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ITALIA DIGITALE
IL DIGITALE RESISTE ALLE AVVERSITÀ
Nonostante l’inflazione e la revisione delle agende politiche imposta dalla crisi bellica, quest’anno gli investimenti in Ict nazionali cresceranno ancora, sfiorando gli 82 miliardi di euro di valore.
Dopo due anni di pandemia, il sistema economico europeo è stato travolto da un altro terremoto, di differente natura. Il conflitto russo-ucraino ha determinato non solo un disastro umanitario ma anche l’urgenza di rivedere le politiche energetiche e la destinazione di investimenti che, su base europea e nazionale, avrebbero dovuto imboccare altre strade. Transizione ecologica, trasformazione digitale e parità di genere non possono però essere messi nel cassetto, come slogan già passati di moda: sono, invece, i pilastri su cui dovrebbe reggersi l’idea di società non solo pacifica ma sostenibile, egualitaria e “smart”, a cui punta, con suoi 17 obiettivi, l’Agenda 2030 dell’Onu. E a cui punta anche, su scala più piccola, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del governo italiano. Ma quanto, realisticamente, potremo andare avanti come da programma, nonostante la crisi geopolitica? E il digitale che ruolo avrà? “L’Europa sconta alcuni errori, come quello di essere poco indipendente dalle forniture russe, ma abbiamo sempre pensato che fare commercio con la Russia significasse mantenere la pace”, ha dichiarato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, in occasione di un evento organizzato da The Innovation Group a Milano. La guerra, ha spiegato, si riflette in particolare sugli investimenti, sugli scambi commerciali e soprattutto sul forte rialzo del prezzo dell’energia, che determina inflazione. “Stimiamo per l’economia italiana una crescita del 3% per il 2022, dato inferiore al 4% previsto prima della guerra, e dell’1,6% per il 2023. L’inflazione sarà al 6,2% quest’anno e al 2,5% l’anno prossimo”, ha detto De Felice. “Siamo stati abituati a vedere la nostra vecchia Europa pigra, lenta, non sempre capace di prendere le giuste decisioni di fronte agli shock esterni”, ha proseguito De Felice. “Con la reazione alla pandemia e il piano Next Generation Eu, qualcosa di buono l’ha fatto. Che cosa succederà ora? Credo che gli investimenti energetici debbano aumentare, bisognerà vedere se saranno portati avanti a livello nazionale o internazionale”.
Il digitale non è in una bolla
Sul legame fra digitale e transizione ecologica è intervenuto Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford, autore del saggio Green & Blue. “Che cosa significa parlare di verde e di blu in un mondo dominato da tensioni geopolitiche, inflazione e crisi del commercio?”, ha detto. “Bisogna smettere di pensare al digitale come se fosse un tema di comunicazione. Per molti anni non abbiamo capito che con il digitale stavamo costruendo un nuovo ambiente. Ma questo ambiente digitale come si collega con quello ordinario delle città, delle piazze, dell’ufficio, delle abitazioni, della guerra in Ucraina? Sarebbe un errore considerarli come spazi separati, privi di connessioni tra loro. Siamo costantemente nell’infosfera, uno spazio unificato che è fatto anche di carri armati così come di videogiochi che in pochi giorni hanno raccolto in supporto dell’Ucraina una quantità di fondi superiore a quella mobilitata da qualsiasi altro soggetto”. A detta di Floridi, se il mercato digitale crea polarizzazione (di ricchezze, potere, accesso alle infor-
mazioni) questo non è un problema che il mercato stesso dovrebbe risolvere, bensì si tratta di un tema sociale, da affrontare con mezzi differenti. “Il verde dell’ambiente, anche quello urbano, se messo insieme al blu del digitale può fare dell’Italia una nazione vincente”, ha rimarcato il filosofo.
Il percorso del Pnrr
Lo stress a cui è sottoposta, ancora una volta, la nostra economia non deve quindi far dimenticare i buoni propositi del piano Next Generation Eu e, in Italia, quelli del Pnrr. “Gran parte dell’attuazione del Pnrr in questa fase è nelle mani dei Comuni”, ha spiegato Marco Leonardi, capo del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricordando che le priorità trasversali a tutte le Missioni del piano sono la parità di genere, il miglioramento delle competenze (anche digitali) sul mercato del lavoro e delle prospettive occupazionali dei giovani, e ancora il livellamento della disparità territoriale tra Nord e Sud e tra centro e periferia. “I tempi e le priorità potranno cambiare, ma la sostenibilità resta un tema molto importante”, ha assicurato Leonardi. A che punto siamo con l’attuazione del piano? La prima scadenza, fissata al 31 dicembre 2021, prevedeva il completamento di 51 fra traguardi e obiettivi, per i quali era stanziato un contributo finanziario di 24,1 miliardi. E stando alla relazione di fine anno sullo stato di attuazione del Pnrr, tutti e 51 traguardi e obiettivi sono stati raggiunti nei tempi previsti. La prossima scadenza è fissata al 30 giugno 2022. Il successo o fallimento del piano dipenderà molto anche dagli enti territoriali, che sono i soggetti attuatori di gran parte dei progetti. A Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane e altre amministrazioni locali andranno circa 90 miliardi di euro, ovvero circa il 36% dei fondi del Pnrr sommati alle risorse del Piano nazionale per gli investimenti complementari. Di certo siamo in una fase delicata, perché il 2022 rappresenta il reale banco di prova per l’attuazione e la buona riuscita del Piano. “Probabilmente il Pnrr potrà essere rivisto, in termini di tempistiche e di priorità, alla luce della guerra”, ha commentato il cofondatore di The Innovation Group, Ezio Viola. Come sottolineato dagli analisti di The Innovation Group, quel Pnrr che fino a ieri potevamo considerare un impulso alla crescita dell’economia italiana oggi è se non altro un fattore di mitigazione del rischio di rallentamento, che farà sentire i suoi effetti nel prossimo biennio.
Un progetto imperfetto
Una voce decisamente più critica, in merito al Pnrr, è quella di Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia della Scuola di Direzione Aziendale (Sda) dell’Università Bocconi. “Non stiamo investendo abbastanza in soft skill digitali”, ha dichiarato. “Il Pnrr avrebbe dovuto contribuire a costruire piattaforme innovative e sostenibili sul lato dell’offerta, anziché sussidi alla domanda. C’è un errore di fondo nella logica che informa il Pnrr, almeno nei due assi strategici della digitalizzazione e della transizione ecologica”. Ovvero, a detta di Carnevale Maffè, non è stata correttamente interpretata l’indicazione del Recovery Fund europeo, quella di favorire una trasformazione strutturale del sistema di offerta industriale europea, facendo leva sul digitale e sull’economia green, e solo secondariamente stimolare la domanda finale nei singoli Paesi. Così come progettato, il Pnrr aumenterà la dipendenza dell’Italia dalle tecnologie estere, senza di contro favorire le esportazioni. Se non altro, concede Carnevale Maffè, la transizione in cloud della Pubblica Amministrazione rappresenta un’evoluzione e il progetto presentato dalla cordata Tim-Leonardo-Cdp-Sogei è migliorativo rispetto alle richieste del bando. Sarebbe stato opportuno, però, strutturare il futuro Polo Strategico Nazionale su un modello federato, anziché centralizzato. “L’omissione grave, nel Pnrr, è quella delle competenze, un tema affrontato in maniera spot ma senza una riforma del sistema scolastico”, conclude Carnevale Maffè.
Mercato digitale ancora in crescita
Come già accaduto con la pandemia, il mercato digitale risentirà dello scenario geopolitico però non quanto altri settori dell’economia. “Riteniamo che il mercato digitale sovraperformerà rispetto all’andamento del PIL, come già successo nel 2021”, ha spiegato Viola. “Per le medie e grandi imprese, se non per le altre, gli investimenti in digitale sono di tipo strategico e non tattico”. Dall’indagine “Digital Business Transformation Survey”, condotta da The Innovation Group a inizio anno su un campione di aziende italiane, risulta che quasi la metà delle imprese nel 2022 aumenterà il budget destinato all’IT (il 21% lo incrementerà di oltre il 10%, il 30% prevede un rialzo più ridotto), mentre per il 35% delle aziende la spesa IT sarà in linea con quella del 2021. Il 10% non ha ancora definito la strategia e soltanto una piccola quota, il 3%, ha intenzione di ridurre il budget. Secondo le stime di The Innovation Group (elaborate prima dell’invasione russa in Ucraina) quest’anno in Italia il mercato digitale crescerà del 3,8%, raggiungendo un valore di 81,9 miliardi di euro circa. Mentre la spesa per l’IT tradizionale e le telecomunicazioni calerà di qualche decimo percentuale, di contro il mercato delle tecnologie più innovative (come il cloud, gli analytics e l’intelligenza artificiale) salirà del 7,6%. Le aziende investiranno soprattutto, nell’ordine, in progetti di innovazione dello sviluppo software con metodologia Agile o DevOps, in tecnologie per i Big Data, in automazione di processo, in cloud computing applicativo, infrastrutturale e di piattaforma, in miglioramento della customer experience, in intelligenza artificiale e machine learning.
Valentina Bernocco
PNRR E AMBIENTE, DUE BOOST PER LA TRASFORMAZIONE
Come può la tecnologia favorire la trasformazione delle aziende italiane? Il punto di vista di Dxc, Dassault, Nokia, Oracle, Salesforce e Sap.
Due parole chiave si incrociano nei pensieri e nelle strategie che i vendor di tecnologia hanno messo a punto per supportare i processi di trasformazione dei propri clienti. Sostenibilità e Pnrr sono gli architravi degli sviluppi ipotizzabili in uno scenario condizionato dalle incertezze derivanti dagli strascichi legati alla pandemia, ma anche dallo shortage di materie prime, dall’ascesa dei costi energetici e dagli effetti della guerra russo-ucraina, ancora da misurare. Sul fronte del rapporto tra digitale e ambiente, fa chiarezza Carla Masperi, acting country manager e Coo di Sap: “La sostenibilità va integrata nei processi aziendali, non basta più solo enunciarla”, ha dichiarato Masperi, ospite di un recente evento di The Innovation Group. “La misurazione della green line diventerà sempre più rilevante e per questo serve una componente blue intelligente, in grado di restituire dati corretti e affidabili”. Le ha fatto eco Eugenio Maria Bonomi, amministratore delegato di Dxc Technology Italia, citando l’esperienza del progetto realizzato con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili per creare una piattaforma di servizi digitali a supporto della mobilità, con finalità che spaziano dall’efficienza dei trasporti al rilascio delle patenti. “Esg è un obiettivo, ancor prima che un acronimo e le tecnologie devono supportarlo”, ha detto Bonomi. “La lettera esse, nel nostro caso, si può declinare nei concetti di sicurezza, servizio e sostenibilità”. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza è naturalmente un tema caldo, per l’ammontare di risorse finanziarie messe a disposizione e per il peso riservato alle iniziative fondate sulla digitalizzazione. Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato e vicepresidente di Nokia Italia, ha però messo in guardia sul rispetto delle scadenze e degli obiettivi posti dall’Unione Europea: “Monitorare il raggiungimento dei traguardi prefissati è fondamentale per non vedersi bloccati gli stanziamenti e sarebbe opportuno designare un commissario per questo. Noi faremo la nostra parte e lo testimonia il 25% di incidenza della spesa in ricerca & sviluppo sul totale in Italia, mirato a valorizzare le competenze prima di tutto”. Il clima comunque favorevole verso gli investimenti in tecnologia è stato ribadito da Alessandro Ippolito, country manager & vice president technology di Oracle Italia: “Non è un caso che a dicembre sia stata inaugurata la prima cloud region nel Paese. La nostra capacità tecnologica e la cultura dei dati sono a disposizione della costruzione del polo strategico nazionale. Stiamo lavorando in modo particolare sulla sanità, per favorire il collegamento fra centro e regioni, ma occorre puntare anche sulle competenze, perché il Pnrr avrà successo solo se ci sarà uno sviluppo capace di coinvolgere la Pubblica Amministrazione, a tutti i livelli, con i suoi quattro milioni di dipendenti”. Sull’importanza del fattore umano come chiave del successo di un piano di digitalizzazione del Paese ha insistito anche Mauro Solimene, senior vice president e country leader di Salesforce. “Abbiamo stimato una generazione di valore pari a 9 miliardi di euro per le aziende che lavorano sulla nostra piattaforma”, ha detto Solimene, “ma occorrono 36mila talenti digitali per compiere questa conversione. Noi abbiamo aperto a progetti con aziende che vogliono investire nel Sud, ma anche con le università e con una formazione più inclusiva”. Non da ultimo, la tecnologia può essere anche un supporto anche per la creatività, una delle qualità che più ci viene riconosciuta nel mondo. “Lavorare con l’intelligenza del dato significa poter sviluppare una collaborazione più destrutturata”, ha indicato Guido Porro, managing director e vice president di Dassault, “e per questo occorre avere la possibilità anche di sbagliare, provando e simulando gli scenari più diversi. A questo serve il concetto di virtual twin che stiamo propugnando con la nostra piattaforma 3D.
