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STRATEGIE IT

STRATEGIE IT

PIRELLI SFRECCIA SULLA STRADA DELLA

TRASFORMAZIONE

Visibilità di lungo termine su supply chain, produzione, vendite e sviluppo dei prodotti: sono gli assi portanti dell’evoluzione dell’azienda, come racconta il senior vice-president & chief digital officer, Pier Paolo Tamma.

La potenza è nulla senza controllo, recita un fortunato slogan pubblicitario di Pirelli, nato negli anni Novanta e ancora attuale. Molta acqua è passata sotto i ponti e oggi l’azienda è pronta ad affrontare le nuove sfide del mercato con il supporto di una visione strategica che fa leva in modo consistente sulla tecnologia. Dopo aver attraversato diverse fasi storiche ed esplorato altri settori, Pirelli è oggi una realtà focalizzata sul core business degli pneumatici, in particolare sui modelli di fascia alta del mercato Premium e Prestige. Nel tempo sono state definite partnership con le più importanti case automobilistiche, per la coprogettazione dei modelli specifici da montare su ogni vettura. In questo modo, la “gomma” diventa una componente originale del veicolo e come tale viene omologata e marcata. L’arco temporale del processo che parte con l’avvio della progettazione e si conclude con la disponibilità della vettura per il mercato è di circa tre anni. Considerando anche il successivo ciclo di vita dello pneumatico, si arriva a dover avere una visibilità anche superiore ai cinque anni sulla domanda potenziale del costruttore, mentre i vari processi di ricambio (stagionali o per usura) portano questo elemento di controllo temporale fino a dodici anni. Sfruttare al meglio tale patrimonio informativo significa saper pianificare tutte le fasi del business dell’azienda. Da qui è nato ciò che è stato battezzato Integrated Operating Model, ovvero il disegno complessivo che dettaglia le fasi di un cambiamento finalizzato alla fidelizzazione totale del parco di costruttori presidiato (oggi più dell’80% ricompra pneumatici Pirelli) e all’ampliamento delle quote di mercato su ogni singola casa automobilistica. Il percorso di trasformazione digitale, iniziato circa tre anni fa, ha tratto spunto da questo modello e si è dipanato su quattro filoni di lavoro, destinati a ridisegnare le vendite, la pianificazione complessiva, lo sviluppo del prodotto e la produzione. “Le tecnologie supportano o abilitano le componenti del piano strate-

gico”, spiega Pier Paolo Tamma, senior vice president & chief digital officer di Pirelli. “Abbiamo ricevuto fin dall’inizio il convinto endorsement del nostro Ceo e anche le figure di business hanno presto compreso l’irrinunciabilità di un percorso che riguarda il futuro competitivo dell’azienda”. La prima componente ad aver subìto un processo di trasformazione digitale è stata quella commerciale. “Grazie all’evoluzione costruita sul Crm di Salesforce”, prosegue Tamma, “ogni venditore è oggi in grado di mostrare ai dealer di propria competenza quale sia il parco circolante del loro territorio, nel segmento che ci interessa, in quale misura esso sia presidiato dai prodotti Pirelli e quante vetture saranno toccate da un primo o secondo ciclo di ricambio nei successivi mesi. Da questo ricaviamo quale sarà la domanda potenziale che il dealer riceverà dal mercato, riuscendo a tarare la migliore proposta commerciale, dandogli visibilità sull’approvvigionamento del quale avrà bisogno”. Sul Crm vengono raccolte informazioni provenienti tanto dai dealer quanto dai clienti finali (consenzienti, ovviamente) e questo consente di fare campagne od offrire servizi anche ai consumatori, indirizzandoli al dealer Pirelli di zona e chiudendo così il cerchio del valore. Mentre gli sviluppi sulla parte commerciale sono in via di completamento (a livello globale il rilascio è previsto entro fine anno), ora Pirelli sta lavorando sulle componenti di pianificazione strategica. Una conoscenza della domanda a lungo termine è utile per bilanciare i carichi di lavoro sui 18 stabilimenti del gruppo o addirittura per progettare in anticipo la costruzione di un nuovo impianto. “Il sistema che stiamo mettendo a punto è basato sulla tecnologia di O9 Solutions e consente anche di fare simulazioni su tutta la nostra catena”, illustra Tamma. “Ogni volta che riceviamo da una casa costruttrice la richiesta di sviluppare un nuovo pneumatico, riusciamo a proiettare l’impatto sull’intero processo a monte, arrivando a capire quanto sarà profittevole il nuovo business anche grazie alla domanda che genererà nel mercato del ricambio. Questa pianificazione consentirà di controllare meglio tutta la filiera, dalla produzione alla logistica, fino al percorso delle materie prime, riuscendo a negoziare in anticipo le forniture e gestendo il tutto con un sistema di procurement figlio di questa capacità di visione”. In prospettiva, Pirelli ha messo in cantiere altre due aree di trasformazione a forte connotazione digitale. Un primo ambito riguarda lo sviluppo dei prodotti. L’azienda sviluppa circa trecento nuovi progetti all’anno ma ciascuno ha una durata indicativa di tre anni, quindi ne esistono circa mille attivi in parallelo. Poter ricavare efficienza da questa complessità è un elemento di comprensibile importanza. “Abbiamo pianificato di implementare la piattaforma Plm di Dassault”, prosegue il manager, “e stiamo realizzando algoritmi di intelligenza artificiale che consentano di riutilizzare il lavoro già fatto nel caso di sviluppi su vetture assimilabili, di stimare gli elementi necessari e di effettuare simulazioni senza dover creare prototipi fisici. L’esito finale sarà una piattaforma in grado di gestire un processo end-to-end fino al termine del ciclo di vita dello pneumatico”. L’altra area di trasformazione di medio termine riguarda la produzione industriale, in cui l’esigenza di fondo è un’ottimizzazione destinata a coinvolgere un insieme di fabbriche impegnate, ognuna con complessità diverse, su un’ampia varietà di prodotti. L’evoluzione prevista si fonderà su una piattaforma di Industrial IoT (Internet of Things) che dovrà consentire di estrarre in tempo reale dati dalle macchine e di generare pattern utili per rendere più efficiente la produzione anche per singolo stabilimento, sulla base di informazioni relative a caratteristiche dell’impianto, del prodotto e dei dati storici già acquisiti. In questo percorso di rinnovamento non mancano certo le difficoltà da affrontare, a cominciare dalla presenza di una componente legacy ancora importante. “Le migrazioni vanno gestite in modo ordinato, anche facendo convivere vecchio e nuovo per un certo periodo”, spiega Tamma. “Il cammino appare comunque chiaro e al termine dovremmo aver spento circa cento sistemi legacy. Un’altra sfida importante riguarda la gestione del tempo, sia per rispettare la pianificazione definita sia per non perdere di vista l’operatività quotidiana. La possibilità di dimostrare i benefici dei cambiamenti è il miglior propellente per il prosieguo del lavoro di trasformazione”.

Roberto Bonino

Pier Paolo Tamma

DIGITAL DIVIDE, UN PERCORSO A OSTACOLI

Banda larga e ultralarga sono importanti per lo sviluppo del business, ma sul territorio italiano permangono notevoli lacune da colmare.

Un recente studio condotto dall'Istituto per la Competitività I-Com fotografa uno scenario, relativo all’implementazione della banda larga sul territorio italiano entro il 2026, non in linea con quanto pronosticato dal Ministero per l’Innovazione. I-Com ha analizzato la mappatura effettuata dal Ministero dello Sviluppo Economico prendendo in esame i cantieri in corso e gli investimenti previsti dagli operatori di telecomunicazione di qui ai prossimi cinque anni nelle aree grigie e nere. I dati evidenziano che il Paese sarà connesso al 68% alla rete ultraveloce, con un traferimento dati superiore a 1 Gbps, entro il 2026, come previsto dal Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Inoltre, il progetto da 3,8 miliardi di euro “Italia a 1 Giga” punta a garantire la copertura nelle aree grigie e nere, cioè a parziale o più elevata concorrenzialità, e in quelle aree bianche, cioè a fallimento di mercato, che non hanno beneficiato di interventi pubblici già effettuati negli anni scorsi. Tuttavia, sul territorio nazionale ancora meno della metà delle famiglie residenti nei Comuni sotto i duemila abitanti hanno un accesso a Internet in banda larga e per la maggior parte utilizzano ancora l’Adsl. Nel 2010 l’Agenda digitale europea si era posta l’obiettivo di garantire l’accesso alla banda ultralarga all’85% della popolazione. Nel 2020 il risultato non era stato raggiunto, e l’Italia registra un ritardo in particolare nelle aree bianche. Il digital divide segna profondamente il Paese: il 25% del territorio italiano non è coperto da banda larga. Lo studio dell’Istituto I-Com tratteggia uno scenario sconfortante nel quale il nostro Paese risulta indietro anche rispetto agli altri mercati europei nella classifica per il raggiungimento della massima velocità di connessione. Il digital divide che separa le aree periferiche da quelle metropolitane continua a segnare un problema che dovrebbe essere in cima all’agenda politica del nostro Paese per contribuire alla crescita tecnologica ed economica italiana. Per questo motivo, bisognerebbe prevedere meccanismi alternativi e incentivanti per accompagnare gli interventi e favo-

Foto di Compare Fibre su Unsplash Andrea Tarquilio

rire la condivisione delle opere tra i diversi operatori, così come valutare altre opportunità per l’implementazione di ulteriori soluzioni per garantire la migliore connettività a privati e aziende. La banda ultralarga porta numerosi benefici alle imprese, maggiore velocità in upload e download. Ma non risolve da sola alcuni aspetti, tra cui l’indipendenza dall’operatore e la continuità del servizio in caso di interruzione, e non elimina la necessità di avere una linea di backup. Sono numerose le aziende e la startup che hanno sviluppato soluzioni alternative per compensare la

Foto di Jason Richard su Unsplash

mancanza di una connessione veloce e supportare la crescita economica dei business sul territorio italiano. Tra queste, Uania è una startup innovativa nel campo dell’Information Technology e telecomunicazioni, nata per soddisfare esigenze concrete degli utenti business sul territorio nazionale, i quali a causa della loro posizione geografica non sono sempre raggiunti da un servizio a banda larga, in fibra ottica o altro, a costi accessibili. Il giovanissimo fondatore, Giuseppe Dipierro, ha sviluppato la soluzione Uania partendo dall’intuizione che è quanto mai necessario realizzare alternative che permettano di implementare una connettività veloce in modo facile per rispondere alle esigenze del mercato, di privati cittadini e Pmi, e salvaguardare la business continuity. Uania ha messo a punto una tecnologia plug&play in grado di aggregare le connessioni in un unico canale protetto che somma le singole velocità, senza alcuna perdita di prestazione. La soluzione consente di ottenere l’indipendenza dai provider di connettività, aggiungendo nuove linee a quelle esistente, e di mantenere allo stesso tempo l'indirizzo IP pubblico e statico sul quale esporre servizi.

Andrea Tarquilio, customer service & marketing specialist di Uania

GLI OBIETTIVI PER LA BANDA ULTRALARGA

Il potenziamento della connettività su reti fisse in fibra ottica e su reti mobili 5G è una tra le priorità elencate nel Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che a questo obiettivo destina 6,7 miliardi di euro. Per quanto riguarda le infrastrutture di rete fissa, l’ultima revisione del Piano Nazionale Banda Ultralarga prevede di portare la connettività a 1 GB/s al 100% della popolazione (cioè al 100% delle famiglie) entro il 2026. Nel 2020, stando all’ultima edizione dell’annuale indice Desi (Digital Economy and Society Index) elaborato dalla Commissione Europea, la percentuale di famiglie italiane che già si potevano connettere a 1 GB/s o velocità superiori era il 3,56%, un dato superiore alla media europea (1,3%) e soprattutto un dato che ha segnato un notevole progresso rispetto allo 0,01% del 2019. Per arrivare all’obiettivo del 100% in pochi anni, però, non basterà sperare negli investimenti degli operatori di telecomunicazione privati: attualmente esiste un divario infrastrutturale che lascia sfornite di banda ultralarga fissa circa 8,5 milioni di famiglie, residenti nelle cosiddette aree bianche, cioè a fallimento di mercato. Non è un mistero (ma anzi era già previsto nella Strategia per la Banda Ultralarga lanciata nel 2015) che per realizzare nuove infrastrutture di rete in queste aree sarà necessario un intervento statale, poiché le telco qui non hanno interesse a investire. Allargando lo sguardo al più ampio ambito della banda larga Nga (Next Generation Access), cioè con velocità superiori ai 30 Mbps, la copertura del territorio italiano è stata già quasi completata: nel 2020, secondo l’indice Desi, il 93% delle famiglie poteva usufruire di questa tecnologia, e anche in questo caso il dato è superiore alla media dell’Unione Europea (87%). Nella copertura 5G (calcolata come percentuale di zone abitate raggiunte) eravamo invece solo all’8%, cioè diversi punti al di sotto della media europea (14%). V.B.

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