n° 10/2014
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Periodico di cultura, cooperazione e sostenibilità www.inognidovepiemonte.it
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale -70% - NO/VERCELLI - Anno 2014 - N. 7
IN CAMMINO SULLA VIA FRANCIGENA CANAVESANA Primo piano • SE SONO COSE NOSTRE... • LIBERIAMO IL PIEMONTE • BAR ITALIA LIBERA Cooperazione • ZAC! AD IVREA ZONE ATTIVE DI CITTADINANZA • AEG AL CONGRESSO DI LEGACOOP PIEMONTE • A ZANZIBAR PER RICICLARE LA PLASTICA
Cultura e sostenibilità • CLIMATE SUMMIT 2014 • GLI EFFETTI CLIMATICI E IL GHIACCIAIO CIARDONEY
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EDITORIALE di Alessandra Luciano
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Diecimila lettori... Diecimila lettori on line in un anno non sono pochi. Diecimila lettori che leggono InogniDove gratuitamente sul computer (il 73%), sul tablet (il 7%) e sul cellulare (il 20%). In media ogni lettore dedica quattordici minuti alla lettura della rivista che viene individuata per una percentuale del 71% direttamente nel nostro sito, mentre un restante 29% la “scopre” attraverso Google, digitando “riviste Canavese e Piemonte”. É così che si scopre che la nostra rivista si piazza subito al secondo posto nei siti che il motore di ricerca più potente del web aggancia con queste parole chiave. Da dove arrivano i click sulle pagine on line di InOgniDove? Il 70% dall’Italia ma, con stupore, abbiamo scoperto che la rivista è letta anche in Svizzera, Francia e Spagna, per quanto concerne l’Europa; in Canada, Stati Uniti, Brasile e Perù per quanto riguarda i Paesi oltreoceano e in India, per quanto concerne l’oriente. Alcuni dati interessanti sono quelli che ci dicono da quali luoghi piemontesi accedono i lettori on line: il 33% ci legge da Torino e provincia, il 7 % da Cuneo, il 4% da Asti e l’1% da Biella. Il restante 55% dei lettori tramite web è distribuito un po’ ovunque in Italia, con punte che spiccano nelle città di Genova, Bergamo, Verona, Roma e Catania. Accanto a questi dati occorre registrare anche quelli dei lettori della rivista cartacea che è acquistabile nelle edicole del Canavese, e di quelli che la ricevono a casa, in abbonamento postale. Infatti la nostra politica è stata, sino ad oggi, quella di rendere scaricabile gratuitamente la rivista sul web, e di applicare un prezzo solo alle copie cartacee che ovviamente, per essere pubblicate, hanno costi di carta, tipografia e distribuzione.
Una scelta non facile e non sempre compresa: in linea generale le edicole del basso Canavese tendono a seppellire la rivista sotto le pile di altre riviste a tiratura nazionale, dunque i lettori canavesani non riescono a reperirla con facilità, mentre le edicole dei paesi dell’Anfiteatro Morenico ne valorizzano l’esposizione con cura trattandola con molto riguardo. E i risultati non mancano perché i lettori che la acquistano una prima volta, si affezionano e diventano poi abituali acquirenti. Insomma la scommessa fatta ormai due anni or sono circa questa pubblicazione sta ottenendo piccoli, ma confortanti risultati, che ci aiutano a sperare di dare una forma più stabile e una periodicità più frequente alle pubblicazioni. Nel frattempo è anche in conseguenza di questi dati che abbiamo pensato di predisporre le aree della rivista in modo più fluido e integrato, non dividendo più la sezione dedicata al mondo cooperativo dalle tematiche di sostenibilità e cultura. Le esperienze delle cooperative che proponiamo di volta in volta sono infatti coniugate ed intrecciate ai contenuti di impegno verso la sostenibilità, il rispetto dell’ambiente, l’integrazione, la solidarietà e la democraticità, tutti valori che le cooperative praticano come forma etica di impresa. A loro volta anche le associazioni, e gli enti di volontariato, quando devono organizzare le attività di sussistenza economica lo fanno sempre in forma cooperativa. Dunque ci pare forse più adatto non erigere confini nei piccoli mondi “felici” delle persone di “buona volontà”. Donne e uomini che, pur attraverso differenti esperienze, stanno contribuendo a creare “alternative” ad un presente segnato pesantemente dal fallimento di modelli d’impresa competitivi, che ostacolano forme di cooperazione e sinergie utili per inventare un nuovo domani: più giusto, più equo e più felice per tutti. Buona lettura,
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SOMMARIO
EDITORIALE pag.
3 Diecimila lettori...
di Alessandra Luciano
IN PRIMO PIANO pag.
6 Se sono cose nostre di Letizia Gariglio
COOPERAZIONE pag. 14
Cambiamento a portata di Zac! di Giulia Maringoni
pag. 18
Zollegrame: un progetto tra gli ulivi in Liguria di Alessandra Chiappori
pag. 22
A Zanzibar per riciclare la plastica di Arianna Zucco
pag. 26
Bilanci di giustizia di Giulia Maringoni
pag. 30
Last minute sotto casa di Arianna Zucco
pag. 34
AEG al congresso di Legacoop Piemonte di Alessandra Luciano
SOMMARIO
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CULTURA E SOSTENIBILITÀ pag. 38
Climat Summit 2014 di Giulia Ricca
pag. 42
Gli effetti climatici e il ghiacciaio Ciardoney di Giulia Ricca
pag. 46
Se potessimo... “cacciarli” di Letizia Gariglio
INCONTRI pag. 58
Lo scrittore marinaio di Alessandra Chiappori
InOgniDovePiemonte n. 10 - 2014 Euro 5 Trimestrale di Cultura, Cooperazione e Sostenibilità Registrato presso il Tribunale di Ivrea n. 3 del 4/7/2012 del Registro periodici
GUIDA WEEKEND pag. 56
Sulla via Francigena Canavesana di Stefano Biava
pag. 64
Il fascino dei laghi in autunno di Stefano Biava
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Direttore Responsabile Alessandra Luciano alessandra.lcn2@gmail.com Redazione e collaboratori: Stefano Biava, Alessandra Chiappori, Silvia Coppo, Letizia Gariglio, Giulia Maringoni, Giulia Ricca, Arianna Zucco
Progetto grafico Graphic design - Galliano Gallo Layout e impaginazione Alessandra Luciano Fotocomposizione e stampa GS Editrice di Grafica Santhiatese Corso Nuova Italia, 15 b 13048 Santhià ( Vc) tel. 0161 94287 - fax 0161 990136 direzione@graficasanthiatese.it Direzione e redazione redazione@inognidovepiemonte.it Foto di copertina Foto di Stefano Biava
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PRIMO PIANO - COOPERAZIONE
SE SONO COSE NOSTRE...
Testi di Letizia Gariglio
Sono più di ottocento i Comuni italiani che ospitano nel proprio territorio almeno un bene confiscato alla criminalità organizzata, non solo al Sud ma anche in Canavese.
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I BENI CONFISCATI ALLA MAFIA DIVENTANO OCCASIONI DI LAVORO PER I GIOVANI
Nella pagine accanto e successive La vendemmia nelle cooperative agricole di Libera Terra Mediterraneo, Consorzio Onlus di Cooperative sociali ed agricole che coltivano i terreni confiscati alle mafie. (Foto archivio LIbera Terra)
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egli ultimi anni i beni confiscati alla mafia sono diventati non solo il risultato di un iter di giustizia, ma uno strumento su cui convogliare attenzioni progettuali e programmi di cultura. Non solo la confisca nei fatti ostacola e danneggia le organizzazioni mafiose, ma si fa strumento ulteriore di impegno contro le mafie stesse. Lo fa con l’utilizzazione di una legge: la legge n. 109 del 7 marzo 1996 Rognoni La Torre, che dispone in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati per reati di stampo mafioso, e impedisce concretamente ai condannati di reati di stampo mafioso di rientrare in possesso dei beni sequestrati. Quali beni? I beni mobili, costituiti da denaro in contante e in assegni, titoli, crediti personali di vario genere, come cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni. Sono compresi anche gli autoveicoli, le barche, i natanti. Si aggiungono i beni immobili, come le case, gli appartamenti, i terreni edificabili e quelli agricoli. Mentre le somme di denaro confiscate sono utili per avviare e realizzare il processo di gestione dei beni confiscati nel loro complesso, i beni immobili confiscati possono essere assegnati dallo Stato per operare con “finalità di giustizia” o di ordine pubblico o, ancora, possono entrare a far parte del patrimonio dell’Ente locale dove sono stati confiscati. Un terzo gruppo di beni sono quelli aziendali. Va da sé che gli scopi per così dire “aziendali” della mafia hanno come principale obiettivo quello di costituire un mezzo per il riciclaggio di denaro sporco, proveniente dagli affari illeciti interni all’organizzazione mafiosa stessa. I campi di investimento aziendale che la mafia predilige sono, com’è noto, quello edilizio, ma anche le aziende agroalimentari o quelle di ristorazione, i centri commerciali e i locali notturni. A guardare bene non vi sono settori all’interno dei quali la mafia abbia rinunciato ad operare lucrosamente. Tutti questi beni, come del resto i beni immobili, hanno un alto valore simbolico, più elevato di quello delle liquidità, sia presso l’opinione pubblica, ma an-
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che presso gli appartenenti alle stesse organizzazioni mafiose: viene toccato il piano della materia che si radica nel territorio, concreto biglietto di presentazione del valore dei boss mafiosi. Siamo di fronte ad un bene materiale che si fa simbolo. Esiste un coordinamento fra associazioni che garantiscono una gestione diretta dei patrimoni confiscati, auto-organizzatesi in forma di rete, in Libera. Libera, riconosciuta come associazione di promozione sociale dal Ministero della Solidarietà Sociale, è nata nel 1995, attualmente coordina oltre 1500 realtà fra associazioni, scuole, gruppi e realtà di base territorialmente impegnati. È attivamente impegnata per il miglior uso della legge a fini sociali per i beni confiscati alle mafie, ma non solo. Nel 2008 è stata inserita dall’Eurispes tra le eccellenze italiane. La rivista The Global Journal l’ha inserita nella classifica delle cento migliori Ong del mondo: è l’unica organizzazione italiana di community empowerment che compaia in questa lista, dedicata alle realtà del no-profit. Come ha precisato don Ciotti, Presidente di Libera, essa non non gestisce direttamente alcun bene confiscato, ma coordina, promuove e sostiene le cooperative che lavorano in tal senso. Molte sono le criticità nella gestione dei beni confiscati; don Ciotti chiede la «piena attuazione dell’albo degli amministratori giudiziari, l’utilizzo dei fondi europei per la coesione territoriale, la tutela dei lavoratori delle aziende e incentivi per la nascita di cooperative di dipendenti». Sono più di ottocento i Comuni italiani che ospitano nel proprio territorio almeno un bene confiscato alla criminalità organizzata, alcuni ne hanno ne hanno più di 100. In testa alla classifica non ci stupiamo se c’è Palermo, cuore storico di mafia. Seguono Reggio Calabria (220), Roma (193), Milano (184), Bari (113)
e Napoli (109). Quasi la metà delle aziende confiscate sono localizzate in Sicilia, segue la Campania e la Lombardia . Quanto a don Ciotti, non è male rammentare le minacce che il boss mafioso Totò Riina gli ha rivolto il 14 settembre dell’anno scorso dal carcere, proprio alla vigilia dell’anniversario della morte di Don Puglisi. Era l’ora d’aria quando, in collera, ha manifestato al compagno la propria decisiva intolleranza verso un prete che, come Puglisi, rappresentava una Chiesa impegnata contro la mafia. Di Puglisi in quell’occasione disse: « ... la Chiesa... lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu nel territorio... tutto voleva fare iddu, cose che non ci credete». E infatti don Puglisi è morto. Quanto a Ciotti: «Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzarlo», sbottò Salvatore Riina, «è sempre un pericolo lui... figlio di puttana». Ma gli investigatori della Dia di Palermo stavolta ascoltavano in diretta. Venne avvertita la procura antimafia. Certo, don Ciotti è uno che rompe. Non molla mai, non indietreggia, nemmeno di fronte alle minacce, neppure quelle di omicidio. «Togliere il frutto dei loro crimini ai mafiosi e restituirlo alla collettività ha un valore enorme», dice, «non solo perché colpisce la criminalità organizzata nei simboli del suo potere, ma anche perché quelle terre, quei palazzi, quelle case, quei villaggi turistici, quei poderi agricoli vengono liberati, riportati alla legalità, rimessi nelle mani della società civile a cui erano stati sottratti con la violenza e con il crimine. Quindi occorre tenere alta la vigilanza e rendere più efficace la legge. Le criticità sono ancora tante».
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LIBERIAMO IL PIEMONTE
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icordate la sentenza Minotauro? L’inchiesta Minotauro, sfociata nel 2011 in circa 140 arresti, riguarda la presenza, nel territorio torinese e piemontese, di dieci articolazioni della ‘ndrangheta’, in contatto con le famiglie calabresi, chiamate locali. Risultato del processo di primo grado che ha svelato lo sporco gioco della ‘ndrangheta’ in Piemonte: 75 gli imputati, 36 i condannati. Le indagini hanno fatto emergere dal silenzio l’impero malavitoso di stampo calabrese nel territorio piemontese, le speculazioni attorno all’edilizia, gli interessi nel traffico di stupefacenti, il giro di ricatti ed estorsioni, le porcherie del gioco d’azzardo. Sono stati sequestrati milioni di euro di beni tra terreni, case e altri immobili. Il primo comune a saltare (per mafia) nel ‘95 è stato quello di Bardonecchia; nel 2012 è stata invece la volta di Leinì e Rivarolo in Canavese. Cinquanta condanne sono state confermate dalla IV sezione penale della corte d’Appello di Torino ad altrettanti imputati al processo d’appello denominato Minotauro che si è svolto con rito abbreviato. La corte d’appello ha pronunciato condanne per oltre 210 anni di reclusione, e per un paio di imputati ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Reggio Calabria. «La ‘ndrangheta’ - si legge nelle 519 pagine di motivazioni scritte dai giudici di Torino negli atti del processo Minotauro (37 condanne) - non può più ritenersi solo un insieme di locali o cosche, ma deve essere considerata struttura unitaria di cui queste sono articolazioni territoriali. Le acquisizioni processuali documentano una evoluzione in
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PRIMO PIANO - COOPERAZIONE
In alto Manifestazione di Libera Piemonte degli Istituti superiori con la delegazione di Ivrea e Canavese. (Foto archivio Libera).
senso verticistico e unitario della ndrangheta che, pur nella persistente autonomia territoriale, concilia il centralismo delle regole organizzative e dei rituali con il decentramento operativo. Siffatta trasformazione nella continuità - continuano i giudici - dimostra che l’associazione si è adeguata al mutato contesto sociale, anche in relazione ai territori di espansione, riuscendo anche a coniugare il rispetto delle ataviche tradizioni e regole con le nuove realtà economico finanziarie». Parole estremamente preoccupanti, che spiegano a chiare lettere come non solo sia emersa la presenza sul territorio piemontese di una struttura criminale di stampo mafioso, ma come nel nostro territorio siano state importate modalità criminali, che operano secondo rituali, linguaggi e tradizioni provenienti in modo diretto dalla cultura mafiosa della ‘ndrangheta calabrese e che sono divenute parte integrante del territorio Parallelamente l’Operazione chiamata Albachiara nel 2011 ha portato portato all’arresto di diciannove persone nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo, accusate di associazione alla ‘ndrangheta. Sono stati avviati a poco più di un anno dall’operazione Minotauro i provvedimenti per sequestrare 108 immobili appartenenti a 38 degli imputati per associazione a delinquere. Case e terreni sono dislocati in Piemonte (nella provincia di Torino e di Vercelli) e in Calabria (nella provincia di Reggio Calabria, Crotone e Vibo Valentia). Il sequestro, effettuato dal corpo delle Fiamme Gialle, coordinate
LIBERIAMO IL PIEMONTE
In alto Il Coordinamento Libera sezione di Cuorgnè. (Foto archivio Libera).
dal gruppo Riciclaggio della Procura torinese, garantirà il pagamento delle spese, già sostenute e ancora da sostenere, di tutte le fasi del procedimento: dalle intercettazioni telefoniche e le indagini tecniche della Procura di Torino, proseguite per quattro anni, alle spese di detenzione in carcere. La città di Cuorgnè, posta in Canavese, è nominata molte volte negli atti del processo Minotauro: era il regno incontrastato del boss della ‘ndrangheta’ Bruno Iaria, condannato con rito abbreviato a 13 anni e 6 mesi di detenzione. A breve, forse entro la fine dell’anno, la casa del boss diventerà un rifugio per i senzatetto. Apertura prevista entro la fine dell’anno. L’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla mafia ha approvato il progetto dell’associazione «Libera» di don Ciotti per trasformare la villa in località Cascinette (300 metri quadrati per almeno 300 mila euro di valore) in una struttura dedicata al social housing. In tutto il Piemonte ci sono una quarantina di punti territoriali, di presidi, ai quali ci si può rivolgere se si desideri fare lavoro di collaborazione e volontariato con Libera Piemonte. Li si trova al link http://liberapiemonte.it/coordinamenti e presidi) Sul sito di Libera si può consultare il Geoblog, strumento di divulgazione delle informazioni relative ai beni confiscati in Piemonte.: è una mappatura dei beni, ma non solo. La mappa interattiva (consultabile in http://liberapiemonte.it/geobeni) non consente solo di individuare i luoghi da dove la criminalità organizzata è stata stanata, e dove sono stati sequestrati beni e aziende: dei beni confiscati viene anche narrata la storia, a partire dalle motivazioni che hanno condotto al sequestro, alla confisca. Attenzione viene data ai progetti pensati e realizzati per la riutilizzazione dei beni. I beni confiscati in regione sono 141 e il percorso per arrivare al riutilizzo è uno degli impegni storici di Libera, dalla raccolta firme del 1995 che portò alla stesura della legge 7 marzo 1996, n. 109 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
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IL BAR ITALIA LIBERA SORGE NEL CUORE DI TORINO. È UNO DEI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA AFFIDATO ALLA COOPERATIVA NANÀ
In alto e nella pagina a fianco La sede del bar Italia LIbera, prima e dopo la confisca alla mafia nel 2011. Attualmente il locale è gestito dalla cooperativa Nanà. (foto Archivio Libera.)
COOPERAZIONE
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ì si stabilivano le azioni, che divenivano traggiri, le estorsioni, gli omicidi, si svolgevano i summit e avevano luogo le affiliazioni delle cellule di ‘ndrangheta, sgominata dall’Operazione Minotauro, grazie alla legge 109 del ‘96. Non si trattava semplicemente di un posto dove si aggiravano appartenenti alla ‘ndrangheta, uniti dalla frequentazione di un luogo elettivo, ma di una vera e propria centrale operativa, dove si svolgeva indisturbata l’attività della “testa”, il boss Giuseppe Catalano, principale esponente della ‘ndrangheta’ piemontese, proprietario tra l’altro del bar e gestore, insieme alla moglie. In quanto luogo di importanza strategica per l’organizzazione mafiosa, la trasformazione del bar Italia di via Veglia a Torino in bar Italia Libera, non è evidentemente solo un’opera di restyling estetico e formale, ma una sostanziale trasformazione di un luogo a reale bene comune. Citato 373 volte nell’ordinanza di arresto dei boss, confiscato alla ‘ndrangheta’ l’8 giugno 2011, dal maggio del 2014 è veramente in funzione, vale a dire da quando è giunto a confisca definitiva, affidato alla cooperativa Nanà che ne ha accolta la gestione: la trasformazione di un bene del potere criminale è diventato fonte di lavoro da una parte e fonte di aggregazione per le persone che lo frequentano oggi, con uno spirito totalmente differente da quello che lì si viveva in precedenza. Via i padrini, via gli sgarristi, i vangelisti e i picciotti d’onore, la gente che frequenta oggi il bar ama la legalità, non sono gli stessi ‘clienti’ che circolavano attorno a Giuseppe Catalano, espo-
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nente di spicco della ‘ndrangheta’, arrestato insieme ad altre 153 persone nella notte dell’operazione Minotauro, il 7 giugno 2011. Nel bar Italia Libera si possono consumare colazioni, pranzi, aperitivi; si possono organizzare cene o feste e partecipare a corsi di cucina o a cene tematiche e etniche. La cooperativa Nanà collabora con l’associazione Libera, alla quale aderisce. Oltre a ricercare prodotti equo-solidali e delle cooperative Libera Terra i soci di Nanà mettono particolare attenzione ai prodotti naturali, di produttori e artigiani locali, nel rispetto dell’ambiente del territorio e dei principi di produzione biologica. In via Marsigli a Torino la cooperativa Nanà gestisce anche una bottega, una caffetteria con dehors dove si possono consumare prodotti biologici; è corredata da un parco giochi per i bimbi. Vi si possono fare acquisti di prodotti etici e solidali; nello stesso luogo è possibile organizzare feste di compleanno o aperitivi, partecipare o organizzare corsi. Inoltre la cooperativa ha creato il gruppo Dal Vino al Cibo che mette a disposizione del consumatore una interessante selezione di vini, rigorosamente “made in Italy”, permettendo di saltare l’anello della grande distribuzione (spesso straniera), a tutto vantaggio sia del consumatore che del produttore. Il gruppo Dal Vino al Cibo mette a disposizione corsi di formazione gratuiti in merito ai prodotti che distribuisce e alle loro origini. Tutti modi per creare economia pulita.
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COOPERAZIONE E LAVORO
CAMBIAMENTO A PORTATA DI ZAC! Testi e foto di Giulia Maringoni
Il Movicentro ad Ivrea è diventato la sede operativa della cooperativa sociale ZAC!, un innovativo serbatoio di socialità, energia creativa e protagonismo giovanile.
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ZONE ATTIVE DI CITTADINANZA AD IVREA
Nella pagine accanto I lavori di allestimento dei locali del Movicentro ad Ivrea, con i Soci della cooperativa ZAC!.
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a neonata cooperativa sociale ZAC! ha sciolto la prognosi riservata in cui versava il Movicentro negli ultimi anni, aggiudicandosi il 25 luglio scorso il bando pubblico per il comodato d’uso gratuito dei sei locali interni alla struttura, rivolto ad enti non profit e del terzo settore, che il Comune di Ivrea ha indetto in primavera. Il progetto, come ci ha raccontato la Presidente Lucia Panzieri, ruota intorno alla metamorfosi radicale del sito, trasformandolo da spazio anonimo e vuoto in luogo pulsante di vita, centro propulsore di iniziative a carattere sociale, artistico-culturale, produttivo, aggregativo e di servizi alla cittadinanza. Un’operazione di restyling a 360° ispirata ai principi dell’economia solidale e della condivisione, in linea con la politica seguita dal gruppo di acquisto Ecoredia, da cui lo ZAC! prende origine e spunto. «Ciò che ci sta maggiormente a cuore è che le persone imparino ad osservare con occhi nuovi quello che già esiste, e che nasca in loro, sempre più vivido, il desiderio di riappropriarsi degli spazi pubblici urbani, facendone un tesoro da curare e condividere. Dedicare il proprio tempo, le proprie competenze, il proprio contributo, di qualsiasi natura esso sia, per una città più aperta, accogliente, plurale: questo lo spirito che ci anima!». Proprio per coinvolgere il maggior numero di persone possibile, di tutte le età, interessi e orientamenti, la cooperativa ha immaginato una base di soci molto ampia, stabilendo uno quota sociale minima, di 25 euro, accessibile a tutti. «Chiunque voglia associarsi e darci una mano potrà intervenire e, se lo vorrà, entrare a far parte di ZAC!, dove tutti sono i benvenuti» ha specificato Lucia. Abbiamo cercato di capire più nei dettagli in cosa
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COOPERAZIONE E LAVORO
consiste questo progetto tanto semplice quanto rivoluzionario. «Al momento il nostro sforzo maggiore è l’allestimento di un piccolo spaccio per i produttori locali e della cucina per l’attività di bar e ristorazione, gestita da Ecoredia, che metterà in gioco la propria esperienza per valorizzare il territorio facendo leva sulle pratiche virtuose di consumo consapevole- ha spiegato la presidente. L’intento è di garantire l’accesso ai prodotti alimentari a Km 0 non solo ad una ristretta nicchia di mercato, bensì ad una fascia sempre più estesa di consumatori. Si parla di creare una vetrina e un punto di vendita delle eccellenze tipiche del Canavese, aperto tutti i giorni, in cui i produttori si faranno carico di un ampio ventaglio di attività, tra cui degustazioni, eventi di presentazione, mercatini e visite guidate alle aziende». Lo spazio gestito da ZAC!, operativo dalla metà di ottobre, si articola in tre spazi di autogestione per ragazzi, famiglie, associazioni e gruppi informali, ognuno dipinto con un colore simbolico. «In primis abbiamo pensato ad uno spazio Ragazzi (giallo per attivare la mente), che avrà la doppia valenza di aula studio interattiva e punto ludico di ritrovo, ma che servirà soprattutto come luogo di progettazione nell’ottica di attivare percorsi di protagonismo giovanile; in secondo luogo c’è lo spazio Officina (verde perché legato al riuso, al riciclo e alla manualità), teatro di corsi e laboratori, dove verrà promosso lo scambio di competenze e saperi tra generazioni; infine abbiamo predisposto uno spazio Associazioni (arancione per richiamare il tessuto sociale della città di Ivrea), da adibire alle riunioni di gruppi e associazioni presenti sul territorio, perché possano dialogare tra di loro e contaminarsi reciprocamente. Questo aspetto per noi è fondamentale- ha evidenziato Lucia con un raggio di speranza negli occhi-; passando del tempo insieme, parlando, confrontandosi, ma soprattutto ascoltandosi, nascono intuizioni, scoccano scintille; spesso si scopre persino di condividere un sogno...».
Nel grande atrio si vorrebbero inoltre ospitare eventi, feste, concerti, mostre, spettacoli teatrali, in un mix di socialità, convivialità, coesione. «Potremmo offrire uno spazio dove rifugiarsi in caso di maltempo- ha suggerito la presidente-. Questa, soprattutto nella stagione fredda, sarà senz’altro una carta vincente da giocare!» Anche il turismo è un discorso che la cooperativa ZAC! è interessata a sviluppare. «Vorremmo sfruttare il fatto di trovarci a due passi dalla stazione per offrire agli eventuali turisti in arrivo un primo sorriso di accoglienza, un contatto umano, l’occasione di sentirsi fin da subito in una destinazione calda, viva, ospitale in cui poter fare esperienze uniche di qualità, sia in termini di natura che di cultura e relazioni». «La nostra strategia è di procedere a piccoli passi, ma con tenacia e determinazione. Il vantaggio di questo posto così enorme, che di per sé potrebbe sembrare un limite per la mole di lavoro che implica, è che può essere riempito da tante persone. Ora è vuoto e un po’ spaventa, ma siamo sicuri che la città pullula di individui che, proprio in questo frangente di crisi profonda, isolamento, insicurezza e precarietà, sentono il bisogno di un cambiamento, la voglia di tornare alla ribalta, di far sentire la loro voce, rivitalizzando gli spazi che attraversano ogni giorno. Di fronte a tanta precarietà occorre una proposta forte e convincente che rovesci la scala dei valori e rimetta al centro le persone e i loro legami, ricostruendo ricostruendo il senso di comunità che vive in questo luogo». Così, in effetti, è stato per il brindisi di inaugurazione, improvvisato all’ultimo. «Con tutte le paure che avevamo quel giorno...!- hanno ricordato i soci fondatori tra occhiate di complicità - ma è bastata la gente! Le persone hanno riempito in un attimo quel grande spazio e si sono messe all’opera, portando delle piante, mettendo in cerchio dei cuscini; abbiamo compreso, ancora una volta, come l’unione, se rivolta al bene comune, possa smuovere anche le montagne!».
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ANNO INTERNAZIONALE DELLA FAO
Per saperne di pi첫 www.altraeconomia.it www.ecoredia.it www.temporiuso.org Per informazioni scrivere a: info@lozac.it Per approfondire... A.M.I, Obiettivo Primario, Stefano Menegat, Fabrizio Massaro, Sarah Natoli, Ed.Nuova Prhomos, 2014.
In alto Momenti di vita sociale delle cooperativa ZAC! attiva al Movicentro di Ivrea.
Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono in Italia, Isabella Inti, Giulia Cantaluppi, Matteo Persichino, Ed. Altraeconomia, 2014.
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COOPERAZIONE E LAVORO
ZOLLEGRAME UN PROGETTO TRA GLI ULIVETI IN LIGURIA Testi di Alessandra Luciano
Testi e foto di Alessandra Chiappori
Testi di Giulia Riccabbb
Tra aspre zolle e uliveti la storia di quattro giovani e del loro coraggioso ritorno alla terra.
ZOLLEGRAME
DA IVREA E TORINO VERSO LE ASPRE ZOLLE DELLA LIGURIA A COLTIVARE ULIVI
In alto e nelle pagine successive La raccolta delle olive in Liguria presso i terreni di Zollegrame, progetto nato ad Ivrea e Torino ed approdato in Liguria, dove è in atto una collaborazione con la cooperativa di agricoltura sociale SPES di Ventimiglia.
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ivio Quaranta, Francesco Scopelliti, Dino Tassi e Daniele di Piazza, quattro nomi riuniti sotto il marchio Zollegrame, un progetto giovane e di giovani che guarda con coraggio e realismo al recupero dei terreni agricoli nel Ponente ligure. Siamo tra Dolcedo, Prelà e Tavole, in quella parte dell’entroterra imperiese nota come Val Prino, tra quelle “zolle gramme” che nel dialetto ligure sottolineano l’asperità del terreno e le difficoltà di coltivazione. Nel 2013 i quattro protagonisti di questo intraprendente “ritorno alla terra”, la cui età media si aggira sui 35 anni, decidono di lavorare insieme per un’unica finalità, quella di mettere a frutto gli uliveti che contraddistinguono questa fetta di territorio per produrre olio e fare di questa attività un impiego a 360 gradi. Un obiettivo ambizioso e per il quale il cammino di Zollegrame è solo all’inizio. «Tutti noi siamo coltivatori diretti – inizia a raccontare Francesco – gli altri da qualche anno, io da quasi due: faccio il giardiniere ed essendo nato qui ho una sorta di retaggio culturale che mi lega alle olive. Avevamo fatto qualche lavoro insieme, finché poi non abbiamo pensato di unire le forze ed entrare nel mondo abbastanza difficile della produzione agricola». Al momento ognuno è intestatario di una propria piccola azienda, ma l’idea per il futuro è quella di passare insieme sotto a Zollegram, per questo i ragazzi hanno lavorato al logo e investito sul fronte qualitativo, appoggiandosi per la frangitura a un frantoio di Dolcedo che garantisse tracciabilità, stoccaggio e imbottigliamento, così da ottenere un prodotto apprezzabile alla luce del sole. «Ci siamo uniti – spiega Daniele - perché con le rispettive esperienze individuali ci siamo resi conto che era complicato fare qualcosa su un territorio già difficile. L’unione fa la forza insomma, anche se dietro, chiaramente, c’è una vocazione verso la natura e la campagna. Io per esempio sono arrivato da Torino quattro anni fa, Dino e Livio da Ivrea».
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Una scelta insolita quella di lasciare la città per dedicarsi a un’attività agricola in Liguria, caratterizzata da un terreno aspro e duro e da un lavoro faticoso e poco meccanizzato a causa dell’orografia del territorio. «Forse siamo venuti qui per incoscienza – ridono i ragazzi – però la nostra scelta è anche una sintesi dell’epoca moderna al tempo della crisi: il ritorno alla terra da città sempre più invivibili. Abbiamo tutti percorsi diversi alle spalle, non siamo stati partoriti dall’agricoltura ma ci siamo approdati: un po’ perché in città le vie sono sempre più strette, e un po’ perché di necessità si fa virtù». Certo, serve impegno e i momenti economicamente difficili sono molti, ma, a sentire i protagonisti di questa storia, sembra essere questa la via verso una qualità di vita più alta di quella metropolitana. «Forse a spingerci è stato anche il fatto che non è uno di quei lavori che metti nella prospettiva di vita – ragiona ancora Daniele – da grande vuoi fare l’astronauta, l’attore, il ballerino… Poi scopri che ci potrebbe essere qualcosa di nuovo. Io dopo l’esperienza a Torino nell’ambito del verde pubblico ho piano piano capito che l’agricoltura mi interessava e sono finito in Liguria». A domandare se si ritengono soddisfatti di questa “svolta olivicola”, i ragazzi rispondono con scettico realismo, spiegando che quella del sostentamento tramite l’esclusiva attività agricola è una scommessa che si lega a un salto nella qualità della produzione e che individualmente sarebbe infattibile. «Ci siamo detti
SOSTENIBILITÀ
‘vediamo entro 3-5 anni cosa siamo in grado di pensare e fare’ – racconta Livio – ma non ci siamo dati un obiettivo temporale, anche perché un anno potrebbe andare bene, ma quello dopo male». Ognuno dei ragazzi di Zollegrame porta avanti altre attività, spesso legate al mondo della natura e del territorio. Livio, per esempio, collabora con la Spes di Ventimiglia, una cooperativa che si occupa di agricoltura sociale seguendo i ragazzi disabili per il loro inserimento nel lavoro in serra. È il “saggio” del gruppo, così ribattezzato vista la laurea in agraria, conseguita a Torino: «Dopo la laurea ho avuto qualche esperienza fuori Italia – interviene – e sono approdato qui perché avevo una nonna farmacista a Dolcedo, sono i legami affettivi che mi hanno condotto in Liguria. Ho cominciato a lavorare mettendo in pratica le conoscenze e le esperienze acquisiste: era la mia idea, capire cioè cosa significava concretamente fare agricoltura, e in effetti è un mondo molto particolare, diverso dall’idea affascinante che normalmente la gente ha». Zollegrame può vantare circa un migliaio di alberi di ulivo, il corrispettivo di quella che normalmente sarebbe definita una micro-azienda. La prima produzione, quella della passata stagione olivicola 2013-2014, ha fruttato quasi due tonnellate d’olio, un successo quantitativo mai raggiunto prima, singolarmente, e avvalorato da una qualità di prodotto che ha reso soddisfatti i ragazzi. «Il nostro obiettivo è quello di vivere di agricoltura, e viverci bene – chiarisce Francesco - con un progetto che è culturale, perché
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produce un’identificazione personale col lavoro: siamo cresciuti col sogno di un impiego nel terziario, che poi non si è rivelato tale, e così abbiamo fatto ritorno alla semplicità in chiave personale, sulle nostre esperienze. Per me non esisteva uno scopo culturalmente più alto di questo: fare l’agricoltore. Il problema è che ci si scontra, si lavora in un mondo agricolo piuttosto antico talvolta, con ritmi che non collimano con quelli della società odierna: la soddisfazione è trovare la strada, e ci stiamo provando. Conciliare la parte economica con la parte produttiva è l’ostacolo più grosso contro il quale ci stiamo impegnando». Mentre chiacchierano della loro attività, i ragazzi hanno addosso macchie bianche perché, spiegano, hanno appena finito di proteggere le piante con il caolino, un prodotto biologico che dovrebbe limitare i danni alle olive causati dalla mosca olearia. Le condizioni climatiche del 2014 hanno favorito il proliferare degli insetti, minacciando la prossima produzione, che rischia di essere di gran lunga inferiore a quella del 2013. Un altro ostacolo che ribadisce l’estrema difficoltà di un lavoro simile. «C’è tanta retorica in questa storia del ritorno alla campagna – fa notare Livio – ma la medaglia ha anche un altro lato, ed è quello delle mattine in cui ti svegli che ancora è buio e tireresti la sveglia nel muro: vivere di agricoltura non è un mondo dorato, avvolto da quest’aura bucolica che la gente un po’ ti invidia. Inoltre, produrre un olio costoso non è l’idea che ci piace: la nostra utopia è lavorare per produrre qualcosa che sia accessibile a tutti, la terra non deve essere elitaria. Al momento
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non abbiamo ancora trovato soluzioni, è un peccato, ma è anche vero che si tratta di un discorso di macrosistemi non così facilmente risolvibile». Accanimento e passione, queste le armi di Zollegrame: «Quando mi sveglio all’alba, obiettivamente vorrei distruggere la sveglia – sorride Daniele – ma poi penso che vado a lavorare per una scelta che ho fatto io, e soprattutto siamo in gruppo, c’è qualcuno che mi aspetta, è uno stimolo per continuare». Francesco specifica anche:«Non abbiamo nulla di poetico nel nostro lavoro, spesso ci deprimiamo, quest’anno ci capiterà spesso. Andiamo avanti per cocciutaggine». Nel frattempo, si lavora sulla comunicazione web, si organizzano eventi come la “Festa del ritorno alla terra” di Lecchiore, si gira il Piemonte:«A differenza di varie realtà dove il problema è vendere, il nostro è soddisfare la richiesta – dice Daniele – siamo ancora piccoli e non abbiamo produzioni così rilevanti per poterci mantenere esclusivamente con quello che facciamo, ma quello che riusciamo a fare è apprezzato e richiesto, inoltre abbiamo il controllo dalla pianta al vasetto di confettura o alla bottiglia d’olio, sappiamo cosa hanno visto quelle piante e per questo abbiamo già una piccola fidelizzazione». Una battaglia contro i mulini a vento? Non è detto, i ragazzi sono convinti, testardi, e credono nella loro scelta: «La gente ha abbandonato le campagne e noi stiamo capendo il perché – conclude Livio – se lasciassimo spazio alla ragione e alla realtà faremmo altro. Ma solo se si conosce questa realtà, per brutta e dura che sia, si possono immaginare delle soluzioni».
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A ZANZIBAR PER RICICLARE LA PLASTICA
Testi e foto di Arianna Zucco
I turisti lasciano al loro passaggio montagne di rifiuti che gli isolani non riescono a smaltire in modo efficiente. E così le bottiglie di plastica inquinano spiagge e foreste...
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VALORIZZAZIONE DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI A ZANZIBAR
Nella pagina accanto Donne sulle spiagge di Zanzibar che si dedicano alla raccolta dei rifiuti abbandonati dai turisti.
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unghe spiagge di sabbia bianchissima, acqua cristallina, palme che ondeggiano al vento e resort di lusso affollati da turisti provenienti da tutto il mondo. Questa è l’immagine dell’isola di Zanzibar che ci rimandano le copertine dei cataloghi dei tour operator. Ma la realtà di questo ex protettorato inglese, crocevia di culture fra Asia, Africa ed Europa ed in passato strategico punto di smistamento degli schiavi provenienti dal continente nero, non è così patinata. Le orde di turisti lasciano al loro passaggio montagne di rifiuti che gli isolani non riescono a smaltire in modo efficiente. E così le bottiglie di plastica rimangono a infestare le spiagge e le foreste, mentre i roghi appiccati ai cumuli di immondizia sprigionano nell’aria i loro insalubri fumi. È dalla riflessione di un gruppo di giovani creativi, illustratori e designer di ACRA-CCS e Impact Hub, che nasce l’idea di un progetto di valorizzazione dei rifiuti con una doppia finalità: tutelare l’ambiente naturale ed offrire agli abitanti un’opportunità di impiego e quindi di sviluppo. Il progetto che ne è nato – vincitore del Design Thinking Challenge for Zanzibar - è diventato realtà nel 2013, grazie alla collaborazione con ZanRec, un’impresa locale che promuove la raccolta e il riciclo delle materie plastiche. Ambasciatore del progetto in Africa è il torinese Fabrizio Furchì, 33enne, laureato in ecodesign al Politecnico di Torino. Grazie alla spinta innovativa e allo spirito imprenditoriale suo e dei suoi compagni di avventura, in poco tempo il sogno è diventato realtà: dalle centinaia di bottiglie di plastica vuote e abbandonate rinascono ogni giorno grazie a particolari presse, oggetti di uso quotidiano e soprattutto materiale didattico, del tutto assente in molte scuole di Zanzibar, come i banchi e le sedie.
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COOPERAZIONE E SOSTENIBILITÀ
Sono 30mila le persone che beneficiano e beneficeranno direttamente di questo circolo virtuoso, di cui 2mila impiegate a tempo pieno nel processo di raccolta, gestione e riciclo dei rifiuti solidi. La raccolta della plastica viene monetizzata man mano: l’incentivo economico viene calcolato in base al peso delle bottiglie e dei contenitori raccolti o tramite il prodotto finito. Circa 8mila inoltre sono gli studenti che vedranno migliorare le loro attrezzature didattiche nei prossimi tre anni e più di 60 i docenti coinvolti nelle scuole primarie e secondarie nelle attività di sensibilizzazione. Il progetto prevede un andamento incrementale della raccolta che di anno in anno porterà a riciclare ben 500 tonnellate di plastica ogni 12 mesi, che corrisponde all’impressionante cifra di 14.650 metri cubi di rifiuti solidi in meno abbandonati lungo le strade o comunque stipati in discarica. Un progetto sostenibile
In alto Il manifesto che invita la popolazione e i turisti a effettuare il riciclo dei rifiuti di plastica, perchè non siano abbandonati sulle spiagge.
La soluzione che dall’Italia arriva a Zanzibar si propone dunque come azione di sistema e a lungo termine, grazie alla creazione di posti di lavoro per persone che appartengono ai gruppi sociali più vulnerabili della società e che possono quindi migliorare il proprio tenore di vita. Il vantaggio si esprime anche a livello comportamentale, in termini di maggiore consapevolezza degli stessi abitanti di Zanzibar dell’importanza della tutela del territorio e del suo ecosistema, e ha come fine ultimo il mantenimento di un ambiente più pulito e più sano. Fabrizio Furchì e i suoi sono quindi riusciti a compensare gli effetti dello sviluppo crescente del turismo sull’isola che negli anni ha portato la produzione dei volumi di rifiuti solidi ai livelli paragonabili a quelli di un paese industrializzato: ciò che era prima soltanto un “effetto collaterale” e negativo della presenza straniera in questo paradiso naturale è ora diventato una opportunità di sviluppo per molti di quelli che vivono ai margini.
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IL MONDO A RISCHIO INSOSTENIBILITÀ
In alto Donna sulle spiagge di Zanzibar dove la Fondazione ACRA-CCS ha allestito il progetto di riciclo dei rifiuti di plastica per contrastare l’inquinamento delle spiagge.
Per saperne di più Fondazione ACRA-CCS www.acraccs.org
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BILANCI DI GIUSTIZIA Testi di Giulia Maringoni Foto di Archivio Segreteria nazionale Bilanci di Giustizia
Bilanci di Giustizia” è una rete informale composta da oltre 1200 famiglie in tutta Italia, che si impegnano nel quotidiano per orientare i propri consumi verso valori di giustizia sociale e sostenibilità ecologica.
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TESSERE I FILI DI ECONOMIE DIVERSE: UN MODO POLITICO DI FARE LA SPESA
Nella pagina accanto Attività ricreative con le famiglie della rete di Bilanci di giustizia.
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l progetto Bilanci di Giustizia venne fondato agli inizi degli anni ‘90 da Don Luigi Fazzini, parroco della Chiesa di San Eliodoro ad Altino (VE) il quale, intuendo la necessità di una metamorfosi nel modo di approcciarsi alla crisi ambientale, spronò i cittadini a fare un uso intelligente delle risorse. Tutto prese piede quando ci si accorse che non è sufficiente denunciare squilibri e ingiustizie; occorre, altresì, assumersi delle personali responsabilità a partire dalle scelte di ciascuno in quanto consumatore e quindi possibile sostenitore del sistema, rivedendo i propri consumi quotidiani secondo criteri di giustizia distributiva ma anche qualitativa. «Si tratta di un movimento di liberazione dalla dorata schiavitù del consumatore, in teoria padrone del mercato, in realtà succube di un sistema perverso che lo sfrutta per il profitto di pochi- spiega Fazzini. Piano piano le persone maturano la consapevolezza che, adottando uno stile di vita più sobrio, anche il proprio benessere tende alla crescita. Liberate dal giogo del mercato e dall’influenza dei media si scoprono libere di reimpossessarsi del proprio tempo, dando più valore al dialogo, alla costruzione di relazioni e alla progettualità individuale». Ma come si diventa bilancisti? Il primo passo è sicuramente una lettura condivisa e attenta del bilancio familiare per arrivare a scegliere di “spostare” i propri consumi, secondo criteri etici ed ecologici. Spostare significa ridurre. É importante imparare a percepire la distinzione tra beni necessari e beni superflui come un’ulteriore responsabilità nei confronti di chi non arriva a soddisfare i propri bisogni vitali. Si tratta di accettare la possibilità che ci possano essere stili di vita diversi da quello nostro abituale che possono rivelarsi altrettanto validi se non a dirittura più umani. Spostare significa anche risparmiare in denaro, da
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usare per esigenze di tempo libero condiviso, per la formazione e la cultura, oppure da investire in progetti di solidarietà e cooperazione, nel proprio territorio o nel sud del mondo. Battere la crisi con il cervello
In alto Attività nei laboratori di Bilanci di giustizia. Nella pagina accanto: Il team di Fuorirotta in un pranzo sociale.
Le famiglie che sposano la filosofia dei Bilanci di Giustizia si pongono mensilmente degli obiettivi concreti come lavare a mano i vestiti, muoversi con mezzi di trasporto meno inquinanti (bicicletta, treno, car-sharing), usare il fotovoltaico, gustare il piacere dell’autoproduzione, comprare frutta di stagione, bere acqua dal rubinetto, scambiare vestiti usati, aderire a gruppi di acquisto solidale, acquistare prodotti sfusi per evitare tonnellate di imballaggi. Attraverso la Social Card Bilanciata si accede ad un sito dove apparirà il calcolo di quanto è possibile risparmiare facendo propri questi obiettivi e di quanto, di conseguenza, l’ambiente ne beneficia. Lo strumento per aderire alla campagna è una scheda nella quale appaiono le voci di spesa mensile: alimentari, medicine, abbigliamento, trasporti, interventi, sport, giornali, istruzione, tempo libero, investimenti etici, auto-produzioni e così via. Con una particolarità: per ogni voce sono previste due colonne, una riservata ai “consumi usuali” ed una a quelli “spostati” (cioè seguendo criteri di giustizia, eticità e sostenibilità). A fine mese ogni famiglia fa i conti, con la calcolatrice, e invia alla sede centrale di Marghera o alla segreteria nazionale un rapporto della propria condotta. Far proprie le abitudini bilanciste è indubbiamente più facile mettendosi in rete e confrontandosi con le persone che hanno aderito all’iniziativa, per ricevere consigli pratici e incoraggiamenti, per imparare e crescere insieme. Utile è poi partecipare agli incontri nazionali, dove, in un mix avvincente di conferenze, laboratori manuali, documentari, scambio di ricette e saperi, discussioni collettive ad ampio raggio, si ha l’opportunità di conoscere a fondo strumenti ed esperienze concrete per diffondere percorsi felici di cambiamento degli stili di vita. Soprattutto, nasce la
BILANCI DI GIUSTIZIA
voglia di maturare come bilancisti, non in nome di convinzioni ideologiche, bensì con lo sguardo critico e soprattutto la consapevolezza di chi sa che ogni sua azione conta. Quello che si dice “votare con gli acquisti”! Perché l’obiettivo non è soltanto personale: la posta in gioco, qui, è la riconversione etica del commercio e dell’economia per dare una speranza al futuro del nostro pianeta. Qualche dato... Il celebre tedesco Wuppertal Institute, uno dei più autorevoli think-tank internazionali su energia, ambiente, cambiamenti climatici, ha misurato i successi sorprendenti della campagna Bilanci di Giustizia. Rispetto alla famiglia italiana media Istat, le famiglia bilanciste consumano il 16% in meno: -49% nell’abbigliamento, addirittura -56% in cosmetici e detersivi, contro un significativo +72% in divertimenti e cultura. I consumi energetici sono la metà di quelli medi (107 litri d’acqua al giorno contro 192, e 599 Kwh annui contro 1202). Dal punto di vista etico la famiglia bilancista sposta ogni anno quasi il 20% delle proprie risorse su prodotti meno “ingiusti”. Tutto senza sacrificare il proprio stile di vita: l’indice di felicità, infatti, si colloca sul 5 in una scala di 7.
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Per saperne di più Per informazioni e iscrizioni segreteria@bilancidigiustizia.it www.bilancidigiustizia.it Siti e associazioni nel mondo www.newdrean.org www.yourmoneyoryourlife.org www.cittadinanzasostenibile.it Consigli di lettura per approfondire G. Caligaris, A. Castagnola, Operazione bilanci di giustizia, Ed. Beati I costruttori di Pace, Verona, 1993. AA.VV., L’economia svelata:dal bilancio familiare alla globalizzazione, Ed. Dedalo, 1997. R. Petrella, Il bene comune:elogio della solidarietà, Diabasis, 1997. L. Gaggioli, A.Valer, Prove di Felicità quotidiana, Ed. Terre di Mezzo, 2011.
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LAST MINUTE SOTTO CASA Testi e foto di Arianna Zucco
Come fare la spesa con il computer, acquistando cibi di qualità a prezzi concorrenziali.
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«Vincono tutti: il negoziante che incassa qualcosa, il cliente che acquista a prezzi molto interessanti e il pianeta, perché non si butta via cibo».
NASCE A TORINO L’APP PER COMBATTERE GLI SPRECHI
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cquistare cibi e materie prime freschi e di qualità, ma a prezzi ridotti, è l’obiettivo con cui sempre più spesso ci mettiamo alla guida del nostro carrello della spesa, soprattutto in questi tempi di crisi. Da quest’estate il progetto LMSC - Last Minute Sotto Casa lanciato a Torino rende molto più facile e veloce raggiungere questo scopo, consentendo inoltre ai consumatori finali di aiutare i piccoli commercianti a piazzare l’invenduto fresco di giornata, anziché gettarlo fra i rifiuti. Last Minute Sotto Casa funziona con una logica molto semplice: a fine giornata i negozianti decidono di mettere in vendita a prezzi scontati la merce fresca che non possono più riproporre l’indomani sui loro scaffali, scelgono quindi la formula per l’offerta (ad esempio un trancio di focaccia a 30 centesimi oppure due croissant al prezzo di uno) e la inviano tramite web ai potenziali clienti che si trovano in zona. Questi ultimi ricevono l’avviso sui loro smartphone, entrano in negozio e possono portare a casa un prodotto fresco e di qualità ad un prezzo più che conveniente. Insomma un meccanismo win-win-win, come dicono gli ideatori di LMSC, Francesco Ardito e Massimo Iuvul: «Vincono tutti: il negoziante che incassa qualcosa, il cliente che acquista a prezzi molto interessanti e il pianeta, perché non si butta via cibo». Un progetto sostenibile dunque che i due creatori – entrambi con un’esperienza pluridecennale nel campo della comunicazione, dal project management allo sviluppo software – hanno concepito a partire dall’osservazione delle panetterie che spesso a sera si trovano con grandi quantità di merci, fra pane, arancini, tranci di pizza, farinata o dolci secchi che quasi
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In alto e nella pagina accanto I prodotti delle panetterie e pasticcerie che aderiscono al progetto Last minute sotto casa ideato da Francesco Ardito e Massimo Iuvoli, (nella foto della pagina accanto).
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sempre finiscono nella spazzatura, mentre nei paraggi del loro esercizio sono decine gli smartphone accesi nelle tasche dei loro potenziali clienti. Così i due creativi hanno elaborato un piano da mettere in atto all’interno dell’I3P, l’Incubatore delle imprese innovative del Politecnico di Torino, uno fra i più importanti incubatori universitari sia a livello italiano che europeo. Nella primavera/estate del 2014 è partita la sperimentazione nel quartiere Santa Rita proprio a Torino e nel mese di settembre gli utenti iscritti al servizio Last Minute Sotto Casa sono diventati più di 5mila. Usufruire del servizio è piuttosto semplice: i negozianti devono registrarsi specificando indirizzo e categoria merceologica per iniziare subito a pubblicare le proprie offerte che sono visibili anche in negozio grazie alla locandina cartacea. I consumatori finali invece devono indicare l’indirizzo di residenza o ufficio per ricevere l’offerta più vicina, in base alla tipologia di merce a cui sono interessati fra panetterie, macellerie, pescherie, gastronomie, ortofrutta, enoteche e addirittura self-service. Partito in forma sperimentale nel solo quartiere di Santa Rita, a Torino, nel giro di pochi mesi il portale
LAST MINUTE SOTTO CASA
è riuscito ad attirare un’impressionante mole di utenti: 200 negozi e più di 8 mila clienti iscritti. Quando l’esperienza è partita ai primi di marzo, la rete era composta da appena tre panetterie, ma nei soli mesi estivi Last minute sotto casa è passato da 3 a 5mila utenti. Per quanto riguarda i venditori “al portale” si registrano soprattutto macellerie, forni, pasticcerie, gastronomie, e tutti quei negozi che hanno bisogno di smaltire velocemente la merce. Per questo motivo, ora aderiscono anche i banchi dei mercati rionali. Oggi il modello LMSC sta iniziando a diffondersi un po’ in tutta Italia a conferma di quanto le potenzialità della rete e delle nuove tecnologie possano svolgere un ruolo chiave nel rispetto dell’ambiente – del cibo in questo caso – e nel supportare la riscoperta delle dinamiche di comunità off-line. Iniziative di marketing di prossimità come quella di Francesco Ardito e Massimo Iuvul riescono infatti a far incontrare le esigenze del cittadino consumatore con quelle dei negozianti di quartiere che sempre più spesso nelle nostre città devono lottare per rimanere aperti.
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Per saperne di più www.lastminutesottocasa.it Per usufruire del servizio occorre registrarsi nel sito scegliendo la sezione clienti o la sezione fornitori. Quindi è possibile inserire le proprie offerte o consultare le proposte dei fornitori ogni giorno.
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AEG AL CONGRESSO DI LEGACOOP PIEMONTE S
i svolgerà il 22 Novembre a Torino, il Congresso di Legacoop Piemonte, importante appuntamento che coinvolge le 473 cooperative associate, impegnate a confrontarsi sul ruolo che il sistema Legacoop riveste nell’economia piemontese. Un vero e proprio movimento quello delle cooperative aderenti a Legacoop, alle quali appartengono ben 890.000 Soci e 24.000 addetti, con un valore di produzione di 3 miliardi di Euro, che rappresenta il 2,9% del PIL piemontese. Se a questi numeri si aggiungono anche quelli relativi alle altre due importanti Associazioni cooperative piemontesi, Confcooperative e A.G.C.I., emerge un quadro inaspettato che dimostra quanto la coopera-
zione in Piemonte sia uno dei principali motori trainanti dell’economia, soprattutto in questo periodo di crisi economica. Nel 2013 l’Osservatorio sulla Cooperazione della Regione Piemonte (www.cooperativepiemonte.it), ha reso noti i dati relativi al mondo cooperativo piemontese e si tratta di numeri che non possono che suscitare stupore: in Piemonte operano 5647 cooperative, che aggregano 1.083.000 Soci ed hanno una produzione di oltre 12miliardi di euro. La metà opera nell’area metropolitana di Torino e provincia (2750 cooperative), di queste un quinto (533 cooperative) sono cooperative sociali, che assolvono ad un indispensabile ruolo di supporto al welfare piemontese, erogando importanti servizi assistenziali e dedicati alla persona.
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UN DOCUMENTARIO SULLE COOPERATIVE IN PIEMONTE REALIZZATO DA RETE CANAVESE TV
Nella pagine seguenti Momenti delle riprese di realizzazione del documentazio dedicato alla cooperazione. Riprese presso le cooperativa agricole e sociale La Cantina sociale della Serra e Il Garavot. (Foto archivio Cooperativa Sociale Il Garavot e Cooperativa agricola Cantina della Serra).
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AEG coop, la più grande cooperativa italiana di servizi energetici, rappresenta per il Canavese e il Piemonte un’esperienza importante non tanto per il numero di posti di lavoro che offre, essendo una cooperativa di consumo, ma per il ruolo che la impegna nel territorio per la fornitura di servizi energetici a costi accessibili, oltre ad essere un importante riferimento per incentivare lo sviluppo economico e culturale del Canavese. La partecipazione di AEG al Congresso di Legacoop rappresenta dunque l’occasione per fare il punto della situazione sia per quanto concerne l’attività d’impresa, sia per quanto riguarda il contributo di AEG al movimento cooperativo piemontese. Ne parliamo con il presidente Ivan Pescarin. Presidente per questo importante appuntamento Lei ha pensato di mettere a disposizione del Congresso un documentario prodotto da ReteTorinoeCanaveseTV che propone un percorso nel mondo della cooperazione in Canavese, individuandone le radici olivettiane, come mai? «Beh, non tutti sanno che in fondo AEG e il movimento cooperativo canavesano hanno avuto una storia che si è più volte intrecciata con quella della fabbrica Olivetti. Intanto Camillo Olivetti faceva parte del primo gruppo di Soci fondatori nel 1901 quando la nostra cooperativa è nata, oltre ad aver ricoperto il ruolo di Presidente per oltre un decennio dal 1911 al 1920. Poi Adriano negli anni 50 si era reso conto che nella corsa della gente canavesana al lavoro in fabbrica ad Ivrea, si stava rischiando lo spopolamento delle valli e delle aree agricole. Dunque, per evitare ciò, aveva promosso la costituzione dell’I.R.U.R., e la creazione di cooperative agricole, con l’intento di dare strumenti alle piccole imprese a gestione familiare, per competere con la grande industria di distribuzione che le stava schiacciando. Di queste cooperative fondate da Adriano, qui in Canavese, oggi ne è rimasta solo più una: la Cantina Sociale della Serra,
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COOPERAZIONE E SOCIALITÀ
e nel documentario prodotto da Rete Canavese siamo andati a trovarla per capire come sono andate le cose dopo tanti anni». Nel documentario si propone anche un servizio su una cooperativa agricola e sociale dei nostri giorni, l’Agriturismo Il Garavot, che fa capo all’Associazione Mastropietro di Cuorgnè. «Infatti i tempi cambiano, ma i problemi rimangono gli stessi. La cooperativa sociale Il Garavot (nelle due foto in alto) fa agricoltura sociale, cioè sta tentando di rivitalizzare la produzione ortofrutticola e la ristorazione in una valle bellissima, ma che subisce un grave impoverimento di attività produttive. La cooperativa fa questo attraverso il recupero sociale di soggetti fragili, proponendo loro un’attività imprenditoriale in grado di rappresentare una possibilità di autonomia economica, e questo è molto importante oggi».
Le due cooperative, l’una agricola e l’altra agricola e sociale, sono simbolo di due aspetti centrali del movimento cooperativo dei nostri giorni, che cosa rappresenta invece AEG nel suo ruolo di cooperativa di consumo? «AEG ha due grandi funzioni in questo nostro territorio: per un verso è un punto di riferimento importante per fornire servizi energetici a costi contenuti, e ciò nell’attuale situazione economica è un aspetto fondamentale da mettere come priorità. Ma poiché AEG conta oltre 26.000 Soci, che significa 26.000 famiglie, ovvero quasi la grande maggioranza della popolazione canavesana, è oggi anche uno dei pochi riferimenti in grado di sostenere, nel limite del possibile, piccoli e grandi progetti sociali e culturali, che con i tagli che sono stati fatti negli anni da parte delle Istituzioni, sono in seria crisi. Anche in questo AEG sa di avere un’importante funzione nel territorio che un po’ sostituisce quella che svolgeva la fabbrica Olivetti negli
AEG AL CONGRESSO DI LEGACOOP
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MONDO COOPERATIVO
anni passati. Comunque nel documentario saranno proposti anche servizi su altre importanti cooperative torinesi: la cooperativa Frassati che per esempio ha il pregio di essere la prima cooperativa in Italia a gestire un ospedale in collaborazione con l’ASL, e la cooperativa Nanà di Libera, che ha recentemente acquisito la gestione di un bene confiscato alla mafia nel centro di Torino. Si tratta di due esperienze che sono espressione di problemi dei nostri giorni: i tagli alla spesa sanitaria e la conseguente riduzione di servizi, e la necessità di dare in mano a giovani “onesti” le risorse per impostare attività “oneste”. Ecco perché per esempio come AEG noi sosteniamo da anni le attività di Libera di Don Ciotti nelle nostre scuole». Come mai avete pensato per questo documentario ad una Tv locale? «Perché di cooperazione nelle Tv nazionali si parla poco se non pochissimo, e i motivi possono essere tanti: i costi molti alti per accedere a queste emittenti ed anche la loro attenzione più concentrata sui temi della politica e della cronaca. La televisione è un mez-
zo immediato di cui tutti, anziani e giovani, possono usufruire con facilità, qui in Canavese i notiziari di ReteCanavese sono molto seguiti. Il documentario dedicato alla cooperazione in Canavese e Piemonte sarà messo in onda su Rete Torino e Canavese come Speciale dopo i notiziari, ma sarà poi reso disponibile attraverso i canali della Smart Tv, ovvero potrà essere visto e rivisto tramite il computer, il cellulare o il tablet quando si vuole. Inoltre Rete Torino e Canavese è un’emittente molto seguita anche nell’area metropolitana e attraverso Editrice21 Network arriva a coprire l’intero Piemonte. C’è poi un aspetto da valorizzare nel come questa Tv realizza i suoi servizi, cioè con quel modo di fare giornalismo serio, con giornalisti che si recano davvero nelle situazioni a fare interviste e a documentare con immagini le situazioni. Non è un giornalismo che ricicla servizi di agenzie come fanno altri, e questo è un valore aggiunto importante. Insomma è una Tv adatta a ospitare nelle sue programmazioni anche tematiche sulle realtà cooperative». A.L.
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CULTURA E SOSTENIBILITĂ€
CLIMATE SUMMIT 2014 Testi di Giulia Ricca
Il problema del riscaldamento globale ci impone di affrontare i cambiamenti climatici, con decenni di anticipo rispetto alle previsioni scientifiche degli ultimi anni.
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Nella pagina accanto La mappa dei luoghi dove nel 2012 si sono verificati disatri imputabili a mutazioni climatiche , secondo il rapporto Natural catastrophes in 2012 dominated by U.S. weather extremes, del Worldwatch Institute.
T Testi di Giulia Ricca
DOBBIAMO TORNARE A VIVERE IN UN MONDO LOW-CARBON E RIDURRE LE EMISSIONI DI CO2 PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
utti abbiamo visto, lo scorso mese, girare sul web le immagini dell’attore Leonardo DiCaprio in qualità di speaker alla sede newyorkese delle Nazioni Unite. DiCaprio, da sempre impegnato nel campo della salvaguardia ambientale, ha portato grande visibilità mediatica a un meeting già annunciato nel 2013 dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon: il Climate Summit 2014. Nel suo discorso, l’attore si è rivolto ai capi di stato del mondo: «Io fingo per vivere, ma voi no – ha detto – ora è il vostro turno, è questo il tempo per dare una risposta alla grande sfida per la nostra sopravvivenza su questo pianeta». La grande sfida che il meeting ha voluto portare di fronte alle autorità è quella di tornare a vivere in un mondo “low-carbon”, di ridurre le emissioni di CO2 e correggere il cambiamento climatico. Tra i capi di stato era presente anche Matteo Renzi – l’Italia è al sedicesimo posto su 216 Paesi nella classifica degli Stati per emissioni di CO2 – il quale ha confermato l’impegno del nostro Paese nell’adeguarsi all’obiettivo della UE: arrivare entro il 2030 a un –40% di emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 ed entro il 2050 ad una riduzione di 80-90% rispetto ai livelli del 1990. Renzi ha anche ricordato l’impegno dell’Italia nel produrre energia sfruttando sempre più le energie rinnovabili, affermando che le imprese investono più spesso nelle innovazioni nell’area verde. Certo resta ancora molto da fare, e lo confermano insieme ai dati le manifestazioni che hanno avuto luogo anche in Italia come in tutto il mondo
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CULTURA E SOSTENIBILITÀ
il 21 settembre, la domenica precedente il Summit. Alla manifestazione di Roma era presente anche la presidente della Camera Laura Boldrini: «La presenza delle istituzioni è un segnale positivo – ha detto Federico Antognazza, vicepresidente dell’Italian Climate Network – ed è necessario sensibilizzare i cittadini perché solo così diventerà una priorità anche per il governo. La marcia per il clima di Roma è un punto di partenza». Il Climate Summit ha esteso e portato di fronte alle autorità e alle istituzioni quelle esigenze di denuncia
e quei temi che spesso tendono a essere bollati come mistificazioni dei movimenti ambientalisti. Al vertice si è invece chiarito che il problema del riscaldamento globale non è una finzione né una fissazione di minoranze ideologiche, e che non possono più essere ignorati i cambiamenti climatici, le siccità che si intensificano, gli oceani che si acidificano attraverso pozzi di metano che sorgono dal fondale marino, i ghiacciai che si sciolgono ad una velocità senza precedenti, decenni in anticipo rispetto alle previsioni scientifiche. Niente di tutto questo è retorica, niente di tutto que-
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CULTURA E COOPERAZIONE
Nel 2012 si sono verificati 905 disastri naturali. Di questi il 93% è stato causato da fenomeni meteorologici o climatici: alluvioni, uragani, ondate di calore e siccità. Solo il restante 7% è avvenuto in conseguenza di terremoti o eruzioni vulcaniche. Il 15% dei 905 disastri naturali è avvenuto in Europa, il 69% negli Stati Uniti, il 37% in Asia e l’11% in Africa.
MONDO COOPERATIVO
Dati estrapolati dal rapporto Natural catastrophes in 2012 del Worldwatch Institute.
sto è isteria: sono fatti di cui la comunità scientifica, le industrie e i governi sono al corrente, verità che il Summit di quest’anno ha voluto istituzionalizzare, guardando contemporaneamente a diverse realtà: agricoltura, città, energia, finanza, foreste, industria, resilienza, trasporti. Il cambiamento climatico ha un impatto diretto sulla sicurezza del cibo: il riscaldamento globale ha già colpito negativamente coltivazioni cruciali, in un circolo vizioso per cui circa un quarto dei gas serra deriva dall’industria dell’agricoltura. Se al settore dell’agricoltura è ormai indispensabile adottare pratiche più sostenibili, alle città, che sono responsabili del 70% delle emissioni di gas serra, si richiede di diventare sempre più “resilienti”, diminuendo l’utilizzo di derivati del petrolio e investendo sempre più in energie rinnovabili. Trasferire l’economia mondiale sulla strada di uno sviluppo “resiliente” richiede, a livello globale, grandi investimenti: il vertice ha chiesto ai governi e agli attori della finanza di impegnarsi nell’aumentare in modo massiccio i finanziamenti per andare incontro alla sfida del cambiamento climatico. Mobilizzare le finanze è una priorità, e una robusta tassa sul petrolio è una delle più efficaci strategie per sbloccare gli investimenti e direzionarli verso l’energia pulita. L’intento è quello di mettere un prezzo alle emissioni di carbonio e di eliminare i sussidi governa-
tivi dati alle compagnie di carbone, gas e petrolio, e di mettere fine al “giro gratuito” di cui gli industriali che inquinano hanno usufruito nel nome dell’economia di libero mercato. È la società civile che, consapevolmente o meno, ha bisogno di tutto questo; il cambiamento climatico non è soltanto un problema che scienziati e governi devono discutere a tavolino, ma un evento che colpisce le vite e gli affetti delle persone comuni. A rappresentare la società civile nella cerimonia di apertura del Summit è stata scelta, fra centinaia di candidati, la poetessa ventiseienne Kathy Jetnil-Kijiner, originaria di quelle Isole Marshall colpite dai test nucleari statunitensi tra il 1946 e il 1958. Ai danni permanenti alla popolazione delle Isole, forse addirittura programmati con falsi incidenti dagli Stati Uniti per studiare gli effetti che le radiazioni avrebbero avuto su ecosistema e persone, si sono aggiunti negli anni problemi relativi al cambiamento climatico, primo fra tutti l’innalzamento del livello del mare. Kathy Jetnil ha commosso la platea dei capi di governo con la sua poesia di denuncia, guardando in faccia l’orrore e nello stesso tempo proponendo a tutti un messaggio di speranza, di lotta affinché nessun cambiamento climatico possa portare il mare, e gli altri elementi naturali, a “divorare” un giorno i nostri figli.
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CULTURA E SOSTENIBILITÀ
Testi di Giulia Maringoni Foto di Archivio Nimbus
IL GHIACCIAIO CIARDONEY Qual è lo stato di salute del ghiacciaio che si trova nel Parco Nazionale del Gran Paradiso? Ecco i risultati del monitoraggio avvenuto nel settembre 2014.
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IL GLOBAL WARMING E IL GHIACCIAO CIARDONEY
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fenomeni di surriscaldamento globale e i mutamenti climatici hanno un impatto significativo ed evidente sul delicato equilibrio dei ghiacciai. La riduzione del volume e dell’estensione dei ghiacciai rilevata dagli studi di osservazione glaciologica sono elementi di valutazione dello stato di salute della montagna, salute legata in massima parte alla variabilità del clima. L’uso di sensori meteorologici e l’osservazione diretta grazie alle webcam permettono di mantenere un controllo costante del comportamento di un ghiacciaio, osservandone le trasformazioni e l’andamento anche nelle condizioni più estreme e durante le stagioni più fredde dell’anno. Il progetto in corso al ghiacciaio del Ciardoney, posto a 2850 m di altitudine, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, curato da Luca Mercalli in collaborazione con Nimbus, Società Meteorologica Italiana, e IREN S.p.A., ha lo scopo di rilevare le variazioni della massa e dell’estensione del ghiacciaio nel corso degli anni. Le centraline meteo trasmettono quotidianamente, ogni due ore, dati ambientali sulle condizioni del ghiacciaio, e si possono visualizzare su internet (http://www. nimbus.it/moncalieri/ciardoney/ciardoney.asp) le immagini in time lapse di un anno di “vita” di questo suggestivo luogo al confine tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, in un angolo remoto del Gran Paradiso, nelle Alpi Graie. Per le sue caratteristiche morfologiche, che lo rendono particolarmente adatto ad essere percorso per le misure glaciologiche, il ghiacciaio è stato visitato con continuità fin dal 1958 da Luca Mercalli e Fulvio Fornengo nell’ambito delle campagne del Comitato Glaciologico Italiano, mentre dal 1992 è oggetto di queste dettagliate ricerche sul bilancio di massa. Il ghiacciaio Ciardoney risulta avere attualmente una superficie di circa 0.58 km2, ed è al terzo posto per estensione nelle Valli Orco e Soana dopo i ghiacciai di Nel e Noaschetta Occidentale. In base all’osservazione delle morene e delle fotografie d’epoca, è stato possibile ricostruire l’area del ghiacciaio nel periodo di massima espansione della Piccola Età Glaciale (182050): il ghiacciaio si estendeva in zone attualmente
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CULTURA E SOSTENIBILITÀ
del tutto scoperte, con un’area stimabile in circa 1,7 km2. Grazie ad una carta disegnata nel 1939, è stato inoltre possibile risalire all’area in un’epoca intermedia tra l’attuale e la Piccola Età Glaciale, registrando il già importante arretramento: l’area poteva essere nel 1939 di circa 1,1 km2. Attualmente ogni anno, tra fine maggio e inizio giugno, si misurano spessore e densità della neve accumulatasi nell’inverno (l’alimentazione del ghiacciaio), mentre nella prima metà di settembre si valutano le perdite di spessore glaciale tramite paline infisse nel ghiaccio. Dalla stagione 1991-92 in poi, salvo l’isolato caso della stagione 2000-01, il ghiac-
ciaio ha sempre subito perdite di massa, peraltro con una considerevole accelerazione a partire dal 2003. Dal punto di vista della variazione frontale, dopo un moderato progresso negli anni 1973-78, il ghiacciaio è sempre arretrato, con intensità crescente soprattutto negli anni 2000. Sul sito Nimbus si possono seguire tutti i rilevamenti effettuati dagli operatori della Società Meteorologica Italiana. Nell’ultima escursione, che ha avuto luogo il 22 settembre 2014, si è registrata una situazione moderatamente negativa: nonostante l’abbondante innevamento invernale e primaverile e l’estate nuvolosa e fresca, i tepori di settembre (cir-
IL GHIACCIAIO CIARDONEY
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CULTURA E COOPERAZIONE MONDO COOPERATIVO
Dopo un moderato progresso negli anni 1973-78 il ghiacciaio è sempre arretrato, con intensità crescente soprattutto negli anni 2000. Il valore cumulato di bilancio in 23 anni è ormai giunto a ben -29 m, mentre il regresso frontale totale del ghiacciaio, dall’inizio dei rilievi nel 1971, è giunto a ben 388 m. Sul sito www.Nimbus.it si possono seguire tutti i rilevamenti effettuati dagli operatori della Società Meteorologica Italiana.
ca 1 grado sopra media) sono riusciti a estendere la completa fusione della neve stagionale ad almeno due terzi del ghiacciaio. Il bilancio di massa è stato pari a -0,58 m di acqua equivalente, pressoché identico a quello della stagione 2012-2013 e in perfetto accordo con il valore di –0,57 m rilevato il giorno precedente al ghiacciaio valdostano del Grand Etret, ad altitudini analoghe. L’ultima stagione ha visto perdite di spessore crescenti verso valle: ancora un bilancio negativo. Il valore cumulato di bilancio in 23 anni è ormai giunto a ben -29 m, mentre il regresso frontale totale dall’inizio dei rilievi nel 1971 è giunto a ben 388 m. Del resto, la temperatura media delle Alpi è aumentata di 1,5 gradi nel corso dell’ultimo secolo, con gravi conseguenze idrogeologiche: i cambiamenti climatici hanno già divorato il 54% dei ghiacciai in un secolo e mezzo, e si registrano da tempo cambiamenti nei modelli di precipitazione piovosa e nevosa, insieme ad un aumento nella frequenza e nell’intensità degli eventi meteorologici estremi, come le inondazioni e le valanghe. Si tratta di conseguenze ormai note e visibi-
li da tutti; quello che forse non si pensa comunemente, in merito al riscaldamento globale, è che i cambiamenti climatici stanno mettendo a serio rischio anche la flora e la fauna: l’arretramento dei ghiacciai comporta uno spostamento verso l’alto della vegetazione alpina. Nel lungo periodo, specie animali e vegetali tipiche della pianura colonizzeranno le quote più alte. Le specie alpine costrette a spostarsi ad altitudini sempre più elevate, non trovando più habitat adeguati, potrebbero giungere all’estinzione; mentre è già osservabile in alcune zone delle Alpi meridionali la diffusione di specie invasive alloctone provenienti da parchi e giardini. Per questo, a partire dai rilevamenti scientifici e statistici, come quelli appena descritti al ghiacciaio del Ciardoney, si è reso necessario un nuovo approccio alla conservazione: il WWF sta lavorando in Italia, Austria, Francia e Svizzera, grazie al coordinamento del Programma Alpi Europeo, al progetto di attuare una strategia transfrontaliera per la conservazione del patrimonio naturale per le prossime generazioni.
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CULTURA E SOSTENIBILTÀ
Testi di Letizia Gariglio
SE POTESSIMO... “CACCIARLI”
«Nella caccia non vedo che un atto inumano e sanguinario, degno solamente dei selvaggi e di uomini che conducono una vita senza coscienza». Lev Tolstoj
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LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO HA SANCITO L’OBIEZIONE DI COSCIENZA PER I PROPRIETARI CHE NON VOGLIONO CACCIATORI SUI LORO TERRENI
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ediamo cosa succederà prossimamente per quanto riguarda la caccia in Piemonte. Dal 28 settembre al 30 ottobre caccia aperta a quaglia, tortora; dal 28 settembre al 19 gennaio si cacciano invece germano reale, gallinella d’acqua, alzavola, folaga, fischione; dal 1° ottobre al 31 dicembre beccaccia, beccaccino, allodola. Dal 1° ottobre al 31 gennaio colombaccio, cornacchia nera, cornacchia grigia, gazza, ghiandaia; dal 1° ottobre al 10 gennaio tordo bottaccio, tordo sassello, cesena; dal 28 settembre al 31 gennaio la volpe; dal 1° ottobre al 30 novembre, in base a piani numerici di prelievo pernice bianca, fagiano di monte, coturnice, lepre bianca. Il cinghiale si caccia dal 28 settembre al 28 dicembre o dal 1° novembre al 31 gennaio, anche in forma non selettiva. I cacciatori hanno di che dirsi soddisfatti; coloro che sono contro la caccia molto meno. Se siete contrari alla caccia ma siete proprietari di un fondo fino a poco tempo fa potevate solo mettervi il cuore in pace: ritirarvi in casa e assistere impotenti alla presenza di fucili, cartucce o pallettoni sui vostri terreni. Io ho provato una volta a farmi avanti per discutere con i cacciatori e ho rischiato di essere trattata come un cinghiale. Mi hanno chiesto se ero pazza, ma si sa, le donne... che importava se io fossi o non fossi la proprietaria di quei terreni, o che avessi offerto ospitalmente un caffè, per loro ero solo l’ennesima conferma della ridicolaggine e della stoltezza del mondo femminile. Dunque non mi sento di consigliarvi di prendere la cosa per così dire di petto: rischiate di farvelo forare. Esiste infatti una legislazione nazionale che spiega a chiare lettere come non si possa impedire a un cacciatore l’accesso al proprio fondo, se non a costo di considerevoli manovre. La caccia, infatti, di norma non viene vista dal legislatore come una ingerenza spropositata di terzi nella propria sfera privata.
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CULTURA E SOSTENIBILITÀ
Se la caccia continua a esistere è perché continua nel tempo l’idea che essa possa essere di qualche utilità: la caccia dunque, secondo questa idea, soddisferebbe un generico bisogno (si suppone assai diffuso) di tutelare le coltivazioni dai danni provocati dalla fauna selvatica. Che uno condivida o non condivida questo pensiero, non importa: l’idea di fatto vincente ancora oggi, secondo la legge, è che essa sia utile. Per tutti, anche per chi non la ritiene tale. Ma nell’anno 2012 è accaduto qualcosa alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in materia di caccia e proprietà privata: si tratta di un pronunciamento molto importante. È stata pronunciata una sentenza CEDU dalla Grande Camera, il 26 giugno 2012, in merito alla causa “Hermann versus Germania”, che ha introdotto una sorta di diritto all’obiezione di coscienza venatoria in favore del proprietario dei terreni che non intenda consentirvi l’esercizio della caccia. In base a questa sentenza il proprietario di un fondo rustico non è obbligato a tollerare che altri vi prati-
chino la caccia, se ciò è in contrasto con le proprie convinzioni personali e morali. Sappiamo che la vita dei proprietari che desiderano impedire la caccia nei loro fondi è dura. Vogliamo però dire ai volonterosi che si oppongono alla caccia sui propri terreni, che questa sentenza esigerà necessariamente anche nel nostro paese qualche riguardo in più, in favore della garanzia a difendersi da invasioni di terzi nel proprio terreno e alla libertà di gestire un territorio personale secondo principi contrari alla cattura e all’uccisione degli animali selvatici. La lotta, tuttavia, sarà ancora sempre la stessa: recinzione dei fondi con reti o muretti, cartelli con tabellazione visibile lungo il perimetro di divieto caccia, innumerevoli domande e lettere di comunicazione alla Regione e alle altre amministrazioni pubbliche eventualmente competenti, secondo normativa regionale, per chiedere l’esclusione dei propri terreni dalla gestione programmata della caccia. Agli audaci auguriamo la miglior fortuna!
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SE POTESSIMO... “CACCIARLI”
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«Verrà il tempo in cui l’uomo non dovrà più uccidere per mangiare, ed anche l’uccisione di un solo animale sarà considerata un grave delitto...» Leonardo da Vinci Le vittime della caccia dal 1 settembre al 14 ottobre 2014. Si può considerare la caccia come uno sport? In realtà se di sport si tratta è certamente uno sport crudele che appaga un piacere al prezzo di procurare sofferenza e morte. Si può giustificare oggi la passione per “la caccia” con il riconoscimento di quell’istinto primordiale che fa dell’uomo il predatore per eccellenza? Probabilmente non più, e non oggi, perchè più che dare fiato ad un istinto naturale dell’uomo, che si badi bene era finalizzato alla sopravvivenza, la caccia come “svago” appaga nel nostro tempo ormai solo un “bisogno” che si annida in una cultura del rapporto con la natura e il mondo animale fatto di sopraffazione. Molto spesso i cacciatori raccontano del piacere di passeggiare nei boschi in attesa della preda e della soddisfazione di “centrare l’obiettivo”. Questo stato d’animo, connesso con il piacere che procura uccidere un essere vivente, dovrebbe far pensare tutti noi... C’è poi da considerare che le conseguenze di questo “sport” non sono gravi solo per gli animali. I numeri sulle vittime della caccia costituiscono una sorta di bollettino di guerra, che pare non avere spazio nelle notizie pubblicate dai media. Per esempio tra settem-
bre e ottobre, in Italia, le vittime di incidenti conseguenti all’apertura della stagione venatoria 2014, secondo i dati dell’Associazione Vittime della Caccia, ammontano a 3 morti e 22 feriti, di questi ultimi sono state coinvolte 4 donne e 1 bambino, centrati per errore dai “pallettoni” dei cacciatori. Nel 2013 nei primi tre mesi di caccia 25 persone sono morte e altre 88 hanno subito ferite gravi. Il numero totale delle vittime dello scorso anno è sconcertante: 87 cacciatori, dei quali 18 sono morti e 69 gravemente feriti; 26 sono state invece le vittime tra i “civili”, fra queste 7 persone sono morte e 19 hanno riportato ferite gravi. Fra loro ci sono stati 9 bambini, dei quali 5 sono morti e altri 4 feriti. Durante la stagione venatoria 2012-2013, il 20% delle vittime erano minorenni. In Italia l’esercizio della caccia è vietato ai minori di 18 anni, ma non esiste alcuna norma a tutela dei bambini che vengono condotti e “educati” alla caccia da genitori o parenti. Ecco perché non mancano, ogni anno, casi di bambini feriti o uccisi dalle stesse armi utilizzate dai cacciatori, sia mentre accompagnano padri e zii nelle battute, sia a causa dell’omessa custodia di armi da caccia. A.L.
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CULTURA INCONTRI
LO SCRITTORE MARINAIO Testi e foto di Alessandra Chiappori
«... Potevo amare davvero il mare e frequentarlo meno di un mese l’anno? A un certo punto ho deciso di invertire i pesi, prima, e al centro, le cose che costituivano davvero il centro della mia storia umana, poi, e ai margini, tutto il resto». .
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SIMONE PEROTTI LO SCRITTORE MARINAIO ALLA SCOPERTA DEL MEDITERRANEO
Nella pagina accanto e seguenti Simone Perotti autore, scrittore e appassionato di barca a vela, attualmente è in navigaxione nel Meditteraneo per un progetto di ricerca.
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crittore e marinaio, così ama definirsi Simone Perotti, autore di diversi romanzi e volumi e noto al grande pubblico dopo l’uscita del suo saggio “Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita” (Chiarelettere, 2009) dove racconta la propria esperienza personale di downshifting, il coraggioso cambiamento di vita che lo ha visto scalare la marcia e tornare a uno stile di vita più naturale, lento, ma anche più autentico. Dalla primavera del 2014, inoltre, Simone è parte attiva del team Mediterranea, il progetto che lo vedrà a bordo di una barca a vela in giro per il Mediterraneo nei prossimi cinque anni, per una ricerca dagli scopi scientifici e culturali. “In Ogni Dove” ha avuto l’opportunità di contattarlo nonostante Simone si trovi costantemente in viaggio per mare – attualmente Mediterranea è approdata in Grecia – e di fargli qualche domanda su temi a lui cari come la scrittura, il mare, la cultura. “Se tutti vanno a dritta io voglio andare a sinistra”: questo il motto che ha accompagnato la tua scelta di cambiamento. Da manager, hai abbandonato la carriera milanese per ritirarti nell’entroterra di La Spezia in una casa che hai personalmente restaurato e dedicarti a ciò che di più amavi, la scrittura e il mare. Perché hai sentito l’esigenza di cambiare vita? Cosa c’era, nel tuo mondo precedente, di così stonato da indurre in te questa decisione? «Quel che amavo di più era ai margini. Scrivevo all’alba, per poi andare a lavorare. Poi la notte, o negli aeroporti. Al centro c’era solo il lavoro, che per quanto amassi non era al centro delle mie passioni. Lo stesso per il mare. Potevo amare davvero il mare e frequentarlo meno di un mese l’anno? A un certo punto ho deciso di invertire i pesi, prima, e al centro, le cose che costituivano davvero il centro della mia storia umana, poi, e ai margini, tutto il resto».
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La tua scelta è legata a qualcosa di profondo e personale come l’ascolto di se stessi, della propria voce autentica. Quanto questa riscoperta personale ha a che fare con il ritorno alla natura, intesa come spazio – tu ami il mare e la barca a vela –, ma anche come tempo – i tuoi ritmi sono rallentati, in qualche modo hai ritrovato il tuo tempo? «Il tempo non è né tanto né poco, è quello che è. Il tema non è lui, ma noi. Come lo utilizziamo? Cosa ne facciamo? Con quale qualità, quali effetti? Non rispondere mai a queste domande rende correi del proprio destino». Quali sono state le tappe concrete di questo tuo volontario “rallentamento” e come, oggettivamente, hai affrontato l’assenza di stipendio e la nuova gestione dei consumi nella tua quotidianità domestica? «Bastava rivisitare tutto il proprio minimo bilancio. Cosa compravo che davvero avesse impatto sul mio benessere? A cosa davo peso, cosa poteva essere tagliato o ridotto senza vivere male, anzi, acquistando qualità della vita? Che margine c’era per una nuova economia basata su luoghi diversi, case diverse, ristrutturazioni fatte da me, autoproduzione, riuso, riciclo… Insomma era vera la storia che per vivere servisse tanto denaro, o era controinformazione?
CULTURA INCONTRI
Ma soprattutto, potevo dire “non posso” senza aver davvero fatto conti, ipotizzato vie, tentato strade nuove? Ed è quello che ho fatto. Per anni ho calcolato, ipotizzato, studiato la reale entità dei miei costi. Mi sono accorto che potevo vivere quasi di niente, di pochissimo, che in alcune zone bellissime d’Italia le case antiche da ristrutturare costavano niente e le ristrutturazioni potevo farle io. Potevo costruirmi i mobili, riciclare materiali, muovermi secondo una viabilità intelligente, diversa. Ho scoperto un mondo. Nuovo. Il mio». E la gente intorno a te cosa ne pensa? Il successo di “Adesso basta” sembrerebbe sottolineare una sorta di esigenza che, silenziosamente, si fa strada nella società odierna, stressata e massificata. «Mi hanno travolto. 300.000 email e post nei primi 18 mesi dall’uscita del libro. Uno tsunami. 18 edizioni del libro, un long seller. Preciso che il libro è uscito due anni dopo la mia scelta di cambiamento. Vivevo allora come vivo oggi. La mia vita non è cambiata di un millimetro». Un sistema diverso da quello imposto dalla cultura di massa e dai media, che troppo spesso aliena le persone e le allontana dal contatto autentico con se stessi e la
LO SCRITTORE MARINAIO
natura è mera utopia? Se tutti riuscissero a trovare il tuo coraggio e a riprendersi la propria vita con consapevolezza, come cambierebbe il mondo? «La vita è una pernacchia. Inizia senza motivo, va via veloce e finisce senza che puoi neanche dire “ba”. Nel frattempo di una cosa così insensata e veloce, che termina con l’oblio (nessuno ricorda il nome e cognome della mamma della propria bisnonna, dunque è come se non fosse mai esistita), direi che si può tentare qualcosa, e anche divertirsi. Tanto la nostra angoscia, le nostre domande senza risposte, restano le stesse». Cambiare vita per riconquistare una libertà perduta. A qualche anno dalla tua scelta, che bilancio puoi e vuoi fare dei pro e dei contro che questa nuova libertà ti ha dato, sia a livello esistenziale che, più materialmente, a livello concreto? «Contro: la mancanza di soldi. Combatto sulla lira, moneta per moneta. Pro: tutto il resto. Direi un bilancio schiacciante». Cosa significa stare bene ed essere felice per Simone Perotti? «Essere in equilibrio, in armonia. Capita periodicamente se ci lavori tanto, dentro. Non capita quasi mai se non te ne occupi. Come facciamo a diventare bra-
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vi nel nostro lavoro? Facendolo ogni giorno 9 ore al giorno, per anni. E infatti impariamo a fare al meglio le cose. Se non lavoriamo mai neanche un minuto su spirito, anima, mente, corpo, è chiaro che non otteniamo niente. Occorre una nuova pratica di igiene comportamentale. Occorre creare nuovi equilibri». Dallo scorso maggio sei tornato in mare su Mediterranea, la barca a vela che dà il nome a un ambizioso progetto che girerà il Mediterraneo per i prossimi cinque anni. Quando, come, ma soprattutto perché è nata l’idea di questa impresa, e che cos’è per te Mediterranea? «È la naturale conseguenza delle mie scelte. Ho cambiato vita, mi sono “liberato da”. Ma per essere “libero di” fare che? Ecco il punto: ci si libera progressivamente per farci qualcosa della libertà. Se non si sa cosa, occorre non tentare, non partire per il viaggio della libertà. Per me era il mare, la navigazione, il Mediterraneo, oltre naturalmente alla scrittura. Da vent’anni sognavo un giro per il Mediterraneo incontrando autori, intellettuali, poeti, scrittori, con cui discorrere, parlare, ascoltare sui grandi temi della contemporaneità. E quando mi sono trovato libero di farlo, sono partito».
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CULTURA INCONTRI
“Mediterranea non è un’impresa commerciale, non fa attività di charter tradizionale, non ha per obiettivo alcun particolare ritorno economico salvo coprire i suoi costi. Nessuno riceverà denaro in cambio del sostegno dato, ma agirà per generare, per sé e per gli altri, un ritorno assai più ricco e importante, oltre che molto meno “incerto”: il viaggio stesso, con tutto il carico di avventura, scoperte, relazioni, emozioni, informazioni, esperienze. Vita”. Questo spiega il sito dell’impresa, tu puoi spiegare a noi come, concretamente, funziona il vostro viaggio volontario e gratuito e come riesce a sostentarsi il progetto? «Per questo viaggio servono 50-60 mila euro l’anno. Gasolio, porti, vele, cambusa, riparazioni, dogane etc. Abbiamo provato a cercare sponsor, ma svogliatamente. Non avevamo alcuna affinità con le aziende papabili. Tutta gente che rema per il consumismo, per la gente schiava che lavora guadagna spende e spreca. Molto radicale il gruppo intorno a me. E io pure. Allora, su stimolo di nostri amici, abbiamo pensato alla prima esperienza mondiale di co-sailing: 1000 euro a testa all’anno, per 5 anni, per sostenere l’iniziativa. A bordo quando si vuole, ci diamo il cambio. Ora siamo 45. Dovremmo essere alcuni di più, vedremo. Ma sono ottimista». I progetti di ricerca che viaggiano insieme a Mediterranea sono due, uno scientifico e uno culturale. Partiamo da quello scientifico: cosa si impegnerà a indagare il team di ricercatori a bordo della vostra imbarcazione? «Università di Siena, Università del Salento, CMCCC del Salento e un istituto inglese, il Sahfos. Studiamo mircopolastiche e meduse facendo prelievi e osservazioni. Studiamo un sistema di meteo forecast elaborato da CMCC, il Sea Conditions. Soprattutto facciamo prelievi di plancton in tutto il mare che attraversiamo. Saremo i primi a fare prelievi in un terzo almeno del Mediterraneo. Siamo molto orgogliosi di questo. Dare una mano al mare, per gente come noi che ci vive, era essenziale. A volte ci sono i ricercatori a bordo, ma a volte, spesso, siamo noi stessi a fare i prelievi».
LO SCRITTORE MARINAIO
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Mediterranea lascerà un po’ di spazio a tuoi progetti letterari? E, se sì, si tratta di romanzi o altri lavori di taglio saggistico? «Un romanzo uscirà a febbraio, più o meno. Un altro lo sto scrivendo, e si svolge molto su queste rotte. Poi scriverò saggi, articoli… Le storie che incontro sono
La parola Mediterraneo evoca fascino e avventura: rotte, viaggi, popoli, incroci, storie, culture, idee, pensieri, punti di vista. Qual è l’obiettivo di questa vostra seconda esplorazione? «Cerchiamo le idee e le teste pensanti, le soluzioni e le analisi che il Mediterraneo sa generare. Poeti, scrittori, artisti, intellettuali, cioè il pensiero stesso del Mediterraneo. Lo cerchiamo per noi, per capire cosa siamo, dove siamo, cosa sta accadendo, per capire dunque noi stessi e la nostra epoca. Ma siamo certi che rilanciando tutto sui media potremo aiutare anche altri a capire loro stessi e la loro epoca». Nella pagina accanto Adesso basta, il volume di Simone Pierotti edito da Chiarelettere. In alto Simone Perotti sulla sua barca.
Riscoprire la natura, la lentezza, il dialogo tra culture. In una sola parola: la bellezza. È con questa ricerca, incessante ma non per questo meno avvincente, che il mondo potrà cambiare e forse diventare migliore? «Non ne ho idea. A me sembra solo la cosa più sensata da fare, la nostra “linea di minore resistenza”, cioè la destinazione più sapida dove dirigerci. Credo che se ognuno seguisse la propria linea di minore resistenza tutto il mondo migliorerebbe. Un uomo che cambia, cambia il mondo».
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GUIDA WEEK END SOSTENIBILI
IN CAMMINO SULLA VIA FRANCIGENA CANAVESANA Testi e foto di Stefano Biava
LA CANZONE RIBELLE
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Una lunga passeggiata sui sentieri della Via Francigena canavesana seguendo il percorso degli antichi pellegrini verso l’antica chiesetta romanica del Gesiun.
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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI
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li ultimi mesi dell’anno rappresentano un momento particolarmente propizio per effettuare alcune interessanti passeggiate lungo le pendici della Serra Morenica di Ivrea. Tra queste quella che da Cascinette di Ivrea conduce ai ruderi ricchi di storia della chiesa di San Pietro di Livione rappresenta una buona occasione per scoprire tanti interessanti aspetti legati al territorio. Dalle notevoli testimonianze di architettura romanica al paesaggio agreste ancora ben conservato, tanti sono gli spunti per mettersi in viaggio. Le temperature ancora miti e i colori dell’autunno ci accompagneranno lungo tutto il viaggio. Da Cascinette a Burolo La passeggiata ha inizio a Cascinette d’Ivrea nel piccolo parco nei pressi del campo sportivo. Provenendo da Ivrea, si raggiunge l’area percorrendo via Pietro Crotta, (prosecuzione di via Cascinette con inizio a San Lorenzo ad Ivrea) e, circa 30 metri prima del semaforo, si svolta a destra nella via a senso unico che conduce alle scuole. Qui è possibile parcheggiare l’auto ed iniziare la passeggiata. Al semaforo si attraversa via Pietro Crotta percorrendola per circa 50 m in direzione del centro paese. Giunti all’altezza di un bar si imbocca via Montodo e la si percorre per intero. Al termine di questa si segue la strada di destra che dopo alcuni metri diventa sterrata per addentrarsi in una zona caratterizzata da alcuni vigneti. Giunti ad un primo bivio si prosegue a sinistra aggirando una piccola collina. Al successivo bivio si svolta a destra e al fondo della strada sterrata si raggiunge la prima area pic-nic nei pressi del lago di Campagna. Da qui è possibile raggiungere la seconda area pic-nic proseguendo a destra lungo la strada sterrata oppure, per apprezzare meglio la bellezza del luogo, superare la sbarra che delimita il prato per dirigersi verso le
THE REPAIRMAN
due panchine in cemento dell’area pic-nic. Da qui si segue la traccia di sentiero (con indicazione Via Francigena) che a destra porta lungo la sponda del lago e dopo pochi metri risale un dosso roccioso in cima al quale è presente una panchina. Il sentiero prosegue in discesa sul lato opposto del dosso attraversando un bel bosco. In breve si è di nuovo sulle sponde del lago di Campagna. Procedendo frontalmente si attraversa il bel prato e l’area attrezzata dirigendosi verso il caseggiato con i servizi. Al termine del prato ci si immette in via Lago di Campagna e la si percorre verso sinistra fino ad incrociare la strada Provinciale 74. Facendo molta attenzione alle auto in arrivo si attraversa la strada e ci si dirige a sinistra in direzione della evidente curva. A questo punto l’itinerario prosegue lungo la strada che si dirama a destra e in questo modo si esce definitivamente da Cascinette dove, in prossimità delle ultime abitazioni, si piega a sinistra. Ha così inizio un lungo sterrato che conduce a Burolo. Al primo incrocio si devia a destra e si percorre, in piano, circa un chilometro (a metà circa si supera un piccolo rio) fino ad incrociare un altro sterrato sulla sinistra, con la segnaletica della Via Francigena. Si segue questa
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nuova direzione che tende verso il pendio della Serra. Raggiunta una strada asfaltata si svolta a destra e si prosegue per alcune centinaia di metri, ancora in piano, fino ad un incrocio. L’ambiente è aperto ed è ben visibile il pendio, formato da un’appendice della Serra d’Ivrea, sul quale sono adagiate le case di Burolo. Da Burolo a Piverone Girando a sinistra si raggiunge l’abitato di Burolo e alla prima possibilità si piega a destra per risalire un breve tratto fino ad un bivio. Da qui, proseguendo diritto, si ridiscende fino ad una biforcazione. Si segue la stradina secondaria sulla sinistra, ignorando l’altra strada che si sviluppa con un lungo rettilineo. In breve si raggiunge un punto di sosta della Via Francigena dove è presente una fontanella. A questo punto si percorre un lungo tratto alla base del pendio morenico che immette direttamente nel centro di Bollengo. Si percorre via Burolo sino ad incrociare la Strada Provinciale 263 e la si segue per intero, superando una serie di incroci e un centro sportivo. Attraversata con cautela la Strada Statale 338, si prosegue frontalmente e, dopo circa 400 metri, in corrispondenza di
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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI
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GUIDA WEEK END SOSTENIBILI
una curva a destra si imbocca un sentiero poco visibile che sale verso la vicina chiesa dei Santi Pietro e Paolo in Pessano. L’edificio, risalente all’XI secolo è caratterizzato dall’ingresso attraverso il cosiddetto clocher-porche, vale a dire la costruzione in facciata del campanile alla cui base si apre un vestibolo che funge da ingresso alla chiesa. All’interno sono presenti resti di affreschi risalenti al XV secolo, forse attribuibili a Domenico della Marca di Ancona. Sulla destra, alle spalle della chiesa, si torna a seguire una stradina asfaltata che si sviluppa per un lungo tratto a mezzacosta, in un ambiente aperto e con continui punti panoramici sulla piana sottostante. Presso alcune abitazioni poste in posizione soleggiata, la strada, con una doppia curva, discende e si immette sulla carrozzabile che costeggia le pendici della Serra. Girando a sinistra si percorre, in piano, il tratto che separa da Palazzo Canavese. Al primo incrocio si piega a destra entrando nel centro abitato e dopo la piazzetta centrale, intitolata ad Adriano Olivetti, si prosegue lungo via Vittorio Emanuele II. Oltrepassato il
municipio si entra nella piazza principale, caratterizzata dalla chiesa e dalla maestosa Torre Campanaria e si percorre via del Castello che si apre tra i due edifici e che più avanti curva verso destra. Dopo pochi metri si discende, tra recinzioni e case, una stretta scalinata, che si immette su via della Parrocchia. Girando a destra si raggiunge un incrocio ove si piega a sinistra lungo via dell’Asilo per uscire dall’abitato. Al successivo incrocio si prospettano due possibilità. La prima prevede di proseguire diritto percorrendo per intero via Piverone fino a incrociare via Genesio Bergino. Da qui il tragitto prosegue a destra fino a Piverone attraverso un lungo percorso a mezzacosta su asfalto che conduce a Piverone con begli scorci sulla sottostante pianura e sulle imminenti vigne. L’altra possibilità è quella di percorrere a destra Viale degli Studi per superare le ultime abitazioni di Piverone e costeggiare un rio che si attraverserà più avanti. Successivamente si giunge nei pressi di una scuola di equitazione e seguendo uno sterrato che si sviluppa sul bordo di ampi prati si raggiunge un incrocio ove
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Il termine Gesiùn, cioè Chiesona, si usa in dialetto per indicare un edificio sacro. La chiesetta si trova a Piverone presso località Torrone. Per le sue caratteristiche architettoniche rappresenta una delle tappe più suggestive della via Francigena canavesana.
si prosegue diritto, senza tener conto di un cartello con la dicitura “strada senza uscita”. Raggiunta una cascina si gira a destra e si attraversa un piccolo prato in leggera discesa (qui la traccia è poco evidente), che conduce a una pista inerbita parallela a un lungo fosso. Dopo circa 250 metri, a un incrocio appena accennato, si gira a sinistra per seguire una pista interpoderale che si sviluppa lungo una fila di alberi e sul bordo di estesi prati. Questa zona è un po’ umida e presenta chiazze acquitrinose, soprattutto dopo abbondanti precipitazioni. Si prosegue per circa 700 metri e nel punto in cui la stradina compie una curva, si gira a sinistra per seguire le tracce di passaggio che corrono parallele ad un canale e che attraversano una piantagione di pioppi. Al termine, ad un incrocio a T, si gira a destra e dopo aver superato alcune case si raggiunge una strada asfaltata. Girando a sinistra si percorrono pochi metri e dopo un incrocio si prosegue diritto, seguendo una stradina secondaria, subito ripida. Verso il Gesiun Dopo un breve tratto intermedio di acciottolato si entra nell’abitato di Piverone e dopo una serie di incroci si entra in via Flecchia, l’arteria centrale del paese sormontata dalla Torre Campanaria del XIII secolo. L’antica Torre- porta di ingresso al borgo medievale aveva in origine due archi di passaggio, carraio
e pedonale, muniti di ponti levatoi e con la parte superiore aperta e merlata. Proseguendo diritto si raggiunge un incrocio ove si prosegue lungo via Castellazzo che costeggia la chiesa e poco più avanti un bed and breakfast. Superate una serie di villette, nel punto in cui la strada compie una curva a destra, si prosegue diritto lungo una stradina secondaria che costeggia in discesa un bel prato. Seguendo la segnaletica della Via Francigena, dopo circa 400 metri, in corrispondenza del cancello di una cascina, si imbocca una carrareccia che la aggira sulla sinistra per entrare in un ambiente aperto, con vista sulle colline dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea e sul Lago di Viverone. Dopo un tragitto di 800 metri, attraversando una serie di vigneti e una cascina, si giunge ai ruderi della minuta chiesa romanica di San Pietro di Livione, meglio conosciuta come Gesiun. Questo ex luogo di culto, edificato nel secolo XI, è unico nel suo genere nella Diocesi di Ivrea per dimensioni e caratteristiche architettoniche. L’interno è formato da un’unica navata che termina con tre archi sostenuti da due colonne in pietra che separano il presbiterio. Nella zona absidale si conservano i resti di antichi affreschi. Il tiburio, con funzione di campanile, è di forma cubica e presentava una bifora per ogni lato.
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GUIDA GUIDAWEEK WEEKEND END SOSTENIBILI
IL FASCINO DEI LAGHI IN AUTUNNO Testi e foto di Stefano Biava
LA CANZONE RIBELLE
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IL FASCINO DEI LAGHI IN
Sentieri che si intrecciano tra boschi e specchi d’acqua. si intrecciano boschi Qui l’autunno si stende con il suoSentieri manto diche colori e profumitra di terra specchi d’acqua. Qui l’autunno si stende bagnata, muschio e foglie esecche. con il suo manto di colori e profumi di terra bagnata, muschio e foglie secche...
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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI
L
’autunno è la stagione ideale per scoprire gli affascinanti ambienti che caratterizzano le colline rocciose a nord di Ivrea. Lo straordinario ambiente modellato dall’azione del ghiacciaio balteo è caratterizzato dalla presenza di cinque laghi di origine morenica. La temperatura più mite e i colori più tenui rappresentano un buon motivo per percorrere i numerosi sentieri che collegano tra loro i cinque laghi e ne percorrono le rispettive sponde. In particolare il lago Sirio, molto frequentato dai bagnanti durante i mesi più caldi, in autunno emana un fascino suggestivo. Le luci e i colori autunnali regalano, a quanti ne percorrono il lungolago, sensazioni molto particolari. Il vero gioiello di questo territorio è però il lago Pistono, circondato da un incantevole paesaggio. Nelle sue acque si specchia severo l’elegante profilo del Castello di Montalto Dora, mentre sullo sfondo sono le montagne a dominare la scena. L’importanza del luogo è ascrivibile anche alle tracce, recentemente venute alla luce, di un villaggio palafitticolo del Neolitico. Uno spazio espositivo, allestito presso la sede del municipio di Montalto Dora, documenta in modo chiaro ed efficace l’importanza di tali reperti. Come scrive il naturalista Diego Marra nel capitolo introduttivo della guida Anfiteatro Morenico di Ivrea. Guida all’alta via e alla via Francigena Canavesana, tutta l’area dei cinque laghi di Ivrea costituisce un vero e proprio scrigno di biodiversità tanto da essere stata riconosciuta Sito di Importanza Comunitaria (con la denominazione SIC Laghi d’Ivrea). Qui infatti si susseguono ambienti secchi e ambienti umidi, aree boscate e prative, laghi e fossi, alternandosi in uno spazio ristretto e popolato di numerose specie floristiche con caratteristiche ecologiche assai differenti.
SCIALPINISMO
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Dal lago Sirio alle Terre Ballerine
Nella pagina precedente e foto in alto Il sentiero che dal lago Sirio giunge al Lago Pistono. Nella pagina seguente Il lago Pistono.
La passeggiata che vi proponiamo ha come punto di partenza Regione Bacciana nel comune di Chiaverano. Per raggiungerla si percorre la strada provinciale 75 che costeggia la sponda orientale del Lago Sirio in direzione di Chiaverano. A metà della salita svoltare a sinistra ed immettersi nella via Casale Bacciana. Pochi metri più avanti è possibile posteggiare l’auto. Il tragitto si svolge prevalentemente lungo il tracciato ad anello del Lago Sirio e delle Terre Ballerine, contraddistinto da una segnaletica di colore verde. Al termine della strada asfaltata, in prossimità dell’ultima abitazione, si segue in discesa il sentiero acciottolato al termine del quale si svolta a destra. Il sentiero proveniente alla nostra sinistra verrà percorso al ritorno, nel caso si decida di compiere l’anello completo. Si prosegue lungo la mulattiera sino al successivo incrocio, quello con il sentiero di collegamento con l’anello di Montresco. A questo incrocio proseguiamo sul bel sentiero sterrato a sinistra. Una serie di utili tabelloni, fatti installare dal comune di Montalto Dora, illustra in modo chiaro le peculiarità del territorio che stiamo percorrendo. Dopo il tabellone dedicato al Bosco Planiziale, superato un pilone votivo, incontriamo il tabellone che ha come argomento gli
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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI
LAGHI IN AUTUNNO
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uccelli del bosco e poco più avanti quello che illustra le cosiddette Terre Ballerine, raggiungibili con una brevissima deviazione dal tracciato ad anello. Al fondo di un avvallamento è infatti presente una torbiera dove si verifica un curioso fenomeno naturale: il terreno presenta una consistenza elastica e questo effetto è riscontrabile quando lo si percorre. La torbiera delle Terre Ballerine si è creata nel luogo dove un tempo era ubicato il lago Coniglio. Verso il lago Pistono Poco più avanti, dopo una breve discesa, si giunge all’intersezione con l’anello del lago Pistono (con segnaletica di color arancione). Qui le possibilità sono due. Nel primo caso si può seguire il sentiero che, deviando a destra, percorre, inizialmente in salita, la sponda orientale del lago Pistono. La seconda possibilità è quella di continuare a percorrere il tracciato dell’anello del lago Sirio e delle Terre Ballerine (che fino alla cappella di santa Croce coincide con l’anello del lago Pistono). In entrambi i casi il Castello di Montalto, maestoso dall’alto del suo colle, domina tutta la scena. Dopo aver incontrato il tabellone dedicato ai mammiferi, si giunge nei pressi della cappella di Santa Croce, dove la strada sterrata cede il passo all’asfalto. Qui il sentiero ad anello del lago Sirio e delle Terre Ballerine prosegue a sinistra e in breve si torna su fondo sterrato. Superate le case di Collere Inferiore e Superiore, a un successivo bivio si segue la traccia a sinistra che in salita conduce, alla Borgata Trucco. Proseguendo in discesa si raggiunge la Cappella di San Pietro Martire. Da qui si percorre la strada asfaltata che a destra conduce nei pressi di un agriturismo. Seguendo sempre la strada principale e i segnavia verdi si giunge presso il Canton Marchetti. Da questa località la strada costeggia il lago Sirio. Giunti presso la borgata Prelle, in prossimità di una fontana si abbandona l’asfalto per seguire la traccia a sinistra che, lungo una comoda mulattiera, risale in direzione nord est e in breve torna ad incrociare la traccia percorsa all’andata. Da questo incrocio, proseguendo verso destra, si torna al punto di partenza presso Regione Bacciana.
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Lo Spazio Espositivo per l’Archeologia del Lago Pistono Nel giugno 2003 una campagna di scavi archeologici per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e dal Museo di Antichità Egizie portò alla scoperta, nel bacino del lago Pistono, di importanti tracce di un insediamento palafitticolo riferibile al Neolitico. Gli scavi avevano interessato parte di una penisola che si protende nel lago nella sua porzione nord-orientale e che abitualmente si trova sotto il livello dell’acqua. Il parziale svuotamento del bacino lacustre, necessario per consentire il rifacimento di uno sbarramento artificiale, fece emergere questa porzione di penisola. La penisola era già stata esposta negli anni Settanta, quando erano stati raccolti in superficie materiali di interesse archeologico databili al Neolitico. L’importanza della scoperta fu tale che subito si rese necessario l’allestimento di un apposito spazio espositivo dedicato alla raccolta dei reperti archeologici rinvenuti. Inaugurato nel novembre 2012 all’interno del Palazzo Municipale di Montalto Dora, lo Spazio Espositivo per l’Archeologia del Lago Pistono documenta la Preistoria dei laghi inframorenici di Ivrea dal Neolitico all’età dei Metalli. Si tratta di un importante strumento per la valorizzazione e la tutela di un comprensorio ambientale e archeologico di indiscusso pregio. All’interno delle sue sale, cultura e stile di vita dei primi abitanti di una terra sospesa tra montagne e acque sono raccontati attraverso reperti archeologici di notevole rilevanza scientifica. L’esposizione si sviluppa per nuclei tematici corrispondenti a vetrine e pannelli esplicativi attraverso i quali è possibile apprendere come e di cosa vivevano gli uomini del Neolitico e in quale modo il progresso culturale influenzò la loro quotidianità. Inseriti opportunamente nel contesto cronologico di riferimento, le vetrine espositive presentano il ma-
SCIALPINISMO
Nella pagina accanto Il Castello di Montalto. In alto Lo spazio espositivo per l’Archeologia del Lago Pistono.
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teriale archeologico rinvenuto durante le indagini effettuate al Lago Pistono e i risultati delle ricerche in atto. L’insediamento preistorico è caratterizzato dalla presenza di un orizzonte culturale interessato dall’impianto di almeno due strutture, di cui una abitativa, riferibili al Neolitico Medio (4900-4500 a.C.). Elementi ceramici permettono di inquadrarlo nella Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata tipo Isolino, che caratterizza i siti perilacustri con strutture palafitticole in Piemonte e Lombardia occidentale. Il Comune di Montalto Dora con la direzione scientifica della Soprintendenza per i BeniArcheologici del Piemonte propone una lettura approfondita e dinamica del sito, offrendo allacomunità scientifica ma soprattutto ad un pubblico eterogeneo, una preziosa tessera nella ricostruzione dello sfaccettato insediamento dell’area fin dalla Preistoria. Il progetto finale si prospetta ricco di suggestioni che vanno oltre l’inquadramento del sito nel contesto territoriale e sono lo spunto per un’approfondita analisi delle tematiche relative ai problemi del Neolitico dell’Italia nord-occidentale con ampi riferimenti anche al di fuori degli stretti limiti geografici. L’unitarietà dell’impostazione di tutto il sistema di comunicazione interna al centro espositivo permette inoltre di creare un legame con le iniziative di promozione territoriale diffusa, aspetto di grande importanza ed efficacia per costruire un’immagine coordinata dell’intero sistema di informazione archeologica, ambientale e culturale.
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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI
SPAZIO ESPOSITIVO PER L’ARCHEOLOGIA DEL LAGO PISTONO Palazzo Municipale (piano terreno) Piazza IV Novembre 3, 10016 Montalto Dora (TO) tel. 0125.652771 - fax 0125.650287 email: omnia@comune.montalto-dora.to.it web: www.comune.montalto-dora.to.it Lo spazio museale è aperto il 1° e 3° sabato del mese con visite guidate, dalle ore 9.00 alle ore 12.00 (ultimo ingresso h. 11.30, durata visita circa 30’). COSTO BIGLIETTO Adulti € 2.50, ragazzi 6/14 anni € 1 gruppi (min. 10 pax) € 2.00 Ingresso gratuito per insegnanti con classe, persone con disabilità e loro accompagnatori, accompagnatori di gruppi. PER INFORMAZIONI Sono previsti percorsi didattici a pagamento a seconda delle esigenze della scuola (visite interattive, laboratori e passeggiate naturalistiche e archeologiche), contattando l’Associazione Archeologica “LeMuse” di Torino: cell. 393.5837413 www.lemusestudio.it
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MONDO COOPERATIVO
Anfiteatro Morenico di Ivrea. Guida all’Alta Via e alla Via Francigena Canavesana.
Autori Matteo Antonicelli e Stefano Biava ISBN 978 88 97867 17 3 Lineadaria Editore, Biella Una dettagliatissima guida per scoprire, a piedi oppure in bicicletta, l’Anfiteatro Morenico di Ivrea e gli oltre 450 chilometri di sentieri e di antiche strade attraverso le province di Torino, Biella e Vercelli. L’Alta Via e gli oltre 70 itinerari di collegamento descritti nelle pagine del libro consentono a escursionisti e ciclisti un tuffo in un emozionante paesaggio ricco di suggestioni naturalistiche e storiche. Da Andrate a Brosso, attraverso i laghi di Viverone e Candia Canavese, attorniati da splendidi castelli, tanti sono gli spunti per mettersi in cammino e scoprire a fondo questo affascinante territorio che custodisce importanti tracce archeologiche e naturalistiche. La guida inoltre descrive i tracciati completi dell’Alta Via dei cinque laghi di Ivrea in un’area che rappresenta un vero scrigno naturalistico. Completa l’opera la descrizione del percorso canavesano della Via Francigena che da Pont St Martin conduce a Viverone. L’opera è arricchita da una serie di testi di approfondimento curati da alcuni tra i maggiori esperti nel loro campo: Franco Gianotti per la geologia, Enrico Gallo per l’archeologia e Diego Marra per gli aspetti naturalistici. Emozionanti fotografie a colori e testi curatissimi completano un’opera fondamentale per chiunque voglia conoscere a fondo un territorio che, grazie alla sua eccezionale conformazione geologica e alla straordinaria ricchezza a livello naturalistico, è unico al mondo. SCHEDA TECNICA: 224 pagine interamente a colori, oltre 200 fotografie, formato 152x210 mm E9
SETTORE 2 LA MORENA SUD ORIENTALE
IC dI CARAVINO Caravino m 261 Innesto AV Frontale Est, Masino m 392 170 m E
40 m
CARAVINO
La Via Francigena era il percorso che a partire dall’Alto Medioevo, collegava Canterbury in Inghilterra a Roma, da sempre cuore della cristianità. Un suggestivo itinerario, lungo 1900 chilometri, che i pellegrini provenienti dall’Europa del nord percorrevano per raggiungere Roma, sede del Papato. L’itinerario francigeno non costituiva però solo un tracciato devozionale ma anche una via utilizzata da mercanti, eserciti, uomini politici e artisti rappresen-
tando in tal senso un canale di scambio di merci e di idee che ha permesso il consolidamento delle basi dell’unità culturale europea avvenuta tra il x e il xiii secolo. Nel 990 d.C. l’Arcivescovo Sigerico, di ritorno da Roma a Canterbury — dopo aver ricevuto l’importante investitura da parte di Papa Giovanni XV— la percorse per intero e annotò tutte le 79 tappe, una per giorno, che lo riportarono in Gran Bretagna attraverso l’Europa.
PER I CICLOESCURSIONISTI Per descrivere l’aspetto tecnico e la difficoltà, si utilizzano le seguenti sigle: TC - MC - BC – OC. È opportuno evidenziare che questa classificazione riguarda esclusivamente i percorsi di tipo escursionistico e non è riferita ad altre discipline, quali ad esempio downhill o free-ride. TC = Turistico Percorso su strade sterrate dal fondo compatto e scorrevole, di tipo carrozzabile. Biava MC®=FotoPer cicloescursionisti di media di Stefano capacità tecnica Percorso su sterrate con fondo poco sconnesso o poco irregolare (tratturi, carrarecce…) o su sentieri con fondo compatto e scorrevole.
presenta alcuna segnalazione. Un riferimento è rappresentato da un grosso albero proprio sul ciglio della via a pochi metri dal bivio. L’albero è molto più grande della media degli altri della zona ed è semiavvolto dall’edera. Superato l’albero si gira a destra e si inizia l’ascesa lungo un sentiero che a volte presenta il fondo scavato dallo scorrere irruento e rovinoso dell’acqua piovana che si raccoglie dai limitati ma ripidi versanti laterali. Oltre il tratto ripido si prosegue lungo un falsopiano seguendo una stretta traccia dal fondo inerbito che porta ad incrociare la strada provinciale SP80 che collega Caravino a Cossano Canavese. Attraversata la strada, sulla parte opposta si segue la pista forestale che entra in un folto bosco. Con ascesa moderata e uniforme si percorre un lungo trat-
Nel progetto iniziale della ATL l’IC di Caravino raggiungeva l’Alta Via AMI al castello di Masino dopo aver percorso la via conosciuta come “Strada delle 22 curve”, un lungo sterrato che risale l’appendice morenico centrale di Masino. Nel frattempo questa via, diventata privata, non è più percorribile. Il percorso descritto è dunque un’alternativa ed è stato pianificato con l’intento di mantenere gli obiettivi iniziali. Da Piazza Marconi, al centro di Caravino, si percorre Via Casale (attenzione ai sensi unici) e al primo bivio si svolta a sinistra per proseguire su Via Cavour. Dopo le strettoie nel centro del paese, in coincidenza di uno slargo con piccolo parcheggio, si lascia la strada principale che porta a Settimo Rottaro e si piega a destra su Via Roiera. Sullo sfondo si osservano le colline e il profilo del castello di Masino, meta di questo itinerario. Con le ultime abitazioni termina il tratto in asfalto e si inizia a percorrere uno sterrato nel bosco. In leggera discesa si giunge ad una biforcazione ove si prosegue diritto. Dopo un tratto pianeggiante si inizia progressivamente a salire restando costantemente in un 201 DA CAREMA A IVREAtratto di bosco con riferimenti irrilevanti. Ad un bivio118 con una marcata via che si sviluppa sulla SETTORE 3 LA MORENA SUD OCCIDENTALE sinistra, si prosegue diritto fino ad un’altra bifor- questo percorso esistevano Lungo Il Consiglio d’Europa nel 2004 ha distrambinello cazione. Qui si abbandona la traccia più marcata il ristoro delnumerose tappe chper chiarato il tracciato della Via Franiusell a Ancor oggi è e si segue una pista forestale che prosegue in e del corpo. ponte lo Spirito cigena Grande Itinerario Culturale preti leggera salita verso o1 destra. Subito dopo ed un incontrare una serie di a5 possibile Europeo al pari del famoso CamIl Castello di Masino. centinaio di metri più avanti si presentano testimonianze altre dell’architettura mino di Santiago de Compostela ® Foto diramazioni. In entrambi i casi si trascurano le di di Stefano Biava che ci consentono romanica in Spagna. Tra le tappe annotate perosa canavese rivivere le suggestioni del tempo. sul diario di Sigerico, dove Ivrea inizia in Valle d’Aosta Il nostro percorso o21 risulta la quarantacinquesima tappa da o2 o20 nello splendido borgo di Pont St Martin Roma, grande importanza assume il perche custodisce numerosi gioielli architeto20 corso della Via Francigena Canavesana san martino casello o19 ponte romadal maestosocanavese tonici, a partire torre La Via Fran“custodita” dall’Associazione di scarmagno o14 canavese o1 nel I secolo a.C. in onore di no edificato silva cigena di Sigerico, nel contesto geografico o13 San Martino di Tours, il castello Barain-o2 dell’Anfiteatro Morenico, che congiunge o18 del Castello di Pont-Sainto1 ge e le rovine vialfrÈ il tratto valdostano a quello vercellese con scarmagno bairo Martin detto Castellaccio, sito su di un uno sviluppo di circa 50 chilometri. o1
DA MAZZÈ A PONTE PRETI
iL territorio noMe itinerArio
SETTORE 6 LA VIA FRANCIGENA
La Via Francigena
20’ andata
pista forestale, sterrato
nome itinerario
ESCURSIONISMO 200
4,1 km
1h andata
TC (tratto MC)
iL territorio
Matteo Antonicelli nato a Gioia del Colle, si è formato alpinisticamente nel Canavese ove risiede. È stato coordinatore dell’attività escursionistica della sezione di Ivrea del CAI e tra i primi in Italia a conseguire la qualifica CAI di “Accompagnatore di Escursionismo”. Per conto della Regione Piemonte è “Rilevatore di Sentieri” della Rete regionale dei Percorsi Escursionistici per la costituzione del Catasto regionale. È autore di altre guide escursionistiche.
BC = Per cicloescursionisti di buone capacità tecniche agliÈ o17 o15 Percorso su sterrate molto sconnesse o su mucuceglio lattiere e sentieri dal fondo piuttosto sconnesso ma abbastanza scorrevole oppure compatto ma irregolare, con qualche ostacolo naturale (per san giorgio o16 canavese es. gradini di roccia o radici). OC = Per cicloescursionisti con ottime san giusto canavese capacità tecniche Come BC ma su sentieri dal fondo molto sconnesso e/o molto irregolare, con presenza significativa di ostacoli. Per “sconnesso” si intende un fondo non compatto e cosparso di detriti; si considera “irregolare” un terreno non scorrevole, segnato da solchi, gradini e/o avvallamenti. a5
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DA VIVERONE A MAZZÈ
vie laterali e si prosegue diritto con la vegetazione che è costantemente compatta, ad eccezione di un’area, dopo un tratto di salita più marcato, dalla quale si possono osservare le montagne del Biellese, il gruppo della Colma di Mombarone, La Serra e le montagne della Valchiusella. Ripreso il cammino si raggiunge un bivio poco marcato ove si cambia direzione. Fino a questo punto la progressione di massima è stata verso est, sud-est e con un profilo altimetrico ondulato, ma poco significativo. Ora cambia sia la direzione (ci si dirige dapprima verso sud e poi verso ovest) sia l’ascesa, che diviene molto marcata, con alcuni tratti non ciclabili a causa della pendenza e del relativo fondo non omogeneo. Il bivio ove si lascia il fondovalle e si inizia la risalita del versante morenico è poco evidente e non
CARAVINO NOME ITINERARIO
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to fino ai ruderi della chiesa di Sant’Eusebio. Da segnalare a metà circa di questa ascesa, un varco nella vegetazione verso valle, che consente di osservare da buona posizione uno spicchio della piana all’interno dell’Anfiteatro con il paese di Azeglio e il profilo de La Serra. Superato l’edificio si costeggia per alcune decine di metri il muro di sostegno di una strada asfaltata fino al punto in cui il sentiero va ad esaurirsi sull’asfalto. Qui si gira a destra e si rientra nel bosco, costeggiando stabilmente un muro a secco, fino ad un prato presso il cimitero di Masino. Proseguendo ancora diritto si raggiunge la chiesa di San Rocco ad un incrocio. Di fronte una palina AMI, con la targhetta LGS di Masino, segnala l’Alta Via che sulla destra, costeggia le case di Masino e conduce al castello.
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dora baltea
a4/5
chiusella
casello di albiano d’ivrea
romano canavese
caravino
o21 masino vestignÈ
o21 strambino
dora bal
tea
villate
nome itinerario nome itinerario
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L’autore
o10
o11
o8 mercenasco
montalenghe o12
candia canavese
o9 casello di san giorgio canavese
orio canavese
vische
parco naturale del lago di candia
o4
o6 lago di candia
o7 barone canavese
ponte sulla dora baltea
caluso o5
o1 mazzÈ o3 dora baltea