32 minute read

IN EVIDENZA

l’analisi

DARE SEMPRE RAGIONE AL CLIENTE NON BASTA PIÙ

Oggi per scontentare i clienti non basta dar loro ragione: le aziende (di qualsiasi dimensione e settore) devono soprattutto saper offrire esperienze personalizzate e coerenti sui diversi canali. Le espressioni customer journey e omnicanalità, per quanto abusate, sottendono un'esigenza di trasformazione reale. Certo, non sono cosa nuova ma negli ultimi due anni – considerando come spartiacque il terremoto della pandemia e dei primi drastici lockdown – questi concetti sono saliti alla ribalta come mai prima d’ora. Secondo una ricerca pubblicata l’anno scorso da Mordor Intelligence, un non trascurabile 25% di persone tende ad abbandonare un negozio (tradizionale o di e-commerce) oppure un marchio già dopo una singola esperienza negativa. Il valore degli investimenti in tecnologie per la customer experience (CX) è una buona cartina tornasole della crescita di attenzione per questa importante leva di vendita: la somma di dispositivi, software e servizi per la gestione dell’esperienza dei clienti valeva 10,23 miliardi di dollari nel 2020, secondo Mordor Intelligence, e avrà un tasso annuo di crescita composto del 17,9% tra l’inizio del decennio e il 2026; entro quell’anno, il giro d’affari sarà più che raddoppiato, cioè intorno ai 27,13 miliardi di dollari. La rafforzata centralità CX è un fenomeno in parte anche italiano, come suggerito da alcuni dati della “Digital Business Transformation Survey 2022” di The Innovation Group, condotta su un campione di 213 aziende e organizzazioni pubbliche italiane. Innanzitutto, la fetta di quelle che considerano il miglioramento dell’esperienza dei clienti come una priorità per il 2022 è intorno al 24%, un dato non altissimo ma in forte crescita (+71%) rispetto a quanto emerso nell’edizione precedente della ricerca. Inoltre la seconda priorità più citata (dal 39% degli intervistati), cioè il lancio di nuovi prodotti o servizi, è un tema indirettamente legato alla customer experience. A che punto siamo, oggi, in Italia nelle strategie aziendali di CX? Domina l’idea di una certa maturità, reale o percepita che sia: il 65% del campione ritiene che la propria società od organizzazione abbia già un’elevata competenza in quest’ambito, mentre il 27% rientra nella categoria dei “principianti” e appena l’8% in quella dei completi “inesperti”. Non stupisce troppo scoprire che le aziende del settore dell’Ict e dei servizi si posizionano nella parte alta della scale, mentre all’opposto ci sono gli enti pubblici. Ed è interessante notare come gli specifici obiettivi di customer experience cambino a seconda del grado di maturità: le aziende con una competenza più elevata sono più orientate a offrire ai clienti una eccellente esperienza di acquisto o fruizione e a migliorare la customer satisfaction; quelle meno mature puntano direttamente all’aumento delle vendite e all’acquisizione di nuovi clienti (senza però preoccuparsi troppo di fidelizzarli o di trasformarli in portavoce del loro brand). A tendere, possiamo prevedere che ci sarà un graduale spostamento di aziende ed enti pubblici verso una maggiore maturità in ambito CX, ma non sarà un percorso privo di ostacoli. I principali sono la scarsa collaborazione fra l’IT e il business, la difficoltà nell’integrare i diversi touchpoint (cioè i “punti di contatto” tra l’utente e l’azienda o marchio), i costi troppo elevati degli investimenti che andrebbero fatti, e ancora il basso grado di adozione di tecnologie adeguate, l’assenza di una strategia chiara, la mancanza di competenze e il fatto in azienda che non venga percepito il valore della customer experience.

Valentina Bernocco

Foto di Mohamed Hassan da Pixabay

l’intervista LA STRADA VERSO IL MULTICLOUD È ANCORA PIÙ SEMPLICE

Nutanix punta sempre di più alla vendita di soluzioni in modalità “subscription”, mantenendo l’enfasi sulla semplicità e sulla flessibilità. Il Ceo, Rajiiv Ramaswami, ci ha raccontato la nuova strategia della multinazionale.

Il primo trimestre del 2022 ha fatto segnare ancora una volta risultati lusinghieri per Nutanix, che ha realizzato una crescita del 21% del fatturato rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Ma soprattutto ha ottenuto un incremento 67% sui ricavi ricorrenti, segno del fatto che ormai la società (specializzata in software per la virtualizzazione e il cloud) è diventata una “subscription company”, superando il classico gap e le problematiche di cassa tipiche di chi trasforma il proprio modello da licenza ad abbonamento. “Anche il cash flow nel primo trimestre è stato positivo”, conferma a Technopolis Rajiiv Ramaswami, Ceo worldwide di Nutanix, “frutto della metamorfosi dell’azienda e del fatto che i clienti ci hanno seguiti in questo percorso di trasformazione: l’incremento del fatturato arriva infatti sia da nuovi contratti sia da upselling di aziende già nel nostro portafoglio”.

Rajiv Ramaswami

Da anni puntate sul rinnovamento delle infrastruttura in ottica iperconvergente. C’è ancora margine di crescita? La domanda è ancora molto solida. Molte aziende stanno ancora rimpiazzando infrastrutture legacy, altre stanno continuando a implementare soluzioni per il remote working dei propri dipendenti e altre, ancora, si stanno spostando con decisione verso il cloud ibrido, accettando ormai senza problema la presenza di una componente pubblica.

Come assicurate alle aziende la continuità? La nostra filosofia è sempre stata quella di “distruggere” i silos, offrendo ai nostri clienti la più grande libertà di scelta e la massima flessibilità. Stiamo continuando a farlo anche ora che lo scenario è diventato un po’ più complesso per la presenza di diverse offerte di cloud pubblico e privato. È per questo che i clienti ci apprezzano: apprezzano l’ampia libertà nell’utilizzo degli hypervisor e dell’hardware, e la flessibilità della durata delle licenze. Insomma, tutto contribuisce a rendere più facile il passaggio al cloud ibrido e al multicloud, con l’obiettivo, che poi è uno dei nostri slogan, di “rendere il cloud invisibile”.

Quali sono le ultime novità del portafoglio prodotti? Nella nostra visione di lungo periodo, vogliamo dare ai clienti la possibilità di vedere il cloud come un modello operativo, offrendo una gestione più agevole, oltre che scalabile e flessibile. Lo scorso febbraio, con i nuovi annunci, abbiamo ulteriormente semplificato la nostra offerta, che ora è sicuramente più orientata alle soluzioni. Ora la Nutanix Cloud Platform propone un modello operativo coerente per tutti i tipi di cloud: pubblico, privato e ibrido. Le soluzioni includono la Nutanix Cloud Infrastructure, il Nutanix Cloud Manager, lo Unified Storage e il Nutanix Database Service, oltre alle soluzioni per l’End User Computing.

Un fattore di successo importante sono le partnership con gli altri big dell’IT. Dopo Citrix alla fine del 2021 avete annunciato il supporto del cloud di Aws. E gli altri? Stiamo portando rapidamente a bordo i clienti Amazon Web Services, mentre per Microsoft Azure, di cui è stato annunciato l’avvio di un test con un ristretto numero di clienti, non c’è ancora una data precisa nell’arco di quest’anno. Google, Oracle e Ibm sono la logica prosecuzione di questo percorso, ma lo faremo gradualmente, senza scordare i temi della sicurezza dei dati e delle infrastrutture.

Emilio Mango

L’IMPORTANZA DI UN’INNOVAZIONE SOSTENIBILE

I drammatici eventi di attualità hanno rimarcato il bisogno di ripensare modelli di business, catene del valore e logistica per una riduzione dell’impatto ambientale. Questo è stato il tema centrale del Sap Executive Summit di Cernobbio.

“Zero e Lode” è il titolo scelto per l’edizione 2022 del tradizionale incontro (per la verità sospeso per due anni a causa del covid), organizzato da Sap a Cernobbio, con i partner, i clienti e con l’ecosistema che fa riferimento al mondo delle imprese. Un titolo che “indica una visione orientata al trinomio zero sprechi, zero emissioni e zero diseguaglianze”, ha detto Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia e Grecia, “e significa proseguire il percorso da economia lineare ed economia circolare, un percorso in cui a quanto pare c’è ancora molta strada da fare”. Masperi, dal palco di Cernobbio, ha citato due dati. Il primo arriva dall’ultimo World Economic Forum e dice che solo il 10% dei manager ammette di aver già adottato soluzioni software in grado di misurare i valori della cosiddetta green line. Il secondo indica nel 79% il numero di decisori e imprenditori che non è soddisfatto del modo in cui si arriva alla green line. Pare, quindi, che uno dei temi portanti delle strategie aziendali, rilanciato prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, sia ancora quello di come arrivare a conciliare profittabilità, crescita e sostenibilità. “C’è un altro tema, parallelo ma non meno importante”, ha proseguito Masperi, “che è quello di trovare le giuste relazioni tra questi tre fattori e il digitale. Che poi in pratica vuol dire anche capire come misurare la green line e come coniugare la transizione ecologica con quella digitale: questa è la sfida che aspetta i governi, le aziende e le singole persone”. “Il binomio digitale-sostenibilità non

Carla Masperi è scontato”, le ha fatto eco durante il summit Maria Letizia Giorgetti, professore associato di Economia Applicata del Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi dell’Università degli Studi di Milano, “per almeno due motivi. Il primo è che le transizioni non sono automatiche ma vanno accompagnate da una politica industriale e da una cultura che in Italia, terra soprattutto di Pmi, non sono scontate. Il secondo è che il nostro Paese è forte in alcuni settori, citiamo ad esempio il petrolifero, dove la sostenibilità non ha un percorso facile”. Declinata in un’offerta concreta, Sap Cloud for Sustainable Enterprise, e in una strategia di prodotto, la ricerca della sostenibilità attraverso il digitale si traduce nella realizzazione di una vera intelligent enterprise, dotata tra le altre cose di strumenti di analisi predittiva e di intelligenza artificiale che consentano in primo luogo di misurare la sostenibilità, per poter farla crescere insieme ai ricavi e alla profittabilità. “In Sap valorizziamo molto il gioco di squadra”, ha assicurato Masperi, “e per questo diamo molto peso alle reti di business. Le nostre aziende devono essere sostenibili, e per questo avere una visione di medio-lungo periodo, ma devono esserlo anche i partner e i fornitori. Il nostro ruolo, oltre che offirire gli strumenti, è anche quello di accompagnare il top management in questo percorso, monitorando contemporaneamente le tre linee: top, bottom e green. Ci sono già anche in Italia delle best practice interessanti, come Feralpi e Arpa Industriale, che sono riuscite a ottimizzare gli scarti arrivando, nel secondo caso, a riduzioni dell’ordine dell’80%”.

Emilio Mango

l’intervista IL MODELLO “IBRIDO” TRASFORMA ASSEMBLEE E VOTAZIONI

Per gli eventi in cui è necessario esprimere un voto, la possibilità di mescolare la dimensione in presenza e la partecipazione da remoto è una carta vincente. Roberto Silva Coronel, fondatore e Ceo di Mmm Group, ci spiega perché.

Così come è accaduto al mondo del lavoro di ufficio, anche l’universo degli eventi di aggregazione negli ultimi due anni ha parzialmente “traslocato” nella dimensione digitale. E al pari delle tecnologie Unified Communication and Collaboration, anche le piattaforme di “esperienza digitale” stanno dimostrando la propria utilità ben oltre la fase più critica dei lockdown. Stanno diventando, cioè, degli strumenti di comunicazione e lavoro importanti sia per il settore privato sia per i soggetti pubblici. Roberto Silva Coronel, fondatore e Ceo di Mmm Group, ci ha spiegato come funziona LiveVote, una piattaforma integrata per le video assemblee online sviluppata da LiveForum, società appartenente al gruppo.

Come è nata l’idea di una piattaforma digitale per le assemblee? Come Mmm Group lavoriamo da 26 anni con le tecnologie di programmazione avanzata e di grafica. Siamo nati ancora prima del Web e il nostro gruppo ha una società che organizza eventi nel mondo digitale, Digital Events. Nel nostro Dna c’è sempre stata l’inclinazione a essere innovativi nella gestione degli eventi fisici. Con la pandemia è arrivata l’esigenza di una piattaforma per gli eventi digitali e, non avendola trovata, l’abbiamo creata noi con LiveForum. La nostra società nel 2021 ha organizzato eventi anche molto complessi, dai congressi medici ai meeting aziendali. Da lì abbiamo iniziato ad arricchire la nostra piattaforma con funzionalità come i sondaggi e le reaction. Abbiamo aggiunto un layer di voto certificato, e questo ci ha permesso di differenziarci perché altre piattaforme offrono solo eventi live o solo votazioni certificate. Noi ci poniamo come anello di congiunzione.

Roberto Silva Coronel

Dal punto di vista tecnico, come funziona LiveVote? La piattaforma prevede diverse configurazioni per adattarsi alle esigenze degli enti o delle aziende che la utilizzano. Gli organizzatori accedono venendo riconosciuti come relatori e dispongono di funzionalità riservate, come la chat privata, l’avvio delle sessioni, la gestione della chat pubblica e delle sessione di dibattito che precedono il voto. I partecipanti possono prenotarsi per fare la domanda e “salire sul palco” uno alla volta, evitando gli accavallamenti. L’autenticazione avviene direttamente via Web e può basarsi su Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale (associato al codice fiscale degli utenti, fornito dagli organizzatori) o su un codice One-Time Password inviato tramite Sms. Ma è anche possibile prevedere un single-sign-on basato sul sistema in uso nell’organizzazione. La piattaforma è responsive, può essere fruita su desktop o smartphone o tablet, e se ci viene richiesto gestiamo anche il processo di convocazione dell’assemblea e gli accrediti dei partecipanti. La trasmissione del flusso video si basa su tecnologia Webrtc, che rispetto allo streaming non ha il difetto del delay e assicura,

invece, la sincronia tra ciò che accade “live” e la fruizione. Inoltre è possibile condividere presentazioni e filmati anche in qualità FullHD, in questo caso sfruttando lo streaming.

Come riuscite a garantire la correttezza del voto? Nell’ambito digitale tutto è tracciato. Tutti i log degli utenti autenticati vengono tracciati, e noi conosciamo tutte le regole affinché i voti siano validati dai notai. Applichiamo una firma digitale immediatamente dopo la chiusura della votazione, per garantire l’assenza di manomissioni successive. A oggi non esiste un ente che certifichi le piattaforme di voto online, ma è auspicabile che un domani ci sia. Oggi possiamo dire di essere certificati ISO9001. Siamo un soggetto italiano e questo non un dettaglio è banale, perché in un’eventuale contestazione risponderemmo del nostro operato in termini di legalità e di correttezza rispetto alla legge italiana. La blockchain, ovvero la validazione decentralizzata, potrà essere un domani una soluzione per determinate autenticazioni di voto, ma al momento le piattaforme vengono gestite da organismi internazionali non certificati.

Finora che risposta avete ottenuto sul mercato? Abbiamo appena lanciato questo prodotto sul mercato e stiamo ottenendo un buon riscontro. LiveVote è stata adottata dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Brescia per combinare la fruizione delle assemblee da remoto (l’ente conta ottomila iscritti) con le votazioni sui temi all’ordine del giorno. Presto verrà adottata anche dall’Ordine di Milano. Con Confindustria Bergamo abbiamo contratto per un uso intensivo, mentre con altri clienti in pipeline porteremo avanti progetti customizzati.

