Rientra appunto in questa logica anche quel passaggio del regolamento che disciplina la protezione delle comunicazioni fra drone e operatore a terra. “Senza un’adeguata protezione - dice l’esperto - qualsiasi bravo hacker potrebbe dirottare uno di questi velivoli da terra o con altri sistemi. Sono stati per esempio creati anche dei droni in grado di “hackerare” e dirottare altri droni. Per questo si prevede che il collegamento dati debba essere fatto in modo da minimizzare il rischio di interferenze, volontarie o meno”. Il problema rimane, e non basta certo un regolamento a fermare i malintenzionati. Spesso poi i Sapr sono fatti volare in aree isolate, dove è difficile che qualcuno venga a controllare l’applicazione delle regole. Che fare dunque, in caso di incidente? Ci dovrebbe pensare, come avviene per le auto, l’assicurazione. L’Enac infatti ha stabilito che ogni drone debba averne una. Ma i premi sono molto alti, e nel caso una delle controparti non l’abbia stipulata o non sia in grado di pagare non esiste ancora nulla di simile al fondo di garanzia per le auto, che risarcisce il creditore in questi casi. Si pensi poi anche a un altro problema: in caso per esempio di avaria, di chi è la responsabilità del guasto? Di chi ha progettato il software di controllo? Del pilota a terra? Della fabbrica produttrice del velivolo? “L’orientamento della giurisprudenza - spiega Gallus - è di considerare tutti questi soggetti responsabili in solido”. Si pone però il problema della ripartizione delle responsabilità. z
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QUALITÀ DELLA VITA: CULTURA DELLA SICUREZZA
QUANDO NEI POSTI DI LAVORO LA SICUREZZA PASSA DA UN CARTONE ANIMATO SI PUÒ COMUNICARE LA SICUREZZA NEI POSTI DI LAVORO O IN CASA CON UN CARTONE ANIMATO? LO STUDIO BOZZETTO LO HA FATTO. E NON È DI CERTO UNA NOVITÀ. BASTI PENSARE AD ALCUNE CREATURE NATE MOLTI ANNI ORSONO DALLA MATITA - ORA DAL COMPUTER - DEL FAMOSO STUDIO: IL SIGNOR ROSSI O LA FAMIGLIA DI ELETTRODOMESTICI ANIMATI IMQ, VOLUTI PER PARLARE A TUTTI, GRANDI E PICCINI, DI SICUREZZA DOMESTICA. OGGI LE TECNOLOGIE SONO CAMBIATE MA LO SCOPO È SEMPRE QUELLO: COMUNICARE LA SICUREZZA. Intervista a Andrea Bozzetto e Pietro Pinetti dello Studio Bozzetto&Co.
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l tema della sicurezza nei luoghi di lavoro diventa sempre più importante e le aziende sono alla costante ricerca di forme di comunicazione immediate ed efficaci. Tra queste ci sono i video B2B. Che tipo di video sono? I video B2B rappresentano dei progetti di comunicazione in grado di veicolare importanti messaggi all’interno dell’azienda. Nel caso specifico di “Safety and health at work”, sono realizzati con l’intento di diffondere le norme più opportune da seguire per la propria sicurezza e quella dei colleghi.
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Qual è l’orientamento delle aziende verso questo tipo di comunicazione? Sono diverse le aziende che hanno deciso di adottare l’animazione come strumento di comunicazione, in quanto ritenuta chiara, efficace, ma soprattutto capace di rimanere impressa nella memoria. Lavoriamo con aziende che operano in diversi settori, in particolare scientifico, farmaceutico, chimico e finanziario, che trovano nei progetti di comunicazione animata uno strumento capace di spiegare concetti spesso complessi che attraverso altri canali risulterebbero poco fruibili.
