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INFRASTRUTTURE

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CYBERSECURITY

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GAIA-X, PRENDE FORMA L’HUB ITALIANO

Partito come un progetto franco-tedesco, il cloud europeo attratto più di 200 membri e ora fervono le iniziative di sviluppo anche nel nostro Paese.

Poco più di un anno fa muoveva i primi passi il progetto Gaia-X, all’epoca lanciato dai ministri dell’economia francese e tedesco. Fin dalle fondamenta, è apparso chiaro l’intento di favorire la libera circolazione dei dati all’interno dell’Unione Europea, come già accade per le persone, i beni e i capitali. Ma anche di contrastare il dominio dei grandi player del cloud mondiale, come Amazon, Microsoft, Alibaba, Google e Ibm, che assorbono oltre la metà del fatturato globale di questo mercato. Oggi il consorzio conta 212 membri, una quarantina dei quali sono italiani. Proprio il nostro Paese è stato di recente teatro di occasioni di confronto e sviluppo, a testimonianza di una fase di snodo cruciale per acquisire un ruolo

Stefano Firpo Francesco Bonfiglio Michel Paulin

più attivo nel progetto. Un passaggio fondamentale è stato il varo dell’hub regionale di Gaia-X, avvenuto su impulso di Confindustria e sotto l’egida dell’attuale governo, che si è impegnato a sostenere anche economicamente le iniziative nascenti. “La digitalizzazione è al centro degli investimenti previsti nell’ambito del Pnrr appena presentato”, ha evidenziato Stefano Firpo, capo gabinetto del ministero per la Trasformazione digitale. “Circa 2 miliardi di euro, in particolare, sono destinati all’evoluzione verso il cloud della Pubblica Amministrazione e Gaia-X dovrà essere un perno di questo sviluppo, fornendo un’arma in più per la negoziazione con gli hyperscaler, ma anche la base per la creazione del Polo strategico per l’Innovazione, che sarà probabilmente pronto a partire a luglio”. Firpo ha rimarcato anche come l’idea di una “Schengen dei dati" debba poggiare sui cosiddetti data spaces, strutturati per settori verticali, nei quali le aziende possano condividere un vocabolario comune, con regole semantiche legate a standard di tipo Rdf (Resource description format).“Dietro c’è una strategia di politica industriale non facile, perché occorre far collaborare le aziende sui dati, ma è la strada giusta per le filiere e per competere con i principali blocchi economici globali”.

Uno slancio che parte dai servizi Il quadro operativo appare chiaro e lo ha rimarcato il Ceo della Gaia-X Association, Francesco Bonfiglio: “La pandemia ha accentuato la necessità di disporre di piattaforme digitali costruite sui dati, ma il valore economico costruito in Europa è ancora insoddisfacente. Dai 100 miliardi di euro del 2019, dobbiamo arrivare a 900 miliardi nel 2025. Senza però arricchire aziende fuori dall’Ue e creando la necessaria fiducia, sotto forma di etichettatura, per certificare sempre dove si trovano i dati, oltre ad agevolarne la portabilità”. Bonfiglio ha ammesso che avremo una vera svolta quando si creerà una domanda di servizi Gaia-X. Un passo in questa direzione è avvenuto con la messa a punto delle prime specifiche dei cosiddetti Federation Services, che dovranno permettere a fornitori e utenti di connettersi in condizioni di interoperabilità e sicurezza giuridica. In pratica, tutti i servizi Gaia-X saranno collegati a un sistema trasparente e aperto, conforme alle norme europee. A breve partirà la procedura per generare le offerte, in modo da attirare partner ad hoc, ma per vedere le prime concretizzazioni dovremo verosimilmente attendere la fine dell’anno. Tra gli enti che stanno mostrando interesse verso il potenziale di Gaia-X troviamo l’Esa, l’Agenzia spaziale europea, che fra l’altro ha messo a punto il progetto Digital Twin Earth, vera e propria replica digitale dinamica della Terra, in grado di riprodurne i comportamenti: “Sia noi che Gaia-X abbiamo connotazione europea e nei nostri progetti occorre gestire enormi quantità di dati”, ha rilevato Simonetta Cheli, capo delle strategie dell’Agenzia. “La convergenza potrà avvenire sugli standard e sulla sicurezza, visto che dobbiamo fronteggiare attacchi anche sui satelliti e far leva sulla normativa continentale opportunamente stringente”.

Promesse e ambiguità Nel citato progetto Digital Twin Earth, un ruolo importante viene svolto dal Cineca, polo tecnologico di supercalcolo con sede in Italia, ma con dotazioni tutte di origine continentale. Tra i fornitori c’è anche la francese Atos, a propria volta membro di GaiaX: “Siamo al centro degli sviluppi che stanno portando lì tutta la base dati per le previsioni meteorologiche, a seguito dello spostamento dalla Gran Bretagna come effetto della Brexit”, ha raccontato l’executive vicepresidente e Ceo per l’Italia Giuseppe Di Franco. “Ci lavoreranno 2.500 ricercatori pro-

venienti da tutta Europa e questo è un esempio di come occorra far convergere le competenze sui progetti per far emergere il potenziale di Gaia-X in settori a forte crescita, come quello delle smart city”. Certo, il disegno di un cloud europeo, fondato sulla fiducia nella tutela dei dati e sulla loro libera circolazione, deve sgombrare il terreno da qualche vincolo e ambiguità ancora presenti. Un tema delicato riguarda la presenza nell’associazione di società statunitensi o cinesi, anche di primo piano, come Google, Oracle o Salesforce. “L’Europa deve poter controllare il proprio destino sui dati”, si è affrettato a puntualizzare Michel Paulin, Ceo di OvhCloud, un altro dei membri di Gaia-X. “Questo però non significa avviare un’iniziativa protezionistica, ma poter esercitare una maggior pressione politica senza essere tagliati fuori dallo strapotere dei grandi player. Il controllo dei dati in Europa vale 500mila posti di lavoro e Gaia-X può essere uno strumento per far uscire i dati dalle prigioni, per quanto dorate, dove si trovano e farli circolare in modo garantito, per farli arrivare dove servono e rassicurare cittadini e imprese sulle modalità di gestione e conservazione”.

Roberto Bonino

DATI E CLOUD, TRAMPOLINO PER L’EUROPA

Gaia-X, ribattezzata dai media come “il cloud europeo”, non nasce come progetto imprenditoriale ma come iniziativa tecnologica e “politica”, sostenuta all’esordio da una trentina di aziende francesi e tedesche e poi allargatasi fino a raggiungere oltre duecento soggetti europei, fra imprese, enti di ricerca, università, Ong. Parte importante spetta alla ricerca e sviluppo per il lancio di nuove tecnologie, da cui il coinvolgimento del mondo universitario e scientifico. A tal proposito i promotori citano come aree d’elezione l’High Performance Computing, il calcolo quantistico, l’innovazione nel campo dei processori (difficile sfida di fronte a colossi quali Intel, Qualcomm e Amd), le infrastrutture di rete 5G e, a tendere, 6G. L'idea globale è quella di creare un “sistema omogeneo” che possa connettere fra loro infrastrutture separate, centralizzate e decentralizzate. Ma soprattutto, più ancora delle tecnologie, per Gaia-X contano le regole. Il dichiarato obiettivo della fondazione è quello di “creare un ambiente in cui i dati possano essere condivisi e conservati sotto il controllo dei loro responsabili e utenti”, nel pieno rispetto del Gdpr e con tutele di privacy maggiori rispetto a quelle normalmente garantite dai cloud provider statunitensi. Questi ultimi, tuttavia, non sono esclusi dai giochi ma dovranno garantire aderenza a principi di elevata sicurezza, di portabilità dei dati e di totale trasparenza sul loro utilizzo. La federazione Gaia-X ha già stretto accordi con i grandi colossi statunitensi, come Amazon, Google e Microsoft, che potranno proporre servizi certificati. “Alla base c’è un progetto di infrastruttura e di IT, ma questo non è affatto l’unico obiettivo: vogliamo anche creare un data space, composto da partner che possono condividere i loro dati per riuscire a migliorare e aumentare la loro penetrazione nel mercato”, ha dichiarato in una recente conferenza stampa Hubert Tardieu, chairman del board di Gaia-X e veterano dell’industria Ict francese. “L’intenzione non è di lanciare prodotti commerciali, ma di stabilire standard e policy e di promuovere la condivisione dei dati. Crediamo che le implementazioni di maggior successo saranno fatte nei mercati più regolamentati, come quello bancario. Mostreremo che con il digitale può essere fatto molto più di quello che viene fatto attualmente e che il data sharing può servire in diversi settori di mercato”. V.B.

DATA CENTER, NON C’È SEGNO DI CRISI

Processi di digitalizzazione e spinta verso il cloud stanno alimentando gli investimenti, come evidenziato da uno studio di Synergy Research.

La pandemia di covid ha generato, su scala globale, un’impennata della fruizione di servizi cloud. Di conseguenza, soprattutto i cosiddetti hyperscaler hanno considerevolmente aumentato i loro investimenti in data center. Uno studio realizzato da Synergy Research evidenzia come le spese dei grandi operatori del mercato siano cresciute del 31% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di 38 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2021. Se spostiamo l’attenzione su un orizzonte annuale, gli investimenti totali hanno raggiunto i 149 miliardi di dollari, contro i 121 dei quattro trimestri precedenti. I numeri sono basati sull’analisi del volume di investimenti e sulle dimensioni dei data center dei venti più importanti cloud e Internet service provider a livello mondiale, comprendendo realtà che offrono IaaS, PaaS, applicazioni SaaS, ma anche social media e operatori del commercio elettronico. La lista include Amazon, Microsoft, Google, Apple, Alibaba, Tencent, Facebook, Twitter, Ibm, Oracle e altri. Gran parte della spesa è stata destinata alla costruzione, espansione o consolidamento delle infrastrutture di calcolo. Synergy ha conteggiato un numero totale di 625 data center al primo trimestre 2021. Gli hyperscaler hanno indirizzato oltre la metà dei propri investimenti totali proprio alle loro infrastrutture primarie, anche se occorre ammettere che il volume delle risorse economiche impiegate varia molto fra un trimestre e l’altro e a secon-

Photo by Science in HD on Unsplash da degli operatori. Ma chi ha investito di più nei data center? Secondo Synergy, in cima alla graduatoria troviamo Aws, e a seguire Microsoft, Google e Facebook: i budget impiegati dai quattro brand citati superano abbondantemente quelli di tutti gli altri. Alle loro spalle, a debita distanza, troviamo Apple, Alibaba e Tencent. Secondo gli autori dello studio, la pandemia ha avuto un ruolo di spinta, assai più che di ostacolo, per la crescita dei grandi provider e il trend è tutt’altro che destinato a rallentare. In parallelo all’ascesa degli investimenti, infatti, sono notevolmente aumentati anche i volumi d’affari degli hyperscaler: negli ultimi quattro trimestri, le realtà citate nella ricerca hanno generato un volume d’affari pari a oltre 1.700 miliardi di dollari, in ascesa del 24% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Aws e Microsoft vengono indicati come i leader del comparto e proporzionale al loro peso è anche il valore degli investimenti. Anche Facebook, Alibaba e Tencent hanno speso di più, mentre Google ha fatto marcia indietro e Apple ha mostrato un andamento altalenante fra i vari trimestri. Dietro questi nomi, altri grandi investitori risultano essere Ibm, Ntt, Oracle, Jd.com, Twitter e Baidu. Synergy propone un interessante confronto con i player di altri comparti, anche contigui a quello dei servizi cloud. A fronte dei record costantemente battuti dai fornitori esaminati, gli operatori delle telecomunicazioni mostrano spese Capex stabili da almeno cinque anni e a questo corrisponde un certo stallo anche delle entrate globali. Alla luce delle valutazioni effettuate, gli analisti prevedono per gli hyperscaler una crescita di investimenti a doppia cifra costante, che si prolungherà ancora per diversi anni.

Roberto Bonino

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