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STORIA DI COPERTINA
UNA RIVOLUZIONE ANCORA INCOMPRESA
La trasformazione digitale nel post pandemia ha i tratti di un cambiamento epocale, ma la sua vera portata non è ancora stata capita del tutto.
”Il digitale non è la ciliegina: il digitale è la torta!”. Così, durante la sua presentazione al Digitaly Italy Summit organizzato a Roma da The Innovation Group, Luciano Floridi alludeva all’importanza del digitale in tutte le dimensioni dell’economia e della società di oggi. Il filosofo ed esperto di etica dell’informazione (professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford e professore di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all’Università di Bologna) sottolineava però anche che molti capi d’impresa oggi sono ancora convinti che il digitale sia la ciliegina. Così come molti ritengono di poter fare i conti con la transizione ecologica semplicemente con una spolverata di green washing. Insomma, non si è ancora capito completamente quale sia la
potenza della rivoluzione digitale e che è qui che sta il profitto. A tutti questi temi il Digital Italy Summit ha riservato un repentino risveglio. Da tanto tempo si parla di “cambio di paradigma”; ma i germi del cambiamento erano lì da parecchio, ed erano anni che i più avveduti avevano cominciato a introdurre cambiamenti profondi, a ridisegnare prodotti, processi, modi di produzione, modelli di business grazie al digitale. È stata la pandemia a far precipitare il cambiamento, a imprimervi un’accelerazione incredibile. E così, mentre prima si passavano mesi a litigare su come allocare qualche miliardo di euro, ora ci troviamo improvvisamente di fronte alla sfida di investire efficientemente, in tempi brevi, 230 miliardi: è questo il segno del cambio di paradigma. E non si possono utilizzare i metodi e i criteri derivati dall’esperienza del Novecento: affrontare una trasformazione radicale fingendo che nulla sia avvenuto è la ricetta per il disastro.
Le opportunità della trasformazione digitale
Quali, dunque, alcune delle idee che sono emerse dalla tre giorni del Summit? Nel suo intervento, il professor Floridi ha innanzitutto chiarito che la nuova sfida non è l’innovazione digitale, ma la governance del digitale. Oggi un’azienda che abbia fondi sufficienti compra tecnologia per l’innovazione digitale, ma il problema vero è che cosa farci: in che direzione vogliamo andare come società, come azienda, come ambiente complessivo? Come governare l’integrazione di dati dai formati eterogenei, di database che non si parlano tra loro, di sistemi informativi frammentati e di centri di potere autoreferenziali? Una seconda verità da considerare è che la rivoluzione digitale è una rivoluzione ambientale, e non massmediatica. Non è una questione di comunicazione, ma investe nel profondo la natura dell’ambiente informazionale in cui viviamo. Ma questo ambiente quanto è fragile o robusto? Quanta ecologia di questo ambiente vogliamo mettere in campo? Dobbiamo metterci in testa che andiamo verso un mondo ibrido, in cui la dicotomia online/offline è ormai solo un vecchio reperto novecentesco. In terzo luogo, bisogna riflettere sul fatto che quella digitale è un’innovaione di design: non è né invenzione né scoperta. Il design significa mettere insieme vincoli e risorse per risolvere un problema, in vista di un fine. Il design teso all’innovazione investe le istituzioni, i modelli di business, i servizi e i prodotti, sfruttando quella proprietà unica del digitale di scollare e reincollare la realtà. Significa utilizzare il meglio che l’umanità abbia mai prodotto, nella sua capacità creativa, per risolvere problemi senza basarsi su soluzioni vecchie. E dunque il nostro Paese, culla del design industriale, ha davanti un’occasione per estendere la propria capacità creativa al mondo delle istituzioni, dei nuovi business model, delle necessarie innovazioni sociali nel campo del welfare.
Il “blu” amico del “verde”
Il blu (del digitale) è amico del verde (dell’ambiente), per tre motivi: perché facciamo di più con meno, perché possiamo fare cose diverse da quelle che facevamo prima, e perché possiamo fare cose che prima non potevamo proprio fare. E queste tre caratteristiche consentono al digitale di scavalcare problemi che l’analogico non era in grado di gestire. È il mondo delle “twin transformation”, in cui la rivoluzione digitale, più matura, può contribuire potentemente allo sviluppo della transizione ecologica. In un’altra efficace immagine, Floridi ha spiegato che dai “colletti bianchi” passeremo ai “colletti verdi”, cioè andremo da un concetto di consumismo a un concetto di cura. La prossima fase indotta dallo sviluppo del capitale vedrà il passaggio da un capitalismo del consumo a un capitalismo della cura, nel quale le risorse economiche coinvolte sono immense. Oggi alcuni di questi concetti sono già patrimonio consolidato delle aziende e delle organizzazioni più avanzate; altri hanno un sapore ancora pionieristico, ma siamo convinti che negli anni prossimi li vedremo affermarsi diffusamente.
Roberto Masiero
LA RIPARTENZA DELL’ITALIA SI GIOCA SUL DIGITALE
L’innovazione tecnologica è trasversale alle “missioni” del Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e avrà impatti su tutti i settori, dall’industria alla sanità.
Sul Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presentato dal governo italiano alla Commissione Europea lo scorso aprile, si costruisce il futuro dell’Italia. Come noto, il governo punta a dare impulso decisivo al rilancio della competitività e della produttività nazionale rendendo più moderna e digitale la Pubblica Amministrazione, imprimendo un’innovazione strutturale nel sistema produttivo, proseguendo nella realizzazione della banda larga e, infine, investendo nel patrimonio turistico e culturale del Paese. I soldi ci sono: il governo ha chiesto all’Europa il massimo delle risorse disponibili per il nostro Paese, pari a 191,5 miliardi di euro, di cui 68,9 a fondo perduto e 122,6 sotto forma di prestiti; a questo si aggiungono circa 13 miliardi di euro del programma React-Ee e circa 30,6 miliardi del Piano nazionale per investimenti complementari, per un totale, quindi, di 235,1 miliardi di euro. Il piano delinea anche un insieme di riforme necessarie per poter utilizzare le risorse finanziarie del Recovery and Re-
silience Facility dell’Unione Europea, su cui si basa la strategia di ripresa post-covid del programma Next Generation Eu. Il Pnrr punta a intervenire sulla riduzione della burocrazia e sulla rimozione di vincoli all’aumento della produttività, con un articolato e complesso insieme di riforme orizzontali, abilitanti e settoriali, oltre ad altre specifiche. A detta del Governo, l’impatto sull’economia italiana potrà essere pari a un ulteriore aumento dello 0,8%, che porterebbe il tasso di crescita nell’ultimo anno all’1,4%; l’impatto complessivo sul prodotto interno lordo viene stimato in +3,6% per l’anno 2026, con un effetto di contenimento sia sul rapporto debito pubblico/PIL sia sul tasso di disoccupazione. Le regole imposte dall’Unione Europea, i target e le rigorose scadenze indicate nel Piano saranno le scommesse principali che il Governo e la classe dirigente pubblica e privata dovranno affrontare. A detta di alcuni osservatori, l’eccessiva frammentazione delle singole aree progettuali rischia di rendere ulteriormente complesso, per il Governo, il monitoraggio degli stati di avanzamento specifici.
