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ITALIA DIGITALE

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A2A, UNA “LIFE COMPANY” DALL’ANIMA DIGITALE

La strategia di lungo termine dell’azienda multiutility prevede un percorso di crescita basato su transizione energetica ed economia circolare.

Di trasformazione digitale si parla spesso a sproposito o quantomeno in modo improprio. Nel caso di A2A, invece, questa espressione pare definire perfettamente il percorso intrapreso con il varo del nuovo piano decennale 20212030. Nata nel 2007 dalla fusione delle due ex municipalizzate Aem Milano e Asm Brescia, l’azienda si è presentata fin qui soprattutto come una multiutility, mentre ora punta a diventare una “life company”, pronta a concentrarsi sulla qualità della vita, grazie all’uso circolare delle risorse naturali collegate ai propri ambiti di attività, ossia energia, acqua e ambiente. Inoltre, da operatore con una base territorialmente radicata nella Lombardia delle proprie origini, A2A sta allargando il raggio d’azione al resto dell’Italia e addirittura all’Europa. I due pilastri di questa strategia di consolidamento ed espansione sono l’economia circolare e la transizione energetica. Non a caso, il piano decennale contiene indicazioni di investimenti in queste due direzioni per un totale di 16 miliardi di euro. Il considerevole volume di risorse economiche in gioco poggia su traguardi ben definiti, da raggiungere nell’arco temporale considerato. Si spazia, sul primo fronte, dalla realizzazione di nuovi impianti di recupero di materia (per un totale di 2,2 milioni di tonnellate da raccolta differenziata) alla riduzione delle perdite idriche lineari del 20%, per fare qualche esempio. La transizione energetica, che assorbirà 10 dei 16 miliardi stanziati fino al 2030, mira, fra l’altro, a generare da fonti rinnovabili fino a 5,7 GW (il doppio rispetto a oggi), alla realizzazione di nuove cabine elettriche, allo sviluppo di smart grid e smart meter, alla spinta verso la mobilità elettrica.

Il digitale è protagonista

Che si tratti di economia circolare a tutela dell’ambiente o della produzione di energia pulita o, ancora, di elettrificazione dei consumi, la componente digitale permea tutti i processi innovativi in corso o pianificati. In parallelo con macroobiettivi che, fra l’altro, indirizzano 11 dei 17 punti fondanti dello sviluppo sostenibile individuati dall’Onu, A2A ha programmato la digitalizzazione di tutte le proprie attività. “La produzione e l’utilizzo di energia pulita, per fare un esempio, portano con sé la decarbonizzazione, ma in una logica di generazio-

ne distribuita tutti gli elementi portanti del processo vanno controllati attraverso una rete di dati”, illustra Marco Moretti, Group Cto/Cio e responsabile del digital enablement di A2A. “Se parliamo, invece, di economia circolare, già oggi il 76% della raccolta differenziata rigenera ciò che viene smaltito e questo accade anche attraverso componenti digitalizzate, come la gestione delle informazioni e l’impiego di strumenti robotici per lo smistamento dei rifiuti”.

L’importanza dei dati

Sui 16 miliardi di euro complessivi stanziati nel prossimo decennio, 2,8 sono destinati a fare di A2A una società “datadriven”. In questo contesto si inserisce anche il recente accordo con Tim, basato sullo scambio di competenze in ambiti innovativi come 5G, IoT e analytics, da un lato, e sul supporto all’economia circolare dall’altro. Il 47% dello stanziamento indicato finanzierà lo sviluppo di tecnologie legate all’idrogeno, soluzioni innovative di recupero energetico e di materia, flessibilità e resilienza delle reti, open innovation con la creazione di startup e investimenti di venture capital. Il restante 53% sarà indirizzato a progetti digitali in senso più stretto, per la manutenzione predittiva degli impianti, un’efficienza operativa fondata sulla minimizzazione di consumi ed emissioni di gas serra, le smart city, la costruzione di una customer experience multicanale e la creazione di nuovi strumenti di lavoro evoluti per il personale interno. “Investiremo 600 milioni di euro per lo sviluppo di servizi digitali avanzati volti a massimizzare l’efficienza della rete, con una previsione di riduzione del 3,5% nei costi e del 5% nei tempi, grazie alla manutenzione preventiva e alla realtà virtuale”, aggiunge Moretti. Agli investimenti corrispondono precisi obiettivi di crescita. L’azienda, infatti, ha previsto di trasformarsi da operatore territoriale con 2,9 milioni di utenze (elettricità e gas) a player nazionale con 6 milioni di clienti entro il 2030. L’Ebitda dovrebbe superare i 2,5 miliardi di euro, raddoppiando la cifra attuale, e l’utile netto è stimato al di sopra dell’8% come media ponderata nel periodo di durata del piano. “Questi traguardi non si potranno raggiungere senza far evolvere prima di tutto la cultura digitale delle nostre persone”, conclude Moretti. “Per questo, di concerto con le funzioni HR e Innovation, abbiamo creato il progetto Digital Dna, utile per valutare il livello di competenze già presente e favorire una people transformation indispensabile per creare innovazione, prendere decisioni data-driven e migliorare la conoscenza dei clienti”.

IL TERRENO DISSODATO DELLE SMART CITY

Già da qualche anno A2A ha creato al suo interno una realtà dedicata allo sviluppo e alla gestione di infrastrutture tecnologiche per i servizi di smart city. Per fare il salto di qualità sono previsti investimenti per 300 milioni di euro nei prossimi dieci anni. “Vogliamo diventare un player nazionale, mettendo a frutto quello che abbiamo già realizzato su scala territoriale”, si sbilancia Cesare Sironi, amministratore delegato di A2A Smart City. “Svilupperemo la nostra offerta di infrastrutture con sensori e servizi connessi, partendo da progetti di successo sperimentati nelle aree che già presidiamo, per poi esportarli avvalendoci di manodopera locale per le componenti di installazione tecnologica”. La società controllata da A2A si è fatta le ossa lavorando sui distretti per creare quartieri intelligenti, in ambito agricolo per supportare colture sostenibili e nel proprio territorio d’elezione, le utility, con soluzioni per il controllo dei consumi e la rilevazione delle perdite. “Possiamo già far leva su numerosi esempi pratici, come l’installazione di cestini intelligenti a Milano per ottimizzare la raccolta dei rifiuti o la digitalizzazione dei termovalorizzatori”, evidenzia Sironi. “Implementando infrastrutture con tecnologia LoRaWan e sensori diffusi, possiamo superare i silos che ancora caratterizzano l’organizzazione delle città e rendere disponibili dati (altrimenti non sfruttati) per esempio per rilevare fenomeni legati alla qualità dell’aria o all’uso delle telecamere di videosorveglianza o, ancora, per proporre migliori soluzioni di mobilità per i cittadini e le amministrazioni locali”. Il modello di sviluppo prevede che l’azienda rivenda progetti ad altre utility o ai comuni, in quest’ultimo caso anche finanziando le realtà oggi maggiormente in difficoltà. “Avere un piano di decarbonizzazione e di sviluppo sostenibile significa anche poter disporre di adeguate risorse finanziarie sia per creare nuove applicazioni sia per dismettere impianti e infrastrutture obsoleti”, sottolinea Sironi. In prospettiva, poi, molto ci si attende dal 5G, soprattutto in direzione dei veicoli a guida autonoma, ma anche dallo sviluppo di digital twin di intere aree urbane per poter testare nuovi progetti prima di metterli in pratica.

R.B.

Roberto Bonino

LE PIATTAFORME SMART DI OLIVETTI PER L’IOT DI TIM

Nel proprio ruolo di digital farm per la compagnia di telecomunicazioni, la storica azienda di informatica ha varato molti progetti, indirizzati soprattutto all'industria e alle smart city.

Marchio storico dell’informatica italiana, Olivetti, guidata dall’amministratore delegato Roberto Tundo, ha oggi il ruolo di digital farm del Gruppo Tim, con l’obiettivo di diventare fornitore di servizi in grado di valorizzare gli asset e le competenze soprattutto nell’ambito dell’Internet of Things (IoT). In questo ruolo, la società realizza soprattutto piattaforme per lo sviluppo di prodotti e servizi che vengono veicolati dal canale Tim e offre il proprio apporto in progetti come il recente “Smart District”, varato dal gruppo per incrementare la digitalizzazione degli oltre 140 distretti industriali presenti in Italia. All’interno di quest’iniziativa, Olivetti metterà a disposizione le proprie competenze IoT, accanto a quelle di Noovle (per le soluzioni di cloud ed edge computing), di Telsy (cybersecurity) e di Sparkle (servizi internazionali). Lo scorso anno, in risposta all’emergenza della pandemia Tim e Olivetti hanno proposto un’offerta di servizi comprendente soluzioni per il controllo degli accessi basati su termoscanner e termocamere (per il controllo delle temperature e del corretto utilizzo della mascherina) e sistemi di videosorveglianza in cloud basati su intelligenza artificiale. “In molti casi facciamo leva sulle mappe di calore derivate dai dispositivi mobili, per determinare il conteggio di presenze in determinati ambienti o valutare l’efficacia delle misure di contenimento”, spiega Mario Polosa, products & services owner di Olivetti. “Dalla rilevazione di dati, resi anonimi e aggregati nel rispetto della normativa sulla privacy, fino alla loro monetizzazione, il passo può essere breve, grazie alla possibilità di integrare diverse fonti per ricavare, per esempio, informazioni sui percorsi seguiti dai clienti all’interno di strutture commerciali”. Gli ambiti applicativi dell’IoT targata Tim e Olivetti sono numerosi e spaziano dal mondo agricolo (smart farm) all’industria 4.0, fino all’automotive, dove è in corso lo sviluppo di servizi telematici a bordo delle vetture. Il gruppo sfrutta le competenze a disposizione anche per migliorare processi interni. “Tim ha implementato, per esempio, sui cabinet che portano oggi la fibra nelle nostre case un sistema di controllo accessi”, illustra Polosa. “Vi sono installate serrature elettromeccaniche controllate a distanza, per aumentare il livello di sicurezza e verificare che chi accede sia effettivamente autorizzato a farlo. Il gateway IoT è integrato nei cabinet capillarmente distribuiti sul territorio, pertanto potrebbe ospitare sensori di smart city contribuendo a superare il limite ancora esistente del costo di costruzione dell’infrastruttura, oggi ancora collegato all’installazione di sensori sui pali della luce”. In proiezione futura, la progressiva affermazione della tecnologia 5G dovrebbe aprire la via alla capacità di trasportare grandi quantità di dati, per ottenere informazioni in tempo reale in diversi ambiti time-sensitive: per esempio la computer vision, pensando che una telecamera, in abbinamento ad algoritmi sviluppati ad hoc, possa sostituire i sensori. Per la piena affermazione del potenziale dell’IoT, tuttavia, occorrerà superare alcuni attuali limiti. “Manca ancora un po’ di consapevolezza in materia, sia da parte di chi propone tecnologia sia da parte delle aziende clienti”, conclude Pelosa. “Anche l’aspetto finanziario rappresenta un possibile limite, soprattutto per i progetti più legati alle pubbliche amministrazioni. Infine, occorrerà definire ulteriormente gli aspetti correlati alla privacy, molto rilevanti in determinati ambiti di applicazione, come quello della sanità”.

Mario Polosa, products & services owner di Olivetti

Roberto Bonino

LA PA ACCELERA NEL DIGITALE E SCEGLIE IL CLOUD

La pandemia ha evidenziato le criticità latenti nelle infrastrutture IT di alcuni enti pubblici. Ma la trasformazione ha ormai preso il largo.

La recente emergenza del covid-19 ha portato le Pubbliche Amministrazioni italiane a confrontarsi con l’urgenza di digitalizzare velocemente le attività, eliminando i blocchi che avevano ritardato questa evoluzione in passato. La situazione ha fatto emergere con più evidenza le criticità delle infrastrutture IT di alcuni enti del settore pubblico: l’insuccesso dei vari “click day” susseguitesi nell’ultimo periodo ha dimostrato la necessità di realizzare servizi che siano “nativamente digitali”, anziché semplicemente trasporre online prassi e processi antiquati. I cittadini sempre più chiedono infrastrutture performanti e le amministrazioni pubbliche devono velocizzare questo passaggio. Come emerso durante un recente ciclo di roundtable organizzate da Vmware e The Innovation Group (“Cio exchange: La PA si trasforma con il digitale“), coinvolgendo una community di CxO che seguono in prima persona i percorsi di innovazione digitale” della PA centrale e locale, la ripartenza dovrà essere il momento per creare infrastrutture resilienti. Infrastrutture che siano alla base di un più ampio percorso di innovazione e digitalizzazione dell’intero Paese. In una fase di accelerazione dei processi di trasformazione digitale, è importante essere coscienti delle nuove opportunità e di come affrontare questo momento. Gli incontri con gli executive di grandi enti della PA centrale e locale sono serviti a fare il punto su che cosa abbia insegnato la recente esperienza della pandemia circa la domanda di servizi pubblici avanzati, sicuri, veloci e gestibili da remoto da parte dei cittadini. E su come accelerare nei percorsi di digitalizzazione, abilitando lavoro agile ed efficienza operativa, con un modello operativo per il cloud comprensivo di automazione, governo e analisi. Il tutto, sia per contenere i costi sia per elevare le prestazioni e incrementare la resilienza operativa. Dalla discussione sono emersi spunti importanti, legati soprattutto alla recente esperienza dello smart working, che ha richiesto un utilizzo più pervasivo di tecnologie digitali e in particolare un più rapido passaggio al cloud di numerose attività. In alcuni casi, dopo una prima fase di veloce migrazione, le amministrazioni hanno dovuto fermarsi e fare un passo indietro: è importante infatti che il cambiamento sia sempre guidato e tenuto sotto controllo, che ci siano un disegno e una strategia generale. Quindi, la definizione di percorsi il più possibile allineati con gli obiettivi che si pone l’ente pubblico, l’analisi di costi e benefici, la valutazione di aspetti di compliance e sicurezza rispetto a dati sensibili (per i quali spesso si delineano scenari di infrastrutture ibride). Quali sono le raccomandazioni perché la transizione avvenga con successo? Da un lato, è importante che nella PA ci si svincoli da concetti di pura smaterializzazione o di digitalizzazione tout court, perché questi non portano reali benefici, semplicemente replicano l’esistente con i suoi difetti. Importante, invece, pensare al vero valore aggiunto che si vuole portare alla propria utenza, conoscendola nelle sue caratteristiche e aspettative, oltre che rivedendo i meccanismi interni della PA dove questi portano ritardi e duplicazioni inutili. E adottare un reale “innovation state of mind”, ossia, la capacità di rinnovarsi ogni giorno senza aver paura di sbagliare (perché in fondo è proprio dagli errori che si impara di più). Dal punto di vista delle infrastrutture - quindi di tutto quanto riguardi l’erogazione di servizi ai cittadini oltre che il disegno di nuovi - l’obiettivo deve essere dotarsi di un approccio “cloud neutral”. Mettere la sicurezza di dati e infrastrutture al primo posto. Adottare modelli operativi che siano il più possibile consistenti e interoperanti attraverso le varie piattaforme a disposizione. Guardare al nuovo e, infine, mantenere aperta la possibilità di tornare indietro, ossia di riportare in casa dati e workload in qualsiasi momento.

Elena Vaciago, associate research manager di The Innovation Group

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