Informazioni della Difesa N° 3/2012

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LA DIFESA IORE DEL TO MAGG A ST O L L O DE PERIODIC

N. 3/2012

Specificità: vantaggio o svantaggio? La nuova agenzia NATO per le comunicazioni e l’informatica Primavera araba: incertezze euro-mediterranee

ISSN 2036-9786


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Informazioni della Difesa 3/2012

Le Forze Armate. Una risorsa per il Paese La grave crisi economica che attanaglia il nostro Paese induce qualcuno ad interrogarsi sulla necessità, per l’Italia, di mantenere in vita un apparato militare che, di per sé, comporta spese non indifferenti. Talvolta alcuni giornali titolano: “Spendere in armamenti è inutile e anti-costituzionale”; o, alludendo al bilancio della Difesa: “finalmente si taglia”. Poi, quando l’Italia è colpita da una qualsivoglia calamità naturale o è oggetto di una qualunque crisi, quale ad esempio, l’inasprirsi delle condizioni all’interno di un Centro di Accoglienza, ecco che tutti fanno a gara nel chiedere “l’intervento dell’Esercito”…comprendendo con questa esclamazione tutti gli uomini e le donne che indossano le stellette, non importa quale sia il “colore” della loro uniforme. La legge 331/2000, prevede che le Forze Armate, tra l’altro, “concorrono alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgono compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza”. Una formalità per certificare una situazione che da sempre accade e che ha visto migliaia di militari affrontare tutte le emergenze, dall’alluvione di Firenze al Friuli, dall’Irpinia all’Umbria, dall’Abruzzo alla Liguria ed ora in Emilia Romagna. Le Forze Armate sono Istituzioni solide, poiché basate sulla cultura del dovere e della responsabilità che vanno ben oltre gli aspetti talvolta negativi che indeboliscono il nostro Paese. I militari sono professionisti seri, ben preparati ed usi ad operare con abnegazione, talvolta fino a giungere all’estremo sacrifico. In Italia e all’estero, ovunque lo Stato li impieghi, essi offrono il loro contributo senza avere riguardo per le proprie necessità personali. In occasione del terremoto che colpì l’Aquila, ad esempio, gli alpini del 9 reggimento lasciarono le proprie abitazioni, anch’esse distrutte dal sisma, e si presentarono volontariamente in caserma per compiere il loro dovere al servizio della collettività. Ecco, quindi che, avendo ancora ben in mente quelle immagini, ci sorge spontanea la risposta agli interrogativi che talvolta qualcuno si pone: si, le Forze Armate servono! L’uniforme è ancora il “simbolo” dello Stato ed è giusto che anche per esse questo Stato, ovvero la nostra collettività, impieghi le proprie risorse.

Il Giornale

IL TEMPO


Informazioni della Difesa 3/2012

Le Rubriche Editoriale Le Forze Armate. Una risorsa per il Paese

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Massimo Fogari

Forze Armate Specificità: vantaggio o svantaggio?

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Luigi Francesco De Leverano

Cooperazione Internazionale La nuova agenzia NATO per le comunicazioni e l’informatica

12

Vittorio Emanuele Di Cecco

Panorama Internazionale Primavera araba e risveglio: incertezze euro-mediterranee

20

Mario Rino Me

Politica di sicurezza e riforma dell’intelligence cenni sulla dottrina USA Leonardo D’Elia

2 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 3/2012

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Eventi Finestra sul mondo Osservatorio strategico Difesa alla Ribalta Difesa Notizie Rassegna Stampa Estera Recensioni

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RE DELLA STATO MAGGIO

DIFESA N.

3/2012

Bim - Ed. Ministero Difesa - € 2,80 - Taxe Perçue

DELLO PERIODICO

Specificità: vantaggio o svantaggio? La nuova agenzia NATO per le comunicazioni e l’informatica Primavera araba: incertezze euro-mediterranee

ISSN 2036-9786

Copertina Abu Dhabi 2011 Eurofighter Copyright k Tokunaga

n. 3/2012 Periodico dello Stato Maggiore della Difesa fondato nel 1981 Direttore responsabile Gen. B. Massimo Fogari Redazione Gen. B. Valter Cassar Ten. Col. Pier Vittorio Romano 1° M.llo Mario Polverino C I° Francesco Irde Sede Via XX Settembre, 11 - 00187 Roma Tel.: 06 4884925 - 06 46912544 Fax: 06 46912729 e-mail: informazionidifesa@smd.difesa.it Amministrazione Ufficio Amministrazione dello Stato Maggiore della Difesa Via XX Settembre, 11 - 00187 Roma

La modernizzazione delle Forze Armate Rumene

40

Pietro Batacchi

I social media: elemento strategico della primavera araba

48 Abbonamento Italia: euro 16,40 - estero: euro 24,35

Elena Bigongiari

Forze Armate e Società Dica 33... una sanità militare moderna

54

Vito Dalessandro

Storia Dalla fine del conflitto Iran-Iraq all’invasione del Kuwait Alberto Zanetta

Realizzazione, distribuzione e stampa Imago Editrice s.r.l. Loc. Pezze Longhe, snc - Zona Industriale Dragoni (CE) Tel. 0823 866710 - 0823 866638 Fax: 0823 866870

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Il versamento può essere effettuato sul c/c postale 27990001 intestato a INFORMAZIONI DELLA DIFESA Ufficio Amministrazione SMD Via XX Settembre, 11 - 00187 Roma Gli articoli investono la diretta responsabilità degli autori, di cui rispecchiano le idee personali. © Tutti i diritti riservati Registrato presso il Tribunale Civile di Roma il 19 marzo 1982 (n. 105/982) SOMMARIO 3


Forze Armate

SPECIFICITÀ:

VANTAGGIO O SVANTAGGIO? LUIGI FRANCESCO DE LEVERANO

4 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 3/2012


FORZE ARMATE 5


i eravamo lasciati nel terzo numero di questo periodico dello scorso anno con un impegno ovvero con la necessità di declinare il principio, introdotto dalla legge n. 183 del 20101, della specificità, in vista di un possibile contraccolpo negativo all’intero Comparto Difesa e Sicurezza. Siamo stati profeti in Patria, inascoltati, perché è andata a finire proprio così: il principio si sta tramutando in un nocumento perché in tutte le occasioni nelle quali è stato sbandierato (da ultimo il caso del decreto di armonizzazione previsto dall’art. 24, comma 18, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, di conversione del D.L. n. 201/2011) non ha portato i risultati sperati. A dispetto della “ratio” della norma, ovvero quella di tenere debitamente conto nella legislazione futura e nella definizione degli assetti organizzativi e strutturali della peculiarità che attiene alla funzione militare e anche al relativo personale, non è corrisposta una tangibile funzione di tutela e di protezione. La norma si è dunque appalesata come un contenitore vuoto, incapace di mettere quei paletti per i quali, invece, era stata immaginata ed auspicata. La questione del citato decreto di armonizzazione del trattamento pensionistico del Comparto Difesa e Sicurezza ne costituisce l’ultimo – in ordine di tempo – ma più drammatico esempio. Fuori da logiche faziose, il personale militare – già compresso nei propri diritti costituzionali dalle conseguenze collegate al proprio status – sarà l’unica, tra le più diverse categorie di lavoratori – che vedrà ridefinito il proprio trattamento pensionistico non da una fonte primaria, bensì da un provvedimento avente natura regolamentare e dunque sottratto, nel corso della sua predisposizione, ad ogni forma dialettica di confronto politico, istituzionale e sindacale (o di rappresentanza militare). In nessuna altra circostanza storica, nonostante la gravissima crisi economica contingente, si è mai assistito ad una cosa del genere. La riflessione dunque deve essere serena e scevra da pregiudizi. A cosa serve avere una norma sulla

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specificità? Forse ad indicare un possibile obiettivo da colpire? Ad indicare una “sacca di privilegi” da abbattere? Fino ad oggi è stato così. Tuttavia un’altra verità avevamo affermato in quel contesto, la specificità non si deve considerare solamente riferita al personale, ma riguarda anche il Dicastero che è una delle componenti più complesse e nel contempo più delicate dell’intera organizzazione statuale. La difesa dello Stato, delle libere istituzioni, della pace e della legalità istituzionali non sono problemi di poco conto ma pongono questioni di natura etica e politica prima ancora che costituzionale. Accostarsi al mondo della Difesa, per chi ne ha avuto modo, significa, innanzitutto, ripercorrere una ad una le tappe che hanno portato alla nascita dello Stato Italiano ed hanno segnato il consolidamento degli Stati moderni, affermando la supremazia della legge e la titolarità di questo all’uso legittimo della forza. Titolarità che esercita a tutela della propria esistenza ed a salvaguardia delle libere istituzioni avvalendosi dell’apparato militare e di sicurezza. Prova ne sono state le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Agire poi in un contesto internazionale significa anche avere ben presente l’estrema complessità dello scenario politico che ci circonda e sul quale abbiamo solo limitatissimi margini d’intervento. Significa inoltre avere una percezione corretta, non turbata dagli eventi più drammatici ma neppure ancorata a pregiudizi e preconcetti, di quelle che sono le intenzioni dei tanti protagonisti che interagiscono sul piano internazionale, siano essi attori statuali o non statuali. La Difesa ha inoltre una grande rilevanza per l’elevato numero di cittadini che per esse e dentro di esse operano in uniforme oppure con uno status civile. Il Dicastero della Difesa è certamente il principale interlocutore istituzionale delle centinaia di migliaia di militari italiani, che vivono con orgoglio la loro particolare condizione ma che nondimeno necessitano e si aspettano la giusta attenzione nei loro riguardi. Le Forze

Ora riassettata nel D. Lgs. n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare).

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In apertura: Roma - 66° anniversario della costituzioone della Repubblica Italiana Sopra: particolare della parata del 2 Giugno 2012

Armate, componente essenziale del Dicastero, sulle quali opera, unitamente alle Forze di Polizia, la garanzia del bene della vita a tutela della collettività, anche a rischio della propria incolumità, sono poi tra i principali fruitori delle più avanzate tecnologie e dei più sofisticati e costosi equipaggiamenti. La Difesa ha quindi una sua dimensione tecnologica ed industriale di primissimo piano, potente motore propulsore per l’economia nazionale e per le relazioni con l’estero. In particolare, nel contesto multinazionale costituisce, senz’altro, un “ambasciatore” privilegiato del “made in Italy” nel mondo, attesi i molteplici scenari nei quali operano e si confrontano le nostre Forze Armate. A riprova del riconoscimento di questa ulteriore specialità il Governo si è mosso per impedire possibili scalate ostili alle nostre preziose realtà imprenditoriali che nel settore della difesa hanno conquistato e conquistano sempre di più fette di mercato importantissime. Con il decreto legge sulla c.d. “Golden share”, infatti, l’Esecutivo ha imposto il proprio preventivo assenso a quelle operazioni economiche che

possono nascondere il tentativo di potenze economiche estere di infiltrarsi nel più delicato e complesso mondo industriale italiano. La specificità non è, dunque, solo un aspetto dell’essere militare, ma corrisponde ad un modello di difesa che dovrebbe essere perseguito con visione omogenea e costante. In tale quadro, si pone oggi il progetto di riforma dello strumento militare che si prefigge lo scopo di ridisegnare struttura e ordinamento del nostro Ministero per tenerlo al passo con i tempi e con le mutate e mutevoli esigenze nazionali ed internazionali. La Difesa non si può e non si vuole di certo sottrarre al progetto di riforma di cui la Nazione si è fatta carico, ma deve tenere fermi alcuni punti fondamentali che non solo ne delineano le principali caratteristiche, ma che garantiscono ai cittadini il bene più prezioso: la sicurezza. La capillare distribuzione sul territorio (conseguenza della prioritaria esigenza della Difesa Nazionale) e la particolare struttura organizzativa (improntata ad una spinta flessibilità di intervento) hanno determinato l’instaurarsi di una multidimensionale

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Afghanistan - Aeroporto di Herat

serie di relazioni con comunità ed Enti locali, che del territorio sono la più diretta espressione, in una misura che nessun altra componente dell’organizzazione statale può o è in grado di attuare in modo così sistematico, rappresentando, quindi, nel concreto l’emblema dell’unità nazionale. Dentro la Difesa poi si trovano altre peculiari realtà, quali il sistema giudiziario militare o la sanità militare, che richiedono specifiche attenzioni e sensibilità sotto molti aspetti, quindi la Difesa racchiude in sé molte delle caratteristiche tipiche dello Stato moderno e perciò è specifica. Ecco perché definire il “perché” ed il “come” della difesa dello Stato ingloba una definizione dello Stato stesso, come declinato nell’accezione contemporanea. La formulazione e l’esecuzione di una “politica della difesa” diviene quindi un atto di governo della cosa pubblica di fondamentale importanza sia per la vita della collettività sia per il funzionamento dello Stato stesso. La peggiore delle soluzioni sarebbe quella di non affrontare la “politica della Difesa” in termini

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complessivi bensì affidarsi a soluzioni che, caso per caso, e di volta in volta, puntino a risolvere o a dilazionare specifici e settoriali problemi. Al contrario la Difesa necessita di una vera capacità di governance, anche perché essa chiama in causa l’essenza dello Stato ed allo stesso tempo lo rappresenta, in senso metaforico ed emblematico. La formulazione di una chiara e coerente “policy” per la Difesa non può peraltro prescindere da precisi limiti derivanti sia dal corpo normativo esistente sia da quanto deciso e fatto in passato. Ed è già arduo dare completa ed esatta esecuzione di quanto previsto dalla legge. Il tutto in un “continuum” che non ha eguali per i suoi possibili contraccolpi con altri Dicasteri. Più di ogni altro, la Difesa ha quindi bisogno di affidabilità e di senso delle Istituzioni. Deve esserci, per chi ci cerca, la sicurezza che ci troverà presenti in ogni momento pronti ad affrontare ogni sfida. Una sicurezza, bisogno primario dell’uomo, che plachi le ansie dei cittadini, che contrasti i disegni degli avversari, che corrisponda alle attese degli alleati. La sicurezza che il Paese manterrà gli


Forze da sbarco

Herat - Aeroporto

Nave Scuola Amerigo Vespucci

Eurofighter 36 Stormo

impegni che ha assunto, perché li ha presi in quanto sa di poterli mantenere, non solo oggi, ma anche domani. Questa affidabilità ha bisogno di continuità, stabilità e soprattutto di lungimiranza. Oltre a queste specificità la Difesa ne possiede altre, quali: • un proprio diritto amministrativo militare, che si ispira a quello più generale, ma è proprio; • proprie regole del “gioco”. A titolo di esempio, giova ricordare il Regolamento di amministrazione che, pur rifacendosi, ovviamente, ai principi della contabilità generale dello Stato, delinea un proprio e specifico alveo normativo. In questo contesto rientrano senza dubbio anche le regole di ingaggio (ROE) che, ancorché, ancorate al principio costituzionale di esercizio dell’uso della forza quale risposta ad una possibile minaccia, sono altresì improntate alla esigenza di garantire la sicurezza del personale e la salvaguardia delle libere istituzioni;

• forme di contabilità: speciale ed ordinaria che garantiscono maggiore aderenza e flessibilità ai fini dell’assolvimento dei compiti assegnati; • forme e modalità di ricorso alla giustizia amministrativa tutte proprie ed indisponibilità di un giudice del lavoro al quale rivolgersi; • forme di rappresentanza peculiari, avulse dalla logica sindacale, che demarchino ulteriormente il comparto; • esclusione dal novero delle Pubbliche Amministrazioni, disciplinate dal D. Lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni. Tematiche sulle quali questo periodico ed altri hanno più volte posto la loro attenzione. Ciò a prescindere dalla specificità del personale militare2 anch’essa lungamente trattata nel terzo numero di questo periodico dello scorso anno. A quei contenuti tuttavia vorrei aggiungerne altri che col tempo sono emersi avendo presente i criteri garantisti e tutelanti del lavoratore con le “stellette”. Avevo infatti omesso di ricordare come

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Militare = cittadino che presta servizio armato a difesa della Patria nella posizione di servizio o in congedo.

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l’applicazione di normative specifiche, quali ad esempio la L. n. 104/1992, il D. Lgs. n. 151/2001, ecc. sia limitata per il personale militare come lo è, per esempio, la normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro (D. Lgs. n. 81/2008), che prevede una speciale deroga per le istallazioni militari. Come siano anche da rilevare alcuni istituti economici peculiari oltre a quelli già illustrati la volta passata, quali l’omogeneizzazione stipendiale sia parziale che totale, per gli Ufficiali, e l’assegno funzionale per i Sottufficiali, l’indennità di comando3, la vice dirigenza, ecc.. Peraltro facendo una rapida carrellata per questi ultimi istituti si scopre che: • l’omogeneizzazione stipendiale, introdotta per la prima volta nell’ordinamento giuridico nazionale nel 1981 con la legge n. 181 per i Commissari ed i Primi Dirigenti di Polizia, serviva a controbilanciare i disagi e la selettività della carriera sganciando, in tal modo, quella economica da quella professionale purché si posse3

Tipica funzione svolta dal personale militare.

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dessero determinati requisiti (anzianità di servizio, merito, ecc.). Pantografando queste finalità sulla categoria dei Sottufficiali ecco qui l’assegno funzionale; • l’indennità di comando volta a ristorare l’assunzione di responsabilità d’impiego, disciplinari e finanziarie di determinate figure professionali definite con decreto ministeriale; • la vice dirigenza, recentemente introdotta, serve anch’essa a sedare l’elevata selettività delle carriere specie a seguito dei riordini degli avanzamenti operati sul personale militare. Ciò dimostra che da sempre il legislatore ha cercato di tutelare il “lavoratore in divisa”, pur nei ristretti limiti concessi dal bilancio pubblico. E questo senza che si possa ipotizzare una sagace e lungimirante azione di lobbying posta in essere nei confronti del potere esecutivo o legislativo, atteso che analoghe attenzioni sono riscontrabili in tutti i Paesi occidentali ed in quelli “in via di sviluppo”.


Carabinieri della Multinational Specialized Unit (MSU)

Infatti, nessun dipendente pubblico pone a repentaglio la propria incolumità personale scientemente per assolvere al proprio compito. Basti pensare al Carabiniere conducente del furgone sistemato in Piazza S. Giovanni in Laterano durante gli scontri dello scorso mese di ottobre o del “rallista” o al geniere, che in completa solitudine, spesso in condizioni ambientali ad elevato rischio (dalle strade di montagna chiuse nelle valli afghane e/o agli agglomerati urbani del martoriato territorio iracheno, ecc.) ha il compito di individuare e disinnescare possibili ordigni esplosivi, sotto la diretta minaccia di azioni ostili o a stretto contatto di civili di cui non è in grado di valutarne pienamente le intenzioni. E gli esempi non finiscono qui. Tutto questo ci porta ad affermare che la questione della specificità del Comparto Difesa – Sicurezza e Soccorso Pubblico, come anzidetto recentemente elevata al rango di norma primaria, riveste un duplice contenuto: da una parte le Amministrazioni del Comparto, che proprio per la 4

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loro ragione d’essere sono peculiari; dall’altro il personale che, in virtù del particolare status e della possibilità di utilizzare la forza per garantire la sicurezza, esprimono a tutto tondo il concetto di specificità. Emerge quindi una sorta di dualismo inscindibile dell’organizzazione e del personale, parafrasando la filosofia cinese, una sorta di yin e yang indissolubile come il giorno e la notte. L’una componente ha bisogno dell’altra per estrinsecarsi. Tali condizioni specifiche, seppur non normativamente declinate, che gli altri Paesi riconoscono in maniera inequivocabile5 in Italia potrebbero per un verso risultare un giusto compenso per gli oneri connessi con l’esercizio della professione militare (minori limiti di età, privazione di alcuni diritti costituzionalmente tutelati, rischio dell’incolumità personale, assoluta integrità fisica e morale, ecc.) e dall’altro essere percepiti dall’opinione pubblica come un ingiustificato privilegio, attesa anche la presente congiuntura economica sfavorevole. 

Rallista = fuciliere sistemato sulla torretta di un mezzo blindato/corazzato che assicura all’equipaggio ed al mezzo una adeguata cornice di sicurezza Non soltanto i Paesi amici ed alleati con i quali ci si confronta di solito ma anche quelli che fino a qualche tempo fa erano oltre cortina (Allegato).

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Cooperazione Internazionale

LA NUOVA AGENZIA NATO PER LE COMUNICAZIONI E L’INFORMATICA VITTORIO EMANUELE DI CECCO

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ue sono le decisioni di portata storica assunte dai Capi di Stato e di Governo della NATO, durante il Summit di Lisbona del 2010: la revisione della struttura dei Comandi (NATO Command Structure - NCS) e la riforma delle Agenzie1. L’esigenza di dotarsi di una struttura compatta ed efficiente, maggiormente sostenibile soprattutto in termini finanziari, ha determinato l’approvazione nel giugno 2011 da parte dei Ministri della Difesa dei paesi membri di una nuova NATO Command Structure2, caratterizzata da una spiccata capacità di immissione in teatro con tempistiche e costi notevolmente (almeno come obiettivo) ridotti. Una riforma epocale, quindi, e non esclusivamente “cosmetica”, come spesso accaduto nel passato, grazie all’introduzione di tre cambiamenti fondamentali: la riduzione quantitativa del numero dei Comandi, una loro nuova distribuzione geografica (più politica che operativa) ed una profonda revisione del loro ruolo operativo. Ciò ha influenzato in maniera non marginale anche il ripensamento delle Agenzie.

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La riforma delle agenzie Nel giugno 2010, il Segretario Generale creò il NATO Agency Reform Team (NART), una squadra di esperti composta non solo dai rappresentanti 1

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Nella struttura NATO, le Agenzie sono gli organi esecutivi ed il braccio operativo dell’Alleanza; esse si occupano dell’approvvigionamento dei materiali, della loro manutenzione, di standardizzazione, della progettazione e sviluppo dei sistemi per la difesa aerea e aeromobili, di quelli di comunicazione e di gestione dell’informazione, della gestione degli oleodotti ecc. La NCS si compone di due Comandi Supremi permanenti a livello strategico e da una serie di elementi organizzativi a livello operativo e “Component” variamente dislocati nei territori dei paesi membri. Tutta la funzionalità operativa della NATO è concentrata in un unico Comando strategico (ACO) con competenza ora su tutta l’area di interesse della NATO, responsabile per la pianificazione e l’esecuzione dell’intera gamma missioni di cui l’Alleanza é capace. Al secondo Comando strategico (ACT) é invece devoluta la competenza nel governare i processi tesi alla trasformazione dell’Alleanza in una struttura militare sempre più efficiente attraverso lo studio di nuove strutture, capacità e dottrine.

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE 13


In apertura: moderno sistema di comunicazione Sopra: Bala Morghab. Posto di osservazione fisso

provenienti dalle Nazioni, ma anche dagli utenti operativi e dalle Agenzie stesse, con il compito di ridisegnare il frammentato panorama delle Agenzie NATO. Con il supporto di uno studio affidato a un consulente esterno (IBM Olanda), il NART ha prodotto la proposta per una ristrutturazione completa e radicale, nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse disponibili (sia economiche e materiali che in termini di personale). Non solo. Scopo centrale della riforma è di migliorare l’efficienza e l’efficacia delle capacità e dei servizi forniti, perseguendo sinergie per evitare la duplicazione di funzioni, in modo da garantire il contenimento delle spese. La soluzione per raggiungere tali obiettivi è stata identificata nell’individuazione di tre aree programmatiche primarie (Support, Communications & Information, Procurement), attorno alle quali creare 3

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le nuove Agenzie. Ciò si è concretizzato nell’abbandono dell’attuale sistema, costituito dalle 14 Agenzie esistenti3, e nell’adozione di tre nuovi organismi: l’Agenzia per il sostentamento (Support), l’Agenzia per le Comunicazioni e i Sisitemi Informativi, NCIA (Communications & Information) e l’Agenzia per l’acquisizione (Procurement). I servizi “comuni” alle tre Agenzie, in altre parole quelli identificabili nelle aree delle Risorse Umane, Legale, Finanziario e dell’Informatica Gestionale, saranno garantiti in maniera trasversale e da un “super” ufficio per i cosiddetti Shared Services. Tale progetto (tre Agenzie e un Ufficio comune) è stato approvato nel giugno 2011 dai Ministri dei paesi membri, i quali concordarono, inoltre, sulla tempistica di un anno per la transizione verso il nuovo sistema delle Agenzie4.

Cfr. PO(2010)0159 del 15/11/2010 NATO Agency Reform – Report to Lisbon Summit:“Ad oggi vi sono 14 Agenzie NATO dislocate in 7 Nazioni, che impiegano più circa 6.230 persone e gestiscono un volume totale di affari che nel 2010 si è attestato ad oltre 10 miliardi di Euro (di cui 9,4 spesi in contratti con l’industria privata).” Cfr. http://www.nato.int/cps/en/natolive/topics_66470.htm?selectedLocale=en.

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Il 1 luglio 2012 prenderanno vita la Support Agency e la NCIA. Dall’estate del 2011, sono numerosi i progressi raggiunti nella strada verso la loro istituzione. Sono stati, infatti, attivati due organismi (Provisional Agency Supervisory Boards - PASB), uno per ciascuna Agenzia, per consentire alle Nazioni5 di governare la transizione e sono stati, altresì, selezionati i due nuovi General Managers6, che stanno contribuendo in maniera fattiva a disegnare la struttura organizzativa delle loro Agenzie. Ad oggi è in corso l’elaborazione e la stesura delle “carte constitutive” (Charters), fase delicatissima, dalla quale deriverà la vera portata del rinnovamento della struttura delle Agenzie, cartina di tornasole della reale volontà di cambiamento dei vari paesi membri.