Il peso del digitale e la “Missione 1”
Quanto pesa, all’interno del Pnrr, la componente digitale? Per rispondere bisogna considerare sia le risorse che, nelle varie “Missioni” del piano, vengono dedicate esplicitamente alla transizione digitale, sia le potenziali ricadute sui vari ambiti. La “Missione 1”, incentrata su digitalizzazione e innovazione del settore pubblico, del sistema produttivo e del turismo, convoglia il 21% circa dei fondi complessivi ovvero 49,85 miliardi di euro. Serviranno a migliorare la capacità e l’efficienza delle amministrazioni pubbliche centrali e locali, attraverso la semplificazione e la digitalizzazione di procedure e servizi. Nella gestione dei dati dovrà valere il principio once only, secondo cui gli enti della PA non dovranno più chiedere a cittadini e imprese i dati di cui siano già in possesso, ma potranno estrapolarli dalle proprie banche dati. Il tema dell’interoperabilità di flussi documentali e dati viene ripreso in diversi contesti e progetti, fra cui quelli riguardanti lo Sportello Unico delle Attività Produttive e lo Sportello Unico dell’Edilizia. Si punta poi a rafforzare i servizi digitali già attivi, come Spid, Cie, PagoPA e app IO, e notevole attenzione viene dedicata al cloud, a cui vengono destinati circa 1,9 miliardi di euro. L’obiettivo è quello di migrare in cloud, e in gran parte nella nuova infrastruttura del Polo Strategico Nazionale (Psn), le attività delle amministrazioni pubbliche oggi appoggiate on-premise on in data center poco sicuri. Da stime dell’AgID, il 95% dei data center a cui si appoggia la PA italiana non soddisfa criteri di sicurezza: questa infrastruttura dispersa dovrà essere consolidata. Duecento enti centrali, insieme a ottanta aziende sanitarie locali, dovranno trasferire i propri dati nei data center del Pns (quattro infrastrutture, cioè due coppie ridondate) mentre azioni differenti riguarderanno le pubbliche amministrazioni locali. In alternativa al Polo Strategico Nazionale, gli enti potranno migrare sul cloud di uno tra gli operatori di mercato che saranno stati precedentemente certificati oppure potranno appoggiarsi ad altre amministrazioni locali. All’interno del Piano sono esplicitati i progetti di digitalizzazione delle grandi di amministrazioni centrali (Inps, Inail, Ministero della Giustizia, Consiglio di Stato, Ministero della Difesa e Ministero dell’Interno), per investimenti pari a 611 milioni di euro, oltre che risorse per migliorare le competenze tecnologiche della PA e per promuovere anche un servizio civile digitale a supporto degli enti locali (195 milioni di euro). Altri stanziamenti sono previsti per il rafforzamento della cybersecurity a livello centrale (623 milioni di euro) e per la semplificazione del processo di acquisto di risorse Ict con la creazione di un portale digitale per gli appalti. La seconda componente della “Missione 1” riguarda l’innovazione del sistema produttivo e consiste in diversi tipi di intervento volti a favorire la transizione digitale, il passaggio al modello Industria 4.0 e la formazione di competenze tecnologiche all’interno del settore, nonché lo sviluppo di nuove infrastrutture di rete a banda larga e ultralarga. La terza componente, relativa a cultura e turismo 4.0, prevede l’uso del digitale nella comunicazione e promozione, ma anche nello sviluppo di nuovi contenuti e servizi digitali. Tra le varie attività c’è il potenziamento del portale “Italia.it”, che dovrà ispirarsi alle best practice estere.
Il digitale nella rivoluzione verde
Sui 59,47 miliardi di euro della “Missione 2”, dedicata alla transizione ecologica, circa 8,5 miliardi di euro potranno servire allo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile. Si mira, per esempio, a realizzare una rete di 21mila punti di ricarica per veicoli elettrici, che dovrà funzionare come una smart grid moderna, impiegando in modo avanzato dati e intelligenza software. Anche nella già citata “Missione 1” si presta attenzione al miglioramento della mobilità destinando 40 milioni di euro alla creazione di servizi di “mobility as a service”, che copriranno le diverse fasi degli spostamenti, dalla pianificazione ai pagamenti. Altro progetto importante, cui sono riservati 500 milioni di euro, riguarda la tutela del territorio e delle acque e contempla la realizzazione di un sistema avanzato e integrato di monitoraggio e previsione, da remoto, di ampie fasce territoriali: l’analisi dei dati (raccolti anche da satelliti, droni, sensoristica e con l’integrazione di diversi sistemi informativi e reti di telecomunicazione) permetterà di contrastare fenomeni di smaltimento illecito di rifiuti, di studiare il cambiamento climatico e di elaborare piani di prevenzione dei rischi. Altri 100 milioni di euro saranno destinati alla “digitalizzazione”
dei 24 parchi nazionali e delle 31 aree marine protette, con la creazione di nuove procedure di gestione, attività di monitoraggio e lancio di nuovi servizi per i visitatori. Importanti sono anche l’obiettivo di ridurre le perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua (attività a cui sono dedicati 900 milioni) e gli investimenti sulle reti e i sistemi irrigui per l’agricoltura (800 milioni, con l’installazione di contatori e sistemi di controllo a distanza. Sempre nella “Missione 2” sono riportate le risorse dedicate all’economia circolare (circa 2,47 miliadi) di cui circa 1,5 miliardi sono destinati all’ammodernamento degli impianti per la gestione dei rifiuti. Da segnalare, inoltre, i 600 milioni di euro dedicati ai progetti di potenziamento della la rete di raccolta differenziata attraverso monitoraggio con droni, satelliti e intelligenza artificiale. Sistemi di monitoraggio e misurazione sono centrali anche nelle iniziative volte a ottimizzare i consumi energetici, riducendo l’impatto ambientale. Per questo stesso fine sono previsti lo sviluppo di sistemi di teleriscaldamento (200 milioni di euro) e soprattutto la creazione e il rafforzamento di smart grid (3,6 miliardi di euro) che potranno favorire l’adozione di fonti rinnovabili.
Verso una mobilità sostenibile
Il ruolo del digitale e gli obiettivi di transizione ecologica tornano a incrociarsi anche nella “Missione 3”, dedicata alle infrastrutture per la mobilità sostenibile. Possiamo fare diversi esempi di come il digitale possa contribuire a rendere più ecologico, moderno e sicuro il sistema dei trasporti: il miglioramento della sicurezza di ponti, viadotti e gallerie con l’utilizzo di sistemi di monitoraggio e manutenzione predittiva; l’aggiornamento dei sistemi di segnalazione dei trasporti ferroviari; l’incremento della dotazione tecnologica e la definizione di standard di interoperabilità per le imprese di trasporto merci e logistica. È atteso anche lo sviluppo dei Port Community Systems per promuovere servizi standard di interfaccia con gli operatori marittimi, di terra e i gestori di infrastrutture nodali (interporti, retroporti, aeroporti, gestori della infrastruttura ferroviaria) e per l’interoperabilità con la piattaforma logistica nazionale (Reti Portuali). Circa 110 milioni di euro serviranno per rinnovare i sistemi aeroportuali, con potenziamento e creazione di strumenti di digitalizzazione dell’informazione aeronautica e con piattaforme e servizi per aerei senza pilota. Per questi e altri progetti della “Missione 3”, incentrati sul digitale, possiamo stimare investimenti di valore compreso tra i 5 e i 6 miliardi di euro.
Istruzione, ricerca e sanità
Anche le restanti sezioni del Pnrr sono attraversate dal digitale. Nella “Missione 4”, relativa a scuola, istruzione e ricerca, la tecnologia ha un ruolo sia come oggetto (lo sviluppo di competenze digitali tra il personale docente e amministrativo, oltre che tra gli studenti) sia come strumento (è abilitante per la didattica a distanza). Alla realizzazione di una “Scuola 4.0” sono dedicati 2,1 miliardi di euro, che serviranno tra le altre cose a realizzare aule e laboratori, nuove forme di didattica, l’aggiornamento di circa 100mila aule esistenti con connessioni di rete e dispositivi, e ancora il cablaggio di 40mila edifici scolastici. Anche nella “Missione 5”, dedicata a interventi per la coesione e inclusione, gli investimenti in digitale potrebbero avere ricadute (difficili da quantificare, allo stato attuale) su progetti di rigenerazione urbana, su programmi sulla qualità dell’abitare e sulla strategia nazionale per le aree interne. Nella “Missione 6”, centrata su salute e sanità, l’innovazione digitale assorbe circa 7,4 miliardi di euro, cioè poco meno di metà dello stanziamento complessivo della missione. Si punta a modernizzare il servizio sanitario nazionale migliorando l’accessibilità ai servizi e ampliando l’uso della telemedicina. Alla luce di questi numeri, possiamo realisticamente valutare che il potenziale diretto e indiretto della componente digitale sarà di circa 60-62 miliardi di euro nell’arco dei cinque anni: un impatto potenziale notevole sulla crescita dell’economia italiana. Continuare a monitorare l’evolvere dello scenario è importante, perciò The Innovation Group attiverà per il 2022 un servizio di “Pnrr tracking” per le aziende intenzionate a cogliere tutte le opportunità che si presenteranno.
Ezio Viola
UNA SPINTA PER IL TURISMO
Nuovi servizi digitali per una fruizione alternativa dei beni culturali, ma anche la creazione di un “hub nazionale” per la promozione dell’Italia.
Il rapporto fra turismo, cultura e digitale dopo la crisi pandemica è diventato più stretto e ancor più strategico per il rilancio di un settore fondamentale dell’economia italiana. Il digitale è trasversale, in tutti i sensi. Perché può essere un trampolino per tutti gli operatori: enti del turismo, Regioni, borghi, tour operator, musei, istituzioni culturali. E perché funge da supporto in ogni genere di attività, dalla promozione delle località e delle attrazioni alla vendita dei servizi, dalla fruizione di servizi accessori (spostamenti, ricerca di informazioni, esplorazione del territorio, eccetera) fino al miglioramento del sistema di trasporti. “La pervasività del digitale nel turismo è evidente, come mostrano gli esempi di Giappone, Svizzera, Spagna, che sono più avanti dell’Italia. Abbiamo tanto lavoro da fare per recuperare posizioni rispetto ai Paesi più evoluti”, ha dichiarato in occasione del Digital Italy il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia. “C’è anche la necessità di intercettare un diverso tipo di turisti: non solo i cosiddetti Millennials, ma anche nicchie che oggi non sono più così piccole, come quella dei nomadi digitali. Lo smart working può avere una base stagionale e questo richiede di usare diverse logiche per intercettare questo tipo di turisti”. Dunque lo shock della pandemia, nel 2020, ha evidenziato la grande necessità di prevedere il digitale in ogni elemento della filiera turistica, ma questa consapevolezza non basta: servono anche le risorse per un’evoluzione tecnologica che consenta di trasformare l’intero settore. Una buona notizia è che il Pnrr ha previsto all’interno della sua “Missione 1” uno stanziamento per la creazione di un Hub nazionale del turismo, al cui lancio il Ministero del Turismo sta attualmente lavorando. Per il suo funzionamento sarà necessario disporre di dati completi e in tempo reale. Alcuni sono già disponibili (per esempio i dati dei trasporti, del Telepass e della telefonia), altri saranno forniti dall’osservatorio di Enit e Università Bocconi. Grazie al raggiunto accordo con le Regioni, inoltre, sarà possibile realizzare una banca dati delle strutture extralberghiere, sulle quali il Ministero progetta di fare azioni mirate per la regolarizzazione fiscale. Il Ministero del Turismo, inoltre, si interfaccerà con altri ministeri per la realizzazione di altre attività previste dal Pnrr. “L’Hub nazionale permette di operare in due modi”, ha spiegato Garavaglia, “cioè nella promozione del territorio e nella promozione dei temi, per esempio ‘le città della lirica’ o ‘le città dei motori’. Dovranno anche essere sistemati i siti Web degli enti, che attualmente online non hanno la giusta rilevanza”. Sul tema della condivisione dei dati è intervenuto anche Francesco Tapinassi, direttore generale di Toscana Promozione Turistica, sottolineando come nei confronti di Regioni, Province, Comuni, enti territoriali, l’appello a “fare sistema” in passato è spesso rimasto inascoltato. Per favorire la condivisione e la circolazione dei dati nel settore turistico, una strategia efficace può essere quella di creare delle piattaforme che creano un’abitudine all’utilizzo, garantendo una ottimale user experience. A detta di Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria, gli enti di promozione dovrebbero sfruttare il digitale per favorire lo sviluppo di un turismo più sostenibile, che attiri viaggiatori lontano dalle mete di massa, nei borghi e nei percorsi di ecoturismo. La raccolta e l’analisi dei dati degli spostamenti, inoltre, potrà servire a ottimizzare il sistema delle infrastrutture di trasporto. V.B.