Quali sono le caratteristiche tecniche e tecnologiche che vengono utilizzate? Ad esempio vengono realizzati in animazione computerizzata? L’animazione viene realizzata direttamente in forma computerizzata attraverso alcune fasi specifiche e grazie all’utilizzo di software ad hoc. Le prime fasi di realizzazione del progetto però, sono caratterizzate dalla pre-produzione, ovvero il passaggio durante il quale vengono ideati non solo i fondali delle ambientazioni ma anche i personaggi. Questa fase, fondamentale per lo sviluppo e la buona riuscita
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Possiamo affermare con certezza che per questo tipo di comunicazione sono importanti sia le immagini che il testo. Le immagini hanno un’importanza strategica per catturare l’attenzione dello spettatore e rendere “leggeri” i temi trattati, come nel caso per esempio della comunicazione scientifica o finanziaria. Il testo a sua volta assume un ruolo fondamentale per la qualità dell’informazione e dei dati da divulgare. Generalmente per veicolare tutte le norme legate alla sicurezza per un’azienda è necessario un video o una serie di video? La soluzione ideale è data da una serie di video che mettano in evidenza le migliori pratiche di sicurezza. L’idea però di realizzare una o più clip dipende sempre dalle esigenze dell’azienda. Nello specifico è fondamentale sapere dove e come sarà veicolata la comunicazione. Se il progetto è destinato alla comunicazione interna, sarebbe auspicabile la realizzazione di una serialità. Generalmente per i nostri clienti realizziamo una serie di episodi, ognuno dei quali focalizzato su una specifica regola da osservare. Nel caso in cui l’azienda intenda divulgare il video all’interno di fiere ed eventi specifici, consigliamo sempre un cortometraggio della durata solitamente inferiore ai tre minuti.
del progetto viene ancora realizzata manualmente, vale a dire con carta e matita. Di pari passo viene sviluppata la sceneggiatura, curata in ogni dettaglio e condivisa con il cliente. Nel momento in cui giungono al termine le fasi di pre-produzione e sceneggiatura, si procede con l’animazione. L’ultimo passaggio ma non meno importante è costituito dalla realizzazione dell’audio che accompagna sempre immagini e testo. Si privilegia un percorso narrativo di tipo emozionale o più tecnico? In questo tipo di comunicazione è im-
portantissimo suscitare un’emozione nello spettatore. Un video che pur comunicando un messaggio importante diverte chi lo guarda sicuramente rimane maggiormente impresso nella mente. Nel momento in cui partiamo con un progetto cerchiamo di individuare tutti gli strumenti chiave attraverso i quali veicolare l’informazione, primi fra tutti i personaggi protagonisti. Lo studio degli ambienti e dei characters è fondamentale perché il lavoro raggiunga gli obiettivi preposti. Sono più importanti le immagini o il testo?
La proiezione di filmati viene generalmente accompagnata dalla produzione di brochure? Solitamente la realizzazione di un progetto di comunicazione animata mette nelle mani delle aziende un grande potenziale da sfruttare in termini di comunicazione a lungo termine. Dal video animato infatti la comunicazione può passare attraverso diversi canali quali la classica brochure, il web, i gadgets per eventi fieristici e materiali di merchandising, basati sulle grafiche e personaggi del filmato. Per esempio, per alcuni nostri clienti abbiamo realizzato una linea di abbigliamento con i characters utilizzati nelle clip.
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QUALITÀ DELLA VITA: CULTURA DELLA SICUREZZA
Quali sono ii pericoli sui quali insistono con maggiore attenzione i video? I pericoli su cui molti dei video che abbiamo realizzato puntano, sono sicuramente le disattenzioni sul posto di lavoro, poiché tanti degli incidenti che si verificano in ambiente lavorativo sono legate alle distrazioni, causate ad esempio dall’utilizzo di smartphone, solo per citarne una. Negli ultimi anni, inoltre, molte aziende al tema della sicurezza sul lavoro hanno affiancato una particolare attenzione alle pratiche di CSR e quindi all’impegno dell’azienda e dei dipendenti nel rispettare l’ambiente e ottimizzare i servizi. Si tratta di filmati realizzati ad hoc o si può pensare ad una produzione estesa e estendibile a tutte le aziende, magari suddivise per tipologia? In questi anni di produzione non ci è mai capitato di creare un filmato generico per più aziende. I temi trattati sono spesso molto legati alla struttura dell’azienda e perciò dobbiamo creare
dei prodotti ad hoc per far sì che siano funzionali alla comunicazione. Ogni società ha caratteristiche ed esigenze specifiche sulle quali viene ideato e realizzato il progetto. Si potrebbero ipotizzare dei filoni seriali più generici ma secondo noi rischierebbero di essere poco incisivi sullo spettatore finale. I costi di realizzazione sono indicativamente accessibili anche per le piccole e medie imprese o restano una scelta elitaria? Solitamente le aziende hanno un budget già stabilito per la comunicazione. Proprio per questo cerchiamo sempre di rispondere alle esigenze del cliente anche dal punto di vista economico. Le soluzioni, infatti, che riusciamo a proporre possono spaziare dall’ideazione di un unico character da utilizzare per esempio nella comunicazione del sito, all’ideazione di clip che uniscano animazione e live action, fino ad arrivare alla realizzazione di un progetto interamente in animazione.
PIETRO PINETTI
Ceo
Ha iniziato la sua carriera come animatore 3D e direttore tecnico. Dopo diversi anni di esperienza in alcuni studi di animazione lavorando su progetti seriali, commercial e cortometraggi, ha l’occasione di entrare in contatto con Bruno e Andrea Bozzetto con i quali decide di riaprire lo storico studio milanese. Ad oggi è il Direttore Generale della società.
ANDREA BOZZETTO
Direttore Creativo e Regista
STUDIO BOZZETTO&CO
Da sempre legato al mondo del cinema e della televisione, inizia la sua carriera come direttore artistico di una delle prime tv satellitari per poi collaborare con diversi studi di animazione in veste di supervisore alle animazioni e regista. Oggi segue la regia e creatività dei progetti dello Studio.
Lo Studio Bozzetto&Co, fondato da Bruno Bozzetto con Andrea Bozzetto e Pietro Pinetti, è una casa di produzione e studio di animazione, attivo a livello nazionale e internazionale. Lo Studio rappresenta uno dei principali punti di riferimento per il mercato italiano e internazionale per la produzione di contenuti in animazione, come lungometraggi, cortometraggi, serie televisive, video istituzionali e spot commerciali. Inoltre, grazie alle innumerevoli esperienze maturate negli anni, ad oggi lo Studio vanta una solida expertise anche sui progetti “divulgativi”, commissionati da aziende pubbliche e private e finalizzati alla comunicazione scientifica, economica e sociale. 84
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Di quali tecnologie necessita un’impresa per adottare un sistema di prevenzione dei rischi basato sulla proiezione dei video? Per adottare un sistema di prevenzione dei rischi basato sulla proiezione di video ad hoc l’azienda non ha bisogno di particolari tecnologie se non della classica intranet aziendale o il comune schermo per le proiezioni nel caso in cui si voglia procedere con la divulgazione in occasione di fiere ed eventi particolari. Un ottimo canale è dato anche dall’utilizzo dei social network e nel caso in cui l’azienda dovesse averne bisogno siamo anche in grado di fornire un supporto tramite una piattaforma web. Dal vostro punto di osservazione sta crescendo e maturando anche in Italia una cultura sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o siamo ancora lontani dagli standard europei? Sicuramente, da parte delle aziende con le quali collaboriamo, c’è una grande consapevolezza relativa all’importanza delle migliori pratiche di sicurezza sul lavoro. Le richieste che arrivano dai nostri clienti mettono in evidenza non solo il valore attribuito al tema in questione ma anche l’importanza di comunicare in maniera chiara e incisiva i risultati ottenuti soprattutto in termini di certificazione. Sotto il profilo delle esperienze personali lavorando in questo campo quale percezione avete se parliamo di sicurezza all’interno delle imprese? Ad oggi, abbiamo sempre avuto la fortuna di lavorare con aziende molto attente al tema della sicurezza sul lavoro, che operano già secondo standard qualitativi molto alti e che si rivolgono a noi per dare un valore aggiunto alla loro attività. Abbiamo inoltre notato con piacere che la comunicazione animata viene sempre più utilizzata non solo come strumento per la comunicazione di risultati e certificazioni già raggiunte, ma anche per la formazione dei dipendenti su un tema così delicato. z
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QUALITÀ DELLA VITA: CURIOSITÀ
GIORNI SMARRITI: OVVERO,
SIETE PROPRIO SICURI CHE LA DATA CHE STATE LEGGENDO SUL VOSTRO CALENDARIO CORRISPONDA AL VERO?
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In che giorno della settimana cadde il 5 ottobre 1582? Rispondere è più complicato di quanto sembri.
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hiedendolo a una persona maliziosa e informata, sorprendentemente ricevereste di ritorno la domanda: “Dove?”. Infatti con la riforma del calendario da parte del papa Gregorio XIII, nei paesi in cui tale cambiamento fu adottato immediatamente (Portogallo, Spagna, regioni della Polonia e Lituania, parte dell’Italia), si passò dal 4 ottobre direttamente al giorno seguente 15 ottobre! Dunque i giorni dal 5 al 14 ottobre 1582 non sono mai esistiti... Ma non in tutti i paesi! Altrove il passaggio arrivò in altri periodi, quindi ogni località in cui oggi è in vigore il calendario gregoriano ha i “propri giorni mai esistiti”, smarriti da qualche parte nella storia. Riuscite a immaginare che tra due città raggiungibili in poche ore, ci fossero dieci giorni di differenza? Innamorati lontani che non riescono a incontrarsi per un appuntamento, affari andati in fumo, ospiti inattesi a cena nel giorno sbagliato... Dieci date in meno da ricordare quando si studia la storia: cosa accadde il 5 ottobre 1582 a Roma? Assolutamente nulla! Più seriamente, si trattò di un profondo cambiamento in ambito civile, fortemente giustificato dalla necessità di segnare il tempo in maniera più precisa in accordo con la rivoluzione della Terra attorno al Sole (ovverosia l’anno astronomico). Il calendario giuliano entrò in vigore nel 46 a.C. introdotto da Giulio Cesare, da cui prese il nome; ebbe una vita piuttosto irregolare, con l’introduzione a volte errata di anni bisestili straordinari. Il disallineamento nella misura dalla durata dell’anno rispetto all’astronomia era di soli 11 minuti e 14 secondi, ovvero corrispondente a 1 giorno ogni 128 anni. Con il passare tempo questa discrepanza però crebbe fino a raggiungere un peso considerevole, non più trascurabile. Giunse quindi il momento di riallinearsi con il conteggio corretto e possibilmente di provvedere affinché in futuro ciò non si
ripetesse (il calendario gregoriano sbaglia di 1 giorno ogni 3323 anni). Ma ci sono fatti anche più sorprendenti. Quando il mondo è cominciato1? Il 22 ottobre dell’anno 4004 a.C., alle sei di sera, era un sabato. Questa è la risposta trovata dal vescovo irlandese James Ussher, analizzando e contando tutti gli intervalli di tempo presenti nella Bibbia e cercando di correlarli con fatti storici. Se non ci credete, potete tranquillamente rifarvi i conti. Anche oggi alcuni credenti accettano come attendibile tale data, in barba a Darwin e alla scienza moderna. Avere un buon calendario aggiornato è quindi una necessità vitale! Provate ad usarne uno vecchio anche solo di un anno... L’influenza della scienza e della tecnologia nella vita quotidiana è innegabile e l’impatto incommensurabile: eccone alcune prove lampanti. Alla cerimonia annuale degli Ig-Nobel2 (gioco di parole tra Nobel ed ignobile) vengono premiate, divise per categorie, le più improbabili e buffe ricerche scientifiche dell’anno a livello mondiale; ad esempio una sulla misura dell’attrito tra scarpe, buccia di banana, pavimento oppure una sul fatto che quando i cani fanno i loro bisogni, preferiscono allinearsi con le linee di campo magnetico della Terra in direzione nord-sud. Notevole, vero? Per non tralasciare lo studio (con partecipazione anche italiana) sulla mo-
difica elettronica del suono di una patatina durante la masticazione al fine di indurre l’ascoltatore a credere che il prodotto sia più croccante e fresco di quanto in realtà. E pensare che molte persone, da studenti, non amavano le discipline scientifiche... Da non credere! A volte però la scienza si circonda di una bellezza esoterica: solo pochi sembrano potervi accedere. In parte ciò deriva dalla difficoltà della disciplina; a volte ciò si rispecchia nella complessità di formule impronunciabili e incomprensibili. Sapevate che non esiste il numero reale 0.999999999... con il numero 9 finale periodico? Si tratta di una rappresentazione equivalente a 1 (si noti bene: rappresentazione, non approssimazione!). Tanto difficile convincersene, quanto vero. Anzi, quanto reale, direi. Dobbiamo prestare più attenzione al mondo che ci circonda, sotto molteplici aspetti, perchè se la nostra quotidianità è così ricca di sorprese e meraviglie apparentemente inaccessibili, non dovremmo spaventarcene ma piuttosto esserne affascinati per la bellezza che racchiude e che spesso riusciamo appena a intuire. In ogni caso, il 5 ottobre 1582 (a Roma) avrebbe dovuto essere un venerdì... z
1 Si veda il libro Quando il mondo è cominciato di Martin Gorst. 2 http://www.improbable.com/ig/
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PANORAMA NEWS
IMPIANTI A LIVELLI: METTERE A NORMA NON È MAI STATO COSÌ SEMPLICE BASE, BASE, SSTANDARD TANDARD O DOMOTICO: DOMOTICO: L’IMPIANTO L’IMPIANTO DOMESTICO DOMESTICO ELETTRICO ELETTRICO PARLA PARLA DI DI TE TE
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BICICLETTA BICICLETTA
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INSALATA INS ALATA
Nome: Cris Età: 30 anni chitetto architetto Professione: ar Professione: on Pj con anzata c fidanzata Stato civile: fid Stato omprare comprare Progetti imminenti: c Progetti la sua prima casa
In Italia gli stabili abitativi con un impianto elettrico non a norma sono circa 8 milioni, di cui il 95% si trova in abitazioni costruite prima del 1991: sono le stime di Prosiel, l’associazione per la Promozione della Sicurezza Elettrica di cui ANIE è socio. Questa situazione ha naturalmente dei costi sociali altissimi: secondo l’ISTAT, sarebbero circa 240 mila gli incidenti domestici imputabili ogni anno a cause elettriche. A ciò si aggiunge la scarsa conoscenza dei cittadini sui rischi che si corrono con un impianto elettrico che non rispetta la normativa: la nostra Federazione ha rilevato che quasi un quarto della popolazione ammette di possedere un impianto elettrico che non è stato realizzato a regola d’arte o che non soddisfa i requisiti minimi di sicurezza. Ma quando un impianto può essere considerato a norma? Affinché un impianto possa essere certificato come tale è necessario che l’installatore rilasci al termine dei lavori una “Dichiarazione di Conformità” dell’impianto elettrico realizzato; a livello tecnico, invece, è indispensabile la
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presenza di salvavita, messa a terra, barriere e protezioni dall’ambiente esterno e interruttori magnetotermici per proteggersi dalle conseguenze di un cortocircuito o in caso di sovracorrente. Ulteriori misure, anche in prospettiva di esigenze successive al momento della creazione dell’impianto, riguardano l’identificazione chiara delle condutture per agevolare i lavori di ispezione, riparazione e modifica dell’impianto stesso, la separazione dei circuiti a tensioni diverse, la predisposizione di canali a più scomparti e ad ampia sezione e la predisposizione di tubazioni. Destreggiarsi tra tutte queste prescrizioni, anche per gli addetti ai lavori, potrebbe rivelarsi alquanto ostico. Per questo motivo ANIE, fin dal 2011, è impegnata in una campagna di sensibilizzazione per informare utenti e professionisti sulle possibilità offerte dalla classificazione a livelli degli impianti, la novità introdotta a seguito dell’entrata in vigore della variante V3 alla Norma CEI 64-8 e integrata nella sua settima edizione. ‘Impianti a Livelli’ è la classificazione degli impianti elettrici domestici, classificazione che però non dipende né dalla prestazione energetica né dalla classe catastale dell’immobile. I livelli di complessità crescente tra cui l’utente finale può scegliere sono tre: livello 1 Base, livello 2 Standard e livello 3 Domotico. Ogni livello possiede una configurazione impiantistica e funzionale minima da rispettare (numero di punti prese, punti luce e circuiti) calcolata considerando solo i vani dell’unità immobiliare e personalizzabile in base all’esigenze dell’utente. È possibile aggiungere dotazioni dei livelli superiori al livello inferiore scelto, che però non concorrono al raggiungimento del livello successivo, pur aumentando la fruibilità e il valore dell’unità immobiliare. Andando più nel dettaglio, il livello 1
(Base) fissa i requisiti minimi di prestazioni impiantistiche da cui non è possibile derogare per certificare un impianto elettrico come a norma. Il livello 2 (Standard) aggiunge dotazioni ausiliarie che aumentano il comfort e la sicurezza dell’abitazione, come il sistema di gestione dei carichi elettrici per ridurre gli sprechi energetici, il videocitofono e il sistema anti-intrusione. Per il Livello 3 (Domotico) la norma prescrive un ulteriore adeguamento delle dotazioni dei livelli precedenti e l’integrazione di almeno quattro servizi domotici, tra cui il videocitofono, il sistema anti-intrusione, il sistema anti-incendio, il sistema di gestione dei carichi, il sistema di gestione della temperatura, il sistema di gestione delle luci, il sistema di gestione degli scenari e così via. È proprio con quest’ultimo livello che si ottengono i vantaggi più evidenti in termini di prestazioni, comodità, sicurezza e risparmio energetico: grazie alla domotica è possibile comunicare in tempo reale con BASE, BASE, SSTANDARD TANDARD O DOMOTICO: DOMOTICO: L’IMPIANTO L’IMPIANTO DOMESTICO DOMESTICO ELETTRICO ELETTRICO PARLA PARLA DI DI TE TE
PERSONALIZZA PERSONALIZZA LA LA TUA TUA CASA: CASA: IILL LIVELLO LIVELLO LLOO SSCEGLI CEGLI TTUU Per Per un futuro futuro ssenza enza rrischi ischi sscegliete cegliete la ttecnologia: ecnologia: sistema domotico un sistema domotico offre offre ilil massimo massimo della della sicurezza sicurezza e offre offre la migliore migliore qu qualità alità del della la vita, vita, senza senza dimenticare dimenticare ilil risparmio. risparmio.
FURGONE
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Nome: Giò Età: 36 anni tallatore installatore Professione: Professione: ins o di lunga amico to, è amic sposato, tato civile: sposa S Stato J PJ data di Pierluigi P data particolari: ha il pallino per la domotica Segni particolari:
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COMITATO ELETTROTECNICO ITALIANO
IL CEI NUOVO ENTE AUTORIZZATO NEL SISTEMA DELLA FORMAZIONE CONTINUA DEL PERITO INDUSTRIALE
l’abitazione predisponendo così ogni spazio in base alle condizioni preferite dall’utente. I sistemi precedentemente citati possono essere, infatti, gestiti contemporaneamente in maniera automatica, rapida e semplice mediante un unico dispositivo di controllo (locale come smartphone e tablet o remoto tramite connessione a un web server). Ad esempio, integrando gli impianti di termoregolazione con gli impianti di controllo delle luci è possibile regolare le impostazioni di un ambiente a seconda delle condizioni climatiche e di luce esterne; attraverso l’integrazione del sistema di diffusione sonora con il sistema elettrico è possibile controllare il suono proveniente da una o più sorgenti audio
come radio e tv. Per non parlare dell’importanza che automazione e integrazione assumono per le persone affette da disabilità motorie. Sebbene la domotica venga ancora considerata un lusso riservato a pochi, installare un impianto domotico di base richiede un investimento, in fase di costruzione, di poco superiore al 3% rispetto al costo di un impianto elettrico dalle dotazioni minime. Ma il ritorno in termini di investimento e di risparmio è notevole. Inoltre l’impianto domotico è estremamente flessibile, in quanto è possibile integrare nel tempo funzioni diverse oltre a quelle di base già installate. In Italia negli ultimi vent’anni sono state già realizzate con il sistema domotico circa il 15% delle nuove abitazioni.