La costituzione della NATO Communications & Information Agency (NCIA) Secondo il progetto del NART, la NCIA sarà creata il 1 luglio p.v., integrando le quattro realtà ad oggi esistenti: • la NATO Consultations, Command and Control Agency (NC3A), • la NATO CIS Services Agency (NCSA), ad eccezione del Deployable CIS (DCIS)7, • la NATO Air C2 Management Agency (NACMA), • l’Ufficio di Progetto dell’ALTBMD (Active Layered Theatre Balistic Missile Defence Project Office – ALTBMD PO). In particolare, la NC3A è nata il 1 Luglio 1996 dall’integrazione tra lo SHAPE Technical Centre (STC) e la NATO Communications and Information Systems Agency (NACISA). L’Agenzia, che conta un organico di circa 800 persone, per lo più tecnici e specialisti CIS civili, è responsabile 5 6

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del ciclo di vita dei progetti, dalla loro nascita sino alla consegna dopo il collaudo, quando questi vengono passati sotto la responsabilità dell’Agenzia cugina, la NCSA. Fra i suoi compiti principali, vi sono la definizione dell’architettura centrale di riferimento per il CIS NATO, l’ingegneria dei sistemi, nonché la loro integrazione, acquisizione ed il controllo di configurazione dei sistemi CIS. La NCSA, invece, è stata creata nel 2004 dalle ceneri della NATO CIS Operating and Supporting Agency (NACOSA). L’Agenzia agisce come Autorità che fornisce i servizi CIS, operando e mantenendo tutti i sistemi a lei assegnati, assicurando l’addestramento di operatori e tecnici e acquistando quanto necessario a sostegno del loro ciclo operativo. La NCSA, che conta su di un organico effettivo di circa 3.000 persone in maggioranza militari, distribuiti in quasi tutte le Nazioni NATO, interviene, quindi, dal momento dell’accettazione del sistema dalla NC3A sino alla sua dismissione. In sintesi, il suo ruolo è quello di fornire tutti i servizi CIS da terminale a terminale, in modo sicuro e conveniente in termini di costo-efficacia (chiamata affettuosamente dai suoi membri: TELECOM NATO). La NACMA, con un organico di circa 120 elementi, nasce come Agenzia per l’acquisizione nel suo insieme del sistema di Comando e Controllo Aereo e per il suo avviamento operativo. È responsabile della pianificazione centrale, dell’architettura del sistema, del controllo di configurazione e dell’integrità globale del NATO Air Command and Control System (ACCS). Il programma ALTBDM nasce nel 2005 a seguito della decisione di dotare la NATO della capacità di protezione delle proprie forze, dislocate in area di operazioni, dalla minaccia rappresentata

Il rappresentante italiano al PASB della NCIA è un Vice Capo del VI Reparto di SMD. Il General Manager designato (GM(D)) della NCIA è il Major General dell’Esercito olandese (ora civile di grado A7) Koenraad Gijsberg. Maggiori dettagli su NC3A Communicator, rivista di informazione di NC3A. Costituito da un Reggimento su tre Battaglioni e diciassette DCM (Deployable CIS Module) – per un totale di 1300 persone circa - che passerà alle dirette dipendenze dell’Allied Command Operations (ACO).

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE 15


Haiti - predisposizione per i collegamenti

dai missili balistici a medio e corto raggio (fino a 300 km di portata). Al summit di Lisbona del Novembre 2010, è stato deciso di estendere il programma a protezione anche di tutte le Nazioni NATO. Il suo Ufficio di Progetto, inserito nella NC3A, è costituito su una geometria variabile, che vede 28 persone di base, rinforzate dagli esperti, che sulla base di un organizzazione “a matrice”, saranno contrattati con l’Agenzia madre. La trasformazione in un’unica entità avverrà in tre distinte fasi temporali: consolidamento, razionalizzazione e ottimizzazione. Al 1 luglio la NCIA inizierà la sua vita con la fusione delle quattro entità senza alcun cambiamento strutturale, secondo la formula “as is, where is”. In questa prima fase, che terminerà a fine 2012, si fonderanno la dirigenza ed alcuni servizi co8

muni, quali quelli forniti dagli uffici Personale, Legale e Finanziario. La seconda fase, che durerà per tutto il 2013, si concentrerà sull’amalgama dei processi di acquisizione e sulla ristrutturazione delle singole organizzazioni. La terza, che impegnerà tutto il 2014, vedrà l’attivazione delle opzioni per ottenere i risparmi attesi, almeno del 20%8, sui costi di gestione. Dalla sintetica analisi dei principali compiti degli organismi che la costituiranno, si evince che la nuova Agenzia NCIA dovrà assicurare in toto le funzioni da loro precedentemente assolte. In particolare, il suo ruolo coprirà l’intero ciclo di vita dei sistemi, dovendo operare sia come principale fornitore delle capacità C3 che come provider dei servizi CIS per il NATO HQ, la NCS e le altre agenzie della NATO, nonché per le Capitali e gli elementi nazionali della NATO

Si è convenuto di considerare come base di riferimento i bilanci al 31/10/2010.

16 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 3/2012


Marina Militare -esercitazione in mare

Force Structure9 (NFS), garantendo la loro connessione al “clouding” 10 NATO. In termini di processi, l’Agenzia opererà come ponte tra i responsabili dell’elaborazione dei requisiti NATO (ACO ed ACT) e gli utenti finali11. Missione fondamentale della nuova Agenzia sarà di assicurare il continuo sostegno CIS a tutte le operazioni in cui l’Alleanza è impegnata. Questa situazione determina una dipendenza funzionale dell’Agenzia nei confronti del SACEUR 9

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(Supreme Allied Commander Europe), a cui dovrà rispondere per soddisfare i requisiti operativi secondo la corretta priorità. Ciò richiede la definizione di opportune regole di Comando e Controllo (C2) tra SACEUR e il General Manager, cui le Nazioni stanno lavorando intensamente12. Ad oggi, Aprile 2012, rimane ancora da affrontare la delicata questione della “carta costitutiva”, su cui le Nazioni stanno lavorando con parti-

La NATO dispone di forze che vengono rese di volta in volta disponibili attraverso un definito meccanismo di assegnazione (Force Generation Process) cui partecipano gli Stati membri. Nel momento in cui il Consiglio Atlantico autorizza un’operazione militare, gli assetti sono resi disponibili per essere poi restituiti alle autorita’ militari nazionali al termine del periodo di impiego. Per NATO Force Structure (NFS) si intende perciò il complesso di assetti nazionali, multinazionali e alleati, inclusi i relativi Comandi, permanentemente o temporaneamente assegnati a disposizione dell’Alleanza secondo specifici criteri di protezza operativa. Con il termine clouding ci si riferisce al concetto di cloud computing che indica un insieme di tecnologie che permettono, tipicamente sotto forma di un servizio offerto da un provider al cliente, di memorizzare/archiviare e/o elaborare dati grazie all’utilizzo di risorse hardware/software distribuite e virtualizzate in Rete. Cfr. DPPC, Business Case: Communications and Information Agency, datato 12/07/2011. Quello che si va delineando è l’assegnazione al SACEUR dell’Autorità di Coordinamento anche sulla NCIA, oltre che sul CIS Group, di cui ha già il Comando, per la pianificazione CIS a sostegno delle operazioni militari. Il GM, per parte sua, potrebbe godere della Autorità Tecnica su tutti gli apparati CIS, anche quelli del CIS Group. Cfr. First Report – NCIA datato 28/3/2012.

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Afghanistan - Lagunari in attività operative

colare attenzione, data la delicatezza della materia. Dalla Carta, infatti, dipenderà la reale portata dell’innovazione introdotta con la creazione dell’Agenzia, attraverso l’elaborazione delle regole di Comando e Controllo, all’interno delle quali si svolgeranno, senza ambiguità, i rapporti fra l’Agenzia e il resto delle strutture NATO. Altro importante aspetto da definire riguarda il regime finanziario che dovrà essere applicato alla nuova realtà13. Al momento, quindi, in attesa delle decisioni dei vari Paesi membri, si possono azzardare solo alcune considerazioni iniziali. Il vantaggio principale dell’accorpamento in un’unica agenzia delle capacità di quattro organismi differenti, aldilà dell’ottimizzazione 13

delle risorse (soprattutto economiche), risulta nella possibilità di avere una gestione integrata del ciclo di vita dei sistemi, dal procurement alla dismissione, risolvendo così la soluzione di continuità attualmente esistente. Alcune frizioni, infatti, si sono verificate tra le due principali Agenzie (NC3A e NCSA) per delle criticità verificatesi in sede di accettazione dei sistemi, poiché le competenze dell’una hanno talvolta travalicato le prerogative dell’altra, ritardandone l’entrata in servizio a causa del disaccordo sulla soluzione tecnica adottata. Sostanzialmente si chiedeva a chi doveva operare sui sistemi di accettare qualcosa in cui non si credeva. Tale situazione è determinata dal fatto che gli amministratori di sistema e i tecnici di sostegno non intervengono nella fase iniziale del ciclo

La NCIA adotterà il regime del “finanziamento da parte degli utenti” (customer funded). Tale regime, già applicato da tempo alla NC3A, completamente nuovo invece per la NCSA, sarà gradualmente introdotto fino alla sua piena implementazione nel Gennaio 2014.

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di vita, cioè il “disegno”, determinando successivamente una competitività tra le agenzie che si è tradotta, agli occhi degli utenti, in un’inferiore qualità dei servizi forniti. Non vi è dubbio riportando l’intero ciclo di vita sotto la responsabilità di un unico General Manager si eliminerà tale anomalia, consentendo a chi dovrà operare i sistemi di poter intervenire anche nelle fasi iniziali del ciclo (disegno e progettazione). Una seconda osservazione deriva dalla semplice considerazione che la necessità di accorpare quattro distinte entità in una, non può che sottolineare la profonda frammentazione di cui il NATO CIS ha sofferto sinora. Infatti, lo stesso “Defence Policy and Planning Commitee” (DPPC) ha riconosciuto che “con il passare degli anni, la mancanza di una coerente governance della materia C3/CIS, ha determinato la progressiva evoluzione verso un ambiente CIS eterogeneo, dove le capacità C3 e i servizi sono forniti da più entità spesso tra loro indipendenti. Questo ha comportato lo sviluppo di un settore CIS sempre più frammentato, più costoso da operare e mantenere, che ha reso più difficile l’adozione di un reale approccio basato sul principio del ciclo di vita globale e delle capacità C3. Inoltre manca ancora una visione globale NATO sulla Cyber Defence, esponendo l’Alleanza al rischio14”. Giudizio severo e crudo, forse tardivo, ma condivisibile. Certamente, il consolidamento delle Agenzie eliminerà le cause della frammentazione e della soluzione di continuità nel ciclo di vita dei progetti, ma non consentirà il salto qualitativo definitivo, se non sostenuto da ulteriori provvedimenti. Cruciale, infatti, sarà l’impostazione che le Nazioni vorranno concordare nella definizione 14 15

del livello di responsabilità e del regime di delega al General Manager (GM) nella carta costitutiva (Charter). Infatti, come questi sostiene, questa riforma non riguarda soltanto la ristrutturazione delle Agenzie, ma potrà cambiare l’ambiente stesso che circonderà l’Agenzia, imponendo agli utenti operativi di ricercare il finanziamento per qualsiasi nuovo requisito, basandosi, magari, su un nuova e diversa valutazione del rischio, e alle Nazioni una nuova più moderna forma di autorizzazione alle spese che consenta la necessaria agilità, flessibilità ed “acqua di manovra”. Si tratta di una rivoluzione che, forse, si spinge troppo oltre, per delle Nazioni tendenzialmente conservatrici, soprattutto nel campo della finanza. Rimane, infine, ancora poco chiaro quale modello di GM sarà adottato: gli Stati si orienteranno verso una figura del tipo “Amministratore Delegato” di una grande società (Telecom) o si preferirà conservare l’attuale modello NATO, che consente un controllo quasi capillare (a volte scadente nel “micro management”) delle attività da parte delle Nazioni? Molto altro lavoro richiedono le decisioni sul come applicare il regime di finanziamento della nuova Agenzia, sullo status del suo personale militare, sulla volontà delle Nazioni nel continuare ad alimentare le circa 2000 posizioni militari, non più particolarmente appetibili perché non concorrenti alla determinazione del “flags to posts”15, sulla capacità di ottenere i risparmi attesi dalle Nazioni, sulla volontà delle Nazioni di continuare a fornire il sostegno della Nazione ospite in linea con la nuova policy che entrerà in vigore nel 2014. A molti di questi interrogativi sarà possibile darà una risposta solo entro la fine di quest’anno. Staremo  a vedere.

Cfr. DPPC, Implementation plan for NATO Agency Reform. Con tale termine si intende quel processo con il quale, tenendo conto di numerosi criteri, si assegnano alle varie Nazioni le posizioni da Ufficiali Generali (Flag Officers) nell’ambito dell’intera struttura di Comando della Nato. Si tratta di un procedimento complesso che prevede, tra l’altro, un meccanismo per l’assegnazione del numero di posizioni nei vari gradi in funzione del numero e del grado degli Ufficiali Ammiragli che una determinata Nazione si é aggiudicata.

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Panorama Internazionale

MARIO RINO ME

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el dicembre 2010, in un remoto paese della Tunisia scocca infine la scintilla che in meno di un mese raggiungerà la capitale. La “primavera araba”, reminescenza della”primavera delle nazioni” del 1848, ha fatto capolino all’insegna dei tumulti, che, con disinvoltura sono definiti indifferentemente rivolte o rivoluzioni; a questo proposito, si fa notare che in base alla definizione, che associa le rivoluzioni a cambiamenti totali della classe dirigente, i moti rientrano nella categoria delle rivolte. La cosiddetta “rivolta del Gelsomino”, scoppiata nel più avanzato dei paesi della Sponda Sud (la Tunisia) ha confermato il profilo dei moti all’occidentale che hanno origine, di norma, nell’ambito di élites borghesi-culturali e sono corroborate dall’adesione di energie giovanili. Hanno a fattor comune costituto dalla constatazione della mancanza di prospettive di un sistema al poter oramai ingessato, che costituisce un ostacolo alle libertà individuali e al progresso di una società dinamica. E quando la gente inizia a pensarla diversamente, occorre prenderne atto e agire di conseguenza, altrimenti non c’è proprio nulla da fare. I moti, nati spontaneamente con connotazioni sociali, senza ideologie, hanno assunto successivamente un carattere politico-nazionalista1 e, partendo dall’epicentro, si sono riverberati nel mondo arabo, superando le linee divisorie di razza e confessione, con la promessa di un nuovo ordine basato sulla giustizia sociale. La juxta causa della volontà di riscatto e dignità, veicolata dalla rete sociale “moderna” tra non–islamisti, ha contribuito alla formazione di un genere di identità transnazionale che, pur nelle diversità tra paese e paese, ha coagulato le aspirazioni di cambiamento. Questa forza ha costituito la condizione necessaria alla mobilitazione, avvio e sostentamento dei fenomeni; che non si può, tuttavia, considerarsi sufficiente, giacché alla dichiarazione dello stato di emergenza, occorre fare i conti con chi mantiene il controllo della forza. Nel nostro caso, il punto di svolta è stato raggiunto con la scelta di campo delle Forze

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In effetti, non si è assistito al consueto rituale (slogans, bruciatura bandiere) anti USA o Israele.

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Armate, ago della bilancia dopo l’estrema decisione di impiegare le armi contro la protesta2. Che costituisce pertanto un momento decisivo e di non ritorno. È questo un aspetto cui non è stato dato il giusto risalto, visto che, da quelle parti, le forze armate appaiono come detentori della legalità rispetto alle polizie di regime. In effetti, le cose sarebbero andate diversamente se il generale Rachid Ammar non avesse fatto il “gran rifiuto” al presidente Ben Ali. Difatti il gesto clamoroso ha fatto precipitare la situazione in Tunisia, dove i media si sono subito liberati della tutela del regime, e ha fatto da traino in Egitto e nella fronda militare in Yemen. Poi, in rapida successione, l’ondata delle proteste in magrebine. A parte il caso della Libia, dove la rapida assunzione di una connotazione armata, ha dato adito a sospetti di una plausibile regia esterna3, i sommovimenti popolari hanno evidenziato caratteristiche di spontaneità e trasversalità4. Tutto è accaduto nella sorpresa generale, e, in particolare dei servizi di intelligence; aspetto quest’ultimo che non deve sorprendere, in quanto l’occhio al terrorismo comportava stretti legami con gli omologhi servizi locali. All’esterno, la rapida caduta dei rais, considerati dei baluardi, ha messo i partners di una volta di fronte a realtà difficili da accettare. A partire dall’assunto della prevedibilità, legata a una stabilità, assicurata dai regimi e che alla luce dei fatti si è rivelata apparente. In breve un abbaglio per chi ha creduto all’aut aut “o noi o i terroristi”. Questo spiega i tentennamenti occidentali, superati successivamente dalla resipiscenza degli USA, e, in particolare dalle nette prese di posizione del presidente Obama, in linea con le nuove direttrici di politica estera, espresse dalla Casa Bianca nella National Security 2

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Strategy del maggio 2010. In questo documento di riferimento alla priorità degli interessi nazionali, “il rispetto dei valori universali” sopravanza, rispetto alle passate edizioni, le azioni volte a “un ordine internazionale a guida US che promuove pace, sicurezza e opportunità..”. Sviluppatisi senza capi carismatici (prima novità, come agli albori della rivoluzione francese), nell’evidenziare il ruolo dei media moderni5 nella formazione di identità trasversali (per dirla alla Parag Khanna “reti globali di consimili”), hanno confermato il nesso tra sviluppo-progresso-democratizzazione e sicurezza, e, come avviene nel continente africano, la centralità delle metropoli. Inoltre, hanno evidenziato che il binomio sicurezza-sviluppo funziona a doppio senso se il primo fattore viene interpretato nell’accezione moderna di sicurezza umana, che presuppone l’equilibrio tra le esigenze dello stato e quelle dei cittadini 6. Il che presuppone un terzo fattore, vale a dire il governo (governance) anche perché la modernizzazione senza democratizzazione non può stare in piedi, dato che il sostegno ai rais era apparente, basato sostanzialmente sulla paura. Dopo la cessazione delle ostilità in Libia la mappa della geografia politica della Sponda Sud appare più complessa rispetto al passato per la presenza contemporanea di sistemi riformati, di governi di transizione a varie velocità, e di sistemi rimasti al potere ma soggetti, in varia misura, alle pressioni per il cambiamento. In breve, se, da un lato, il panorama della Sponda Sud appare come il cantiere aperto della riscrittura della storia, dall’altro, sullo sfondo delle nuove energie sprigionate da quello che viene definito il “risveglio arabo”, assumono particolare rilevanza le forze che plasmeranno il nuovo corso politico. Nella dinamica dei moti,

“La Grande Muette a dit non”, Jeune Afrique, 29 Janvier 2011, riferendosi al Decano dei Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate Tunisine. Distribuzione di armi, presenza di combattenti reclutati all’esterno, nonché forze speciali per “consigliare” il coacervo degli insorti. Questo genere di movimenti costituiscono una novità dal periodo della dominazione ottomana e dalla colonizzazione. Sia dei network che dei mezzi di comunicazione sociale, internet, twitter ecc. Emblematico in Arabia Saudita dove la protesta ha assicurato alle donne sia il diritto di voto sia la partecipazione a organi consultivi di rilevo, quali il consiglio consultativo della corona in materia politiche sociali. Vedasi articolo autore, Sicurezza e Processi Decisionali: Teoria e Pratica, Rivista Marittima Marzo 2011.

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In apertura: Egitto - Immagini della primavera araba Sopra: La primavera islamica

alla prima classificazione di “rivolte”, volte al cambiamento politico-societale di un mondo che interpreta la democrazia come giustizia sociale, se ne è aggiunta un’altra di “risveglio”. Essa viene associata alla dimensione geopolitica che attiene alla collocazione, visione, nonché ruoli della comunità (ummah) nella regione (Dar-al Islam) e nel mondo. Un identità attorno alla religione che rendeva quel lungo contesto mussulmano globalizzato quasi come oggi come il giurista Ibn Battuta evidenziò 700 anni fa (poco dopo Marco Polo) nel suo lungo viaggio da Tangeri alla Cina7. Nell’attuale fase, “il “risveglio” riguarda la componente sunnita, anche se, con i fatti del Bahrein, che hanno visto la decisa maggioranza sciita rivendicare maggior voce in capitolo nei confronti della classe governante sunnita, si potrebbe meglio definire arabo-mussulmana. Tornando alla transizione, si rileva che, per comprenderne meglio il decorso, i fari sono ora puntati sulla dialettica dei vari movimenti religiosi che, anch’essi colti di sorpresa, sono entrati in politica nella fase di definizione degli assetti futuri. Intanto, le società vivono sulla loro pelle la lezione che la fuga dell’uomo forte non implica 7

l’uscita dal tunnel. Difatti, il percorso della transizione si sta rivelando tortuoso, costellato da rischi e non sempre prevedibile. E con movimenti complessi, ancora in corso con dinamiche rapide e repentine, più che previsioni si possono fare vaticini. Resta infatti da vedere se l’evoluzione delle rivolte e successiva transizione potrà dare al mondo arabo le risposte alle domande di cambiamento e alle sue aspirazioni.

Una breve panoramica della transizione Dall’epicentro tunisino, i moti si sono propagati a mò di scosse telluriche a est e a ovest del mondo arabo. Stesse le forze scatenanti, ma con effetti diversi a seconda dei bacini. Pur nella varietà degli approcci alla ridefinizione del proprio futuro, una prima visione, à vol d’oiseau, sulle dinamiche dello spazio arabo-mussulmano mette in risalto i seguenti aspetti salienti: • a differenza dei precedenti colpi di stato in cui, una volta al potere, i rais si sono preoccupati di restringere le libertà individuali e collettive, nei paesi interessati, ancorché con approcci diversi,

Reza Aslan, World Wonderee, Time Magazine .August 1 -2011.

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Tunisi: i Minareti

prevale la linea della ricostruzione del tessuto costituzionale; • le varie tornate elettorali si sono svolte regolarmente; • gli scossoni hanno avvantaggiato l’Islam moderato, rappresentato nell’agone politico da una nuova generazione di soggetti che accettano la laicità dello stato e il verdetto delle urne. Se questo può apparire una novità altrove (che nel caso specifico associa questo filone a un “postislamismo”8), per noi europei non lo è affatto (si pensi, ad esempio, ai movimenti democratici , divenuti successivamente partiti di ispirazione cristiana); • con alti e bassi e per il momento, l’andamento delle varie traiettorie della transizione risponde, per ora, alle domande di cambiamento per una democrazia partecipativa, solidarietà verso le parti più deboli, lotta alla corruzione, nepotismo ecc.; 8

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• la componente integralista comparsa all’improvviso e subito attore in Egitto, è, per ora, assente dalla dialettica politica nel Maghreb; • le trasformazioni della società, indotte anche dalle recenti proteste, non forniscono più alibi al ricorso all’arma del terrorismo, visto una volta come l’unica via di uscita. Lo sviluppo della gestione della crisi in Siria mette in risalto l’impatto di una nuova realtà geo-strategica, venutasi a formare in esito all’intervento occidentale in Libia9. Le divergenze in materia tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, in particolare sul delicato tema della sovranità nazionale, le possibilità di intervento umanitario sono decisamente diminuite. a. Nel Maghreb Come detto, la Tunisia ha assunto il ruolo di apripista. La tornata elettorale dell’ottobre scorso

Anthony Shadid and David D. Kirkpatrick, Activist in the Islamic World Vie For Defining Islamic State International Herald Tribune , 29 sept 2011. Vedasi essay autore, For whom the Arab bells toll, pubblicato su Limes-Hearthland nell’aprile 2011.

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è stata valutata come modello di riferimento. Qui, i partiti conservatori professano visione politica più tollerante e democratica e si collocano sulla scia del Partito per la Giustizia e Sviluppo di Tayyip Erdogan. Tra questi il partito Ennahda di Rachid Ghannouchi, vincitore delle tornata elettorale di ottobre per la selezione dei membri dell’assemblea costituente. L’Algeria del premier Bouteflika ha mantenuto un atteggiamento di basso profilo. Incalzata dall’ondata delle proteste ha convocato una sorta di assemblea degli stati generali. Grazie ai proventi delle preziose risorse energetiche, sono stati concessi aumenti stipendiali e aiuti finanziari alle piccole e medie industrie come stimolo alla creazione di posti di lavoro. In politica estera, sospettosa della notevole componente islamista (sul terreno e dietro le quinte) nonché dell’ingerenza occidentale in Libia, ha votato contro la risoluzione della Lega Araba, che approvava l’intervento della NATO. Il riconoscimento della lingua berbera da parte del Marocco aumenta l’elenco delle cose da fare. Le ultime elezioni politiche del maggio scorso sono state vinte da partiti legati al governo, che si sono aggiudicati la maggioranza assoluta. Tuttavia, la scarsa affluenza alle urne, dell’ordine del 42%, appare riconducibile al boicottaggio dei partiti islamici. Aleggia il ricordo della guerra civile iniziata nel 1994, che il presidente si era impegnato a lenire con una campagna di riconciliazione nazionale. Resta poi la sfida della sostituzione del presidente, malato e alla fine del suo terzo mandato. In Marocco, in risposta alle richieste della piazza, il re Maometto VI ha intrapreso un percorso di modernizzazione economica e di adattamento istituzionale verso un assetto di monarchia costituzionale. Le elezioni politiche hanno marcato la prevalenza dell’Islam politico moderato e da inizio anno il paese è governato da una coalizione. In Mauritania, in risposta alle ondate di proteste che hanno interessato 10

notevoli settori come università, scuole, l’industria della pesca, il governo ha risposto mettendo in opera un piano volto all’abbassamento dei prezzi delle derrate alimentari. Sono state tolte restrizioni alla libertà di stampa e in parlamento sono stati raggiunti accordi di vario genere, tra cui diritti delle minoranze e limitazione del ruolo dei militari in politica. La Libia sembra ridotta a realtà territoriali locali: gli ex ribelli hanno formato un governo di transizione, ora soggetto alla grande sfida per ridimensionare le regioni che, con le loro milizie, si comportano alla stregua delle città-stato. Ragion per cui, al momento, risulta difficile raggiungere un equilibrio tra i poteri che esse rappresentano. Il tutto in una situazione di notevole disponibilità di armi, che facilita il ricorso alla forza per risolvere le proprie controversie. Qui le sfide che il Governo, che non ha il monopolio della forza, è chiamato a superare oscillano dalla gestione della partita dell’assestamento e dalla non facile impresa della ingegneria costituzionale, visto ché la struttura paese deve essere costruita ab imis “fundamentis” per l’assenza di meccanismi di rappresentanza popolare10. Infine, la spartizione del potere tra gli esponenti della militanza religiosa che hanno combattuto sul terreno, e gli ex dell’ancien regime, ora al potere, che hanno fatto tante promesse. Se, da un lato, la ricostruzione è scomparsa dagli schermi, dall’altro, la caduta del regime ha qualche conseguenza nel Sahel. Con il ritorno a casa delle varie milizie Tuareg, che hanno combattuto a fianco di ambo i contendenti, e che, ripiegando, si sono portate dietro arsenali di armi, per cessare le ostilità chiedono il riconoscimento dello stato Azawad, nel Mali, a nord del fiume Niger. b. Nel Mashreq L’Egitto rimane ovviamente al centro della scena anche per la sua funzione di centro del mondo

Nella fase iniziale delle rivolte , il rais aveva promessola riforma dei ”congressi provinciali del popolo”, dove tribù e potentati locali si sarebbero riuniti, distretto per distretto per discutere e avanzare richieste al leader.

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arabo11. Il percorso è stato già definito. Dopo il referendum su una riforma parziale della Costituzione, il nuovo parlamento ha assunto le sue funzioni nel marzo 2012. Gode della legittimazione popolare. Con l’entrata in politica del movimento salafita, la rappresentanza a sfondo religioso è dell’ordine del 70%. Non è ancora chiaro quando inizierà il passaggio delle consegne. Ciò in quanto si devono affrontare e superare le grandi sfide di natura sociale, politico-istituzionale ed economiche, e, non ultimo, della spartizione del potere. La ribalta è motivata dalla rilevanza dell’Egitto negli equilibri regionali; inoltre, l’esito della transizione potrebbe influenzare gli altri paesi. I Fratelli Musulmani si sono dichiarati favorevoli a rispettare il verdetto popolare, al rispetto degli altri partiti e dei trattati. Ad esempio, nel caso delle relazioni bilaterali con gli USA, il loro leader (Muhammad Morsi) le ha riconosciute come importanti, precisando, però, che devono essere “bilanciate12”. Dopo un atteggiamento iniziale di avversione, l’amministrazione USA, nello spirito del realismo della citata Strategia di Sicurezza Nazionale (accettare il mondo così com’è), inizia a guardarli con notevole interesse tanto da intrattenere una sorta di dialogo. Poco, invece, si sa dell’orientamento della Fratellanza in politica estera, a meno del suo allineamento sunnita, non ultimo perché l’attuale focus sul movimento rimane sulle linee di politica interna. Ma non si può tralasciare la questione del ruolo dei militari nella futura vita politica del paese13, ora divenuti sorvegliati speciali e quindi bersaglio di proteste quando deviano da questa funzione. Da qui la forte pressione USA attraverso la leva degli aiuti che, nel campo militare, si aggirano su 1,3 miliardi di dollari annuali. Qui si registra un certo ottimismo 11 12 13

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sia perché la pratica religiosa non si tinge di estremismo (circa il 50% degli affiliati è costituito da donne) e il focus del movimento ruota attorno all’eliminazione della povertà e analfabetismo. In breve, pur nella varietà delle opinioni e di componenti poco tolleranti, ne viene fuori un Islam politico moderato. Ma anche pragmatico visto ché segue la nota regola per la quale un paese in transizione si guarda bene dal perseguire politiche estere avventurose (ergo buone relazioni con USA, rispetto del trattato con Israele). La lotta per le presidenziali si è incentrata primariamente attorno al ruolo della religione nella società e alla minore sicurezza interna14; programmi e obiettivi sembrano passare in secondo piano. In campagna elettorale, si è assistito, per la prima volta, al confronto televisivo dei concorrenti. Il ballottaggio mette ora a confronto due figure di spicco, emblematiche della continua lotta per il potere in Egitto: Ahmed Shafick, rappresentante dell’elite militare laica, e il simbolo dell’ex opposizione islamista. Emblematica l’osservazione del grande escluso Amr. Mussa, secondo cui “l’Egitto non può permettersi esperimenti di democrazia islamica”. c. Nel Levante e Vicino Oriente, La fase di transizione si sta coniugando con le nuove dinamiche subregionali e aggiunge ulteriori variabili. La frizione nei rapporti turco-israeliani (Ankara è divenuto il principale megafono della protesta contro il trattamento dei palestinesi, poi la sfida turca sul piano giuridico e operativo al blocco israeliano alla Striscia di Ghaza), la ricerca palestinese del riconoscimento delle Nazioni Unite (che, peraltro, sta creando divisioni all’interno della comunità occidentale), la violenta repressione in Siria, che sta sprofondando quotidianamente nelle rivolte, sono emblematiche

Dictionnaire de GEOPOLITIQUE, sous la direction de Yves LaCoste , Flammarion, Paris 1995, pag. 549. Roger Cohen, Trust but verify, International Herald Tribune, 17-12-2011. La presenza nell’economia del paese (si parla di una fetta dell’ordine del 30% ) si è consolidata nel tempo a partire dall’era nasseriana. Il discredito delle forze di polizia, legate la vecchio potere, ha creato una sorta di vuoto cui ora si vuole porre rimedio.

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della scala delle sfide e incognite che gravano sul futuro dell’area. La Turchia, tra crisi del debito sovrano dell’area euro da una parte e scossoni della primavera araba dall’altra, intravvede delle opportunità. Il potenziale boicotaggio turco della presidenza di turno cipriota della UE (secondo semestre 2012), non potrà che ufficializzare lo stallo del processo di avvicinamento all’Europa. Peraltro, la contiguità turca con la Siria, Iraq e Iran, esaltandone il ruolo di interlocutore, inverte il rapporto di reciprocità con l’Europa. Ora infatti la Turchia si presenta all’Europa più necessaria di prima. Nel consolidamento del suo ruolo di attore non solo regionale, fa riferimento, nelle parole del ministro Davutoglu, alla “affinità psicologica” turco-araba, e a un’«asse delle democrazie», che si estende dal Mar Nero alla Valle del Nilo in Sudan. Quanto al suo vicinato ottomano, preoccupata dalle conseguenze di una potenziale guerra civile tra alawiti, sunniti, drusi e cristiani, che potrebbe aggiungere ulteriori tensioni in

una regione di per se volatile, che ha dato asilo a un gruppo di rivoltosi, l’Esercito Libero Siriano, una sorta di milizia composta da disertori. Ma l’ambizione dei “zero problems” nel vicinato inizia a palesare i suoi limiti. In Siria, l’azione della Comunità Internazionale si è inizialmente limitata alla diplomazia negativa (sanzioni). La Russia (che ha interessi materiali nonché geopolitici di vicinanza alle aree calde) nonché la Cina, “scottati” dall’esperienza libica, si sono opposti a un’ulteriore inasprimento sanzionatorio. Il governo sembra mantenere il monopolio della forza e ha sinora evitato di concentrare le forze (facile bersaglio in caso di interventi esterni tipo Libia) e adotta escamotages vari (es. infiltrando finti disertori) come deterrente ai fini del contenimento delle rivolte. Grazie agli sforzi dell’ex Segr. Gen Kofi Annam e alla mediazione della lega Araba si è pervenuti a una fragile tregua, il cui monitoraggio è devoluto a una missione di osservatori della missione ONU. Limitata consistenza, violazioni e resistenza

Gaza, la tregua dopo gli attacchi di Israle

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ostinata del regime, escalation di atti di terrorismo, verosimili ingerenze esterne gettano ombre sul futuro. Per ora la situazione sembra circoscritta, ma la posta in gioco richiede concordanza su modelli di transizione, adottati altrove (Yemen?). L’Iran ha contato molto sulla Siria, considerata come ponte sul mondo arabo e come alleato nel confronto con Israele. Ma sembra anche che il perdurare di una rivolta, oramai al 16° mese, inizi a fare vacillare alcune certezze. Da qui l’attenzione al Libano, la cui debolezza deriva dal trovarsi su una linea di faglia che la rende una sorta di magnete delle tensioni regionali. In effetti la politica di “dissociazione “del premier Mikati è ora sottoposta alle sfide dello spill over dalla Siria. Non si possono infine tralasciare gli sviluppi del nucleare iraniano che, di solito, si riverberano sulle aree fragili del Levante, come il Libano. Questa saga che dura da oltre un lustro ha fatto innalzare i livelli di tensione anche in relazione a un potenziale attacco cautelativo israeliano che, in relazione all’impegno, richiederebbe altri interventi. Per ora, la combinazione di sanzioni, diplomazia e pressione hanno riportato l’Iran al tavolo dei negoziati dopo oltre un anno di stallo. Che sia “l’inizio della fine” per dirla alla Ashton? L’atteso incontro di Bagdad del 23 maggio non ha portato i risultati attesi, stando alle parole dei protagonisti, per “la difficile atmosfera” che fa sì che “rimangano significative differenze”. Nell’aggregato, il mutamento di scenario fa intravvedere un mondo arabo più vocale nei confronti di Israele sulla questione palestinese. Atteggiamento che, col protrarsi dello stallo negoziale, potrebbe tradursi in un peggioramento delle relazioni con il mondo occidentale. La mancata ripresa dei contatti diretti (faccia a 15

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faccia sic!) sembra riconducibile all’intreccio di interessi di sopravvivenza politica personale e, ancor più, all’inabilità di fare concessioni o prendere decisioni coraggiose, in breve carenze di leadership. Dopo una fugace apertura ad Hamas15, il premier Netanyahu ha cercato di rompere l’isolamento internazionale e di riavvicinarsi alla Turchia. L’isolamento crea difatti una situazione di rischio giacché la sicurezza, incentrata su una sola delle componenti del potere nazionale, può erodersi di fronte all’entità e complessità dei rischi. In effetti, la distonia con le linee di politica di sicurezza USA, denunciata da autorevoli personalità16 e il conseguente impasse nella risoluzione del dossier “madre”, hanno marginalizzato il Quartetto17 e continuano a erodere il potere di influenza USA nell’area. Nel frattempo, la costituzione di un governo di coalizione con l’opposizione potrebbe indicare qualche significativo cambiamento di rotta. Se, da un lato, iniziano a prender corpo proposte di soluzioni israeliane alla formula dei due-stati, dall’altro, non trapelano, per il momento, preoccupazioni per i cambiamenti nel mondo arabo.

Sul piano geopolitico L’aggregato delle tendenze appena esposte predelinea i contorni di una nuova mappa geopolitica, che rende il Mediterraneo un crocevia di strategie e interessi concorrenti. A partire dalla presenza delle nuove potenze, ex emergenti, alla ricerca di mercati e risorse. Poi, la decisione dei sei paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Qatar) di estenderne la partecipazione al Marocco e alla Giordania, prefigura un nuovo assetto politico. Resta da vedere l’eventuale

Volta alla liberazione del caporale G.Shalit (tematica di notevole impatto emotivo in Israele) e una tregua in cambio del rilascio di un migliaio di militanti palestinesi. Tra queste, ma non limitato a, il Gen Petraeus, nel ruolo di Comandante del Central Command, con sede a Tampa, Florida, nel cui ambito operativo rientrano Egitto e Medio Oriente. Egli ha affermato che le politiche israeliane nei territori occupati sono in contrasto con gli interessi strategici USA. Noto come Quartet on the Middle East, noto anche come “the Quartet” . Annovera l’U.E, gli USA, la Russia e le Nazioni Unite. Costituito nel 2002 a Madrid dal presidente Aznar in esito allo inasprimento del conflitto Iraelo-Palestinese. Attualmente Tony Blair è lo special envoy.

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Mashreq e Maghreb - programma per i diritti umani delle donne

seguito della richiesta, in quello che è stato definito come la “adunata delle monarchie18”. Se, da un lato, la richiesta appare quasi naturale per la Giordania vista la sua contiguità con l’Arabia Saudita, dall’altro, l’ubicazione del Marocco suscita non pochi dubbi. Una prima valutazione porta a considerare una duplice motivazione di carattere strategico e di sicurezza. È noto infatti che i paesi arabi del Golfo temono le riverberazioni del programma missilistico e nucleare iraniano (nel Bahrein gli sciiti costituiscono oltre l’80% della popolazione). Poi Marocco e Giordania hanno forze armate nazionali addestrate, affidabili e già provate sul terreno nell’ambito di operazioni a guida NATO. Esse possono esercitare un potere di dissuasione nei confronti della minaccia iraniana. Al momento, la questione pare accantonata anche se resta in piedi il tema della coerenza della mappa di una geografia politica, tratteggiata sugli interessi di parte che ruotavano attorno alle spoglie dell’impero ottomano. 18

In effetti, il punto cruciale riguarda la visione del futuro che, in Egitto, ha già fatto registrare divisioni nella compagine della Fratellanza. I paesi del Golfo sono i fautori di un maggior ruolo dei sunniti nel cosiddetto Greater Middle East con l’obiettivo di arginare l’Iran. Pur dispiaciuti per il mancato sostegno occidentale dei vecchi leaders, interpretata come un tradimento, hanno poi sostenuto la transizione all’entrata in campo e successiva guida dei movimenti religiosi a prevalente connotazione sul modello della Fratellanza musulmana. Nel riallineamento generale, che ha visto sia profusione di denaro per rafforzare la facciata democratica sia giri di vite in tema di sicurezza interna, spicca l’influenza del Qatar che assomma il potere finanziario sotteso dalle più grandi riserve naturali di gas naturale del pianeta e una consolidata fonte di soft power espressa dalla narrativa BBC - style di Al Jazeera e un attivismo diplomatico. Il tandem con l’Arabia Saudita in tanti dossiers, si propone, inter alia, come prota-

Annunciata il 10 maggio a Riyadh, alla fine del vertice tra i capi di stato.

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Il Marocco

gonista nella riconciliazione tra Autorità palestinese e Hamas, nella prospettiva di formare un governo congiunto ponendo così fine al dilemma della rappresentatività dei palestinesi. Un’impresa ben accetta dai palestinesi, stanchi del protrarsi di questa situazione, ma non in Israele, che sospetta Hamas in quanto non ha ancora fornito risposte alle sue condizioni19.

Prospettive future I precedenti equilibri hanno registrato delle notevoli scosse telluriche. L’Occidente resosi conto tardivamente che il vecchio sistema non poteva andare avanti, si è sforzato di mettersi dalla parte giusta della storia. Venuti meno alcuni pilastri sui quali è stata impostata l’architettura di sicurezza, s’impone ora un nuovo modo di relazionarsi con la Sponda Sud nella consapevolezza che: • le “legittime aspirazioni del popolo contano”; • occorre essere consapevoli del fatto che poco si 19 20

può fare dall’esterno su ciò che i popoli desiderano20 e che i primi risultati di quello che si profila come un lungo percorso possono portare, se non proprio a risultati, a condizioni temporanee non desiderate per cui sono venute meno le rendite di posizione; • possono mancare certezze; • per coesistere in queste nove dinamiche occorre una certa flessibilità. Dopo le sfide non si può fare a meno di fare accenno alle prospettive sul futuro, partendo dalla funzione strategica della cooperazione. Una prima riflessione porta a considerare che l’aggregato dei vari programmi di cooperazione (bilaterale, NATO ecc.) ha contribuito alla formazione di quadri e dirigenti della Sponda Sud a standard Occidentali, fattore che non ha interessato quei paesi poco inclini al predetto approccio (come la Libia). Da qui l’opportunità di mantenere questi programmi che sostanziano le potenzialità di “attrazione del soft power. Premesso che le diversità creano vitalità, i nuovi cambiamenti impongono un nuovo

Riconoscimento di Israele, rinuncia alla violenza, accettazione degli accordi sottoscritti dall’Autorità Palestinese. Auspicio delle correnti liberali europee durante i primi moti della restaurazione post congresso di Vienna.

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modo di relazionarci con la Sponda Sud. In breve occorre ri-concettualizzare l’area Mediterranea. Parimenti, ai paesi della sponda Sud, si richiede di modernizzare il sistema sociopolitico e quello economico. In questa prospettiva occorre innanzitutto elevare il credito dell’aera trans mediterranea a una sorta di spazio da condividere, tesi già sostenuta negli anni 30 dall’ammiraglio Vannutelli in termini di “condominio”. Le sfide della transizione, che, presumo, possano durare per diverse tornate elettorali, presentano opportunità da cogliere, per esempio assistendo questi difficili processi, anche perché le implicazioni dei movimenti sul sistema paese (economie pressoché ferme ecc) rendono problematica la stabilità interna. E senza aiuti esterni, la frantumazione su linee divisorie (religiose, confessionali o di clan) enfatizzerebbe la componente caotica e imprevedibile, la permeabilità alla delinquenza organizzata e al terrorismo transnazionale, complicando la governabilità dei processi. Tutto ciò potrebbe comportare conseguenti fenomeni di migrazione incontrollata, integralismo, terrorismo e intrecci in combinazioni varie. Ne abbiamo i prodromi attraverso gli avvisi ai naviganti del governo di transizione libico, le turbolenze in Mali, dove si consolida il movimento Al Qaeda Maghreb Arabo e il conflitto strisciante tra Sudan e Sud Sudan. In breve, dopo l’intervento in Libia, il Mediterraneo diventa lo spazio in cui NATO e UE devono cooperare nei programmi di state building, dando sostanza alla complementarietà (esigenza cogente). Del resto la contiguità geografica comporta anche responsabilità. Le varie formule di “amici per...” valgono in particolare per il postconflitto, e l’Europa dovrà sforzarsi di dire chi è realmente, giacché investire sulla sicurezza nel suo vicinato meridionale significa investire nel suo futuro. Si è visto infatti che, a forza di parlarne, la scarsa credibilità politica si è riflessa 21 22 23

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anche sulla sua moneta. Per facilitare i processi di transizione occorre dunque far ripartire e adattare l’impianto della cooperazione. Occorre però che la nuova cooperazione sia improntata da un elevato valore, bilanciando il sistema del dareavere, senza il quale si rischia di perdere la credibilità. In breve ritorno allo spirito occidentale, che presuppone una riformulazione per l’Unione per il Mediterraneo. Quindi dialogo con i movimenti islamici senza abbandonare le componenti laiche, ma anche progetti concreti di assistenza (infrastrutture, formazione ecc) e sostenibili, nella consapevolezza che gli aiuti finanziari riguardano solo i paesi che non beneficiano dei proventi energetici. La Commissione Europea, con la nuova edizione della politica di buon vicinato nota con la formula ”more for more21” (più si fa e più si ottiene) ha voluto prendere l’iniziativa. Ma tale condizione non piace a chi vuole essere trattato con rispetto, approccio questo che può assicurare cambiamenti evolutivi. Manca difatti una politica analoga a quella a suo tempo messa in essere per l’allargamento ad Est, per cui occorre anche una riprioritizzazione e ri-orientamento a Sud. Occorre poi generare sinergie tra le varie iniziative, sia esistenti che nuove, privilegiando, in un quadro di cooperazione additiva i catalizzatori della transizione. Occorre poi promuovere le iniziative volte all’unione sub-regionale, come l’UMA, e coinvolgere e operare assieme ad attori a vocazione regionale, come la Turchia. Nell’attuale difficile congiuntura che vede gli stati alle prese con misure di taglio della spesa pubblica occorre anche metter in campo, nel quadro dei principi di sussidiarietà,22 le energie della società civile, senza perdere di vista il ruolo che il nostro paese potrebbe giocare. Come sosteneva il noto Fernand Braudel “l’Italia è l’asse meridiano…è lì che trova le sue ricchezze e il suo destino23”. Parole ancora di attualità. 

Vedi articolo autore, La Cooperazione Post- Arab Spring, anamnesi e prospettive, Rivista Marittima sett.2011. A new response to a changing Neighbourhood, Joint Communication to the European Parliament. Principio cardine dell’Unione Europea, volto a limitare l’intervento dello stato in attività che possono essere svolte dalle sue emanazioni intermedie, (province, regioni) ovvero dalla società civile (organizzazioni, famiglie). Fernand Braudel, La Méditerranée, l’Espaceet l’Hisoire, Flammarion, Paris 1985, pag 178-179.

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Panorama Internazionale

POLITICA DI SICUREZZA E RIFORMA DELL’INTELLIGENCE: CENNI SULLA DOTTRINA USA LEONARDO D’ELIA

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Il realismo politico e la guerra preventiva nella visione politico-strategica globale statunitense a caduta del muro di Berlino nel novembre dell’89 ha segnato in maniera irreversibile il secolo scorso sancendone, come sottolineato in un noto saggio, la sua fine anticipata. Con quell’evento simbolico si è infatti chiusa definitivamente la fase dell’equilibrio del terrore che nella assoluta consapevolezza della mutua distruzione assicurata (Mutual Assured Destruction MAD) ha tenuto in bilico il mondo sull’orlo dell’olocausto nucleare. La fine del Patto di Varsavia, l’esplosione dell’URSS e il suo frazionamento nelle ex repubbliche sovietiche hanno scandito i tempi del superamento del bipolarismo lasciando il campo ad un’unica super potenza planetaria. Questa nuova fase delle relazioni internazionali fu accolta immediatamente con grande euforia e molti studiosi si lanciarono non senza retorica in un’apologia del nuovo ordine che avrebbe portato ad un nuovo e maggiore livello di crescita sociale ed economica. In realtà tali affermazioni furono presto confutate dall’altissimo tasso di entropia che si era venuto a creare, infatti, il vuoto lasciato dalla caduta del gigante russo che contribuiva a tenere sotto controllo una parte del globo, si andò pian piano riempiendo di nuovi protagonisti primo fra tutti il terrorismo internazionale di matrice islamica. I segni di questo disagio furono sottovalutati (attacco alle ambasciate USA in Kenya e Tanzania, alla USS Cole, al World Trade Center) e presto ci si trovò seduti davanti alle televisioni a guardare il primo evento storico mondiale. Il mondo si svegliò di colpo dallo stato di euforia nel quale si cullava e si trovò a fare i conti con un attacco combinato al cuore del potere politico, economico, militare di quella che era da tutti ritenuta una fortezza inespugnabile. L’attacco militare congiunto dell’11 settembre 2001, condotto con mezzi e metodologie non convenzionali contro il Penta-

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gono, le Twin Towers e la Casa Bianca sconvolse le menti e i cuori degli Americani e del mondo occidentale tanto da legittimare una reazione armata immediata contro l’Afghanistan reo di ospitare Bin Laden e Al Quaeda. La caduta dell’URSS aveva innescato un processo a catena che aveva portato il mondo a fare i conti con un nuovo ordine mondiale, con una nuova fenomenologia della politica, a riscrivere il ruolo politico della religione, a prendere atto della crisi dell’ONU e dei modelli classici novecenteschi di concettualizzazione e di legittimazione della politica. Gli USA si sono trovati a dover fare i conti da soli, con nuove minacce in grado di colpire efficacemente i simboli del suo potere. Nasce così la reazione unilaterale (va ricordato doverosamente che gli USA erano gli unici soggetti dotati di una capacità di reazione militare su scala mondiale concreta ovvero sono ancora l’unica potenza dotata di un effettivo potere militare credibile che gli permette di esercitare lo jus ad bellum) contro la nuova forma di violenza globale: il terrorismo jihadista. La guerra da strumento finale di composizione delle controversie tra Stati sovrani diventa, a causa dell’assenza di un nemico fisicamente e spazialmente individuabile, strumento di espansione della democrazia, dei diritti umani così come concepiti nel mondo occidentale da scatenare in conflitti asimmetrici contro i terroristi sparsi per il globo. Questa elaborazione teorica prodotta dall’ala idealistica dei conservatori americani i neo-cons sancisce l’eticizzazione della guerra e ha come nemici «non solo i terroristi ma i liberal interni, il cui progressismo si sarebbe trasformato in imbelle e compiaciuto nichilismo relativistico»1. Questa posizione espressa in campo internazionale dall’amministrazione del presidente Bush Jr attraverso un crescente unilateralismo decisionista ha richiesto a sua volta uno sforzo per legittimare a livello interno tale operato. Questa necessità è stata legittimata attraverso l’accettazione di uno “stato di emergenza perenne”, per fronteggiare il

Carlo Galli, Manuale di storia del pensiero politico, il Mulino, ed 2006, pag 615.

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In apertura: Sopra: il Congresso degli Stati Uniti in seduta congiunta. Sotto: il memorial

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Attentato al World Trade Center

quale sono stati conferiti al Presidente (Commander in Chief) ampi poteri creando un squilibrio nel sistema di checks and balances2 previsto dalla Costituzione.

Lo stato di emergenza perenne come requisito per giustificare lo sbilanciamento dei poteri a favore dell’Esecutivo negli Stati Uniti d’ America Come ampiamente documentato da una recente inchiesta giornalistica condotta dal Washington Post il sistema creato per garantire la sicurezza degli USA, all’indomani dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 «è diventato così enorme e così top secret che nessuno sa quanto costa, quante persone ci lavorano, e quali sono i loro compiti e le loro responsabilità»3. Questa crescita smisurata del sistema creato per 2

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garantire la sicurezza nazionale trova i sui fondamenti normativi in una serie di provvedimenti presi dall’Esecutivo e finalizzati al rafforzamento della figura del Presidente, quale “Comandante in Capo”, attraverso il conferimento di poteri straordinari posti a presupposto del diritto di utilizzare tutta al forza necessaria contro persone, gruppi terroristici e per prevenire azioni che in qualsiasi modo e luogo possano mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini statunitensi. Di seguito proveremo a tracciare una linea che sottolinei questa tendenza, attraverso l’analisi in chiave cronologica dei provvedimenti adottati negli Stati Uniti d’America nella guerra al terrorismo di matrice islamico fondamentalista. Il primo provvedimento, in ordine strettamente cronologico, è il: S. J. Resolution 23 – Authorization for Use of Military Force, poi divenuta P.L. 107 – 40, 18 settembre 2001. Si tratta di un mandato molto ampio che richiama il modello “schmit-

G. Cerrina Feroni, T.E. Frosini, A. Torre, Codice delle Costituzioni, Giappichelli Ed., 2009: «i framers statunitensi concepirono così un sistema istituzionale basato su una serie di checks and bilances impedendo il predominio di una sola sulle altre in cui le diverse componenti potessero contrastarsi a vicenda. Si tratta di un sistema di “separated institutions sharing power” (nella efficace formula di Neustadt, 1964) in cui legislativo ed esecutivo sono dotati di legittimazione propria e indipendente, ma si trovano a dover gestire parziali sovrapposizioni nell’esercizio delle rispettive funzioni. Così, ad esempio, il Congresso approva le leggi, su cui il Presidente può porre il veto (la versione in negativo del royal assent britannico), superabile a sua volta da una maggioranza di due terzi di entrambe le Camere (art.I, sez. 7); il Presidente propone le nomine federali di giudici, ambasciatori e alti funzionari che devono però essere confermate dal Senato (l’ Advice and Consent del’art.II, sez. 2); il Presidente esercita la funzione di indirizzo politico, ma il congresso vota le leggi di finanziamento della politica governativa, potendola in tal modo condizionare, ecc.», pagg 340-341. Dana Priest, William M. Arkin, The Washington Post, “Top Secret America”, su Internazionale 23/26 Luglio 2010 n. 856, pag 14.

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tiano”4 e che traccia il solco a premessa dei successivi interventi in materia di poteri eccezionali trasferiti all’Esecutivo. Esso implica la possibilità per il Presidente degli Stati Uniti di agire nella consapevolezza che, laddove il suo operato determini una violazione dei diritti civili, ciò sarà considerato come una fatale conseguenza dettata dallo stato di necessità prodottosi a causa del grave attacco sferrato contro la Nazione. Immediatamente dopo aver rafforzato il vertice dell’Esecutivo, viene potenziato il principale strumento di cui, in questo senso, l’Esecutivo stesso può disporre. Con l’Intelligence Reform and Terrorism Prevention Act del 2004 (IRTPA, P.L. 108 – 408, 17 dicembre 2004) l’IC viene riformata in chiave apicale ponendo l’accento sulla necessità di un maggiore coordinamento5. Grazie all’istituzione della figura del Director of National Coun4

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terterrorism Center, agli stessi Servizi (Detainee Treatment Act 2005 –DTA (Department of Defense Appropriations Act 2006, P.L. 109 –148, 30 dicembre 2005) vengono riconosciuti maggiori poteri per l’uso della violenza nel corso di interrogatori; poteri debolmente controbilanciati da richiami a norme interne e internazionali a favore dei prigionieri6. Il vertice dell’Esecutivo tende ad ampliare al massimo i confini della propria discrezionalità, di fatto diventando, con il Patriot Improvement and Reauthorization Act 2005 (Patriot Act II, P.L. 109 – 177, 9 marzo 2006), il vero “custode” della costituzione7. Questa inversione di rotta si rende necessaria perché come ricorda in maniera estremamente lucida il Prof. Sbailò: «Fino all’11 settembre negli Stati Uniti il terrorismo è stato considerato alla stregua di un qualsiasi altro reato federale»8.

Carl Schmitt sostiene che se lo stato di diritto si identifica con l’ordine giuridico, resta però da vedere chi abbia l’autorità di decidere, quale sia il soggetto della sovranità. Infatti la norma, per poter essere efficace, deve potersi attuare all’interno di un ordine stabilito; ma ogni ordine stabilito nasce da una decisione che crei le condizioni affinché la norma possa avere efficacia. Ecco allora che la sovranità risiede in chi decide quello stato di eccezione che fonda la norma: la norma, dal canto suo, non può essere fondante né originaria: originario è lo stato di eccezione. La logica conclusione di tutto questo ragionamento è che l’ordine costituito, in effetti, non riposa su di una norma ma su di una decisione. La decisione, a sua volta, non solo precede logicamente la fondazione della norma, ma la precede anche storicamente, tanto più che ogni qual volta le tendenze distruttive insite nella società tendono a prevalere, l’ordine costituito viene messo in pericolo e si richiede, per ristabilirlo, un intervento eccezionale. Il ricorso allo stato di eccezione nel storia politico giuridica statunitense trova il suo precedente più illustre nella “dottrina Monroe” che rivendicava l’esistenza di uno spazio politico, l’emisfero occidentale, libero ed indipendente da ogni influenza europea e fondava un “grande spazio” impermeabile all’esterno, ma sottoposto al suo interno ad un diritto di intervento esclusivo da parte degli Stati Uniti. Gli strumenti per l’applicazione di questa dottrina furono forniti dall’araldo della talassocrazia Alfred Thayer Mahan che getterà le fondamenta per la valorizzazione delle possibilità offerte dalla potenza navale americana per l’espansione commerciale degli Stati Uniti ma soprattutto creerà quello spazio fisico di eccezione permanente che ricade sotto la sfera di influenza americana e che trova a tutt’oggi nelle portaerei nucleari il simbolo tangibile della supremazia globale americana. Risulta, quindi, abbastanza intuitivo vedere in controluce in questi precedenti i presupposti giuridici che giustificano sia i provvedimenti presi dall’amministrazione Bush (non ancora revocati da quella Obama) per legittimare le detenzioni “speciali” dei nonAmericani sospetti terroristi, (v. il Detention, Treatment and Trial of certain Non-Citizens in the War against Terrorism Act, del 13 novembre 2001) sia lo Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act of 2001 (Patriot Act, H.R. 3162, P.L. 107 –56, 26 ottobre 2001) con il quale viene modificato in senso molto restrittivo l’Immigration and Nationality Act. Particolare rilievo assumono, infine, sia una pronuncia dell’Attorney General, che negli USA è diretta espressione dell’Esecutivo, che stabilisce la possibilità di espellere dagli USA le persone ritenute pericolose, sia un’altra misura dal valore emblematico che dilata le possibilità, da parte degli uffici governativi, di emettere National Security Letters, che consentono di esaminare i dati dei cittadini americani sospettati di attività terroristiche o comunque considerati una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti, senza l’ordine di un tribunale e con un minimo controllo giurisdizionale. L’assenza di un coordinamento efficace tra le varie agenzie di intelligence è stato l’elemento messo all’indice da quasi tutti gli analisti ed esperti del settore che hanno sottolineato l’incapacità USA di mettere in rete l’enorme mole di informazioni raccolte da ogni singola agenzia. Cfr Ciro Sbailò in Forum di Quaderni costituzionali, Carl Schmitt alla Casa Bianca.la dottrina Bush-Obama sullo stato di emergenza e i nuovi equilibri tra i poteri negli Stati Uniti. E’ significativo il fatto che, al momento della firma, il Presidente abbia tenuto un signing statement, esprimendo le proprie convinzioni circa l’interpretazione delle norme ivi contenute e affermando di non avere intenzione di comunicare al Congresso le modalità interpretative dei poteri di polizia più estesi previsti nel documento per l’FBI. Ciro Sbailò, La nuova sintassi del terrore e la crisi dello Stato nazionale, in GNOSIS, n.1 2005: «…Sempre nel 1993, appena dopo la sparatoria davanti alla CIA, ci fu il primo attentato al World Trade Center. Le autorità americane si concentrarono sugli aspetti giudiziari della faccenda: la questione veniva naturaliter collocata nell’ambito di competenza del Dipartimento di Giustizia, il cui scopo è notoriamente quello di punire i colpevoli, non certo di prevenire gli attentati o di smantellare le organizzazioni terroristiche. Alla CIA non fu permesso di accedere agli atti processuali, per evitare inquinamenti delle prove. Dopo quell’attentato, l’FBI cercò di sviluppare una politica antiterroristica, ma mantenne un atteggiamento di tipo giudiziario, seguendo la logica del caso per caso, concentrandosi sul “fatto compiuto” e pensando all’azione legale piuttosto che alla prevenzione. L’autore dell’attentato fu trattato alla stregua di un criminale comune e nessuna pressione venne fatta su di lui affinché rivelasse le sue fonti di finanziamento, poiché questo dato non era essenziale ai fini processuali».

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Washington - Il Campidoglio, sede delle camere del Parlamento americano

Il potere discrezionale dell’Esecutivo viene, poi, riaffermato in un Extreme Order (United States Executive Order: Interpretation of the Geneva Conventions Common Article 3 as Applied to a Program of Detention and Interrogation Operated by the Central Intelligence Agency, 20 luglio 2007) che fissa quali sono le violazione dell’art. 3 della Convenzione di Ginevra, con riferimento ai programmi di detenzione e interrogatori della CIA. Si tratta di riferimenti generici che non qualificano quali siano le tecniche proibite ovvero quali siano i comportamenti eventualmente consentiti; vi si afferma esclusivamente che, in ogni caso, tali tecniche non debbono comprendere la tortura (sulla base della definizione USA di “tortura”, sono esclusi la violenza sessuale, l’omicidio, la mutilazione, lo stupro). Il protagonismo del Governo è rafforzato anche attraverso l’espansione del potere dell’FBI nel rilascio delle National Security Letters (NSLS), secondo quanto previsto dal Patriot Act 2001. Questo strumento, stando a quanto riportato da 9

alcuni analisti, è stato utilizzato pochissimo dalla CIA, mentre il Dipartimento della Difesa ne ha fatto largo uso. D’altra parte, mentre è pacifico il diritto della CIA al ricorso alle NSLS, ci sono molte incertezze circa la legittimità del loro uso da parte degli apparati militari, sulla base del Patriot Act, poiché quest’ultimo non elimina il vincolo del controllo giurisdizionale sulle violazioni della privacy, fatta eccezione per attività di intelligence rientranti, comunque, sotto il controllo parlamentare. Di fronte a questa crescita smisurata del potere discrezionale dell’Esecutivo la Corte Suprema, è intervenuta cercando di contemperare le esigenze della lotta al terrorismo con il rispetto dei diritti fondamentali, richiamando l’Esecutivo e il Legislativo a una più precisa definizione sia del concetto di emergenza sia degli strumenti adottati per affrontarla, ma, nella sostanza, non ha smentito la linea adottata dal governo9. Essa ha comunque posto dei limiti nella definizione dello stato di emergenza. La Corte ha, infatti, ritenuto che la joint resolution del 2001, che autorizza il Presidente a dichiarare guerra, non lo autorizza anche a istituire tribunali speciali senza mandato del Congresso (U.S. Supreme Court, Salim Ahmed Hamdan c. Donald H. Rumsfeld et al., caso n. 05 – 184, 29 giugno 2006). Proseguendo nell’elenco dei provvedimenti emanati per ampliare i poteri del Presidente troviamo il Military Order che attribuisce allo stesso il potere di definire terrorista una persona, bollato dai giudici, incostituzionale, perché “vague on its face” e pertanto suscettibile di diverse interpretazioni in diversi casi [U.S. District Court (Central District of California), Humanitarian Law Project c. U.S. Treasury, 29 novembre 2006]. Ma all’interno di questi limiti estremi stabiliti dalla Corte, il governo ha potuto operare con estrema libertà, ricavando nuovi margini di manovra, sottratti al controllo giurisdizionale, attraverso il rafforzamento della giurisdizione militare e la progressiva militarizzazione della politica di sicurezza interna. Ulteriori polemiche sono scaturite a

La Corte Suprema, ha affermato che la detenzione di combattenti nemici, prigionieri di guerra o civili, si può giustificare se c’è pericolo per la Nazione, ferma restando la necessità di un bilanciamento tra la difesa della sicurezza e il rispetto dei diritti della persona (U.S. Supreme Court, Hamdi c. Rumsfeld, caso n. 03 – 6696, 28 giugno 2004).

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seguito dell’introduzione di norme restrittive in materia di immigrazione (Reform and Terrorism Prevention Act of 2004 IRTPA, P.L. 108 – 408, 17 dicembre 2004) e dei permessi di soggiorno, polemiche rientrate in quanto la pubblica opinione ha accettato gli emendamenti all’Illegal Immigration Reform and Immigration Responsability del 1996, nonché la costruzione della recinzione protettiva lungo la frontiera con il Messico (in quest’ottica il Secretary of Homleand Security ha assunto il “controllo operativo” delle frontiere terrestri e marittime degli USA, ivi compresa la sorveglianza elettronica10). Il rafforzamento dei poteri dell’Esecutivo richiedeva, quindi, per poter rendere effettivo il suo potere come ricordato in precedenza, una riforma degli strumenti di cui avvalersi nella lotta al terrorismo. Da questa esigenza nasce la riforma dell’intelligence avvenuta con l’approvazione dell’Intelligence Reform and Terrorism Prevention Act (IRTPA) nel 2004 che ha formalizzato la nascita dell’Office of the Director of National Intelligence (ODNI) al fine di coordinare e gestire meglio gli sforzi e le attività dell’Intelligence Community (IC). Prima della creazione dell’IRTPA, l’IC era supervisionata dal Direttore della Central Intelligence, che presiedeva anche la Central Intelligence Agency. L’IRTPA ha effettivamente rafforzato l’IC promuovendo l’individuazione degli obiettivi, dei costi, e stabilendo una serie di centri nazionali deputati allo sviluppo, in collaborazione tra loro, delle informazioni raccolte e la loro analisi su problemi specifici. L’IC è stata strutturata per ottimizzare 10

l’efficienza della raccolta e divulgazione delle informazioni tra i membri delle 17 agenzie federali. Gli sforzi dell’IC sono coordinate dall’Office of the Director of National Intelligence (ODNI), che è retto dal Director of National Intelligence (DNI). Il DNI organizza e coordina le 16 agenzie federali che compongono l’IC. Il DNI gestisce anche lo sviluppo dell’ National Intelligence Program. In oltre, il DNI opera come principale consigliere del Presidente e del National Security Council sui problemi di intelligence connessi alla sicurezza nazionale. Gli altri membri dell’IC sono divisi in tre gruppi: 1) Program Managers, che consigliano e assistono l’ODNI nell’individuazione dei bisogni informativi, gestione dei costi, gestione finanziaria e valutazione dei risultati dell’ IC; 2) Departmentals, che sono membri dell’IC che operano nei settori del governo diversi da quello del Department of Defence; 3) Services, che includono il personale che lavora nelle Forze Armate e supporta principalmente i bisogni informativi della propria Forza Armata.  Riferimenti normativi: S. J. Resolution 23 – Authorization for Use of Military Force, poi divenuta P.L. 107 – 40, 18 settembre 2001. Intelligence Reform and Terrorism Prevention Act 2004 – IRTPA. Detainee Treatment Act 2005 –DTA (Department of Defense Appropriations Act 2006, P.L. 109 –148, 30 dicembre 2005. Usa Patriot Improvement and Reauthorization Act 2005 (Patriot Act II, P.L. 109 – 177, 9 marzo 2006. United States Executive Order: Interpretation of the Geneva Conventions Common Article 3 as Applied to a Program of Detention and Interrogation Operated by the Central Intelligence Agency, 20 luglio 2007.

Cfr Ciro Sbailò, in Forum di Quaderni costituzionali, op. cit. “…Tra i segnali più forti nel senso di un rafforzamento del principio di sovranità, abbiamo la sottrazione ai giudici federali della giurisdizione su istanze di habeas corpus provenienti dai prigionieri della base di Guantanamo, insieme all’indicazione della Corte distrettuale del District of Columbia (vale a dire della Capitale) quale unica Corte competente in materia, peraltro in veste di mero giudice d’Appello, con una pura funzione nomofilattica nei riguardi del Combatant Status Review Tribunal e delle sentenze della Military Commission, tribunali che possono discrezionalmente concedere l’appello, nel caso di condanna a meno di dieci anni di reclusione (Detainee Treatment Act 2005 – Department of Defense Appropriation Act 2006, P.L. 100-148, § 1005). La Corte, comunque, sostiene il diritto di tutti i detenuti, a prescindere dalla propria cittadinanza, di ricorrere contro il proprio arresto presso una Corte federale degli USA (si trattava di cittadini britannici, australiani e kuwaitiani arrestati in Afghanistan e in Pakistan nel corso di operazioni militari e detenuti di Guantanamo; Supreme Court, Rasul c. Bush e Habib c. Bush, caso n. 03 – 334, 28 giugno 2004; Al Odah c. United States, caso n. 03 – 343, 28 giugno 2004) e giudica sempre illegittima una detenzione indefinita a scopo di interrogatorio contro l’interpretazione del governo, ribadendo l’applicabilità dell’art. 3 della Convenzione di Ginevra che deve essere sempre applicato anche a individui catturati in operazioni militari USA antiterrorismo (19/U.S. Supreme Court, Hamdi c. Rumsfeld, caso n. 03 – 6696, 28 giugno 2004). D’altra parte, le esigenze della sicurezza pubblica possono legittimare la “sospensione” dell’habeas Corpus (art. 1, sez. IX c. 2 della Costituzione), come dimostra la decisione della corte d’Appello del Distretto della Columbia che ritiene legittima quella parte del Military Commission Act del 2006 (P.L. 109-336, 17 ottobre 2006), dove le corti federali vengono private della giurisdizione sui ricorsi per habeas corpus dei prigionieri della base di Guantanamo (U.S. Court of Appeals District of Columbia Circuit, Boumediene c. Bush e Al Odah c. United States, 20 febbraio 2007)”.

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Panorama Internazionale

LA MODERNIZZAZIONE DELLE

FORZE ARMATE RUMENE PIETRO BATACCHI

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on l’ingresso nella NATO, avvenuto nel 2004, la Romania ha dovuto giocoforza adeguare gli standard delle proprie Forze Armate a quelli NATO e modificare parametri e procedure operative per permettere loro di operare a fianco delle FA degli altri paesi dell’Alleanza Atlantica. Si è trattato di un processo lungo, di fatto avviato dai primi anni Novanta e per certi aspetti tuttora in corso. Un processo, oltretutto, difficile per le caratteristiche stesse delle Forze Armate rumene così come queste erano andate sviluppandosi durante gli anni della Guerra Fredda. Forze Armate basate, secondo la tradizione del Patto di Varsavia, sulla quantità e sul numero piuttosto che sulla qualità che, invece, era ed è la caratteristica distintiva dello standard occidentale. Il processo di modernizzazione ha attraversato tre fasi. La prima fase è stata completata nel 2007 ed ha visto la riorganizzazione della struttura di comando e l’abolizione del servizio di leva con l’implementazione del sistema professionale e la drastica riduzione degli organici (stabilizzati su 75.000 unità per tutte e tre le Forze Armate). Già nel 2003 un emendamento costituzionale aveva reso il servizio militare opzionale. Poi, dopo che nel marzo 2004 il Paese è entrato ufficialmente a far parte della NATO, un voto definitivo del Parlamento nell’ottobre 2005 ha definitivamente abolito la coscrizione obbligatoria. La seconda fase è tuttora in corso e dovrebbe continuare fino al 2015. In questo periodo di tempo le Forze Armate rumene dovrebbero definitivamente completare l’integrazione operativa nelle strutture NATO ed UE allineando i loro standard procedurali e qualitativi a quelli in vigore nelle due organizzazioni. La terza fase, il cui termine ultimo è stato fissato nel 2025, dovrebbe portare a compimento tutto il processo con la piena integrazione tecnico-operativa in NATO ed UE.

C

L’Esercito L’attuale struttura operativa delle forze terrestri rumene comprende due divisioni: la 1ª Divisione

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In apertura: i Puma sono stati costruiti localmente in oltre 100 esemplari a partire dal 1977. Nella foto una macchina in versione MEDEVAC (Batacchi) Sopra: una parte dei carri TRI-85, secondo alcune fonti una cinquantina, è stata aggiornata alla versione TRI-85 M1 (Miltaryphotos)

di Fanteria e la 2ª Divisione di Fanteria. Queste due unità, attivate ufficialmente nel 2008, avevano in precedenza la struttura di un Corpo Territoriale, la 1ª Divisione era infatti il 1° Corpo Territoriale e la 4ª, il 4° Corpo Territoriale, con organici più numerosi. Per effetto del processo di trasformazione e per favorire la soddisfazione degli standard NATO, gli organici sono stati ridotti fino al livello attuale. Per quanto riguarda lo sforzo di modernizzazione degli equipaggiamenti, che ha richiesto l’allocazione del 35/40% del bilancio della difesa, questo ha interessato tutti i settori, da quello degli MBT (Main Battle Tank) all’artiglieria. Nel campo degli MBT, il mezzo principale a disposizione dell’Esercito rumeno è il carro TRI-85. Quest’ultima è un’evoluzione, realizzata localmente, del carro sovietico T-55, la cui produzione di serie è iniziata a metà anni Ottanta. Del carro ne dovrebbero essere in servizio tutt’oggi circa 200 esemplari. Una parte di questi carri, secondo alcune fonti una cinquantina, è stata aggiornata

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alla versione TRI-85 M1. Rispetto alla versione base, la versione M1 presenta migliorie in pressoché ogni settore. La torretta è stata rinforzata con l’aggiunta di piastre di protezione passiva ed è stato adottato un nuovo sistema di condotta del tiro denominato Ciclope M1, che ha preso il posto dell’originario Ciclope. In considerazione dell’aumento dei pesi, dovuti in particolare all’aggiunta delle “piastre” in torretta, è stato adottato un nuovo motore, sempre di provenienza tedesca come per la versione base, in grado di garantire potenze maggiori. La bocca da fuoco è rimasta la stessa, 100 mm, ma è stato introdotto munizionamento con maggiore caratteristiche di penetrazione ed un sistema LWR (Laser Warning Receiver). Per quanto riguarda i blindati per la fanteria, il core delle forze è ancora composto dai MLI-84. Il MLI-84 è una versione prodotta su licenza, a partire dalla fine degli anni Settanta, del sovietico BMP-1. Dei 400 esemplari in servizio, 99 sono stati aggiornati, grazie al supporto dell’industria


israeliana, allo standard MLI-84M (in programma c’è l’aggiornamento di altri 81 veicoli), con un programma avviato nella seconda metà degli anni Novanta. La nuova versione è equipaggiata con una torretta a controllo remoto israeliana OWS-25R, armata con un cannone Oerlikon KBA da 25 mm, e due tubi per il lancio di missili anticarro. I tubi possono lanciare sia i missili jugoslavi 9M14-2T Maljutka-2T sia gli israeliani Spike. A causa dell’incremento di peso dovuto all’installazione della nuova torretta, il vecchio motore 8V-1240-DT-S da otto cilindri e quattro tempi è stato sostituito con un Perkins CV8T400 Caterpillar C9 in grado di erogare 396 hp di potenza. Il veicolo è anche più largo, 3,3 m, e più alto, 2,942 m. Nel campo dei ruotati, sono in servizio una settantina di B33 Zimbru e 31 Piranha IIIC acquistati nel 2007 in base ad un requisito urgente emesso per rafforzare il contingente rumeno in Afghanistan. Per il resto ci sono ancora molti TAB-77, la versione locale del vecchio BTR-70. Lo Zimbru, che ha rimpiazzato una parte dei TAB, è essenzialmente una versione locale del BTR-80, con alcune differenze per soddisfare i requisiti dell’Esercito rumeno. Rispetto al BTR-80 è stata infatti incrementata la protezione e adottato un nuovo motore. Dello Zimbru ne è stata sviluppata anche una nuova versione più evoluta, Zimbru 2000. Quest’ultima offre maggiori volumi interni ed è proposta con una nuova torretta a controllo remoto equipaggiata con un cannone da 25 o 30 mm. Il veicolo non è però stato ancora acquistato dall’Esercito rumeno che ha preferito, come abbiamo visto, affidarsi ad una soluzione “esterna” come quella rappresentata dai Piranha IIIC. Chiudiamo la sezione dedicata all’Esercito con l’artiglieria, anche questa soggetta ad un processo di modernizzazione. I due programmi principali sono il LAROM e l’ATROM. Il primo è un sistema MLRS, presentato per la prima volta nel 2000 e adottato a partire dal 2002. Il LAROM è un’evoluzione dell’APRA-40, la versione locale del so-

vietico BM-21 Grad. Sviluppato congiuntamente dalla locale Aerostar e dall’israeliana IMI, ed è attualmente in servizio in 24 esemplari. Secondo i programmi, l’Esercito punterebbe a completare l’aggiornamento di tutto il suo parco di APRA40. La particolarità del LAROM è che può sparare alternativamente sia con i razzi standard da 122 mm sia con il razzo israeliano da 160 mm LAR Mk.4. Quest’ultimo ha una gittata fino ai 45 km. Il LAROM è basato su un autocarro DAC-25.360 6x6 ed è dotato di una rampa con due lanciatori contenenti 13 o 20 razzi ciascuno, a seconda del calibro prescelto. Restando sempre nel campo dell’artiglieria un altro progetto importante è l’ATROM, auto cannone da 155 mm, basato su un telaio 6x6 26.360 DFAEG di produzione locale, prodotto dalla Aerostar come variante dell’israeliano ATMOS 2000. Il sistema è stato svelato per la prima volta al pubblico nel 2003 durante l’Expomil di Bucharest e testato nell’ottobre dello stesso anno. L’ATROM è un sistema completamente automatico e network-centrico grazie all’adozione del PC tattico ETC 2000. Il cannone, il Soltam, è lo stesso dell’ATMOS 2000 ed è in grado di sparare fino ad una distanza di 41 km, con munizionamento razzo-propulso, e fino a 30 km con munizionamento standard, ad un rateo di tre colpi ogni 20 secondi.

L’Aeronautica L’Aeronautica rumena, analogamente a quanto accaduto all’Esercito, è stato interessata a partire dagli anni Novanta da un esteso processo di trasformazione per adeguarne l’interoperabilità agli standard NATO. Il principale passaggio di questo profondo mutamento è stata la modernizzazione dei MiG-21 nell’ambito del programma Lancer. Il programma, condotto in cooperazione tra Aerostar e l’israeliana Elbit, è stato lanciato nella prima metà degli anni Novanta e completato ufficialmente nel 2003, quando contestualmente è stato ultimato anche il ritiro dei MiG-21 non

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Negli ultimi anni, i programmi principali della Marina hanno riguardato l’acquisizione di due fregate Type 22 ex-Royal Navy. Nella foto la Regele Ferdinand (Militaryphotos)

L’altro grande programma attraverso cui è passata la modernizzazione delle forze Aeree ha riguardato gli elicotteri Puma, trasformati in piattaforma multiruolo (Batacchi)

Nel settore trasporto sono in servizio attualmente cinque C-130 (Batacchi)

Il LAROM è un’evoluzione dell’APRA-40, la versione locale del sovietico BM-21 Grad (Militaryphotos)

interessati dall’ammodernamento. Alla fine ha visto l’aggiornamento di 114 aerei. Il programma ha riguardato principalmente l’aggiornamento dell’avionica degli aeri meditante l’adozione di un nuovo cockpit, con display digitale, di una nuova interfaccia uomo-macchina, di nuovi sistemi di allerta e della capacità di operare di notte e con avverse condizioni meteo. Del velivolo sono in servizio tre versioni: Lancer-A – versione monoposto ottimizzata per le operazioni di attacco al suolo – Lancer-B – versione biposto da addestramento – e Lancer-C versione monoposto da superiorità aerea. Alcuni esemplari della versione A sono dotati anche di un pod di acquisizione obbiettivi della Rafael. I MiG-21 Lancer sono in grado di utilizzare sia armamento occidentale che di produzione europeo-orientale. Gli aerei possono quindi utilizzare missili R60, R73 e Python 3 IR e bombe a guida laser. Attualmente, l’Aeronautica rumena opera sei squadroni di Lancer da tre basi. L’inizio del progressivo ritiro dei Lancer è previsto nel 2011 ed a tal proposito l’Aeronautica rumena ha lanciato già da tempo un programma per

l’acquisizione di 24 caccia di nuova generazione. Ai primi del 2010, il Governo rumeno ha deciso di acquistare 24 F-16 di seconda mano appartenenti alla Guardia Nazionale americana. In base, poi, ad un accordo Lockheed Martin e, pare, anche con la Elbit, gli aerei avrebbero dovuto subire un esteso processo di ammodernamento sia nelle componenti strutturali, in considerazione del pessimo stato in cui versavano le cellule, sia in quelle elettroniche. Il programma, che alla fine sarebbe venuto a costare oltre un miliardo dollari, avrebbe dovuto portare i velivoli allo standard Block 52. Il Parlamento ha però bloccato la decisione del Governo e, al momento in cui scriviamo, il programma è stato rimesso in discussione provocando il rientro nella competizione di altri due candidati come lo svedese Gripen e l’Eurofighter. L’altro grande programma attraverso cui è passata la modernizzazione delle forze Aeree ha riguardato gli elicotteri Puma, costruiti localmente in oltre 100 esemplari, a partire dal 1977, dalla IAR SA Ghimbay di Brasov. Ai primi anni Novanta l’Aeronautica, infatti, ha deciso di

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La prima fase del processo di modernizzazione delle FA rumene è stata completata nel 2007 ed ha visto la riorganizzazione della struttura di comando e l’abolizione del servizio di leva (DoD)

ammodernarne 24 trasformandoli, di fatto, in piattaforme multiruolo per compiti anche di attacco. Il programma, denominato SOCAT (Sistemul Optoelectronic de Cautare si Lupta Anti-Tanc Optoelectronic Anti-Tank Seek and Combat System) è poi partito ufficialmente nel 1995, dopo che nel 1994 era stata selezionata la Elbit come fornitore, e la prima macchina alla versione SOCAT è entrata in servizio nel 1999. Il programma ha visto l’introduzione di un sistema per l’acquisizione degli obiettivi e di controllo del tiro e di un pod elettro-ottico dotato di FLIR e telemetro laser. Gli elicotteri sono stati inoltre resi NVG compatibili. Un’altra innovazione ha riguardato anche l’adozione di un Helmet Mounted Display con sistema di puntamento per consentire al pilota di “seguire” il missile fino all’impatto sul bersaglio. L’armamento comprende un cannone da 20 mm, pod di razziere da 57 mm e quattro tubi di lancio per missile Spike. Un’ultima occhiata al settore trasporto, dove, ai cinque C-130 attualmente in servizio, sono stati affiancati sette C-27J Spartan, prodotti dalla

Del Delfinul è in programma l’aggiornamento, ma non è chiaro se questo sia stato effettivamente avviato o meno

nostra Alenia Aeronautica. Degli aerei, chiamati a sostituire An-26 e An-30, ne sono già stati consegnati cinque esemplari.

La Marina La Marina è sicuramente la Forza Armata che ha sempre goduto della minore attenzione nell’ambito della difesa rumena, anche in considerazione di un ruolo legato esclusivamente alle operazioni di pattugliamento nel Mar Nero. Negli ultimi anni, i programmi principali hanno riguardato l’acquisizione di due fregate Type 22 ex-Royal Navy. La prima unità, ex-HMS Coventry (F98), ridenominata poi Regele Ferdinand, è stata acquistata nel gennaio 2003 e consegnata nell’agosto 2004. Nel frattempo ha avuto vari aggiornamenti, tra cui un cannone da 76 mm SR per rimediare alla sua carenza più vistosa, la mancanza di un cannone di medio calibro a bordo. Peraltro, l’acquisto della nave è stato soggetto a notevoli critiche a causa di un prezzo giudicato eccessivamente elevato. La Regele è stata seguita poi dalla Regina Maria, consegnata

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Entro il 2015, le Forze Armate rumene dovrebbero definitivamente completare l’integrazione operativa nelle strutture NATO ed UE allineando i loro standard procedurali e qualitativi a quelli in vigore nelle due organizzazioni (DoD)

nell’aprile 2005. Con un dislocamento di quasi 5.000 tonnellate, la nave è lunga 148,1 m e larga 14,8 mm. È stata costruita tra il 1983 e il 1984 come parte delle Type 22 del secondo lotto (sei navi in tutto). Attualmente i suoi punti di forza sono il cannone da 76 mm e l’elicottero Puma di bordo (di cui altri due esemplari sono stati acquisiti allo standard SOCAT “navale”). Accanto a queste due unità è ancora in servizio il Marasesti, impostato nel 1984 e in servizio dal 1985, originariamente considerato come un cacciatorpediniere, ma in realtà una fregata per via della sua mancanza di sistemi SAM a lungo raggio. La nave ha un dislocamento di 5.000 tonnellate e delle dimensioni 144,6 x 14,8 x 5 m. Sebbene la sua motorizzazione sia solo diesel (4 da 8.440 hp), e le consenta di viaggiare ad un massimo di 27 nodi piuttosto che 29, (18 di crociera), ha un’autonomia a quanto pare piuttosto ridotta ed un equipaggio di 240 effettivi. L’armamento comprende otto missili P-20M in quattro lanciatori

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binati, quattro cannoni AK726 da 76 mm in due impianti binati anteriori, quattro AK-630 da 30 mm CIWS, due lanciasiluri trinati da 533 mm, mine ed è in grado di operare con due elicotteri Puma. Uno dei maggiori problemi della nave è il peso, eccessivo, tanto che sebbene fosse in servizio come ammiraglia, l’entrata in servizio effettiva è avvenuta solo nel 1992, a causa dell’instabilità causata dalle grosse sovrastrutture e dal pesante armamento. Anche se piuttosto superata, nondimeno si è trattato di un mezzo molto interessante, l’unica nave del genere del Patto di Varsavia che non fosse sovietica. Il resto della flotta è completato da quattro corvette, due della classe Admiral Petre Barbuneanu, in servizio dal 1983, e due della classe Admiral Eustatiu Sebastian, in costruzione dal 1989. Non è chiaro però il reale status operativo delle unità. La Marina rumena ha difatti in programma da tempo l’acquisizione di un lotto di nuove corvette.


I Piranha IIIC sono stati acquistati nel 2007, in base ad un requisito urgente emesso per rafforzare il contingente rumeno in Afghanistan (Militaryphotos)

Il programma Lancer, condotto in cooperazione tra Aerostar e l’israeliana Elbit, è stato lanciato nella prima metà degli anni Novanta e completato ufficialmente nel 2003 (Militaryphotos)

Per quanto riguarda i blindati per la fanteria, il core delle forze è ancora composto dai MLI-84, una parte dei quali aggiornata allo standard MLI-84 M (Militaryphotos)

Una vicenda interessante è quella dell’unico sottomarino della flotta, il Delfinul. Si tratta di un mezzo della classe sovietica Kilo ordinato nel 1984 e costruito nel cantiere 112 di Krasnoye, in servizio dall’agosto 1985, ma fuori uso dal 1995. Il battello ha un dislocamento in immersione di circa 3.000 tonnellate e delle dimensioni di 72,9 x 12,8 x 14,5 m. La velocità è di 12/20 nodi e l’equipaggio comprende 54 membri. L’armamento si basa su sei tubi da 533 mm per il lancio dei siluri, e la posa delle mine, più otto missili SA-16 per assicurargli la capacità di autodifesa da elicotteri e pattugliatori navali. Del battello è in programma l’aggiornamento, ma non è chiaro se questo sia stato effettivamente avviato o meno.

Paese a modificare procedure e standard consolidati ed a puntare tutto sulla qualità. Del resto, i parametri di adesione all’Alleanza Atlantica non offrivano spazio ad alternative. Pur tra difficoltà finanziarie e tecniche, tale processo è andato avanti ed oggi la Romania è un Paese pienamente integrato nella NATO, alle cui missioni le Forze Armate di Bucharest danno dei contributi molto significativi. Per il successo di questo processo, un grande contributo è stato offerto dall’industria locale, che può vantare una solidissima tradizione in diversi settori, ma non sono mancati anche gli apporti stranieri, primo tra tutti, quello dell’industria israeliana. Grazie a questi contributi, le Forze Armate rumene hanno ricevuto degli elementi qualitativi estremamente importanti. E’ il caso dei velivoli MiG21, ma anche degli elicotteri Puma o di programmi terrestri come l’ATROM. Tutti mezzi hanno permesso alle FA rumene di poter giocare al meglio la loro “partita” nell’insicuro mondo di oggi. 

Conclusioni Per le Forze Armate rumene, gli anni Duemila sono stati anni di trasformazione e mutamento. Il processo di adesione alla NATO ha costretto il

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Panorama Internazionale

I SOCIAL MEDIA:

ELEMENTO STRATEGICO DELLA PRIMAVERA ARABA ELENA BIGONGIARI

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PANORAMA INTERNAZIONALE 49


onostante una gran parte degli studi, sviluppati principalmente in Gran Bretagna e Stati Uniti relativi all’area del vicino-medio Oriente, si siano soffermati sull’immobilismo della Regione mediterranea garantito dal prevalere di varie forme di autoritarismi, appare evidente come i recenti profondi mutamenti proiettino nell’area una nuova luce d’interesse. Il carattere tumultuoso degli accadimenti rende difficile ipotizzare sia scenari e sviluppi futuri, sia l'analisi della cosiddetta "Primavera Araba". L’unico aspetto, chiaramente individuabile, che ha pervaso tale Regione lo si può rilevare nel kairòs, il momento giusto, la scintilla che l’inconscio collettivo individua, più o meno inconsapevolmente, o comunque sa cogliere. Alla base del deflagrare di queste rivoluzioni vi sono, infatti, fattori diversi e molteplici che variano in presenza e percentuale tra Stato e Stato, tra cui, ad esempio, il deteriorarsi dei regimi, la crisi finanziaria o al contrario la crescita economica. Unico step comune di tali rivolgimenti è riscontrabile nell’uso dei canali d’informazione ed in particolare dei Social Media. Secondo dati statistici1 nella Regione di interesse il 5% della popolazione utilizza facebook, il 20% utilizza internet, mentre la televisione raggiunge l’80% degli abitanti, concentrandosi soprattutto nelle grandi città. In base ad osservazioni svolte durante l’anno 2011 risulta, inoltre, che in Egitto, Tunisia e Libia, specie durante il manifestarsi dei rovesciamenti dei regimi, il maggior numero di informazioni ed immagini è stato veicolato attraverso sms ed mms. Dall’analisi sui dati anzi riportati si desume che la tv ed i cellulari sono stati i vettori primari per la diffusione delle notizie ma osservando bene i servizi riportati dei vari telegiornali, piuttosto che programmi dedicati,

N

questi strumenti hanno utilizzato materiale dei Social Media. La spiegazione c’è ed è il sintomo di un cambiamento epocale su quello che tradizionalmente viene chiamato processo rivoluzionario di o in uno Stato. L’emersione di emittenti internazionali come Al Jazeera, Al Arabiya aveva già cambiato il paesaggio dei media del Medio Oriente e Nord Africa dando la possibilità di raggiungere una conoscenza più ampia del contesto internazionale ed interno ma, nel 2011, Al Jazeera, rispetto a 8-10 anni fa, sia nei servizi che nei commenti ha adottato un atteggiamento meno remissivo nel riportare eventi, mandando in onda stralci di video girati dai manifestanti o pubblicati in internet. Le popolazioni sono state massicciamente connesse ad Internet così come al più popolare canale News International (arabo, francese). Insomma la forza del nuovo modo di fare e veicolare informazioni ha scardinato quella stasi sociale che i regimi militari e non, cullavano scrupolosamente. Dopo che Mohamed Bouaziz, giovane tunisino venditore di frutta, si diede fuoco per protesta contro la corruzione politica e della Polizia, morendo il 4 gennaio 2011, la protesta scoppiava nelle vie, per le strade ma anche in rete. Malgrado la censura del governo ed attacchi informatici, il 14 di gennaio, finiva un potere che perdurava da più di 20 anni. In Egitto una pagina facebook invitava alla giornata di protesta del 25 gennaio 2011, furono 80.000 le sottoscrizioni. La pagina, dal titolo “siamo tutti Khaled Said” (trascinato fuori da un internet cafè e massacrato a morte dalla polizia) ottenne un milione di “mi piace”. E’ la diffusione dei “nuovi” mezzi di comunicazione ad aver permesso la penetrazione delle informazioni (in internet l’arabo è la settima lingua in ordine di uso) ma è innegabile che a questo si affianca la trasmissione “antica” delle notizie: porta a porta.

1 NATO Review. Intervista del Prof. Philip Seib, Direttore del “Center of Public Diplomacy USC”

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In apertura: Primavera Araba (foto SocialMediaSurfe) Sopra: Primavera araba - manifestazioni di piazza

Al Cairo si è assisto ad urla tra i palazzi in quartieri poveri, quindi senza nemmeno tv, che incitavano ad unirsi alla causa. Si spronava a scendere in piazza sia per il pane ma anche per la democrazia. La riflessione è che se i mezzi più all’avanguardia non avessero dato la sensazione a quegli strilloni che le cose stavano cambiando forse non si sarebbero mai spinti a pubblicizzare in quei quartieri la propria causa. La motivazione di fondo che ha spinto uomini e donne a coinvolgere in tutti i modi coloro che ancora non erano stati raggiunti dal vento primaverile è stata la sensazione di essere già in tanti a lottare per il cambiamento, data proprio dai nuovo canali informativi. Esiste una giustificazione psicologica nel grande

uso dei Social Media, questi infatti offrono un ambiente, in questo caso, sicuro poiché non c’è richiesta di chi tu sia per dire la tua e se molti condividono le tue idee non necessariamente divieni un trascinatore ma uno dei tanti che formano la massa. Con ciò è da intendere che le Rivoluzioni storicamente definite come tali, di solito hanno un leader, un gruppo di individui che rappresenta la causa ma qui, di fronte agli accadimenti della Primavera Araba, si è testimoni di un’altra forma di reazione. È l’”insieme” stesso che trascina dando una forza propulsiva agli avvenimenti, questo grazie la possibilità di aggregazione rapida di un numero elevatissimo di persone prima sui siti e poi, in un secondo momento, quasi contem-

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Protesta per i diritti delle donne in Yemen

poraneo, in luoghi fisici prefissati proprio attraverso un nuovo processo mediatico. Per semplificare: il fatto che le notizie siano subito riportate, attraverso video ed immagini che raggiungo molteplici canali, senza filtri senza spesso commenti e la possibilità di organizzarsi e di cambiare i piani istantaneamente fa sì che nella massa d’acqua si formino bollicine nello stesso istante e quindi la pentola inizia a bollire, il processo è ormai innescato e la forza cinetica prodotta è inarrestabile.

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In tale senso i cambiamenti in Nord Africa riportano con evidenza la potenza dei Social Media poiché anche se negati mostrano la propria forza nel fatto che la protesta continui. Se insomma si spegne il fuoco sotto la pentola che bolle l’acqua continua a bollire. Un esempio è stato il Governo egiziano che ha bloccato le reti telefoniche ma tali tentativi trovano riscontro anche in Cina o in Myanmar con la censura di siti scomodi e con la chiusura di internet cafè, portando come risultato ad un


inasprimento delle manifestazioni in tutti i paesi citati. In questo particolare momento di evoluzione dell’Africa del Nord e Medio Oriente i media industriali, ossia giornali, tv e cinema (i broadcasting) sono stati scalzati ed hanno dovuto chiedere aiuto ai consumer genereted media o Social Media per raggiungere audience pari, ad esempio, ad un post su un blog. I mezzi industriali non possono trasformarsi, i Social Media mutano a ritmi eccezionali. In epoca “premedia sociali” pochi producevano le informazioni che moltissimi ricevevano, e la comunicazione avveniva sotto forma di linea retta, aveva un inizio ed una fine ed era caratterizzata da un movimento unidirezionale. Ora i Social Media hanno aggiunto l’elemento partecipativo al flusso della comunicazione. La versione internet (Social Media) delle reti sociali (social network), ha dato la possibilità di materializzare le reti stesse su “un tavolo on line” ed organizzarle in una mappa consultabile dando opportunità di creare sul nuovi contenuti ed informazioni. Inoltre, la fortuna di questi nuovi mezzi di aggregazione sociale, è stata sicuramente il basso costo, basta un collegamento e aprire una pagina su facebook o dire la propria su twitter piuttosto che in un blog, è possibile essere visti ed ascoltati da molti, da tutti. Ecco perché si deve prestare interesse alla nuova dimensione del-

l’informazione, essa infatti risulta, ad oggi, strumento strategico per eccellenza riportando il concetto al suo significato primario: stratos agos (colui che agisce). I Social Media si sono quindi creati un posto di predominanza nella formazione e veicolazione delle informazioni, nonché nella realizzazione dei contenuti inseriti nelle stesse, caratterizzandosi per 6 elementi fondanti: 1 audience globale; 2 costo contenuto e accessibilità; 3 velocità (intesa come capacità tecnica di reagire istantaneamente ai cambiamenti, cosa che un articolo su un giornale non può fare); 4 fruibilità (un minimo di competenze per navigare e si è liberi di apprendere infinite informazioni o di esporle); 5 la dicotomia anonimato - visibilità (se si ha la volontà di rimanere anonimi per non incappare in ritorsioni si può. Mentre se si vuole rendere nota a tutti la propria posizione lo si può realizzare con la stessa semplicità); ed in fine, ma non in ordine di importanza, 6 la capacità di generare informazione e contenuto in modo trasversale e democratico (intendendo il concetto aristotelico di democrazia dèmos/cràtos -, ossia potere gestito dalla massa, che in questo caso gestisce e plasma informazione). La Primavera Araba certamente ha dato prova di come i mezzi d’informazione non tradizionali abbiano un ruolo strategico sia per la determinazione di una coscienza collettiva che per la realizzazione della stessa. Su tale dato, al di là del giudizio politico-istituzionale, si ha il dovere di riflettere cercando di analizzare ancor di più i Social Media quale elemento chiave di lettura del proprio Paese e delle dinamiche sociali che si sviluppano al proprio interno. Quindi questa nuova forma di aggregazione sociale risulta, dall’analisi fatta, strumento ma anche fonte di quel Kairòs che sottende al mutamento in Africa del Nord e del Medio Oriente e l’ipotesi che ciò possa riscontrasi anche in altri paesi del mondo è da considerarsi possibile e già in parte dimostrata. 

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Forze Armate e Società

DICA 33...

UNA SANITÀ MILITARE MODERNA V D ITO

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ALESSANDRO


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l 28 febbraio 2012 la Regione Lazio e lo Stato Maggiore della Difesa hanno stipulato, presso la sede della Regione, un accordo quadro per la cooperazione in tema di sanità pubblica, alla presenza del Generale Biagio Abrate, Capo di Stato Maggiore della Difesa, tra la Presidente della Regione, Renata Polverini, ed il Tenente Generale Federico Marmo, Capo Ufficio Generale della Sanità Militare dello Stato Maggiore della Difesa. Lo squilibrio tra le risorse economiche disponibili, i bisogni sanitari e l’obbligo di vincolo determinato dal piano di rientro imposto dal Tesoro ha determinato l’esigenza di ipotizzare un innovativo e mi sia consentito “rivoluzionario” modo di interpretare, essere ed organizzare l’assistenza sanitaria nell’attuale contesto sociale “globalizzato” in continuo fermento, evoluzione e cambiamento. Quanto sopra con il fine di continuare a perseguire la promozione dello stato di salute secondo i principi del WHO (World Health Organization) anche attraverso il coinvolgimento attivo, informato e responsabile dell’utenza (civile-militare). L’accordo quadro appena sancito rappresenta il definitivo superamento del rigido modello aziendalistico con un modello assistenziale di integrazione tra A.O. – ASL – SM. Appare in perfetta sintonia con la politica sanitaria della Regione Lazio e con gli intenti di SMD: “un innovativo modo di pensare alla sanità a 360°”, raggiungere l’obiettivo salute attraverso la creazione di reti, integrazione e sinergie tra i servizi sanitari della P.A. con lo scopo di offrire all’utenza civile e/o militare una maggiore efficienza e qualità dei servizi erogati. Consentirà altresì alle Amministrazioni il miglior impiego delle tecnologie strumentali e del patrimonio umano disponibile ad isorisorse rispondendo in tal modo alla sempre maggiore richiesta di assistenza sanitaria e ad una più efficace “clinical governance”. L’intesa appena siglata tra la Regione Lazio e lo SMD rappresenta quindi l’idoneo strumento

I

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attraverso il quale la Sanità Militare potrà/dovrà perseguire e realizzare le incredibili potenzialità che in esso sono presenti. I campi sui quali far convergere le iniziative comuni sono: • l’integrazione a rete e la cooperazione tra gli erogatori, valorizzazione della multidisciplinarietà, delle professionalità con garanzia di continuità assistenziale; • la formulazione di specifici programmi volti a garantire attività assistenziali di rilevante importanza; • la creazione di modelli assistenziali di integrazione A.O. – ASL ed infine SMD; • la modulazione dell’offerta: ospedali acuti (civili-militari) – ASL e servizi territoriali intermedi (civili-militari) e potenzialmente fino alla domiciliarizzazione delle cure (“caregiver”) per la capillarità delle strutture sanitarie sul territorio; • le sinergie e l’integrazione in ambito Protezione Civile (emergenze-maxiemergenzecalamità, ecc.); • il benchmark (valutazione dell’appropriatezza) delle risorse impiegate, delle disponibilità, del trattamento sanitario “in toto”, del risultato conseguito, della percezione consapevole del cittadino rispetto al servizio erogato. Ciò peraltro si inquadra in un contesto demografico laziale che presenta alcuni aspetti anche critici, quali: • l’aumento demografico di 500.000 unità dovuto all’immigrazione che, in gran parte, fluisce nella Regione; • l’innalzamento dell’età anagrafica; • la concentrazione in Roma e Provincia del 73% dell’intera popolazione regionale (caso unico in Italia). In considerazione di ciò è presumibile una richiesta di maggiore ospedalizzazione per il futuro. Quindi occorre garantire rapidamente l’accesso alle strutture ospedaliere e alle aree intensive


In apertura: Afghanistan - La Sanità Militare Sopra: il periodico bimestrale “Giornale di Medicina Militare”

disponendo soprattutto di posti letto pronti per acuti. L’accordo, che ha per oggetto una apparentemente generica collaborazione nel settore della sanità pubblica, sembra invece assumere il significato di un primo vero passo verso una sinergia che potrebbe prefigurare una più spinta integrazione tra sanità civile e militare.

Una intesa ambiziosa quindi, che va ben oltre le singole convenzioni, dettate da specifiche esigenze locali, e guarda alle necessità sanitarie di tutta l’utenza del Lazio, tenendo conto delle distinte potenzialità e delle limitate risorse, da ottimizzare per il conseguimento di “standards” qualitativi sempre più elevati anche in ambito militare e per una possibile riduzione delle

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Roma - Accordo quadro per la cooperazione sulla sanità pubblica Stato Maggiore Difesa e Regione Lazio

liste d’attesa, quanto meno in alcune aree e per alcune discipline specialistiche. Un accordo che intende altresì consentire il comune utilizzo di strutture, professionalità e mezzi della sanità civile e militare al fine di realizzare progetti e attività cliniche che consentano livelli di eccellenza per tutta l’utenza civile e militare. Obiettivo questo raggiungibile grazie anche alla presenza nel Lazio di ospedali civili di rilevanza e di riferimento nazionale e di strutture

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sanitarie militari, dotate di strumentazione di elevata tecnologia, di mezzi all’avanguardia ed in grado di fornire servizi impiegabili in caso di pubbliche calamità, come peraltro avvenuto di recente, con personale di elevata professionalità, maturata anche in scenari emergenziali all’estero. Una ottica perciò ben più ampia di quella propria delle tradizionali cooperazioni tra strutture sanitarie civili e militari, che mira certa-


mente ad un rafforzamento delle stesse ma anche e soprattutto ad una implementazione di nuove, attraverso attività di coordinamento e programmazione a medio termine che sappiano rispondere alla duplice esigenza: economica e di efficienza. L’intesa permetterà il coordinamento, il controllo e la cooperazione tra le strutture sanitarie civili e militari, le cui potenzialità potranno essere utilizzate ottimizzando l’efficienza di servizi, a volte non impiegati al massimo per carenza di strutture, mezzi e specialisti. L’accordo scaturisce anche dall’attuale contesto economico-finanziario nazionale e dall’esigenza di contenere i costi di gestione, che unisce le esperienze cliniche in Patria con quelle proprie delle missioni militari che svolgono anche compiti sanitari (prevenzione, ricovero, cura, ecc.) in contesti internazionali. L’intesa, della durata iniziale di cinque anni, prevede la costituzione di una Commissione Paritetica1 per la definizione dei programmi e delle iniziative nei settori della ricerca e della formazione ed è preposta alla verifica periodica dello stato di avanzamento dei progetti e degli obiettivi conseguiti. Viene però da chiedersi: “Ma da dove nasce questo storico accordo che potrebbe fungere peraltro da pilota per altre realtà? Perché proprio ora?” Come in tutte le cose la genesi ha origini lontane. C’erano state molte iniziative nel corso delle precedenti legislature riguardanti la sanità non andate a buon fine o per la fine anticipata della legislatura o per lungaggini burocratiche. Ora, data la volitività di alcuni rappresentanti delle due Amministrazioni contraenti, si è potuti addivenire a questo accordo che, in sintesi, prevede: - una generica definizione della forma di col1 2

laborazione nel settore della sanità pubblica, attraverso sinergie di strutture, di personale, di mezzi e di strumenti della sanità civile e di quella militare; - l’implementazione ed ampliamento di accordi, previa loro ricognizione2, già esistenti tra strutture sanitarie e civili della Regione Lazio, creando così un “ombrello giuridico” su di questi, lasciando così intravedere come l’accordo possa “sanzionare” e meglio definire convenzioni e accordi già stipulati ma non avviati, ad esempio, per problemi di ordine finanziario; - il rinvio alla stipula di specifici accordi tra articolazioni della Difesa e della Regione, lasciando intendere che l’accordo quadro in questione costituisce solo l’inquadramento giuridico-amministrativo e che gli accordi e convenzioni che saranno redatti in seguito a cura delle rispettive articolazioni dovranno essere approvati dalle due Amministrazioni; - l’individuazione di nuove forme di collaborazione (es.: progetto di ricerca e/o d’intervento, ecc.); - la sottoposizione dei citati accordi e convenzioni all’esame della Commissione Paritetica che ha anche compiti di coordinamento e verifica delle attività poste in essere. In ultimo l’accordo quadro serve anche per superare quegli ostacoli soprattutto di ordine finanziario (es.: rimborso delle spese sostenute dalle strutture sanitarie attraverso la fruizione di beni e servizi da poter offrire) che fino ad oggi erano ritenuti insormontabili senza l’intervento “sanzionatorio” della Regione. Tra l’altro la citata Commissione Paritetica potrà affrontare anche altri problemi sia di ordine economico-finanziario (es.: rimborso diretto delle rette di degenza e delle prestazioni, ecc.) sia di carattere giuridico-amministrativo, quali

Composta in modo equo da rappresentanti della Regione Lazio e dello Stato Maggiore della Difesa. Sono già operanti convenzioni tra il Policlinico “Umberto I°” ed il Policlinico Militare “Celio” in tema di neurochirurgia, tra ASL 1 (San Giovanni Addolorata) ed il citato Policlinico Militare, nonché tra quest’ultimo e la cardiochirurgia dell’Università “La Sapienza” di Roma, ecc..

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l’accreditamento delle strutture sanitarie, di specifica competenza della Regione. L’elemento cardine di questo accordo è costituito appunto dalla Commissione Paritetica che dovrà, tra l’altro: - validare le corresponsioni, purché eque, in termini di beni e servizi tra le parti; - individuare percorsi che garantiscano al personale militare ferito/ammalato soprattutto all’estero, la priorità dovuta per l’accesso alle strutture di eccellenza site nei nosocomi regionali; - integrare i diversi regimi ai quali è sottoposto il personale medico di ambo le parti. Ciò cade peraltro in un momento altamente significativo della sanità militare interforze in quanto l’accordo quadro in questione potrebbe essere definito come il primo atto della nuova struttura di Vertice interforze della sanità militare, connotata da una forte direzione e da una marcata incisività, o come l’ultimo della vecchia gestione che, al termine del proprio ciclo di vita, ha fatto dischiudere questa crisalide. L’intesa, ovviamente, ha dei risvolti positivi per tutte le parti, per: - la popolazione laziale il vantaggio indotto da questo accordo quadro risiede nell’incremento del numero di prestazioni e ricoveri offerti dal SSN3 con conseguente abbattimento delle liste d’attesa; - la sanità militare, soprattutto in termini di rapporto costo/efficacia in quanto i ricavati potrebbero sostenere economicamente gli sforzi sinora compiuti (farmaci, materiale di consumo, ecc.) visto il clima di ristrettezze nel quale viviamo. In particolare, attesa la sospensione del servizio obbligatorio di leva prevista dalla legge n. 331/20004, i ritorni potrebbero essere notevoli: • economie di scala per l’acquisto di farmaci 3

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direttamente dalle aziende farmaceutiche; • arricchimento professionale derivante dall’incremento e dalla varietà dell’utenza; • miglioramenti della qualità offerta dai pronti-soccorso dell’organizzazione; • inserimento in un circuito unico di prenotazioni di prestazioni, con connessi pagamenti di tickets, DRG, ecc.; la sanità civile, ove si assisterebbe ad un proficuo scambio di esperienze professionali, visto che i medici militari sarebbero anche portatori di esperienze maturate all’estero in ambienti diversificati che la globalizzazione mondiale ha reso più vicini di quanto si potesse immaginare prima, nonché costituisce stimolo per quest’ultima. Sotto questo profilo e con tali premesse, la “vision” di un accordo siglato da una Regione così importante – sia da un punto di vista sanitario che geografico e politico - e dal Vertice Militare della Difesa, non può che costituire la giusta e valida sprone per un progetto di sinergia su più ampia scala a livello nazionale. Certo non si può ritenere casuale che la firma dell’accordo sia giunta nel preciso momento di riorganizzazione sanitaria regionale e di riordino della sanità militare, entrambe figlie di un più generale contesto economico-finanziario del Paese che chiede un rinnovamento in tutti i settori pubblici ma che in quello sanitario, elemento cardine di una società moderna, obbliga a sinergie che utilizzino e impieghino al 100% tutte le risorse disponibili. Ciò non può che comportare anche il superamento di barriere normativo-burocratiche che a livello di convenzioni ed accordi locali hanno impedito un completo utilizzo delle strutture sanitarie militari e delle relative prestazioni (accreditamento) ed il loro ristoro in termini economici (tickets, DRG, ecc).

Che normativamente è basato sulle Regioni e che, nel caso specifico (Regione Lazio), risulta commissariato come in altre Regioni amministrative. Ora riassettata nel D.Lgs. n. 66/2010 (“Codice dell’ordinamento militare”).

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Roma - firma dell’Accordo

Sta ora ai rappresentanti della Regione e dello Stato Maggiore della Difesa indirizzare correttamente questo strumento per consentire la concretizzazione della sinergia ipotizzata, attraverso accordi attuativi ed esecutivi tra le singole strutture sanitarie militari e civili. E’ attraverso la nomina e l’attività della più volte citata Commissione Paritetica (art. 2, commi 5 e 6 dell’accordo quadro), che potranno essere validate, sanzionate, indirizzate e coordinate le intese, le convenzioni, i progetti, gli studi e le ricerche che avranno come oggetto e come finalità primaria sia la fornitura all’utenza di prestazioni professionali sanitarie di elevato standard in tempi più contenuti, attraverso strutture, strumentazioni, mezzi e risorse di personale, non più limitate nell’utilizzo e nell’impiego dai rigidi confini degli ambiti civile e militare.

Si auspica, pertanto, che con la nomina tempestiva dei membri della Commissione Paritetica possa sgorgare un pullulare di idee, proposte, progetti da entrambe le parti che non solo rendano operativo l’accordo siglato tra Regione Lazio e lo Stato Maggiore della Difesa, ma costituiscano il segno inequivocabile della necessità di ampliare una tale sinergia a livello nazionale, attraverso l’intervento dei Dicasteri competenti e delle Autorità di Vertice. Non abbiamo potuto inserire, al momento, in questo progetto, la novella Difesa Servizi Spa che sulla questione avrebbe potuto avere voce in capitolo qualora nei suoi compiti statutari fosse stato annoverato anche il tema della sanità militare. Però in futuro bisognerà tenere presente anche questa nuova realtà che potrebbe giocare un ruolo non trascurabile nella materia. 

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Storia

DALLA FINE DEL CONFLITTO IRAN-IRAQ ALL’INVASIONE DEL KUWAIT ALBERTO ZANETTA

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a firma, da parte di Iran e Iraq della Risoluzione 598 dell’ONU, aveva sancito la fine di una lunga e sanguinosa guerra che non aveva risolto alcun problema. Non vi furono, infatti, cambiamenti territoriali, perché furono ripristinati esattamente i confini esistenti prima dell’inizio della guerra e non vi fu alcun trattato di pace. In sostanza, si può affermare che nessuno dei due belligeranti era riuscito a imporre con le armi la propria volontà e a modificare a suo vantaggio la situazione politica e militare nella regione teatro della guerra. Conseguentemente, alla fine, era stato ristabilito il classico status quo ante, con l’aggravante di aver provocato un milione di morti. L’Iraq aveva perso circa 400.000 vite umane e la sua economia ne era uscita devastata. Saddam Hussein aveva dovuto affrontare i tremendi costi per la ricostruzione di un Paese letteralmente distrutto da un conflitto che egli stesso aveva scatenato. Inoltre, l’Iraq aveva speso più di 112 miliardi di dollari per l’acquisto di materiali d’armamento, senza contare i miliardi di dollari d’introiti perduti per l’interruzione o la riduzione delle esportazioni di petrolio. Per far fronte alla situazione l’Iraq ha innanzitutto fatto ricorso alle riserve all’estero, valutate nel 1980 a 30 miliardi, ma soprattutto ai debiti che alla fine del conflitto raggiungevano cifre astronomiche, complicatissime da calcolare. Soltanto i Paesi del CCG1 avrebbero contribuito per quasi cento miliardi, ma l’Iraq era indebitato anche con Paesi in grave crisi economica e comunque non ricchi come l’India e la Jugoslavia. Le condizioni dei prestiti erano naturalmente diverse, quelle dei paesi arabi del Golfo, molto agevolati, quelli con i Paesi occidentali e il Giappone, spesso sulla base della refusione con il petrolio. Circa le perdite iraniane, si stima che almeno 300.000 soldati dell’Esercito regolare morirono, mentre non si conoscerà mai esattamente il numero degli adolescenti pasdaran uccisi durante gli attacchi «a ondate umane» sotto il fuoco delle

L

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Consiglio di Cooperazione del Golfo, sorto nel 1981, dopo l’inizio del conflitto, per fronteggiare la nuova situazione, soprattutto militare. Entrarono a farvi parte Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain e Kuwait.

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In apertura: Riunione del Consiglio di Siucurezza dell'ONU - UN Photo - Paulo Filgueiras Sopra: Vista panoramica di Kuwait City

armi irachene. Il numero complessivo di Iraniani morti potrebbe essere superiore al milione. La responsabilità di tale olocausto fu attribuita al brigadier generale Shirazi, nei riguardi del quale un odio profondo rimase nel cuore di tutti gli Iraniani. In considerazione dell’estrema diffidenza esistente tra Iran e Iraq, Baghdad riteneva fondamentale monitorare attentamente le spese militari dell’avversario e non ridurre le proprie, non solo in vista di una possibile ripresa del conflitto, ma anche di quella leadership cui aspirava e che richiedeva non poche spese per mantenere l’immagine del regime. Tipico sotto questo aspetto, l’annuale convegno di poesia araba che il governo aveva tenacemente voluto mantenere durante le ostilità e che nell’autunno dell’88 si trasformò in una celebrazione della “vittoria”. Il siriano Nizarr Qabbani, uno dei maggiori poeti arabi, recitò in apertura un lungo componimento che dichiarava Baghdad l’erede delle glorie arabe e terminava con la significativa affermazione “come abbiamo vinto i persiani, distruggeremo i figli della Torah”, un’imprudenza 2

che il regime esaltò e doveva pesare negli anni successivi. In questo clima furono eretti costosi monumenti alla vittoria e a Saddam Hussein, decretati vistosi stanziamenti per congressi di ogni genere che forse sarebbe stato meglio dirottare altrove, ma esaltati dalla martellante stampa di regime, assurgevano a simbolo del nuovo Iraq che doveva riscattare le umiliazioni di tutti gli arabi. Ma la realtà era ben diversa. Nel Nord rimaneva insoluto e militarmente molto oneroso il problema dei curdi, dei quali durante la guerra si erano occupati i turchi e ora incoraggiati da Teheran per l’ala fondamentalista e da Damasco per quella nazionalista mantenevano impegnato l’esercito. A Sud e nelle città sante sciite, agivano i movimenti integralisti, ispirati dall’Iran dove continuava a operare il “consiglio della rivoluzione islamica in Iraq”2. Curdi e sciiti temevano, non a torto considerati i precedenti, che la vittoria di Saddam Hussein, avrebbe rafforzato il Baath nella sua doppia matrice panaraba, anticurda, e “laica”, antisciita e antintegralista. Questo spiega le misure del governo per migliorare la compromessa im-

L’organizzazione di Muhammed Baqir al-Hakim riaprì la sede di damasco nell’ottobre del 1988.

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magine del regime di fronte al dilagante fondamentalismo e al nazionalismo curdo. Nel gennaio del 1989 fu adottato un programma di sostegno alla religione. Venne annunciata l’istituzione di un’università islamica e si parlò del restauro dei monumenti sciiti. Nello stesso mese a Baghdad si riuniscono 300 ulema per discutere il tema “L’Islam e la pace” con lo scopo di diradare l’immagine delle parate militari, ma anche di combattere le “deviazioni” di Khomeini. Da tempo, infatti, era in atto, non solo in Iraq, la polemica sull’autentica identità dell’Islam e Baghdad alleata di Riyàd non poteva mancare. Quanto ai curdi, vennero ripetutamente annunciate amnistie, soprattutto, il governo annunciò concrete misure per la libertà di stampa e il pluralismo politico. L’iniziativa mirava anche a contrastare l’opposizione all’estero, ma anche a tenere unito un paese disarticolato dalla guerra. Inoltre, il regime tendeva a mantenere buoni rapporti con l’Occidente per far dimenticare, specialmente, alla Francia l’eccidio dei curdi e dimostrare l’incontrovertibile marcia verso la democrazia e quindi occidentalizzazione. A sua volta le misure bene si inquadravano negli avvenimenti dell’Est e nel vasto processo in corso in alcuni paesi arabi, come l’Algeria, la Giordania e lo Yemen. L’Iraq inoltre aderì all’Arab Organization of Human Right con sede al Cairo, firmando anche gli artt. 22 e 25 della Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici. Il governo dopo aver annunciato la privatizzazione delle imprese e conseguentemente la liberalizzazione dei prezzi, sembrò facilitarne l’esecuzione. Vennero tra l’altro adottate misure per incoraggiare gli investimenti arabi e si parlò persino di aprire le porte al turismo, una fonte di guadagno a lungo negletta nonostante le bellezze naturali e la ricchezza archeologica del paese. Ma gli investitori arabi non sembrarono aderire all’appello, specialmente, quelli del Golfo, ai quali in nome dell’unità araba era rivolto, ma che pre3

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ferirono continuare i loro investimenti nei più sicuri mercati occidentali. Quanto alla liberalizzazione dei prezzi, come altrove, essa portò a un tale disordine da suscitare vaste polemiche e misure restrittive, ufficialmente contro la corruzione. Ma queste misure, espressione di una genuina volontà democratica, contrastavano con una realtà economica e sociale estremamente difficile. L’indebitamento con l’estero aveva da tempo superato il livello di guardia e tanto i paesi arabi del Golfo quanto l’Occidente erano restii a concedere nuovi prestiti. Problemi furono creati anche dalla smobilitazione dell’esercito. Nell’autunno del 1988 furono smobilitati i 650.000 uomini “dell‘esercito popolare”. La prima armata fu smobilitata nel giugno 1989 e all’inizio del 1990 vennero congedati altri 200.000 soldati, completando un preoccupante quadro di disoccupati e sbandati. Il problema fu aggravato dal folto gruppo di egiziani3 e yemeniti, trasferitisi in Iraq per lavoro, una parte dei quali si arruolò nell’esercito. Minori i danni alle infrastrutture industriali, troppo deboli, però, per riassorbire la disoccupazione. Tra l’altro, l’Iraq fu costretto a rinunciare a molti progetti che avrebbero potuto attenuare il problema. La sola industria privilegiata fu quella militare, ma essa fu affidata a personale specializzato e in parte straniero. Ai primi di febbraio, osannato dalla stampa, venne riaperto il porto di Bassora, alla cui ricostruzione era stato chiamato anche l’esercito. L’impresa ebbe grandi ripercussioni e l’Arabia Saudita donò una cospicua somma in dollari4. Più avanti fu aperto il porto di Al-Fao, distrutto all’inizio della guerra e simbolo della vittoria, dopo la riconquista nell’aprile dell’88 da parte della “guardia repubblicana”. Ma questi ricordi in un paese dove una famiglia su due aveva avuto un morto o ferito non erano tali da entusiasmare la “maggioranza silenziosa” che espresse il suo disagio nelle elezioni dell’aprile 1989 per il Consiglio Nazionale, il parlamento, costituito da 250 membri. Malgrado l’immagine

Il numero degli egiziani in Iraq è stato valutato da 500 mila a un milione. Gruppi di egiziani, sudanesi e yemeniti si arruolarono volontari e alcuni furono decorati. Nella risposta di re Fahd alla lettera aperta di Saddam Hussein del gennaio 1991, il sovrano saudita sostenne che l’unico “regalo” fu concesso per la ricostruzione di Bassora. Nell’intervista con l’ambasciatrice Glapsie, Saddam Hussein dichiarò che l’Arabia Saudita era l’unico dei paesi del Golfo ad aver cancellato i debiti.

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che il regime cercava dare di sé, soltanto 100 furono gli eletti del partito, gli altri 150 erano candidati indipendenti o rappresentanti di associazioni professionali. Tra gli esclusi non mancarono personalità di rilievo. Probabilmente per questo motivo le misure annunciate sul pluralismo furono ritardate. A questo preoccupante quadro interno, fecero riscontro in politica estera iniziative che vollero proiettare l’Iraq al primo posto tra i paesi arabi. Baghdad, in particolare, aspirava a raggiungere la parità strategica con Israele, come risultò dalla sfilata militare (la prima dal 1979) tenuta il 16 gennaio 1990, in cui fu tra l’altro esibito un missile in grado di lanciare in orbita un satellite. Tale aspirazione ha avuto, come conseguenza, il riarmo di paesi notoriamente contrari a sviluppare le forze armate. Fu il caso dell’Arabia Saudita che, di fronte all’ostruzionismo del Senato USA, si orientò verso la Gran Bretagna e la Francia. Con quest’ultima, nel gennaio 1984, Riyàd concluse un accordo per 4,7 miliardi di dollari che prevedeva la fornitura di armi antiaeree, il che stimolò l’amministrazione Reagan a fornire subito 400 Stinger, missili terra-aria. La minaccia era l’aviazione iraniana che, sebbene in decadenza dopo aver dominato i cieli nelle prime settimane di guerra, era pur sempre un’arma temibile. Più difficile per i paesi arabi del Golfo era creare un’adeguata aviazione. Come è noto essa richiede piloti altamente specializzati e anni di addestramento. Ciononostante, dopo alterne vicende giunsero in Arabia Saudita e nell’Oman un certo numero di Tornado e vari armamenti americani. Quanto al Kuwait, il paese più vicino all’Iran, esso, di fronte all’ostruzionismo USA, si armò in Unione Sovietica. Significativo fu in proposito l’accordo del 9 luglio 1988, poco prima che l’Iran accettasse definitivamente il “cessate il fuoco”. L’accordo prevedeva forniture per 300 milioni di dollari, ma il periodo in cui fu concluso fa pensare che il Kuwait pensasse più all’Iraq che all’Iran. Inoltre il Kuwait acquistò autoblindo Fahd di produzione egiziana e armi iugoslave, ma il grosso delle forniture erano sovietiche e americane.

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Impenetrabile rimase l’incognita libica, a parte la costituzione di una buona aviazione con aerei, francesi e sovietici, mentre dopo i ripetuti viaggi dei responsabili di Damasco a Mosca, anche durante il recente conflitto, l’URSS assicurò alla Siria la fornitura delle armi per raggiungere la parità strategica con Israele, limitatamente alle armi convenzionali. L’Arabia Saudita elaborò il progetto Yamàma, un sistema di sicurezza affidato prevalentemente agli inglesi, ma Riyàd sull’esempio dell’Egitto, dell’Iraq e dell’Iran pensò all’industria militare per emanciparsi dalle forniture con l’estero, dopo le difficoltà frapposte dal Congresso USA. E’ necessario sottolineare che gli alti e bassi del petrolio costrinsero talvolta i paesi produttori a cercare fonti di guadagno alternative e purtroppo sembra che quello delle armi sia stato un buon affare. L’Iran necessariamente non poteva rimanere passivo di fronte agli armamenti iracheni. Nel giugno del 1989 Teheran concluse un accordo con l’URSS per la fornitura di carri T-72 e MIG 29, arrivati nel 1990, ma anche l’Iran già allora pensava alla fabbricazione di missili. Se si ricorda che il Medio Oriente possiede oltre la metà delle riserve mondiali di petrolio, questa corsa agli armamenti equivaleva a una polveriera. Quella strategia che nelle intenzioni dei mercanti d’armi era soltanto un affare e per i politici un mezzo per controllare gli armamenti, dal momento che i pezzi di ricambio dovevano essere importati dal paese fornitore, poteva trasformarsi in una catastrofe. In questa situazione va collocata la vasta eco che ebbe nei media la questione del supercannone, scoppiata nell’aprile del 1990 e legata al progetto Babylon. L’arma era meno micidiale di quelle che abbiamo ricordato, la lunghezza di ben quaranta metri lo rendeva facilmente attaccabile, ma evidentemente fornì l’appiglio per denunciare gli armamenti di Baghdad e se vogliamo preparare l’opinione pubblica a un eventuale attacco. Il supercannone è legato al nome del ricordato Gerard Bull che collaborò anche ai programmi missilistici e spaziali ed era in contatto con im-


Baghdad: Swords of Victory

portanti enti e industrie militari internazionali. Il progetto fu definitivamente approvato nel marzo del 1988 e prevedeva in realtà due tipi di cannone, il Magnùn e il Fao. Da notare che le denominazioni ricalcavano quelle di due località perse e poi riconquistate durante il conflitto. Altra “colpa” del dittatore iracheno, imputatagli dall’Occidente e da Israele, fu quella di aver rilanciato il processo di unità araba. Con una politica moderata, l’Iraq era riuscito, assieme all’assidua azione di Arafàt, a normalizzare i rapporti tra i paesi arabi e l’Egitto, contro i quali fino all’ultimo lottò soltanto la Siria. Certamente con gli auspici di Saddam Hussein, Giordania e Libia avevano riallacciato le relazioni diplomatiche nell’aprile del 1990. L’Iraq cercò inoltre di assicurarsi l’appoggio dei paesi arabi. Al vertice straordinario di Baghdad convocato, dopo un’intensa azione diplomatica, tra la fine di aprile e i primi di maggio, Saddam Hussein nel comunicato congiunto riuscì ad ottenere l’appoggio unanime sul diritto dell’Iraq al progresso tecnologico, assieme alla condanna della campagna antirachena promossa in Occidente5. 5

Sia nel discorso del 1 aprile che al vertice di Baghdad Saddam Hussein insistette sulla necessità della distruzione di tutte le armi di distruzione di massa dalla regione, comprese quindi anche quelle israeliane, posizione che fu ripetuta anche dal presidente egiziano Mubàrak. Questa difesa del patrimonio tecnologico acquisito comportava una messa a punto delle relazioni con l’Iran. I progressi dei negoziati erano stati estremamente deboli. Alla vigilia della crisi i due paesi non avevano neppure concordato lo scambio completo dei prigionieri. Lo stallo in cui erano giunti i negoziati minacciava di trasformarsi in un altro fronte, non tanto perché l’Iran voleva riaprire le ostilità, quanto per l’azione corrosiva dell’opposizione sciita irachena dell’ayatollah Bàqir alHakìm. D’altra parte gli iracheni non erano neppure rientrati nei confini. Tra maggio e giugno si ebbe notizia di aperture irachene verso Teheran. A metà maggio Saddam Hussein avrebbe inviato una lettera personale a Rafsangiani, proponendo il prosieguo dei negoziati in uno stato neutrale, evitando così le Nazioni Unite.

Il summit fu convocato su iniziativa dell’OLP per studiare il problema della emigrazione degli ebrei dall’URSS. Nel comunicato è stata sottolineata la necessità del dialogo con la CEE, sono stati condannati i mezzi di distruzione di massa, ivi compresi quelli israeliani. Da notare che il summit ha fatto propria la risoluzione del Comitato per Gerusalemme dell’Organizzazione della Conferenza islamica, che riunisce 43 paesi, sull’opportunità di convocare una conferenza tra cristiani e musulmani, onde proteggere i Luoghi Santi, proposta che ha suscitato reazioni negative, sia pure non ufficiali, negli Stati Uniti.

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Tehran (Iran) Azadi Monument (built 1971)

Non si conoscono le reazioni ufficiali, ma un editoriale del Teheran Times ricordò che la posizione iraniana non era cambiata, cioè i negoziati potevano proseguire soltanto sulla base degli accordi di Algeri del 1975, ma fonti ufficiose del Ministero degli Esteri dichiararono che in caso di guerra con Israele l’Iran sarebbe stato a fianco dell’Iraq. A Roma il Ministro degli Esteri Tareq ‘Aziz incontrò Perez de Cuellar e alla fine di giugno si parlò della ripresa dei negoziati. Teheran fu però critica sul vertice di Baghdad che nella questione dei confini si era espresso a favore dell’Iraq. Tuttavia, ai primi di giugno Rafsangiani si dichiarò disponibile a incontrare Saddam Hussein e l’Iraq inviò soccorsi ai terremotati iraniani. Al relativo avvicinamento con l’Iran, corrispose il graduale peggioramento delle relazioni con i paesi arabi del Golfo. Il contenzioso qui era sostanzialmente i natura economica. Durante la guerra con l’Iran questi paesi avevano dato il contributo maggiore a sostegno dell’economia irachena. L’Iraq a sua volta, dal punto di vista di Baghdad, aveva provveduto alla loro difesa. Da qui la richiesta di annullare il pesante debito contratto. I debiti erano una spina nell’economia irachena post-bellica. Al vertice di Amman nel febbraio del

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1990, Saddam Hussein chiese a re Husain e a Mubàrak di mediare per la loro cancellazione. Sembra che soltanto l’Arabia Saudita fosse intenzionata a cancellare la sua parte, almeno prima del 2 agosto. Ma nel gennaio del 1991 re Fahd respinse la richiesta. Un’economia che si reggeva soprattutto sulle entrate del petrolio, come quella irachena, poteva riaversi soltanto con un adeguato rialzo dei prezzi, in altre parole mantenere bassa la produzione e adeguarsi alle quote stabilite nelle riunioni dell’OPEC che il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti avevano a più riprese superato, contribuendo a mantenere bassi i prezzi che in certi casi erano scesi a 8 dollari al barile. Il problema era stato sollevato dallo stesso Saddam al vertice di Baghdad, ma fu articolato in tutte le sue dimensioni nella lettera che il Ministro degli Esteri Tàriq ‘Aziz inviò il 15 luglio al Segretario della Lega Araba Klibi. Nel memorandum i due paesi erano accusati di sovra-produzione. Nei confronti del Kuwait l’Iraq richiese la cancellazione del debito, accusando l’emirato di aver estratto petrolio dal giacimento di Rumaila, a cavallo tra i confini dei due paesi. Il Kuwait, perciò, avrebbe dovuto restituire all’Iraq 2,4 miliardi di dollari, l’equivalente del petrolio sottratto. ‘Aziz chiese


Mappa topografica dell'Iran - wikipedia

inoltre un “piano Marshall” dei paesi arabi per risanare l’economia irachena, non sollevò le “rivendicazioni storiche” sull’emirato, ma si lamentò che i confini tra i due paesi non fossero ancora definiti. Inoltre, l’emirato fu accusato di convivenza con le potenze straniere. Il Kuwait respinse tutte le accuse, ma il fatto che avesse superato la quota di produzione prevista, sembrò confermato dalle accuse anche di altri paesi dell’OPEC. Della questione del pozzo di Rumaila, si sa soltanto che l’80% è in territorio iracheno. Quanto ai prestiti che dovevano essere cancellati, lo stesso ‘Aziz, non diede una cifra esatta. A luglio l’Iraq cominciò ad ammassare truppe alla frontiera con il Kuwait. Era un’ulteriore pressione che mise in moto la diplomazia araba in particolare l’Egitto e l’Arabia Saudita. Il 24 luglio Saddam Hussein incontrò Mubàrak che si adoperò per una mediazione, assieme a re Fahd. Da questi contatti scaturì l’incontro di Gedda. Ma l’incontro forse più importante fu quello con l’ambasciatrice americana April Glaspie, convocata il 25 luglio da Saddam Hussein, incontro che, a 6

guerra finita, sollevò un dibattito negli Stati Uniti, poiché l’ambasciatrice non avrebbe opposto la ferma opposizione del suo paese ai disegni iracheni. In sostanza il presidente iracheno, oltre alle accuse precedenti, rincarate dalla campagna stampa in atto negli Stati Uniti contro l’Iraq, dichiarò che il Kuwait aveva spostato i pali di confine stabiliti dalla Lega Araba, dopo la crisi del 1961 e dopo aver illustrato le disastrose condizioni dell’economia irachena, auspicò che la crisi potesse trovare una soluzione pacifica, grazie alle mediazioni in corso, ma alluse chiaramente che altrimenti l’Iraq sarebbe stato costretto a trovare altra soluzione e questa con le divisioni ammassate al confine non poteva che essere militare. L’ambasciatrice invitò il presidente iracheno a non confondere la campagna stampa con il governo americano, auspicando il miglioramento delle relazioni tra i due paesi, dichiarò inoltre che gli Stati Uniti non avevano alcun idea sul contenzioso tra Iraq e Kuwait, ma sottolineò che una soluzione militare era “inaccettabile”6. In definitiva gli Stati Uniti si dichiaravano non vincolati da alcun trattato per intervenire nella questione, a differenza della Gran Bretagna nel 1961. Tra il 31 luglio e il 1 agosto si svolsero gli incontri di Gedda. Ma non fu il vertice previsto perché l’emiro Giàbir si fece rappresentare dal Primo Ministro e Principe Ereditario Sa’d e Saddam Hussein da ‘Izzat Ibràhim, numero due del regime. Dell’incontro abbiamo varie versioni, talvolta fantasiose. Quello che conta è che la riunione, nonostante la buona volontà di re Fahd, non approdò a nulla e il 1°agosto le divisioni irachene si avvicinarono a ridosso del confine kuwaitiano. Era l’inizio della “Guerra del Golfo”. 

Il Washington Post dell’1.10.90 scrive che il governo avrebbe inviato una circolare alle ambasciate USA interessate. Su queste basi la Glapsie avrebbe affrontato Saddam Hussein, né avrebbe ricevuto altre istruzioni. Soltanto dopo l’ incontro, Bush, probabilmente, su sua richiesta avrebbe fornito altre istruzioni, sembra non molto diverse dalle precedenti (Washington Post, 20.10.90), il che sembra avvallare che la moderazione di cui diede prova nell’incontro era suggerita dall’alto.

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E venti MESSAGGIO DEL MINISTRO DELLA DIFESA, GIAMPAOLO DI PAOLA, IN OCCASIONE DEL 66° ANNIVERSARIO DELLA FESTA NAZIONALE DELLA REPUBBLICA Roma, 2 giugno 2012 Soldati, Marinai, Avieri, Carabinieri, Personale civile della Difesa, la Celebrazione della Repubblica rappresenta, con il Tricolore, uno dei simboli più alti e nobili del Paese. Una ricorrenza di cui è protagonista il popolo, il nostro popolo che, in questo momento, si riconosce nelle comunità colpite dal sisma in Emilia e altrove. E’ intorno a loro che la Famiglia della Difesa si stringe in un abbraccio forte e caloroso. A loro va quest’oggi la solidarietà dello Stato, valore su cui si fonda una Nazione davvero coesa. Questa tragedia, infatti, non tocca solo una parte di Italiani, ma tutti. A Voi, Donne e Uomini delle Forze Armate impegnati in questi giorni nell’assistenza a questa gente colpita ma coraggiosa, rivolgo l’apprezzamento del Governo e mio personale. Il conforto, materiale e spirituale, che Voi offrite a chi sta soffrendo la perdita dei propri cari, delle proprie cose e delle certezze, è la migliore risposta possibile che un’istituzione come la nostra può dare in momenti così difficili. Lo spirito che anima l’impegno di quanti, con o senza stellette, stanno operando insieme nelle zone devastate per aiutare le popolazioni colpite dal sisma, ci consente di guardare con fiducia, nonostante tutto, al futuro. Soldati, Marinai, Avieri, Carabinieri, Personale civile della Difesa, il 2 giugno del 1946, sessantasei anni fa, gli Italiani sceglievano la Repubblica. Nasceva un Paese nuovo, democratico, animato da una forte volontà di cambiamento in ossequio ai valori di libertà, uguaglianza, giustizia sociale e solidarietà, sui quali si sarebbe fondata, un anno e mezzo dopo, la nostra Carta Costituzionale. Valori antichi, eredità di una storia nazionale gloriosa e tragica allo stesso tempo, testimonianza della determinazione di un popolo che ha saputo superare i momenti più drammatici per affermare la volontà di essere Repubblica, unica ed indivisibile. Una storia della quale le Forze Armate sono state protagoniste, erigendosi a presidio e garanzia dell’indipendenza e della sicurezza del nostro Paese, spesso al prezzo dell’estremo sacrificio. Valori che Voi mantenete vivi quotidianamente intervenendo, senza riserve e con riconosciuta efficienza, laddove la Vostra presenza è di aiuto, in Patria come nelle missioni per la pace, il mantenimento della sicurezza e della stabilità internazionale. Sentitevi, quindi, orgogliosi di appartenere alla Difesa, simbolo di unità nazionale a salvaguardia delle Istituzioni repubblicane. L’Italia sa di poter contare sempre sul Vostro incondizionato e generoso impegno e per questo Vi apprezza ed è fiera di Voi. Viva le Forze Armate! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!

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F inestra sul mondo Egitto nel caos

Il 15 giugno il Consiglio Supremo delle Forze Armate Egiziane (SCAF) ha formalmente dissolto il Parlamento, giustificando la decisione con la valutazione di anticostituzionalità della legge con cui era stato eletto lo scorso novembre. Il Consiglio di Stato, infatti, aveva segnalato come la legge elettorale, più volte emendata nel corso dell’anno da parte dello SCAF, avesse di fatto fortemente penalizzato la candidatura degli indipendenti rispetto a quelli delle liste di partito, chiedendo la revoca del voto dello scorso ottobre. Il 15 giugno, quindi, un imponente schieramento di forze militari ha circondato il Parlamento, impedendo ai parlamentari di accedere all’interno e disperdendo la folla di manifestanti che nel frattempo si era riversata nelle strade per protestare. Il Segretario della Difesa degli Stati Uniti, Leon Panetta, ha chiamato telefonicamente il Generale Mohamed Hussein Tantawi, a capo dello SCAF, esprimendo la preoccupazione del governo americano per l’evolvere della situazione in Egitto, invitandolo ad individuare una soluzione per favorire la transizione politica dopo il travagliato crollo del regime di Hosni Mubarak. Panetta ha invitato le autorità militari egiziane ad organizzare nei tempi più brevi possibili una nuova tornata elettorale per l’elezione della camera basa egiziana, sottolineandone l’importanza ai fini del mantenimento della stabilità politica e sociale. Esigenza riconosciuta da Tan-

NICOLA PEDDE

tawi, insieme all’impegno per il trasferimento del potere entro il 1 luglio dalle forze militari a quelle civili democraticamente elette. Hanno vivamente protestato contro la dissoluzione del Parlamento, definendo la manovra senza mezzi termini come un “golpe bianco”, sia l’organizzazione laica del Movimento 6 aprile - che fu tra i principali artefici della rivolta di piazza Tahrir – sia quella islamista del partito Libertà e Giustizia, direttamente riconducibile alla fratellanza musulmana. Entrambe rivendicano la validità delle elezioni che hanno insediato la camera bassa, invitando gli egiziani a riconoscere il diritto dei parlamentari di esercitare il proprio ruolo. La protesta, tuttavia, è anche stata innescata da alcuni altri emendamenti costituzionali, adottati surrettiziamente dallo SCAF e volti a limitare enormemente i poteri del futuro presidente della Repubblica egiziana. Questi emendamenti, che di fatto reintroducono una sorta di legge marziale, assegnano allo SCAF il potere legislativo, il controllo sulle leggi di bilancio, la difesa, la sicurezza interna e il potere di veto sulla nuova costituzione. L’emendamento costituzionale adottato dallo SCAF ha certamente scarse possibilità di essere accettato dall’opinione pubblica egiziana, che ha apertamente accusato il vertice militare nazionale di aver orchestrato la manovra nel momento in cui era apparso chiaramente il predominio delle forze islamiste su quelle laiche, nel tentativo in

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extremis di mantenere un potere che il popolo egiziano non sembra più disposto a voler negoziare con i militari. Se lo SCAF non dovesse dimostrare flessibilità e disponibilità al dialogo sulla questione degli emendamenti costituzionali, quindi, non è escluso che la violenza possa nuovamente esplodere nelle piazze egiziane, con conseguenze questa volta imprevedibili ma certamente nefaste per l’interesse generale della nazione. Sabato 16 e domenica 17 giugno si è invece regolarmente tenuto il ballottaggio per le elezioni presidenziali, in tredicimila seggi nelle 27 province del paese. Affluenza altalenante nei due giorni di voto, con picchi superiori al primo turno nella prima giornata, e crollo nella seconda. Entrambi i candidati hanno a più riprese annunciato la vittoria sul proprio avversario, ma la fase finale dello spoglio ha alla fine confermato il vantaggio di Mohammad Mursi, il candidato della Fratellanza Musulmana. Con 13.238.298 contro 12.351.184, Mursi ha vinto con il 52% delle preferenze, dimostrando tuttavia una spaccatura netta e pressoché paritaria dell’elettorato egiziano. Circostanza che impone una seria e precisa riflessione per i vertici della Fratellanza Musulmana, che dovranno tener conto del dato emerso dalle urne nel momento in cui saranno chiamati a guidare il paese, come inevitabilmente sarà. L’applicazione di una troppo stringente od ortodossa legislazione islamica, infatti, non potrà che generare malcontento e proteste in seno alla non certo trascurabile componente laica – o comunque non osservante – e copta della società egiziana, imponendo l’adozione di una strategia politica pragmatica e moderata sin dall’inizio. Il risultato elettorale è stato comunicato con ampio ritardo, il 24 giugno, successivamente alla lunga e laboriosa fase di spoglio. A questa, peraltro, si è aggiunta la verifica dei numerosi casi di brogli segnalati dalla popolazione alle forze di polizia, che la Commissione dovrà valutare singolarmente per appurare se, e di quale entità, si possa parlare di un condizionamento del voto degli egiziani. Un processo di verifica volutamente amplificato in termini di tempo, in modo da favorire il negoziato tra le varie forze in campo, e individuare quindi meccanismi di coesistenza, nel prossimo futuro, meno traumatici rispetto a quelli di questa complessa fase di transizione. L’oggetto del contendere è, e resta, quello delle prime fasi della rivoluzione. Si tratta di garantire alle forze armate egiziane una transizione che non intacchi il loro immenso apparato industriale ed economico, né il ruolo che queste hanno da sempre svolto nel sistema politico locale. Prerogative, tuttavia, ritenute esageratamente onerose da parte delle forze islamiche e laico-liberali, che auspicano al contrario un forte e definitivo ridimensionamento del ruolo dei militari e del loro pervasivo sistema di comando.

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La Fratellanza Musulmana, pur nell’iniziale incertezza del risultato elettorale, si è affrettata a comunicare alla stampa l’intenzione di comporre un governo – in caso di effettiva vittoria – rappresentativo dell’intero spettro politico e religioso egiziano, includendo rappresentanti della comunità copta, dei salafiti e dei gruppi nasseriani emersi prepotentemente alla ribalta in occasione del primo turno delle elezioni presidenziali. L’occasione degli incontri con la stampa è stata utile anche per inviare segnali ad Israele, che, sebbene non direttamente menzionata, è stata di fatto assicurata circa le intenzioni dell’Egitto di tener fede agli accordi internazionali nell’interesse della sicurezza e della stabilità regionale. Un comunicato che non ha convinto pienamente i vertici politici di Tel Aviv, che al contrario accusano da mesi l’Egitto di aver volontariamente diminuito l’efficacia della sua maglia di sicurezza nel Sinai, favorendo l’ingresso in Israele di guerriglieri e terroristi provenienti dal nord Africa. In quest’ottica, secondo Tel Aviv, andrebbe letto anche l’ultimo fatto di sangue lungo il confine, il 18 giugno, quando un civile israeliano è morto durante un conflitto a fuoco innescatosi durante un tentativo di infiltrazione dall’Egitto di un individuo, sulla cui sorte non si hanno notizie. Sono invece ulteriormente peggiorate le condizioni di salute dell’ex presidente Hosni Mubarak, che sarebbe adesso alimentato artificialmente e, a detta di alcuni medici, ormai clinicamente morto. L’ex rais non sembra aver reagito positivamente alla farmacoterapia somministrata in conseguenza dell’ultima ischemia cerebrale, peggiorando progressivamente fino alla totale perdita di conoscenza poco prima delle elezioni presidenziali. Sono invece scettici sullo stato di salute dell’ex rais molti esponenti della Fratellanza Musulmana, secondo i quali Mubarak sarebbe in condizioni di saluti non gravi, pressochè libero all’interno di un ospedale militare dove sarebbe riverito da personale ancor oggi fedele all’ex presidente della Repubblica. In modo particolare, denunciano gli islamisti, Mubarak sarebbe costantemente assistito dalla moglie e visitato quotidianamente dai figli, in attesa di giudizio. Uno status, quindi, del tutto diverso rispetto a quello comminato dal tribunale che lo ha condannato all’ergastolo, e che garantirebbe all’ex rais ampia libertà e discrezionalità nei movimenti e nella gestione delle visite. Una situazione generale, quella egiziana, ancora quindi altamente instabile e potenzialmente foriera di mutamenti anche drammatici. L’elemento di maggiore preoccupazione è certamente oggi quello dell’emendamento costituzionale operato dallo SCAF, che rischia di infiammare gli animi della tumultuosa piazza egiziana, eventualmente riportando nel caos l’intero paese.


a cura del

O sservatorio Strategico

Centro Militare Studi Strategici

BRICS, SOLO UNA SIGLA O QUALCOSA DI PIÙ FRANCESCO LOMBARDI E’ trascorso oramai un anno da quando il Sud Africa è entrato nel club delle potenze cosiddette “emergenti”. Fu infatti al summit di Sanya, in Cina, che il Paese più australe dell’Africa si affiancò a Brasile, Russia, India e Cina, tanto che oramai è comune l’uso dell’acronimo BRICS per indicare questi 5 stati; anche come evoluzione del preesistente BRIC, coniato nel 2001 da un funzionario della Goldman Sachs. Il raggruppamento dei 4 Paesi, nato nel 2006, a New York a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ora allargato al Sud Africa, tiene periodici vertici a livello di Capi di Stato e di Governo nell’intento di coordinare politiche comuni. I BRICS oggi pesano per il 43% nella demografia del Pianeta, con un PIL complessivo di circa il 19% del totale mondiale. Peraltro, è certo che tra meno di vent’anni il loro PIL totale potrà raggiungere, e forse superare, il 40% del totale mondiale. Al riguardo, il dibattito scientifico ed accademico si è incentrato sulla possibilità, sui modi e sui tempi con cui il peso economico dei BRICS possa tradursi in concreta ed organizzata influenza politica e strategica. Anche in relazione a quella che oramai pare essere, a detta della maggioranza degli studiosi, la progressiva perdita del ruolo di leadership della governance mondiale finora detenuta dall’Occidente. E’ certo nelle intenzioni di questi 5 nuovi forti attori assumere un ruolo maggiormente proattivo sulla scena mondiale; comunque, il solo fatto che essi tentino di coordinare talune loro politiche non apre automaticamente la possibilità di realizzare tra loro una alleanza od anche di dotarsi di una struttura stabile e con concreto peso strategico. I dati che caratterizzano i BRICS, in termini di peso economico, demografico, territoriale e, fra non molto, anche militare, ne fanno dei nuovi autorevoli protagonisti del mondo globalizzato, ma le affinità riscontrate, ed una certa comunanza di interessi, non paiono poter costituire il nocciolo intorno a cui aggregare tali Paesi, trasformando l’attuale foro di discussione, che prevede incontri a cadenza annuale, in una vera alleanza capace di influire sulle cose del Mondo con il loro peso complessivo. E’ parimenti vero che non sono noti precedenti storici di una alleanza costruita intorno ad una comune capacità economica. Le alleanze politiche, come quelle militari, si sono sempre architettate intorno ad interessi comuni, indipendenti dai tassi di crescita o dal solo potenziale economico. Come è vero che, pur in presenza di convergenze ed interessi comuni, sono poi troppo differenziate le posizioni e le caratteristiche dei Paesi coinvolti per poter individuare elementi strategici effettivamente aggreganti. Tutti i 5 Paesi hanno ambizione a diventare potenze regionali e, siccome ben 3 di essi (Cina, Russia ed India) condividono la stessa area del globo, è presumibile che gli obiettivi e gli interessi che li dividono siano maggiori di quelli che li uniscono. Le ambizioni egemoniche di questi 3 giganti rischiano, soprattutto in futuro, di collidere, rendendo evanescenti eventuali atti concertati in precedenza. India e Cina, che per il proprio crescente sviluppo necessitano di sempre maggiori risorse naturali, già si confrontano in quelle aree dove maggiori sono le disponibilità di prodotti

naturali (Africa, soprattutto). Questi due colossi, poi, si confrontano per la supremazia delle linee di comunicazione che attraversano l’Oceano Indiano, rinforzando, a tal fine, i propri apparati militari aeronavali. Al riguardo, pare evidente che l’allargamento al Sud Africa sia proprio dovuto alla necessità di sfruttare la leadership che Pretoria ha nell’intero continente. Più in generale i Paesi del BRICS paiono altalenanti tra tentativi coordinati di scardinare il dominio economico occidentale con azioni comuni e posizioni politico strategiche reciprocamente conflittuali. Così, mentre da un lato, seguono una politica di non ingerenza e di apparente assoluto rispetto della sovranità dei Paesi coinvolti in crisi di varia natura per potersi qualificare quali paladini del totale rispetto della prassi tradizionale e sfidano le istituzioni finanziarie internazionali minacciando di costituire una struttura parallela alla Banca Mondiale per sostenere lo sviluppo dei Paesi meno sviluppati, dall’altro, competono tra loro per il dominio di aree e mercati e rimodellano i loro apparati militari ampliandone la capacità di intervento strategico. Con i ritmi di crescita attuali, i BRICS tentano oramai di fare massa critica per acquisire posizioni di rilievo anche nelle istituzioni internazionali od anche offrire soccorso ai disastrati debiti sovrani del vecchio continente in cambio di precise e tangibili contropartite politiche. Si tratta di un approccio cooperativo, solitamente caratterizzato da un pragmatismo meno spregiudicato di quello degli occidentali, finalizzato ad obiettivi comuni, ma che non elimina le profonde rivalità presenti. In linea generale, è da attendersi, in futuro, parallelamente al declino strategico dell’Occidente ed all’incremento del peso strategico degli attori in questione, un ordine mondiale “multi-polare”, con relazioni ed alleanze contingenti. All’ultimo summit di New Delhi, i 5 Paesi hanno manifestato la loro pressione proprio laddove l’occidente è oggi più debole: gli aspetti finanziari, non escludendo di realizzare forme di cooperazione finanziaria parallele a quelle che hanno per decenni regolato i flussi monetari mondiali, guidate da leadership euro-atlantiche. E’ emersa peraltro, l’idea di predisporre strumenti comuni per evitare che la crisi economico-finanziaria, che pure ha interessato le economie di tali colossi, possa ulteriormente frenare i trend di crescita finora registrati. I paradigmi internazionali conosciuti dalle ultime generazioni sono in via di cambiamento. Stanno mutando gli equilibri del Mondo. L’assetto multinazionale nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale vacilla sotto il peso delle potenze nascenti e dello spostamenti degli assetti economico-finanziari. Inoltre, una stratificazione di interessi rende più articolato lo scenario complessivo; nel criticare l’Occidente sul modo con cui è stata affrontata la crisi, i 5 Paesi del BRICS hanno piena coscienza del valore che hanno ancora gli USA quale elemento principale di stimolo delle loro economie. Va pure aggiunto che le economie crescenti di questi 5 Paesi cominciano anche a presentare asimmetrie destinate ad ampliarsi e che renderanno meno convergenti gli interessi strategici, accentuando, di certo, le caratteristiche multipolari degli scenari dei decenni a venire.

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D ifesa alla Ribalta PRIMAVERA DIGITALE di Valter Cassar Primavera digitale è il tema scelto dagli organizzatori per le 25 “primavere” del Salone Internazionale del Libro di Torino. Come ogni anno, il Lingotto è tornato a contenere una innumerevole massa di libri per competere con le richieste sempre più esigenti e competenti del pubblico. Per la prima volta, due i Paesi ospiti stranieri: la Spagna con numerosi autori e con opere italiane tradotte in lingua spagnola e la Romania che a Torino è rappresentata da una grossa comunità di cittadini, che ha portato le sue opere letterarie, le sue musiche, i suoi spettacoli anche in giro per la città. Carta stampata e digitale, però, non hanno ancora completato fra loro il passaggio di consegne e forse non lo completeranno mai: continuano infatti a convivere senza infastidirsi, anzi, forse si rafforzano a vicenda e non è assolutamente vero che “digitale” è “giovani” e “carta stampata” è “maturi”. Nel Salone del Libro i giovani hanno sfogliato libri, hanno partecipato alle loro presentazioni, come i maturi hanno tirato fuori dalla borsa il loro tablet su cui hanno

fesa, con il suo stand a trasmettere su carta, o via web, la storia delle sue Forze Armate, i valori che le ispirano, le opportunità per i giovani, le risposte ai dubbi, ai quesiti, alle domande sempre più competenti sulle attività operative. Molte le attività culturali che si sono succedute presso lo stand della Difesa e diversificate rispetto al pubblico: la presentazione di undici volumi, dodici collegamenti con i teatri operativi (Libano, Kosovo, Afghanistan ed una unità della Marina Militare in navigazione), un evento con atleti militari, una conferenza sulla dematerializzazione degli archivi della Difesa, una conferenza su “I social network e il sito della Difesa”, un forum sui diritti umani e la cittadinanza attiva dal titolo “Limesbook, i confini uniscono”, una presentazione dedicata a “Il rancio di bordo, spunti di riflessione sull’alimentazione in mare nella storia”, un evento dedicato al “Progetto disarmadillo”, finalizzato alla creazione di una macchina da impiegare per lo sminamento, la conferenza “Cittadinanza

registrato i loro appunti. E non è bastata la crisi che attanaglia il Paese a fermare o a diminuire la massa dei visitatori che, peraltro, pare abbiano superato nel numero quelli degli anni passati. Con a loro presenza hanno dimostrato quanto sia ancora importante il contatto con la cultura, con gli autori, quante nuove scoperte si possono fare attraversando gli stand. E’ come fare zapping seduti in poltrona tra gli innumerevoli canali del digitale terrestre per poi fermarsi sul canale che trasmette l’argomento che più ci interessa. Così viene stimolata la sana competizione fra le varie Organizzazioni e fra i vari Editori per accaparrarsi il maggior numero di pubblico. Tra questi, immancabile la Di-

attiva e Difesa europea”, un convegno dedicato alla pubblicistica militare (in cui sono state presentate le riviste: Informazioni della Difesa cartacea e on line, Bonus Miles Christi, L’Universo, la Rivista Marittima e la Rivista Aeronautica) e, infine, le attività dell’ultima giornata in cui è stata illustrata una scena investigativa da parte del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) riguardante la ricerca di “fonti di prova” e la simulazione di “narcotest” finalizzata ad identificare le diverse sostanze stupefacenti da parte dei Carabinieri. Sul campo, su carta e su web, come dimostrano queste pagine su cui scriviamo, per restare al passo coi tempi e per incontrare i nostri interlocutori dovunque essi siano.

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D ifesa Notizie Il Comandante delle Forze ISAF in visita al RC West Herat, 2 maggio 2012 - Il Comandante del RC West, Gen. B. Luigi Chiapperini ha ricevuto in visita il Generale Allen, Comandante di ISAF. Nel corso di un briefing gli ha fornito un aggiornamento sulle principali operazioni in corso e future riguardanti il settore a guida italiana. Molti distretti della Regione Ovest sono ormai pronti per la “transizione”, cioè per il passaggio di responsabilità alle autorità afgane poiché le loro Forze di Sicurezza (Esercito e Polizia) sono in grado di pianificare e condurre operazioni autonomamente in molti dei distretti delle quattro province (Herat, Farah, Badghis e Gorh), posti attualmente sotto la responsabilità italiana. Salutando, il Generale Allen ha dichiarato che alcune delle soluzioni adottate dal RCW nel campo della Rule of Law (Stato di Diritto), del coordinamento con le forze di sicurezza afgane e della vicinanza alla popolazione locale, sono risultate vincenti e saranno di esempio per gli altri Comandi Regionali di ISAF. L’Esercito Italiano compie 151 anni Roma 4 maggio 2012 - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accompagnato dal Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, ha partecipato alle celebrazioni del 151° anniversario della costituzione dell’Esercito Italiano. Nel suo intervento, il Ministro Di Paola ha ringraziato i soldati italiani, una delle espressioni migliori del nostro Paese che, in Patria e all’estero, operano quotidianamente a tutela della pace e della stabilità internazionale. Nel corso della cerimonia, a cui erano presenti il Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Biagio Abrate e il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Gen. C.A. Claudio Graziano, il Presidente della Repubblica ha conferito l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia alla Bandiera di Guerra dell’Esercito per l’opera svolta a favore della pace e del mantenimento della stabilità internazionale. Visita in Kosovo del Ministro della Difesa Pristina 14 maggio 2012 - Il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola si è recato in Kosovo, in occasione del cambio di Comando del Multinational Battle Group West a guida italiana, che opera nell’ambito dell’Operazione NATO KFOR. All’evento

A CURA DI VALTER

CASSAR

erano presenti anche l’Ambasciatore d’Italia in Kosovo Michael L. Giffoni, il Comandante della KFOR Gen. D. Erhard Drews e numerose Autorità religiose e militari, locali e internazionali. Successivamente, il Ministro Di Paola ha incontrato il Ministro per la Kosovo Security Force (KSF), Agim Ceku, il quale ha espresso il suo apprezzamento per l’opera condotta dall’Italia in Kosovo a favore del processo di stabilizzazione, del consolidamento istituzionale e del progresso sociale ed economico. Scuola Militare "Nunziatella" patrimonio non solo delle Forze Armate Roma 23 maggio 2012 - L'Assemblea Parlamentare del Mediterraneo ha conferito alla Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli lo status di “Patrimonio storico e culturale degli Stati del Mediterraneo”. Questo alto riconoscimento è stato attribuito per “il ruolo svolto negli ultimi tre secoli, nel settore dell’alta formazione, quale motore accademico, sociale ed economico per l’Italia e per i Paesi del Mediterraneo legati alla nostra Patria”. La targa commemorativa e la pergamena sono state consegnate al Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, dal senatore Francesco Maria Amoruso, vicepresidente dell'APM e segretario della Commissione Affari Esteri del Senato, nel corso di una cerimonia svoltasi presso il Senato della Repubblica, alla presenza del presidente Renato Schifani. La Nunziatella è una delle poche Scuole Militari in Europa e nel mondo a poter vantare oltre 200 anni di storia. Un istituto di formazione dalle straordinarie tradizioni che è stato scuola per generazioni di cittadini. Mostra fotografica “I volti dei militari italiani” … i valori della Patria in un’immagine Roma 24 maggio 2012 - Il Ministro della Difesa, Giampaolo di Paola, ha inaugurato la mostra fotografica sul tema “I volti dei militari italiani" ... i valori della Patria in un’immagine”, al Salone del Sacrario delle Bandiere delle Forze

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Armate, presso il Vittoriano a Roma. La mostra resterà aperta gratuitamente ai visitatori fino al 16 luglio 2012. Nei volti raffigurati sono evidenti i sentimenti e i valori che ispirano i nostri militari nel loro impegno quotidiano: “un’immagine dice di più e meglio di tante parole..” come sottolinea il Ministro della Difesa nella prefazione del volume fotografico. Durante il percorso il visitatore potrà notare l’atteggiamento umano che caratterizza i comportamenti delle donne e degli uomini delle nostre Forze Armate impegnati nelle missioni per la pace, il mantenimento della sicurezza e della stabilità internazionale. Un Simbolo dello Stato da 198 anni Roma, 5 giugno 2012 - Alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è svolta, all'interno della Caserma “Salvo D'Acquisto”, la cerimonia per il 198° anniversario della Fondazione dell'Arma dei Carabinieri. Durante il suo intervento, il Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola ha affermato, rivolgendosi ai militari dell'Arma schierati: "Abbiamo tutti bisogno di credere in valori veri, importanti, di solidarietà, di giustizia, valori che ogni Carabiniere, nella sua orgogliosa militarità, rappresenta al meglio". Nel corso della cerimonia, cui ha partecipato il Presidente del Consiglio Mario Monti e numerosi rappresentanti del Governo e delle Istituzioni, sono state consegnate le ricompense ai Carabinieri che si sono maggiormente distinti nelle attività di servizio, e il "Premio Annuale" a cinque Comandanti di Stazione dell’Emilia Romagna, intervenuti nelle aree colpite dal sisma. Lo storico Carosello Equestre ha concluso, come da tradizione, le celebrazioni rievocando, sulle note del Nabucco di Giuseppe Verdi, la "Carica di Pastrengo" del 1848. Chiuso al CASD l’Anno Accademico 2011/2012 Roma 7 giugno 2012 - La consegna dei diplomi ai frequentatori del 63° Corso dell’Istituto Alti Studi per la Difesa (IASD) e del 14° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI), ha segnato la conclusione ufficiale dell’Anno Accademico 20112012 del Centro Alti Studi per la Difesa che ha visto la partecipazione di 249 frequentatori IASD e ISSMI, tra i quali 45 stranieri provenienti da Paesi amici e alleati. All’evento, che si è svolto presso lo storico Palazzo Salviati, erano presenti, tra gli altri, il Ministro della Difesa

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Giampaolo Di Paola , il Sottosegretario alla Difesa Filippo Milone, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Biagio Abrate, il Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa, Gen. S.A. Orazio Stefano Panato, rappresentanti delle Forze Armate, il Corpo Docente, i frequentatori italiani e stranieri e Autorità militari, civili, religiose. La Marina Militare tra tradizione e modernità Venezia 8 giugno 2012 - Il 151° Anniversario della costituzione della Marina Militare e i cinquant’anni della Scuola Navale Militare “Francesco Morosini”, sono stati celebrati nella stupenda piazza San Marco, a Venezia, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La Nave Scuola Amerigo Vespucci, attraccata davanti a piazza San Marco, è stata il simbolo di questa festa. Il Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola ha sottolineato l’importanza del ruolo odierno della Marina e, più in generale, delle Forze Armate che “parlano poco ma ascoltano sempre chi le chiama”. Nel suo intervento, il Ministro ha ricordato i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ancora trattenuti in India: “quando li ho incontrati in India a Trivandum e quando li sento al telefono – ha detto Di Paola - mi fanno sentire orgoglioso di essere un Ministro della Repubblica, di essere italiano e di essere un marinaio”. Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, il vice Presidente del Senato Vannino Chiti, i Sottosegretari di Stato alla Difesa Gianluigi Magri e Filippo Milone, il Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Biagio Abrate, il Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, il Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio di Squadra Luigi Binelli Mantelli, il Presidente dell'ASSOMOROSINI Guido Sesani, Autorità civili, militari e religiose. Eurosatory 2012 Parigi, 12 giugno 2012 - Si è tenuta, a Parigi, la mostra biennale sulla Difesa, "Eurosatory 2012", principale fiera internazionale che fornisce una panoramica sulle più recenti tecnologie e sulle tendenze future nel settore della Difesa. I visitatori hanno avuto l’opportunità di assistere a dimostrazioni di robot e droni in continua evoluzione, simulazioni, dibattiti che hanno trattato temi sulla dottrina,


sulle scelte tecnologiche e le lezioni apprese e anche la possibilità di scoprire le innovazioni tecnologiche sulla medicina operativa, sicurezza informatica, videosorveglianza, sui sistemi di visione diurni e notturni, outsourcing high-tech, elettronica e CBRNE. Hanno visitato l’esposizione, che costituisce un evento fondamentale per le aziende che lavorano nell’ambito della difesa e della sicurezza, il Sottosegretario di Stato alla Difesa Filippo Milone, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Biagio Abrate, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Gen. C.A. Claudio Graziano, il Capo di Stato Maggiore della Marina, Amm. Sq. Luigi Binelli Mantelli, il Vice Segretario Generale della Difesa e Vice Direttore Generale degli Armamenti, Gen. C.A. Mario Marioli. Le Forze Armate per l’emergenza sisma Poggio Renatico 14 giugno 2012 - Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Biagio Abrate, si è recato a Poggio Renatico per una visita alla base dell’Aeronautica Militare per incontrare i militari del nuovo raggruppamento, denominato “Una Acies”, inviato dall’Esercito in aiuto alle popolazioni colpite dal sisma. E’ composto da 300 militari, con circa 100 mezzi, che saranno impiegati negli sgomberi delle macerie, con personale del Genio dotato di macchine movimento terra ed attrezzature di vario genere, nei controlli di staticità delle strutture con gli

ingegneri militari e nei controlli del territorio, nelle aree sgomberate a seguito dei crolli (zone rosse). Altri 60 militari sono impiegati a Poggio Renatico per esigenze logistiche. Inoltre, per l’esigenza, operano circa 50 militari a Ferrara, Bologna, Mantova, Modena, S. Agostino (FE), Bondeno (FE) e Crevalcore (BO) su richiesta delle Prefetture competenti per territorio, con 20 mezzi vari, 10 vagoni letto (80 posti), 2 vagoni cisterna, 3 shelter bagno/doccia, 2 gruppi elettrogeni, 1 cisterna da 10.000 litri, 1 motopompa ed 1 torre di illuminazione. Il Comando EUROFOR chiude i battenti Firenze 14 giugno 2012 - A Firenze nella Caserma Predieri, sua sede storica, si è svolta la cerimonia di chiusura del Comando EUROFOR, la Forza Operativa Europea di Reazione Rapida composta da unità di Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Durante la cerimonia, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Biagio Abrate, ha ricevuto la bandiera di EUROFOR. Alla solenne manifestazione erano presenti anche i Capi di Stato Maggiore della Difesa degli altri Paesi membri. Il Comando EUROFOR era stato ufficialmente inaugurato dai Ministri della Difesa dei quattro Paesi il 9 novembre 1996. Oltre a numerose esercitazioni internazionali, EUROFOR ha partecipato alle missioni in Albania (2000-2001), Macedonia (2003) e Bosnia-Erzegovina (20062007).

R assegna stampa estera VERTICE DI CHICAGO – DICHIARAZIONE SULL'AFGHANISTAN dei Capi di Stato e di Governo dell'Afghanistan e delle Nazioni che partecipano all’International Security Assistance Force (ISAF) della NATO Principi generali I nostri sforzi fanno parte del più ampio impegno della comunità internazionale, come indicato dalla Conferenza di Kabul del luglio 2010, dal Processo di Istanbul sulla sicurezza e la cooperazione regionale iniziato nel novembre 2011 e dalla Conferenza di Bonn del dicembre 2011. Richiamiamo i precisi e reciproci impegni assunti nella Conferenza di Bonn del 5 dicembre 2011, che costituiscono la base della nostra partnership a lungo termine. In questo contesto, il Governo della Repubblica islamica dell'Afghanistan conferma la sua volontà di rispettare il suo impegno per una società democratica, basata sullo stato di diritto e del buon governo, compresi i progressi nella lotta contro la corruzione, dove sono rispettati i diritti umani e le libertà fondamentali dei suoi cittadini, compresa l’uguaglianza tra uomini e donne circa la partecipazione attiva nella società afgana. Le prossime elezioni dovranno essere condotte nel pieno rispetto della sovranità e della Costituzione afgana. La loro trasparenza e credibilità sarà di fondamentale importanza. In questo contesto, andando avanti, questi obiettivi incoraggeranno le nazioni

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facenti parte di ISAF a fornire ulteriormente il loro sostegno fino al 2014 ed oltre. Si sottolineano l'importanza della piena partecipazione di tutte le donne afgane nei processi di ricostruzione, politici, di pace e di riconciliazione per l’Afghanistan nonché la necessità di rispettare gli accordi istituzionali a tutela dei loro diritti. Restiamo impegnati per l'attuazione della risoluzione n. 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR) riguardante le donne, la pace e la sicurezza. Riconosciamo. Inoltre. la necessità di proteggere i bambini dagli effetti dannosi dei conflitti armati come rileva dalle relative risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. (PVR)

IL MISSILE METEOR ALLA PROVA SUL RAFALE Nell’ambito delle attività previste per l’ integrazione del missile Meteor a bordo del Rafale, è iniziata a Istres la campagna delle prove di volo che, stando al calendario stabilito, dovrebbe condurre ai primi test di separazione in configurazione reale nel prossimo autunno. Le prove di integrazione continueranno comunque fino al 2016, data per la quale è previsto l’ultimo lancio di prova e durante il quale il missile Meteor sarà verosimilmente guidato dal radar Thales RBE2 con antenna a scansione attiva (AESA) di cui dispone il Rafale. In Francia l’introduzione in servizio del Meteor a bordo del Rafale rimane fissata per il 2018, data per la quale è prevista la consegna dei primi missili di serie. (P.A.)

www.defense.gouv.fr LA DIFESA FRANCESE SU YOUTUBE Inaugurato dal Ministero della Difesa francese un nuovo canale dedicato su Youtube. Con l’accesso a Youtube, considerato uno tre siti più visitati a livello mondiale, il Ministero della Difesa francese, già presente su Dailymotion et sulla Piattaforma video governativa, ha la possibilità di allargare significativamente la propria visibilità a livello mondiale, aprendosi ad un numero sempre più vasto di internauti francesi ma soprattutto stranieri. (P.A).

NAVI PER LA GUARDIA COSTIERA SVEDESE Lo scorso 8 Marzo presso i cantieri P+S GmbH a Wolgast (Germania), è stata varata la seconda di quattro navi da pattugliamento costiero per la Guardia Costiera svedese. Con i suoi circa 52 m di lunghezza e 10 m di larghezza, la nave multiruolo KBV 032 (Kustbevakningen Vessel) sarà utilizzata dalla Guardia Costiera svedese per coprire l'intera gamma dei compiti: monitoraggio del traffico marittimo nella zona costiera, protezione delle frontiere e dogane, servizio antincendio in porto ed in mare, ricerca e soccorso (SAR) e tutela della pesca e dell'ambiente. Le KBV della Guardia Costiera sono progettate per una vita operativa di 30 anni. Le nuove navi saranno in grado di operare tutto l'anno, nel Baltico, nel golfo di Botnia, nello Skagerrak e Kategatt, così come nei più estesi laghi svedesi Vänern e Mälaren ed in zone costiere europee, anche in condizioni invernali con temperature esterne fino a -25 ° C. (M.Po.) UN A400M PER L’UNIVERSITÀ “HELMUT SCHMIDT” La Helmut Schmidt University (HSU) di Amburgo (Germania), il massimo istituto di formazione per gli Ufficiali dell’Esercito tedesco, ha ricevuto da Airbus Military, per scopi di ricerca, la fusoliera di un velivolo da trasporto A400M non più operativo. Il trasporto dallo stabilimento Airbus di Brema al campus di HSU stata una sfida logistica via acqua, terra ed aria. In primo luogo, la fusoliera ha viaggiato a bordo di un velivolo da trasporto Beluga da Brema ad Amburgo. Poi è stata spedita con una chiatta dallo stabilimento Airbus di Amburgo-Finkenwerder a Bill Brook. Infine, per gli ultimi chilometri è stato utilizzato un camion per trasposti eccezionali che ha condotto la fusoliera fino alla sua destinazione finale. I 32 metri di lunghezza, 6 metri di larghezza e circa 12 tonnellate consentiranno di utilizzare il tronco come piattaforma di ricerca per il Dipartimento di Meccatronica della HSU, consentendo di continuare la collaborazione in favore del programma A400M. Dell'utilizzo futuro beneficeranno entrambi i partner. Infatti Airbus ha reso disponibile l’infrastruttura, mentre l’HSU sarà responsabile della sua gestione, ristrutturazione e manutenzione. Entrambi i partner hanno la possibilità, insieme o con collaborazioni esterne, di utilizzare la struttura per condurre proprie ricerche. (M.Po.)

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R ecensioni MARIO MORI, GIOVANNI FASANELLA

AD ALTO RISCHIO La vita e le operazioni dell’uomo che ha arrestato Totò Riina Mondadori, Milano 2011, p. 149, € 17,50 “Ad alto rischio” è la storia di un militare e dei suoi uomini che per quarant’anni hanno combattuto terrorismo e mafia. Un libro, scritto “a due mani”, dal giornalista Giovanni Fasanella e dallo stesso protagonista, il Gen. Mario Mori. Un testo scorrevole che cattura il lettore sin dalle prime pagine, cercando di trovare (semmai vi fosse) una risposta all'interrogativo: «Perché in Italia gli investigatori più bravi, quelli che ottengono risultati e mirano al bersaglio più grosso, rischiano sempre di fare una brutta fine?». Mario Mori, Generale dei Carabinieri, infatti, ha arrestato Totò Riina, ha messo a punto nuove tecniche di investigazione, ha gestito infiltrati, ha ascoltato pentiti, ha collaborato con i Servizi Segreti di vari Paesi,…ma i suoi metodi sono stati messi sotto inchiesta e proprio dalle istituzioni che era stato chiamato a proteggere. Servire lo Stato non è mai stato facile, ma forse rimane tuttora una delle poche azioni che ancora fa onore all’individuo e per cui vale la pena “rischiare”. “Ad alto rischio” non è una spy story ma potrebbe sembrarlo, grazie all'abilità di Fasanella che gli dona le vesti della migliore proiezione cinematografica. Il giornalista “maneggia” infatti lo strumento più difficile che un redattore può maneggiare: l’intervista. Un eroe contemporaneo? Forse no, ma certamente Mori è stato un innovatore della cultura investigativa, ha seguito ciò che gli ha insegnato il suo maestro, il Gen. Carlo Dalla Chiesa, e ne ha fatto dottrina. E se qualcuno s'è posto il quesito relativo all'esistenza di una trattativa Stato-Mafia, sarà la Storia a giudicare, analizzando dettagliatamente quella profonda conoscenza del fronte avverso che Mori e i suoi uomini hanno avuto. Dagli anni di piombo, all’epoca dei giudici Falcone e Borsellino a Palermo o al ROS (Reparto Speciale dei Carabinieri) o ancora alla direzione del SISDE (Servizio segreto italiano), Mori ha combattuto guerre quotidiane, delle quali certo non si possono sempre raccontare i mezzi con cui si sono combattute, tuttavia l'essenziale è averle vinte! Un libro di rilevante interesse, mordace in certi suoi punti anche alla luce del ravvicinato contatto tra intelligence e investigazione. Indagine o intelligence dunque? Diremmo un’indagine “allargata”, per la quale oggi Mori cerca difesa nei fatti, i soli che possono rendere giustizia contro un fuorviante giudizio preventivo. (AF) FRANCESCO ZAMPONI

L’ACCESSO DEGLI STRANIERI AL PUBBLICO IMPIEGO E L’ARRUOLAMENTO DELLE FORZE ARMATE E DI POLIZIA Centro di Studi Strategici (CeMiSS) ed edita dalla Laurus Robuffo, Roma 2012, pp. 190, € 19,00 La Ricerca, elaborata per il Centro di Studi Strategici (CeMiSS) ed edita dalla Laurus Robuffo, nasce con la finalità di analizzare l’attuale quadro normativo, individuando fattibilità (anche mediante modifiche dell’attuale architettura normativa), limiti e vincoli, per l’accesso di soggetti stranieri nel pubblico impiego e, in particolare, il loro arruolamento e la loro collocazione nelle Forze Armate e di Polizia. Il dibattito è destinato a crescere sensibilmente in futuro, quanto meno nell’ambito dell’Unione europea, sia per la sostanziale equiparazione in sede giuridica di tutti i cittadini comunitari, sia per la continua compressione del concetto di “impiego pubblico”, operata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Un motivo non secondario di riflessione consiste nel ricorso all’esternalizzazione di servizi da parte della pubblica amministrazione, che in un certo senso potrebbe erodere quella graniticità del rapporto tra impiego pubblico e cittadino, in cui si manifesta il dovere di fedeltà.

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Non mancano precedenti significativi nella storia nazionale, in cui si individuano gli ascari, soldati eritrei, somali ed anche arabi, che entrarono nel nostro Esercito alla fine del XIX secolo. Più recentemente, si è registrata la proposta di avviare la costituzione di una “Brigata Albanese”, che suscitò reazioni di varia natura, non arrivando ad una concreta proposta di modifica. A completare il quadro, vengono passati in rassegna gli aspetti comparati con altri Stati, fra cui l’esperienza statutinense, i gurka nepalesi arruolati nell’esercito britannico, la legione straniera francese o il Tercio Extranjeros spagnolo. (PVR) ANTONELLA COLONNA VILASI

MANUALE D’INTELLIGENCE

Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2011, pp.143, € 14,00 Se si digita la parola “intelligence” sul più potente motore di ricerca del web, vengono individuati in 0,21 secondi 402 milioni di risultati. Molti di questi naturalmente sono fuorvianti, ma se ne eliminiamo 400, ne restano 2 milioni. Questo per dire che “intelligence” è un termine abusato, forse conosciuto da tutti ma da quasi tutti snobbato perché rievoca un alone di mistero, ricorda operazioni oscure non sempre lecite e appannaggio degli agenti segreti quindi non alla portata di tutti e, in definitiva, alla maggior parte della gente non cambia certo la vita. Perché alla gente serve e interessa conoscere le cose di un certo livello, ma occorre che qualcuno le voglia e le sappia raccontare. Forse questo “Manuale di Intelligence” è quello che fa per noi, per la gente comune, perché ci spiega l’argomento partendo dalla sua storia, dall’analisi del termine inglese, da quale sia il campo di applicazione, quali siano gli attori e come si sviluppino le loro attività. E poi, come specifica l’Autrice, Antonella Colonna Vilasi, questo è il primo manuale d’intelligence scritto al femminile. Anche questo è importante perché è scritto da una storica, giurista, internazionalista, criminologa (quindi titolata a farlo) e donna, appunto, sensibile, quindi più che i tradizionali agenti segreti 007 del passato, all’analisi del fenomeno e dei possibili scenari futuri coinvolgendo in modo semplice i non addetti ai lavori. Il testo è ricco di spunti di riflessione e, per citarne uno, il paragrafo 2.5.3 titolato “Fare dell’intelligence uno strumento di peacekeeping”.(VC) KATIUSCIA LANERI

VIAGGIO DI VITA DI VIDEOREPORTER Albatros, Roma 2011, pp. 86, € 12,00

Questo libro non è particolarmente inerente al mondo della Difesa, ma è comunque adattabile a tutti gli ambiti in cui agisce, lavora, opera una qualsiasi persona compresi i militari, perché il personaggio di questo viaggio può, anzi deve essere ognuno di noi. Ognuno di noi deve raccogliere con vigore, con entusiasmo le cuffie dell’I-pod, lo zaino in cui ci sono sempre gli stessi abiti e la telecamera che è la chitarra per il chitarrista, il trapano per il muratore, le forbici per il sarto, e prendere quel treno di corsa e percorrere tutto il tragitto per raggiungere le mete, gli obiettivi, senza mai perdersi d’animo. Nemmeno quando il treno percorre le lunghe e buie gallerie al di là delle quali esplode poi la luce intensa del sole la cui positività abbaglia le pupille abituate al buio. E’ un libro che per il suo ritmo è adatto a chi possiede una forte personalità e un forte carattere ma è altrettanto vero che può essere di stimolo a chi perde frequentemente fiducia in se stesso ecco perché lo propongo ad un pubblico giovane perché come dice Cecilia Coppola nella sua prefazione, Katiuscia e Clara spingono i giovani ad “essere ostinati nel percorso che conduce al traguardo delle proprie realizzazioni, accettarne senza sfiduciarsi gli ostacoli e rifiutarne i condizionamenti”. Me la immagino Katiuscia Laneri … no, Clara che trova 10 euro per strada e dopo pochi metri buca la ruota del motorino e il gommista le costa esattamente la banconota che ha trovato! E’ veramente fortunata. (VC)

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Sito internet di Informazioni della Difesa on line

www.difesa.it/informazionidelladifesa



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