Roberto Bonino
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN VIAGGIO VERSO IL CLOUD
Come superare gli ostacoli di natura tecnica, organizzativa e culturale, per una “migrazione” fatta nel modo corretto? Le strategie di Hpe, Ibm, Microsoft, Google e Noovle.
Infrastrutture moderne e basate su cloud stanno diventando sempre più un obbligo, anziché una scelta. Soprattutto quando si parla di Pubblica Amministrazione italiana, per la quale le analisi effettuate nell’ambito del Piano Strategico Nazionale (Psn) hanno rilevato un diffuso utilizzo di data center poco sicuri e di applicazioni non al passo con i tempi. Il cloud può essere una strada preferenziale per l’innovazione digitale, ma come realizzare la cosiddetta “migrazione” superando gli ostacoli sul percorso? Alla sfida certamente non si sottraggono i maggiori fornitori di servizi cloud. Per Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato di Hpe Italia, bisogna guardare a un cloud di nuova generazione, “che si concentri veramente sulla logica dell’as-a-service e che sia in grado di integrare il concetto del multicloud, che cooperi con i cloud pubblici e che riesca a interpretare e gestire i dati direttamente dove essi vengono generati, nell’edge”. Sei dati vengono gestiti direttamente nell’edge (per esempio, nei sensori o macchinari di industria 4.0), è possibile ridurre fino al 70% del tempo di rilascio delle applicazioni. “Un risultato della pandemia è stata un’esplosione nella richiesta di cloud, che ha portato domanda e offerta a diversi livelli di maturità”, ha spiegato Daryoush Goljahani, channel sales director Italy di Google Cloud Italia. “Ha stimolato, inoltre, una trasformazione dei modelli di business, orientati alla disintermediazione e a un rapporto diretto con i clienti. Una situazione che, più che il tema della nazionalizzazione delle infrastrutture, ha sollevato il problema della necessità di un’espansione dell’infrastruttura stessa”. Se prima dell’emergenza sanitaria l’offerta di servizi cloud era nettamente superiore alla domanda, oggi siamo nella situazione opposta. “La spinta alla modernizzazione della PA parte direttamente dal Paese”, ha affermato Carlo D’Asaro Biondo, Ceo di Noovle. “La velocità e il grado di digitalizzazione sono elevati nel singolo individuo, molto di più che nelle aziende e soprattutto nella PA, ed è naturale che ognuno si aspetti anche in questi ambiti la stessa facilità di accesso agli applicativi che normalmente usa a casa propria”. Ma come dovrà essere il cloud adottato dalle nostre Pmi e dai nostri enti pubblici, per avere effetti trasformativi? Semplicità della user experience, adattabilità allo specifico contesto d’uso, ibridazioni, integrazioni, interoperabilità sono caratteristiche sempre più richieste. “Il cloud è stato ormai digerito dalle aziende, come anche le sue virtù”, ha detto Nico Losito, vice president technology di Ibm Italia, “ma la sfida oggi è la gestione dell’eterogeneità che contraddistingue sempre di più i progetti digitali delle aziende. Una eterogeneità che va governata per non rischiare che sfugga di mano”. Orientarsi sul cloud avendo in casa tecnologie eterogenee non significa per forza ricostruire l’infrastruttura da zero, ma piuttosto sfruttare tecnologie che permettano la interoperabilità tra differenti cloud. C’è poi un’altra questione fondamentale, che esula dalla scelta delle tecnologie: le competenze presenti nelle aziende. Il famigerato skill shortage può ostacolare la riuscita di progetti complessi, come spesso sono quelli di adozione del cloud. “In Italia mancano data scientist e altre figure specializzate, con sole 18mila risorse disponibili a fronte di un tasso generale di disoccupazione del 9%”, ha testimoniato Matteo Mille, chief marketing and operation officer di Microsoft Italia. “Una carenza drammatica che si sta alimentando proprio nel momento in cui il Pnrr richiede progetti per l’innovazione digitale del Paese. Progetti che, per definizione, chiamano risorse competenti, senza le quali nessuna trasformazione può attuarsi”.