Il CEI – Comitato Elettrotecnico Italiano è stato ufficialmente autorizzato dal Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati a svolgere attività di tipo formativo per i Periti Industriali e i Periti Industriali Laureati. Il CEI compare infatti fra i pochissimi enti autorizzati a erogare eventi di formazione (corsi, convegni, seminari) nel sistema della Formazione Continua dell’Ordine dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati. L’autorizzazione, che ha durata di tre anni, prevede l’attribuzione di crediti formativi e riguarda la progettazione dell’evento, l’erogazione del servizio, l’organizzazione e quant’altro necessario al completo adempimento dell’attività formativa. Il CEI si è affermato da tempo come il più importante soggetto erogatore di attività formative nell’ambito dell’aggiornamento in materia di normazione tecnica in campo elettrotecnico, elettronico e delle telecomunicazioni, in qualità di ente di riferimento riconosciuto dallo Stato Italiano per la presunzione di conformità alla “regola dell’arte” di prodotti, processi, sistemi e impianti elettrici. È possibile trovare l’elenco delle attività formative CEI autorizzate con i relativi crediti all’apposito link sul sito: www.cnpi.org Per maggiori info: formazione@ceiweb.it tel. 02.21006.280-281-286
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BREVI IMQ
IL LABORATORIO DI VALUTAZIONE SICUREZZA ICT DI IMQ: UN CENTRO DI ECCELLENZA Il Laboratorio di Valutazione Sicurezza ICT di IMQ è accreditato negli schemi nazionali per la valutazione della sicurezza dei sistemi e prodotti ICT. Inoltre, IMQ è l'unico organismo di certificazione accreditato da Accredia, operante in Italia, ad aver raggiunto l'obiettivo di avere al suo interno un laboratorio accreditato per effettuare valutazioni formali della sicurezza di sistemi e prodotti IT negli schemi nazionali gestiti da DIS/UCSe e OCSI secondo gli standard internazionalmente riconosciuti.
Sempre nell’ambito ICT IMQ può rilasciare le certificazione CSQ-DATA per i sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni secondo la ISO/IEC 27001, la certificazione CSQ-ITSM dei sistemi di gestione per l’IT Service Management secondo la ISO IEC 200001, la certificazione CSQ-BCM dei sistemi di gestione per la continuità operativa secondo la ISO 22301.
LE CERTIFICAZIONI CHE FANNO LA DIFFERENZA NEL SETTORE DELLA “SICUREZZA” ONE ON CERTIFICAZIONE FIGURE PROFESSI PROFESSIONALI SIONA
CERTIFICAZIONE ONE E DITTE INSTALLATR INSTALLATRICI TRI SPECIALIZ SPECIALIZZATE LIZZA (ANTINTR (ANTINTRUSIONE, TRUSIONE, ANTIN INCENDIO, ANTINCENDIO, TEL ELESORVEGLIANZA) TELESORVEGLIANZA)
CERTIFICAZIONE ONE NE SISTEMI GESTIONE DI GESTION ONE (QUALITÀ, TÀ, SALUTE UTE E SICUREZZA, ENE NERGIA, ENERGIA, A AMBI AMBIENTALE, ...)
ON ONE CERTIFICAZIONE PRODOTTI IMPIANTI E IMPIANT NTI
IMQ è l’unico ente italiano in grado di offrire al settore antintrusione e antincendio un sistema completo di qualificazione che comprende: - certificazione prodotto - certificazione ditte installatrici - certificazione impianti - certificazione centrali telesorveglianza - certificazione figure professionali
In particolare la certificazione delle ditte installatrici, accordata per uno o più dei 4 gradi di prestazione degli impianti in ordine crescente di importanza, diventa un elemento di garanzia sia per i produttori che possono affidare l’installazione dei loro sistemi a personale qualificato, sia per le aziende commerciali che nei bandi di gara per l’assegnazione della realizzazione degli impianti possono utilizzare un elemento di selezione affidabile e certificato. (ANTINTR (ANTINTRUSIONE, TRUSIONE, ANTINC INCENDIO, ANTINCENDIO, TELE ELESORVEGLIANZA) TELESORVEGLIANZA)
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SERVIZI DI VALUTAZIONE E CERTIFICAZIONE DELLA SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO In tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, IMQ offre numerosi servizi tra i quali: - certificazione sistemi di gestione salute e sicurezza nei luoghi di lavoro secondo la BS OHSAS 18001 - certificazione sistemi responsabilità sociale: SA 8000 - valutazione dei modelli di organizzazione e gestione introdotti dal D.Lgs. 231/2001 - verifiche impianti ascensori e messa a terra - valutazione sicurezza impianti e immobili - healthy building: verifiche in ambito alberghiero della salubrità degli ambienti e della qualità dell’aria.
PRODOTTI CERTIFICATI IMQ NEL CAMPIONATO DI CALCIO SERIE A Tra ottobre e novembre, per 5 turni del campionato di calcio di serie A, i prodotti certificati IMQ sono stati protagonisti di alcuni messaggi promozionali andati in onda su Mediaset Premium Calcio. Attraverso dei banner apparsi in sovraimpressione alle immagini della partita, abbiamo invitato i telespettatori a preferire negli acquisti i prodotti certificati IMQ, garanzia di sicurezza e affidabilità. Gli spot, andati in onda anche in alcune partite internazionali su Fox Sports, hanno permesso di diffondere il nostro consiglio di acquisto a più di 4 milioni di utenti per turno.
IMQ NOTIZIE n. 101
ESPORTARE NEGLI EMIRATI ARABI UNITI E NEL QATAR: IMQ RICONOSCIUTO DALLA CIVIL DEFENCE QUALE LABORATORIO DI PROVA E ENTE DI CERTIFICAZIONE IMQ è stato riconosciuto dalla Civil Defence degli Emirati Arabi Uniti e dalla Civil Defence del Qatar in qualità di “laboratorio di prova ed ente di certificazione approvato“ ai fini dell’ottenimento del Certificato di Conformità necessario per l’esportazione dei prodotti regolamentati.
• Cavi ritardanti la fiamma • Apparecchi di illuminazione d’emergenza - IEC 60598-1 • Batteria in dotazione, cambio elettronico di sicurezza autoalimentato (autosufficienti) - IEC 61347-1
Prodotti per i quali IMQ è stato riconosciuto dalla Civil Defence degli Emirati Arabi Uniti • Dispositivi di controllo e comando • Dispositivi di allarme • Alimentatori • Pulsanti manuali • Isolatori di corto circuito • Dispositivi di ingresso/uscita • Inviatori di messaggio di allarme
Prodotti per i quali IMQ è stato riconosciuto dalla Civil Defence del Qatar • Sprinkler e tubi per impianti antincendio • Impianti di estinzione automatici • Estintori • Componenti per impianti di allarme antincendio • Illuminazione di emergenza • Unità di alimentazione elettroniche (autonome) alimentate da batteria per illuminazione di emergenza.
MESSA A FUOCO SULLA PROFESSIONALITÀ DEI VALUTATORI IMMOBILIARI È stata pubblicata lo scorso 6 novembre la UNI 11558:2014 “Valutatore immobiliare. Requisiti di conoscenza, abilità e competenza”. Una norma nata per rispondere alla necessità del settore immobiliare di avere precise regole e codici di riferimento. A tutela sia delle scelte del consumatore e sia della professionalità degli operatori. Per saperne di più sul processo di valutazione e di convalida dei requisiti fissati dalla norma, è possibile rivolgersi a IMQ. IMQ è ente di certificazione con significativa esperienza anche nell’ambito della certificazione delle persone, già accreditato ISO/IEC 17024 per altre figure professionali. 91
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2015 / La matematica intorno a noi
CALENDARIO IMQ 2015: LA MATEMATICA DIVENTA PROTAGONISTA Che cosa accomuna l’atmosfera e il volo di un aereo, l’acqua e lo scafo di una barca a vela, la valutazione di prodotti finanziari e la classificazione delle geometrie vascolari, il sangue che scorre nelle nostre arterie e le dimensioni di uno strumento musicale? La matematica. A saperla leggere, una formula può spiegarci alcuni tra i fenomeni più oscuri dell’universo, ma anche semplici azioni quotidiane. Perché la matematica è storytelling allo stato puro. È un mezzo e non un fine. È il codice che c’è dietro ai petali di un fiore, alla neve che cade, all’armonia di una musica. Diceva Bertrand Russell: «La matematica, vista dalla
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giusta angolazione, non possiede solo la verità, ma anche la suprema bellezza: una bellezza fredda e austera, come quella della scultura; una bellezza pura e sublime, capace della rigorosa perfezione, propria solo della più grande arte». Ed è a questa pervasività che IMQ ha voluto dedicare il calendario 2015, associando a ogni mese un’idea matematica, solo una delle innumerevoli possibili. Ricordando come in ogni formula sia presente la sintesi di un pensiero, il faticoso ma appagante lavoro di studio e ricerca verso la verità e conoscenza compiuto nel tempo da numerose persone.
calendario
2015 / La matematica into intorno rno a noi gennaio
febbraio
marzo
aprile
maggio
giugno
luglio
agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre