Informazioni della Difesa - Rivista 2/2012

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N. 2/2012

Bim - Ed. Ministero Difesa - € 2,80 - Taxe Perçue

LA DIFESA IORE DEL TO MAGG A ST O L L O DE PERIODIC

Il premio più ambìto 3P: Professionalità, Professionalizzazione, Professionisti I Sistemi Unmanned Marittimi

ISSN 2036-9786


IL SITO INTERNET DEL MINISTERO DELLA DIFESA

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www.difesa.it


Informazioni della Difesa 2/2012

COMUNICHIAMOCI

La comunicazione è una delle attività che caratterizzano le società contemporanee nel cosiddetto “villaggio globale”. Essa ancor più assume carattere di importanza al verificarsi di un’emergenza per le forti emozioni che attraverso la diffusione di notizie si è in grado di provocare, per l’intrinseca capacità offerta alla leadership per controllare e in un certo qual modo guidare dette emozioni, per l’influenza – in certi casi determinante – che ha nel garantire una felice conclusione della crisi che si è venuta a determinare. In questo senso, la comunicazione è un’attività irrinunciabile per la nostra Istituzione; specie in un momento di forte crisi come quello che stiamo vivendo. Infatti, nell’attuale congiuntura economica in cui tutte le amministrazioni sono chiamate ad affrontare sacrifici per sé e per i propri dipendenti, è più che mai necessario rendere noto al pubblico e alla classe dirigente del Paese, ciò che le Forze Armate fanno a beneficio della Nazione. Questa è una funzione irrinunciabile. Lo è quando è svolta verso l’esterno ma assume grande importanza anche quando è indirizzata al pubblico interno. Perché se non c’è condivisione di intenti, ogni sforzo volto a migliorare la nostra situazione è vano. Il pubblico deve comprendere che si difende il nostro Paese non solo quando si opera all’estero, ma anche – e soprattutto – quando ci si addestra, quando si sostengono le Istituzioni in Patria, quando si espletano le attività logistiche a sostegno delle Unità impegnate in operazioni. Difesa vuol dire anche controllo e sicurezza degli spazi aerei e marittimi, ricerca e sviluppo tecnologico, concorso alla salvaguardia delle Pubbliche Istituzioni. Tutto questo i militari fanno. Non garantiscono un ritorno economico in senso ragionieristico del termine, ma il loro prodotto, la sicurezza di tutti noi, è un bene intangibile senza il quale non ci sarebbe futuro per questo Paese. Questi concetti non possono, però, essere comunicati se non sono condivisi da tutto il personale della Difesa. Ecco perché la cosiddetta comunicazione interna è parimenti importante quanto quella esterna. Obiettivi, risultati conseguiti, programmi, vanno esposti al pubblico interno affinché li possa fare propri e possa farsi portatore verso l’esterno di un unico messaggio, condiviso da tutti. In questo contesto, la pubblicistica della Difesa, con le sue diverse riviste, ha un compito fondamentale. E come tale, essa va sostenuta e alimentata. Specie in questo momento di crisi. C’è bisogno dell’impegno di tutti coloro che credono nelle Forze Armate: siano essi militari che comuni cittadini. E noi saremo ben lieti di accettare ogni contributo ci verrà offerto.


Informazioni della Difesa 2/2012

Le Rubriche Editoriale Comunichiamoci

1

Massimo Fogari

Forze Armate Il premio più ambìto Intervista al Capo di Stato Maggiore della Difesa

4

Mariele Floris

3P: Professionalità, Professionalizzazione, Professionisti

12

Luigi Francesco De Leverano

Panorama Internazionale Lo status internazionale di Taiwan

22

Rodolfo Bastianelli

Comunicazione Unione Europea: da una politica d’informazione alla comunicazione. Breve analisi storica Stefano Filippi

2 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

28

Eventi Finestra sul mondo Osservatorio strategico Difesa alla Ribalta Difesa Notizie Rassegna Stampa Estera

70 71 73 74 76 78


RE DELLA STATO MAGGIO

DIFESA N.

2/2012

Bim - Ed. Ministero Difesa - € 2,80 - Taxe Perçue

DELLO PERIODICO

Il premio più ambito 3P: Professionalità, Professionalizzazione, Professionisti I Sistemi Unmanned Marittimi

ISSN 2036-9786

Copertina Portaerei Cavour da un punto di vista particolare

n. 2/2012 Periodico dello Stato Maggiore della Difesa fondato nel 1981 Direttore responsabile Gen. B. Massimo Fogari Redazione Gen. B. Valter Cassar Ten. Col. Pier Vittorio Romano 1° M.llo Mario Polverino C I° Francesco Irde Sede Via XX Settembre, 11 - 00187 Roma Tel.: 06 4884925 - 06 46912544 Fax: 06 46912729 e-mail: informazionidifesa@smd.difesa.it Amministrazione Ufficio Amministrazione dello Stato Maggiore della Difesa Via XX Settembre, 11 - 00187 Roma

Terrorismo e media. La comunicazione del terrore

36

David Bastiani

Diritto Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione nelle decisioni dei giudici contabili

Abbonamento Italia: euro 16,40 - estero: euro 24,35

44

Francesco Paolo Mastrovito

Tecnologia I Sistemi Unmanned Marittimi

52

Antonio Evangelio

Nanotossicologia. Concetti e applicazione Autori vari

Realizzazione, distribuzione e stampa Imago Editrice s.r.l. Loc. Pezze Longhe, snc - Zona Industriale Dragoni (CE) Tel. 0823 866710 - 0823 866638 Fax: 0823 866870

Il versamento può essere effettuato sul c/c postale 27990001 intestato a INFORMAZIONI DELLA DIFESA Ufficio Amministrazione SMD Via XX Settembre, 11 - 00187 Roma Gli articoli investono la diretta responsabilità degli autori, di cui rispecchiano le idee personali.

60 © Tutti i diritti riservati Registrato presso il Tribunale Civile di Roma il 19 marzo 1982 (n. 105/982) SOMMARIO 3


Forze Armate

IL PREMIO PIÙ AMBÌTO

MARIELE FLORIS

4 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012


INTERVISTA AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA FORZE ARMATE 5


L’attuale strumento militare non è più sostenibile. Lo ha affermato il Ministro Giampaolo Di Paola, presentando il nuovo modello di Difesa. Un modello più snello ma non meno efficace. Sarà veramente così? Certamente sì. C’è uno stato di crisi che non riguarda solo la Difesa e non riguarda solo il nostro Paese. Ne abbiamo preso atto e ci siamo regolati di conseguenza, operando una revisione a 360 gradi nell’ottica di un generale riequilibrio della ripartizione delle spese tra personale, operatività ed investimento secondo parametri standard in atto presso i principali Paesi europei. Il risultato sarà uno strumento di Difesa più razionale ed efficace: meno numeroso, con mezzi all’avanguardia, con procedure informatizzate. Uno strumento con migliori capacità di integrarsi con i Paesi Alleati, insieme ai quali potremo efficacemente confrontarci con le sfide future. In sintesi, abbiamo considerato la crisi in atto come un’opportunità da cogliere per razionalizzare il sistema. Ma è essenziale far pre-

In apertura: il Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. Biagio Abrate Sopra: Afghanistan - i militari italiani incontrano gli anziani del villaggio

6 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

sente una cosa: nell’operare la revisione si seguirà il criterio della progressività soprattutto per quanto riguarda il personale, il fattore più importante e delicato delle Forze Armate. Il progetto prevede un ridimensionamento su più fronti. In particolare riguarderà, come da lei accennato, il capitolo personale, che allo stato attuale assorbe il 70% del bilancio della Difesa. Il taglio punta ad un allineamento con gli standard europei, dove la media della spesa per il personale si ferma al 50%. Tradotto in cifre, significa che complessivamente la Difesa passerà da 183 mila a 150 mila militari e da 30 mila a 20 mila civili. Con questi numeri sarà difficile garantire l’operatività dello strumento militare nel suo complesso? L’operatività e la proiettabilità dello strumento militare saranno comunque garantite, a prescindere dalla misura dei tagli. Va al riguardo fatta una considerazione: il nostro impegno fuori area in termini numerici è diminuito dalle circa 10.000 unità di pochi anni orsono alle


Sopra: Afghanistan - una pattuglia della Brigata Sassari su VTLM Lince Sotto: Baschi blu dell’ONU in Libano

FORZE ARMATE 7


Velivoli dell’Aeronautica Militare Italiana

Eurofighter 4 Stormo

Portaerei Cavour

8 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

Afghanistan


Afghanistan - attività di MEDCAP (Medical Capability) nella valle del Gulistan

attuali 6.500. È inoltre presumibile che alcuni impegni, come l’Afghanistan, nel prossimo futuro diminuiranno ed il nostro contingente, di conseguenza, potrà essere ulteriormente ridotto. Avremo quindi Forze Armate sempre idonee a far fronte alle esigenze operative. Va infine aggiunto che, come le dicevo, la crisi non riguarda solo il nostro Paese. Per questo motivo, si sta facendo sempre maggior ricorso – soprattutto in ambito internazionale – a misure improntate al cosiddetto “pooling and sharing”, ossia alla condivisione di capacità, evitando ogni duplicazione. In altri termini, se una Nazione ha la leadership in una specifica capacità, potrà mettere questa a disposizione degli altri Paesi e viceversa. Questo determinerà verosimilmente un alleggerimento del contributo nazionale richiesto, in termini di personale e di assetti. I tagli non risparmieranno nemmeno i gradi elevati. Il Ministro ha detto chiaramente che ci saranno meno Generali ed Ammiragli. Come vede questo stop alle carriere?

Meno personale richiede, implicitamente e coerentemente, meno Comandanti. È il riflesso del processo di revisione, che riguarda tutto e tutti nelle giuste proporzioni. È un fatto ineludibile, come la revisione stessa, e va pertanto accettato. D’altronde, ridurre il corpo di una struttura, mantenendo inalterata la testa, sarebbe un controsenso. Capitolo armamenti. Si taglia anche il programma JSF (Joint Strike Fighter): saranno acquistati 90 caccia F-35 rispetto ai 131 previsti. Quaranta in meno. Considerato che la componente aerotattica è fondamentale e che nell’arco di 15 anni usciranno per vetustà gli attuali Tornado, Amx e Av-8B, pensa che saranno sufficienti per garantire l’operatività del nostro Paese? Il taglio degli F-35 è stato significativo, in quanto parliamo di quasi un terzo della cifra iniziale. E questo dà, tra l’altro, la misura del senso della responsabilità della Difesa, che si uniforma “in toto” alle esigenze di economia imposte dalla crisi in atto. Quanto all’operati-

FORZE ARMATE 9


Pristina (Kosovo) Attività in ausilio alla popolazione dei Carabinieri dell'MSU

vità, e, aggiungo io, all’integrabilità con i Paesi Alleati – che un assetto formidabile come l’F35 sarà in grado di garantire al massimo grado – saranno assicurate in ogni caso. Nel nuovo modello di Difesa c’è una sostanziale rivisitazione anche delle componenti terrestri e marittime. In sintesi, ci saranno meno sommergibili e carri armati. Come si concilia questo taglio con la necessità di portare avanti le missioni internazionali? Innanzitutto va detto che ogni contributo alle operazioni fuori area viene valutato a priori, in ogni suo aspetto, in modo tale da non compromettere l’efficace assolvimento della singola missione e da non comportare pregiudizio per i compiti di difesa nazionale. Diversamente, faremmo un danno a noi e a quanti vogliamo aiutare. Ciò premesso, va detto chiaramente che i tagli sono una faccia del processo di revisione. L’altra riguarda l’investimento e la ricerca, settori sui quali la spesa militare sarà maggiormente orientata rispetto al passato, in virtù delle minori spese

10 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 1/2012

per il personale. Investire in ricerca significa incrementare il livello tecnologico ed operativo delle nostre forze. Il risultato finale sarà, per mantenere il suo esempio, l’avere sommergibili e carri armati in misura minore, ma in grado di sostenere le sfide che ci attendono, mantenendoci al passo dei nostri alleati. È un ciclo virtuoso i cui benefici non si faranno attendere, a tutto vantaggio dell’operatività, dell’integrabilità, della sicurezza del personale e della sostenibilità delle nostre Forze Armate. Sarà ridotto anche il numero di basi militari, caserme e Enti. Si punta infatti ad introitare risorse grazie alla dismissione di immobili e infrastrutture. Può farmi un punto di situazione? Certamente. I progetti di razionalizzazione e dismissione delle infrastrutture sono parte integrante del processo di revisione dello strumento militare, oltre che fonte di benefici per la Difesa, e non a caso lo stesso Ministro della Difesa sta dando personale impulso al settore. Si tratta di proseguire de-


Decollo di un elicottero dal ponte di Nave Cavour

cisamente lungo la direzione tracciata nel tempo dai Governi precedenti, anche sfruttando il particolare momento di “cambiamento” del Paese. In questo contesto ritengo mi torni utile citare due progetti di particolare rilievo, che riguardano le aree di Bolzano ed Aosta. La firma di Protocolli d’Intesa, basati sull’istituto della permuta, hanno consentito e consentiranno la realizzazione di specifici interventi infrastrutturali sugli immobili militari ritenuti strategici a fronte della cessione, da parte della Difesa, di alcuni beni non più utili per fini istituzionali. Secondo un sondaggio dell’ISPO, per il 79% degli Italiani le Forze Armate tengono alta l’immagine del nostro Paese. Ad influire su questo giudizio sono gli ottimi risultati che l’intera comunità internazionale riconosce agli uomini e alle donne impegnati nelle missioni all’estero, ma anche la pronta disponibilità dei militari ad intervenire in caso di emergenze e calamità naturali (l’ultima in ordine di tempo è stata l’eccezionale nevicata che ha investito

l’intero stivale). I tagli imposti dal necessario clima di austerity che ha investito l’Italia potrebbero inficiare questo giudizio? Penso proprio di no. Ma voglio porre l’accento su un aspetto, quello morale, che va oltre il dato operativo. Lei stessa, nel descrivere la percezione dell’opinione pubblica nei confronti delle nostre Forze Armate ha fatto riferimento ad un concetto, la disponibilità, che sottende valori di fondo quali la dedizione, la professionalità, lo spirito di servizio, l’accettazione del sacrificio come una dimensione connaturata a quella militare. Sono valori che nulla hanno a che fare con la disponibilità di risorse. Anzi, possiamo dire che la risorsa prima sia proprio il soldato che, senza “se” e senza “ma”, assolve la propria missione sia che si tratti di garantire la sicurezza a popolazioni inermi o ad un convoglio, ovvero spalare della neve per aiutare i cittadini in difficoltà.Per questo il Paese ci è riconoscente. E questa riconoscenza è sicuramente il premio più ambìto e più prezioso per noi militari.

FORZE ARMATE 11


Forze Armate

3P PROFESSIONALITÀ PROFESSIONALIZZAZIONE PROFESSIONISTI L F D L UIGI RANCESCO

12 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

E EVERANO


cavaliere del termine “professionalizzazione1” sul dizionario della lingua italiana si assiste ad una proliferazione di vocaboli che ne modulano uno solo: professione2. Tra di essi ricordiamo: professionale, professionalità, professionalizzare, professionalizzazione, professione, professionismo, professionista, professionistico. Già professione. Sembra assurdo per il nostro impianto costituzionale ed istituzionale, intriso di spirito democratico, egualitario, meritocratico e cattolico, poter pensare a qualcosa di elitario. Tuttavia l’evoluzione del sistema mondiale ha comportato anche la necessità di operare una profonda rivisitazione dello strumento militare, modificandone il meccanismo dell’alimentazione del personale esecutivo da quello basato sulla coscrizione obbligatoria a quello improntato ad una stretta volontarietà. L’evoluzione di tale assetto ha risentito pertanto anche da quanto sviluppato dalla società, ormai globalizzata, che va sempre più verso una spinta specializzazione. Figurarsi che anche nel mondo calcistico dopo essere stati abituati per anni, noi italiani calciofili, a vivere con la Lega Semiprofessionisti3, ora, dal 2009, quella stessa la chiamiamo Lega Professionisti. Quanto accaduto nelle Forze Armate è, come ovvio che sia, la necessaria conseguenza, da un lato, della marcata specializzazione professionale e tecnologica che ormai contraddistingue l’utilizzazione, anche ai minori livelli ordinativi, degli armamenti in dotazione, dall’altro, i profondi mutamenti socio-politici che hanno caratterizzato, negli ultimi vent’anni, lo scenario internazionale e che hanno indotto tutte le principali nazioni a rivedere la propria politica estera e di difesa, che vede ora gli Stati impegnare in modo reale e condiviso il proprio strumento militare. Per l’Italia, come per altri Paesi occidentali, ciò ha significato l’evoluzione del concetto di difesa soprattutto in termini di salvaguardia degli interessi nazionali, intesi come quelli geostrategici del Paese in relazione alla collocazione

A

1 2 3 4

ed al ruolo di impulso politico che esso vuole avere nel sistema delle alleanze cui appartiene. Una conseguenza di tale diverso approccio è stato, nel recente passato, l’incremento della presenza militare italiana all’estero, nell’ambito di contingenti multinazionali operanti sotto egida ONU, NATO, UE ovvero di coalizioni appositamente costituite. Un tale impegno, tuttavia, può essere onorato solo con personale che sia del tutto all’altezza della situazione e del compito operativo che gli viene affidato. In ciò, si è anche costretti dalla stessa caratteristica di interoperabilità che devono garantire le forze che di volta in volta i Paesi partecipanti alla missione mettono a disposizione per costituire i vari contingenti multinazionali. Esse, infatti, devono saper operare sul campo in forma integrata, debbono necessariamente saper agire in un contesto operativo in cui lo standard minimo di efficienza comune è la premessa obbligatoria per consentire lo stesso assolvimento, in sicurezza, della missione. In buona sostanza, quindi, nell’ambito di una unità operativa costituita su base multinazionale per lo svolgimento di una determinata missione, non possono coesistere apporti di professionisti e contributi di dilettanti. Per fare ciò l’Italia si dotò al termine del secondo millennio di una legge per la trasformazione su base interamente professionale del proprio strumento militare (legge 14 novembre 2000, n. 3314) che prevedeva, tra l’altro: • l’adozione di uno o più decreti legislativi per disciplinare tale processo di trasformazione mediante la progressiva sostituzione del personale in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e la graduale riduzione, entro il 1° gennaio 2007, degli organici complessivi del personale militare delle Forze Armate, con l’esclusione del Corpo delle Capitanerie di Porto; • la sospensione, dal 1° gennaio 2007, del servizio obbligatorio di leva, poi anticipata, di 2 anni, al 2005;

Processo per cui un’attività si specializza fino a diventare professione. Attività esercitata in modo continuativo a scopo di guadagno. La vecchia “Serie C”. Ora riassettata nel D.Lgvo n. 66/2010 “Codice dell’ordinamento militare”.

FORZE ARMATE 13


• l’entrata a regime dei nuovi volumi organici complessivi stabiliti per legge; • il completamento, al 1° gennaio 2021, del processo di trasformazione; • l’entrata in vigore degli organici secondo le suddivisioni stabilite oltre che per ciascuna Forza Armata, anche per ogni categoria in cui si suddivide il personale militare; • l’incremento del reclutamento dei volontari di truppa creando tre figure professionali: • volontario in ferma prefissata annuale (VFP1), impiegabile in attività operative anche all’estero in missioni cosiddette “di bassa intensità”, base su cui poggia tutta la piramide del personale di truppa; • volontario in ferma prefissata quadriennale (VFP4), ovunque impiegabile, naturale bacino da cui attingere per reclutare i volontari in servizio permanente (VSP) e “link” per l’equiordinazione “economica” di comparto; • volontario in servizio permanente, che permane in servizio attivo fino al raggiungimento del limite di età e per il quale l’incentivo è costituito dalla progressione di carriera, assicurata attraverso l’alimentazione, in via esclusiva, del ruolo Sergenti ed il riconoscimento, in relazione al titolo di studio posseduto, di specifiche riserve di posti per l’accesso ai ruoli dei Marescialli o a quelli degli Ufficiali. Toccò al Ministro Martino anticipare di quei due anni, rispetto al previsto (L. n. 331/20004 e D.Lgvo n. 215/20014), la sospensione della coscrizione obbligatoria attraverso un processo di implementazione ed accelerazione della professionalizzazione. Sviluppo ormai ritenuto ineludibile in quanto la decisione di disporre di Forze Armate interamente composte da personale volontario non era stata una scelta pianificata bensì la tappa finale di un processo incontrovertibile, avviatosi attraverso il superamento di una fase a modello misto5 ovvero basato su una minima componente professionale 5

6

(Ufficiali, Sottufficiali e pochi volontari di truppa) e una maggioritaria di leva, basata su coscritti e volontari in ferma annuale6, dettato dalla somma di una serie di fattori sociali e tecnici, da ritenersi irreversibili, opposti alla possibilità del mantenimento della coscrizione obbligatoria, quali: • la crescente disaffezione al servizio militare obbligatorio, percepito come una grande limitazione della libertà individuale e di dubbia utilità, unita ad un limitato consenso sociale ed alla generale opposizione all’impiego di giovani di leva al di fuori del territorio nazionale, poi dimostratasi alla resa dei fatti vacua visto il consenso che i progetti tipo “Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane” hanno registrato in seguito; • la restrizione delle disponibilità qualitative e quantitative di giovani, per effetto del notevole calo demografico e dell’incremento contestuale e silente del fenomeno dell’obiezione di coscienza, che aveva peraltro comportato l’apertura del mondo militare al servizio femminile; • le limitatissime possibilità d’impiego dei coscritti per effetto della riduzione della ferma di leva a dieci mesi e della spinta evoluzione tecnologica. Non valeva più la pena in termini di rapporto costo/efficacia impiegare il coscritto in una lunga ferma istruttiva che avrebbe avuto scarso riscontro in quella operativa; • l’assunzione da parte dell’Italia di un ruolo di peso in seno alle organizzazioni internazionali con precise responsabilità nel mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo e conseguente necessità di disporre di Forze Armate funzionali, flessibili e capaci di collaborare e di integrarsi con gli Eserciti ormai solo su basi professionali dei principali partners. Tutto ciò si andava ad innestare su un processo che dal 1995 tendeva ad avere Forze Armate basate su un modello misto. Tale linea di tendenza trovava tuttavia difficoltà nel suo sviluppo per la

Mai tradottosi in un progetto legislativo, che aveva però le sue basi nel D.Lgvo n. 196/1995 ora riassettato nel D.Lgvo n. 66/2010, ma che venne individuato nelle sue linee essenziali solo nel 2001 dal Ministro della Difesa pro-tempore (On. ROGNONI) e che prevedeva la diminuzione della forza complessiva delle Forze Armate, allora pari a 270.000 unità, a 230.000, delle quali 137.000 per l’Esercito. Anche se quest’ultimi non sono del tutto assimilabili ai militari di leva.

14 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012


scarsa appetibilità dei reclutamenti di volontari in ferma breve per effetto della: • complessità della procedura di reclutamento adottata: interforze ed interministeriale, sicuramente disincentivante per tempi e modalità selettive adottate; • scarsa possibilità di essere immessi nel mondo del lavoro (Forze Armate, Forze di Polizia o varie Pubbliche Amministrazioni) nonostante il rilevante periodo di ferma oscillante tra tre e cinque anni. In sintesi il quadro normativo, sorto nel 2000 e tuttora vigente, prevede per le Forze Armate, un volume organico complessivo di 190.000 unità (che doveva essere raggiunto entro il 1° gennaio 2007, di cui 22.250 Ufficiali, 25.415 Marescialli, 38.532 Sergenti e 103.803 volontari di truppa, di questi 60.945 in servizio permanente e 42.858 in ferma prefissata - Figura 1). Sussiste tuttavia una

tre direttrici paritetiche ed interdipendenti sulle quali gravitare: la realizzazione delle capacità operative in funzione degli impegni nazionali ed internazionali, l’integrazione multinazionale e quella interforze. Delle tre suddette direttrici, quella portante è la prima che si incentra, per quanto concerne il personale, sulla completa professionalizzazione dello strumento militare nazionale. Le buone prospettive stimate indussero il Governo ad anticipare di due anni (1° gennaio 2005) l’avvio del processo. Gli interventi di risanamento della finanza pubblica attuati negli ultimi anni hanno tuttavia inciso sensibilmente anche sulle dimensioni del modello di Difesa, comportando una decurtazione di risorse destinate sia alla funzione Difesa nel suo complesso sia al completamento del processo di professionalizzazione delle Forze Armate previsto dalla legge n. 226/20044. Gli effetti di tale quadro di situazione (Figura 2) possono ricondursi a:

MODELLO 190.000 art. 799 D.lgs 66/2010

SITUAZIONE ORGANICA ANTE MODELLO PROFESSIONALE

(D.lgs 215/2001 come modificato con legge 226/2004) RUOLO

FORZA ARMATA RUOLO E.I.

M.M.

A.M.

12.050

4.500

5.700

22.250

1° MAR.

2.400

2.178

3.000

7.578

MAR.

5.583

5.774

6.480

17.837

SERG.

16.108

5.624

16.800

38.532

VSP

56.281

10.000

7.049

73.330

VFP4

15.963

4.830

4.053

24.846

VFP1

3.615

1.094

918

5.627

TOTALE

112.000

34.000

44.000

190.000

UFF.

FORZA ARMATA M.M.

A.M.

TOTALE FF.AA.

4.150

5.700

21.900

27.500

14.800

30.500

72.800

Vol.

47.470

10.630

5.250

63.350

Tr.

49.980

8.420

13.550

71.950

TOTALE

137.000

38.000

55.000

230.000

TOTALE FF.AA.

E.I. CATEGORIA

U.

12.050

SU.

Tr.

Figura 1

Figura 2

certa flessibilità nel perseguire le dimensioni di ciascuna delle varie categorie. Infatti, le consistenze nei singoli ruoli potranno essere raggiunte fino al 2020 ovvero vi potrà essere nel periodo 2007 ÷ 2020 un “surplus” di certe categorie in attesa di colmare le carenze di altre. Il Governo decise, quindi, di intervenire sulle Forze Armate attraverso

• il mancato raggiungimento degli obiettivi di forza previsti dal modello professionale sia in termini di organici complessivi (190.000) sia nella ripartizione interna tra le singole categorie di personale; • la disarmonica alimentazione dei ruoli, con conseguente progressivo invecchiamento del

FORZE ARMATE 15


personale e quindi perdita o flesso di efficienza in quanto la disponibilità di personale giovane è una delle condizioni necessarie per poter far espletare incarichi ad elevata connotazione operativa che richiedono adeguate capacità psico-fisio-attitudinali correlate all’assolvimento di missioni operative sia all’estero che sul territorio nazionale; • il progressivo decadimento delle capacità operative dello strumento militare (perdita di efficacia); • l’aumento del precariato per la minore capacità di stabilizzazione dei volontari in ferma che costituisce un vero e proprio problema sociale; • le difficoltà incontrate dalle Forze di Polizia, a seguito dei tagli operati sulle assunzioni (blocco del “turn-over”), di alimentare le proprie carriere iniziali (reclutamento “a singhiozzo”); • gli impedimenti connessi con gli impieghi dei reclutati provenienti da diversificate esperienze anche all’estero, e dell’età d’ingresso (mediamente 26 anni) in queste carriere con problemi e situazioni familiari, anche complesse, in virtù del principio di de-regionalizzazione applicato; • il già citato taglio delle risorse finanziarie disponibili. Per esaminare nel concreto, le possibilità di realizzare quanto previsto dalla norma, occorre, innanzitutto fare il punto di situazione delle singole categorie prendendo a riferimento le consistenze esistenti all’atto dell’emanazione del su citato disposto (Figura 3). Al termine del 2001 gli Ufficiali erano 23.719 a fronte dei suddetti 22.250. Le Forze Armate avevano pertanto un limitato “surplus” (1.469 un.) di tale personale che poteva essere assorbito senza difficoltà tramite una nuova adeguata calibratura dei reclutamenti (in venti anni circa il 10% annuo di Ufficiali in meno da reclutare rispetto al dato teorico ottimale). Tra l’altro i reclutamenti degli Ufficiali erano e continueranno ad essere di piena soddisfazione sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, stante un ottimo profilo selettivo: 1:30 per l’Esercito; 1:20 per la Marina e 1:50 per l’Aeronautica. Circa i Sottufficiali

16 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

CONSISTENZE DEL PERSONALE MILITARE DELLA DIFESA - RIFERITE Al 30/09/2011 FORZA ARMATA RUOLO E.I. UFF.

12.616

TOTALE FF.AA.

M.M.

A.M.

4.439

5.876

22.931

1° MAR.

11.973

6.308

10.346

28.627

MAR.

6.945

6.842

14.233

28.020

SERG.

6.287

3.968

4.637

14.892

VSP

32.101

6.481

4.737

43.319

VFP4

17.925

2.859

1.573

22.357

VFP1

18.428

1.069

677

20.174

TOTALE

106.275

31.966

42.079

180.320

Figura 3

la situazione era nettamente diversa a seconda dei ruoli Marescialli e Sergenti. In particolare, il primo dei due ruoli presentava nel 2001 un significativo “surplus”, pari a circa 43.480 un. (68.895 effettivi a fronte di 25.415 unità del volume organico di legge), che doveva invece essere assorbito diminuendo drasticamente i reclutamenti e fasandoli con i presumibili esodi. Mentre il secondo dei ruoli (Sergenti), istituito a se stante per la prima volta nel 1995, era all’epoca “vuoto” ovvero gli effettivi erano solo 6.598 pari a circa un sesto dei volumi di legge. In sostanza, la categoria dei Sottufficiali, a fronte di un sostanziale equilibrio totale tra consistenze ed organico, doveva e dovrà essere soprattutto riequilibrata internamente tra i vari gradi e ruoli. Ciò fermo restando che non sussistono problemi di reclutamento nè per i Marescialli, dove i tassi di selezione medi sono molto elevati, nè per i Sergenti trattandosi di personale proveniente dai soli concorsi interni delle singole Forze Armate. Per quanto riguarda infine i volontari, le Forze Armate disponevano nel 2001 di 17.650 volontari in servizio permanente a fronte di un organico di 60.945 un., ovvero solo di un quarto del ruolo. In merito ai volontari in ferma breve, l’entità presente nelle Forze Armate nel 2001 non rappresentava


un dato di riferimento consolidato essendo progressivamente variabile in funzione dell’andamento dei reclutamenti annui. I tagli finanziari operati ai quali è corrisposta l’assenza di correttivi ha reso, nel breve-medio periodo, insostenibile l’attuale modello con conseguente impossibilità di assolvere i compiti assegnati allo strumento militare, che, anche alla luce dei recenti vieppiù impieghi operativi, sono oggi “configurabili” in un impiego contemporaneo di 10.000 militari in operazioni. Tale impegno, stanti le vigenti modalità di turnazione, presuppone una costante disponibilità di 40.000 ÷ 50.000 militari nell’area operativa, cui deve aggiungersi il personale in Patria necessario al loro sostegno. Urge dunque individuare ipotesi di soluzione, tali da rendere coerente lo strumento militare con le risorse finanziarie allocate e non pregiudicarne la capacità di assolvere ai precipui compiti istituzionali. A tal fine, sono ipotizzabili più settori di intervento, anche contestuali per riequilibrare lo sviluppo del processo di professionalizzazione, alla quale non si può rinunciare, quali: • la revisione del modello professionale, attraverso la riduzione dei livelli di forza e la riduzione del servizio permanente nella truppa, a similitudine di quanto accade/accaduto nei principali Paesi alleati che non annoverano tra i loro ranghi personale in servizio permanente ma solo legato a vincoli di ferma. Ovviamente tale modello dovrà essere attagliato alla situazione socioeconomica italiana, ove il “miraggio” del posto fisso assurge a principale elemento di appetibilità occupazionale e consentirebbe di contenere il tasso di disoccupazione giovanile. Dunque, occorrerebbe prevedere qualche incentivo, stante la situazione economica in cui versa il Paese, appare impensabile al momento una elargizione pensionistica “di sopravvivenza” al compimento di un certo numero di ferme senza demerito (es. 20 anni), realisticamente si può pensare invece a riserve di posti nei concorsi delle Forze di Polizia e nella Pubblica Amministrazione (già 7

esistenti peraltro) e incentivi per il ricollocamento nell’imprenditoria privata (sgravi contributivi). Peraltro si rende necessaria la continua disponibilità di risorse umane giovani e motivate proprio in quei profili di carriera – esecutivi – su cui incombono maggiormente i disagi derivanti dall’impiego prolungato in situazioni operative, cercando così di sopperire al sensibile calo di forza; • un più marcato ricorso all’autoalimentazione dei ruoli7, al fine di recuperare risorse da destinare ai reclutamenti ed alla formazione. Tale sistema consente il riempimento dei ruoli senza un incremento del volume organico complessivo della Forza Armata. ed in assenza di reclutamenti esterni, nonché una stretta interconnessione tra le categorie che formano la struttura piramidale delle Forze Armate, permettendo alle categorie di ordine superiore di essere alimentate dal basso salvaguardando il principio meritocratico e le aspettative di carriera. I ruoli degli Ufficiali e dei Marescialli potrebbero, a similitudine di quanto previsto ad oggi relativamente al ruolo Sergenti, essere alimentati esclusivamente da personale proveniente dai ruoli sottostanti. Analogamente il ruolo Sergenti, oggi esclusivamente alimentato dai VSP, potrebbe essere eventualmente aperto anche ai VFP. Peraltro, quali corollari, si addiverrebbe ad un risparmio delle risorse impiegate nella formazione del personale, nonché al rafforzamento della spinta motivazionale finalizzata al continuo miglioramento ed arricchimento professionale; • il riordino dei ruoli e delle carriere del personale, affinché si possa, a “parità di costo”, avere dimensioni maggiori o ridurre i costi del personale (esodo di Ufficiali e Sottufficiali a fronte di una maggiore disponibilità di personale di truppa “meno costoso”); • una più spiccata interforzizzazione di funzioni gestionali comuni con conseguente salvaguardia delle funzioni operative di ogni singola Forza Armata;

“Ogni soldato porta nella sua giberna il bastone di Maresciallo”, Napoleone Bonaparte.

FORZE ARMATE 17


• una riduzione della componente tecnico-amministrativa decentrando competenze all’area tecnico-operativa e ad altri Dicasteri; • il ritorno all’internalizzazione dei servizi, con conseguente risparmio di risorse finanziarie da devolvere ai compiti operativi; • la revisione dei criteri d’impiego, favorendo le movimentazioni “a domanda”, quindi non onerose, rispetto a quelle “d’autorità”; • il reclutamento di personale straniero avente i requisiti costituzionali (cittadinanza, ecc.) data la multietnicità che ormai interessa il nostro Paese; • l’incremento delle mansioni tecniche e delle potenzialità tecnologiche; • l’accettazione, nel periodo transitorio, di consistenze numeriche superiori rispetto all’andamento teorico di contrazione del volume organico e dei costi maggiori complessivi del modello. Lo sviluppo dei ruoli, nelle varie ipotesi, ha posto in evidenza che il “decalage” non è regolare ma segue andamenti altalenanti in funzione dei reclutamenti effettuati in passato e delle varie classi di età del personale presente nei ruoli. Proprio per restituire una sorta di linearità allo sviluppo dei ruoli, si potrebbe eccezionalmente accettare una deroga al rispetto dei termini numerici e finanziari ponendo eventualmente un certo limite al di là del quale lo “sfondamento” non sarebbe ammesso; • la differente distribuzione delle consistenze di personale delle varie categorie di personale rispetto agli organici di legge, senza determinare incrementi di spesa. In sostanza si tratterebbe di concedere a ciascuna Forza Armata la necessaria flessibilità per costruire un andamento dei ruoli il più corretto possibile, pianificare i reclutamenti in relazione alle rispettive esigenze funzionali, compensando finanziariamente i maggiori reclutamenti in un settore con una minore alimentazione in altri (a titolo puramente esemplificativo, detto strumento consentirebbe di attivare i reclutamenti dei VFP in A.M. e in M.M. che, in alcune ipotesi elaborate, sarebbero invece completamente azzerati. Nella fase tran-

18 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

sitoria, quindi, il nuovo modello sarebbe squisitamente finanziario in quanto i volumi organici avrebbero un valore di orientamento e di tendenza al 2030; • l’adozione di un modello di personale “riordinato” secondo ruoli configurati in maniera sostanzialmente diversa dall’architettura fissata dal D.Lgs. n. 215/20014. Da ultimo occorre evidenziare come i tagli strutturali operati finanziariamente non tengono conto che tale processo dovrebbe derivare dalla ridefinizione dei livelli di ambizione del Paese e dei compiti loro assegnati, quest’ultimi difficilmente mutabili. A ciò occorre aggiungere altre criticità riscontrate nello sviluppo del processo di professionalizzazione quali il mancato collocamento nel mondo del lavoro dei giovani congedati senza demerito, l’accelerazione imposta all’avvio del processo (due anni prima), che ha anche comportato problematiche di fuoriuscite forzose, invecchiamento generalizzato, soprattutto nel ruolo maggiormente chiamato a produrre uno sforzo operativo, ecc., nonché le sovralimentazioni operate all’inizio, evidentemente per motivi promozionali, giustificate peraltro dalla costituzione di un “nocciolo duro”, non sostenute tuttavia nel tempo. Il modello su base interamente professionale, sorto a seguito della legge n. 331/20004 ed attuato tramite i decreti delegati discendenti, ad oggi non è stato interamente realizzato con divergenze e squilibri complessivi, rispetto al riferimento teorico, anche suscettibili di modifiche (Figura 4), che si acuiscono ulteriormente qualora si passi ad un analisi per categoria. L’esame, infatti, di detto quadro fa rivelare come sia l’Esercito, la Forza Armata maggiormente impegnata nelle missioni all’estero con i suoi volontari, che paga più di tutti questo squilibrio. Tra l’altro chi pensava che la sospensione della coscrizione obbligatoria avesse avuto un notevole contraccolpo per le Forze Armate, si deve ricredere, perché tale effetto lo ha invece registrato, strano a dirsi, la società civile con il c.d. “fenomeno dei


VOLUMI ORGANICI % aderenza a modello 98,1%

95,9%

97,3% % aderenza a modello

100% -6%

-4%

-2%

+2% -1,2%

+4% +6% +4,4%

eccedenze

+4,2%

UFFICIALI % aderenza a modello SOTTUFFICIALI % aderenza a modello +6,0%

% aderenza a modello -42% -35% -28% -21% -39,0%

+10,4%

+26,4%

100% -14%

-30,7%

-7%

+4%

+8%

+12%

+16% +20% +24% eccedenze

-9,9%

TRUPPA % aderenza a modello Figura 4

bamboccioni” mentre l’universo militare se ne è addirittura giovato. Alla fine del 2011, a metà circa del processo di professionalizzazione pianificato, che si dovrebbe concludere nel 2021, emerge una serie di problematiche alle quali ovviare attraverso, ad esempio: • l’istituzione di un servizio obbligatorio per lo Stato per donne e uomini, con una durata trimestrale-semestrale estendibile previa rafferma al massimo ad un anno, da espletare per tutti a diciotto anni, in modo da evitare disparità sociali e da compiere, a scelta, in armi o quale servizio civile. Ciò al fine di educare i giovani al rispetto dello Stato, di dare loro delle regole, di informarli circa la realtà del mondo militare e di supportare, con il loro aiuto, il soddisfacimento di esigenze sociali, particolarmente sentite in un Paese che va progressivamente invecchiandosi; • il mantenimento del “core” delle Forze Armate su base professionale, basato sui seguenti presupposti: • necessità di un periodo minimo di servizio militare per l’accesso a qualsiasi arruolamento nelle Forze Armate, compresa l’Arma dei Ca-

rabinieri, e le Forze di Polizia, quantificabile in un arco di tempo da definire per avere un favorevole rapporto costo/efficacia visto anche il grande successo registrato dapprima dai VFA (volontari in ferma annuale) e dai VFP1 (volontario in ferma prefissata annuale Figura 5); possibilità di arruolarsi con ferme minime (es.: su base variabile biennale/triennale) per la truppa, rinnovabili a richiesta dell’interessato fino ad un massimo da definire e da far accettare all’Amministrazione a meno di specifici demeriti o di inidoneità fisica, con adeguati percorsi formativi, retributivi e di carriera; previsione di congrui premi di congedamento da concedere in base agli anni di servizio effettuati, tipo quelli concessi in passato in virtù della legge n. 958/19864; mantenimento in servizio permanente dopo le rafferme della sola aliquota di personale necessario all’Amministrazione sulla base delle esigenze organiche (10 ÷ 15% al massimo). Scelta da effettuarsi in base al rendimento fornito nel tempo; alimentazione delle carriere di ordine superiore

FORZE ARMATE 19


60.000 50.000 40.000 posti a concorso

30.000

domande pervenute 20.000 10.000 0 2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

Figura 5

esclusivamente da quelle inferiori (esempio di attuale “autoalimentazione” dei ruoli dell’Esercito – Figura 6); • attribuzione di specifico trattamento pensionistico per coloro che, al termine delle rafferme, vengono congedati. In alternativa prevedere il transito in altra Amministrazione dello Stato (es.: Protezione Civile, ecc.). In ogni caso, procedere alla riqualificazione a spese dello Stato in una professionalità a scelta dell’interessato durante l’ultima rafferma. La soluzione ipotizzata va tuttavia in controtendenza con la preannunciata esigenza governativa di innalzamento dell’età pensionabile.

Peraltro, appare opportuno che lo Stato abbia oggi, come non mai prima d’ora, nel settore della sicurezza una particolare attenzione che non deve esser considerata una forma di privilegio ma una presa di coscienza di certe esigenze strutturali del mondo militare. Tutto quanto suesposto induce comunque ad avvalersi di un modello misto che non prescinde tuttavia dal rendere effettivamente allettanti i reclutamenti attraverso provvedimenti contestuali, quali: • nel settore infrastrutturale ed alloggiativo: investimenti anche attraverso il “project financing” per poter adeguare gli alloggi per i volontari in servizio permanente, che contestualmente

SISTEMA DI AUTOALIMENTAZIONE

CIVILI ACCADEMIA MILITARE

SSE

NOMINA DIRETTA

U. RN

U. RS

GRADO VERTICE DEL RUOLO Figura 6

20 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

UFP

MAR

SERG

VSP

VFP4

VFP1


bisogna equipaggiare adeguatamente e dotare di “benefits” e di altri incentivi per poter essere, come nel campo della moda, un modello da imitare. Ciò, in quanto solo attraverso una sistemazione ottimale del volontario in servizio permanente si riesce ad incanalare il maggior numero possibile di adesioni verso queste figure professionali; • nel settore del trattamento economico del personale militare: atteso che non appare più dilazionabile un adeguamento agli standard europei che consenta al personale militare di confrontarsi nei molteplici consessi internazionali con i militari cooperanti senza alcun “complesso di inferiorità”, premialità per la meritoria azione che le Forze Armate, da più di un decennio, hanno intrapreso nell’ambito delle operazioni per il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale suscitando il plauso dell’intera comunità mondiale, che non comporta necessariamente oneri aggiuntivi, basterebbe una revisione della struttura del trattamento economico; • sulla dislocazione delle Unità e degli Enti: costruzione di nuove e funzionali infrastrutture al sud ovvero nel bacino da cui proviene la maggior parte di volontari8. Ciò “per portare possibilità di lavoro” dove esiste il potenziale maggiore di aspiranti, per incrementare in termini indotti il livello di vita dei volontari nonché per venire incontro alla giusta aspirazione di poter prestare servizio prima o poi vicino ai propri paesi di origine; Nord 6%

Centro 14%

Sud 80%

Scuola media inferiore 70%

• nel settore della comunicazione esterna: in modo da incrementare il consenso sul ruolo svolto dalle Forze Armate e motivare sempre di più il relativo personale, ampliandone la portata. Ovviamente quanto sopra indicato ha dei costi decisamente superiori a quanto pianificato in sede legislativa. Basta però confrontare con gli altri Paesi i dati maggiormente significativi sul bilancio ovvero sulle risorse disponibili per la Difesa per comprendere come lo Stato italiano non possa pensare di ottenere efficienza e operatività a costi nettamente inferiori a quelli degli altri Paesi. In sostanza, vi sono per il Governo italiano due possibilità realistiche: • diminuire gli obiettivi di politica estera, ormai da molto tempo perseguiti anche per il tramite dell’impiego delle Forze Armate, ovvero ridimensionare il ruolo del Paese ed eventualmente la consistenza del suo apparato militare; • incrementare le risorse da destinare alla funzione sicurezza portandole al livello degli altri “partners”. Soluzione quest’ultima che appare, peraltro, ineludibile se nel contesto della prevista “Difesa Europea” si vorrà avere lo stesso “peso politico” degli alleati nelle decisioni e nelle responsabilità, comprese quelle aventi riflessi sul benessere economico della Nazione. Indipendentemente dalle scelte operabili il tutto dovrà tradursi verosimilmente in una legge-delega che modifichi il corpo normativo vigente soprattutto in termini di dotazioni organiche. Ove non venisse presa alcuna decisione il sistema Scuola media prima o poi non sarà più in grado di esprisuperiore 30% mere una sufficiente capacità operativa per la demotivazione del personale, le carenze organiche e la vetustà di armi, mezzi ed equipaggiamenti. 

Figura 7 8

Basti pensare ai dati sulla provenienza già registrati fino al 2003 (spinta meridionalizzazione, ecc. con annesso scarso livello di scolarità - Figura 7).

FORZE ARMATE 21


Panorama Internazionale

22 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012


LO STATUS INTERNAZIONALE DI

TAIWAN

RODOLFO BASTIANELLI

PANORAMA INTERNAZIONALE 23


no dei temi politici più delicati che la Cina si è trovata a gestire nell’ultimo decennio riguarda la questione di Taiwan, un problema assai complesso che è stato causa di non poche tensioni tra Pechino e Taipei. Si tratta di un rebus diplomatico di difficile soluzione e le cui origini risalgono alle vicende cinesi degli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Ed il primo punto da evidenziare in questo intreccio riguarda il nome dello Stato, visto che il Paese indicato come Taiwan ufficialmente si chiama “Repubblica di Cina” e si considera il successore dello Stato repubblicano fondato nel 1912 da Sun Yat – sen. Dopo la sconfitta per mano delle forze comuniste di Mao Zedong nel 1949, il governo nazionalista di Chiang Kai – shek si rifugiò sull’isola di Taiwan dove, secondo la versione ufficiale, si era “temporaneamente trasferito” nell’attesa di riassumere il controllo di tutto il Paese. Il regime nazionalista, che si considerava come il legittimo rappresentante di tutta la Cina, forte del sostegno di Washington conservò il suo seggio alle Nazioni Unite nonostante l’opposizione di Pechino che riteneva come il governo di Taipei dovesse essere escluso dai lavori dell’organizzazione non esercitando alcun controllo sul territorio cinese. Il nuovo scenario geopolitico creatosi dopo il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina Popolare attuato allo scopo di contenere la politica sovietica in Asia avrà però delle notevoli ripercussioni sulla questione taiwanese. Sarà così che l’Assemblea Generale dell’ONU il 25 Ottobre 1971 approverà la “Risoluzione 2758” con cui Taiwan sarà espulsa dalle Nazioni Unite e sostituita dalla Cina Popolare che, di conseguenza, entrerà a far parte come membro permanente anche del Consiglio di Sicurezza. Per effetto della risoluzione Taiwan veniva impossibilitata a rientrare nell’organizzazione anche solo in rappresentanza del territorio sul quale il governo nazionalista

U

24 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

esercitava la sua autorità, in quanto questa definiva l’isola come una provincia cinese priva di una propria soggettiva internazionale. Per Pechino quindi la “Repubblica Popolare Cinese” costituisce il solo legittimo governo del Paese e la sua proclamazione avrebbe posto termine all’esistenza della “Repubblica di Cina”, la quale oggi costituisce solo la ventitreesima provincia cinese e non possiede alcun titolo per agire come un’entità statale sulla scena internazionale. Queste affermazioni sono ovviamente respinte da Taipei che, citando a sostegno di questa tesi le vicende successive al secondo conflitto mondiale, al contrario sostiene invece come la “Repubblica di Cina” sia uno Stato sovrano e che la Cina Popolare non ha mai esercitato un’effettiva sovranità su Taiwan. Parte dell’Impero Cinese dal 1683 – anche se l’autorità era solo nominale – l’isola venne ceduta al Giappone nel 1895 con il Trattato di Shimonoseki e, dopo la resa delle armate nipponiche alle forze alleate nell’Agosto 1945, ritornò sotto il controllo del governo nazionalista di Chiang Kai – shek che poco dopo la dichiarò ufficialmente provincia della Repubblica di Cina, tanto che l’isola elesse otto rappresentanti allo “Yuan Legislativo” partecipando nel 1946 con i suoi delegati all’elezione del Capo dello Stato all’interno dell’“Assemblea Nazionale”. Gli eventi del dopoguerra non contribuiscono a definire completamente la questione. Nel Settembre 1945 il Comandante Supremo delle Potenze Alleate Douglas Mc Arthur emanò il “General Order No. 1” con il quale si ordinava alle forze nipponiche in Cina ed a Taiwan di arrendersi nelle mani di Chiang Kai – shek, un atto che per diversi studiosi rendeva incerto lo status dell’isola, essendo questa posta sotto il controllo del governo della Repubblica di Cina pur rimanendo ancora formalmente un territorio giapponese. Questa difficile situazione sarà alla base della violenta protesta popolare


In apertura: Cina - Pechino - Palazzo Imperiale Sopra: Taiwan - Tapei National Palace Museum - foto Wikipedia

esplosa il 28 Febbraio 1947 a Taiwan. Esasperata per il malgoverno delle autorità nazionaliste, la popolazione taiwanese chiese una maggiore autonomia all’interno della Repubblica di Cina oppure che l’isola venisse posta sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite o proclamasse la sua indipendenza1. In seguito, con la firma del Trattato di Pace tra Giappone e Repubblica di Cina sottoscritto a Taipei nel 1952, Tokyo rinunciava ad ogni diritto su Taiwan e le Isole Pescadores e dichiarava privi di validità tutti i precedenti accordi raggiunti tra i due Paesi. Se da un lato quindi il trattato non ha trasferito espressamente la sovranità alla Repubblica di Cina, tuttavia è innegabile come la Cina Popolare, che non riconosce alcuna va1

2

lidità agli accordi sottoscritti dal governo nazionalista, dalla sua fondazione non ha mai esercitato alcuna autorità sull’isola. Come sottolineò allora in una nota il Dipartimento di Stato, il governo nazionalista aveva “il controllo effettivo” di Taiwan e delle Isole Pescadores così che, con l’entrata in vigore del trattato di pace con il Giappone, queste erano diventate “de jure” il territorio della Repubblica di Cina2. Sul piano del diritto internazionale non mancano poi gli esperti che fanno notare non solo come Taiwan, esercitando il controllo su un territorio con una popolazione stabile, disponendo di un proprio Governo e della capacità di entrare in rapporti con altri Stati, sarebbe in possesso dei requisiti per venire ammessa alle

Sull’episodio vedi Taiwan’s 228 Incident: The Political Implications of February 28, 1947, The Brookings Institution, Center for Northeast Asian Policy Studies, Washington D.C, 22 Febbraio 2007 Sull’argomento vedi HENCKAERTS, The international status of Taiwan in the new world order: legal and political considerations, Kluwer Law International, Londra 1996

PANORAMA INTERNAZIONALE 25


Sopra: Taiwan - Tapei, Chiang Kai-Shek Memorial Hall Sotto: Taiwan Yangmingshan National Park - foto Panoramio

26 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012


Nazioni Unite, ma che la stessa risoluzione nella condizione di non poter essere ammessa dell’Assemblea Generale con cui Taipei fu a qualsiasi istituzione internazionale data l’opespulsa dall’ONU presenti diverse incongruenze posizione della Cina Popolare e può solo pargiuridiche. A questa avrebbero dovuto applitecipare ai lavori di organizzazioni “non carsi infatti i principi del “distacco” di una governative” per le quali non è richiesta la departe di Stato dall’altro, ammettendo così nelnominazione ufficiale dello Stato. Taipei oggi l’organizzazione la Cina Popolare che aveva asintrattiene formalmente rapporti diplomatici sunto il controllo della parte continentale del con 23 Paesi, dei quali il più importante è coPaese ma conservando stituito dalla S. Sede, e allo stesso tempo il segdelle relazioni “non uffigio della Repubblica di ciali” con numerosi altri Cina che esercitava anStati attraverso degli “Ufcora la sua sovranità sulfici di Rappresentanza” l’isola di Taiwan. che però non possono In questo caso la queportare il nome ufficiale stione poggia però essendello Stato né esporre la zialmente su questioni bandiera e lo stemma napolitiche. Attualmente zionale. Abbandonata la l’opinione degli esperti è rivendicazione a rappreche l’isola costituisca sentare il legittimo goun’entità sui generis, esverno di tutta la Cina, sendo considerata dalla Taiwan dai Paesi con cui comunità internazionale mantiene relazioni uffiparte integrante della ciali è riconosciuta con il Cina Popolare ma agendo nome di “Repubblica di sulla scena diplomatica Cina” e non come un’enSun yat Sen in Japan 1901 - foto Wikipedia come uno Stato “de tità statale indipendente5. facto” indipendente3. Questo ha portato i diEd è questo il paradosso della questione taiwaversi Stati ad usare diverse formule diplomatinese. che per gestire il problema. Difatti anche se la Conservando lo “status quo”, Taipei continuegran parte dei Paesi riconosce la Cina Popolare rebbe ad agire come uno Stato “de facto” indied accetta il principio dell’esistenza di “una pendente ma sarebbe impossibilitato ad essere sola Cina”, il significato attribuito a questa ammesso a qualsiasi organizzazione internaespressione risulta diverso da quello inteso da zionale, mentre nel caso proclamasse l’indipenPechino, visto che, a cominciare dagli Stati denza rompendo i legami con la Cina, Uniti, la maggioranza non ha formalmente ririacquisterebbe la sua piena soggettività ma si conosciuto la sovranità cinese su Taiwan che troverebbe esposta al rischio di un’immediata viene tuttora ad essere considerata come azione militare da parte di Pechino che davanti un’entità statale “de facto” autonoma4. Dopo a questa eventualità ha sempre dichiarato di l’espulsione dalle Nazioni Unite, Taiwan si trova essere pronta ad usare la forza.  3

4

5

Su questo vedi CHIU, The International Legal Status of the Republic Of China, Maryland University School of Law, Occasional Papers / Reprints Series in Contemporary Asian Studies, No. 5/1992 Vedi su questo HSIEH, The Taiwan Question and the One-China Policy: Legal Challenges with Renewed Momentum, Journal of International Peace and Organization, Berlin University Press 2009 Sugli aspetti giuridici della questione taiwanese vedi CRAWFORD, The Creation of State in International Law, 2a Ed., Clarendon Press, Oxford 2006.

