InOgnidovePiemonte n.9

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n° 9/2014

Periodico di cultura, cooperazione e sostenibilità www.inognidovepiemonte.it

Weekend

LUNGO IL SENTIERO DELLE ANIME IN VALCHIUSELLA

Sostenibilità

• IO STO CON ERRI DE LUCA

INTERVISTA ALLO SCRITTORE ERRI DE LUCA • SOCIAL STREET LE NUOVE COMUNITÀ DI VITA • CHIMP HAVEN IL SANTUARIO DEGLI SCIMPANZÉ

Mondo cooperativo • COOPERAZIONE E CULTURA

INTERVISTA A IVAN PESCARIN PRESIDENTE DELLA COOPERATIVA AEG • IL NUOVO PROGETTO DI ALBERGO DIFFUSO A FRASSINETTO

• FRANCO FONTANA,

Arte a Torino

IL REALISMO E LA BELLEZZA DISARMONICA

Viaggi sostenibili • IN INDIA ALLA RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI


Nel 1901 abbiamo iniziato a distribuire energia e oggi, dopo più di un secolo di storia, continuiamo a farlo ogni giorno con rinnovato entusiasmo. Perché l’energia di AEG Coop non è solo Luce e Gas, ma è anche cooperazione, socialità, sostegno, e solidarietà. AEG Coop destina una parte considerevole degli utili ai Soci e una parte importante al Territorio, sostenendo enti e associazioni, e sponsorizzando eventi culturali e musicali.

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EDITORIALE di Alessandra Luciano

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Povertà post-moderna Ho incontrato, per un’intervista, il direttore della Caritas piemontese Pierluigi Dovis, in un tardo pomeriggio di un sabato estivo e di una città accaldata. Lo ho incontrato a Torino, nella recentissima struttura di accoglienza dove da circa un anno la Caritas ha inaugurato una co-housing: la D’ORHO di corso Principe Oddone 22. È una struttura che offre una sistemazione temporanea a chi non ha dimora e a chi la dimora la ha persa, e si è ritrovato improvvisamente su una strada. Cioè famiglie intere, italiane e torinesi, che qui hanno una stanza di appoggio che consente loro di riprendere le forze e cercare soluzioni. Soluzioni che devono essere lavorative innanzi tutto, soluzioni che richiedono la capacità di reagire con determinazione e ottimismo, se si vuole ricominciare a ricostruire la propria vita. Già, persone la cui vita si è spezzata in un attimo nel silenzio, che non fanno chiasso e si mimetizzano con dignità nella folla delle vite di tutti gli altri. Le storie di povertà sono cambiate, mi spiega Pieluigi Dovis, i nuovi poveri sono quelli della porta accanto, che si ritrovano improvvisamente senza lavoro, senza le risorse per pagare bollette e affitti, che vengono sfrattati… Gente di media e alta istruzione, con figli piccoli, e con molta dignità, che si vergogna della propria condizione e aspetta a rivolgersi alla Caritas sino a quando si trova sull’orlo del suicidio o quando sente la responsabilità di proteggere almeno i propri cari. Oggi si diventa poveri dall’oggi al domani, i tempi così rapidi nei quali la crisi scoppia in casa propria, non consentono di essere preparati sufficientemente ad affrontare la situazione, così spesso si scivola nella depressione, ci si sente dei falliti, ci si sente in colpa nei confronti dei propri cari… Poter trovare accoglienza, un’accoglienza dignitosa, rispettosa e non “pietistica” è il primo passo per poter riprendere le forze e cominciare dal giorno dopo a rialzare la testa. I volontari della Caritas dunque accompagnano il percorso difficile di chi deve ricostruire la propria vita non perché è stato travolto dal terremoto, o da una guerra che in qualche modo giustifica la dignità di chi perde tutto in un attimo. Qui chi ricomin-

cia ha subito gli esiti di una guerra nascosta, di un disastro silenzioso che miete vittime ogni giorno, in un crescendo che aumenta in modo esponenziale, senza che le istituzioni siano in grado o intendano inviare i soccorsi e le squadre di protezione civile. Senza che le tv denuncino la tragedia che giorno dopo giorno si abbatte su persone comuni, normali, oneste, lavoratrici, su buoni cittadini di questo Paese democratico. Sono persone che sino a ieri hanno pagato tasse, i contributi che sostengono le pensioni di anziani, persone che hanno rispettato codici e regole di convivenza e molto spesso non hanno esitato ad aiutare gli altri. Diciamo che questi nuovi poveri post-moderni, ancora troppo educati e dignitosi per far sentire la loro voce, sono gli ultimi anelli di una catena le cui maglie cominciano a cedere. Le loro storie sono quelle di chi perde improvvisamente il lavoro, di chi non ha potuto contare su cassa integrazione e ammortizzatori sociali, quelle dei piccoli artigiani e commercianti, o di quei piccoli imprenditori che non hanno ricevuto i pagamenti dovuti per il lavoro svolto, o che i pagamenti li ricevono tardi, sempre troppo tardi per poter essere in pari con i pagamenti che invece loro debbono onorare per saldare rate bancarie, bollette, affitti, tasse… Cioè sono quelli su cui il peso della crisi va a scaricarsi come se, proprio loro, questi onesti cittadini, che hanno vissuto sempre senza sfarzi, con onestà e parsimonia, oggi debbano, in virtù di chissà quale ragion di stato, pagare per tutti. Già perché è a queste persone che le banche non concedono certo più prestiti, o chiedono immediati rientri impossibili, requisendo tutto ciò che a fatica queste persone qualunque hanno costruito nella loro semplice vita; perché è a queste persone che i padroni di casa non concedono morosità; perché è a queste persone che si chiede di saldare bollette di utenze che non possono più essere pagate. Il sabato sera a Torino in estate giunge con il peso di una consapevolezza che toglie il sonno, e non certo solo per il caldo. Diceva Papa Francesco che i comunisti hanno rubato i poveri alla Chiesa… Mah! I comunisti non esistono più e nessun partito politico o sindacato è davvero in grado di far sentire la voce di questi “poveri”, di proteggere e salvaguardare i diritti di queste persone, ovvero quei diritti fondamentali come il lavoro, la casa, la salute che sancisce la Costituzione. Già, dimenticavo... la Costituzione!


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SOMMARIO

EDITORIALE 3

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Povertà post-moderne

di Alessandra Luciano

IN PRIMO PIANO 6 Io sto con Erri De Luca.

pag.

di Alessandra Chiappori

SOSTENIBILITA’ pag.

10 Storie di democrazia negata di Letizia Gariglio

pag.

16 Nome di battaglia: Nina di Letizia Gariglio

pag.

20 Chimp Haven: il santuario degli scimpanzé di Letizia Gariglio

pag.

24 Social Street: comunità di vita di Giulia Maringoni

pag.

30 City teller: l’App per conoscere la città di Alessandra Chiappori

MONDO COOPERATIVO 34 pag. 40 pag. 44 pag. 44 pag.

Cooperazione e cultura. Intervista a Ivan Pescarin Cooperativa sociale AltraMente di Arianna Zucco Albergo diffuso a Frassinetto di Giulia Maringoni Borghi pietra su pietra di Arianna Zucco


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SOMMARIO

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ARTE A TORINO pag.

54 Franco Fontana: il realismo e la bellezza disarmonica di Giulia Ricca

VIAGGI SOLIDALI pag.

58 In India alla ricerca delle proprie origini di Arianna Zucco

InOgniDovePiemonte n. 9 - 2014 Euro 5 Trimestrale di Cultura, Cooperazione e SostenibilitĂ Registrato presso il Tribunale di Ivrea n. 3 del 4/7/2012 del Registro periodici

GUIDA WEEKEND pag.

64 Lungo il sentiero delle Anime in ValChiusella ( 58 ) di Stefano Biava

Direttore Responsabile Alessandra Luciano alessandra.lcn@gmail.com Redazione e collaboratori: Ugo Avalle, Gloria Berloso, Stefano Biava, Alessandra Chiappori, Francesco Comotto, Silvia Coppo, Letizia Gariglio, Giulia Maringoni, Giulia Ricca, Arianna Zucco.

Progetto grafico Graphic design - Galliano Gallo Layout e impaginazione Alessandra Luciano Fotocomposizione e stampa GS Editrice di Grafica Santhiatese Corso Nuova Italia, 15 b 13048 SanthiĂ ( Vc) tel. 0161 94287 - fax 0161 990136 direzione@graficasanthiatese.it Direzione e redazione redazione@inognidovepiemonte.it Foto di copertina Foto di Stefano Biava


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IN PRIMO PIANO

IO STO CON ERRI DE LUCA

TTestiti dii Alessandra Al d Chi Chiapporii

«Uno scrittore deve scrivere bene le sue pagine, questo è il suo compito. Poi se vuole fare qualcosa di più deve sostenere il diritto di parola di tutti, degli analfabeti, dei muti, dei prigionieri, degli immigrati...».


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INTERVISTA A ERRI DE LUCA

In alto Lo scrittore Erri De Luca. (Foto archivio Feltrinelli editore). Nella pagine accanto e successive Manifestazione No Tav a Bussoleno in Val di Susa. (Foto di Alessandra Luciano)

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o scorso 9 giugno si è svolta presso il Tribunale di Torino l’udienza preliminare che ha visto coinvolto il noto scrittore e intellettuale Erri De Luca, accusato dalla Procura del capoluogo sabaudo di istigazione a delinquere per alcune frasi, pronunciate nel corso di un’intervista al quotidiano online Huffington Post, che avrebbero promosso e auspicato un sabotaggio ai cantieri della linea ad alta velocità Torino-Lione. Lo scrittore, che non ha mai negato il proprio sostegno al movimento no TAV, aveva rilasciato nel settembre 2013 la seguente dichiarazione:«La Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano. Sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo. I sabotaggi sono necessari per far comprendere che la TAV è un’opera nociva e inutile». Ed è così che De Luca è stato denunciato dalla Ltf, la società coordinatrice dei lavori in Val di Susa; nel plico di documenti e interviste consegnati ai giudici, anche le cronache di una serie di episodi legati al sabotaggio dei cantieri avvenuti dopo le dichiarazioni dello scrittore. Fatti che - hanno spiegato i legali - non hanno a che fare con il reato di opinione, del quale lo scrittore ha ribadito di sentirsi vittima, quanto con la diretta influenza in azioni a delinquere. L’esisto dell’udienza ha portato il Gup Roberto Ruscello al rinvio a giudizio per Erri De Luca, con un processo che avrà inizio il prossimo 28 gennaio. Contro il procedimento e a favore della libertà di espressione per Erri De Luca, che rischia tra uno e cinque anni di carcere, si sono intanto schierati intellettuali e lettori, come dimostrato dal frequentatissimo evento Facebook “Io sto con Erri De Luca” e dalle numerose iniziative di lettura organizzate in tutta Italia. “In Ogni Dove” ha avuto il piacere di intervistare lo scrittore per alcune brevi domande.