LE RIUNIONI DI LAVORO DIVENTANO IMMERSIVE

Le riunioni in videoconferenza sono diventate un’abitudine planetaria. Tra le molte piattaforme che permettono di organizzare e trasmettere eventi digitali di tipo “business”, anche Horizon Workrooms rivendica un posto, sebbene ancora di nicchia. Iniziativa di Meta, la società proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, si tratta di una piattaforma che permette di partecipare alle riunioni con i colleghi in modalità immersiva, interagendo con i gesti e presentandosi agli altri attraverso un avatar. Ci si può sedere intorno a un tavolo (digitale), dialogare, scambiare documenti e idee. Condizione necessaria per vivere pienamente l’esperienza immersiva è il possesso dei visori di realtà virtuale Oculus Quest 2, ma in alternativa ci si può collegare tramite videochiamata usando un normale Pc. Sorge spontanea la domanda: tutto questo ha senso davvero, o è un azzardo, un’alternativa da nerd, una fuga ludica dalla realtà, che mal si concilia con le esigenze di produttività del mondo del lavoro? Forse un po’ di tutte queste cose, ma non sarebbe la prima volta che la società di Mark Zuckerberg lancia un’idea avventurosa che sarà poi destinata a diventare mainstream.

Dunque le assemblee e le votazioni online saranno il futuro? E perché dovrebbero esserlo? Crediamo che la dimensione digitale e quella fisica conviveranno. La modalità ibrida sarà destinata a imporsi anche per le assemblee, un po’ come sta accadendo in generale nel mondo del lavoro. E la nostra piattaforma, con le sue caratteristiche di sincronia e le funzioni di voto legale, risponde alle esigenze di aziende o enti che vogliano operare in maniera ibrida. Per gli organizzatori c’è innanzitutto un vantaggio economico: per ogni partecipante in loco il costo solitamente non scende sotto i 15 euro, mentre per un evento digitale si spendono in media 5 euro a persona. La modalità ibrida comporta benefici incrementali, risultando già più vantaggiosa dai 200 partecipanti in su, per arrivare a un risparmio del 50% se sono più di 500 e del 75% se sono più di mille. Inoltre, a mio avviso, è anacronistico ormai organizzare un’assemblea solo in presenza, le persone si sono abituate a poter partecipare da remoto. Ma non è nemmeno sempre facile per gli organizzatori abbracciare il cambiamento, e per questo accompagniamo i clienti in questa novità con esperti che si recano in loco per verificare le condizioni di connettività ed eventualmente portare dei sistemi di rete a supporto o fornire servizi come badge e sistemi di accredito. V.B.

l’intervista NEI SERVIZI BASATI SU INTERNET LA PROSSIMITÀ È CRUCIALE

Da Roma, la rete Internet Exchange di Namex si allarga con un nuovo punto di interscambio posizionato a Bari. Il Ceo, Maurizio Goretti, ci ha parlato dello scenario italiano.

Edge computing, gaming, streaming di contenuti per l’intrattenimento, partite di Serie A e Champions League. Sono solo alcuni esempi di contenuti che fanno oggi leva sul traffico Internet e che necessitano il più possibile di bassa latenza. In pratica, per poter fruire di una qualità del servizio ottimale, il contenuto e il suo utilizzatore dovrebbero essere sempre più vicini, potendosi appoggiare a un sistema di interconnessione affidabile. In Italia, a Milano e Roma operano i due principali hub di interscambio tra i principali fornitori di servizi Internet nazionali e internazionali e i numerosi Isp locali. Al Nord si è radicato il Mix (Milan Internet Exchange), mentre il Centro è il territorio di riferimento per il Namex, realtà nata a Roma nel 1995 e oggi pronta a espandersi verso il Sud del Paese e anche il bacino del Mediterraneo, forte di oltre 170 provider afferenti. Di recente, l’iXp (Internet Exchange Point) ha avviato un nuovo punto di interscambio a Bari, aggiungendo un proprio data center carrier neutral. Nel sud del Paese si stanno concentrando similmente le attenzioni di Mix, che ha iniziato a operare anche a Palermo. Sullo sfondo, uno scenario di servizi erogati tramite Internet in evoluzione. Di questi temi abbiamo parlato con il Ceo di Namex, Maurizio Goretti.

Maurizio Goretti

Quali dinamiche segnano il mercato italiano e i vostri recenti sviluppi? Oggi quasi duecento soggetti si interfacciano con noi, mentre quando siamo partiti ne avevamo quattro. Questi numeri danno il segno dello sviluppo che ha avuto il mercato. Noi offriamo un collegamento fra operatori e fornitori di servizi di connettività, da un lato, e content provider per gli utenti finali dall’altro. Oggi bisogna poter fornire qualità al consumatore di eventi live, serie o giochi online, e dunque il contenuto non può trovarsi lontano dal suo fruitore. Fino a una decina d’anni fa Milano poteva quasi bastare per coprire ciò che serviva in Italia, ma oggi non più. Ci stiamo espandendo e Bari è un crocevia di interscambio, con cavi che si collegano a diversi Paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Asia.

Come sono i rapporti con gli altri iXp italiani? Non si potrebbe pensare a unire le forze? Siamo in contatto costante con Mix, Topix, OpenHubMed e gli altri soggetti della nostra stessa natura. Però non prevediamo di unire le forze. Un unico hub darebbe più peso internazionale all’Italia, ma rappresenterebbe allo stesso tempo una debolezza. Preferiamo dialogare nel contesto dell’associazione continentale Euro-Ix e cerchiamo di non sovrapporci. Namex è un consorzio e vuole mantenere una natura neutrale rispetto ai provider. Tra i nostri interlocutori, ci sono Google o Netflix, ma il 60% è fatto di piccoli o medi provider e tutti hanno lo stesso peso.

Intravedete opportunità legate al Pnrr? Non direttamente e per il momento facciamo leva sul nostro fatturato di circa quattro milioni di euro e sui canoni incassati. Sarebbe bello che l’Italia destinasse al mercato fondi in modo più strutturato e duraturo, costruendo infrastrutture e dandole in gestione a soggetti come noi. Non si tratta di fare di data center di proprietà dei punti di interscambio, tantomeno della Pubblica Amministrazione, ma di favorire con investimenti e agevolazioni fiscali lo sviluppo delle aziende. Gli iXp dovrebbero essere ospitati all’interno di data center neutrali, gestiti da chi lo fa di mestiere.

Roberto Bonino

LA SICUREZZA È FLESSIBILE E SI COSTRUISCE INSIEME

Nata come spin-off di F-Secure, WithSecure si propone a una clientela aziendale con un’offerta di servizi basati su cloud.

Da 34 anni il marchio F-Secure è presente sul mercato della sicurezza, con tecnologie indirizzate a un pubblico consumer che via via si sono allargate anche all’ambito business. I due percorsi si sono progressivamente distinti, seguendo quella differenziazione delle dinamiche di attacco che il cybercrime ha nel tempo affinato sui diversi target. Oggi l’azienda ha deciso di rivolgersi al mercato con due realtà separate: a F-Secure rimane concentrata sull’offerta di protezione degli endpoint, destinata al pubblico consumer e collegata agli accordi pregressi con i carrier telefonici, mentre la neonata WithSecure seguirà la clientela delle aziende con la proposta di servizi di cybersicurezza basati su cloud. “Il consumer e il B2B sono due ambiti di mercato totalmente diversi tra di loro, che vanno approcciati in maniera mirata secondo le loro specifiche esigenze”, commenta Carmen Palumbo, country sales manager di WithSecure. “Per questo si è deciso di distinguere le due aree e di concentrarci sul mercato business, intorno al quale vogliamo coinvolgere tutto il nostro ecosistema di partner”. Intercettando una forte crescita della domanda di servizi di cybersicurezza, la strategia sarà focalizzata in particolare sul segmento delle medie imprese, a cui rivolgersi attraverso la rete già di partner di canale già sviluppata, negli anni, da F-Secure. “La cybersecurity è sempre più complessa e su di essa devono essere concentrate sempre maggiori competenze, senza correre il rischio di disperderle su altri fronti”, riprende Palumbo. “Un ambito che gli analisti stimano avrà una media di crescita del 12% da qui al 2025 e sul quale dobbiamo, quindi, focalizzarci sempre di più”. L’offerta di WithSecure spazia dai servizi di consulenza (che comprendono la definizione di strategie di sicurezza, la gestione del rischio e la secure cloud tran-

Carmen Palumbo sformation) ai servizi gestiti di managed detection and response, threat intelligence, threat hunting, e ancora alla cosiddetta “gestione della superficie d’attacco”. A ciò si aggiungono software e servizi per la protezione degli endpoint, degli ambienti cloud e delle attività di collaborazione a distanza, inclusi gli ambienti Salesforce e Microsoft 365. “Un’offerta che esalta la nostra natura cloud-native”, sottolinea Palumbo, “e che, in particolare con Elements, descrive una vera e propria dashboard comprensiva dei principali componenti della sicurezza. Al suo interno è possibile gestire la protezione dei contenuti Salesforce, con cui la piattaforma è stata sviluppata. Salesforce e Microsoft 365 sono, infatti, gli ambienti totalmente cloud con cui vogliamo intensificare la collaborazione”. Si punta dunque sulla flessibilità, anche di prezzi, sull’integrazione e su un approccio di “co-security” (richiamato anche nel nome WithSecure), nella consapevolezza del fatto che la sicurezza informatica va affrontata insieme, con la collaborazione di clienti e partner. Tutto ciò rende questa offerta particolarmente adatta a un approccio “as a service”, lasciando margine di azione agli intermediari di canale. “Lavorando insieme, possiamo smettere di approcciare la sicurezza come uno strumento di controllo”, ha dichiarato Juhani Hintikka, che è stato scelto per il ruolo di Ceo di WithSecure, dopo aver ricoperto l’analoga posizione in F-Secure. “Invece, implementeremo la tecnologia e i servizi che funzionano in un determinato contesto di business e forniscono risultati comprovati. In parole semplici, nessuna organizzazione che ripone la propria fiducia in WithSecure dovrebbe subire una grave perdita a causa di un attacco o di un crimine informatico. Il nostro nome è la nostra promessa”.

Loris Frezzato

I SERVIZI FINANZIARI INSEGUONO DATI APERTI E SOSTENIBILITÀ

Tra fintech, piattaforme interoperabili e innovazione per gli obiettivi Esg, il settore continua a trasformarsi.

L’adozione dell’open banking sta prendendo piede anche in Italia. Se ne parla da più di un decennio, ma a causa della pandemia i cambiamenti che potenzialmente avrebbero richiesto più un decennio sono già il nostro presente. Nei prossimi anni il passaggio dall’open banking all’open finance e, col tempo, fino all’open data continuerà ad accelerare: sarà possibile accedere a qualsiasi dato in pochi secondi e ricevere proposte di servizi convenienti e altamente personalizzati, e ciò lo potrà fare qualsiasi azienda a cui sia stato dato esplicitamente il consenso. Questo incoraggerà un’industria sana e competitiva e un vibrante ecosistema finanziario "aperto", dando ai consumatori e alle imprese più scelta e controllo su come gestire le proprie finanze. L’inclusione finanziaria è un altro grande tema che sta guadagnando sempre più attenzione. E non c’è da stupirsi: secondo la Banca Mondiale, quasi 1,7 miliardi di persone in tutto il mondo non hanno accesso a servizi bancari. I progressi nel fintech e nell’open banking hanno l’ambizione di democratizzare l'accesso ai servizi finanziari, creando prodotti più personalizzati e convenienti per le comunità meno servite. Nei prossimi anni assisteremo probabilmente a un aumento del flusso di investimenti diretti ai third party provider, che consentiranno a chi non dispone di un conto bancario di avere un accesso più immediato al sistema finanziario. Non solo: l’open banking offrirà anche l’opportunità di una maggiore inclusione nel risk decisioning, attraverso l’uso dei dati dei conti correnti, essenziali per ottenere una visione d’insieme delle finanze delle persone. L’open banking dei pagamenti è un’altra tendenza in rapida crescita, che rappresenta per le aziende l’enorme opportunità di trasformare le user experience precedentemente trascurate in un vantaggio competitivo. Chi potrà offrire un onboarding o un’esperienza di pagamento più fluida sarà in grado di generare maggiori entrate e di avere clienti più soddisfatti. Con questi nuovi pagamenti le persone non avranno bisogno di monete, banconote, carte o una buona memoria per codici da ricordare. Tutto ciò di cui ci sarà bisogno è un consenso. Le aziende mantengono il controllo dell’esperienza di checkout, mentre gli utenti si collegano semplicemente al proprio conto, si autenticano e pagano. Ciò porta ad alti tassi di successo end-to-end e a una maggiore comodità e soddisfazione del cliente, e grazie a questo effetto valanga tra non molto i pagamenti via open banking saranno un’opzione di uso comune. C’è poi il tema dell’innovazione sostenibile. Oggi c’è forte pressione tra i Paesi e le aziende di tutto il mondo per trovare modi concreti di ridurre la propria impronta di carbonio. Di conseguenza, emergeranno più fintech volte a creare prodotti e servizi che aiutano consumatori e imprese a raggiungere gli obiettivi ambientali. Dai prestiti "verdi" alle app bancarie con funzioni di sostenibilità e tracciamento del carbonio, quest’anno l’innovazione sostenibile sarà la priorità. E l’open banking giocherà un ruolo essenziale nel modo in cui le imprese soddisfano i requisiti di sostenibilità, perché i dati possono indirizzare verso un cambiamento positivo, che si tratti di mappare gli investimenti rispetto alle valutazioni Esg oppure di comprendere meglio il profilo di rischio dei clienti. Nel retail l’open banking può alimentare le app che analizzano le transazioni per aiutare gli individui a tracciare, comprendere e modificare il proprio comportamento, così da migliorare la propria impronta carbonica. La banca britannica NatWest ad esempio sta lavorando in questa direzione, grazie alla collaborazione tra Cogo e Tink, per lanciare un tracker di carbonio nella propria app e aiutare i clienti a ridurre l’impatto climatico delle loro spese. Queste tendenze dovrebbero essere in cima all’agenda degli investimenti delle aziende, in quanto aiuteranno a fornire un vantaggio competitivo sulla concorrenza e a rafforzare la loro posizione sul mercato.

Daniel Henriquez, Southern Europe banking lead di Tink

Daniel Henriquez

DAL FLOPPY AL CLOUD, LA FEDELTÀ PAGA

Cento dipendenti abituati a sentirsi una famiglia e a lavorare con i clienti vestendo i panni del consulente più che del commerciale. Questa è Microsys, un’azienda che ha attraversato con coerenza 30 anni di storia dell’informatica tenendo la barra dritta su due direzioni parallele: trasparenza e competenza.

Spesso le storie di successo nascono dalla necessità di reinventarsi dopo un evento sfavorevole. E così è stato per Alessandra Galdabini e Gianpaolo Vittorelli, che nel 1992, per una serie di vicissitudini familiari, sono costretti a dover ricostruire da zero una storia imprenditoriale nell’ambito del mercato IT. “Siamo partiti dal niente”, racconta Vittorelli, “ma questa è stata, per molti versi, la nostra fortuna. Alessandra collaborava con un’azienda che si occupava di soluzioni per Ibm AS/400, mentre io ero un libero professionista. Avevo un’esperienza abbastanza unica sul mercato, perché avevo approfondito più di altri il tema dell’integrazione tra i Pc (che allora muovevano i primi passi) e il mainframe. Inoltre, Alessandra aveva una innegabile capacità di vendere il mio know-how ai suoi clienti”. Galdabini e Vittorelli intuiscono le potenzialità di una sempre maggiore interoperabilità tra computer da scrivania e macchine centrali e, come si dice in questi casi, si trovano al posto giusto nel momento giusto. Nel 1992 nasce quindi Microsys, destinata, almeno nella prima fase della sua storia, ad accompagnare le aziende nella delicata transizione da mainframe ad architetture più agili. “Per molti anni”, prosegue Vittorelli, “abbiamo goduto di un innegabile vantaggio competitivo. Non solo avevamo le conoscenze e gli strumenti (lavoravamo ad esempio con un’azienda americana sviluppatrice di un software che permetteva di connettere Pc e mainframe), ma eravamo in grado di superare le convenzioni e la pessima comunicazione che veniva fatta in quegli anni sull’utilizzo delle nuove architetture”. Con l’avvento delle architetture cloud, in anni più recenti, Microsys diventa il partner ideale per “smontare” le architetture Pc/server, che nel frattempo

Gianpaolo Vittorelli hanno definitivamente sostituito i minicomputer e i mainframe, e portarle sulle nuvole. Una fase completamente nuova, che secondo Vittorelli non sarà l’ultima: “Penso che l’attuale tendenza ad andare in cloud subirà un rallentamento quando gli utenti si accorgeranno che la concentrazione dei dati in pochi data center e pochi fornitori non è la soluzione ideale. Mi aspetto prima o poi un ritorno della capacità computazionale e dello storage sulle scrivanie, e noi saremo pronti ad accompagnare i clienti anche in questo nuovo ciclo”. Per Vittorelli, quel “noi” non è un pronome usato per caso, Microsys infatti è da sempre un’azienda fatta soprattutto di persone e di competenze. “Non è tanto una scelta strategica, quella di dare più importanza al know-how che alla capacità di vendere, ma una vera e propria forma mentis. Ci sentiamo molto più consulenti che rivenditori di prodotti, ed è proprio per questo che sin dall’inizio abbiamo preferito lavorare con un solo vendor, cioè Microsoft”. Il fatto di essere mono-vendor è per Microsys un segno distintivo ma anche una garanzia, nei confronti dei clienti, che l’enfasi non è tanto sulla fornitura della soluzione più conveniente (per chi vende), ma sulla soluzione di un problema: “La trasparenza per noi è fondamentale, il nostro cliente non penserà mai che stiamo cercando di piazzare una soluzione piuttosto che un’altra, ma si concentrerà insieme a noi sul progetto. Insomma, nel nostro essere cattivi venditori, siamo gente che parla chiaro e che va dritta al punto, conoscendo vita, morte e miracoli dei prodotti e non abdicando mai dal nostro ruolo consulenziale nei confronti dei clienti, anche a costo di non appiattirci sui loro desiderata se non li riteniamo coerenti con l’obiettivo da raggiungere”. E.M.

LO SMART WORKING VENEZIANO È UNICO AL MONDO

Il progetto Venywhere punta ad attrarre professionisti italiani e stranieri, offrendo spazi di coworking in edifici di pregio storico e architettonico. Cisco è partner dell’iniziativa.

L’espressione smart working è talvolta solo un modo accattivante per descrivere la condizione di chi lavora da casa, ma se invece si potesse lavorare in spazi condivisi, belli, funzionali ed equipaggiati della tecnologia necessaria, magari immersi in una tra le città più magiche al mondo? A Venezia sta nascendo il progetto Venywhere, promosso dalla Fondazione di Venezia in collaborazione con l’Università Ca’Foscari e con la partecipazione di altri attori del territorio, come l’incubatore di startup H-Farm, e di un grande vendor tecnologico come Cisco. L’idea è quella di mettere a disposizione spazi di coworking all’interno di edifici di pregio storico e architettonico, per chi, da qualsiasi parte del mondo, scelga di trasferirsi per almeno sei mesi a Venezia. Questi “cervelli in arrivo”, anziché in fuga, ricevono anche supporto con servizi che spaziano dalla ricerca di un alloggio all’assicurazione medica, dagli abbonamenti ai mezzi di trasporto. Per la città, Venywhere è un modo per allargarsi oltre i confini dell’economia del turismo, oggi segnata da molteplici incertezze. “La pandemia ha legittimato e diffuso il modello, già esistente, del lavoro ubiquo”, ha raccontato Massimo Warglien, docente di Ca’ Foscari e ideatore di Venywhere. “E ha dato l’opportunità di portare in città dei cittadini diversi, non turisti ma lavoratori, stranieri e anche italiani, con molti veneziani di ritorno”. Terminata la fase beta, da settembre sarà possibile prenotare via Web le postazioni su base giornaliera scegliendo tra spettacolari location come l’Arsenale, il Convento dei Crociferi, palazzi storici della laguna o, ancora, le Procuratie Vecchie di piazza San Marco, aperte al pubblico per la prima volta dopo cinquecento anni di chiusura. Cisco ha aderito al progetto avviando un test pilota con una squadra di 16 giovani dipendenti italiani, greci, francesi e spagnoli, che da Venezia stanno svolgendo le mansioni richieste dal proprio ruolo in azienda ma anche collaborano con un team di ricercatori dell’Università Ca’ Foscari, aiutandoli a definire best practice