PANORAMA INTERNAZIONALE 27


Comunicazione

UNIONE EUROPEA:

DA UNA POLITICA D’INFORMAZIONE ALLA COMUNICAZIONE. BREVE ANALISI STORICA

28 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 2/2012

STEFANO FILIPPI


Il problema della creazione di uno “spazio pubblico europeo” come base di una efficace politica di comunicazione a percezione dei cittadini dei Paesi Membri circa il reale significato dell’Unione Europea e di tutto quello che ne consegue per la loro vita quotidiana è, quanto meno, incerta. Il senso di distacco da questa istituzione sovranazionale è stato un dato costante nella storia continentale degli ultimi sei decenni, dalla fondante dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 sino ad oggi. Tutti gli sforzi profusi dall’Unione Europea, dalle sue istituzioni e anche da tutte le altri parti coinvolte nel processo d’integrazione – Stati membri, organi di livello locale, sindacati e partiti politici, associazioni – per sviluppare e radicare un comune senso di appartenenza, non sembrano aver coinvolto i cittadini europei in modo tale da poter parlare di “Europa dei Cittadini”. Non è semplice delineare le possibili cause della disaffezione nei confronti di questa peculiare istituzione: da un lato le particolari vicende storiche europee, che si ripercuotono ancora oggi sul tessuto sociale ed economico dei suoi Stati; dall’altro non aiutano certo le ambiguità delle definizioni politico-istituzionali dell’Unione. Sembra comunque chiaro che i decenni di storia dell’integrazione europea siano trascorsi senza coinvolgere, se non parzialmente, l’opinione pubblica. Tale situazione si è verificata in particolare sino agli anni ottanta: in questi tre decenni iniziali di costruzione delle istituzioni europee i cittadini degli Stati membri hanno beneficiato dei vantaggi dovuti all’apertura e all’unificazione del mercato senza sopportarne i relativi costi. Solo a partire dagli anni Novanta – quando il cammino verso la moneta unica, presentata ai cittadini da una delle più imponenti campagne d’informazione attuate insieme dalle istituzioni nazionali e comunitarie, è scandito da una serie di misure economiche che com-

L

COMUNICAZIONE 29


portano sacrifici – si diffonde una maggiore consapevolezza dell’appartenenza all’Unione. Questa breve premessa manifesta l’esigenza della creazione di una sfera pubblica europea, o “European Public Sphere”, per fare in modo che la politica comunitaria, le cui finalità di solito sono poco comprese dalla opinione pubblica, trovi ascolto nella società contemporanea. Alla costruzione di una opinione pubblica europea sembrano dedicati gli sforzi di una rinnovata politica comunicativa da parte delle istituzioni comunitarie, che sono passate dalla semplice politica d’Informazione fino agli anni ottanta – con un flusso unidirezionale di tipo top-down – ad una più completa politica di comunicazione, con interazioni continue e complesse fra le istituzioni ai vari livelli e tutti gli attori della vita politica, sociale ed economica europea. Per meglio comprendere come l’Unione Europea, ed in particolare la Commissione, abbia deciso di modificare la propria politica di comunicazione, verrà tracciata una breve sintesi storica dalle origini della politica di informazione sino alla Commissione Prodi, per poi chiudere con un esame delle principali decisioni in materia di comunicazione prese dalle istituzioni europee nell’ultimo decennio.

La politica d’informazione comunitaria dalle origini alla Commisione Prodi Con l’insediamento dell’Alta Autorità della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nel 1952, sotto la guida di Jean Monnet, ispiratore della solenne “dichiarazione Schuman” del 9 maggio 1950, si creava la necessità di suscitare fra la gente comune uno “spirito europeo” di consenso intorno al progetto funzionalista europeo. Proprio Monnet, già nel 1953, volle la creazione di un piccolo staff, chiamato “Servizio comune di stampa e informazione”, che si sarebbe occupato di redigere un rapporto mensile sulle attività della CECA destinato non solo

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alle altre istituzioni comunitarie, ma anche alle organizzazioni della società civile. Scopo principale era quello di divulgare, al meglio, il lavoro e le attività della Comunità, mentre uffici locali di stampa e informazione comunitaria si insediavano nelle capitali europee, per trasmettere agli organi di stampa e alla società civile i materiali proposti. Già nel 1958, con l’entrata in vigore dei Trattati di Roma che istituivano la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea per l’energia atomica (CEEA o Euratom), ci furono i primi conflitti di competenza, dovuti proprio a questo complesso quadro istituzionale, con i tre esecutivi che sviluppavano autonome attività d’informazione. Tale situazione conflittuale, poco adatta alla creazione di uno spirito unitario europeo, si sarebbe conclusa solo nel 1967 con il Trattato di fusione degli esecutivi, che portò anche alla unificazione degli uffici del Portavoce. Tale figura fondamentale, che opera per modellare l’informazione europea con il Servizio comune di stampa e informazione, confluirà poi nella Direzione generale stampa e informazione X, la cosiddetta DGX, in funzione fino al 1999, epoca delle riforme della Commissione Prodi. Alcune caratteristiche della politica d’informazione delle istituzioni europee nell’arco di questi quattro decenni possono essere delineate, seguendo il percorso evolutivo delle Comunità. Un primo esempio della stretta relazione esistente fra la politica d’informazione e l’evoluzione del cammino europeo lo troviamo all’epoca della “crisi della sedia vuota”, che negli anni 1965 e 1966 videro la Francia del Generale De Gaulle contrapporsi agli altri partner europei, anche con riguardo alla politica d’informazione attuata dal Servizio Comune, considerata troppo comunitaria e poco attenta alle esigenze dei singoli Stati membri. L’intento era di porre sotto sorveglianza l’informazione proveniente dalle istituzioni europee, informazione che non doveva essere lasciata sotto l’esclusiva autorità della Commissione e dell’Alta Autorità.


Durante i successivi anni Settanta lo scenario di fondo cambiò perché sia la classe politica sia gli intellettuali realizzarono che il processo d’integrazione non poteva progredire se non si includevano gli aspetti politici, sociali e culturali: si doveva passare da una Comunità Europea intesa come un’area di semplice sviluppo economico a una diversa concezione di Europa, più globale e completa. In questo senso dovevano essere sviluppate due differenti dimensioni: • una interna, relativa agli aspetti culturali e sociali di una nuova e più evoluta relazione tra la Comunità e i suoi cittadini; • una esterna, riguardante la dimensione politica della Comunità e la sua capacità, da sviluppare, di attore in grado di agire sempre di più sul piano internazionale. La necessità di accrescere un più profondo senso di appartenenza europeo fu al centro di alcuni importanti documenti di quel periodo. Il cosiddetto “rapporto Tindemans”, pubblicato il 29 dicembre 1975, lanciò diverse proposte riguardanti la politica estera e la creazione di iniziative legate alla sfera economica, sociale e regionale, con l’intento di avvicinare l’Europa ai suoi cittadini anche attraverso una comune politica di educazione e di informazione. Forse per la prima volta appariva chiaramente la necessità di un salto qualitativo: da un’Europa vista come un’entità economica, forgiata da circa venti anni di integrazione, a una nuova entità politica. Tale tema fu ripreso circa dieci anni dopo in un documento fondamentale l’”Europa dei cittadini” (Citizen’s Europe), stilato dal cosiddetto “Comitato Adonnino” nel 1985. In tale rapporto vedono la luce alcune idee che serviranno a mettere le basi per la creazione di un comune sentire europeo: i programmi di scambio per studio, i gemellaggi fra comuni europei, la partecipazione dei cittadini alla vita politica degli stati membri di residenza, la individuazione di una bandiera e di un inno e molto altro 1

ancora. Con particolare riferimento al tema dell’informazione, veniva sollecitata la possibilità di finanziamento delle co-produzioni televisive ad opera di produttori cine-televisivi di almeno due Stati membri e si auspicava, allo stesso tempo, la creazione di un vero canale televisivo multilingue europeo1. Nonostante tali autorevoli spinte alla creazione di un’opinione pubblica europea, in quel periodo erano ancora presenti solo le singole opinioni pubbliche nazionali. Gli avvenimenti a cavallo dell’inizio degli anni Novanta (crollo dei regimi comunisti nel 1989 e prima guerra del Golfo nel 1991), spinsero le istituzioni europee ad un nuovo sforzo comunicativo, con l’intento di superare le critiche rivolte ad un’Europa ancora una volta divisa ed in secondo piano di fronte all’alleato statunitense. In questa ottica si cercò di migliorare l’accesso all’informazione e ai documenti per rendere più chiaro e vicino ai cittadini il panorama delle realizzazioni comunitarie. Vennero quindi potenziati e rilanciati gli strumenti dislocati sul territorio degli Stati membri o più facilmente raggiungibili dai cittadini anche attraverso le nuove tecnologie: • aumentò lo sforzo informativo, calibrato sulle sensibilità locali e declinato nella lingua nazionale, ad opera degli Uffici di Rappresentanza della Commissione dislocati nelle capitali europee; • vennero rilanciati i centri d’informazione europea sul territorio, quali i Centri di documentazione europea presso le università e creati gli Infopoint, in un’ottica di decentramento più possibile vicino ai cittadini in una utile struttura a rete; • furono ampliate e promosse le banche dati europee, come CELEX per il diritto comunitario, CRONOS per i dati statistici, REGIO per i dati socio-economici e regionali; • fu attivata nel 1991 la “Action Jean Monnet”, volta a rafforzare sempre di più la coopera-

Rapporto dalla Commissione ad hoc sull’Europa dei cittadini, in Bulletin of the European Communities, marzo 1985, n.3, pp. 111-117.

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In apertura: Sede della Commissione Europea a Bruxelles Sopra: Sede del Parlamento Europeo a Strasburgo

zione tra l’Unione Europea e il mondo universitario. Tali sforzi furono completati da un primo tentativo di riforma dei servizi d’informazione, attuato nel 1993, seguito poi da alcuni interventi, più incisivi a partire dal 1995, che riguardarono direttamente la diffusione dell’informazione attraverso i media audiovisivi e le nuove tecnologie: dal piano “Media”, per sostenere la produzione europea di fiction, alla nascita di “Europa via satellite” (una emittente televisiva controllata direttamente dalle istituzioni, che si affiancava a EURONEWS, per fornire un servizio di immagine continuo sulla vita politica dell’Unione), all’apertura del server pilota “Europa” sulla rete Internet, per permettere agli utenti sparsi in tutto il mondo di accedere alla informazione più completa possibile sulle attività dell’Unione. Parallelamente, sempre nel 1995, fu approvato il programma PRINCE che lanciava

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tre importanti campagne d’informazione: • “Cittadini d’Europa”, per rendere gli europei maggiormente consapevoli dei loro diritti di cittadini e di consumatori; • “L’Euro, una moneta per l’Europa”, la massiccia campagna volta a stimolare l’interesse intorno alla moneta unica; • “Costruire l’Europa insieme”, che affrontava il rapporto costi e benefici del processo d’integrazione.

La Comunicazione europea nell’ultimo decennio Con l’insediamento della Commissione Prodi, nel settembre del 1999, si ha un cambiamento che determina il passaggio da una politica d’informazione ad una di comunicazione dell’Unione Europea, caratterizzata da due fattori qualificanti: una maggiore collaborazione in-


teristituzionale a livello comunitario e la ricerca di un maggiore coinvolgimento, in chiave di una più convinta assunzione di corresponsabilità, degli Stati membri. Quanto esposto trova una compiuta definizione nel 2001, quando la Commissione pubblica una Comunicazione rivolta alle altre istituzioni europee2 divisa in tre punti (cooperazione interistituzionale e con gli Stati, riorganizzazione dei servizi della Commissione ed infine un’appendice sugli strumenti dell’attività d’informazione), mirante a definire le politiche d’informazione adatte a rendere l’Europa più concreta e vicina al cittadino. Un altro documento, un Libro Bianco pubblicato nello stesso anno riguardo alla “European Governance”, riprende il concetto della necessità di una più stretta collaborazione inter-istituzionale e con gli Stati membri, perché nel flusso delle comunicazioni prevale sempre la chiave di lettura nazionale3. Negli anni seguenti la stessa impostazione viene ripresa ed approfondita in una serie di importanti documenti, ad opera principalmente della Commissione. Nel 2005 viene stilato un piano d’azione per assicurare una Comunicazione sull’Europa più efficace, attraverso un migliore uso delle risorse umane e finanziarie, nella convinzione che “Communication is more than information”4. Nel piano d’azione vengono definiti anche tre principi considerati strategici: ascoltare, perché la comunicazione non è a senso unico, ma è un dialogo; comunicare ogni politica comunitaria avente un impatto diretto sulla vita di tutti i giorni dei cittadini; collegarsi con i cittadini andando più possibile sul piano locale. A tale piano d’azione segue, l’anno successivo, il “Libro bianco su una politica europea di Co2

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municazione”, ad opera della Commissione che, partendo dalla constatazione “che vi sia una grande distanza tra l’Unione europea e i suoi cittadini”5, propone una serie di misure adatte a ridurre tale distanza, passando “da una comunicazione basata sulle istituzioni a una comunicazione basata sui cittadini, da un approccio incentrato su Bruxelles a un approccio più decentrato”. L’analisi della situazione esistente porta la Commissione ad affermare che, come già illustrato nel primo capitolo di questa presentazione, la sfera pubblica ove si svolge la vita politica in Europa è essenzialmente una sfera nazionale, nonostante molte delle decisioni politiche con ricaduta diretta sulla vita quotidiana dei cittadini siano prese a livello europeo. Come creare allora questa “sfera pubblica europea”? In estrema sintesi, la Commissione propone di intervenire tramite la definizione di principi comuni; il coinvolgimento dei cittadini attraverso il miglioramento dell’educazione civica, mettendo i cittadini in comunicazione fra loro e collegandoli con le istituzioni pubbliche; attraverso la collaborazione con i media – per dare all’Europa un volto umano agendo anche a livello nazionale, regionale e locale – e l’utilizzazione delle nuove tecnologie. L’importanza della Comunicazione nello sviluppo di una sfera pubblica europea è sottolineata anche successivamente, perché “i media audiovisivi rimangono la fonte d’informazione preferita per quanto riguarda le questioni europee”6. Alla fine del 2007 viene affrontato un altro importante aspetto della moderna Comunicazione: Internet7. La Commissione Europea, come si è già ricordato, aveva iniziato in una prima fase ad utilizzare la rete per avvicinare i

Comunicazione della Commissione europea. Un nuovo quadro di cooperazione per le attività di politica dell’informazione e della comunicazione nell’unione europea, COM(2001) 354, Bruxelles, 2001. Commissione Europea, White Paper on European Governance: Work Area n.1: Report of Working Group on Broadening and enriching the public debate on European matters (Group 1°), 2001. Communication to the Commission, Action plan to improve communicating Europe by the Commission, SEC(2005) 985, Bruxelles, 2005, p.2. Commissione Europea, Libro bianco su una politica europea di Comunicazione, COM (2006) 35 definitivo, Bruxelles, 2006. Comunicazione alla Commissione, Insieme per comunicare l’Europa, COM(2007) 568 definitivo, Bruxelles, 2007, p. 11. Communication to the Commission, Communicating about Europe via the Internet Engaging the citizens, SEC(2007) 1742, Bruxelles, 2007.

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cittadini già a partire dal 1995, con la creazione del sito web EUROPA. A partire dal 2001, con una seconda fase caratterizzata dal programma di e-Commission8, si cercava di rendere operativa la “Strategia di Lisbona”, puntando sempre di più su questa nuova modalità di comunicazione, organizzando ed ottimizzando le risorse a disposizione, per arrivare così ad una comunicazione in rete di seconda generazione. In questa terza fase viene lanciata una nuova strategia Internet per cogliere al meglio le opportunità offerte dalla comunicazione attraverso la rete: da un lato ottimizzare il sito EUROPA, dall’altro incoraggiare la discussione sulle questioni europee anche su altri siti. La necessità di ottimizzare il sito europeo nasce da una considerazione di tipo sociologico: la rete si è evoluta da una semplice fonte d’informazione a uno strumento di interazione e di comunicazione a due sensi (“two-way communication”), ed è questo che la rende unica nell’avvicinare tra loro le persone. Per questo motivo, i siti maggiormente frequentati sono quelli che offrono il massimo di partecipazione, interazione e coinvolgimento, conosciuti come siti “Web 2.0” (esempi possono essere YouTube o MySpace). Nonostante il sito EUROPA, con circa sei milioni di documenti e cinquecentomila visitatori al giorno, sia uno dei maggiori siti d’informazione al mondo, non è costruito in modo tale da essere un valido strumento per aiutare a creare una sfera pubblica europea. L’analisi e i possibili correttivi proposti sono ben evidenziati nel documento della Commissione9, con cui si tentava di dare una maggiore unitarietà al sito e ai sub-siti della Commissione e dei singoli Commissari, sotto la responsabilità di un solo “EUROPA Editor”, affiancato da un comitato editoriale, enfatizzando di più i contenuti di importanza per i cittadini europei e ponendo 8 9 10

minore accento sugli aspetti interni delle istituzioni europee, cercando al contempo una maggiore possibilità di interazione con la cittadinanza. Un ultimo settore d’intervento, i media audiovisivi, è stato oggetto di attenta analisi in un documento del 200810, visto che la televisione e la radio sono i principali media che i cittadini dell’Unione utilizzano. Il piano d’azione proposto si incardina, sinteticamente, sui seguenti punti qualificanti in grado di aumentare e migliorare i programmi trans-frontalieri relativi all’Unione Europea che contribuiranno allo sviluppo di una sfera pubblica europea: • aumentare il contenuto informativo offerto da Europe by Satellite (EbS), raddoppiandone al contempo la capacità di trasmissione (EbS è un servizio inter-istituzionale di copertura audiovisiva delle notizie dell’UE, trasmesso gratuitamente su canale satellitare, rivolto prioritariamente ai professionisti dell’informazione in tutto il mondo); • rafforzare il ruolo della biblioteca audiovisiva dell’UE, intesa come memoria storica delle istituzioni europee, per mezzo dei suoi materiali audio, video e fotografici; • attrarre l’interesse dei media e dei cittadini attraverso un calendario degli eventi europei, per facilitare la copertura delle notizie relative a tali eventi all’interno dei palinsesti radiotelevisivi; • promuovere, al fine di aumentare le lingue utilizzate nella trasmissione, la rete di radio europee EURANET, in grado, nell’anno di pubblicazione del Rapporto, di associare 13 Stati membri nella programmazione di 16 differenti stazioni radio; • incentivare la creazione di networks di canali televisivi europei, simili alla rete di radio appena citata, per offrire ai cittadini notiziari nella loro lingua nazionale;

Comunicazione del Presidente alla Commissione, Towards the e-Commission (EUROPA 2nd generation), C(2001) 1753, Bruxelles, 2001. Communication to the Commission, Communicating about Europe via the Internet Engaging the citizens, SEC(2007) 1742, Bruxelles, 2007. Communication to the Commission, Communicating Europe through audiovisual media, SEC(2008) 506/2, Bruxelles, 2008.

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Firma dei Trattati di Roma, il 25 marzo 1957, istitutivi della CEE ed EURATOM

• continuare a promuovere il canale EURONEWS, in modo da permetterne il consolidamento e l’espansione. In quest’ottica partiranno anche le trasmissioni nelle nuove lingue degli Stati aderenti e in lingua araba, per coprire un potenziale bacino d’ascolto sia in Europa che all’estero; • aumentare la produzione di contenuti audiovisivi da parte della Commissione, curando anche una maggiore loro distribuzione sulle nuove piattaforme tecnologiche, in modo da investire le abitudini e le aspettative dei cittadini europei con prodotti audiovisivi di qualità. Questa analisi storica della sfera della Comunicazione nella realtà istituzionale europea ha 11

messo in luce come molto sia stato fatto, ma molto altro rimane ancora da fare per formare, con l’aiuto delle nuove tecnologie e grazie alla diffusione capillare dei media audiovisivi, una sfera pubblica europea, intesa come base per la costruzione consapevole di uno spazio democratico comune ai popoli europei. Tale auspicio può essere ritrovato in uno scritto di Pietro Adonnino, a quasi venti anni di distanza dai lavori della Commissione ad hoc da lui presieduta: “Occorre formare la cultura europea dei cittadini perché possano abituarsi ad un pensare e ad un agire europeo; non la si può formare senza l’intervento risolutivo del mondo della cultura, trasmesso dal mondo della comunicazione” 11. 

P. Adonnino, Il potere della comunicazione nella costruzione di una unità politica dell’Europa, in Studi economici e sociali n. 4/2006, pp. 91-95.

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Comunicazione

TERRORISMO E MEDIA LA COMUNICAZIONE DEL TERRORE DAVID BASTIANI

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“Viviamo in una società complessa, che sempre meno consiste nel dare notizia di fatti e sempre più diventa produzione di fatti per darne notizia o farne notizia” Umberto Eco l di là della soggettività degli attori, è ormai ineludibile il legame che unisce guerra e comunicazione e, ancor più, comunicazione e terrorismo; una sorta di simbiosi che si alimenta e si sviluppa attraverso un’interazione reciproca 1. Il sociologo canadese Marshall McLuhan affermava: “Il terrorismo è un modo di comunicare. Senza comunicazione non vi sarebbe il terrorismo”. Il terrorismo con cui dobbiamo confrontarci è globale, religioso, proveniente da un’altra cultura. Questo terrorismo ha saputo dimostrare grande competenza nella costruzione di eventi mediatici spettacolari, sfruttando appieno le potenzialità dei media e delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione come strumenti di terrore. I terroristi, infatti, fin dall’inizio, si prefiggono di ottenere la massima risonanza possibile delle loro gesta; l’atto è compiuto non tanto per quello che realizza in sé, per gli effetti che provoca, quanto perché i media ne parlino ed esso si trasformi in un detonatore propagandistico dell’ideologia. L’anima del terrorismo risiede nella necessità di far conoscere la propria esistenza, le finalità ultime perseguite, le rivendicazioni verso le autorità costituite, gli obiettivi strategici e tattici nonché l’ideologia di riferimento. Senza di essa, un gruppo terrorista non può mostrare allo Stato e all’opinione pubblica i propri successi e non dispone della visibilità necessaria per rivolgersi alle masse e per aumentare la capacità di reclutamento di nuovi adepti. L’azione terroristica, in sostanza, rappresenterebbe una sorta di proscenio intorno

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al quale “i terroristi vogliono un gran numero di gente che guarda, non un gran numero di gente che muore” 2.

Comunicare il terrore In base a un meccanismo comunicativo, ogni nuova minaccia si conquista un posto di rilievo nei telegiornali, sui giornali, in internet, divenendo parte del nostro vissuto quotidiano e alimentando le nostre paure e le nostra ansie. Infatti i media, nel garantire l’informazione grazie alla possibilità di sfruttare le nuove tecnologie di trasmissione satellitare e digitale, sono in grado di raggiungere ogni angolo del pianeta veicolando immagini e messaggi di terrore, spettacolarizzando i contenuti e conferendo una visibilità inedita. Ma il pericolo più grande rispetto al passato è che tali tecnologie sono più veloci, economiche e capaci di soddisfare il requisito di ubiquità. Così, proprio gli strumenti di informazione e comunicazione, dai più considerati le nostre bandiere di libertà e democrazia, diventano la principale arma nelle mani dei terroristi per attuare ricatti politico-ideologici e per destabilizzare le nostre società. Secondo la definizione del Dipartimento della Difesa americano “è considerato terroristico l’uso calcolato della violenza, o la minaccia dell’uso della forza o violenza per inculcare paura, contro individui o beni a scopo di intimidazione dei governi o società per il perseguimento di obiettivi politici, religiosi o ideologici” 3.

Wardlaw G., Political Terrorism: Theory, Tactics, and Counter-Measures, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. Carruthers S. L., The Media at War. Communication and Conflict in the Twentieth Century, Basingstoke and London, MacMillan, 2000. United States Department of Defense, Office of Joint Chiefs of Staff, Joint Publication 1-02: Dipartimento della Difesa. Dizionario dei termini militari e Associated (Washington, DC: United States Department of Defense, 12 April 2001 12 aprile 2001 – As amended through-) 531 Vds. Online at: http://www.dtic.mil/doctrine/jel/new_pubs/jp1_02.pdfhttp://www.dtic.mil/doctrine/jel/new_pubs/jp1_02.pdf.

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In apertura: USA - Attacco terroristico alle torri gemelle Sopra: Comunicato di Osama Bin Laden

USA - 14 settembre 2001 resti del Word Trade Center

L’atto terroristico, così, è caratterizzato dall’intimidazione generata dall’evento-sorpresa. Non a caso etimologicamente , il termine “terrorismo” si riferisce a quel fenomeno mirante a “fare sensazione” e a “terrorizzare”, per cui gli atti di terrorismo, dando vita a eventi imprevedibili e cruenti, confezionano la più perfetta delle notizie. Come affermava Umberto Eco “l’industria della notizia ha bisogno di gesti eccezionali e li pubblicizza; i produttori di gesti eccezionali hanno bisogno dell’industria della notizia che dia senso alla loro azione. Il terrorismo, in questo modo, si trasforma in altro; un vero e proprio progetto politico, un terrorismo che è sempre più rappresentazione di se stesso e che sfrutta i mezzi di comunicazione per generare terrore ed indurre alla paura.

rienze reali e trasparenti nei quali il mezzo di comunicazione scompare permettendo a chi comunica di entrare in diretto contatto con l’opinione pubblica. La tecnica utilizzata dai programmi televisivi basati su riprese “live” è uno dei tanti escamotage a cui il mezzo televisivo fa ricorso per appagare il desiderio del pubblico, apparentemente insaziabile, di immediatezza. La cultura contemporanea vuole allo stesso tempo moltiplicare i propri media ed eliminare ogni traccia di mediazione: idealmente vorrebbe cancellare i propri media nel momento stesso in cui li moltiplica5, “tutto e subito”. Questi sono i criteri sui quali si struttura l’azione comunicativa dei terroristi: instaurare un dialogo immediato con l’interlocutore e, contemporaneamente, sfruttare il rapporto multimediale garantito dall’impiego del web e della televisione. Mediante tale meccanismo, infatti, le grandi organizzazioni eversive riescono a massimizzare gli effetti desiderati, sia in termini di visibilità che in termini di panico e allarme diffuso: l’opinione pubblica si trova a diretto contatto con immagini di attentati, di sofferenza, di terrore e, in tal modo, percepisce quelle minacce come molto più vicine e preoccupanti. Il dolore degli altri diventa la nostra angoscia e il nostro tormento, anche perché la raffigurazione di quelle sciagure piomba direttamente nelle nostre case e nei nostri vissuti quotidiani.

Dentro la notizia La strategia comunicativa di cui si servono i terroristi si ispira principalmente sui bisogni, propri della nostra cultura, di ipermediazione e di immediatezza4. L’ipermediazione, ovvero la moltiplicazione dei media, si realizza attraverso la creazione di uno spazio eterogeneo capace di integrare formati diversi quali immagini, suoni, testi, animazioni e video. Il desiderio di immediatezza si manifesta attraverso il tentativo di offrire al pubblico espe4 5

Vds. http://www.vitocampanelli.it/corso/2010/Remediation.pdf. La cosiddetta “logica della rimediazione” introdotta in “Bolter e Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Gueini e associati, Milano, 2002”.

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Il terrore è in onda Le caratteristiche strutturali proprie del mezzo televisivo ne fanno il tramite ideale per la diffusione istantanea, capillare, fruibile e partecipabile di eventi, ad elevatissimo contenuto emotivo, come quelli creati dal terrorismo. Gli atti terroristici, infatti, coniugano nel giusto modo i criteri della notiziabilità e quello della criticità6. La notiziabilità, infatti, è assicurata dall’imprevedibilità dell’avvenimento, che costituisce la “conditio sine qua non” affinché l’avvenimento stesso possa essere considerato una notizia; la criticità, ovvero, il livello dell’attenzione che il pubblico mostra nei confronti dell’avvenimento. Da circa trent’anni i governi occidentali tentano di praticare una sorta di “censura” dei media attraverso un’azione volta a recidere o interporre dei filtri al legame che esisterebbe tra il terrorismo e la televisione, e subordinatamente gli altri media, accusati di rendere affascinante e di normalizzare ciò che presentano e, dunque, anche i crimini terroristici7. Le emittenti internazionali come la CNN e AL JAZEERA, difatti, non solo permettono di diffondere le immagini in tutto il mondo, contribuendo a reiterare gli effetti dell’atto stesso ed aumentarne la portata, ma diventano anche gli strumenti molto forti attraverso i quali i gruppi eversivi comunicano con il mondo istituzionale e con l’opinione pubblica. L’effetto che si vuol ricercare, praticando questa sorta di censura dei media, è non permettere loro di riportare gli eventi, conformarli alla politica informativa ufficiale pubblicando notizie “addomesticate”, in modo tale da colpire direttamente le motivazioni dei terroristi, ridurre la spettacolarizzazione della realtà e la loro volontà di ottenere visibilità ed eco nella società. 6 7 8 9

Le policy adottate dai Governi non sono tutte uguali: in esse è possibile riconoscere da un lato il modello americano, basato sulla preferenza per una “autoregolazione” dei media, dall’altro il modello europeo, più dirigista e propenso a un intervento censorio da parte delle istituzioni politiche e amministrative 8.

La neo “e-versione” Il neo-terrorismo ha saputo sfruttare le potenzialità multimediali contemporanee, anche grazie ad un utilizzo sapiente delle peculiarità di Internet: il web, infatti, non solo consente di diffondere qualsiasi contenuto comunicativo, in tutto il pianeta, ma anche tutte quelle immagini che, per opportunità legata alla decenza, non possono (o quantomeno non dovrebbero) andare in onda sugli schermi televisivi tradizionali (es. esecuzioni, ostaggi decapitati, corpi straziati, mutilazioni, ecc.). Le organizzazioni sovversive, perciò, si trovano nelle condizioni di gestire direttamente, senza la mediazione delle reti televisive, uno spazio e uno strumento che diventa sempre più spettacolare e potente. Internet costituisce un ottimo strumento per le finalità che il terrorismo si pone: si contraddistingue per l’assenza di regole, la possibilità di una navigazione anonima, il vasto potenziale di utenza e il veloce flusso delle informazioni unitamente alla sua capacità di “con-globare”, al di là di ogni frontiera fisica o culturale. È molto più di un mezzo di comunicazione, è un mondo virtuale dove ci si può incontrare, consolidare dei legami preesistenti o crearne di nuovi, ma anche stabilire reti clandestine terroristiche e fare propaganda. Basti pensare che, nell’ambito dell’odierna e-versione, internet risulta essere la piattaforma privilegiata dal neo-terrorismo non solo per fini di reclutamento ma, soprattutto, per finalità operative 9.

Wolf M., Teoria della comunicazione di massa, Milano, Bompiani, 1985. Carruthers, 2000, p. 168. Ibidem. Safety&Security, Globalizzazione, Terrorismo e Media, 2009.

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Iraq-Attacco terroristico su autobus - foto Wikipedia

L’intermediazione

Logica della Rimediazione

La procedura strategica impiegata dal terrorismo prevede tre diversi momenti. Dalla spettacolarizzazione del macabro (orrorismo), attraverso la diffusione libera di registrazioni snuff 10 che pongono lo spettatore dinanzi lo “spettacolo” della morte in presa diretta, alla manipolazione dell’audience, attraverso il proliferare di informazioni deliberatamente distorte, e l’e-recruitment, ovvero il reclutamento praticato tramite i forum, le chat, i blog, facendo ricorso a messaggi cifrati sulla rete o testi nascosti dietro l’immagine banale di un sito: tutto si svolge in un ambiente immateriale, che evita il contatto diretto e, di conseguenza, la tracciabilità delle comunicazioni. Un esempio preoccupante in tal senso è rappresentato da un manuale presente on-line e scaricabile intitolato “L’arte del reclutamento”. L’analisi del manuale ci fornisce la misura dell’importanza assunta dalla propaganda e del proselitismo quali attività necessarie per il risveglio, nei giovani musulmani,

del sentimento di appartenenza e della voglia di combattere. Anche l’indottrinamento e la formazione operativa dei militanti passano per il web: riviste on-line propagandistiche e militari; centri studi che forniscono analisi delle situazioni politiche e sociali dei Paesi d’attaccare; manuali per assemblare esplosivo con ingredienti comuni e per apprendere le tecniche d’assalto; programmi d’allenamento fisico; istruzioni su come raccogliere soldi necessari al finanziamento delle cellule terroristiche11. I terroristi così possono confondersi con i milioni di messaggi scambiati all’interno delle web-chat, nei newsgroup, nei forum. In aree virtuali private, quindi, possono passare inosservati adottando alcuni accorgimenti, come l’uso di lingue diverse dall’inglese, il russo, l’arabo, il cinese, lingue elaborate automaticamente, l’utilizzo di modi di dire dialettali e lo scambio di indicazioni/informazioni utilizzando riferimenti noti solo a chi comunica.

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Dall’inglese “spegnere lentamente” si riferisce a video amatoriali in cui vengono mostrate torture realmente messe in pratica culminanti con la morte della vittima. Michele Avino, “Origini sociali e sviluppi del cosiddetto terrorismo homegrown”, CEMISS, 2010.

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Tutto questo porta ad un accrescimento della capacita mimetica dei terroristi, i quali possono muovere indisturbati, all’interno del tessuto sociale, e colpire nell’anonimato: le cosiddette “cellule dormienti”. L’impossibilità di controllare l’enorme mole di dati che vengono caricati quotidianamente sui siti disponibili in internet e, di conseguenza, l’eventualità che qualcosa possa sfuggire ai controlli, terrorizza le società che, negli ultimi tempi, hanno investito nel business dello scambio dati. A tal proposito, l’FBI ha indetto una gara d’appalto, il 19 gennaio 2012, per lo sviluppo di un software che gli permetta di controllare ogni attività sospetta su Facebook, Twitter e altri social network, al fine di ricercare tutte quelle parole chiave, correlate al terrorismo e a altri crimini federali12.

Il consenso “estorto” Un’altra forma di comunicazione, probabilmente poco considerata e riconosciuta, alla quale il neo-terrorismo fa ricorso, è quella ideata, pianificata e realizzata attraverso azioni e attività terroristiche, indirettamente perpetrate nei confronti della popolazione civile, al fine di ottenere il consenso della comunità locale. Dalla oramai consolidata esperienza maturata dalle truppe italiane nei teatri operativi ad alta intensità, come quello afghano, è emerso quale elemento interessante, che la maggior parte degli attacchi a rivendicazione terroristica, pur se apparentemente rivolti contro obiettivi militari, probabilmente sono orientati a perseguire finalità “indirette”, ovvero affermare e rafforzare la loro influenza sul territorio attraverso la morte di civili locali. 12

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A riprova di quanto appena affermato, si evidenzia come il fenomeno, in occasione di periodi o attività particolarmente delicati e importanti, quali la raccolta dell’oppio, periodo di campagna elettorale, concomitanza con azioni militari, ecc., si possa ravvisare un sensibile incremento del numero di attacchi terroristici con conseguente accidentale o casuale perdita di civili. Le stragi di civili in Afghanistan sono aumentate per il quinto anno consecutivo13 e i talebani uccidono molti più civili (loro connazionali) di quanto non facciano gli americani e la NATO messi insieme, in prevalenza durante attentati suicidi e attacchi-bomba radio comandati. Senza contare il fatto che molto spesso i talebani costruiscono le loro postazioni di combattimento, o si nascondono, in prossimità o in corrispondenza delle abitazioni dei civili. Il risultato è pratico e propagandistico nello stesso tempo. Difatti, l’atto terroristico, attraverso il ricorso ad azioni ad elevato contenuto emozionale permette di raggiungere obiettivi enormi dal punto di vista psicologico. La tragicità dell’evento, perciò, diventa un’appetibile occasione per ingenerare panico e allarme, incutere terrore e alimentare, nelle vittime emotive create dall’impatto psicologico della paura, quel senso di impotenza e di insicurezza nella popolazione locale. Paura e ansia, che non solo si trasmettono rapidamente e capillarmente ma, che la comunità locale può limitare, sedare e soffocare solo attraverso il “piegarsi” al loro volere e il conseguente riconoscimento della loro autorità. E così mentre i media, attraverso la diffusione dell’informazione e la spettacolarizzazione dell’evento e dei suoi effetti, divengono la cassa

I dati raccolti dovranno poi essere indicizzati in ordine geografico, in modo tale da essere facilmente incrociati con le intercettazioni ambientali e i punti strategici presenti nel territorio, come ambasciate, installazioni militari e altri enti pubblici, al fine di prevenire eventuali attacchi e effrazioni. Vds. Luca Busani in http://www.jacktech.it/news/lifestyle-e-web/web/fbi-vuole-controllare-facebooktwitter-e-social-network, 8 febbraio 2012. Nel 2011 SI è raggiunta la cifra record di 3.021 vittime innocenti, in allarmante crescita dell’8% rispetto all’anno precedente. E’ quanto si legge in un rapporto della United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA) reso noto oggi a Kabul e dedicato alle conseguenze del conflitto armato sulla popolazione civile. Lo studio e’ stato stilato in collaborazione con l’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani.

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di risonanza dell’ideologia del terrorismo, l’atto violento consumato sulla popolazione, nella sua esecuzione reale, cruda e cruenta, materializza quella sensazione di timore, preoccupazione e inquietudine che altrimenti rimarrebbe solo una rappresentazione mentale. Un consenso ricercato e ottenuto, quello dei neo-terroristi, che fa leva sulle vulnerabilità della popolazione civile locale; vulnerabilità ovviamente legate al soddisfacimento dei fabbisogni primari (es. la sicurezza, la sopravvivenza). In maniera naturale, la percezione della propria fragilità e la concreta minaccia della propria incolumità e di quella della comunità in cui vivono, convince le stesse popolazioni che solo appoggiando e sposando la causa terroristica possono garantirsi la sopravvivenza. I ribelli, in questo modo, hanno la possibilità di affermare la loro forza e autorità e dimostrare di essere in grado di condizionare la situazione politica del Paese nonostante la presenza di una forza militare e di un eventuale governo. Una vera e propria forma di campagna elettorale, quella condotta dal neo-terrorismo nei confronti della popolazione, tesa ad ottenere l’approvazione e l’appoggio della popolazione indigena mediante il piegamento ed asservimento coatto della libertà di pensiero e di scelta. Un consenso ottenuto coercitivamente, estorto. Non si assiste più al perseguimento del consenso attraverso la conquista dei cuori e delle menti; l’appoggio e il sostegno, piuttosto, si ottengono attraverso la distruzione dei cuori per “estorcere” le menti.

Riflessioni: “Mediare” la Comunicazione La complessità del fenomeno terroristico si concretizza nella capacita di coinvolgere aspetti diversi: dimensione politica, economica, sociale, culturale e comunicativa tendono a fondersi, provocando effetti destabilizzanti. In questo intreccio di fattori eterogenei, proprio i mezzi

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di comunicazione di massa, i simboli del progresso, diventano un’arma molto potente a disposizione dei gruppi eversivi e si trasformano, perciò, in uno strumento adatto a massimizzare gli obiettivi delle stesse organizzazioni. Pertanto, i vari settori della comunicazione e dell’informazione dovrebbero ricercare una costante o continua interazione al fine di evitare la corsa alle notizie e la diffusione di immagini sensazionalistiche che fanno il gioco dei terroristi, offrendo loro un’indebita piattaforma pubblicitaria. Non si devono diffondere immagini scioccanti, in violazione della privacy e dignità umana delle vittime o che contribuiscono agli effetti desiderati dagli attentatori. E non si deve aggravare la situazione attraverso notizie e commenti che accrescono la tensione sociale e l’odio ideologico. “Staccate la spina e non ci sarà più terrorismo”. Lo propose ai mass media italiani il sociologo canadese Marshall McLuhan, alla vigilia del sequestro di Aldo Moro. Il “black out informativo” non è una questione che ha attinenza con la censura. L’apertura di un dibattito con i lettori o telespettatori, spiegando loro cosa si ottiene pubblicando e non pubblicando testi, notizie e immagini dei e sui terroristi, e discutendo sugli effetti che queste scelte hanno sulla società innescherebbe nell’opinione pubblica una presa di coscienza della realtà; una consapevolezza imprescindibile per limitare o eliminare quella forma di manipolazione, diretta sull’opinione pubblica, conseguente alla sovraesposizione di notizie, di fatti e dei media stessi. Parallelamente va ricercata la cooperazione con le forze dell’ordine per contrastare la diffusione di messaggi e immagini su internet da parte dei terroristi. L’uso di internet, infatti, permette ai terroristi di avere un forum alternativo, anche senza la mediazione giornalistica. L’efficacia e la visibilità di un messaggio o un video lanciato via web da un gruppo terroristico


vengono moltiplicate all’ennesima potenza se l’accesso dell’opinione pubblica è immediato e se quel gruppo ha la possibilità di comunicare senza intermediazioni. La conseguenza è l’esplosione delle cosiddette “netwars”, guerre combattute in rete, che hanno per oggetto, non più risorse o territori ma, l’informazione e la capacità di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Diverse iniziative sono state avviate allo scopo di limitare il terrorismo in internet. La “Task Force ONU” per l’Attuazione delle strategie Contro il Terrorismo (CTITF), in occasione di un workshop tenutosi nei giorni 25-26 gennaio scorso, si è fatta promotrice della revisione delle misure legali esistenti e possibili per vietare o limitare l’utilizzo di internet a scopi terroristici. I rappresentanti dei Paesi membri dell’Organizzazione si sono scambiati esperienze sull’efficacia delle misure legali esistenti relative all’utilizzo di internet a scopi terroristici, in aree quali quelle della propaganda e l’incitamento, il reclutamento, l’organizzazione di atti terroristici, il finanziamento del terrorismo e gli attacchi diretti ai network e ai sistemi informatici14. La risposta censoria attraverso la chiusura dei siti, la denuncia dei gestori fino all’arresto non ha dato ad oggi i frutti sperati. La disponibilità di svariate piattaforme informative rende infatti la risposta censoria limitata. Siti web cancellati si materializzano, immediatamente dopo, in un altro Stato e in un’altra forma ma con medesimi contenuti. Pertanto, non si ritiene che l’oscuramento dei siti possa costituire la soluzione al problema dell’utilizzo di internet da parte del neo-terrorismo che, invece, necessita di una attenta e 14

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continua azione di monitoraggio della rete ed in particolare dei forum di discussione e delle riviste on-line. “Inspire”, ad esempio, è il nome di una nuova rivista on-line, in lingua inglese, di Al Qaida e all’interno di essa spiccano servizi dal titolo “Costruisci una bomba in cucina”, “Informazioni di servizio per inviare e ricevere messaggi terroristici criptati” e “Reportage sulla guerra tra le montagne”. In considerazione dei numerosi aspetti rilevati e delle relative criticità emerse, è auspicabile una riflessione più attenta e accurata da parte dei governi e dell’intera società in merito all’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa nella modernità, dato che i gruppi terroristici trovano in questi strumenti ottimi veicoli per diffondere i loro messaggi e per amplificare gli effetti simbolici, psicologici e sociali oltre che materiali delle loro azioni. È necessario uno sforzo unanime teso ad individuare delle contromisure e realizzare qualche forma di prevenzione ricercando strumenti multidisciplinari che mirino alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione del terrorismo interno e internazionale, nonché al contenimento dei danni da esso causati15. Questi strumenti sottendono l’intelligence, l’apporto dei cittadini e delle organizzazioni private, un’impostazione antiterroristica equilibrata e coerente, le convenzioni e i protocolli internazionali, la diplomazia, la collaborazione bilaterale e multilaterale tra Stati, il ruolo appropriato delle forze armate, le operazioni speciali16 nonché un’imprescindibile sensibilità ed attenzione da parte dei vari settori della comunicazione affinché si astengano dal diffondere immagini sensazionalistiche e scioccanti contribuendo, così, a non amplificarne gli effetti. 

Gli Stati membri si impegnano a lavorare con le Nazioni Unite per “esplorare modi e mezzi di coordinamento degli sforzi a livello internazionale e regionale per contrastare il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni su internet, e utilizzare internet come strumento per contrastare la diffusione del terrorismo, riconoscendo che gli Stati potrebbero necessitare di assistenza in proposito”. Bruxelles, (Centro di Informazione Regionale delle Nazioni Unite), 25-26 gennaio 2012. È già in uso l’acronimo “WoG - Whole of th Government” per indicare il totale coinvolgimento di tutte le strutture degli Stati (e non solo) nell’affrontare una qualsiasi situazione conflittuale. Si pensa già ad un nuovo approccio definito “WoC – Whole of the Country”, significando che l’esito positivo di una qualsiasi situazione conflittuale dipenderà sempre più dall’azione sinergica di tutte le componenti della società . Cfr. Ansalone e Zappalà, “11 settembre 2021”, Franco Angeli, 2012. Vittorfranco Pisano, Terrorismo: istruzioni per l’uso, Intelligence&Security, 2008.

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Diritto

IL DANNO ALL’IMMAGINE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLE DECISIONI DEI GIUDICI CONTABILI FRANCESCO PAOLO MASTROVITO

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utti i dipendenti pubblici possono incorrere nelle ordinarie forme di responsabilità amministrativa e, conseguentemente, essere sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti. Detta responsabilità è, in linea di principio, quella in cui incorre chi, con dolo o colpa grave, tenga un comportamento, attivo od omissivo, dal quale derivi per una data amministrazione pubblica un decremento patrimoniale o un mancato introito aventi carattere ingiusto. La responsabilità amministrativa in linea di principio, resta ancora oggi di tipo sostanzialmente risarcitorio, fondata cioè sulla clausola generale nel principio del neminem laedere, ai sensi dell’art. 2043 c.c., ancorché negli ultimi anni siano emerse alcune nuove figure, o perché il danno è presunto direttamente dal legislatore, o perché appare prevalente il carattere sanzionatorio.1 Comunque sia, presupposto generale per l’insorgenza della responsabilità amministrativa è la sussistenza di un danno erariale, inteso nel senso più ampio: tale danno oltre a declinarsi come la più diretta forma di danno patrimoniale oppure come mancato introito che sia chiaramente e precisamente misurabile, può rivestire tutte le varie forme di pregiudizio cagionato alla pubblica amministrazione, apprezzabili economicamente e tali da sostenere l’azione erariale intestata al pubblico ministero contabile. Una particolare figura di danno erariale è costituita proprio dal danno all’immagine alla pubblica amministrazione consistente in un pregiudizio che, pur non determinando una diminuzione patrimoniale diretta, è comunque suscettibile di valutazione patrimoniale, in quanto dal comportamento contra ius dell’agente è derivata la lesione di un bene giuridicamente rilevante. In altre parole, il danno cagiona una grave perdita

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di prestigio e un grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica.

Il danno all’immagine della P.A.: aspetti generali La tutela del diritto alla propria immagine, (riferendoci in questa sede alle persone giuridiche e quindi alle pubbliche amministrazioni), vale a dire la tutela della propria identità personale, del proprio buon nome, della propria reputazione e credibilità, discende normativamente in primo luogo dall’art. 2 e dai commi 1 e 2 dell’art. 97 Cost.. Viene sancito, tra l’altro, un modo di operare e realizzarsi efficace, efficiente, imparziale e trasparente. Insomma, si impongono i principi dell’imparzialità, della legalità e del buon andamento degli uffici pubblici.2 Per completezza, infine, non si può anche non considerare l’art. 54 Cost. che prescrive specifici obblighi di disciplina ed onore ai soggetti che esercitano pubbliche funzioni. Posto tutto ciò, il danno si può – pertanto – definire come la mancata realizzazione delle specifiche finalità perseguite dalle norme di tutela e quindi coinciderà con la violazione delle stesse. Per identificare i presupposti, gli elementi costitutivi come pure i fondamenti logico-giuridici del danno erariale in questione si deve partire necessariamente dalla fondamentale sentenza delle Sezioni riunite della Corte dei Conti n. 10/2003/QM del 23 aprile 2003 che ha configurato giurisprudenzialmente tale figura di danno. Partendo proprio dal presupposto che il diritto delle pubbliche amministrazioni alla tutela della propria immagine trova la sua garanzia nel citato art. 97 Cost., i giudici contabili hanno osservato – nelle varie decisioni prese – come

Così, per l’affidamento, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge, di incarichi di studio, ricerca e consulenza – art. 1 l. 30 dicembre 2004, n 311 “costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale” nonché in applicazione dell’art. 119, ultimo comma, Cost,. e della relativa normativa di attuazione, nel caso di ricorso all’indebitamento per finanziare spese di parte corrente. Si fissano per l’agire amministrativo parametri di imparzialità e buon andamento ed il legislatore ordinario su tale base, all’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, ha ulteriormente individuato parametri di trasparenza, economicità e produttività. Ne discende il diritto delle amministrazioni pubbliche ad organizzarsi ed agire secondo i predetti criteri che costituiscono gli elementi caratterizzanti della propria immagine e della propria identità. Esso è rafforzato dalla tutela accordata dagli articoli 7 e 10 c.c. al nome ed all’immagine della persona, norme ritenute applicabili anche alle persone giuridiche.

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In apertura: aula del Senato della Repubblica (Foto ANSA) Sopra: inaugurazione anno giudiziario - wikipedia

sia interesse costituzionalmente garantito il fatto che le competenze individuate - per un dato organo pubblico - vengano rispettate, che le funzioni loro assegnate vengano eseguite e che le responsabilità proprie dei funzionari e dei pubblici dipendenti in generale vengano – conseguenzialmente - attuate. Dalle osservazioni che precedono, ove la condotta del pubblico amministratore o dipendente leda tali interessi (costituzionali), diventa pacifica un’alterazione dell’identità della Pubblica Amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine evidentemente negativa. Si deve altresì considerare che il danno all’immagine e al prestigio della P.A. assume ulteriore rilievo in virtù del principio di “immedesimazione” (che porta ad identificare l’amministrazione con il soggetto che per essa agisce) e dalla concreta aspettativa di una reale attuazione dei valori di legalità, buon andamento e imparzialità da parte 3

dei dipendenti. Tali caratteristiche dell’agire pubblico non solo nascono da una statuizione costituzionale ma, oggi si può affermare con senso compiuto, anche da un comune sentimento civico. In molti casi, i fatti vagliati dai magistrati contabili hanno dimostrato che la capacità percettiva della società civile muove anche dalla consapevolezza che il fatto lesivo non solo si è perpetrato in danno della Pubblica Amministrazione ma che lo stesso sia stato favorito decisamente, nella sua realizzazione, proprio da una condotta proveniente da soggetti preposti ad organi e/o uffici della stessa Amministrazione. I giudici contabili, infine, a corredo e per l’esaustivo quadro giuridico del danno fanno espresso riferimento al c.d. clamor fori (il pubblico scandalo): alla diffusione che i mass-media hanno dato di un determinato fatto illecito idoneo per la sua intrinseca natura a screditare l’immagine della

In materia, deve dirsi che con legge 7 giugno 2000, n. 150 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni“), il legislatore ha qualificato a funzione pubblica la promozione dell’ immagine delle pubbliche amministrazioni.

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Pubblica Amministrazione.3 Tale idoneità non si individua solamente in relazione a fatti, ad esempio, di corruzione e/o concussione,4 inquadrabili sotto il profilo penale nell’ambito dei reati contro la P.A., ma possono connettersi a fatti penalmente poco rilevanti o, in ogni caso, ad altri comportamenti penalmente illeciti5. Detto ciò, in tempi recenti la continua fermentazione di pronunce di condanna al risarcimento del danno all’immagine della P.A. ha spinto il legislatore ad intervenire con il comma 30 ter dell’art. 17 del decreto legge 1° luglio 2009, 78, convertito nella legge 3 agosto 2009 n. 1026, limitando, così, l’azione delle procure contabili tesa al risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 977. Si tratta in definitiva di quelli che vengono chiamati reati propri, poiché presuppongono la qualifica soggettiva di pubblici ufficiali (esemplificando: abuso d’ufficio, corruzione, concussione, omissione di atti d’ufficio, ecc.). La norma – attraverso il richiamo all’art. 7 della l. 97/2001 – ha rilevato la sua impronta fortemente condizionante: un intervento legislativo che ha sollevato non poche perplessità ordinative ed è apparso – sin da subito – caratterizzato da elementi non aderenti alla nostra lex legum. Infatti, la costituzionalità di una simile limitazione è stata messa in dubbio da numerose Sezioni territoriali della Corte dei Conti, le quali hanno sollevato - sotto vari profili - la questione di le4

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gittimità della norma davanti alla Corte Costituzionale. I giudici hanno trattato tutte le questioni in una sentenza che ha confermato la piena costituzionalità della norma in questione.8 Non senza sollevare delle perplessità, il giudice delle leggi ha dichiarato – infatti - la costituzionalità della disposizione e la conseguente condizionata azione (di fatto) del magistrato contabile in ordine alla particolare tipologia di danno all’aerarium come il danno all’immagine. Invero e in conclusione, non appare vicina una soluzione interpretativa (condivisa) del comma 30 ter dell’art. 17 del decreto-legge 1° luglio 2009, 78 poiché la magistratura contabile ha già “scavalcato” la decisione dei giudici costituzionali, decidendo proprio nei confronti di pubblici funzionari condannati con una sentenza non ancora irrevocabile e con riferimento ad una fattispecie di reato non compresa tra i reati contro la pubblica amministrazione.9

(segue) nelle amministrazioni militari Come per altre pubbliche amministrazioni anche nei confronti delle Forze Armate, dei Corpi militari e militarmente organizzati vi può essere un danno all’immagine a seguito di una condotta antigiuridica di un proprio dipendente. Ciò produce - chiaramente - un minore prestigio e credibilità del Corpo di appartenenza nonché una conseguente lesione di natura organizzativa

Condotte particolarmente riprovevoli che inducono nella pubblica opinione una pessima “pubblicità” e la convinzione che i poteri cui è preordinato un determinato ufficio coinvolto siano stati usati non per i fini pubblici, ossia nel pubblico interesse, ma per realizzare o soddisfare interessi privati. Si ponga ad esempio il reato di truffa militare ovvero reati penali che possono avere un forte impatto mediatico. Le procure della Corte dei Conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e’ sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma,salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta. Art. 7. (Responsabilità per danno erariale) “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti i dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale e’ comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.” Corte Cost. n. 355 del 21 dicembre 2010. Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Toscana, Sentenza 18 Marzo 2011, n. 90.

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Palazzo di Giustizia di Roma - Corte di Cassazione

e un decremento delle potenzialità operative. Si può osservare, con immediatezza, come la reputazione e l’estimazione dell’ amministrazione militare e, per converso, il danno qui trattato, subisca maggiore acredine in relazione al già citato principio di “immedesimazione”: non appare esagerato affermare che le donne e gli uomini con le stellette rappresentano agli occhi della gente lo Stato. Ora, la Corte dei Conti ha fondamentalmente applicato, anche per gli appartenenti all’amministrazione militare, i principi generali caratterizzanti la responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti. Però, non si può non notare come le amministrazioni militari abbiamo – proprio in virtù delle specificità funzionali – un sistema normativo e regolamentare peculiari, ancorché inclusi nel complessivo ordinamento giuridico dei pubblici dipendenti. Si pensi, a tal riguardo e come sempre evidenziato da plurima dottrina, alla prima raffigurazione del militare legata alla so10

lennità della forma del giuramento: un vero e proprio battesimo che certifica l’ingresso in una speciale comunità. Tra l’altro, uno studio attento di un universo di valori e di tradizioni, come quello militare, necessita di un approccio interdisciplinare in quanto lo spirito di corpo, l’etica dell’obbedienza, lo spirito di sacrificio non si possono solo considerare sotto il profilo tecnico-giuridico. Così, negli effetti e su di un piano applicativointerpretativo, tale specificità nella valutazione della responsabilità amministrativa non è mai stata nascosta dai magistrati contabili nelle proprie decisioni: si pensi all’uso del potere (discrezionale) riduttivo dell’addebito amministrativo-contabile nel giudicare comportamenti di membri delle Forze Armate, seguendo particolari parametri di valutazione.10 Poi, in molte sentenze i giudici contabili sul danno all’immagine dell’amministrazione militare hanno inflitto le proprie sanzioni, presupponendo

Solitamente si parla del carattere urgente del servizio di polizia e di difesa espletato che viene sovente considerato dalla giurisprudenza o in grado di escludere del tutto la responsabilità amministrativa ovvero circostanza rilevante ai fini dell’applicazione della riduzione dell’addebito La Corte ha talvolta preso in considerazione, ai fini dell’applicazione del potere in questione, “l’obiettiva pericolosità che deriva nel maneggio delle armi da fuoco, all’atto dello svolgimento di servizi armati, i cui rischi, per ragioni connesse a superiori interessi della società, devono in parte ricadere sull’ amministrazione

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che l’amministrazione (militare) d’appartenenza abbia subito una significativa lesione per l’alto prestigio e l’ampio valore che occupa nella comunità civile. Molte decisioni sono state assunte, infatti, nonostante la Procura contabile non abbia offerto la prova delle spese sostenute dalle amministrazioni per il ripristino dell’immagine compromessa dalla condotta illecita dei propri dipendenti, configurando il danno in re ipsa all’illecito.11 Si deve tener conto – anche – che il ripristino della lesa estimazione (il recupero dell’immagine) appaia più oneroso per le amministrazioni militari, sia sotto l’assetto organizzativo – amministrativo generale, sia – qui in particolar modo - sotto l’aspetto gestionale del personale. Da un lato, una condotta antigiuridica rapportata al già citato principio di “immedesimazione”, determina significativi riflessi di natura psico-motivazionale nei confronti dei colleghi (con sentimenti e valutazioni diversi a seconda che si tratti di subordinato, pari grado ovvero sovraordinato) che dovranno continuare ad operare e compiere i propri doveri con medesimo spirito di servizio ed abnegazione. Tale condotta, anche in ragione di opposti valori ad una pubblica amministrazione militare (detentrice di un ampio bagaglio valoriale), cagiona un più ampio discredito alla istituzione pubblica, 11

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in particolare intacca quel sentimento di fiducia e considerazione (anche di natura morale) che generalmente la comunità civile ha nei confronti dell’uomo in divisa. Di recente, alcuni interventi legislativi hanno ulteriormente marcato la specificità del personale del Comparto Difesa. Con il Decreto Legislativo del 15 marzo 2010, n. 66 è entrato in vigore il Codice dell’Ordinamento Militare che costituisce di fatto una summa organica delle disposizioni inerenti la struttura, l’organizzazione, il personale dell’istituzione militare. Quindi con l’art. 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) al personale appartenente al Comparto Difesa è stata sancita una specificità nei confronti degli altri pubblici dipenden12 ti. A ben vedere la norma citata è caratterizzata da affermazioni di natura generale, rimandando tra l’altro a disposizioni applicative ancora da scrivere. E’ una norma cd “vuota”: da riempire di analitiche disposizioni su più piani specifici. Comunque, stante quanto detto, appare evidente il consolidamento della specialità del personale militare e del Comparto Difesa in generale nei riguardi degli altri dipendenti pubblici. Si può affermare che le condotte del personale militare siano valutate dai giudici contabili proprio in

Ancorché con tali decisioni ci si uniformi ad una recente giurisprudenza contabile, non da tutti condivisa, appare indubitabile che tali decisioni siano favorite per le strutture statuali come quelle militari. Corte dei Conti, Sez. Veneto, 29 maggio 2009, n. 432; Corte Conti, Sez. I, 12 settembre 2002, n. 305/A. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica,pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti. La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie.

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ragione dei particolari e dei complessi compiti da assolvere. Come visto nella trattazione, la situazione attuale sembra piuttosto complessa e non si può nascondere una sorta di conflitto tra le ragioni delle azioni dei magistrati inquirenti contabili da un lato, e il legislatore, con la norma sopra citata, dall’altro, con nel mezzo la sentenza della Corte Costituzionale. In effetti, appaiono condivisibili le critiche e gli interrogativi sollevati al legislatore che con un tal modo di procedere (l’energico freno al fenomeno dal danno all’immagine della p.a. con una disposizione estremamente eliminatoria) abbia dimostrato una certa mancanza di organicità legislativa e parziale cognizione giuridica nel trattare l’istituto in questione. Occorre un esempio. Non si può non considerare suscettibile di attenzione all’azione erariale intestata al Pubblico Ministero contabile un pubblico dipendente (diciamo pure un militare) condannato con sentenza passata in giudicato per aver commesso un grave reato che non sia tra quelli previsti dal titolo II del libro secondo del codice penale e laddove a seguito dell’ampio eco mediatico ci sia stato un detrimento all’immagine dell’amministrazione di appartenenza e che la stessa sia stata costretta per il ripristino del proprio prestigio a sopportare importanti oneri finanziari legati – ad esempio – al trasferimento di personale per motivi di opportunità e/o ad una ristrutturazione dell’assetto organizzativo. Non si vuole sostenere una visione “espansionista” della giurisprudenza contabile ma se si vuole creare un sostegno efficace ai sottesi principi giuridici, perseguendo anche quelle finalità di garanzie previste dal nostro ordinamento, la norma sembra bisognevole, almeno in parte, di correzioni. Ed allora le incertezze ed i problemi applicativi sorti troverebbero soluzione con una organica ridefinizione delle regole (auspicio che sempre è richiesto sia dagli operatori del diritto, sia dai cittadini

quali fruitori) su di un piano che soddisfi le esigenze di garanzia dell’immagine della pubblica amministrazione. e l’efficace legittimazione giurisdizionale della Corte dei Conti poiché la realizzazione dei bisogni e delle finalità di un collettività passa anche attraverso un’amministrazione pubblica (anche militare) – costituita nei suoi presupposti da persone – che abbia un alto prestigio e che voglia valorizzarlo e tutelarlo.  BIBLIOGRAFIA www.cortedeiconti.it • “Le più recenti innovazioni legislative e giurisprudenziali in materia di responsabilità amministrativa e di processo contabile” – Foro amministrativo – CDS 2010,01,219 – E. Francesco Shelter; • “Il danno all’immagine: amministrazione civile e militare a confronto” Resp. Civ. e Prev. 2009, 11, 2337; • “Tangenti e danno all’immagine: un altro intervento del giudice contabile” – Resp. Civ. e Prev. – 2008, 5, 1163 – Simona Rodriguez; • “il danno all’immagine della pubblica amministrazione” – Resp. Civ. e Prev. N. 2 del 2008 – Ilaria Palmigiani; • Rodriquez, La responsabilità amministrativa e le sue più recenti evoluzioni. Spunti di riflessione sugli interventi, negli anni, del giudice contabile, in Resp. Civile e Prev., 2009, 1246; I.D.,Tangenti e danno all’ immagine: un altro intervento del giudice contabile, nota a Corte conti, Sez. I, 7 dicembre 2007, n. 501, nella stessa Rivista, 2008, 1163. • “Tangenti e danno all’immagine: un altro intervento del giudice contabile” – Resp. Civ. e Prev. – 2008, 5, 1163 – Simona Rodriguez; • “il danno all’immagine della pubblica amministrazione” – Resp. Civ. e Prev. N. 2 del 2008 – Ilaria Palmigiani; • Enciclopedia de “Il diritto. Enciclopedia giuridica de Il sole 24 ore” – Edit. “Il sole 24 ore” - anno 2008. • Giur. it., 2003, 1710, con nota di Poto, Il danno all’ immagine della Pubblica Amministrazione al vaglio delle Sezioni Riunite della Corte dei conti. • “Le responsabilità pubbliche” Domenico SORACE – CEDAM – 1998 GIURISPRUDENZA • Corte dei conti Sezione Toscana, Sentenza 18 Marzo 2011, n.90. • Corte dei conti n.1 del 18.01.2011; • Corte dei conti, Sez. Veneto, 29 maggio 2009, n. 432 • Corte dei conti Sez. centrale di Appello – Sez. II n.106 del 31 marzo 2008 • Corte dei conti Sezioni centrale di Appello - Sez. I n.209 del 9 maggio 2008 • Corte dei conti Sez. Sicilia n.174 del 29 aprile 2008. • Corte dei conti Sez .centrale di Appello – Sez. III n.73 del 26 marzo 2007 • Corte dei conti Sez. I App., sent. n. 16/2002 • Corte dei conti, Sez. I, 12 settembre 2002, n. 305/A. • Corte dei conti, Sezione Umbria, sent. n.501/1998 • Corte Cost. n. 355 del 21 dicembre 2010.

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Tecnologia

I SISTEMI UNMANNED MARITTIMI ANTONIO EVANGELIO

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e esigenze derivanti dall’applicazione del concetto “Difesa e Deterrenza” garantiscono che l’Alleanza sia sempre all’avanguardia nel valutare l’impatto sulla sicurezza delle tecnologie emergenti e che la pianificazione militare consideri già in fase preliminare tutte le potenziali minacce che possono essere impiegate nei teatri operativi dove la NATO è destinata ad operare. Negli anni recenti, la NATO, nella consapevolezza di un crescente requisito di elevare il grado di sicurezza marittima (MSO – Maritime Security Operations), ha rivolto una sempre maggiore attenzione alle nuove capacità operative che potevano essere forniti dall’impiego dei sistemi a pilotaggio remoto in ambiente marittimo (MUS – Maritime Unmanned Systems), consapevole della necessità di sviluppare al proprio interno le premesse tecnologiche ed operative per uno sviluppo integrato di tali nuove capacità. I Maritime Unmanned Systems hanno molto da offrire sotto il profilo dell’impiego perché ampliano le capacità operative riducendo i costi ed i rischi per la vita umana, cosi’ come le esperienze che provengono dal loro largo impiego nel settore aereo hanno ampiamente dimostrato (regola delle 3 D: Dull, Dangerous and Dirty jobs). La NATO ha urgente bisogno per affrontare la continua evoluzione tecnologica definendo i requisiti operativi per i sistemi marittimi a pilotaggio remoto. Oggi l’Alleanza non ha ancora una “guidance” approvata per la definizione di questi requisiti volti ad accogliere la costante evoluzione tecnologica degli MUS che conduca ad un adeguato CONOPS (Concetto Operativo di Impiego) per trasformare il pensiero ed i processi organizzativi in capacità in grado di impiegare efficacemente le potenzialità offerte da tali sistemi senza equipaggio. Lo sviluppo di questi sistemi non è solo guidato da opportunità tecnologiche o un tradizionale processo di definizione dei requisiti: piuttosto è sempre più conseguenza dei continui impegni operativi che la NATO, come alleanza multinazionale, è probabile sia chiamata a svolgere in futuro. Dopo l’estenuante esperienza nelle ope-

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razioni recenti e considerando le loro implicazioni sul piano politico, le nazioni alleate appaiono sempre più riluttanti a garantire un incondizionato impiego delle proprie Forze armate in compiti di sicurezza, allorquando gli indici di pericolosità per la vita dei militari impegnati, si attestino su valori elevati che l’opinione pubblica appare ormai rifiutare. È quindi sicuro un aumento dell’esigenza di garantire il proprio impegno riducendo le opzioni di rischio. L’impiego di sistemi a pilotaggio remoto continuerà a crescere, in particolare quando il sistema è in grado di raggiungere risultati simili a quelli che coinvolgono direttamente l’uomo sul terreno, senza rischiare vite umane.

I primi passi Con le minacce emergenti e le sfide nel teatro marittimo, come evidenziato dal proprio MSO Concept, la NATO richiede una capacità che consenta una rapida risposta in tutte le regioni di interesse per l’Alleanza. È prevedibile una sempre maggiore esigenza di missioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconossaince) e di MCM (Mine Counter-Measure) per il supporto per le operazioni di spedizione in cui le forze dell’Alleanza richiedono assicurato l’accesso in zone di interesse strategico. I Maritime Unmanned Systems con le proprie capacità possono migliorare l’impiego operativo garantendo una maggiore persistenza, una migliore rapidità di esecuzione degli ordini, una riduzione dei rischi per la vita umana, una diminuzione delle piattaforme con equipaggio ed una riduzione dei costi di implementazione e gestione. Possono inoltre avere un ruolo fondamentale nel contributo marittimo alle Joint Operations durante l’intervento e nelle operazioni di stabilizzazione. Le nazioni NATO continuano a considerare seriamente una priorità sempre più alta allo sviluppo delle capacità MUS. Evolvendosi coninuamente, la NATO ha bisogno di adattarsi costantemente e trovare soluzioni alle carenze operative in condizioni di ristrettezza economica. È quindi anche importante


In apertura: Maritime Unmanned Aircraft System Sopra: FMTD 3500 - by unmanned website

concentrarsi sui processi di ricerca, sviluppo ed acquisizione dei Dipartimenti della Difesa per la realizzazione di più equo rapporto costo-efficacia per gli investimenti in piattaforme e sistemi con e senza pilota. Con il Concetto strategico della NATO 2010, le nazioni hanno convenuto di proseguire nel loro obiettivo principale di salvaguardare la libertà e la sicurezza di tutti i paesi membri. Per continuare a farlo in futuro, l’adeguamento tecnologico sarà un imperativo. Gli MUS, in conformità con la Strategia Marittima dell’Alleanza (AMS – Allied Maritime Strategy), garantiranno una riduzione dei costi di gestione, riducendo i rischi connessi con le missioni, fornendo una capacità militare moderna ed efficiente. L’importanza di procurarsi piattaforme comuni ed i relativi sistemi di comando e controllo non deve essere sottovalutata: si produrranno enormi benefici collettivi in riduzione di oneri, limitando drasticamente la diversità dell’offerta per incrementarne l’interoperabilità.

Sistemi Unmanned Marittimi Un MUS è definito come un sistema Unmanned operante nell’ambiente marittimo (sottosuolo, superficie), il cui principale componente è almeno un veicolo senza equipaggio. Un veicolo senza

equipaggio è un veicolo alimentato che non porta un operatore umano e può: a. essere utilizzato autonomamente o in remoto; b. essere spendibile o recuperabile; c. trasportare carichi letali o non letali. Veicoli balistici o semi-balistici, missili da crociera, proiettili d’artiglieria, siluri, veicoli comandati a distanza (ROV – Remote Operated Vehicle), mine, satelliti e sensori incustoditi senza propulsione non sono considerati veicoli senza pilota, in conformità con la definizione concordata della NATO per UAV. In linea con la precedente definizione di MUS, un UUV è definito come un elemento sommergibile, il cui funzionamento può essere completamente autonomo (pre-programmato in tempo reale o di controllo adattativo della missione) o sotto controllo minimo di supervisione. La vision UUV è quella di sviluppare mezzi per migliorare la capacità navali e per sostenere la sicurezza comune contro le nuove minacce tradizionali e emergenti. Nel lungo termine, gli UUV dovrebbero avere la capacità di: • distribuire o recuperare i dispositivi e/o carichi; • raccogliere, trasmettere o agire su tutti i tipi di informazioni;

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• colpire obiettivi sottomarini, di superficie, aerei e terrestri. La capacità di operare autonomamente per lunghi periodi crea un moltiplicatore di forza che permette ai sistemi con equipaggio di estendere la loro portata e concentrarsi su attività più complesse. I costi possono essere ridotti quando i sensori o le armi sono gestiti dalle infrastrutture più piccole piuttosto che interamente dalle piattaforme con equipaggio. La loro natura senza equipaggio riduce o elimina i rischi per il personale. Le Marine militari alleate hanno bisogno di sistemi furtivi e senza equipaggio per raccogliere informazioni e colpire obiettivi in aree il cui accesso è negato a forze marittime tradizionali. I sistemi senza pilota migliorano le prestazioni, riducono i costi e accelerarano i tempi per la preparazione Intelligence del campo di battaglia (IPB – Intelligence Preparation Battlefield), vista la prevalente strategia di guerra asimmetrica che impiega armi facilmente acquisibili in modi sempre innovativi sì da sfruttare i punti deboli dell’avversario, piuttosto che competere testa a testa. La definizione di USV non differisce affatto da quella dei sommergibili, se non per il diverso ambiente in cui operano. Al fine di valutare la preparazione tecnologica e raccomandare gli investimenti tecnologici che dovrebbero essere realizzati per consentire un armonico sviluppo di veicoli e carichi utili per realizzare le capacità richieste, è necessario stabilire degli obiettivi che: • valutino le linee guida nazionali, per offrire una visione alla leadership e garantiscano che il prodotto risultante soddisfi i bisogni della NATO; • includano le priorità operative, i requisiti tecnici e le limitazioni pratiche relative alle operazioni di USV, attuali e future; • definiscano lo stato attuale di sviluppo degli USV e dei tipi di scafi che potrebbero essere utilizzati in operazioni militari; 1

Alliance Maritime Strategy, C-M(2011)0023

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• conducano un’analisi tecnica e operativa nella misura necessaria per ottenere una valutazioni di praticità e di utilità potenziale militare.

La Strategia Marittima dell’Alleanza e gli MUS La Strategia Marittima Alleata (AMS – Allied Maritime Strategy), da ultimo adottata nel marzo 2011, è sincronizzata con il Concetto strategico della NATO, ma amplia i compiti primari di garantire la sicurezza marittima. The AMS stabilisce che: “….l’adeguamento (Transformation) delle forze navali della NATO e delle proprie capacità operative è necessario per un rialiineamento con le nuove capacità richieste per le missioni incluse nella nuova Maritime Strategy”1. Inoltre, l’AMS prevede che le forze navali alleate dovranno essere in grado di rispondere rapidamente con una vasta gamma di funzionalità al fine di: a. controllo o difesa delle Sea Lines of Communication; b. effettuare operazioni di countermine; c. proiettare le forze a terra, includendo azioni di forza se necessarie; d. Eseguire la difesa da mare contro i missili balistici; e. fornire assistenza umanitaria e di soccorso; f. contribuire ale azioni della diplomazia; g. sostenere il rafforzamento delle capacità regionali; h. condurre operazioni di sicurezza marittima.

Autonomia e “Regole di Ingaggio” Veicoli autonomi (AVS) sono stati usati da militari dal 1940, con siluri, missili cruise, satelliti e droni bersaglio. Il settore civile e recenti esperienze militari con AVS hanno costantemente verificato il loro valore in ambiente operativo. Progredisce nella capacità di AV sono abilitate per passi in avanti nelle tecnologie dell’informatica e della robotica, navigazione, comunicazioni e il networking, il potere e fonti di propulsione, i materiali. Uno


UUV glider - by unmanned website

dei primi argomenti da chiarire è la definizione del termine “veicoli autonomi”, al fine di definire una serie di ROE (Rules of Engagement - Regole di Ingaggio) può essere applicata per limitare / negare l’occupazione. Il punto di vista legale può essere considerata uno dei veicoli autonomi che non hanno un essere umano a bordo. Il Manuale di San Remo sul Diritto Internazionale applicabile ai conflitti armati in mare può essere considerato il miglior riferimento dottrinale per aiutare a definire ROE adeguate nei confronti di sistemi senza equipaggio in mare. Il Diritto internazionale applicabile ai conflitti armati in mare afferma che l’esercizio del diritto di individuale o collettivo di autotutela riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite è soggetto alle condizioni e limiti stabiliti nella Carta e derivanti dalle norme internazionali di carattere generale, in particolare ai principi di necessità e proporzionalità. I principi di necessità e proporzionalità si applicano ugualmente a conflitti armati in mare e richiedono che la condotta delle ostilità da parte uno Stato non dovrebbe superare il grado e il tipo di forza richiesta per respingere un attacco armato contro di essa e di ripristinare la sicurezza a condizione

che sia non altrimenti vietata dal diritto dei conflitti armati. È importante capire fino a che punto uno Stato è giustificato nella sua forza militare contro il nemico. Succintamente, la risposta dipenderà principalmente dall’intensità e dalla scala dell’attacco armato per la quale il nemico è responsabile e dalla gravità della minaccia rappresentata. Il manuale non si riferisce chiaramente ai sistemi senza equipaggio. È possibile ottenere la definizione appropriata se estrapolata dalla definizione di aeromobile militare: “è un aereo militare un velivolo appartenente alle forze armate di uno Stato che ha i segni militari di tale Stato, comandato da un membro delle forze armate e presidiato da un equipaggio soggetto a regole della disciplina militare“. Per estensione è logico e ragionevole per affermare le stesse regole possono essere applicate a sistemi senza pilota che anche se la differenza principale tra velivoli e sistemi senza pilota è l’evidente mancanza di equipaggio a bordo. Quando si considera l’azione contro un aereo con equipaggio, al contrario di un sistema senza pilota, è necessario elevare per l’uso della forza letale a causa della potenziale o sicura perdita di vite umane, oltre che per il rischio di

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underwaterrobot - by unmanned website

escalation. Quando si considera l’azione contro un sistema senza pilota, al contrario, la vita umana e le norme che la tutelano non sono direttamente coinvolte. Sembra logico quindi, che le regole che disciplinano l’azione contro un sistema senza pilota, potrebbero essere meno rigorose di quelli che governano l’azione contro un aereo con equipaggio. A questo proposito, un sistema senza pilota che è dichiarato ostile potrebbe essere considerato come proprietà di un Governo straniero e le regole che disciplinano la tutela di tali beni devono guidare all’esatta definizione della ROE da impiegare. Inoltre, lo status militare del sistema senza pilota comporta un’ulteriore valutazione della loro pericolosità (armati o disarmati) e sulla base di queste valutazioni si può decidere che l’azione preventiva contro le unità da cui è controllato, compreso il sistema che ospita l’operatore responsabile del controllo, è legittima perché assume le caratteristiche di obiettivo sensibile. Durante le operazioni militari in corso, è probabile immaginare diversa intensità nell’applicazione delle Regole di Ingaggio. I comandanti operativi saranno sempre più di fronte alla decisione di

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intervenire, ridurre o prevenire l’uso di sistemi senza pilota da parte delle forze avversarie. L’obiettivo finale è quello di fornire gli strumenti guiridici alla componente operativa che siano adatti per la definizione del ROE, in modo che essi siano legittimi. Un comandante della forza deve essere sempre nella certezza di utilizzare la forza militare in modo conforme alla legge e quindi ricevere il sostegno dell’opinione pubblica. Attraverso l’unicità delle proprie strutture, la NATO è il forum più adatto per ottenere una prospettiva condivisa di ROE nelle operazioni militari che utilizzano sistemi senza pilota. Un’occasione unica per la presenza di differenti attori in un’Alleanza che è formata da paesi che operano sotto diversi ordinamenti culturali (common law contro civil law) e dove il concetto di protezione delle forze appare avere diversi gradi di sensibilità giuridica; sostenere uno sforzo comune per dotarsi di norme condivise faciliterebbe l’integrazione tra forze appartenenti a paesi differenti e costituirebbe un’opportunità unica anche sotto il profilo dello sviluppo di sistemi d’arma futuri. La principale sfida del futuro richiederà agli UUV/USV di cooperare (interoperare) con altri


Fire Scout medium range maritime unmanned aircraft system - by unmanned website

Black eye sea gregory boucly future boat - by unmanned website

NAVY UUV Double Eagle Mk III - by unmanned website

sistemi unmanned e con altre componeti umane delle forze militari, per rafforzare la capacità di raccogliere informazioni, avviare processi decisionali riducendo così il tempo di reazione. Molte delle missioni ISR sono estremamente esigenti in termini di autonomia e di propulsione. Raggiungere il livello della raccolta di informazioni necessarie per sviluppare e confidare in un’autonoma capacità decisionale sarà senz’altro impegnativo. Questa sfida sarà accentuata se, come spesso accade, si verificano circostanze che pongono a rischio i dati raccolti dal sistema quale conseguenze di un’attività nemica: in tal caso, sensori aggiuntivi e maggiore autonomia saranno necessari per la definizione della situation awareness e le contromisure alla situazione di pericolo. Le Nazioni NATO dovrebbe dotarsi di una base comune da cui iniziare a costruire le capacità MUS, poiché vi è spazio per migliorare il coordinamento tra di loro e realizzare sinergie che porterebbero a risparmi significativi di spesa. Sotto il profilo dell’autonomia, bisogna saper ben distinuguere i due significati che si attribuiscono al termine: uno rappresenta la capacità di operare ed eseguire la missione senza intervento

umano, se non per l’attività di supervisione. L’altro, ben più importante e denso di intrinseche complicazioni, è autonomia nel senso di capacità di valutazione dell’ambiente e di decisione del comportamento da assumere, fino alla distruzione fisica della minaccia. La natura multinazionale dell’Alleanza richiama in questo caso la normativa legislativa nazionale di ogni paese membro, inserendo ulteriori complicazioni che meritano di essere approfondite per elaborare regole di diritto marittimo e bellico associate all’uso di veicoli armati, applicando le conseguenze di tali regole sin dal progetto iniziale di progettazione e sviluppo. Riepilogando e concludendo, è necessario allineare le strategie di acquisizione per le diverse classi di veicoli, con sistemi di base comuni in grado di rendersi interoperabili al massimo grado possibile, continuando ad esercitare ogni sforzo per allineare il dominio marittimo a quello aereo nell’impiego dei sistemi unmanned, sviluppando filosofie e dottrine, concetti di operazione, tattiche e procedure che conducono al pieno impiego di nuove capacità operative in grado di consolidare e migliorare la risposta alle esigenze di sicurezza e difesa in ambiente marittimo. 

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Tecnologia

NANOTOSSICOLOGIA CONCETTI E APPLICAZIONE

AUTORI*

* Luigi Manzo, Giovanni Bernardini, Cesare Castellini, Tommaso Renieri, Nicola Trevisan, Mario Di Gioacchino, Enrico Sabbioni

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e nanotecnologie hanno attratto interesse crescente e notevoli investimenti per il loro enorme potenziale di innovazione. Negli ultimi anni sono andati però aumentando i timori sui rischi che esse potrebbero determinare a seguito delle molteplici applicazioni previste. L’esigenza diffusa di avere informazioni chiare ed obiettive su questo importante problema ha portato al rapido sviluppo di una nuova disciplina, la nanotossicologia, impegnata ad estendere le conoscenze sui fenomeni che si svolgono all’interfaccia tra nanomateriali e sistemi biologici. Alla nanotossicologia si riconosce oggi un ruolo centrale come riferimento scientifico per la prevenzione dei rischi e per lo sviluppo responsabile di un settore tecnologico considerato vitale in ragione delle attese ricadute industriali e socio-economiche [1, 2].

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Nanomateriali e nanotecnologie Le nanotecnologie permettono di fabbricare materiali e sistemi che assumono particolari proprietà in virtù delle loro minute dimensioni. Al diminuire delle dimensioni, a scala nanometrica (1-100 nm), le particelle modificano le proprie caratteristiche (magnetiche, ottiche, termiche, elettriche e quanto-meccaniche) e possono dar vita ad entità del tutto nuove; ad esempio, le particelle di biossido di titanio, tipicamente di colore bianco, diventano incolori quando la loro dimensione si riduce sotto i 30 nm. La capacità di modulare le caratteristiche fisico-chimiche conferisce grande versatilità e permette in pratica di realizzare una gamma quasi infinita di materiali e di soluzioni tecnologiche [3]. Dalle nanotecnologie la società si attende benefici nei settori più disparati [4]: materiali più efficienti e prodotti commerciali vantaggiosi rispetto a quelli oggi disponibili, soluzioni innovative nel settore energetico e nei trasporti, tecnologie d’avanguardia applicabili nelle più disparate aree (sistemi di comunicazione, sistemi di sicurezza, industria alimentare e cosmetica, risanamento ambientale, depurazione dell’acqua, migliori strumenti per la diagnosi e la cura delle malattie). Alcune di queste innovazioni

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In apertura: Moon express lunar lander vehicle - by estropico website Sopra: laboratorio del Joint Research Center

sono già una realtà; gli esempi in campo medico comprendono alcuni sofisticati dispositivi diagnostici e sistemi speciali di drug delivery proposti di recente per la terapia mirata dei tumori [5]. Sono inoltre già reperibili sul mercato oltre mille prodotti di consumo dove sono presenti nanomateriali (http://www.nanotechproject.org): cosmetici, filtri solari, prodotti per l’igiene personale o per usi domestici, integratori alimentari, articoli sportivi, ... I nanomateriali sono anche contenuti in tessuti, batterie, additivi di carburanti, supporti di catalizzatori, vernici, pigmenti, rivestimenti anticorrosione, prodotti per l’edilizia, plastiche ad elevata efficienza ecologica, toner per stampanti, componenti per autovetture, pneumatici ed altro [4]. Le nanotecnologie sono un importante oggetto di studio anche in campo militare [6, 7]. Si parla insomma di un’area che rappresenta il più vasto e competitivo settore della ricerca applicata, su cui oltre 60 paesi nel mondo hanno avviato programmi scientifici di rilevanza strategica nazionale. Il mercato globale del nanotech ha raggiunto un valore di dimensioni straordinarie: oltre 250 miliardi di dollari nel 2009, valore che si prevede aumenterà di 10 volte già in questo decennio [4].

Rischi dell’esposizione a nanomateriali Non diversamente da quanto si è verificato con l’avvento di altre innovazioni (biotecnologie, na-

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Nanotecnologia e medicina - lipossigenasi

vigazione aerea, elettricità, ecc.), lo sviluppo delle nanotecnologie sta ponendo dubbi ed interrogativi sull’aspetto della sicurezza. I nanomateriali sono entità del tutto nuove, dalle caratteristiche poco conosciute, capaci di produrre effetti biologici talora non prevedibili, disegnati spesso per impieghi che li portano a diretto contatto con l’uomo e con l’ambiente. E’ legittimo perciò domandarsi quale impatto essi potrebbero avere in caso di esposizione involontaria dell’uomo e di immissione incontrollata nell’ecosistema. Per affrontare questo tema, si deve innanzi tutto avere un quadro preciso delle conoscenze sugli effetti dei nanomateriali e dei prodotti che li contengono, distinguendo bene le evidenze empiriche dalle ipotesi. Sul tema sono stati già pubblicati migliaia di studi scientifici, dai quali emerge un data base abbastanza ampio, idoneo però solo per una prima valutazione d’insieme. Sappiamo con certezza che le caratteristiche fisico-chimiche (dimensione, forma, area superficiale, solubilità, stato di aggregazione ed agglomerazione, ecc.) modulano la tossicità ed i processi di trasporto dei nanomateriali sia negli organismi viventi che nell’ambiente [8]. La dimensione e l’area superficiale hanno speciale importanza sotto il profilo tossicologico: diminuendo le dimensioni delle nanoparticelle, aumenta l’area superficiale e, quindi, la quota di atomi o molecole esposti sulla superficie piuttosto che quelli presenti all’interno della particella stessa. Atomi e molecole di superficie presentano una marcata reattività chimica e biologica


e ciò può comportare l’acquisizione o l’amplificazione di proprietà tossiche. Il binomio dimensione “nano” e reattività biologica ha molteplici riscontri sperimentali. Tuttavia, in un contesto tossicologico, la dimensione ha importanza non esclusiva, nel senso che gli effetti del nanomateriale sono determinati anche da altri fattori quali la composizione chimica, lo stato di aggregazione delle particelle e le modalità di esposizione. E’ da tener presente che la denominazione di nanomateriale raccoglie una miriade di entità diverse l’una dall’altra, aventi spesso in comune solo l’intervallo dimensionale nanometrico. In base a struttura e composizione, possiamo classificare i nanomateriali in quattro generali categorie (Tabella 1). Spesso, tra una classe e l’altra (ma anche tra composti della stessa classe) si rilevano più differenze che analogie riguardo al profilo degli effetti tossici. Il rischio tossicologico differisce da una categoria all’altra anche quando consideriamo la classificazione basata sull’origine (Tabella 2). Le specie naturali (Categoria A) sono ubiquitarie nell’ambiente (acqua, aria, suolo, sedimenti). Sono prodotte da materiali fossili, agenti microbici, processi di combustione, attività vulcanica e mobilizzazione da sedimenti acquatici. Al loro studio si dedica una speciale disciplina, la nanogeochimica [9], che ha avuto finora poche interazioni con la componente biologica delle nanoscienze ma che ha, come vedremo, indubbia importanza anche per gli aspetti tossicologici. Le nanoparticelle antropiche incidentali

(Categoria B) sono state oggetto di molti studi sperimentali ed epidemiologici, volti principalmente a definire il ruolo di queste particelle nelle patologie respiratorie e cardiocircolatorie collegate all’inquinamento atmosferico [10, 11]. I nanomateriali ingegnerizzati (Categoria C) costituiscono forse la realtà più importante del ventunesimo secolo in termini di innovazione tecnologica. A causa delle proprietà “nano” (reattività chimica, diffusione attraverso membrane biologiche, ecc.) sono anch’esse materia di ricerca tossicologica per i possibili effetti indesiderati sugli organismi viventi. In un contesto tossicologico, nanomateriali ingegnerizzati e incidentali vanno tenuti distinti poiché configurano situazioni non comparabili in termini di rischio. I nanomateriali ingegnerizzati hanno composizione e proprietà fisico-chimiche abbastanza definite e costanti. La loro azione va considerata nel quadro di un ciclo di vita e di scenari d’esposizione che, almeno in prospettiva, si ritiene possibile caratterizzare, quantificare e mettere sotto controllo. Le nanoparticelle incidentali hanno invece natura chimica variabile e si trovano miscelate in forma complessa con le altre frazioni del particolato atmosferico (PM2.5 e PM10). La composizione relativa di queste miscele è difficilmente quantificabile e varia molto in rapporto a fattori esterni, es. fattori climatici e atmosferici. Inoltre, queste particelle incorporano spesso altri tipi di inquinanti (metalli, idrocarburi policiclici aromatici, ecc.) di per sé capaci di indurre tossicità.

Tabella 1 - Classi di Nanomateriali • Materiali a base di carbonio: contengono principalmente carbonio e possono avere forma sferica o ellittica (fullereni) oppure tubulare (nanotubi di carbonio). • Materiali a base di metalli: contengono oro, argento, ossidi metallici (es. biossido di titanio, ossido di ferro). Questa classe annovera anche i quantum dots (alla lettera punti quantici), semiconduttori cristallini con dimensioni tra 2 e 10 nm. • Dendrimeri: composti polimerici costituiti da una sola specie chimica. Hanno strutture altamente ramificate di forma globulare, costruite in modo iterativo, che si possono variamente disegnare per conferire specifiche funzioni. • Compositi: si tratta di nanomateriali dove si combinano tipi diversi di nanoparticelle oppure nanoparticelle e materiali convenzionali.

Tabella 2 - Classificazione dei nanomateriali in rapporto all’origine • Nanomateriali naturali: virtualmente ubiquitari nell’ambiente; originano da comuni fenomeni naturali, es., processi di combustione, emissioni vulcaniche, mobilizzazione spontanea dall’ambiente terrestre o acquatico. • Nanomateriali antropici incidentali (particelle ultrafini): nanoparticelle polidisperse, anch’esse ubiquitarie; sono immesse nell’ambiente per effetto di attività industriali, quali processi di combustione ad alta temperatura, traffico autoveicolare, impianti di riscaldamento, produzione e conversione dell’energia, ecc. • Nanomateriali antropici intenzionali (ingegnerizzati): sono i prodotti delle nanotecnologie fabbricati dall’uomo con l’obiettivo di trarre vantaggio dalle peculiari caratteristiche che i materiali assumono nella dimensione nanometrica.

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Occorre ricordare che la nanotossicologia ha le sue basi storiche proprio nello studio delle nanoparticelle incidentali [12], anche se oggi l’ambito di competenza della disciplina viene individuato specificamente nel campo dei nanomateriali ingegnerizzati [13].

La ricerca tossicologica su nanomateriali. Attuali esperienze La ricerca in nanotossicologia è talora equiparata ad una “battuta di pesca nel mare dell’incertezza”: poche conoscenze sugli effetti biologici dei nanomateriali, incertezze sui metodi di studio, regolamentazione non chiara, assenza di controlli capillari, dati imprecisi e frammentari sui nanomateriali presenti in prodotti di consumo, ecc. Esiste però un settore, quello della nanomedicina, dove la tossicologia dei nanomateriali è già materia di studi regolari e di una consolidata esperienza riguardo agli studi sulla sicurezza. Per definizione, la nanomedicina è l’area in cui i nanomateriali sono posti deliberatamente a contatto con l’uomo, spesso in forme idonee a determinare il massimo assorbimento di particelle nell’organismo. In questo campo, la tossicologia costituisce da tempo non solo uno strumento di conoscenza ma anche una affidabile pratica di controllo che risponde a requisiti regolatori e alla concreta esigenza di garantire la sicurezza dei prodotti destinati ad impieghi nell’uomo. Gli studi tossicologici hanno dato un contributo decisivo per l’approvazione di agenti diagnostici o terapeutici che sfruttano le nanotecnologie [14]. Essi hanno consentito di (i) verificare i requisiti di safety attraverso la sperimentazione pre-clinica e clinica, (ii) dimostrare l’assenza o la presenza di effetti collaterali nell’uomo, (iii) valutare la maneggevolezza del farmaco alla posologia clinicamente raccomandata, e così via. Sappiamo perciò che un prodotto nanotecnologico disegnato ad usi clinici deve essere biocompatibile, non deve innescare o favorire effetti di significato tossicologico quando viene a contatto con l’organismo, deve mantenere la necessaria stabilità dopo l’assorbimento ed infine deve essere facilmente e comple-

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tamente rimosso dall’organismo una volta completata l’azione richiesta. La valutazione tossicologica dei prodotti medicinali ottenuti dalle nanotecnologie poggia su metodi rigorosi e costituisce un filtro dalle maglie assai strette. Basti pensare che, a fronte di un migliaio circa di brevetti depositati, solo una quarantina di farmaci contenenti nanomateriali hanno ricevuto finora l’approvazione per usi clinici, dopo approfonditi studi condotti anche su volontari sani e su pazienti. Alcuni di questi nanofarmaci sono usati da oltre un decennio, ad indicare che la loro sicurezza ha riscontri anche nell’esperienza clinica e nei controlli della farmacovigilanza postmarketing. Alla luce dell’esperienza, si può dire che la principale barriera allo sviluppo di prodotti nanotecnologici di interesse clinico è venuta non dall’incertezza in materia di safety e di metodi per la sua verifica, quanto piuttosto da carenze nei processi di fabbricazione, caratterizzazione e standardizzazione del nanomateriale [15]. Per la valutazione tossicologica dei nanomateriali proposti in medicina, le agenzie regolatorie raccomandano metodi di indagine tradizionali. Test integrativi sono richiesti quando dalla sperimentazione emergano effetti particolari o risposte inattese collegabili alla struttura in nanoscala [14]. Ciò può riguardare, ad esempio, il riscontro di fenomeni imprevisti di internalizzazione nelle cellule, captazione da parte dei macrofagi e del sistema reticolo endoteliale, trasferimento indesiderato attraverso membrane biologiche, fenomeni di precoce degradazione, agglomerazione o de-agglomerazione delle nanoparticelle, cambiamenti indotti nella conformazione di proteine, ecc. In questo campo, il quadro delle conoscenze è in rapida evoluzione. La comunità scientifica è oggi impegnata ad affinare gli studi tossicologici sui nanomateriali, al passo con l’avanzamento delle tecniche e delle moderne acquisizioni [8, 16, 17].

Aree di incertezza Come già sottolineato, il termine nanomateriale identifica oggetti che acquistano nuove proprietà fisico-chimiche correlate alle loro piccole dimensioni.


Applicazioni del futuro - by estropico website

Nanomateriali

Al momento non è chiaro quanto si debba effettivamente scendere nella scala nanometrica perché un certo materiale acquisisca proprietà rilevanti ai fini della tossicità. La definizione ISO, che considera “nanomateriale” un oggetto con una, due o tre dimensioni esterne aventi ordine di grandezza tra 1 e 100 nm, non offre di per sé alcun riferimento, in quanto risponde a pure esigenze di classificazione. Il limite inferiore (1 nm) è stato introdotto per evitare che con il termine di nanomateriali si arrivi ad identificare le stesse molecole. Il limite superiore (100 nm) è un valore arbitrario, proposto prudentemente onde poter includere nella definizione qualsiasi entità che potenzialmente abbia caratteristiche di nanomateriale. Alcuni ritengono che cambiamenti di proprietà associati alla comparsa di effetti biologici tipici della nanoscala si raggiungerebbero al di sotto di 30 nm (Auffan et al., 2009[18]). In realtà, questo concetto ha pochi riscontri empirici e appare indefinito se consideriamo che i meccanismi di tossicità sono molteplici. In certi casi, gli effetti biologici delle nanoparticelle variano più in rapporto a cambiamenti di forma, stato di aggregazione e funzionalizzazione che con la grandezza delle particelle. Le caratteristiche fisico-chimiche di un nanomateriale ingegnerizzato possono variare anche nel tempo e da un lotto all’altro in rapporto al metodo usato per la fabbricazione. Anche la valutazione tossicologica richiede una approfondita

conoscenza delle proprietà fisico-chimiche e dei loro rapporti con le risposte biologiche [19]. Importante area di incertezza è anche la tossicità dei nanomateriali contenuti nei prodotti. Se si escludono i farmaci, la ricerca in nanotossicologia ha finora considerato quasi esclusivamente nanomateriali “modello”, presi allo stato puro o quasi. La situazione reale, quella che va considerata per i prodotti commerciali, è indubbiamente più complessa. Studi recenti suggeriscono che il profilo tossicologico, quale emerge dalle indagini su nanomateriali puri, è poco indicativo o addirittura irrilevante per la stima dei rischi di esposizione ai prodotti [20]. Il problema ha evidente importanza non solo concettuale ma anche per le implicazioni pratiche: la legislazione comunitaria (Regolamento REACH) prescrive che la sicurezza delle sostanze debba essere valutata sui prodotti specifici che le contengono, considerando gli effettivi scenari di esposizione. In tale ottica, il quadro di cui oggi disponiamo è assai incerto. Come sottolineato da autorevoli esperti [21], sono poche le categorie di nanomateriali ingegnerizzati per i quali vi sia dimostrazione o ragionevole sospetto della capacità di causare danni nell’uomo. Ciò ovviamente non significa escludere che problemi possano emergere in futuro. Vi sono prove convincenti che alcuni tipi di nanoparticelle sono facilmente assorbite nell’organismo; dalla sede di assorbimento (es. polmone) o di contatto (es.

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cute) esse possono traslocare in organi secondari (es. rene, fegato ecc.) che, di conseguenza, diventano potenziale bersaglio di tossicità. L’esposizione inalatoria è probabilmente quella più comune per l’uomo; nella valutazione dei rischi occorre tuttavia considerare anche l’esposizione per via ingestione e per via cutanea, oppure, nel caso della nanomedicina, per iniezione. Le nanoscienze, in particolare la nanomedicina, stanno evidenziando una miriade di meccanismi che controllano la tossicità, i processi fisiologici di difesa, la vulnerabilità individuale, la capacità di smaltimento dall’organismo e così via. È da ciò evidente che la semplice presenza di nanoparticelle rilevata in un organo o in un tessuto umano, anche nel caso di soggetti cui sia stata diagnosticata una certa patologia, non è di per sé un segnale di significato tossicologico né tanto meno costituisce la prova che la patologia sia imputabile alle stesse particelle. Questo concetto trova evidenti riscontri nell’esperienza della nanomedicina dove, come già ricordato, le nanoparticelle vengono somministrati deliberatamente nell’uomo dopo che rigorosi studi preclinici e clinici ne hanno dimostrato l’innocuità. D’altra parte, proprio la medicina ci insegna che la verifica del nesso di causa tra agenti patogeni e malattie è un esercizio complesso, che richiede non solo capacità cliniche (es. pesare gli elementi anamnestici e le varie possibili cause di malattia) ma anche familiarità con specifici metodi di valutazione. Nell’analisi del rischio da nanoparticelle occorre inoltre verificarne il background. Infatti, nel caso di agenti ambientali che sono fattori di rischio tossicologico (es. metalli), fisico (es. rumore) o biologico (es. virus, batteri), il concetto di “valore di fondo” e di livello-soglia rientra ormai nelle conoscenze consolidate. Nel caso delle nanoparticelle, il tema è ancora poco studiato, ma sarebbe improprio non tenerne conto data anche la presenza ubiquitaria delle nanoparticelle d’origine geochimica a cui si è prima accennato. Oggi, i segnali d’allarme più consistenti riguardo ai potenziali rischi per l’uomo sono riferibili all’esposizione inalatoria a nanotubi di carbonio [22] e alla

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tossicità di nanoparticelle metalliche non degradabili, quali argento, biossido di titanio ed ossido di zinco [23, 24]. Queste ultime sono spesso presenti in prodotti per i quali non si richiedono al momento verifiche tossicologiche approfondite: cosmetici, prodotti per l’igiene e la cura della persona, detersivi ed altri prodotti per la casa. Nanoparticelle vengono anche addizionate ad alimenti o bevande per migliorarne l’aspetto o come integratori dietetici e conservanti [25].

Nanotossicologia e sviluppo responsabile delle nanotecnologie E’ ragionevole ritenere che la ricerca in nanotossicologia dia certezze e renda meno aleatorio lo sviluppo industriale dei prodotti nanotecnologici, rendendo quindi disponibili per la collettività prodotti che altrimenti, nell’incertezza, si fermerebbero allo stadio delle aspettative. La nanotossicologia è destinata ad assumere un ruolo importante anche come guida per mitigare la tossicità dei prodotti, ad esempio per lo sviluppo di materiali innovativi meno tossici dei prodotti convenzionali o di farmaci più maneggevoli di quelli già in uso [26]. Abbiamo dunque un motore per la ricerca di soluzioni innovative con cui sostituire materiali che risultano problematici in termini di sicurezza. La ricerca in questo campo servirà anche ad individuare metodi idonei per lo studio di particolari prodotti nanotech attesi per il prossimo futuro, ad esempio materiali di combinazione e prodotti ottenuti mediante tecnologie convergenti. In sintesi, la nanotossicologia potrà assumere un ruolo centrale nelle scienze della prevenzione se saprà darsi basi scientifiche solide ed imporsi nel contesto globale come disciplina responsabile ed indipendente. In tale prospettiva si collocano le priorità di ricerca elencate nella Tabella 3. Lo sviluppo delle conoscenze, le applicazioni, la governance e le aspettative del pubblico potranno trovare nella nanotossicologia un terreno comune con una forte valenza propulsiva per l’innovazione tecnologica.


Tabella 3 - Nanotossicologia e sicurezza dei nanomateriali. Priorità di ricerca Riferimenti: [4, 27, 28, 29]

Strumentazione, metodi analitici e metrologia • Sviluppare metodi per la determinazione di nanomateriali in matrici biologiche, nell’ambiente e nei luoghi di lavoro. Nanomateriali standard • Realizzare materiali di riferimento certificati utilizzabili come standard per la verifica delle caratteristiche fisico-chimiche dei nanomateriali ingegnerizzati. Nanomateriali e salute • Esplorare i meccanismi cellulari e molecolari che determinano la tossicità ed i rapporti tra caratteristiche fisico-chimiche e tossicità • Definire l’effettiva dimensione al di sotto della quale compaiono le nuove proprietà tipiche della nanoscala; ammesso che questo cutoff sia individuabile, verificare se esso vale indistintamente per qualsiasi tipo di nanomateriale • Migliorare la conoscenza sui processi che governano assorbimento e trasporto dei nanomateriali nell’organismo umano • Sviluppare metodi per lo studio della dose interna, anche attraverso indicatori biologici • Sviluppare test validati per la valutazione tossicologica dei nanomateriali in vitro, in vivo e in silico • Determinare le specificità negli effetti e nel meccanismo d’azione delle principali classi di nanomateriali • Caratterizzare la tossicità dei nanomateriali nei prodotti di consumo che li contengono Esposizione umana • Caratterizzare processi e fattori che determinano l’esposizione a nanomateriali in sottogruppi della popolazione, nei lavoratori e a livello individuale • Censire i processi produttivi e le realtà industriali che comportano esposizione professionale o ambientale a nanomateriali ingegnerizzati • Identificare l’esposizione del pubblico a nanomateriali presenti in prodotti di consumo Nanomateriali e ambiente • Caratterizzare gli effetti dei nanomateriali sulle varie componenti dell’ecosistema • Identificare le fonti di rilascio ambientale di nanomateriali, i meccanismi di rilascio dai prodotti e gli scenari di esposizione • Determinare fattori e meccanismi che governano il trasporto di nanomateriali nell’ambiente • Identificare le eventuali trasformazioni che i nanomateriali subiscono nell’ambiente durante l’intero ciclo di vita (sviluppo, produzione, utilizzo, fino allo smaltimento finale). • Identificare gli eventuali passaggi che i nanomateriali possono avere lungo la catena trofica degli organismi. • Studiare le dinamiche dei nanomateriali lungo la filiera alimentare. Risk management • Integrare i dati su pericolosità, esposizione e modellizzazione dei rischi nell’analisi sulla sicurezza • Sviluppare metodi di caratterizzazione dei rischi basati sulle proprietà fisico-chimiche dei singoli nanomateriali • Integrare i dati di risk assessment nei processi decisionali per il controllo dei rischi • Elaborare protocolli per il controllo dell’esposizione negli ambienti di lavoro, la sorveglianza sanitaria e la prevenzione dei rischi nei soggetti esposti • Integrare i dati relativi all’intero ciclo di vita nei processi di risk assessment and management • Sviluppare la conoscenza per l’implementazione di buone pratiche nei luoghi di lavoro (fabbricazione, controlli ambientali, ecc.) • Sviluppare strategie per la comunicazione dei rischi come parte integrante del processo di risk management • Sviluppare basi legislative comuni tra i vari paesi per la regolamentazione della produzione,della commercializzazione e dell’ uso dei nanomateriali

Le nanotecnologie offrono prospettive rilevanti ma il loro sviluppo deve essere controllato onde evitare che i benefici attesi si accompagnino a rischi inaccettabili per la salute e per l’ambiente. I prodotti nanotecnologici sono talora materia di dibattito (“angeli o demoni”, “entità prodigiose o pericolose”), spesso condotto con evidente superficialità se si considera che solo pochi prodotti, in particolare quelli usati dai ricercatori come modello per i loro

esperimenti, hanno finora ricevuto una preliminare valutazione tossicologica. All’interno di ciascuna classe di nanomateriali, troviamo un’ampia varietà di composti che differiscono l’uno dall’altro per le caratteristiche fisico-chimiche e, verosimilmente, anche per il potenziale di tossicità. Per una corretta disamina del tema, occorre perciò evitare generalizzazioni e visioni preconcette, partendo dal presupposto che gli eventuali pericoli dipendono da

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Trapianto di genoma artificiale

Pictures of Balb3T3 cells exposed to 100 µM Co-nano for 4 hours by Wires website

un insieme di complessi fattori, oltre che dalle modalità di impiego e dai relativi scenari di esposizione. In termini di rischi tossicologici, un nanomateriale che si somministri all’uomo con finalità diagnostiche o terapeutiche configura una situazione totalmente diversa da quella di un nanomateriale usato per fabbricare, ad esempio, racchette da tennis. Nel dibattito pubblico e nelle discordanti opinioni sulle politiche con cui regolamentare e mettere sotto controllo i possibili rischi collegati alle nanotecnologie, si riconosce a volte una eccessiva semplificazione alla cui origine troviamo in primis una carente cultura tossicologica. Il problema va dunque affrontato sul piano scientifico, con un’analisi basata su evidenze che parta da una rigorosa selezione e valutazione dei dati significativi, ad esempio quelli di (i) studi pubblicati dopo approvazione di revisori indipendenti, (ii) studi che riportano le caratteristiche fisico-chimiche del materiale-test nonché dettagli tecnici sufficienti per poter ripetere l’esperimento, (iii) studi con robusto impianto metodologico (es. dosi realistiche, modelli

appropriati) e risultati correttamente elaborati sul piano statistico. Occorre insomma produrre conoscenza ed analizzare le esistenti informazioni con criteri che garantiscano appropriatezza, attendibilità e qualità scientifica. In sintesi, la nanotossicologia ha obiettivi ben definiti: (i) ottenere informazioni sugli effetti avversi dei nanomateriali e sulle possibili vie di contatto con l’uomo e con l’ecosistema; (ii) elaborare adeguate linee di indirizzo della ricerca (programmi scientifici, studi sul campo, ecc.), (iii) assicurare una base scientifica e ridurre i margini di incertezza del risk assessment (iv) imporsi come strumento autorevole e credibile per la comunicazione dei rischi e per l’attuazione delle misure di controllo. In particolare, la nanotossicologia deve tenersi lontana da due estremi: farsi tramite di una informazione superficiale, destinata a richiamare l’attenzione dei media o dell’opinione pubblica o a suscitare diffidenza nei confronti delle nanotecnologie per ragioni ideologiche e comunque non scientifiche; dall’altro, restare muta di fronte alla condotta im-

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prudente di operatori industriali interessati a commercializzare prodotti di consumo che non hanno ricevuto i necessari controlli. Come ci si può attendere per una disciplina molto recente, la nanotossicologia soffre oggi di obiettive carenze sul piano metodologico. Nel breve termine, in attesa che si arrivi ad acquisire evidenze certe sull’attività biologica e tossica dei nanomateriali, occorre affidarsi al principio di precauzione come strumento di tutela da integrare nelle politiche sociali ed industriali attinenti alle nanotecnologie. In concreto, il principio di prudenza deve tradursi in norme tecniche e comportamenti responsabili (codici di con-

dotta, buone pratiche di fabbricazione e di controllo, lavorazioni a ciclo chiuso, utilizzo di dispositivi di protezione individuale, ecc.) che già oggi è possibile applicare. Il concetto vale non solo per i processi, ma anche per i prodotti basati sulle nanotecnologie. Se per i nanomateriali usati in medicina è accettabile, entro certi limiti, la presenza di effetti collaterali, la tolleranza deve essere minima, o nulla, per i prodotti di consumo ai quali la nanotecnologia conferisce vantaggi scarsi o insignificanti. Questi dovrebbero entrare nel mercato solo quando sia certa l’assenza di rischi per la salute e per l’ambiente. 

Riferimenti Bibliografici [1] Bernardini G., Cattaneo A.G., Sabbioni E., et al., Toxicology of Engineered Metal Nanoparticles, in HANDBOOK OF SYSTEMS TOXICOLOGY, Ed. Daniel A. Casciano and Saura C. Sahu. Jhon Wiley & Sons Ltd. 2011. [2] Manzo L., Nanotoxicology contributes to responsible innovation, Nanotechitaly 2011, 153-154. [3] Lines MG., Nanomaterials for practical functional uses, J Alloys Comp 2008, 449: 242-245 [4] Roco MC., Societal Implications of Nanoscience and Nanotechnology, Springer, New York. 2011. [5] Kim BYS, Rutka JT, Chan WCW., Nanomedicine, New Eng J Med 2010, 363: 2434-2443. [6] Glenn JC., Nanotechnology: future military environmental health considerations, Technological Forecasting and Social Change 2006, 73: 128-137. [7] Altmann J., Military uses of nanotechnology. Too much complexity for international security?, Complexity 2008, 14: 62-70. [8] Maynard AD, Warheit DB, Philbert MA., The new toxicology of sophisticated materials. Nanotoxicology and beyond. Toxicol Sci 2011, 120: S109-S129. [9] Banfield JF, Navrotsky A., (eds.) Nanoparticles and the Environment, Reviews in Mineralogy & Geochemistry v, Vol. 44, Mineralogical Society of America, Chantilly VA, 349 pages. [10] Dennekamp M, Mehenni OH, Seaton A, et al., Exposure to ultrafine particles and PM2.5 in different microenvironments. Ann Occup Hyg 2002, 46 (Suppl.): 412-414. [11] Marconi A., Particelle fini, ultrafini e nanoparticelle in ambiente di vita e di lavoro: possibili effetti sanitari e misura dell’esposizione inalatoria. G Ital Med Lav Erg 2006, 28: 258-265. [12] Oberdoster G, Oberdoster E, Oberdoster J., Nanotoxicology: an emerging discipline evolving from studies of ultrafine particles. Environ Health Perspect 2005, 113: 823-93. [13] Oberdoster G., Safety assessment of nanotechnology and nanomedicine: concepts of nanotoxicology. J Int Med 2009, 267: 89-105. [14] Marquis BJ, Maurer-Jones MA, Ersin OH, et al., The bench scientist’s perspective on the unique considerations in nanoparticle regulation. J Nanopart Res 2011, 13: 1389-1400. [15] Eaton MAW., How do we develop nanopharmaceuticals under open innovation? Nanomed Nanotechnol, Biol Med 2011, 7: 371-375.

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E venti MESSAGGIO DEL MINISTRO DELLA DIFESA GIAMPAOLO DI PAOLA IN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO DEL 25 APRILE Roma, 25 aprile 2012 “Soldati, Marinai, Avieri, Carabinieri, Finanzieri, Personale civile della Difesa, ricordiamo oggi, in occasione del 67° anniversario dalla sua ricorrenza, una delle pagine fondamentali della nostra storia: il 25 aprile del 1945. Una data che, all’indomani dei tragici eventi dell’8 settembre del 1943, segnò l’avvio di una nuova stagione: l’affermazione della volontà di riscatto di un intero Paese. Oggi rendiamo omaggio a tutti coloro, civili e militari, che - anche al prezzo dell’estremo sacrificio – permisero all’Italia di riprendere quel cammino, iniziato nel periodo del Risorgimento, verso il conseguimento degli irrinunciabili valori di democrazia e libertà. La Liberazione del Paese avvenne sotto l’azione delle forze migliori della nostra Nazione, dimostrando al mondo intero come il sentimento di Patria fosse vivo e forte nel cuore degli Italiani. Primi fra tutti, ad impugnare le armi, furono i militari delle nostre Forze Armate che, mantenendo fede al giuramento prestato, iniziarono la lotta per la libertà contro il nazifascismo. Il loro valore ed il loro sacrificio mostrato a Porta San Paolo, a Cefalonia, in Corsica, nei Balcani e sul mare, non va dimenticato. Il loro esempio deve esserci di sprone per superare le difficoltà e le sfide dell’oggi, sfide che sono, non solo economiche, ma anche morali e civili. Davanti a tali sfide siamo chiamati tutti a dare un contributo per un’Italia migliore, ritrovando fiducia in noi stessi e nel nostro futuro. Da parte nostra, è inderogabile procedere ad una profonda revisione dell’intero Strumento Militare, affinché esso possa continuare ad essere efficiente e finanziariamente sostenibile. E possa garantire al nostro Paese la disponibilità di Forze Armate moderne, flessibili, proiettabili ed integrate, capaci di operare in contesti multinazionali sempre più complessi, nel solco di quegli irrinunciabili valori di riferimento che il 25 aprile ci ha indicato. Soldati, Marinai, Avieri, Carabinieri, Finanzieri, Personale civile della Difesa, gli Italiani sono orgogliosi del vostro quotidiano impegno in Patria e nelle missioni per la pace, il mantenimento della sicurezza e della stabilità internazionale. Continuate, pertanto, ad operare con la dedizione e la professionalità che vi sono unanimemente riconosciuti e siate fieri di appartenere alla Difesa, simbolo di unità nazionale a salvaguardia delle Istituzioni repubblicane di questo nostro amato Paese. Viva le Forze Armate! Viva l’Italia!”

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F inestra sul mondo Iran: la pausa del nowruz

Ha un qualcosa di realmente magico il nowruz, la festa del nuovo anno iraniano, riuscendo ogni anno, come per incanto, a paralizzare per quasi due settimane qualsiasi faccenda, anche la più delicata e spinosa. E non ha tradito il suo spirito nel nuovo anno, il 1391, questa festa particolarmente sentita dagli iraniani. Si sono in questo modo spenti i riflettori sulle elezioni, in attesa del ballottaggio che permetterà di completare la rosa dei parlamentari (e soprattutto di capire quanto ampia o meno sia stata la sconfitta del gruppo vicino al presidente Ahmadinejad), ma è anche magicamente sparita la tensione connessa alla possibilità di un attacco israeliano. Qualsiasi cosa debba accadere, nulla può turbare il nowruz. I propositi della Guida per il nuovo anno e i dubbi di Washington sulla guerra Come da tradizione, la Guida Suprema Ali Khamenei ha parlato alla nazione per formulare gli auguri del nuovo anno e per tracciare un bilancio della complessa situazione nazionale. Il tema centrale del discorso ha volutamente toccato la crisi economica, l’argomento maggiormente sentito dagli iraniani in questo momento, con un impegno da parte delle istituzioni per dare impulso ad un rilancio dell’economia ed avviare l’agognata ripresa. I toni entusiastici

NICOLA PEDDE

della Guida circa la capacità nazionale di recupero, non sembrano però aver rincuorato particolarmente gli iraniani, afflitti da una pesantissima crisi aggravata dal crescente peso delle sanzioni e dall’incerto andamento dei ritorni economici derivanti dall’attività petrolifera. Un danno particolarmente grave per l’Iran è stato cagionato poi dall’espulsione a marzo dal sistema dello SWIFT, che di fatto isola il paese dal sistema bancario globale ed impedisce la gestione di ogni transazione internazionale con Tehran. Imponendo una gestione delle relazioni economiche internazionale basata sullo scambio o sull’utilizzo di valuta in contanti. Decisamente un duro colpo per l’Iran. Il discorso di nowruz ha toccato poi anche il tema della sicurezza nazionale. “Non abbiamo e non intendiamo costruire armi atomiche”, ha affermato Khamenei in diretta dalla moschea dell’Imam Reza a Mashad, “ma se ci sarà un attacco nemico, saremo pronti a reagire”. La pressione generata dalla costante minaccia israeliana di colpire l’Iran per impedire lo sviluppo del programma nucleare nazionale, ha reso particolarmente teso il clima delle ultime elezioni parlamentari, e allarmato non poco sia i vertici istituzionale del paese che l’intera popolazione. Mai come in questo momento, infatti, sarebbe stato così alto il rischio di un attacco israeliano nella percezione della gran parte degli iraniani, generando un seguitissimo ed intenso dibattito politico e mediatico.

RUBRICHE 71


Le ipotesi di attacco all’Iran, però, non hanno turbato solo gli iraniani. Altrettanto intenso è infatti il dibattito negli Stati Uniti, dove, nonostante i toni concilianti verso Israele, non è sfuggita la preoccupazione dello stesso presidente Obama, che continua a considerare ogni ipotesi di conflitto altamente rischiosa per gli interessi americani e globali. Secondo alcune indiscrezioni riportate a metà marzo dal Washington Post, il Pentagono avrebbe condotto una sofisticata serie di simulazioni per comprendere gli effetti di una escalation militare contro l’Iran (chiamate in codice “Internal Look”), prendendo in esame sia la sola azione da parte israeliana che l’eventuale coinvolgimento degli Stati Uniti. La simulazione avrebbe dimostrato un ritorno catastrofico per Washington, non solo sotto il profilo delle possibili perdite militari connesse alla gestione diretta dell’azione, ma anche in relazione alle possibili conseguenze “collaterali”, come le ritorsioni dirette nella regione, gli atti di terrorismo su scala globale e gli effetti sul sistema economico. Sempre secondo il Washington Post, poi, la valutazione sarebbe ampiamente condivisa dall’intelligence israeliana, il Mossad, in aperto contrasto con il pensiero dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu. Circostanza peraltro avvalorata anche in passato dalle esternazioni di alcuni altissimi esponenti della difesa israeliana, dimostratisi non solo scettici sulle valutazioni complessive del programma nucleare iraniano ma anche e soprattutto sulle opzioni di intervento militare delineate dal proprio governo. L’ambigua gestione dell’embargo petrolifero all’Iran La mancanza del petrolio iraniano sui mercati, per effetto delle nuove sanzioni, non sarà un problema. Lo ha detto a Nuova Delhi, lo scorso 23 marzo, Maria Van der Hoeven, direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia. I circa 2,5 milioni di barili al giorno prodotti e commercializzati dall’Iran saranno facilmente sostituiti dall’Arabia Saudita, secondo la IEA. Questi volumi, inoltre, interessano quasi esclusivamente l’Europa, restando aperti la gran parte dei canali commerciali iraniani in Asia, e limitando in tal modo l’ammanco sui volumi complessivi del basket petrolifero globale. L’annuncio è stato fatto a tre giorni di distanza dalla conferenza stampa in cui l’Arabia Saudita aveva annunciato di poter incrementare la propria produzione portandola a circa 12,5 milioni di barili al giorno. Strategia che dimostra con chiarezza la posizione altamente ostile di Riyadh nei confronti dell’Iran, oltre che una gestione altamente ambigua delle complesse relazioni politiche ed economiche all’interno dell’OPEC. Un annuncio importante in funzione della sicurezza degli approvvigionamenti – che, peraltro, mai sarebbero stati messi a repentaglio anche nell’ipotesi di un blocco totale

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dell’Iran – ma che ancora una volta ha scatenato gli appetiti del sistema speculativo del mercato finanziario. In alcun modo interessato alla definizione di politiche cooperative di stabilità globale. Ha confermato l’avvio del processo di diversificazione delle partite petrolifere iraniane anche l’Amministratore Delegato dell’ENI, Paolo Scaroni, che ha recentemente parlato di un incremento dei volumi sauditi sulle partite gestite dalla società italiana, con l’aggiunta di altri fornitori. In attesa dell’avvio ufficiale del nuovo pacchetto di sanzioni europee, stabilito dall’Unione Europea con effetto a decorrere dal prossimo mese di luglio, gli Stati Uniti hanno invece esentato dalle sanzioni finanziarie all’Iran 10 paesi europei – tra cui l’Italia – e il Giappone. I paesi europei sono stati esentati in virtù della loro consistente riduzione degli approvvigionamenti petroliferi dall’Iran, giudicata da Washington misura sufficiente, mentre il Giappone ha ottenuto l’esenzione in conseguenza delle evidenti difficoltà di Tokyo nell’individuare forniture alternative di greggio sul mercato asiatico. Non è chiaro cosa gli Stati Uniti vorranno – ed effettivamente potranno – fare con la Cina, l’India, la Corea del Sud e la Turchia, tutti significativamente esposti con l’Iran sotto il profilo degli approvvigionamenti, ed esposti – in teoria – ad una ritorsione da parte USA nei confronti dei loro principali istituti di credito. Come inizierà il 1391? Il primo appuntamento importante in termini di politica interna è rappresentato dal ballottaggio per l’elezione dei deputati ancora mancanti in Parlamento, tra cui soprattutto 25 sui 30 totali di Tehran. In questo modo sarà non solo possibile dare avvio all’attività parlamentare, ma soprattutto si potrà comprendere quanta parte dei deputati indipendenti intenda mantenere posizioni autonome, sostenere Ahmadinejad, o la Guida. Ali Khamenei ha intanto avviato un intenso programma finalizzato a ristabilire la coesione politica nazionale. Uno dei primi passi di questa strategia è stato rappresentato dal rinnovo delle cariche del Consiglio del Discernimento, dove ha voluto – rimarcando una posizione alquanto significativa – rinnovare Rafsanjani alla guida dell’influente organo istituzionale. Un atto che scontenterà molti, ma che si inserisce nel solco della linea della stabilità e della continuità, su cui i partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni hanno costruito la propria campagna. Il periodo delle festività del nowruz è strategicamente strumentale alla politica iraniana, favorendo le relazioni personali e gli incontri informali, che rappresentano l’essenza ed il perno dell’interno sistema politico ed economico nazionale. Un piano relazionale di fondamentale importanza, sul quale da sempre si è costruito il futuro della società iraniana.


a cura del

O sservatorio Strategico FORZE ARMATE E CITTADINANZA

Centro Militare Studi Strategici

FRANCESCO LOMBARDI

Una recente ricerca realizzata dal CeMiSS, che a breve sarà accessibile anche al pubblico, ha analizzato il quadro normativo, individuando fattibilità e limiti per l’arruolamento, nelle Forze Armate nazionali e nelle Forze di Polizia, di soggetti stranieri. In particolare, si è esplorato se esistano strumenti giuridici utilizzabili od adattabili per dar corso a tale innovativa forma di arruolamento o se siano necessarie modifiche alle norme in vigore. Lo studio, pertanto, è un valido strumento di supporto decisionale nell’ambito di un dibattito avviatosi qualche anno fa in seno al mondo politico e militare e destinato a diventare nel tempo sempre più appassionato e costruttivo; certamente in seno alle istituzioni comunitarie, per la sostanziale equiparazione in sede giuridica di tutti i cittadini comunitari e per la continua compressione del concetto di “pubblico impiego”, operata dalla Corte di Giustizia dell’UE. In Italia il dibattito si è acceso e si è arricchito di elementi di scientificità quando, alla vigilia della sospensione della leva, al palesarsi di timori per possibili difficoltà nel garantire l’alimentazione dei ruoli dei volontari, furono formulate talune concrete proposte. L’idea di costituire una “Brigata Albanese” suscitò reazioni di varia natura. Non se ne fece nulla ma furono gettate le basi per un confronto serio e senza fuorvianti motivazioni ideologiche o prese di posizione surrettizie. Prima ancora di prendere a prestito esperienze di paesi vicini, come i gurka nepalesi arruolati nell’esercito britannico o la legione straniera francese o il meno conosciuto Tercio Extranjeros spagnolo, per non parlare dei regolamenti statunitensi in proposito, va rammentato che non mancano esempi significativi anche nella storia nazionale. Vi è infatti il precedente degli Ascari, soldati eritrei, somali ed anche libici, che entrarono nel nostro Esercito alla fine del XIX secolo. Nello studio, grazie ad una approfondita ed articolata analisi del complesso di norme che regolano, direttamente o indirettamente, la materia, viene evidenziato, come in parte era prevedibile, che non è possibile dare il via ora ad arruolamenti di stranieri. La problematica è stata però inquadrata ed analizzata nell’ambito più vasto dell’affidamento di incarichi pubblici a chi è privo di cittadinanza italiana. Si è partiti, ovviamente, dalla Carta Costituzionale, evidenziando che l’art. 52, esprimendo il solo obbligo di difesa della Patria imposto ai cittadini, non esclude la volontarietà del servizio militare per i non cittadini; anche in relazione all’oramai diffusa ed accettata interpretazione estensiva dei concetti di “difesa” e di “Patria”. Nel contempo, l’art. 54, e le norme che da esso discendono, impongono ai militari uno stringente obbligo di (esclusiva) fedeltà, che pone ulteriori elementi di contrasto all’arruolamento di cittadini stranieri. Discriminante risulta pure essere l’art. 51 che prevede l’accesso agli Uffici pubblici per tutti i “cittadini”. La vigenza dei trattati europei ha portato ad estendere l’analisi ai riflessi che la normativa comunitaria ha sulla materia. I trattati comunitari, pur garantendo parità di trattamento tra i cittadini dell’Unione rispetto all’accesso al lavoro, assicurano agli

Stati la possibilità di imporre fattori restrittivi (la cittadinanza appunto) per le posizioni che implicano l’accesso a posizioni comportanti l’esercizio di pubblici poteri. Nell’analisi dei principali documenti normativi di riferimento per il pubblico impiego ha aiutato l’esame del DPCM; “Regolamento recante norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche” che, compendiando sulla materia e pur ultimo nella gerarchia delle fonti, costituisce un utile strumento per definire l’intera filiera normativa di interesse. Esso prevede l’obbligo della cittadinanza, tra l’altro, per “i ruoli [...] militari del [...] Ministero della Difesa”. Nel contempo, stabilisce che possono accedere agli “impieghi civili” delle pubbliche amministrazioni i soggetti che posseggono, fra gli altri, il requisito della cittadinanza italiana, aggiungendo immediatamente dopo che tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti alla UE. Apertura comunque che non è avvenuta in contrasto con la Costituzione, poiché i cittadini comunitari non possono essere considerati alla stregua di semplici stranieri. La disciplina specifica per le Forze Armate (oggi compendiata nel Codice dell’Ordinamento Militare) poi va nella stessa direzione, escludendo l’ingresso di stranieri e rafforzando quanto fin ora esplicitato. Per completezza, va rammentato che la legge sulla cittadinanza stabilisce che lo straniero o l’apolide, in taluni casi, diviene cittadino se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la nostra cittadinanza. Tale disposizione non pare contrastare con l’intero assetto normativo (soprattutto costituzionale), poiché la ratio è quella di disciplinare uno dei casi di raggiungimento della cittadinanza italiana e non quella di consentire il servizio militare a stranieri (anche se di fatto è così). Comunque oggi la norma è priva di operatività a seguito della sospensione della leva. Interessanti e qualificanti le proposte di modifica che potrebbero ovviamente diventare operative qualora l’Autorità Politica intenda introdurre tale forma di reclutamento nel nostro Paese. Da tenere a mente la possibilità, ripresa da precedenti storici, di definire, già in sede normativa, diversi livelli di responsabilità per i “non italiani”. E’ pure vero però che la prossima riduzione dello strumento militare nazionale forse non rende così impellente la revisione della normativa per poter arruolare non italiani. Comunque è ineludibile che, da un lato, i processi di adeguamento normativo, soprattutto quando investono strutture di particolare valenza istituzionale, quale la Difesa, non devono essere dettati solo da esigenze contingenti ma frutto di analisi approfondite, soprattutto dei contenuti strategici. Dall’altro, va considerato che, pur tra gli alti e bassi della crisi economico-finanziaria, il processo di unificazione europea va avanti, anche nell’integrazione dei sistemi di difesa e, pertanto, pare imprescindibile valutare reali possibilità di aprire le Forze Armate nazionali a cittadini almeno dell’Unione europea.