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Il 9 giugno si è svolta presso il tribunale di Torino l’udienza preliminare che la riguardava, a seguito della quale lei è stato rimandato a giudizio per istigazione a delinquere e sarà processato il prossimo gennaio. Si aspettava una simile evoluzione della vicenda? «Visto il piano di repressione del movimento no TAV, oltre mille incriminati, non mi aspettavo il proscioglimento da chi vuole proibire il dissenso anche di espressione». “Mi processeranno a gennaio. Mi metteranno sul banco degli imputati e ci saprò stare. Vogliono censurare penalmente la libertà di parola. Processane uno per scoraggiarne cento: questa tecnica che si applica a me vuole ammutolire. È un silenziatore e va disarmato”. Questo è il suo commento su Facebook subito dopo l’udienza: pensa di essere stato accusato per aver espresso un’opinione? Nulla di simile dovrebbe accadere in uno stato democratico: esiste una censura secondo lei e, in caso affermativo, da che poteri politici, e non solo, è manovrata? «Sono incriminato in base a una frase e non per un comportamento: dalle mie parti si chiama reato di opinione. Esiste una volontà di censura che riguarda tutto quello che da fuori si muove in sostegno della lotta della Val di Susa, una piccola valle sottoposta a esproprio della propria salute da una gigantesca prepotenza di Stato». Erri de Luca processato per reato di istigazione a delinquere dopo aver dichiarato, e ribadito, che la TAV va sabotata: da scrittore, come ha reagito a questa accusa, come si è sentito e cosa ha provato? «Da scrittore devo difendere il diritto di parola di

chiunque, da cittadino mi sento offeso da un abuso di potere da parte della pubblica accusa». Lei ha specificato di essere d’accordo con il suo avvocato sul non voler ricercare scappatoie legali e accettare l’eventuale pena, incluso il carcere. Da dove nasce questa ferma volontà etica, per certi versi socratica? «Non ho tempo e neanche desiderio di tirarla in lungo con appelli e ritardi magari in cerca di prescrizione in caso di condanna. Così mi fermo alla prima stazione dei gradi di giudizio. Alla mia età la prospettiva di una permanenza in prigione non mi toglierà granché». Perché si è schierato dalla parte della protesta no TAV? Quali valori condivide con chi si oppone alla costruzione della ferrovia Torino-Lione? «Condivido le ragioni di una lunga lotta di resistenza e di legittima difesa di una comunità contro la perforazione di montagne che sono giacimenti di amianto. Si battono oggi per non dover piangere domani il disastro ambientale». Si può davvero parlare di terrorismo in Val di Susa, come è stato ventilato nei mesi scorsi dal procuratore Caselli dopo l’arresto dei quattro ragazzi accusati di aver danneggiato dei macchinari? «Nessun terrorismo, si usa la parola sbagliata per produrre una repressione più vasta. I 4 giovani incriminati con questa accusa dalla Procura di Torino sono stati scagionati da questa aggravante da parte della Cassazione». Ha dichiarato che “per uno scrittore il reato di opinione è un onore”. Qual è la sua idea di impegno e di lette-


INTERVISTA A GIUSEPPE CONTE

ratura impegnata? Alla luce dei fatti che l’hanno coinvolta per la questione del sabotaggio del cantiere Tav in Val di Susa, si ritiene uno scrittore impegnato? «Uno scrittore deve scrivere bene le sue pagine, questo è il suo compito. Poi se vuole fare qualcosa di più deve sostenere il diritto di parola di tutti, degli analfabeti, dei muti, dei prigionieri, degli immigrati che parlano poco e male la sua lingua. È un impegno che mi sono assunto per altri e ora devo assumerlo anche per me. Non sono uno scrittore impegnato, sono una persona che ha preso qualche impegno». Scrittura, parola, voce, concetti che hanno una posizione chiave in questa vicenda: che ruolo ha la scrittura nella sua vita, cosa rappresenta e come è vissuta? «Scrivo per tenermi compagnia fino dall’età di ragazzo. Per me non è un lavoro, ma il tempo salvato da qualunque lavoro, un tempo festivo». Lei è coautore insieme ad altri nomi noti come Ascanio Celestini e Wu Ming del volume “Nemico Pubblico – Oltre il tunnel dei media. Una storia No Tav”. Il volume si concentra sulla presentazione da parte del sistema mediatico e giornalistico delle vicende legate alla Val di Susa: qual è il suo pensiero sull’informazione attuale, e in particolare sull’informazione che riguarda la questione No TAV? «Risulta che abbiamo la informazione più embedded di Europa, più servile nei confronti dei poteri e delle proprietà». Comunità e territorio, due concetti che ricorrono, dalla questione più circoscritta legata ai cantieri dell’alta velocità, alle più generali tematiche di sostenibilità,

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tutela dell’ambiente e delle specificità territoriali. Cosa racchiude ognuno di questi due concetti e quale legame li unisce? «Una comunità deve proteggere il suo territorio dall’invasione micidiale di sfruttatori delle sue risorse. Se non lo fa subisce danni irreparabili sul lungo periodo. In Italia ce ne sono diverse in stato di agitazione e resistenza contro opere pubbliche gestite da malaffare politico». Parliamo di ambiente, una tematica che le è da sempre cara. Spesso la si sente nominare la Madre Terra, con un riferimento al sacro, che del resto è un altro dei grandi temi che contraddistinguono la sua ricerca e attività. Che cos’è la Madre Terra per Erri De Luca? «La terra è lo spazio che abbiamo in comune tra noi è con le altre specie animali. Se è madre noi siamo figli ingrati». Nella sua biografia spicca la scalata dell’Himalaya, lei infatti ama la montagna e l’arrampicata ed è oltretutto amico di Mauro Corona. Qual è - se c’è - il sentimento che tiene insieme la sua Napoli, città di mare per eccellenza, e la passione e rispetto per la montagna? «Sono nato sul mare e la vita mi ha fatto incontrare le montagne, niente tiene insieme i capi sparsi del groviglio di una esistenza». “La bellezza salverà il mondo”? E, se sì, perché? «La bellezza è una forza di natura e sopravviverà a noi e all’abuso che le imponiamo».


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SOSTENIBILITÀ

STORIE DI DEMOCRAZIA NEGATA Testi di Alessandra Luciano

Testi di Letizia Gariglio

Testi di Giulia Riccabbb

Diceva Cavallo Pazzo, nobile guerriero Sioux: «Non si vende la terra su cui cammina un popolo».


LA TERRA SU CUI CAMMINA UN POPOLO

In alto Manifestazione No Tav in Val di Susa. (Foto di Alessandra Luciano).

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o Tav: vale a dire No alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Nasce da questa idea fondamentale il Movimento No-TAV fin dagli anni ‘90. A non volerla, la ferrovia ad alta velocità, sono cittadini delle valli al di qua e al di là delle Alpi. I nostri, considerati nel loro nucleo fondamentale, vivono nella valle maggiormente interessata al problema: la Val di Susa. Dei Valsusini sono le terre che il Governo ha espropriato per consentire la successiva realizzazione del progetto. Sono terre amiantifere, in cui è presente anche uranio: entrambi i componenti costituiscono condizioni di pericolo nel caso di diffusione, attraverso l’aria sollevata durante gli scavi, per la salute degli abitanti della Valle, e non solo. Il Movimento No Tav ritiene che la realizzazione della linea ad Alta velocità comporti innumerevoli danni ambientali e che costituisca una violazione di un diritto fondamentale dei cittadini: il diritto alla salute (propria e delle generazioni future). Il pericolo amianto ha già costituito in Valle di Susa, in anni precedenti, un impedimento alla realizzazione di lavori pubblici assai più modesti, come la circonvallazione di Claviere; lo stesso impianto olimpico di bob dovette essere per lo stesso motivo spostato da Sause d’Oulx a Cesana. I Valligiani, inoltre, temono le difficoltà e l’eventuale pericolosità di dover drenare, in seguito alla realizzazione del tunnel previsto di 50 km. fra Italia e Francia, fra Susa e Maurienne, un volume di circa un centinaio di milioni di litri d’acqua (125 milioni, per la precisione) provenienti dalle falde sotterranee il cui cuore sarebbe irrimediabilmente devastato. Non c’è di che stupirsi, se la perplessità è grande: l’Italia non è nuova a disastri idrici causati dall’azione stessa dell’uomo e delle sue costruzioni. Basta pensare alle conseguenze del tunnel del Mugello: la sparizione di un fiume, 57 Km di torrenti completamente asciutti in estate, 73 sorgenti prosciugate insieme a 45 pozzi, oltre a 5 acquedotti che ora devono essere riforniti forzatamente con un sistema di pompaggio. Pensiamo anche a quanto accadde alle porte di Tori-


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no, cioè ai seri danni causati alle falde acquifere, in seguito a grandi opere di costruzioni di linee accompagnate da alte muraglie di sbarramento, che hanno provocato nel quartiere torinese di Falchera l’impedimento del deflusso naturale che le falde possedevano in precedenza, con conseguente rialzo delle acque, e pesanti disagi per le fondamenta delle case. Come risultato, non solo le case vanno a mollo, ma anche la stazione ferroviaria di Stura è perennemente allagata (l’acqua è forzatamente pompata via da grandi pompe permanenti); quanto al tunnel sotterraneo della linea 4, basta un serio temporale a richiederne la chiusura. Uno scandalo di cui – difficile da credere - non esiste un responsabile. Tornando in Valle di Susa, se pure si volessero tralasciare momentaneamente i fattori di preoccupazione legati all’ambiente, è impossibile non domandarsi: «Qual è l’utilità di un’altra linea ad alta velocità in questa Valle?». Inoltre, anche ammettendo che la li-

SOSTENIBILITÀ

nea Tav possa essere di effettiva utilità per l’Italia e l’Europa tutta, è giusto sacrificare così pesantemente la qualità della vita di un’intera popolazione? Anche in riferimento a questo quesito il Movimento No Tav avanza il fondato dubbio che, poiché il traffico tramite ferrovia da anni rivela una progressiva e costante diminuzione, al termine della costruzione della linea, anch’essa potrebbe rimanere pesantemente sottoutilizzata. Dunque in merito a questo faraonico progetto, sarebbe opportuno, doveroso, mettere sul piatto della bilancia costi-benefici, vantaggi e svantaggi di questo progetto, per avere dati certi circa la sua effettiva utilità e convenienza. Il gioco vale davvero la candela? A fronte di costi umani ed economici elevatissimi (che pesano su finanze pubbliche e sulla coesione sociale di un Paese, lacerato da questa difficile questione), i vantaggi di questo progetto sono davvero così certi?


STORIE DI DEMOCRAZIA NEGATA

In alto e nella pagina a fianco Manifestazione No Tav che si è svolta in Val di Susa nel marzo 2013. Accompagnata dalla banda musicale, erano presenti: bambini, donne, anziani, giovani e animali domestici... (foto di Alessandra Luciano).

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Come si può oggi appoggiare con fiducia progetti così imponenti e costosi in nome di un confuso e nebuloso progresso, senza porsi il dubbio che in realtà possa nascondere anche interessi di guadagni e profitti illeciti e che nulla hanno a che fare con gli interessi e profitti dei cittadini di un Paese democratico e civile? Roberto Saviano denunciò in un’inchiesta su Repubblica del 6 marzo 2012 la presenza della lunga mano della mafia sui cantieri Tav, arrivando ad affermare che negli ultimi trent’anni l’alta velocità era diventata una vera e propria occasione per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata. Scriveva:«La storia dell’alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell’edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni». A monte di queste poche ragioni indicate, fra quelle che i No Tav adducono a sostegno della propria lotta (il discorso è assai complesso e non si esaurisce qui), vi sono ragioni a monte che si fondano su alcuni principi. Diceva Cavallo Pazzo, guerriero Sioux: «Non si vende la terra su cui cammina un popolo». Cammina, vive, fa agricoltura, raccoglie, cura boschi, mantiene in equilibrio l’ambiente... Come può un principio tanto fondamentale essere ignorato? Vale a dire: non dovrebbe essere naturale che un popolo debba essere il primo ad essere inter-


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In alto Momenti di una delle tante manifestazioni No Tav in Val di Susa. Nella pagina a fianco La cartina mostra nell’area gialla, in alto a sinistra, la zona dove è stata rilevata la presenza di uranio e di amianto. La foto è stata tratta dall’articolo Torino-Lione un progetto faraonico e irragionevole, di Marianna Pino e Riccardo Pravettoni, pubblicato in: www.cartografareilpresente.org/IMG/pdf/ITA_ Corridoio_5_FOUNDATION.pdf. (ultima consultazione luglio 2014).

SOSTENIBILITÀ

pellato di fronte a progetti pensati per il territorio su cui vive? Perché invece non conta la sua voce nell’amministrazione di se stesso e delle sue terre? Il grave impatto e il costo in termini di salute e qualità della vita di una popolazione può essere sacrificato in nome di un’opera colossale anche se, e non ci sembra essere questo il caso, questa costituisce un’opera destinata al presunto progresso di un intero Paese? Si pone una questione molto delicata e sulla quale occorre riflettere a fondo: in nome della democrazia e del presunto “grande bene” di una Nazione, si può sacrificare il “piccole bene” di una popolazione di un’intera valle? Non è la prima volta nella storia che per “ragioni di interesse nazionale” si agisce ignorando il parere dei cittadini abitanti nei territori coinvolti direttamente dalle decisioni, e in Valle di Susa la questione No Tav troppo spesso oggi si confonde solo con problemi di ordine pubblico, dimenticando che occorre invece misurarsi sui temi fondamentali che sono alla base delle proteste, democratiche e civili, dei Valsusini. Si tende a tacitare la voce di un movimento d’opposizione alla linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione che ha caratteristiche democratiche e la cui libera espressione dovrebbe come tale avere peso e riconoscimento della sua legittimità e dignità. Tutto ciò ha


STORIE DI DEMOCRAZIA NEGATA

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Per saperne di più ormai assunto le proporzioni di una vera e propria questione dolorosa di democrazia negata. I diretti interessati, i cittadini, perché non possono partecipare alle importanti decisioni politiche ed economiche che sono destinate a cambiare sostanzialmente le loro vite? Perché un diritto che pare tanto fondamentale, cioè il diritto di partecipare alle decisioni che riguardano la propria vita, che coincide con il diritto alla vita stessa, può essere ignorato e calpestato, in nome della parola progresso? Quanto al resto dell’Europa, è bene rammentare che la Torino-Lione non dovrebbe essere che un segmento di un lungo asse di collegamento fino al confine ucraino, che nelle intenzioni dovrebbe passare attraverso Italia, Slovenia e Ungheria: 1.638 chilometri di ferrovia. Fino ad ora però ne sono stati completati solo 234. Un ritardo cronico sembra ammalare il progetto dell’asse, pensato fin dagli anni ‘80. Una breve tratta è stata costruita tra Slovenia e Ungheria, ma per il resto la via ferrata non solo non esiste ma deve ancora iniziare ad essere progettata, in alcuni Paesi persino pensata.

Studi sull’Alta Velocità http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/

La questione Tav in Val di Susa www.iris-sostenibilita.net/iris/homepage_2013-04-12.asp Due convegni su Amianto e Uranio in Val di Susa www.socgeol.it/files/download/Val%20di%20 Susa/01%20VS%20(5-8).pdf Cancelli C., Sergi G., Zuccetti M. (a cura di) Travolti dall’Alta Velocità, Odradek edizioni, 2006. www.odradek.it/Schedelibri/TAV.html Una Montagna di libri contro la Tav http://montagnadilibrinotav.blogspot.it/p/ blog-page.html Esposito S., Foietta C., TavSi, ebook scaricabile a questo link: www.tavsi.it


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SOSTENIBILITÀ

NOME DI BATTAGLIA NINA Testi di Letizia Gariglio

«Per essere No Tav non è necessario essere Valsusini, ma semplicemente onesti».


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IN INTERVISTA A ELENA GARBERI, ESPONENTE E DEL MOVIMENTO D N NO TAV

In alto e nella pagina a fianco NINA, Elena Garberi, 42 anni e mamma felice di tre bambini, impegnata nella lotta contro la Tav in Val di Susa.

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to osservando alcune immagini scattate durante una manifestazione No Tav: bambini con il loro giocattolo sotto il braccio, anziane con il loro cagnolino (violenti i denti del pincher!), signori affaticati dalla camminata che si appoggiano al bastone (arma impropria?), famiglie al completo di genitori, figli, zii, nonni e nipoti (vere bande armate di berrettini e sciarpette!), neoterroristi in passeggino o assestati come in trincea dentro zainetti sulle spalle di papà. Non parliamo dei nomi di battaglia... il tuo è Nina, non è vero? Mhmmm... nome dal sapore rivoluzionario... Vuoi raccontarci come sei diventata una No Tav? «Non sono nata Valsusina, lo sono diventata con il cuore e la mente in fase adolescenziale. Ho costruito così qui la mia felicità, mi sono innamorata e sposata. Ora ho 42 anni, vivo, lavoro e cresco i miei figli in Valsusa. Ho conosciuto la lotta No Tav intorno alla fine degli anni Novanta ed ho cominciato ad interessarmene e a partecipare insieme alla famiglia del mio ex marito. Reperivo informazioni qua e là tra amici e parenti che già erano a conoscenza di eventi e situazioni riguardanti il caso, via via sono diventata più partecipe e presente. Dopo la fatidica data del 6 dicembre 2005, ho cominciato a frequentare con regolarità i presidi e le assemblee giornaliere o settimanali, ho dedicato molto tempo alla conoscenza e all’informazione dividendomi fra lavoro e famiglia, e la mia presenza nel movimento e nelle manifestazioni è diventata assidua. La mia crescita personale nel movimento non è dovuta a me stessa, ma a tutte quelle persone che ho conosciuto e con cui ho creato legami, con cui ho discusso e con le quali ho partecipato a miriadi di giornate informative e manifestazioni pacifiche di dissenso per la costruzione di un’opera altamente costosa, gravemente dannosa per la salute, deturpante per l’ambiente e il territorio. Vorrei riferire una frase che ritengo molto significativa: “per essere No Tav non è necessario essere Valsusini, ma semplicemente essere onesti». Non tutte le manifestazioni No Tav sono state manifestazioni pacifiche. Ricordiamo le prime marce pacifiche con una partecipazione già numerosa della popolazione: fra le tante la fiaccolata del 5 novembre 2005 da


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Susa a Mompantero con più di 15.000 partecipanti, un’altra marcia il 16 novembre 2005 da Bussoleno a Susa con circa 50.000 partecipanti. Poi però, dopo la sistemazione della prima trivella per fare sondaggi del terreno e in seguito all’esproprio dei terreni, dopo l’intervento delle forze dell’ordine, le vicende del Movimento presero un andamento un po’ diverso: una ventina di manifestanti fu ferita a Venaus; in seguito una marcia di circa 30.000 persone partì da Susa con destinazione Venaus. Fu durante quella manifestazione che le forze dell’ordine cercarono di impedire l’ingresso alla strada provinciale per Venaus; arrivati a Venaus la popolazione rimosse le reti di recinzione del futuro cantiere e invase i prati, bloccando così l’inizio lavori. Possiamo far risalire a quel momento la vera “battaglia”? «Sicuramente il 2005 segna in modo indelebile il popolo No Tav, perché, nonostante il suo dichiarato pacifismo e la sua nota capacità di dialogo, avvenne la militarizzazione in diversi paesi valligiani tra cui Bruzolo, Venaus, Mompantero, Susa. Molti eventi si avvicendarono tra l’autunno e l’inverno di quell’anno e vi furono date importanti come il 31 di ottobre quando avvenne “la battaglia del Seghino” alle pendici del Rocciamelone, o il 16 novembre 2005, giorno del grande sciopero generale con l’adesione totale della Valle. Il 29 novembre alle tre del mattino, con l’invio di centinaia di mezzi militari avvenne la militarizzazione di Venaus… Insomma, ci trovavamo ad affrontare via via situazioni di cui ci sentivamo ingiustamente vittime, fino ad arrivare alla notte del 6 dicembre quando alle 3,20 la polizia arrivò in massa con una ruspa nei prati innevati di Venaus e travolse tutto ciò che trovava: venti persone finirono in ospedale con nasi e teste fratturate dalla violenza dei manganelli. Poco dopo le tre di notte iniziarono i primi sondaggi sui terreni designati, ed ecco, il presidio non c’era più. Immediata è stata la risposta della Valle, che tutta insieme si è fermata: alle 7 del mattino si sono proclamati scioperi nelle scuo-

SO SOSTENIBILITÀ OSTEN NIBIL LITÀ

le e nelle fabbriche, la ferrovia è stata bloccata e così anche le due statali e l’autostrada dal Freyus, oltre a blocchi e barricate ad Avigliana, Susa e Bussoleno. Il giorno successivo si è svolta una manifestazione alla quale hanno partecipato oltre cinquantamila persone che si sono avviate da Susa a Venaus: era un torrente che straripava, ad un certo punto si è diviso in tanti rigagnoli per poi ricongiungersi intorno al cantiere. Il giorno stesso il governo ha convocato i sindaci a Roma ed ha ritirato la maggior parte dei presidi di polizia …». Tu hai conosciuto l’esperienza del carcere quando, malgrado fossi incensurata, è stata per te fatta richiesta di carcerazione preventiva: eri accusata di aver opposto resistenza durante un’azione di irruzione nel cantiere di Chiomonte. Eri accusata di lesioni e di concorso morale, e ciò ti ha posto nella condizione di vivere il carcere. Fino ad allora la tua vita in Valle si era svolta fra l’educazione di tre figli, il lavoro in un’azienda del territorio, il volontariato che svolgevi abitualmente sulle ambulanze del 118 e la partecipazione consapevole al movimento No Tav. Una vita da terrorista, insomma... é così? «Era stata organizzata una manifestazione denominata “4 giorni No Tav” dall’ 8 all’11 settembre 2011 con eventi, dibattiti, assemblee e visite al cantiere di Chiomonte in Val Clarea. La sera del 9 settembre, sempre in modo pacifico, un corteo cui partecipavano in modo spontaneo famiglie intere si è diretto verso i cancelli del cantiere. Ero all’epoca in servizio alla Croce Rossa Italiana, operavo come volontaria dopo aver lavorato ogni giorno come operaia in una ditta di Avigliana. Nell’occasione del corteo avevo portato con me uno zainetto con un kit di primo soccorso, per essere d’aiuto in eventuali piccoli traumi, piccole ferite: era già capitato in passato che il kit tornasse utile, quando gli idranti usati per allontanare le persone avevano sollevato pietre o quando vi erano stati problemi causati dai lacrimogeni. Abbiamo iniziato


ANNO INTERNAZIONALE DELLA FAO

la camminata in salita dalla centrale elettrica di Chiomonte, si voleva raggiungere la baita No Tav in Val Clarea. Vicino al varco 4 hanno lanciato alcuni lacrimogeni che provocavano un fumo denso che impediva di respirare e vedere bene. Così ho cercato di allontanarmi e salire lungo un sentiero impervio: è così che sono stata trattenuta da un rappresentante delle forze dell’ordine, senza opporre resistenza. Insieme ad un’altra giovane donna sono stata in carcere per 14 giorni, poi ho ottenuto i domiciliari fino al termine del processo, non nel mio comune di residenza (Chiomonte), ma a Villardora dove poco prima dell’arresto avevo preso un piccolo appartamento in affitto, però sono stata allontanata da Chiomonte per oltre dieci mesi e questo mi ha tenuto lontana dai miei figli che invece hanno continuato a vivere in Valle. Il processo seguito dalla Procura torinese e dallo stesso Caselli ha avuto per me esito positivo, quindi la completa assoluzione, mentre per la mia compagna di cella c’è stata una lieve condanna.È stato per me richiesto il ricorso in appello e quindi siamo in attesa di rientrare in aula. E questo è solo un processo: ad oggi i No Tav indagati sono più di 1000!».

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Al tempo del processo, ricordiamo che sei stata pienamente assolta, la tua gente, le gente della Valle, si è mossa mostrandoti costante attenzione e partecipazione, ha anche sfilato in una fiaccolata di solidarietà; per te si era mosso in favore anche il climatologo Mercalli il 18 settembre 2011 a “Che tempo che fa”, suscitando un vespaio di polemiche. Aveva anche detto in una intervista:“Questa vicenda delle due ragazze in carcere, una madre di tre figli, ricorda “Fuga di mezzanotte”. Nessun giornale ne parla. Perché questo silenzio tombale?” Dopo la sentenza hai ripreso la tua vita normale. Come continua il tuo impegno No Tav? «Mentre ero in carcere e per tutto il periodo processuale sono stata supportata e confortata, oltre che dai miei famigliari, da una grande rete di solidarietà, che nasceva dalla mia Valle e come un polipo entrava dentro le sbarre di una squallida prigione. Mai e poi mai nella mia vita mi sono sentita così protetta e accolta: tante, tante persone ovunque hanno espresso la loro solidarietà a me e Marianna. Ho imparato molto da questa esperienza ed il mio impegno non ha fatto altro che accrescere le mie convinzioni nella lotta No Tav. Ho cominciato a partecipare, dopo i domiciliari, appena ho potuto riavere la mia vita, a tavoli e assemblee su svariati temi, come repressione, ingiustizia, malagiustizia; il mio nome di “battaglia” è ancora Nina».


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SOSTENIBILITÀ E ANTISPECISMO

CHIMP HAVEN NATIONAL CHIMPANZEE SANCTUARY Testi di Alessandra Luciano

Testi di Letizia Gariglio Foto Archivio Chimp Haven

Testi di Giulia Riccabbb

«Alcuni hanno esitato a mettere i piedi sull’erba ma alla fine l’hanno fatto e tutti guardavano il cielo, forse, per la prima volta».


CHIMP HAVEN

DALL’INFERNO AL PARADISO DEGLI ANIMALI

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l Paradiso è quello splendido giardino che ci siamo giocati per volere a tutti i costi salire un certo albero, cosiddetto della conoscenza. Nella nostra sete di conoscere ne abbiamo combinate di tutti i colori, trascinando indiscriminatamente nella nostra precipitosa uscita a pedate dall’Eden anche le altre specie animali, che abbiamo volutamente posto in una condizione di dipendenza da noi. Però ora ce la tiriamo, e affermiamo di essere in grado di offrire loro un altro paradiso. Chimp è in inglese il diminutivo di chimpanzee, primati della famiglia degli Hominidae detti scimpanzé: Chimp Haven, Paradiso degli scimpanzé è il nome del National Chimpanzee Sanctuary, nella Louisiana (USA), vale a dire un santuario per animali, un luogo protetto. Sarà anche un paradiso, ma ben meritato, visto che gli scimpanzé che lì vengono convogliati sono quelli sopravvissuti alle sperimentazioni effettuate nel New Iberia Research Center. È iniziato nel novembre 2012 l’accompagnamento dei primi esemplari fra gli animali da sperimentazione verso il santuario, dopo anni di discussioni, di battaglie politiche, di richieste dal mondo delle associazioni per la protezione degli animali. Ora sono presenti nel parco 110 scimpanzé, che hanno meritato il paradiso in terra dopo aver pagato all’uomo il loro tributo, facendo da cavie per la sperimentazione sulla trasmissione di tremende malattie, come l’Aids, l’epatite, e una serie molto lunga di altre malattie batteriche e virali, che han loro procurato infezioni d’ogni genere. Usciti da sale operatorie dove sono sopravvissuti a esami clinici, indagini invasive di ogni genere, operazioni chirurgiche, biopsie, gli animali, che hanno da uno a 50 anni, hanno stentato a credere ai propri occhi: alcuni faticavano a riconoscere quella sorta di moquette verde che si trovava ai loro piedi, così diversa dal pavimento e dalle pareti di acciaio sbarrato dei laboratori che erano soliti frequentare come unico ambiente di vita: se di vita si può parlare. Tuttavia, dice Kathleen Conlee, Vice Presidente di Animal Research Issues of The HSUS:«Alcuni hanno esitato a mettere i piedi sull’erba ma alla fine l’hanno fatto e tutti guardavano il cielo, forse per la prima volta». Quanto a lungo potranno godersi il paradiso


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SO SOSTENIBILITÀ OSTEN NIBIL NIBIL LITÀ LITÀ

che gli uomini gli hanno finalmente concesso non lo sappiamo. Sappiamo però che gli assistenti del parco ce la mettono tutta per farli sentire di buon umore, il che per un soggetto ammalato di Aids e di epatite C non deve essere troppo facile. Per questo viene permesso agli scimpanzè di oziare su amache o lungo i pendii dei prati, o rifugiarsi nei boschi in casette di legno predisposte per loro. Però si cerca anche di farli giocare, offrendo loro ricreazioni, giochi, animazioni, gare a premi e persino “lezioni” di danza e di musica. Né viene fatto lor mancare del buon cibo. Davvero stucchevoli, gli umani, quando ci si mettono. Kathleen Conlee continua nel suo lavoro sui diritti degli animali di “ricerca”, e lotta per metter fine alla sperimentazione invasiva sugli animali, all’uso degli animali nei test chimici e nelle campagne di ricerche cosmetiche, si adopera per porre fine alla sofferenza e al dolore degli animali e preme per lo sviluppo di strumenti alternativi all’uso degli animali nella ricerca di laboratorio. Ritiene importante sensibilizzare la popolazione statunitense verso questa prospettiva, attraverso una vera e propria campagna di educazione. Questa degli scimpanzé liberati è una bella favola, anche se un po’ triste. Triste pensare al passato di queste creature. Triste pensare alle conseguenze che sono costrette a patire oggi. Ancora più triste pensare agli altri 800 scimpanzé ancora prigionieri di laboratori sparsi in lungo e in largo negli Stati Uniti, senza contarli nel resto del mondo.

Per saperne di più Chimp Haven National Chimpanzee Sanctuary è un’organizzazione indipendente no-profit la cui missione è fornire assistenza agli scimpanzé che sono stati utilizzati per la ricerca biomedica e sperimentazione scientifica. L’organizzazione è in grado di assistere questi sfortunati animali offrendo loro un percorso riabilitativo di vita allo stato naturale. Un grande impegno di Chimp Haven è rivolto a promuovere metodologie di ricerca scientifica che non utilizzino primati ed animali per la sperimentazione scientifica. www.chimphaven.org


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SOSTENIBILITÀ E SOCIETÀ

SOCIAL STREET NUOVE COMUNITÀ DI VITA Testi e foto di Giulia Maringoni

«Nate in Emilia e presto approdate in Lombardia le Social Street si stanno espandendo a macchia d’olio, mettendo radici anche in Piemonte».


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VERSO UNA CITTÀ CON L’ANIMA DI PAESE

Nella pagina accanto PIc-nic al Parco del Valentino della Social Street di Corso Traiano a Torino. .

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e città negli ultimi decenni sono cambiate, e con esse i ritmi di vita. Il tempo per le relazioni sociali si è contratto drasticamente privando le persone della possibilità di incontrarsi, parlarsi, appropriarsi degli spazi comuni dove maturare la propria identità e storia, dove forgiare idee e progetti. Le Social Street si inseriscono in questa geografia della solitudine, dimostrando che è possibile ritornare ad una città più a misura d’uomo, alla riscoperta del valore dello stare insieme. Nate in Emilia e poi approdate in terra lombarda, ora le Social Street si stanno espandendo a macchia d’olio lungo tutta la penisola, mettendo radici anche in Piemonte. Si tratta di reti di persone residenti in una stessa via, quartiere o palazzo che sfruttano la creazione dei gruppi chiusi di Facebook per conoscersi, incontrarsi e “unire le forze” nella vita reale a costo zero, sfatando il mito della nuova dispersiva socialità virtuale, che aliena le persone e congela i rapporti umani. «L’obiettivo è quello di socializzare con i vicini della propria strada di residenza al fine di instaurare un legame, condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale» spiegano gli appartenenti a questo nuovo movimento per il quale non servono soldi, ma un investimento in termini di recupero del calore umano. Attualmente ci sono ben 260 Social Street in Italia e l’esperimento è stato imitato anche all’estero, con comunità solidali di vicini di casa in Cile, Nuova Zelanda, Croazia, Portogallo e Brasile. Anche a Torino, a cavallo tra il 2013 e il 2014, sono comparse le prime strade sociali, in Via Barbaroux,Via Vanchiglia, Corso Traiano, Via Madama Cristina, Piazza Santa Rita, Via Cenischia, Mirafiori Sud, Borgo Nizza Millefonti, Via Martorelli, Via Tripoli, Porta Palazzo e Via Sacchi. Abbiamo incontrato alcuni dei protagonisti di questa rivoluzione “sociale”, per conoscere nei dettagli le storie di come la diffidenza tra vicini si sia trasformata in amicizia e solidarietà.


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SOSTENIBILITÀ E SOCIETÀ

Corso Traiano in prima fila contro l’individualismo

In alto Mappa delle abitazioni aderenti alla Social Street di Corso Traiano a Torino.

Enrica Michelon, amministratrice del “Gruppo di residenti in corso Traiano e dintorni”, nato il 18 dicembre del 2013 racconta la sua storia:«Ho deciso di fondare il gruppo in maniera piuttosto impulsiva, un giorno lessi un articolo sul primo esperimento di Social Street di via Fondazza a Bologna e di come i cittadini che ne facevano parte fossero riusciti a trovare un modo per aiutarsi a vicenda con piccoli favori, costruendo una rete di conoscenze dal virtuale alla reale vita di quartiere. Mi colpì molto il fatto che un’idea tanto semplice potesse essere allo stesso tempo così geniale e rivoluzionaria. Non avevo neanche finito di leggere l’articolo, che il gruppo esisteva già su Facebook!». È così che a fine febbraio 2014, avendo raggiunto la trentina di iscritti, c’è stato un primo incontro tra residenti, una merenda sinoira, in cui tra una fetta di torta, un biscotto e una manciata di salatini, i vicini ancora estranei si sono presentati, confrontati e sono venute fuori delle idee su quali fossero le esigenze reali e soprattutto comuni, per le quali la Social Street avrebbe potuto fare qualcosa di concreto. «Il gruppo di Corso Traiano e dintorni - scrive Elena Fabris sulla bacheca di Facebook - è un gruppo animato da cittadini che desiderano tornare a riempire di senso l’essere vicini di casa: viviamo o lavoriamo nello stesso angolo di città, spesso senza conoscere chi incrociamo per strada uscendo di casa, e forse per questo sentendoci un po’ soli, a volte spaesati, pensando che le nostre difficoltà sono solo nostre e che dobbiamo affrontarle da soli. In questo gruppo proviamo a “cambiare le carte in tavola”: scambiando informazioni, consigli, oggetti e cortesie possiamo migliorare il nostro vivere quotidiano e fare accadere piccoli miracoli!». La partecipazione effettiva, considerando gli iscritti al gruppo (200), ad oggi è di circa il 10% ed Enrica sottolinea con soddisfazione:«Per il momento, a noi va bene così, le persone non si devono sentire obbligate a partecipare. Siamo sicuri che poco a poco il coinvolgimento sarà maggiore, contrastando in maniera efficace l’individualismo che la società purtroppo ci costringe ad accettare come una malattia moderna, che invece si può sconfiggere!».


IL MONDO A RISCHIO INSOSTENIBILITÀ

Antidoto alla falsa amicizia “internettiana” «La costituzione della Social Street di Via Madama Cristina nasce, invece, a Marzo 2014 a seguito dell’incontro di due amiche, ritrovatisi dopo tanto tempo a vivere nella stessa città» raccontano Paola Ciarrocchi e Cristina Barberi. «Abbiamo avvertito dentro e intorno a noi la forte esigenza di socializzazione, in un periodo storico in cui lo spostamento, il cambiamento e la costruzione di nuove relazioni sono all’ordine del giorno. Ci si ritrova spesso in città non pienamente nostre con reti familiari, sociali, collettive e istituzionali allargate non sempre tangibili. Ecco perché abbiamo pensato che, sfruttando intelligentemente e diversamente lo strumento virtuale di cui disponiamo, si potesse tornare a vivere nel concreto, creando rapporti diretti e genuini, attribuendo molto più valore ad un’anonima foto del profilo». Il fenomeno delle Social Street, attraverso piccoli gesti quotidiani, sostenibili e piacevoli, dal classico scambio del sale o del carica batteria del cellulare, al baratto di competenze ma soprattutto al “ciao” di persone che si sforzano di conoscersi veramente, rappresenta a tutti gli effetti il corretto utilizzo dei social network, nonché l’antidoto alla falsa amicizia “internettiana”.

Benefici... «I benefici che si possono ottenere sono svariati, – spiegano Paola e Cristina – un essenziale valore è quello di uscire dalle quattro mura di casa e vivere la piazza, la

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città, riappropriandosi di spazi comuni. A volte siamo così impegnati tra il lavoro, i figli e le mansioni domestiche, che dimentichiamo quanto sia importante il confronto con gli altri, un sorriso, una pacca sulla spalla. Un altro vantaggio è quello di avere a disposizione una bacheca virtuale attraverso la quale i residenti possono scambiarsi consigli, informazioni utili, favori, merci e cibo o anche proporre attività comuni, come camminate, biciclettate, mostre fotografiche, partite a calcetto e picnic. C’è chi, grazie alla bacheca, ha trovato una macchina usata o una baby sitter last minute, chi ha affittato un alloggio o trovato aiuto per un trasloco, chi, ancora, ha semplicemente arricchito la propria vita di nuovi, preziosi, amici». Che si tratti di controllare la casa del proprio dirimpettaio durante le vacanze estive, di innaffiargli le piante o semplicemente di insegnare l’uso del pc al nonnino del piano di sotto, il beneficio principale, sia per il singolo che per la comunità dello stesso quartiere, sembra essere quello di instaurare relazioni interpersonali concrete e maturare una maggiore fiducia nel vicinato, che prima si salutava a malapena. «Nella pagina Facebook c’è stata anche l’occasione di aprire dibattiti su temi attuali con interventi competenti che esulano dal colore politico – ci spiega Ilaria Brancati del gruppo di “Residenti in Via Puccini e dintorni a Pianezza; - sono circolate impressioni, proposte di ogni tipo, piccole recensioni su libri letti o film appena visti e a maggio siamo riusciti persino ad organizzare uno Swap Party nella galleria commerciale “Il Portico” con scambio di abiti, borse, scarpe e accessori».


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SOSTENIBILITÀ E SOCIETÀ

...e resistenze! «La diffidenza è ancora il maggior ostacolo - aggiunge Paola - le persone spesso non sono disposte ad adattarsi ai cambiamenti e con estrema fatica cambiano i propri schemi in favore del nuovo». Le nuove tecnologie, poi, isolano sempre di più e non è raro trovare chi cammina sotto casa con le cuffie alle orecchie o impegnato in conversazioni al telefonino, perdendo in questo modo il gusto di vivere immerso nel momento reale, dialogando ed entrando in contatto con chi si incontra per la strada. Non dimentichiamo che il mondo post-moderno pullula di Non-Luoghi, come insegna il sociologo francese Marc Augé: spazi dell’effimero, anonimi, anti-identitari, affollati di individui che non comunicano più tra di loro, ma si rapportano solo a specchi di sé stessi. Ecco che le Social Street, con il loro carico di “socialità in carne e ossa”, inaugurano una felice contro-tendenza, ricordandoci l’importanza dell’altro, della famiglia, del vicinato, della comunità, al di fuori del circolo vizioso dell’uso e abuso di merce, tempo ed energia. Restituire alle nostre città la loro anima di paese è la vera sfida del futuro.

Per saperne di più www.socialstreet.it Le istruzioni per far nascere una Social Street” si trovano a questo link: www.socialstreet.it/linee-guida Da leggere: Augé Marc, Non-Luoghi. Introduzione a un’antropologia della Surmodernità, Eleutera, Milano, 1993. Zygmunt Bauman, Modernità Liquida, Laterza, 2002.



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SOSTENIBILITÀ E... LETTURA

CITYTELLER L’APP PER CONOSCERE LA CITTÀ Testi e foto di Alessandra Chiappori

«Come coinvolgere i lettori nella costruzione di una grande cartina geografica fatta di luoghi descritti e raccontati nei libri».


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RIVIVERE LA CITTÀ ATTRAVERSO I LIBRI... MA SULLO SMARTPHONE

Nella pagina accanto Piazza Carignano a Torino. Sul nostro smartphone usando l’apposita App predisposta da Cityteller scopriamo in quali libri è citato questo luogo. ( foto FP spectacularch)

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ibri, territorio, tecnologia: esiste una connessione tra questi elementi? Secondo gli ideatori e sviluppatori dell’applicazione per dispositivi mobili Cityteller, pare di sì. Cityteller è infatti ciò che si potrebbe chiamare una “mappa geo-emozionale”, il cui scopo è quello di coinvolgere gli utenti nella costruzione di una grande cartina geografica fatta di luoghi descritti e raccontati nei libri. Ricreare e ricollegare ai luoghi concreti le emozioni della lettura, questo l’intento principale e la caratteristica che contraddistingue Cityteller dalle altre iniziative che coinvolgono libri e territorio. Un’emozione che, una volta registrata sulla mappa grazie alla geolocalizzazione, sarà disponibile per tutti e condivisa, aspetto centrale delle pratiche cosiddette web 2.0 ma non solo. Partecipazione degli utenti, coinvolgimento della città, ricreazione di percorsi urbani – e perché no turistici – alla riscoperta di luoghi del quotidiano attraverso le citazioni dei libri, che proprio in quei luoghi ambientano storie, fanno di questa applicazione un interessante strumento dalla doppia anima. Se da una parte c’è infatti la creazione di mappe digitali, dall’altra si scopre un approccio orientato a dati sul territorio di natura tutt’altro che numerica, con la partecipazione appassionata degli utenti lettori, che segnalano e inviano citazioni secondo la logica dell’osservare, raccontare e condividere divertendosi la propria esperienza della città basata su letture e sensazioni personali. «Cityteller serve a conoscere le città attraverso i libri e a conoscere i luoghi dei libri», questo racconta il sito dell’applicazione che proprio da Torino, città dei libri per vocazione, ha inaugurato il suo viaggio. Cityteller è nata nel 2013 da un’idea degli sviluppatori torinesi Fabrizio Parodi e Lorena Petriccione, con Guido Alessandro Gozzi e Filippo Ghisi, accomunati dall’amore per la lettura. Il progetto è stato riconosciuto come interessante start-up dall’Incubatore del Politecnico di Torino, che ha accolto e sostenuto l’idea. Nel 2014, infine, è stata rilasciata una prima versione compatibile con iOS e poi con varie versioni di Android. I primi


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SOSTENIBILITÀ E... LETTURA

In alto La pratica App di Cityteller consente di inserire con pochi semplici mosse la citazione relativa ad un luogo o ad una città... proprio quella che stiamo leggendo sulla pagina! Nella pagina accanto: Il team di Cityteller, da sinistra: Fabrizio Parodi, Lorena Petriccione, Filippo Ghisi e Guido Alessandro Gozzi.

esperimenti di letteratura geo-localizzata, e quindi le prime bandierine di segnalazione sulla mappa, sono stati proprio i luoghi torinesi, campo di prova per un’app che nel suo primo semestre di vita ha allargato ed espanso i propri confini, aprendosi potenzialmente a tutto il mondo. «Ora stiamo lavorando sull’Italia – specifica Fabrizio Parodi – ma abbiamo ricevuto richieste anche da altri paesi, per esempio al momento ci hanno contattato degli interessati dall’Irlanda, e così anche per le citazioni in lingua: sono sviluppi a cui stiamo pensando. Questo testimonia che si tratta di un progetto in continua evoluzione ed espansione, non ha limiti e non se ne vuole attualmente porre». Ogni lettore lo sa: appena concluso un libro, il desiderio spontaneo di raccontare e condividere l’esperienza e le emozioni provate con qualcun altro è fortissima, ed è proprio su questa molla che spera di poter avere successo Cityteller, che vuole non tanto legare le citazioni ai loro luoghi, quanto istituire delle vere e proprie mappe partecipate per ricreare le atmosfere dei luoghi letterari. «La base di Cityteller – prosegue Parodi - è riprovare le emozioni della lettura quando ci si trova per la città, andare sul luogo e poter dire “ci sono stato”, ho letto, ho visto. L’unico modo per scoprire le citazioni è quello di appoggiarsi potenzialmente a tutti, quindi agli utenti che avranno voglia di scaricare l’app e di inviare le citazioni». Non basterà però interagire con Cityteller inviando due semplici righe o contenendo la citazione in un tweet da 140 caratteri:«non vogliamo correre il rischio di avere due righe, che sarebbero troppo poco per riprodurre quella pagina e ridonare le stesse emozioni – spiega ancora Parodi - l’idea è che alla base della localizzazione di un luogo con una citazione ci sia un’emozione, quindi, necessariamente, un racconto, una narrazione, ecco perché poche righe non ci bastano». Si potrà allora direttamente fotografare la pagina che contiene la citazione e inviarla a Cityteller tramite i social network come Facebook, Twitter, Instagram. La redazione svolgerà un importante compito di riscrittura del brano e aggiunta di tag e informazioni relative al testo, come autore, anno di edizione, casa editrice, dati che potrebbero portare a una collaborazione fruttuosa e sostenibile tra l’app e il più ampio mercato editoriale.


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CITYTELLER

Cityteller allora, come recita ancora una volta il sito, per “raccontare e scoprire”, armati di libro in una mano e smartphone nell’altra. Girando alla scoperta de luoghi letterari infatti non sarà solo possibile rintracciare nuovi itinerari turistici indossando le lenti dei grandi autori e “rivedendo” i luoghi quotidiani con i loro occhi, ma anche, perché no, essere invogliati a nuove letture. Tutto all’insegna della condivisione sul web e di un racconto turistico sempre più personalizzato e creato dal basso, con il coinvolgimento della tecnologia digitale. È nel mondo del digitale che Cityteller trova infatti il suo sostentamento, invogliando al ritorno sul territorio per riscoprire i luoghi attraverso i libri, come una sorta di innovativa guida turistica creata via via dagli stessi utenti, densa di emozioni partecipate. E al territorio, lo scorso maggio, quest’app è approdata davvero, organizzando per il Salone off, durante la settimana del Salone del Libro di Torino, itinerari sulla Torino Noir, sui luoghi della Resistenza e dei grandi scrittori. Al territorio, in tutti sensi, Cityteller tornerà anche per questa estate 2014. È stato infatti di recente stabilito un accordo di adesione all’iniziativa di Legambiente “Librerie da spiaggia”, che prevede l’installazione di postazioni di book crossing sui litorali italiani. “Il nostro prossimo progetto è questo – conclude Fabrizio Parodi – e ha a che fare con l’estate e con la spiaggia perché è lì che la gente ha più tempo: più tempo per leggere, e per condividere ciò che legge. Metteremo

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non solo le citazioni quindi, ma anche i luoghi dovetrovare le librerie da spiaggia promosse da Legambiente. Ci sembrava giusto aderire a iniziative come questa che danno la possibilità di segnalare le spiagge dove si può leggere, è un’informazione interessante che non ha a che fare solo con le citazioni ma con i luoghi di lettura. Siamo contenti, poi, che sia con Legambiente, è un tipo di progetto molto bello di cui sosteniamo anche il discorso del prendere un libro e lasciarne un altro in cambio”. Segnate in agenda le vacanze, dunque, non resta che controllare la mappa di Cityteller sullo smartphone e partire per la destinazione con una valigia piena di libri!

Per saperne di più www.cityteller.it


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MONDO COOPERATIVO

COOPERAZIONE E CULTURA «Diceva Adriano Olivetti che la cultura rende gli uomini liberi. Non dobbiamo mai trascurare questo principio etico, perchè rappresenta l’anima di questo nostro territorio che è il Canavese».


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QUANDO GLI INCONTRI SONO COOPERATIVI... INTERVISTA AL PRESIDENTE DI AEG IVAN PESCARIN

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ncontri cooperativi è una collana editoriale, pubblicata da CELID, storica editrice cooperativa universitaria, e diretta da Luigi Berzano sociologo e professore ordinario dell’Università di Torino. La collana è costituita da interviste a rappresentanti ed esponenti di associazioni, e del mondo cooperativo, leader istituzionali nonché artisti, filosofi, letterati e scrittori, ed ha l’intento di proporre ai lettori approfondimenti sui grandi temi della contemporaneità, ma osservati attraverso una prospettiva che attinga a valori cooperativi, di solidarietà sociale, rispetto dei diritti e delle diversità. È questo il senso “particolarmente” specifico di questo progetto che è nato nell’ambito delle attività di comunicazione sociale di AEG Società Cooperativa. In una prima ideazione doveva trattarsi di una collana da rivolgere direttamente ai Soci AEG, con l’intento di offrir loro contenuti e occasioni di riflessione ed informazione sui temi scottanti dell’attualità. In questa sua prima definizione aveva pubblicato ccome allegato della rivista Inognidove un’intervista a Ilda Curti, Assessore all’integrazione del Comune di Torino. Ma la collana in un solo anno è cresciuta, è stata adottata da CELID, ed è stata presentata ufficialmente al Salone del libro di Torino con la prima serie di interviste rivolte a Luigi Berzano, Luca Mercalli, Livia Turco, Ilda Curti, Giuliano Poletti e Giancarlo Gonella. Ora si appresta ad uscire in autunno con una nuova serie che prevede interviste a Cécile Kyenge, Moni Ovadia, Don Luigi Ciotti, Gino Strada e Pierluigi Dovis, presidente della Caritas piemontese. Ne parliamo con Ivan Pescarin presidente di AEG Società Cooperativa che è stata promotrice e sostenitrice del progetto.


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«... In realtà nel mio ruolo politico io sento di rappresentare tutti, non solo gli immigrati, voglio infatti che le mie proposte possano rappresentare la visione di una Italia del domani, nella quale la cittadinanza e l’appartenenza non siano condizionati dal colore della pelle, dal genere, dalle tante differenze che, ancora, subdolamente possono discriminare le persone». Tratto dall’intervista a Cécile Kyenge

Presidente lei ha da sempre sostenuto l’importanza di promuovere iniziative culturali per i Soci di AEG e, di riflesso, per il territorio dove la cooperativa opera: dalle iniziative educative destinate alle scuole del territorio con favole ispirate a valori cooperativi, al calendario dedicato ai principi della Costituzione, giunto sino nelle mani del Presidente Napolitano, alla collana editoriale Incontri cooperativi rivolta ai Soci. Per AEG è in fondo una forma di raro mecenatismo, che pare oggi non esser più di moda…

«Una società come la nostra, volente o nolente, ha ereditato la vocazione che in questo territorio aveva l’impresa Olivetti e cioè dare continuità a quella vocazione che la Olivetti ha svolto per oltre cinquant’anni: oltre a precisi doveri di portare ricchezza al territorio, di garantire possibilità di occupazione, un’impresa deve anche rappresentare un riferimento etico per la diffusione di valori e fornire occasioni per la crescita sociale e culturale di chi lo abita. Diceva Adriano Olivetti che la cultura rende gli uomini liberi. Noi come


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CULTURA E COOPERAZIONE

«... Cooperare attiva profondi legami tra gli individui: ciò rappresenta un fattore necessario per lo sviluppo e la crescita sociale, esattamente come sono fondamentali il mercato e lo Stato... I sociologi tendono a credere che le società funzionino bene se hanno un’economia polifonica, se a fianco della proprietà privata si esprimono altre forme di proprietà. Anzi, la cooperazione consente anche al mercato di funzionare meglio, perché lo tempera degli aspetti più aspri e lo arricchisce...».

MONDO COOPERATIVO

Tratto dall’ intervista a Luigi Berzano

AEG, per lo meno in questi ultimi anni come C.d.A., abbiamo sempre voluto non trascurare questo principio etico che rappresenta l’anima e l’identità speciale di questo nostro territorio che è il Canavese». Come si possono tradurre oggi valori umanistici e dunque cooperativi in un mercato che non è più quello di Adriano Olivetti? Ha ancora senso parlare di etica e valori della cooperazione? «Il movimento cooperativo ha avuto una storia molto importante nel corso dell’ultimo secolo, ma mentre l’impresa umanistica di Adriano ha dovuto fare i conti con un mercato capitalistico e le sue regole feroci, che la hanno distrutta, la cooperazione è riuscita a sopravvivere nonostante le crisi economiche e i periodi di guerre che abbiamo vissuto. Il motivo è che la cooperazione è basata su un’idealità ed etica che si traducono in istituzioni e regole per la gestione delle imprese cooperative, e non solo a livello economico. Ma è importante che i Soci cooperatori siano sempre responsabilmente consapevoli dell’idealità che ispira l’impresa, perché se no le cooperative si trasformano in imprese corporative e dunque, come tali, non sono diverse dalle altre imprese che ci sono sul mercato. Con la nascita dell’Alleanza delle Cooperative italiane si è prioritariamente ribadito l’assoluta importanza di rispettare i valori della cooperazione, come elemento prioritario anche rispetto al profitto. È questo in

soldoni il messaggio che il nuovo Presidente dell’Alleanza delle Cooperative, Mauro Lusetti, ha recentemente ribadito in occasione dell’Assemblea dell’ACI piemontese». Eppure ci sono resistenze a tradurre in pratica questo principio, anche nelle cooperative più storiche e che hanno alle spalle una grande tradizione di partecipazione al movimento cooperativo. Come fare per alimentare davvero una cultura della cooperazione? «Alla fine quello che bisogna capire è che la solidità di un’impresa cooperativa è data soprattutto dalla consapevolezza dei Soci che la costituiscono, i quali votano i propri rappresentanti a gestire l’impresa. Questo principio di democrazia diretta della gestione cooperativa se non è supportato da una cultura diffusa sui valori e l’idealità della cooperazione, può essere un volano pericoloso… I Soci di una cooperativa sono tutti, indistintamente, protagonisti: una testa un voto, significa che ogni testa deve essere consapevole del voto che esprime, per garantire la solidità della cooperativa. Questo principio è fondamentale per la vita della cooperativa perché, a differenza dei Soci di un’impresa dove chi più ha più conta, (e questo genera una diseguaglianza) in una impresa cooperativa conta l’individuo, non quanto denaro possiede. Questo principio è l’essenza della democrazia ed ecco a cosa servono le iniziative di sensibilizzazione culturale all’etica cooperativa».