Chuck Robbins di lavoro ibrido facilmente replicabili. Le statistiche di utilizzo di Webex, tra le altre cose, aiuteranno a capire le preferenze di orario, luogo, modalità e metodi di lavoro delle persone, nonché quanto la tecnologia impatti sulla produttività e sulla soddisfazione professionale. La partecipazione di Cisco a un progetto di questo genere non è casuale, perché l’azienda anche in Italia ha imboccato la strada del lavoro flessibile consentendo ai propri dipendenti di scegliere tra dodici “luoghi dell’innovazione”, sparsi tra Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Parma, Pordenone, Treviso e la stessa Venezia. “Pensiamo che il lavoro possa e debba essere sempre più inclusivo”, ha dichiarato Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia. “In Italia consumiamo solo energie rinnovabili, raccogliamo gratuitamente i prodotti alla fine del ciclo di vita e riusciamo a riciclarli per il 98%. Ma c’è anche un altro tipo di sostenibilità, che riguarda il fatto di rendere possibile un’armonia tra le esigenze personali e familiari e quelle lavorative. Questo tipo di armonia è molto positiva per il business, in termini di produttività ed efficacia, oltre che per la felicità delle persone”. L’ospite d’onore all’evento di presentazione di Venywhere è stato niente meno che Chuck Robbins, che non ha perso occasione per tessere le lodi della propria azienda ma anche per riconoscere i meriti della filiale tricolore: “Il team italiano continua a portare avanti progetti che sono esempi e che cerchiamo poi di replicare nel mondo”, ha detto. “Dobbiamo continuare a investire per assicurarci che il futuro del lavoro sia inclusivo, connesso e sicuro. I nostri dipendenti sono incredibilmente efficaci in ciò che fanno, non importa se sono in ufficio o altrove. Non importa quante ore lavorano. Se assicurano risultati e sono efficaci, questo è tutto ciò che conta per l’azienda”.

Valentina Bernocco

AUTONOMIA E TEMPI DI RICARICA MIGLIORATI CON IL DIGITALE

Ego, multinazionale operante nel settore degli utensili da giardino, sta impiegando una nuova tecnologia digitale di monitoraggio e raffreddamento delle batterie che potrebbe “ispirare” altri produttori di dispositivi.

Fondata nel Regno Unito nel 2014, Ego fa parte del gruppo Chervon, fornitore specializzato di utensili operante a livello mondiale nella ricerca, sviluppo, produzione, test, vendita e servizi post-vendita. I prodotti del gruppo sono venduti da oltre 30mila punti vendita in un centinaio di Paesi e, con i suoi oltre settemila dipendenti e una produzione superiore ai 10 milioni di unità all’anno, l’azienda è uno dei primi dieci attori nel settore globale degli utensili elettrici. Quest’anno Ego ha potenziato la propria gamma di utensili sfruttando a tutto campo per le batterie una nuova tecnologia al litio, la quale lascia ben sperare anche per futuri e diversi impieghi, considerando che l’autonomia e i tempi di ricarica sono il cruccio di tutti i vendor che immettono sul mercato dispositivi portatili (e non) funzionanti a energia elettrica. La tecnologia Arc Lithium a 56 Volt di Ego offre, in effetti, un livello di prestazioni tale da raggiungere la potenza dei motori a scoppio, ma senza il rumore, le vibrazioni e i gas di scarico che inquinano l’ambiente e rendono più difficoltoso il lavoro degli operatori. La novità arriva poi in un momento in cui il rispetto per l’ambiente e i costi dei combustibili fossili fanno ben sperare in un impulso positivo al mercato degli utensili elettrici. Il desiderio di Ego di creare un futuro sempre più verde prende vita attraverso l'iniziativa Challenge 2025, che non si limita al design degli utensili ma include anche le linee di produzione e i luoghi di lavoro. Ne è una dimostrazione il Green Power Industrial Park, stabilimento che sfrutta le energie rinnovabili (impianti fotovoltaico e geotermico) riducendo le emissioni ambientali.

La tecnologia Arc Lithium

La tecnologia brevettata Arc Lithium da 56 V delle batterie Ego le rende uniche rispetto a tutte le altre batterie grazie alla sua progettazione innovativa, che massimizza la funzione di raffreddamento in tre modi: meccanicamente, chimicamente ed elettronicamente. Meccanicamente, perché invece delle tradizionali batterie “a mattone” (in cui le pile sono imballate insieme, si surriscaldano e si spengono) l’esclusivo design ad arco di Ego massimizza la superficie e quindi dissipa il calore in modo più efficace. Chimicamente, perché ciascuna pila è circondata dall’esclusivo materiale a cambiamento di fase Keep Cool, che assorbe energia termica e mantiene ogni singolo elemento alla sua temperatura ottimale più a lungo, aumentando al contempo la durata della batteria. Ed elettronicamente, perché ogni pila viene monitorata singolarmente. Quando il software rileva una pila surriscaldata, l’intera batteria va in protezione, spegnendosi fino a quando non si raffredda e rientrando nei parametri di funzionamento ottimali. Queste innovazioni sono affiancate e valorizzate dalla presenza di un’unità centrale di elaborazione (una vera e propria Cpu) che controlla ogni singola cella della batteria, garantendo il bilanciamento delle operazioni di carica e scarica degli elementi, in modo da non deteriorarne uno in particolare. Ciò garantisce un utilizzo sicuro e una maggiore durata della batteria nel suo complesso. Tutte le batterie portatili Ego sono dotate della tecnologia Arc Lithium e sono progettate per adattarsi a tutti gli utensili del nuovo catalogo, con notevoli risparmi per il vendor in termini di produzione e logistica ma anche per l’utente finale. Al crescere delle dimensioni delle batterie (da 2,5 Ah fino a 28 Ah) aumentano anche la potenza e l’autonomia, ma sempre con tempi di ricarica ultra rapidi.

This article is from: