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l’analisi QUANTO FA IBM DIVISO DUE?
Lo spin-off di fine anno sancirà la separazione tra le attività relative ai servizi gestiti di Big Blue e tutte le altre. Intanto il fatturato riprende a crescere.
L’ultimo velo sullo spin-off che porterà, il 31 dicembre 2021, alla definitiva separazione del business dei Managed Services di Ibm dal resto delle attività di servizi della multinazionale (cioè i Global Technology Services) è caduto ad aprile. La società si chiamerà Kyndryl, un nome sicuramente poco felice per gli italiofoni ma foriero di ottimi propositi, visto che nasce dalla fusione di kin (parenti, congiunti) e di tendril (viticcio), a significare l’unione dei concetti di partnership e crescita. La sede della società, New York, lascia intendere che il business della newco ‒ che, ricordiamo, è stata annunciata per la prima volta il 9 ottobre 2020 dalll’amministratore delegato di Ibm, Arvind Khrisna ‒ sarà molto legato al mercato strategico della finanza e delle banche. “Presto avremo due anime”, ha detto Alessandro La Volpe, vice president di Ibm Technology, nel corso di una recente conferenza stampa, “che ci consentiranno di affiancare meglio i clienti nel processo di digital transformation. Un processo che nell’ultimo anno ha subìto una drastica accelerazione in ogni segmento di mercato: tutti siamo testimoni del fatto che ciò che avrebbe dovuto accadere in un arco temporale di cinque-dieci anni sta succedendo in due”. Una volta avviata, sotto la guida del chief executive officer Martin Schroeter, Kyndryl potrà qualificarsi come la più grande azienda di Managed Services al mondo, con un fatturato stimato di quasi 20 miliardi di dollari e quasi cinquemila clienti. La società si occuperà, infatti, di varie attività di gestione delle infrastrutture IT dei clienti, dai servizi di hosting e networking alla modernizzazione dell’infrastruttura mission-critical e al management di ambienti hybrid e multi-cloud. A Ibm resteranno, tra le altre cose, i servizi di consulenza infrastrutturale sulle tecnologie del brand e tutti i servizi cloud (compreso l’hybrid e multi-cloud basato su Red Hat), le attività di gestione, consulenza, system integration, application management e modernization. Ibm è sempre stata un’azienda capace di distribuire ottimi dividendi, con un rendimento superiore alla media del benchmark di S&P 500, ma negli ultimi anni la gestione manageriale è stata spesso criticata. A partire dal prezzo, da molti giudicato eccessivo, dell’acquisizione di Red Hat del 2019: ben 34 miliardi di dollari. Quella della separazione tra servizi gestiti, da una parte, e tecnologie e consulenza dall’altra sembra però oggi una proposizione molto chiara ed efficace, oltre che coerente con le ultime operazioni di acquisizione (sette solo nell’ultimo anno) e dismissione, perché permetterà alla multinazionale di concentrarsi sui nuovi settori strategici dell’hybrid cloud e dell’intelligenza artificiale. In quest’ottica, anche il prezzo pagato per Red Hat sembra oggi meno spropositato, visto che ora la tecnologia OpenShift della software house per il cloud ibrido è uno dei pilastri su cui si basa la crescita della “nuova” Ibm. Non a caso nell’ultimo trimestre, per la prima volta in dodici mesi, il fatturato è cresciuto proprio sotto la spinta delle attività relative al cloud ibrido. “Puntiamo alla leadership su entrambi i mercati”, ha detto La Volpe, “quello dei Managed Services e quello delle nuove architetture IT. Ma sono due business talmente diversi che per focalizzarci al 100% abbiamo deciso di farlo separando nettamente le attività”.
Emilio Mango
LA SPESA IT RIPARTE E CAMBIA FINALITÀ
Secondo le previsioni di Gartner, quest’anno le aziende spenderanno 4.100 miliardi di dollari per acquistare hardware, software e servizi Ict: l’8,4% in più rispetto al 2020.
Una crescita notevole, ma anche un cambiamento di “mentalità”, di metodi e di obiettivi. La spesa mondiale in tecnologie informatiche quest’anno sarà di 4.100 miliardi di dollari, ovvero crescerà dell’8,4% sul valore del 2020, anno in cui il giro d’affari era calato del 2,2%. Questa la previsione di Gartner sull’andamento degli acquisti aziendali di hardware (sistemi per data center e dispositivi personali), enterprise software, servizi IT e servizi di comunicazione. La crescita sarà più accentuata per le categorie “dispositivi”, con un +14% atteso, ed “enterprise software” (+10,8%), dal momento che le aziende e organizzazioni pubbliche stanno “spostando il loro focus, per assicurare ai propri lavoratori un ambiente più confortevole, innovativo e produttivo”, scrive Gartner. Al di là dei numeri, è interessante notare un cambiamento di approccio e di finalità. Lo stanziamento dei budget da dedicare alle iniziative digitali sempre più frequentemente dipenderà da dipartimenti aziendali esterni all’IT. Quest’ultima area, specularmente, nelle aziende guadagnerà maggiore considerazione e valore strategico. “L’IT non si limita più a supportare le operations aziendali, come tradizionalmente ha fatto, ma partecipa pienamente alla realizzazione del valore”, scrive John-David Lovelock, distinguished research vice president di Gartner. “Questo non soltanto sposta l’IT da un ruolo di back-office alla prima linea del business, ma modifica anche l’origine del finanziamento, da spesa generale che viene mantenuta, monitorata e a volte tagliata, a elemento che genera fatturato”.
Dall’emergenza alla strategia
A mo’ di esempio di questo cambiamento, Gartner cita l’accresciuta attenzione per il benessere e per la cosiddetta employee experience, che potremmo tradurre come soddisfazione del dipendente o
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collaboratore nei confronti dell’azienda, dell’ambiente e delle condizioni di lavoro. Questi elementi stanno alimentando investimenti tecnologici in aree come i social software, le piattaforme di collaborazione e i software di gestione del capitale umano (human capital management). Altro aspetto da sottolineare è la graduale uscita dalla dinamica di reazione all’emergenza della pandemia, che ha dominato il 2020: gli investimenti IT assumeranno un carattere più strategico e lungimirante. Sebbene gli sforzi di ottimizzazione e taglio dei costi non siano destinati a scomparire, quest’anno i Cio punteranno soprattutto a completare i piani di digitalizzazione del business, mirati a potenziare, estendere o trasformare l’offerta aziendale di prodotti e servizi. “Lo scorso anno”, sottolinea Lovelock, “la spesa IT ha assunto la forma di una reazione istintiva, per rendere possibile il lavoro da remoto nel giro di qualche settimana. Ora, con l’affermazione del lavoro ibrido, i Cio si focalizzeranno sugli investimenti che consentono di fare innovazione e non solo di portare a termine delle attività”.
Le variabili della spesa IT
L’andamento della spesa varierà in modo significativo tra una regione geografica e l’altra. Gartner si aspetta già per quest’anno segnali di ripresa significativi in Europa Occidentale e in Nord America, mentre per l’America Latina si dovrà attendere il 2024. In compenso la Cina ad aprile aveva già superato i livelli di spesa dell’intero 2019. Altra variabile da considerare è il settore di mercato: l’ambito bancario e quello assicurativo raggiungeranno livelli di investimento vicini a quelli precedenti alla pandemia già nel 2021, mentre il settore dei trasporti non potrà ambire a un’analoga ripresa prima del 2023. V.B.
Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia
Fresco di nomina, l’amministratore delegato italiano Gianmatteo Manghi pone l’accento su sostenibilità, transizione ecologica e attenzione alle persone. L’azienda punta anche su nuovi sistemi di autenticazione.
Sostenibilità e innovazione sono al centro dei progetti di sviluppo in Cisco. Riguardano la strategia corporate, certo, ma si declinano in progetti e iniziative specifiche per l’Italia. Transizione ecologica e digitale sono i pilastri sui quali l’azienda ha costruito il proprio piano di rilancio, teso a sfruttare i filoni sui quali si sta concentrando l’attenzione del mercato: “Nei prossimi tre anni assisteremo a sviluppi che, in tempi normali, ne avrebbero richiesti forse quindici”, osserva Gianmatteo Manghi, recentemente nominato amministratore delegato in Italia, dopo la promozione di Agostino Santoni alla responsa-
AVANTI SUL GREEN, VIA LE PASSWORD: ECCO LA NUOVA CISCO
bilità di tutto il Sud Europa. Alcune iniziative sono in essere da tempo e proseguiranno in futuro. Fra queste la Networking Academy, che oggi anno forma 50mila persone, senza dimenticarsi nemmeno dei carcerati. “Chi si certifica ha una recidiva pari a zero e alcuni sono anche diventati docenti”, rimarca Manghi. C’è poi Digitaliani, programma avviato nel 2016 per sostenere lo sviluppo in Italia e sul quale sono stati investiti 100 milioni di dollari. A questo si aggiungono iniziative tese sia ad aiutare il personale interno sia, soprattutto, la comunità, con attività di volontariato, sensibilizzazione verso studenti e genitori nell’utilizzo corretto del Web, supporto alla realizzazione di progetti come il Palazzo delle Scintille a Milano (il più grande centro vaccinale d’Italia) o l’assistenza ai disabili del Piccolo Cottolengo Don Orione di Tortona. Sul fronte dell’ecologismo, va sottolineato che Cisco già lavora al 100% con energia elettrica derivata da fonti rinnovabili e sul progetto di minimizzare il carbon footprint interno e del proprio ecosistema, con 100 milioni di dollari stanziati nei prossimi dieci anni: “Un nostro studio evidenzia come nel manufacturing diminuiscano del 49% i difetti nei prodotti e del 16% gli sprechi se si lavora puntando su sostenibilità ed economia circolare”, fa notare Manghi. Tutto il castello, però, poggia su un rilancio dell’appeal tecnologico, che negli ultimi anni è sceso rispetto al passato, tanto da rendere abbastanza piatto l’andamento del giro d’affari, soprattutto nell’ultimo quinquennio. Dall’ultima convention Cisco Live sono giunte alcune indicazioni che si sposano con una tendenza ormai marcata di spostamento del focus su software e servizi. Queste due componenti sono già arrivate a pesare per oltre il 50% del volume d’affari complessivo. Un elemento di rottura potrebbe essere rappresentato dal progetto di eliminazione delle password come sistema di autenticazione. Tramite la soluzione Duo Mobile (frutto di un’acquisizione del 2018), sarà possibile coprire tutte le risorse accessibili via single sign-on con chiavi di sicurezza alternative (Fido2) o biometriche, in buona misura già messe a punto da diversi costruttori. La soluzione si baserà sullo standard WebAuthn e sarà oggetto di un’anteprima già in estate, per poi essere commercializzata entro la fine dell’anno. Un altro fronte di sviluppo riguarda le modalità di accesso ai prodotti Sase (Secure Access Service Edge), racchiusi in un unico servizio integrato in cloud, che comprende le tecnologie Sd-Wan Viptela e Meraki, il remote access Duo e AnyConnect, la sicurezza Umbrella, Duo Zero Trust e altre componenti. Sempre nella logica della semplificazione, entro l’estate arriverà Cisco Plus Hybrid Cloud, che includerà tutto il portafoglio data center della società, integrato con soluzioni software e storage di terze parti.
Roberto Bonino
l’intervista VMWARE CAVALCA LA MODERNIZZAZIONE DEL CLOUD E DELLE APP
Durante l’emergenza pandemica, la multinazionale ha aiutando i clienti a costruire una “digital foundation”, per poter usare qualsiasi applicazione e fornitore su qualsiasi dispositivo.
Tanzu, Cloud e App Navigator sono le tecnologie e piattaforme di punta della nuova Vmware, un’azienda che affianca i clienti nel cambiamento ma che ha dimostrato di saper cambiare ancora più velocemente. Nuova anche perché ha recentemente nominato Raghu Raghuram nel ruolo (che fu di Pat Gelsinger) di Ceo. Technopolis ha intervistato Raffaele Gigantino, country manager per l’Italia, per capire meglio il recente percorso della multinazionale.
Come hanno reagito le aziende alla pandemia? C’è stata, come tanti hanno rilevato, un’accelerazione forzata dei processi di digital transformation, su due piani paralleli: tecnologico e di processo. All’inizio, però, la reazione è stata emergenziale, e le aziende hanno “semplicemente” spostato a casa dei dipendenti l’ambiente di lavoro, senza avere tempo e modo di pensare a nuovi processi che potessero semplificare questa trasformazione. È ovvio che le aziende innovative si siano trovate in una posizione di vantaggio, mentre per le altre, quelle che erano più indietro nel percorso, sarà difficile recuperare le perdite dovute alla pandemia.
Che cosa rimarrà a emergenza finita? Sono un ottimista e tendo sempre a guardare il bicchiere mezzo pieno. Mi conforta molto che ora ci sia una maggiore consapevolezza che gli investimenti in innovazione digitale creino valore. Uno studio della Luiss ha determinato che ogni euro investito in innovazione genera 2,4 euro di valore e le aziende come Vmware offrono la possibilità di mettere in moto questi meccanismi virtuosi, ridefinendo infrastrutture e processi aziendali.
Raffaele Gigantino, country manager di Vmware Italia
Ci sono esempi in Italia? Nel nostro Paese ci sono molte Pmi e non tutte riescono a seguire il ritmo dei cambiamenti. Molte però hanno iniziato un percorso virtuoso. Mi viene in mente Kiko Milano, che ha sfruttato il periodo pandemico per ristrutturare le proprie infrastrutture passando al cloud con le nostre soluzioni, ottenendo un saving del 20%. Oppure Ansaldo Energia, che ha guadagnato in agilità e scalabilità.
Non dev’essere facile per un’azienda ridisegnare processi e tecnologie in un momento critico... La sfida è proprio quella: avere il coraggio di innovare, facendo scelte illuminate. Noi riusciamo ad accompagnare le aziende in un processo di perform while transforming, in cui si interviene anche a caldo sulle attività che generano ricavi senza per questo compromettere i risultati aziendali.
Quali soluzioni tecnologiche consentono di intervenire in questo modo? Ci sono diversi ambiti tecnologici. Uno è quello della cloud & app modernization, che consente di utilizzare le applicazioni moderne sfruttando il meglio del cloud. L’altro, che poi è da tempo il nostro cavallo di battaglia, è quello dell’anywhere workspace, una tecnologia importante che va però integrata nei processi aziendali. Poi c’è il tema della connettività, anche 5G, che ha visto un nostro recente accordo a livello mondiale con Vodafone.
Che ruolo ha, nella modernizzazione, la vostra tecnologia Tanzu? Permette di far convivere le infrastrutture legacy con quelle più moderne, basate su microservizi, gestendole con un’unica governance. Noi siamo il vendor che può garantire meglio questa convivenza, sfruttando anche le infrastrutture multicloud e ibride.
Ma in Italia non è un po’ prematuro parlare di transizione multicloud? A noi risulta che oggi nel nostro Paese le aziende che hanno implementato soluzioni multicloud, sfruttando mediamente quattro soluzioni diverse, siano il 34%. Un anno fa questa percentuale si fermava al 24%, con una media di tre diversi cloud per ciascuna.
Emilio Mango
IL “COLLANTE” CHE TIENE INSIEME LA VIDEOCONFERENZA
Pexip si propone come un’architettura di raccordo, che integra diverse piattaforme di Ucc consentendo un’esperienza d’uso semplice.