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D ifesa alla Ribalta L’AGENZIA INDUSTRIE DIFESA IMPEGNATA PER LA TUTELA DELLA SALUTE Convegno del 6 giugno 2012 sul tema “Malattie rare e farmaci orfani” Il 6 giugno prossimo si terrà, presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, un interessante Convegno focalizzato sull’individuazione delle esigenze cliniche e sulle sinergie terapeutiche che è possibile porre in atto per la cura di malattie denominate “rare”, ma, nelle realtà esse sono diffusissime. Infatti, secondo alcune valutazioni, le cosiddette malattie rare colpiscono attualmente oltre due milioni di individui, prevalentemente in età infantile. Tra le molteplici finalità del Convegno - seguito con particolare attenzione dal Presidente delle Repubblica, Giorgio Napolitano il quale ha concesso l’ambizioso Alto Patronato e dal Ministro della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola che ha voluto conferire il Patrocinio, nonché da eminenti personalità del mondo politico e di quello scientifico – rientra anche lo scambio di conoscenze e lo sviluppo di attività sinergiche tra i possibili attori pubblici e privati accomunati dall’alto principio etico di porre “al centro” la persona e la sua salute. Un ulteriore obiettivo del Convegno riguarda lo sviluppo di attività per la produzione dei farmaci cosiddetti “orfani”, perché considerati poco remunerativi dalle case farmaceutiche che, nella logica del profitto preferiscono rivolgere la produzione ai farmaci di maggiore diffusione. Per contro, affrancato dalle esigenze connesse con detta logica, lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare si fa carico della produzione dei citati farmaci con l’obiettivo di soddisfare le esigenze e quindi di migliorare la qualità della vita di coloro che, nella sfortuna di essere affetti da malattie invalidanti, soffre anche della difficoltà di accedere ad efficaci terapie. Circa il citato Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, appare opportuno ricordare che esso ha origini che risalgono al dicembre 1832, data in cui il Re Carlo Alberto di Savoia, con un “Regio Biglietto”, fondò il Consiglio Superiore dell’Armata Sarda, tra i cui membri, fu accolto un chimico farmacista. Nel 1853 fu realizzato a Torino da Vittorio Emanuele II, con il R.D. 26/6/1853, un deposito di Farmacia Militare al quale fu annesso un Laboratorio Generale Chimico Farmaceutico avente il compito di produrre “tutti i medicamenti necessari al Servizio

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Sanitario e Veterinario per l’Armata di terra”, Ospedali Militari, Corpi Militari, Stabilimenti Militari ed Infermerie. Il ruolo della Farmacia fu precisato con legge 30/9/1873 (la cosiddetta Riforma Ricotti). La sede originaria del Laboratorio di Produzione era in Corso Siccardi a Torino, dove aveva anche sede il Laboratorio del “Chinino di Stato”, in seguito, fu assorbito dal Laboratorio Generale Chimico Farmaceutico. Dopo il primo conflitto mondiale il Laboratorio Generale Chimico Farmaceutico fu trasferito a Firenze in una sede più moderna e funzionale per quelle che erano le esigenze militari di quel periodo e nel 1920 assunse la denominazione di Istituto Chimico Farmaceutico Militare. A partire dall’ottobre del 1931, l’Istituto entrò nella sua fase produttiva che interruppe durante l’occupazione germanica a causa della rimozione dei macchinari. Al termine del conflitto i macchinari, recuperati a Merano, furono riportati a Firenze nella sede dell’Istituto, consentendo di riprendere la produzione. In anni più recenti l’Istituto ha fornito tangibili ed importanti aiuti alla popolazione locale, colpita nella tragica alluvione del 1966, rendendo disponibile cloramina per rendere l’acqua potabile e distribuendo materiale sanitario per affrontare la grave emergenza. Nel 1976 fu parzialmente modificata la missione dell’Istituto e la denominazione cambiò in Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare. Dal 2001, in base al DL 300/99, lo Stabilimento è passato alle dipendenze dell’Agenzia Industrie Difesa. Unico nel suo genere, lo Stabilimento, oltre a produrre e distribuire farmaci e materiale sanitario prevalentemente destinato alle Forze Armate, rivolge l’interesse anche a prodotti di cosmesi ed alimentari. Per le sue non comuni capacità, particolarmente seguite ed apprezzate anche dall’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare viene ormai attribuito l’ambizioso appellativo di “Unica officina farmaceutica dello Stato” alla quale è sempre possibile rivolgersi per ottenere prodotti farmaceutici di difficile reperibilità sul mercato.


Corso di aggiornamento sul contenzioso del Ministero della Difesa “La Scuola di formazione e perfezionamento del Personale Civile della Difesa (CIVILSCUOLADIFE) ha organizzato presso il Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), dal 20 al 29 marzo 2012, un Corso di aggiornamento sul contenzioso del Ministero della Difesa, che si colloca nel quadro delle attività connesse al riordino dell’Area T/A e del Segretariato Generale, al fine di incrementare le capacità operative dell’A.D. nel settore legale. Il corso, della durata complessiva di 26 ore di lezione, è stato predisposto in applicazione del Protocollo di intesa tra il Segretariato generale della Difesa/DNA e l’Avvocatura generale dello Stato per “La gestione del contenzioso riguardante il Ministero della difesa e la formazione del personale dell’Area T/A del dicastero proposto all’attività legale”, sottoscritto dal Segretario Generale della Difesa/DNA e l’Avvocato Generale dello Stato in data 18 luglio 2011. All’attività formativa hanno partecipato 163 unità di personale: 2 Ufficiali Generali, 12 Dirigenti civili e 5 militari, 123 funzionari amministrativi e 21 ufficiali delle varie F.F.A.A., segnalati a seguito della lettera di invito del Segretario Generale del 14 febbraio 2012. L’obiettivo del corso è quello di fornire, con taglio spiccatamente pratico, gli elementi necessari alla migliore elaborazione delle relazioni di carattere tecnico necessarie alla

difesa del dicastero, nonché assicurare un’ uniformità dei criteri necessari per la redazione degli scritti difensivi da parte delle strutture del Segretariato competenti in materia. La prima giornata di formazione, alla presenza del Segretario generale della difesa/DNA Gen. S.A. Claudio De Bertolis, del Vice Segretario generale della difesa Avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma, del Vice Avvocato Generale dello Stato Avvocato dello Stato Antonio Tallarida, ha visto l’intervento inaugurale del Sottosegretario di Stato alla Difesa Dott. Gianluigi Magri. Si sono poi succedute diverse relazioni nelle quali capi Reparto, direttori generali e responsabili delle direzioni tecniche del Segretariato generale hanno rappresentato la principali problematiche dell’attività contenziosa di rispettiva pertinenza. Nei successivi giorni sono intervenuti relatori e docenti altamente qualificati fra i quali 8 avvocati dello Stato, perlopiù appartenenti alla sezione dell’Avvocatura generale competente per la Difesa, 2 magistrati, fra cui il Procuratore Generale Militare presso la Corte di Cassazione Dott. Antonino Intelisano, un dirigente e un professore ordinario, i quali hanno fornito strumenti teorico–applicativi relativamente a parti di interesse del Codice e del Testo unico dell’ordinamento militare, nonché del nuovo Codice del processo amministrativo (d.lgs.104/2010).”

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D ifesa Notizie MARINA MILITARE IN SOCCORSO AD UNA IMBARCAZIONE SAUDITA Golfo di Aden 6 marzo 2012 - Nave Grecale, Fregata della Marina Militare italiana, presente nelle acque del Golfo di Aden nell’ambito dell’operazione “NATO Ocean Shield”, ha fornito assistenza ad una imbarcazione, a bordo della quale si trovavano in prevalenza somali,

A CURA DI VALTER

CASSAR

della Difesa, con rappresentanti delle Forze Armate, Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri, ha incontrato i giovani e il pubblico cui hanno fornito risposte alle numerose domande su argomenti che riguardano il mondo della Difesa e le attività che esse svolgono quotidianamente al servizio della comunità nazionale ed internazionale. A “OrientaSardegna” sono stati esposti alcuni mezzi e materiali in dotazione alle Forze Armate ed è stato possibile conoscere, nel dettaglio, le opportunità di formazione e di carriera, anche attraverso la navigazione guidata del sito web della Difesa, www.difesa.it, fondamentale punto di riferimento per tutti coloro che vogliono esplorare il mondo militare. RIENTRO DEL “SAN MARCO” DALL’AFGHANISTAN

salpata da Muccal, in Yemen, diretta a Bosaso, in Somalia. Il natante aveva un importante guasto al motore, la cui riparazione ha richiesto un intervento durato molte ore. A seguito dell’intervento dei Marinai del Grecale che hanno riparato l'avaria al motore e assistito donne e bambini con personale tecnico, sanitario, viveri e bevande, l'equipaggio e i passeggeri del cargo hanno potuto riprendere la loro navigazione.

Brindisi 19 marzo 2012 - I fucilieri del San Marco hanno percorso 75.000 chilometri in circa 1000 pattuglie e realizzato 26 progetti di sostegno alla popolazione. Tra questi, una clinica, una moschea, alcune scuole. Inoltre, hanno distribuito più di 4 tonnellate di generi alimentari, materiale scolastico e materiale destinato allo sviluppo delle coltivazioni.

LA CULTURA DELLA DIFESA A “ORIENTASARDEGNA 2012” Cagliari 13 marzo 2012 - "Uomini e donne a difesa del tuo futuro”. È il tema scelto per l’area espositiva che la Difesa ha realizzato in occasione della prima edizione di

“OrientaSardegna”, la Fiera sull’Orientamento Universitario e Professionale della Sardegna. Negli spazi della Fiera Internazionale, lo Stato Maggiore

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Importante anche l’apporto sanitario, con oltre 2000 pazienti civili visitati nelle strutture militari. In sei mesi di attività (da settembre 2011 a marzo 2012), i fucilieri del San Marco sono stati impegnati in attività di difesa e sicurezza del territorio, in particolare negli avamposti in località di notevole importanza strategica, come il Gulistan e il Buji. Attività grazie alle quali sono state poste condizioni di base per lo sviluppo e la governabilità dell'area. Con questo bagaglio, dopo 186 giorni di missione in Afghanistan, i 422 fucilieri di Marina del reggimento “San Marco” sono rientrati a Brindisi, accolti dal Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, dal Comandante in Capo della Squadra Navale Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi e da centinaia di familiari e cittadini.


ESEQUIE SOLENNI DEL SERGENTE MAGGIORE MICHELE SILVESTRI Roma 26 marzo 2012 - In una chiesa gremita di cittadini, militari di tutte le Forze Armate e alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dei Vertici delle Istituzioni che si sono stretti al feretro, avvolto nel

Giampaolo Di Paola, del Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. Biagio Abrate, del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Gen. S.A. Giuseppe Bernardis e di numerose Autorità politiche e militari. Il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, nel suo intervento ha affermato che “le ricorrenze come quella odierna rappresentano un momento importante per celebrare il passato, un’occasione per fare il punto sul presente, ma devono costituire soprattutto lo stimolo per guardare al futuro”. La Pattuglia Acrobatica dell’Aeronautica Militare ha rivolto il saluto ai presenti con la tradizionale scia tricolore. IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO IN VISITA AI MILITARI ITALIANI IN LIBANO

Tricolore per l'ultimo saluto, si sono svolte le esequie solenni del Sergente Maggiore Michele Silvestri, caduto in seguito ad un attacco con colpi di mortaio nella valle del Gulistan, in Afghanistan. “Michele si sentiva militare nel cuore e aiutava la povera gente - ha detto Mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia, nel corso dell'omelia – convinto che la pace si costruisce persino con un pezzo di pane e una scuola che riapre”. Le esequie solenni si sono concluse con le note del silenzio. Il feretro, portato a spalla dai commilitoni del 21° reggimento genio guastatori di Caserta, è stato accolto da un lungo, commosso, applauso della folla in attesa all'uscita della Basilica e salutato con gli “Onori ai Caduti” dal picchetto d'onore interforze schierato sul piazzale. L’AERONAUTICA MILITARE COMPIE 89 ANNI Caserta 28 marzo 2012 - La cerimonia si è svolta nella Reggia di Caserta alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del Ministro della Difesa,

Shama 7 aprile 2012 - Il Presidente del Consiglio Mario Monti, insieme al Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Biagio Abrate, si è recato in visita ai baschi blu italiani stanziati nel Libano del sud per portar loro il saluto del Governo. Nel discorso rivolto ai militari, ha evidenziato il ruolo

strategico che l’Italia ha nella regione, manifestato anche dalla recente riassunzione del comando di UNIFIL da parte del nostro Paese. Il Presidente del Consiglio ha riportato ai nostri militari il plauso raccolto dalle autorità libanesi “per le eccellenti qualità operative messe in campo e per la perizia e la dedizione con cui i nostri militari hanno saputo coniugare il presidio del territorio, con l’assistenza alla popolazione e con il sostegno alla ricostruzione e alla ripresa delle attività economiche”, sottolineando come tutto ciò avvenga non senza sacrifici ed esprimendo la propria vicinanza e quella del Paese, ai familiari dei militari scomparsi e feriti nel corso della lunga missione UNIFIL. BELGIO: AL MINISTRO DI PAOLA LA GRAN CROCE DELL’ORDINE DELLA CORONA Bruxelles 19 aprile 2012 - Il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola è stato insignito della Gran Croce

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dell’Ordine della Corona per i servizi resi al Belgio durante il suo periodo di Presidenza del Comitato Militare della NATO. L’Onorificenza gli è stata consegnata dal Ministro della Difesa belga, Pieter De Crem, a nome del Re Alberto II. AI CORAZZIERI LA CITTADINANZA ONORARIA DI ROMA Roma 21 aprile 2012 - "Testimonianza solenne di apprezzamento e di affetto per la costante opera a presidio dell’Istituzione posta al vertice della nostra Repubblica, e segno di riconoscenza per il profondo legame stabilito

con il popolo romano". Questa l’essenza della motivazione con la quale l’Assemblea Capitolina, presieduta dal Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha conferito la Cittadinanza Onoraria al Reggimento Corazzieri. Onorificenza consegnata nel corso di una cerimonia solenne, alla quale ha preso parte il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, che si è svolta nell’Aula di Giulio Cesare, in Campidoglio, in occasione delle celebrazioni del 2.765° Natale di Roma. A ricevere la pergamena e la Lupa Capitolina, simbolo della Cittadinanza, il Comandante del Reggimento Corazzieri, Colonnello Paolo Carra.

R assegna stampa estera

NATO – I MINISTRI DEGLI ESTERI E DELLA DIFESA PREPARANO IL SUMMIT DI CHICAGO I ministri della Difesa e degli Esteri dei 28 Stati membri della NATO, si riuniranno nel Quartier Generale dell'Alleanza a Bruxelles per due giorni di colloqui, dal 18 aprile 2012, per preparare il prossimo vertice della NATO a Chicago. Nell’ambito del vertice di Chicago del 20-21 Maggio, verranno prese decisioni fondamentali sul futuro della missione a guida NATO in Afghanistan e sulle future capacità e ed esigenze da implementare. Il Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, all’inizio della riunione ministeriale riferiva “Siamo ad appena un mese di distanza dal nostro summit di Chicago. Quindi questo è il momento per assicurarsi, entrando nella fase finale, che le nostre predisposizioni siano sulla giusta strada”. Oggi i ministri della Difesa discuteranno del modo migliore per assicurare che l'Alleanza possa acquisire e mantenere le capacità di cui ha bisogno, anche in tempi di austerità finanziaria. Dal vertice di Chicago ci si attende che venga approvato un pacchetto di misure basate sul concetto di “Smart Defence” (Difesa Intelligente), su cui le nazioni si concentrano al fine di determinare le priorità, la specializzazione e la cooperazione multinazionale per l'acquisizione dei moderni equipaggiamenti. Dal summit ci si aspetta anche di fare un passo avanti riguardo la “Connected Forces Initiative”, che fa riferimento alla policy da adottare affinché le forze dell'Alleanza siano in grado di operare insieme, attraverso una rinnovata enfasi sulla formazione, le esercitazioni e l’utilizzo di equipaggiamento compatibile.

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Il Segretario Generale riferiva che "ci assicureremo che la nostra Alleanza abbia le forze moderne, dispiegabili e interconnesse, delle quali abbiamo bisogno per il prossimo decennio ed oltre". I ministri della Difesa e degli Esteri discuteranno insieme sulla missione in Afghanistan “ISAF”, a guida NATO. Il 19 aprile, i ministri degli Esteri dei 22 paesi non membri della NATO, che contribuiscono alla missione ISAF, hanno partecipato alla riunione per discutere su come fare affinché la transizione verso la piena responsabilità della sicurezza afghana venga raggiunta, e su come offrire, una volta completata, un sostegno continuo agli afgani. Il Segretario Generale riferisce che "continueremo a sostenere le forze di sicurezza afghane, anche oltre il 2014", aggiungendo che l'Alleanza continuerà anche a sostenere finanziariamente l'Afghanistan come parte di un più ampio sforzo internazionale. "Noi dobbiamo essere sicuri di mantenere i vantaggi raggiunti con tante perdite di vite umane e impegno di risorse anche in tempi difficili. Sostenere le forze afghane è un buon motivo in termini finanziari e politici". Inoltre, il 19 aprile, i 28 ministri degli Esteri della NATO saranno con il ministro degli Esteri Russo Lavrov nell’ambito di una sessione del Consiglio NATO-Russia (NRC). Quest'anno ricorre il 10° anniversario della fondazione della NRC, e ciò rende il meeting una buona occasione per fare il punto sui progressi conseguiti compiuti in materia di cooperazione. I colloqui si concentreranno su settori in cui la NATO e la Russia possono rafforzare la cooperazione, come la lotta al terrorismo, l'Afghanistan, la lotta alla pirateria, ricerca e salvataggio in mare e la lotta alla droga. (PVR)

DASSAULT VINCE LA COMMESSA PER LA FORNITURA DI 126 RAFALE ALL’INDIA Il gruppo Dassault si è aggiudicato la colossale gara d'appalto lanciata dall'India per la fornitura di 126 caccia. Il contratto, per un valore pari a 9,11 miliardi di euro, stabilisce che solo 18 apparecchi saranno acquistati direttamente, mentre i restanti 108 saranno prodotti in India, implicando, quindi, considerevoli trasferimenti di tecnologia da parte dello stato francese. Avviata nel 2007, questa gara d’appalto rappresenta una delle maggiori commesse per la terza potenza economica asiatica e sicuramente una delle più importanti al momento nel settore della difesa aerea. Il presidente Nicolas Sarkozy, commentando la notizia, ha sottolineato come la scelta effettuata dall’India costituisca non solo una vittoria per l’aeronautica e per la società produttrice ma anche un vero e proprio segnale di fiducia nei confronti dell’intera economia francese. Per il gruppo Dassault questa vendita rappresenta un grande successo, visto che sino ad ora l’aereo da caccia francese non era mai stato venduto all’estero Ora si aspetta la decisione del Brasile, che ancora non si pronunciato tra il Rafale, l'F/A - 18 Super Hornet dell' americana Boeing e il Gripen. (P.A.)

www.defense.gouv.fr DGA, BILANCIO ATTIVITÀ 2011 Il 22 febbraio 2012, Laurent Collet-Billon, responsabile della Delegazione Generale per gli Armamenti (DGA), ha presentato alla stampa il bilancio delle attività 2011. Durante l’anno in esame, il ministero della Difesa francese ha investito, per il tramite della DGA, 10,7 miliardi di euro nel settore industriale, per lo sviluppo di programmi di armamento e la ricerca. Le lessons-learned dall’operazione in Libia, ha sottolineato Laurent Collet-Billon, costituiscono una conferma della qualità degli equipaggiamenti prodotti dall’industria francese e la validità delle scelte capacitive effettuate congiuntamente dalla DGA e dalle forze armate nel corso degli ultimi 20 anni, come dimostrato anche dal limitato volume di operazioni condotte in “Urgent Operations” per rispondere ad esigenze operative impreviste (20 milioni di euro solamente nel 2011 contro i 170 del 2010 ed i 250 del 2009). Lo sforzo per il rinnovamento dei sistemi in dotazione alle forze francesi, comunque, continua: è proseguita la con-

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segna di missili M51e ASMPA, di elicotteri NH-90 e Tigre, del sistema FELIN, di veicoli blindati da combattimento VBCI, di aerei Rafale e di missili ASTER, EXOCET MM40 e MICA, mentre è aumentata la capacità di intelligence con l’acquisizione di 5 nuovi POD di ricognizione Reco-NG. In merito agli investimenti per la ricerca, nel 2011 gli stanziamenti sono stati pari a 724 milioni di euro. In materia di cooperazione, Laurent Collet-Billon ha sottolineato gli sviluppi positivi della cooperazione franco-britannica, con importanti progressi in tutti i settori coperti da tale relazione, nonché il proseguimento dei contatti con altri partner, come la Germania e l’Italia. (P.A.)

SUPPORTO LOGISTICO PER L'ESERCITO BRASILIANO Brasilia / Monaco di Baviera. La Krauss-Maffei Wegmann (KMW), leader di mercato in Europa per i veicoli blindati ruotati e cingolati e l'Esercito brasiliano, hanno firmato un contratto di Industrial Logistic Support (ILS). KMW fornirà supporto tecnico completo per i carri armati LEOPARD 1A5 dell'Esercito brasiliano nei prossimi cinque anni. I lavori saranno condotti dalla KMW do Brasil neonata filiale KMW a Santa Maria (Brasile). Il contratto comprende più di 220 LEOPARD 1A5 e ulteriori veicoli della famiglia di prodotti LEOPARD così come un gran numero di simulatori e di apparecchiature di addestramento. L'Esercito brasiliano aveva in precedenza acquistato 220 carri armati Leopard 1A5 e relativi sistemi periferici da KMW, la cui consegna sarà completata quest'anno. (M.Po.)

NAVAL SUPPORT CENTER IN THAILANDIA Thailandia . Atlas Elektronik ha fondato in Thailandia, un Centro di Supporto Navale (NSC) in ausilio della Royal Thai Navy (la Regia Marina thailandese). Il NSC è una joint venture con una importante partecipazione tailandese. Il NSC sarà, principalmente, un punto di contatto dei tecnici della Marina thailandese che impiegano sistemi gestiti da Atlas. Il NSC migliorerà ulteriormente la qualità del servizio mediante il trasferimento di know-how fondamentale per il supporto e la manutenzione di sistemi Atlas nelle mani dei tecnici thailandesi che lavorano all'interno del NSC stesso. Atlas ha già consegnato alla Marina thailandese diversi sistemi sonar, di combattimento e cacciamine. (M.Po.) ATTERRAGGI SICURI CON NUOVO CASCO-DISPLAY Il volo in elicottero e l'atterraggio in condizioni di scarsa visibilità come, per esempio, quando viene svolto nel deserto o in presenza di neve è sempre una sfida per i piloti. Il Deutsche Zentrum für Luft- und Raumfahrt (DLR - Centro Aerospaziale Tedesco), ha intrapreso una serie di test con simulatore di volo, per testare un nuovo casco con funzione display per assistere i piloti di elicottero che si trovino in fase di atterraggio in situazioni eccezionali. Le informazioni essenziali come altitudine, velocità, direzione e posizione nello spazio vengono visualizzate anche nel campo visivo del pilota in un display montato nel casco (Helmet Mounted Display, HMD), presentando informazioni sui possibili ostacoli come pali della luce. Dopo queste prime prove nel simulatore , i piloti di elicottero dell’Esercito, Polizia Federale e l'ADAC effettueranno, da metà anno, veri e propri test di volo su elicotteri BO105 e EC135. I ricercatori sperano che l’HMD renda più sicuro volare in condizioni di scarsa visibilità. Ciò consentirebbe ai soccorritori in montagna, allo stesso modo dei colleghi delle Forze Armate, di intervenire, nei voli di soccorso, in condizioni di maggiore sicurezza, di notte, anche in presenza la nebbia, neve o polvere. (M.Po.)

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IL SITO INTERNET DEL MINISTERO DELLA DIFESA

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www.difesa.it


N. 2/2012

Bim - Ed. Ministero Difesa - € 2,80 - Taxe Perçue

LA DIFESA IORE DEL TO MAGG A ST O L L O DE PERIODIC

Il premio più ambìto 3P: Professionalità, Professionalizzazione, Professionisti I Sistemi Unmanned Marittimi

ISSN 2036-9786


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