Davvero alle aziende e a chi lavora in smart working serve un’altra soluzione per la videoconferenza e per le riunioni virtuali? Non bastano le tante proposte già affermate sul mercato, come Microsoft Teams, Skype for Business, Google Meet, Cisco Webex e Zoom? Lo scenario è ricco ma anche frammentato: basti pensare che oltre il 60% delle aziende si affida a tre o più fornitori di servizi di videoconferenza. Per Pexip, multinazionale con sede in Norvegia specializzata in piattaforme di videoconferencing, un’altra soluzione serve proprio perché sul mercato ce ne sono troppe. Serve, cioè, una tecnologia che possa collegare e integrare tutte quelle in uso e che fornisca una user experience semplice e uniforme, a prescindere dall’hardware, dal software di Ucc e dal modello di implementazione scelto. Pexip fa da “collante”, per così dire, fra le diverse tecnologie di comunicazione video in uso nelle aziende. La sua è una piattaforma scalabile e cloud-nativa che veicola videoconferenze interoperabili con le soluzioni di Microsoft, Google e Zoom, e che permette di registrare dispositivi tradizionali di videoconferencing (per esempio Cisco, Lifesize, Logitech, Poly). L’utente fronteggia una semplice interfaccia da cui accede ai classici strumenti: schermo condiviso, riquadri che mostrano gli altri partecipanti, chat. Ma il livello invisibile sottostante è un’architettura di integrazione che collega fra di loro i sistemi hardware di una sala riunioni e i software di videoconferenza in uso. Per accedere alle stanze è sufficiente aver ricevuto in link di invito e aprirlo tramite browser, senza quindi dover installare ulteriori software. Altro vantaggio per le aziende è la flessibilità di implementazione: Pexip può essere installata on-premise, fruita in abbonamento tramite cloud pubblico (Aws, Azure o Google Cloud), in modalità ibrida e come servizio. “Oggi la videoconferenza e la collaborazione in video sono diventate una priorità anche per le aziende italiane”, ha sottolineato durante un incontro con i giornalisti Fabio Sambrotta, responsabile commerciale per l’Italia. “Il video sarà una dimensione sempre più importante. Gli incontri in videoconferenze passeranno in cinque anni dal rappresentare il 10% del totale, come nell’era pre covid, al 62%”. Il video, dunque, sarà il canale preferenziale per le comunicazioni fra dipendenti, ma anche fra aziende e clienti o fornitori o business partner. “Prima della pandemia ci si incontrava di persona o telefonicamente, ma ora tutto è cambiato”, ha aggiunto il Ceo dell’azienda, Odd Sverre Østlie. “Torneremo sicuramente in ufficio, ma ci sarà un mix di modalità di comunicazione e avremo bisogno di una certa flessibilità”. L’esperienza dei lockdown lascia in eredità anche altri cambiamenti, a detta dell’amministratore delegato: una maggiore attenzione al tema della sicurezza delle videoconferenze, per esempio, e alla compliance al Gdpr. “Aspetto non meno importante è la qualità”, ha aggiunto il Ceo. “Prima della pandemia non ci si pensava più di tanto, ma ora che utilizziamo molto di più le comunicazioni video le persone iniziano a fare distinzione fra esperienze di qualità e non di qualità”. Che la videoconferenza sia sempre più importante lo si evince anche dai numeri di Pexip: nel 2020 l’azienda ha quasi raddoppiato l’organico (oggi 360 dipendenti) ed è cresciuta dell’80% in fatturato. Ma questo strumento sarà mai tanto facile e “naturale” da usare, al punto di potersi sostituire completamente agli incontri faccia a faccia? “Niente potrà mai sostituire un incontro di persona”, ha ammesso Sambrotta. “Pexip però cerca di rendere il più naturale e il più rilassante possibile la partecipazione a una videoconferenza, riducendo il fenomeno della video fatigue, che oggi in tanti sperimentano. Sicuramente il nostro lavoro va in direzione del miglioramento dell’esperienza della videoconferenza. Per quanto riguarda la sicurezza, invece, possiamo dire di essere in grado di garantirla in pieno. Ci adattiamo agli strumenti dei nostri clienti, e non viceversa”.
Fabio Sambrotta, responsabile commerciale per l’Italia di Pexip
Valentina Bernocco
UN NETWORKING SEMPLICE PER RETI COMPLESSE
Per la gestione delle reti, Juniper Networks punta su automazione, intelligenza artificiale e architetture simili a quelle del cloud.
Complessità non deve far rima con difficoltà. Questa è, in sintesi, la filosofia di Juniper Networks riferita alle reti: tecnologie in continuo mutamento, a torto spesso ritenute una commodity e che invece possono fare la differenza, ostacolando o viceversa abilitando la trasformazione digitale. La complessità del networking è inevitabilmente aumentata nell’ultimo decennio, complice l’esplosione del cloud, in tutte le sue sfaccettature. Non potendo eliminare tale caratteristica, le aziende utenti e i service provider possono però cercare di delegare ad altri le attività a scarso valore aggiunto, quelle che fanno perdere tempo ed energie, e concentrarsi su ciò che conta. Rami Rahim, Ceo in carica dal 2014 a capo della società di Sunnyvale, California, lo ha spiegato in occasione del recente summit online “Experience first networking”.
Esperienza in prima linea
Per le reti, esperienza significa performance, ma anche sicurezza, affidabilità e facilità di gestione. Nel caso dei provider di cloud e telecomunicazioni, significa anche poter offrire ai propri clienti servizi ulteriori rispetto alla semplice connettività. “Nel prossimo decennio le reti non assomiglieranno più a quelle degli ultimi vent’anni”, ha detto Rahim. “Oggi rappresentano il cuore di ogni business. Avremo bisogno di una nuova soluzione che sposta la mentalità da performance e scalabilità a una focalizzazione sulla semplicità. Il nostro obiettivo è di migliorare non i network, ma il networking”. Ovvero, uscendo dal gioco di parole, permettere alle aziende di dimenticare le operazioni a scarso valore aggiunto e di ottenere una migliore esperienza d’uso delle applicazioni in rete. “Per i service provider il miglioramento della customer experience è una massima priorità”, ha sottolineato il Ceo. Per realizzare tutto questo, la strategia di Juniper si focalizzerà su tre aree: le reti Wan automatizzate, i data center “cloud-ready” e l’intelligenza artificiale. In quest’ultimo ambito un ingrediente essenziale è Marvis, il software di assistenza virtuale e automazione per le reti aziendali Wlan, Lan e Wan, lanciato nel 2019. Da allora, grazie ai dati di telemetria accumulati e grazie al machine learning, ha migliorato le proprie capacità tanto da poter risolvere in modo automatizzato non più il 20%, come inizialmente, bensì l’80% dei problemi di rete riscontrati. Quanto all’area dei data center cloud (in cui Juniper vanta tra i propri clienti Zoom Video Communications), qui gioca un ruolo importante la recente acquisizione di Apstra, titolare di tecnologie per l’automazione e il networking “intent based”.
Rami Rahim, Ceo di Juniper
Nuove possibilità per i provider
Nell’offerta rivolta agli operatori del mondo cloud e telco, Juniper punta a migliorare l’automazione, a garantire velocità 400G e a potenziare le reti di accesso e metro. Queste ultime hanno bisogno di nuove tecnologie a supporto, se è vero (come prevede Acg Research) che da qui al 2025 veicoleranno un traffico dati in banda larga quadruplo rispetto a quello attuale. La maggior porzione di questo traffico rimarrà circoscritta nella stessa zona per la distribuzione di servizi edge, mentre i confini fra le diverse parti della rete e dei servizi (business, residenziale, mobile xHaul) diventeranno più fluidi. Alle telco serviranno soluzioni come Cloud Metro, recentemente lanciata da Juniper: una piattaforma che si interfaccia con le funzioni di rete (sia fisica sia virtuale) per consentire servizi distribuiti più vicini all’utente finale. “La visione Cloud Metro di Juniper ripensa le reti metropolitane, oggi basate su silos e connessioni point-to-point, come un unico e versatile tessuto di servizi IP”, ha spiegato Brendan Gibbs, vice president, automated Wan solutions di Juniper. “È una visione che nasce dalla nostra esperienza con operatori cloud che gestiscono reti enormi su larga scala con operazioni automatizzate. Oggi abbiamo adattato quei concetti di design per soddisfare le moderne esigenze delle reti metropolitane di nuova generazione”.
Valentina Bernocco
MEGLIO CONCENTRARSI SULLE COMPROMISSIONI CHE SUI CYBERATTACCHI
L’ultimo report di Crowdstrike evidenzia la crescita del ransomware e degli attacchi mirati nel 2020. Per affrontare i rischi serve un diverso approccio.
La pandemia è stata un trampolino di lancio per i criminali informatici. L’ennesima conferma arriva dall’ultimo “Global Threat Report” pubblicato da Crowdstrike: sul totale delle organizzazioni esaminate, il 56% ha avuto nel 2020 un’esperienza di ransomware e la metà ha deciso di pagare. Su scala mondiale, l’importo medio richiesto è stato di 1,1 milioni di dollari. Nel corso dell’anno almeno 1.377 infezioni sono state causate da Big Game Hunting, famiglie di enterprise ransomware che puntano ad attacchi di elevato valore. “Abbiamo rilevato come l’intensità degli attacchi si sia quadruplicata da quando viviamo gli effetti della pandemia”, commenta Stefano Lamonato, solution architecture manager Europe channel & Mssp di Crowdstrike. “I cybercriminali hanno sfruttato la crescita del lavoro da remoto per rafforzare i propri obiettivi di monetizzazione, non solo con i classici ransomware ma con altre tecniche di estorsione, in particolare portando sui propri sistemi i dati prima di cifrarli e quindi chiedendo un riscatto per non pubblicarli su siti di data leakage”. Dal report emerge come la preoccupazione e la curiosità che hanno circondato il covid-19 abbiano fornito la copertura perfetta per un aumento record degli attacchi di social engineering e di intrusioni mirate. Inoltre sono aumentati gli attacchi in cui vengono colpiti i punti deboli di un’azienda per raggiungere obiettivi multipli partendo da un singolo punto di intrusione. Nel 2020 è stato di quattro ore e ventotto minuti il tempo medio necessario a un attaccante per ottenere accesso a un entry point di un’organizzazione. Tempo medio sostanzialmente dimezzato rispetto a quello del 2019. Come reagire? “Di fronte alla potenza di fuoco della criminalità informatica, appare sempre più opportuno concentrarsi non tanto sugli attacchi in sé quanto sulle compromissioni”, suggerisce Lamonato. “C’è un essere umano dietro ogni attacco e i malintenzionati stanno diventando più audaci e astuti, colpendo singoli individui per prendere il controllo delle loro postazioni e arrivare al cuore dell’infrastruttura. Per questo, occorre essere in grado di individuare l’evento che consente all’attaccante di farsi strada in azienda, il suo cosiddetto movimento laterale, per intercettare i passaggi precedenti e chiudere le porte”. R.B. Nell’ambito del progetto Ambizione Italia #DigitalRestart, Microsoft Italia ha già formato circa un milione di persone e punta a triplicare il numero entro due anni. Il programma di formazione e riqualificazione professionale su competenze digitali, avviato nel 2018, oggi vanta numeri significativi. “Eravamo partiti con l’obiettivo di formare 500mila persone fino a oggi e invece siamo già arrivati al doppio”, ha sottolineato Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia. “Ora ci siamo posti l’obiettivo di arrivare a tre milioni entro i prossimi due anni”. Alla base dell’iniziativa c’è la volontà di portare persone oggi non occupate o alla ricerca di una riqualificazione professionale a lavorare concretamente nei progetti di trasformazione digitale in corso o almeno pianificati: “Per arrivarci, abbiamo attivato numerosi format di facile sfruttamento”, ha aggiunto Candiani, “ma soprattutto abbiamo iniziato a creare un network di collaborazioni con varie istituzioni ed enti, sia nazionali che territoriali, oltre che con aziende interessate a potenziare il proprio patrimonio di competenze”. Esempi concreti in quest’ultima direzione sono le iniziative avviate con Saipem (con una campagna di self assessment su un organico di 14mila persone e la creazione di una “digital academy”) e Generali (con l’obiettivo di formare 150 data scientist esperti di intelligenza artificiale). Altra iniziativa è Ambizione Italia per i Giovani, un nuovo percorso di formazione per ragazzi tra i 14 e i 29 anni.
MICROSOFT AL LAVORO PER LE COMPETENZE DIGITALI
NUOVE RISORSE PER LA “RIVOLUZIONE DEL CLIENTE”
Impresoft Group si rafforza nell’ambito del Crm e della customer experience con l’acquisizione di due nuove società, OpenSymbol e NextCrm.
Impresoft Group si allarga ancora sotto il segno del Crm, anzi della customer revolution, come la chiamano i manager del gruppo tecnologico nato due anni e mezzo fa dall’unione di cinque aziende, cioè Impresoft, 4ward, Brainware, Gruppo Formula e Qualitas Informatica. Ora nel gruppo entrano altri due componenti, entrambi focalizzati sul Crm ma con profili diversi e complementari: OpenSymbol e NextCrm. Il primo veicola sul mercato soprattutto le soluzioni di SugarCrm e Microsoft Dynamics, il secondo è uno specialista del variegato e complesso mondo Salesforce. “La customer revolution è iniziata vent’anni fa con la musica, poi con l’e-commerce e oggi invade tutti i settori”, ha detto il presidente di Formula Impresoft, Rossano Ziveri, in occasione dell’annuncio alla stampa della doppia acquisizione. I manager di OpenSymbol e di NextCrm continueranno guidare le rispettive società, che all’interno del gruppo manterranno la propria autonomia.“Ci siamo resi conto che questo settore richiede un approccio unitario, il customer engagement, che permette alle aziende di fare il salto di qualità”, ha commentato Enrico Maggi, amministratore delegato di OpenSymbol. “Significa seguire il cliente nel modo giusto, al momento giusto, in base alle sue esigenze mutevoli nell’interazione con l’azienda”. Nata nel 2004, la vicentina OpenSymbol conta oggi un organico di oltre 70 professioniste e più di 300 società clienti. All’interno del nuovo gruppo ora l’azienda potrà anche attingere a competenze diverse dalle proprie (Maggi ha citato gli esempi dell’intelligenza artificiale e della collaboration) e realizzare per i clienti dei progetti integrati, con Crm e altre tecnologie. NextCrm, invece, nata come divisione interna a OpenSymbol e diventata società indipendente nel 2019, è specializzata sulla piattaforma di Salesforce, “un vendor che richiede ai suoi partenr di essere concentrati sulla sua tecnologia”, ha raccontato Luigi Mattiazzi, general manager di NextCrm. “Siamo partiti in pochi, nel marzo del 2019, ma ereditando l’esperienza maturata nell’ambito della customer engagment su molti progetti e settori. Ci piace definirci una startup con molti anni di esperienza. Nel 2020 abbiamo raddoppiato il fatturato dell’anno precedente e portato il team alle attuali 20 persone”. In seguito alla doppia acquisizione, Impresoft Group conta ora oltre 3.500 clienti attivi, ha 600 dipendenti e sviluppa un fatturato di oltre 70 milioni di euro. “Volutamente non abbiamo creato un’unica entità legale, che avrebbe snaturato le singole aziende aderenti al progetto”, ha precisato Christian Parmigiani, Ceo di 4WardPro e brand & communication di Impresoft Group. “Con il modello federativo possiamo presentarci sul mercato con forza e numeri, ma mantenendo l’agilità e l’identità che caratterizzano ognuna delle quattro aree: business application, resilienza aziendale, industry e customer engagement”. V.B.
UN FUTURO PIÙ FOCALIZZATO PER DELL
Nel 2016, con la fusione di Dell ed Emc, nasceva un nuovo colosso tecnologico. Oggi quel colosso, Dell Technologies, ha scelto di ridimensionarsi per potersi focalizzare sul mondo dell’hardware e del software infrastrutturale. Nel giro di poche settimane, tra aprile e maggio, sono arrivate prima la notizia ufficiale dello spin-off di Vmware (che è fresca di nomina del nuovo Ceo) e poi quella della vendita della società di data integration Boomi. Vmware era entrata nell’orbita del gruppo texano in seguito alla fusione del 2016 e attualmente l’81% del suo capitale è in mano a Dell Technologies. Quest’ultima, in base all’accordo, cederà l’intera partecipazione. Lo spin-off, secondo le dichiarazioni, sarà completato entro la fine dell’anno e servirà a dare più libertà d’azione alle due aziende, migliorando la loro operatività e la gestione del capitale. Boomi, che Dell aveva acquisito nel 2010, è specializzata in servizi di integrazione dati basati su cloud, un settore di mercato riassunto nell’acronimo iPaaS (integration platform as-a-service). L’azienda sarà venduta per 4 miliardi di dollari a due società di investimenti e private equity, cioè Francisco Partners e Tpg Capital.
RESIDENZA O CENTRO COMMERCIALE? CHIEDILO ALL’A.I.
Invimit, Investimenti Immobiliari Italiani, impiega algoritmi complessi, studiati insieme a Jakala, per trovare la migliore destinazione d’uso. Così si massimizza il valore, ma anche l’impatto sociale dei progetti.
Se i dati sono la nuova ricchezza, i dati relativi al patrimonio immobiliare sono una ricchezza al quadrato. Ne sa qualcosa Giovanna Della Posta, alla guida di Invimit, una Sgr del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha lo scopo, tra le altre cose, di valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico, sia attraverso la leva urbanistico-edilizia sia attraverso la riqualificazione energetica e ambientale. Della Posta ha sposato da anni la filosofia “data-driven”, quella che affida agli analytics e ai Big Data la ricerca di informazioni preziose per prendere decisioni. E lo ha fatto scegliendo la partnership di Jakala, società che può vantare un team di specialisti, consulenti e data scientist impegnati sul fronte della data intelligence da molto prima che questa branca dell’IT diventasse un trend. “Assistiamo a un vero e proprio cambio di paradigma”, spiega Della Posta, “perché se prima il valore dell’immobile (parliamo di immobili di proprietà pubblica, ndr) era determinato dal valore catastale, oggi non si può prescindere dal territorio in cui è collocato. Il prezzo corretto, quindi, non è quello dell’oggetto ma quello del progetto che ne può scaturire, date le condizioni geo-socio-demografiche e data l’idea della funzione che l’immobile potrebbe svolgere”. Invimit e Jakala hanno sviluppato un algoritmo che, sulla base di alcuni parametri significativi del territorio circostante l’immobile, restituisce una valutazione della sua idoneità per una determinata destinazione d’uso. Una residenza per anziani, ad esempio, implica necessità molto diverse da quelle di un centro commerciale, ma spesso le informazioni che possono rivelare la corrispondenza dell’immobile al progetto non sono così intellegibili come potrebbe sembrare, e l’analisi combinata dei Big Data socio-demografici e delle variabili geografiche può rivelarsi decisiva e consentire di aumentare notevolmente il valore del progetto finito. “Contribuire a creare un vantaggio per la comunità invece che creare una
Giovanna Della Posta, amministratore delegato di Invimit cattedrale nel deserto”, precisa Della Posta, “non significa solo rendere profittevole un investimento, ma significa anche fare un servizio al tessuto sociale, generare valore per il territorio”. “Le tecnologie coinvolte in progetti come questo”, aggiunge Stefano Brigaglia, location intelligence and geosolutions director di Jakala, “sono molte: analytics, intelligenza artificiale, machine learning e geo-intelligence. Il risultato delle analisi condotte è comprensibile ai più, ma la complessità sottostante è tale da limitarne la possibilità di implementazione solo a società come la nostra, specializzate nell’integrazione di soluzioni hi-tech e competenze di data science. L’algoritmo realizzato per Invimit, ad esempio, analizza ben 14 diverse dimensioni (reddito della popolazione locale, presenza di negozi, eccetera) che sono a loro volta il risultato dell’elaborazione di decine di dati primari: un’attività impossibile per la mente umana. Alla fine, però, a decidere è l’uomo, il manager illuminato che sa sfruttare al meglio le informazioni emerse dalle macchine”. “L’analisi dei dati”, gli fa eco Della Posta, “è solo uno degli aspetti del successo di Invimit, perché dopo aver prodotto le informazioni giuste bisogna saperle usare, incrociandole opportunamente con i bisogni dei potenziali acquirenti o conduttori dell’immobile. Proporre l’immobile giusto per il giusto utilizzo non significa solo valorizzare al meglio il patrimonio, ma anche ad esempio generare più occupazione e maggior crescita del Pil. Per non parlare dei progetti che hanno un impatto sociale, dove la massimizzazione del valore è solo uno degli obiettivi”.
E.M.
l’opinione UNIFIED COMMUNICATIONS, UN MONDO ANCORA DA SCOPRIRE
La collaborazione “workstream” e l’intelligenza artificiale aprono nuovi scenari e si preparano a trasformare il lavoron a distanza.
Il lavoro remoto richiede un cambiamento nell’organizzazione e spesso sono necessari anni per superare barriere e resistenze all’adozione di queste nuove modalità. Uno dei maggiori problemi riscontrati dalle aziende è l’affaticamento derivante dall’uso di troppe app. I dipendenti passano costantemente dalla video-conferenza, alla messaggistica, alla posta elettronica, alla gestione delle attività e altro ancora. Un approccio non sostenibile, specie se si considera che il lavoro da remoto è destinato a diventare una modalità permanente. Una risposta è l’adozione di soluzioni che consentono la “collaborazione workstream”, ovvero la collaborazione integrata nei flussi di lavoro, che sostituisce i vari strumenti di comunicazione separati e non integrati con spazi di lavoro virtuali facili da navigare, in cui condividere esperienze di comunicazione, documenti, opinioni, attività di preparazione ai meeting e follow-up. Questo tipo di collaborazione è stato progettato avendo già ben presente l’ambiente di lavoro distribuito di oggi.
Un nuovo modo per creare esperienze
Abbiamo da una parte le Unified Communications-as-a-Service (UCaaS) che forniscono i building block per realizzare la employee experience e l’automazione di alcune attività; dall’altra abbiamo il Contact Center-as-a-Service, che permette la creazione di un’esperienza positiva per i clienti. Ma il vero catalizzatore e moltiplicatore è il CPaaS (Communications Platform-as-a-Service), che combinando questi due elementi permette di realizzare la strategia di “total experience” nell’azienda. Le aziende possono completare il loro percorso d’innovazione realizzando molteplici casi d’uso in breve tempo e con competenze di sviluppo generiche. In sostanza, il CPaaS è uno strato di integrazione che permette di collegare e orchestrare in modo fluido applicazioni monolitiche on-premise e/o applicazioni e infrastrutture di comunicazione in cloud per scenari di employee e customer experience. Grazie al CPaaS è possibile realizzare, ad esempio, app conversazionali per l’automazione di processi transazionali (acquisizione di dati di anagrafica, disabilitazione di carte) in modo naturale e senza vincoli di scelte rigide. L’integrazione con chatbot realizzati con le tecnologie del nostro partner Google è nativa e permette di offrire questi servizi velocemente sul canale voce. Gli stessi possono essere arricchiti facilmente da registrazione e trascrizione per analisi di qualità del servizio offerto e affinamento, allo scopo per esempio di identificare il momento migliore per trasferire il contatto all’agente, in modo facile e immediato. Analogamente è possibile integrare le soluzioni di Collaborazione Workstream in un processo più ampio che prevede, ad esempio, la gestione documentale con pubblicazione nello spazio virtuale di versioni aggiornate e notifiche, il riconoscimento e l’identificazione certa dei partecipanti a una riunione, fino all’integrazione con intelligenza artificiale per migliorare la qualità dei meeting o con la blockchain per il tracciamento “certificato” di attività, ad esempio l’esito di una votazione.
I poteri dell’intelligenza artificiale
Già oggi, con la nostra piattaforma CPaaS, abbiamo abilitato funzionalità che permettono di migliorare significativamente l’esperienza d’uso. Un esempio è l’integrazione di sistemi di intelligenza artificiale in cloud. In Avaya Spaces abbiamo sprigionato tutti i benefici dell’AI per migliorare l’efficienza delle video call con sfondi virtuali e con l’eliminazione del rumore di fondo. Ed è solo l’inizio. In futuro, l’intelligenza artificiale consentirà operazioni di cosmesi virtuale permettendo, ad esempio, di ridurre il peggioramento della qualità dell’immagine dovuto a scarsa illuminazione o all’opacità della fotocamera. Presentazioni e meeting risulteranno più efficaci e offriranno esperienze più coinvolgenti. Sarà anche possibile avvalersi di collaboratori digitali per automatizzare alcuni compiti, come fare trascrizioni di conversazioni in real-time riconoscendo e differenziando le voci. Sarà possibile durante una riunione inserire sottotitoli e/o traduzioni accurate in tempo reale, redigere verbali di riunioni, identificare la necessità di attivare task o flussi documentali o di conversazione. Molte funzionalità automatizzate potranno essere attivate con comandi vocali, si potranno fare ricerche su basi documentali diverse e i risultati potranno essere presentati in base alla priorità e alla pertinenza.
Massimo Palermo, country manager di Avaya
CLOUD, CONNETTIVITÀ E VISIONE PER L’INNOVAZIONE DELLE PMI
AscoTlc e Bcloud collaborano da anni per offrire alle piccole e medie aziende venete le migliori tecnologie disponibili su scala internazionale.
È una delle criticità irrisolte per accelerare in modo uniforme lo sviluppo del tessuto industriale italiano: portare la banda ultralarga e risorse informatiche adeguate a tutte le piccole e piccolissime imprese, anche quelle che operano in aree del Paese ancora sprovviste di un’infrastruttura di rete di nuova generazione. Quando nel 2000 la holding municipalizzata della provincia di Treviso decise di finanziare un progetto per cablare i distretti industriali di circa un centinaio di Comuni, l’intera area era scarsamente coperta e gli investimenti dei principali carrier di telecomunicazione praticamente nulli. AscoTlc, che di questa holding è il braccio operativo per l’innovazione, ha sopperito a tale mancanza posando una rete proprietaria in fibra ottica che oggi si snoda su circa duemila km, è interconnessa con il MIX di Milano ed è una delle più capillari di tutto il Nordest, estendendosi verso Belluno, Pordenone, Venezia e Vicenza. Una base infrastrutturale importante, dunque, completata da quattro data center di proprietà (l’ultimo, attivo dal 2016 a Santa Lucia di Piave, è certificato Tier 3), messa a disposizione di enti e aziende del territorio per garantire non solo connettività ma anche una serie di servizi a valore aggiunto che vanno dall’hosting alla cybersecurity, dallo storage as-a-service alla videosorveglianza da remoto. A spingere questo progetto, come spiega Stefano Ducati, Cto di AscoTlc, c’è una visione all’avanguardia per quanto riguarda le tecnologie sulle quali investire. “Nel 2003 siamo stati fra i primi ad affrontare il tema dell’Ftth”, racconta, “e a partire dal 2011 siamo andati oltre gli scavi e la connettività per le imprese aprendoci al mondo dei servizi, sfruttando i nostri data center per gestire in outsourcing l’infrastruttura dei clienti e puntando in modo deciso sul cloud”.
Un partner per fare scouting
Per aiutare nel processo di trasformazione digitale le imprese del Veneto, AscoTlc si avvale di partner che condividono la stessa propensione a pensare da pionieri. Bcloud, system integrator specializzato nell’ambito del software-defined, è sicuramente in cima a questa lista ed è il motore di una collaborazione che prevede lo scouting di nuove tecnologie su scala internazionale (attraverso una strategia “Lab2Reality”) e la sperimentazione sul campo di queste stesse tecnologie per scaricarne i benefici dentro le aziende. “Da sempre”, spiega il Ceo di Bcloud, Roberto Castelli, “crediamo fortemente nel paradigma del cambiamento supportato dall’evoluzione digitale come motore di crescita e di innovazione per le aziende e in questa missione abbiamo trovato, da subito, la stessa identità di vedute e la stessa focalizzazione anche in AscoTlc”. Fra le soluzioni innovative che Bcloud ha portato in dote come vantaggio competitivo c’è per esempio Morpheus, una piattaforma di gestione la cui peculiarità principale è quella di assicurare la perfetta integrazione delle applicazioni basate su macchine virtuali e container di terze parti, velocizzandone la gestione del loro ciclo di vita (provisioning, backup, logging, monitoraggio, reporting e controllo degli accessi) in ambienti multicloud.
Il fattore multicloud
“Collaborando con Bcloud abbiamo contribuito a ridurre il livello di attrito che AscoTlc incontra quando centralizza la gestione dei cloud pubblici e degli ambienti IT on-premise”, ha spiegato nello specifico Jonathan Langbridge, vice president & general manager Emea di Morpheus Data. L’obiettivo di AscoTlc, condiviso con Bcloud, è oggi quello di portare innovazione, nel modo più efficiente possibile, dentro qualsiasi azienda, anche se non tutte sono sensibili al digitale in egual misura. A muoversi di più, conclude Ducati, “sono le medie imprese perché vedono nel cloud un potenziale risparmio e maggiore sicurezza sotto l’aspetto della continuità del servizio, attivando per esempio servizi di backup geografico sulla piattaforma Morpheus”. A credere in questo modello sono aziende di diversi settori, dalle imprese manifatturiere fino alle grandi cantine vinicole, per le quali la società trevigiana vuole essere un ponte, un veicolo intelligente e competente verso i grandi cloud provider internazionali. G.R.