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Quindi un’iniziativa editoriale come Incontri Cooperativi oltre a diffondere nel panorama etoriale italiano, i valori della cooperazione, secondo lei può contribuire anche a garantire la solidità e la continuità dell’impresa cooperativa? «Certamente! Ma mi dica: quante riflessioni e notizie o dibattiti sul movimento cooperativo si sentono alla tv, o si leggono sui giornali? Quasi niente. Eppure in questa crisi economica, per esempio, le imprese cooperative avrebbero avuto molto da dire e, mi permetto, anche da insegnare. Per i nostri Soci queste occasioni di approfondimento che offriamo sono il pane necessario per capire cosa sta succedendo nel Paese, e quindi anche per maturare consapevolmente le idee sulle linee di sviluppo per la nostra impresa cooperativa. Stiamo affrontando periodi difficili, complessi, e occorre che siamo tutti molto consapevoli non solo di come gestire i rapporti con il mercato, dobbiamo saper anche immaginare i possibili scenari economici e politici futuri, che mutano velocemente a causa di fattori che poi influenzano i mercati. Vede le grandi imprese capitalistiche si avvalgono di manager esperti, formati a saper individuare come sfruttare al meglio ogni occasione. Le cooperative devono poter competere con questo livello di preparazione e specializzazione, ecco perché la cultura serve, serve perché i Soci votano i loro rappresentanti e devono saperli scegliere, non solo sulla base della simpatia, ma anche in funzione della loro capacità di sapersi misurare con la complessità della realtà del presente».

«... Da studioso di problemi climatici e ambientali non posso non constatare come oggi la competitività stia non solo distruggendo fisicamente il pianeta, ma anche alienando i legami tra società e individui. Allora, quali sono i valori utili oggi, in un mondo sovraffollato, se non vogliamo farci la guerra? Io credo che la qualità e la cooperazione siano i valori del futuro...». Tratto dall’ intervista a Luca Mercalli


CULTURA E COOPERAZIONE

Molte imprese di capitale investono risorse in cultura come forma di pubblicità indiretta, che vantaggio pratico comporta per l’attività di impresa di AEG questo investimento “culturale”? «AEG sta facendo grandi passi per entrare in mercati che si stendono oltre i confini del Canavese, deve dunque farsi conoscere a livello nazionale e anche estero, con il marchio di un’impresa cooperativa di prestigio, di qualità, solida e affidabile. Quale mezzo migliore che farci conoscere attraverso un’iniziativa culturale? La collana Incontri Cooperativi è stata presentata al Salone del libro e, in soli in due mesi, è già presente nei cataloghi di tutte le librerie italiane, e basta cercarla su google per constatare anche on line quanto è pubblicizzata. Quando AEG andrà a presentarsi domani ad un romano o a un bolognese per proporgli di diventare Socio e di acquistare i suoi servizi energetici, forse questo “signore” se ha già sentito parlare di AEG in modo positivo, avrà meno esitazioni, non crede? Insomma nessuno fa niente per niente, è evidente che i progetti culturali sono utili anche come forma di pubblicità, oltre a essere utili per far maturare una coscienza di cooperatori». Qual è il riscontro che lei ha del gradimento dei Soci sulle iniziative culturali che la cooperativa intraprende? «I Soci esprimono sempre molto gradimento per le iniziative culturali, da quelle più dirette che hanno a che fare con le tradizioni e la cultura locale, a quelle più complesse come questa di una collana editoriale. Noi abbiamo 25.000 Soci e la maggior parte sono di età compresa tra i 30-55 anni, con un livello medioalto di istruzione, è fondamentale per questa fascia offrire iniziative sociali di livello culturale alto. Come C.d.A, del resto, siamo impegnati ad intraprendere iniziative sociali proprio perché stabilito dal nostro Statuto. I progetti culturali portano valore aggiunto non solo ai Soci della nostra cooperativa, ma anche al territorio dove operiamo: la collana Incontri Cooperativi è distribuita a livello nazionale e contribuisce a diffondere idee cooperative a livello nazionale, idee che sono nate proprio qui in Canavese. Inoltre abbiamo scelto di adottare il linguaggio dell’intervista diretta, proprio per poter divulgare in modo piacevole contenuti importanti, cioè abbiamo fatto una scelta innovativa anche nel genere di prodotto che stiamo proponendo. Sono interviste giornalistiche, ma ef-

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fettuate con la competenza e l’approfondimento di ricercatori e studiosi di prestigio riconosciuto, ricordo che il prof. Luigi Berzano è un sociologo che scrive e collabora con importanti centri di ricerca e internazionali e, soprattutto ci tengo a sottolinearlo, lo fa per impegno intellettuale, e sociale, senza pretendere nessun compenso da noi. In questo voler alzare il livello delle iniziative culturali che intraprendiamo abbiamo fatto quello che già ha insegnato Adriano Olivetti: avvalersi del contributo di intellettuali e studiosi anche per le piccole cose, anche per parlare per esempio ai Soci di una cooperativa come la nostra. Sono certo che i nostri Soci sanno apprezzare questo livello di qualità che offriamo loro». La prossima intervista che sarà pubblicata è stata rivolta a Cécile Kyenge… «È un anno che cerchiamo di intervistare Cécile Kyenge e con molta soddisfazione lei ci ha finalmente concesso un’esauriente intervista sui temi dell’immigrazione e su cosa significa oggi, nel nostro Paese, saper capire il momento storico che stiamo vivendo. Le cooperative, e AEG in primis, hanno dimostrato di essere un’importante occasione, sia per gli immigrati sia per i Soci, di integrazione e accoglimento. Anche in questo caso la cooperazione è un passo più avanti perché in una cooperativa conta essere Socio non il colore della pelle, la provenienza geografica o altre questioni. È questo principio che fa si che i Soci si considerino tra loro innanzi tutto Soci. Nel programma elettorale per le elezioni europee di Cécile Kyenge era espressamente citata l’importanza di recuperare non solo i valori umanistici olivettiani, ma anche il sostegno alla diffusione delle imprese cooperative».

Per saperne di più www.incontricooperativi.it


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COOPERATIVA SOCIALE ALTRAMENTE Testi e foto di Arianna Zucco

Una sartoria sui generis a Torino offre l’occasione a molte donne in difficoltà psichica o emotiva, di poter cominciare a ricucire la propria vita.


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«L’Orlando Furioso è la dimostrazione che, uscendo dall’isolamento e dalla segregazione, si può generare bellezza. Per le donne è stata una scoperta poter far parte di un progetto di valore ed esserne all’altezza.». Elisabetta Torchio, Psicologa responsabile del progetto

L’ORLANDO FURIOSO, UN SUPPORTO CONCRETO PER LE DONNE IN DIFFICOLTÀ

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a stoffa come metafora, la stoffa come materiale che non muore mai, ma si trasforma e si adatta a nuovi usi, la stoffa come punto di partenza per ricucire i pezzi della propria vita. Questa immagine semplice e concreta esprime lo spirito dell’Orlando Furioso, una sartoria sui generis che a Torino, in Via Le Chiuse, non molto distante dalla centralissima piazza Statuto, offre l’occasione a molte donne con difficoltà psichiche ed emotive di cominciare a ricostruire la propria vita.

Un laboratorio per la terapia occupazionale L’idea prende forma nel 2004 da un progetto della cooperativa AltraMente, da anni attiva nell’ambito del disagio psichico e della riabilitazione psichiatrica: l’obiettivo è quello di ampliare il raggio di intervento per le persone assistite che difficilmente riescono ad essere inserite in percorsi formativo-professionali presso le aziende, che – nonostante gli obblighi di legge ad assumere personale con disabilità – sono per lo più restie ad avvicinarsi al disagio mentale. E così apre i battenti la sartoria Orlando Furioso per accogliere inizialmente le donne inviate dai centri di salute mentale dall’ASL Torino 2, ma in seguito anche malate sociali, profughe o reduci da esperienze di tossicodipendenza, alcolismo o detenzione, inserendole in un percorso riabilitativo e pre-professionale. In questo open space moderno ed accogliente, affiancate da sarte e stiliste professioniste e supportate da educatori e psicologi, possono infatti imparare una professione, ma soprattutto inserirsi in un sano contesto sociale che le protegga dalla ricadute.


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Non solo sartoria, ma vera e propria casa di moda

In alto e nella pagina accanto Il lavoro artigianale nella sartoria comprende attività di riparazione e rammendo, ma anche l’ ideazione di capi d’abbigliamento e accessori.

E così fra rammendi, orli, bottoni da attaccare o vestiti da riparare, si recuperano non solo gli abiti e la stoffa, ma anche le persone. Nei dieci anni di attività, le sarte e le stiliste dell’Orlando Furioso sono arrivate a disegnare e produrre delle vere e proprie linee di moda: il cappello Colpazzo, la Camicia di forza, l’abito Equilibrio instabile, la borsetta Facciamo due pazzi sono alcuni dei nomi che con ironia hanno scelto per le loro produzioni originali, realizzate con materiali biologici, naturali e il più possibile a km zero, perché il rispetto per l’altro è anche rispetto per l’ambiente. Nel 2010 si è aggiunta alla produzione originale dell’Orlando la linea bimbi Furiosetto che coniuga i materiali naturali con la praticità e lo stile. Bambini che sono ben accolti anche presso la sartoria nello spazio gioco per colorare, disegnare e leggere. Nel 2012 invece le cinque romantiche protagoniste del poema di Ariosto hanno ispirato la nuovissima collezione sposa.


COOPERATIVA SOCIALE ALTRA MENTE

Dall’Orlando Furioso ... all’Orlando Fiorito Per coinvolgere anche gli uomini in un percorso riabilitativo con le stesse logiche della sartoria di Via Le Chiuse, da qualche anno è stato lanciato “Un progetto per rifiorire”, presso l’Orlando Fiorito, di via Grassi. Anche qui si lavora in un’ottica di recupero delle risorse, dei materiali e delle capacità, offrendo uguali possibilità a chi è in salute e a chi soffre. Gli allestimenti per matrimoni, servizi funebri o i semplici mazzi di fiori vengono realizzati - per quanto possibile - a km zero, facendo rete con vivai e produttori del mondo sociale, onlus ed ecosostenibile. L’Orlando Furioso si sostiene principalmente grazie ai proventi della vendita di abiti, delle riparazioni e dei piccoli lavori di confezione e delle attività formative rivolte al pubblico esterno, come il corso Cucito su misura che insegna il processo di ideazione e produzione dell’abito dal cartamodello alla realizzazione dell’intero capo. Importante è poi il contributo della cooperativa AltraMente, ma tutti possono dare il proprio sostegno alle attività del laboratorio donando il proprio 5x1000 a “Un progetto per ricucire”, oltreché ovviamente passando da Via Le Chiuse a fare un po’ di shopping.

Per saperne di più Sartoria l’Orlando Furioso AltraMente Cooperativa Sociale Via Le Chiuse, 6 - 10144 Torino tel e fax +39 011 4376978 email: info@lorlandofurioso.it www.lorlandofurioso.it

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ALBERGO DIFFUSO A FRASSINETTO Testi e foto di Giulia Maringoni

Il Comune di Frassinetto, situato alle pendici della “Bella Dormiente”, ha siglato un accordo con il Politecnico di Torino, per trasformare le tipiche borgate in pietra in un Albergo Diffuso.


ALBERGO DIFFUSO A FRASSINETTO

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Nella pagina accanto e seguenti Escursionisti sulle pendici della Quinzeina. Case a schiera in Borgata Frassetto.

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gli antichi borghi di montagna negli ultimi anni si respira aria di cambiamento, e per alcuni si parla addirittura di rinascita. Il piccolo Comune di Frassinetto, arroccato a mille metri d’altitudine ai piedi della Quinzeina e da molti definito il “Balcone sul Canavese” per la spettacolarità della posizione panoramica su Alpi e pianura piemontese, si è distinto in questo senso grazie al progetto di Albergo Diffuso, promosso dall’Amministrazione in collaborazione con il Politecnico di Torino. «Si tratta di un accordo di partenariato che mira al recupero, alla riqualificazione e alla conseguente valorizzazione del ricco patrimonio architettonico di Frassinetto - ci spiega il giovane sindaco Marco Bonatto Marchello - il Comune si è fatto promotore di un’idea, lavorando in forte sinergia con il mondo accademico, e ora l’intento è quello di invogliare e coinvolgere tutti coloro che, a vario titolo, sono disposti ad investire tempo, energie e finanze nella conservazione integrata dei nuclei storici. Di ostacoli ce ne sono molti, primi fra tutti la lentezza burocratica e la resistenza culturale al cambiamento, ma noi non demordiamo. Continueremo a credere nella scommessa sul futuro della nostra piccola comunità montana, consapevoli che sia un primo passo verso lo sviluppo turistico del territorio, nell’ottica della sostenibilità sociale ed ambientale». L’Albergo Diffuso è una forma di ospitalità di recente diffusione in Italia e in Europa, formata da più stabili vicini fra loro secondo una logica “orizzontale” e pensata per dare impulso all’economia, all’agricoltura e all’artigianato locali partendo da ciò che già esiste, senza costruire nulla di nuovo. Il turista ha la possibilità di vivere una vacanza rigenerante all’insegna della tradizione soggiornando in stanze recuperate e ristrutturate all’interno di vecchie abitazioni e, senza rinunciare ai servizi alberghieri, può percepire da vicino l’anima del luogo visitato, in una sorta di tuffo nel passato. A inizio giugno, grazie ad un finanziamento ricevuto dal GAL Valli Orco e Soana, sono stati avviati i primi lavori di restauro conservativo della facciata di una casa in borgata Chiapinetto, la più integra dal punto di vista storico ed architettonico. L’associazione culturale Pietra su Pietra ha scelto di collaborare, tramite un accordo di comodato, con il proprietario di un’abitazione creando un team di quattro architetti, che lavoreranno in via del tutto volontaria, in attesa di supporti esterni, sia finanziari che materiali, più cospicui.


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Eco-Turismo e recupero dei saperi In questo frangente di crisi appare di importanza strategica promuovere il settore turistico, perché questo significherà nuovi posti di lavoro da offrire ai giovani come alternativa all’abbandono del centro montano. «L’imperativo, tuttavia - hanno ricordato i soci della Onlus - è che sia un turismo di qualità, non invasivo né mordi e fuggi, quanto piuttosto responsabile e consapevole, attento ai temi della conservazione ambientale e al recupero della memoria». Occorrerà, inoltre, formare personale specializzato, dal muratore che sappia lavorare la losa e costruire muri a secco al carpentiere in legno, dalla guida turistica agli operatori commerciali, oltre che promuovere il ripristino di antichi mestieri come la lavorazione della lana e della canapa anticamente qui molto diffusa e dar vigore all’agricoltura di montagna, trovando un nuovo fruttuoso mercato per i prodotti semplici e genuini delle alte terre.

Segnali di speranza A conti fatti, il futuro per Frassinetto si delinea piuttosto roseo, se paragonato a quello di altri paesi di media montagna: alcuni giovani hanno ripreso le attività tradizionali di allevamento, le attrattive turistiche, specie d’estate, si moltiplicano, attirando un numero sempre crescente di visitatori, ed il fermento intorno

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alle ristrutturazioni dei borghi lascia sperare in un domani più prospero. Non dimentichiamo che dal 2011 il CTE (Centro Turistico Escursionistico) Monte Quinzeina, con sede in Valle Sacra, è attivo anche a Frassinetto per quanto riguarda l’accompagnamento turistico in chiave sostenibile, mentre per fine estate sarà costruito e messo in esercizio l’Arcansel, (o Volo dell’Angelo): un cavo lungo 1,7 Km, che permetterà di effettuare un’esperienza di volo libero, collegando la borgata Berchiotto con la località Pradas, nei pressi del campo sportivo. Anche sul fronte della cultura molto si sta facendo da parte dell’Amministrazione, basti pensare alla piccola Pinacoteca dedicata al pittore Carlo Bonatto Minella inaugurata da poche settimane. «Tutti segnali positivi che aprono il sipario alla nuova stagione di riqualificazione e sviluppo di Frassinetto- ha concluso il primo cittadino-. È ancora prematuro parlare di crescita, ripopolamento e ripresa economica, ma il dato certo di assoluto valore è che siamo partiti, fiduciosi che le nostre idee fresche e innovative produrranno buoni frutti. Quello che auspichiamo è che l’inversione di tendenza registrata nelle piccole realtà alpine come la nostra assuma nel tempo un carattere sistemico, permettendo a Comuni, Valli e Regioni di fare rete, per dare alle iniziative avviate maggior respiro, visibilità e forza».


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BORGHI PIETRA SU PIETRA Testi di Giulia Maringoni

Intervista ai soci fondatori dell’Associazione “Pietra su Pietra”, impegnata a Frassinetto dal 2006 nell’opera di recupero e salvaguardia delle borgate in pietra, simbolo di una civiltà antica che ha ancora molto da insegnare alle nuove generazioni


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A ALLA SCOPERTA DEGLI A ANTICHI INSEDIAMENTI A AD ALTA QUOTA

N pagina accanto Nella Antica baita alpina su le pendici della Quinzeina. An In alto La polenta, piatto tipico della tradizione locale.

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bbiamo incontrato i Soci dell’Associzione per capire con loro i progetti che li stanno impegnando. Ne parliamo con il Presidente Pietro Battista Monteu Cotto. «Che cosa vuole esprimere il nome “Pietra su Pietra”? «La nostra associazione è nata nel 2006 con la missione di “ricostruire”. Ognuno di noi ha incisa nella propria storia personale la memoria di una vita semplice ma ricca di saperi, insieme alla consapevolezza di essere eredi di un’importante patrimonio culturale, naturalistico ed architettonico che, a causa dell’abbandono della montagna, rischia di cadere nell’oblio. Dopo aver impegnato molte energie (e finanze) per conservare le case dei nostri antenati, ci siamo resi conto che dovevamo tentare di “ricostruire” insieme tutto il paese, e quindi anche le proprietà altrui, le cappelle votive, le stalle, i seccherecci delle castagne, gli affreschi sulle case e sulle chiese, le case-forti e i beni comuni, come sentieri, fontane ed archi. Per farlo, però, il primo passo era quello di sensibilizzare la comunità, i privati e le Amministrazioni sulla preziosità dei nostri intenti. In questa fase una socia fondatrice si ricordò di un discorso sentito tante volte da piccola: qualcuno chiedeva alla nonna Marietta quando avrebbe aggiustato la vecchia casa fatiscente in cui abitava da sola, poiché tutta la famiglia era emigrata e i vecchi non c’erano più; lei, ormai stanca e delusa, impotente davanti ad una civiltà che si sgretolava sotto i suoi occhi, rispose, citando un passo dei Vangeli: “Ah, io ormai non posso più mettere pietra su pietra! Faranno loro (indicando i nipoti), se potranno...”. Ecco spiegata la ragione del nome “Pietra su Pietra”, simbolo di una civiltà antica, strettamente legata al territorio, la cui eredità vorremmo trasmettere alle nuove generazioni prima che vada perduta per sempre».


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Quali sono state le motivazioni che vi hanno portati alla fondazione dell’associazione e cos’è cambiato dal 2006 ad oggi? «Abbiamo ritenuto necessaria la presenza sul territorio del Comune di Frassinetto di una realtà che operasse per il recupero e la valorizzazione della cultura materiale, della parlata francoprovenzale e delle bellezze naturalistiche qui presenti. Sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stata una battaglia difficile, in quanto davanti a noi avevamo il degrado della civiltà Frassinettese su molti fronti, oltre che l’incuria verso ciò che di più caratteristico qui esisteva. Fortunatamente i tempi sono lentamente cambiati: oggi c’è un nuovo interesse verso la montagna, le tradizioni, l’agricoltura biologica, i prodotti di nicchia, le costruzioni in pietra e in legno, in perfetta armonia con l’ambiente circostante. Inoltre, i giovani esprimono il desiderio di ritornare ai monti per lavorare e per vivere, ormai delusi dalla civiltà industrializzata che aveva attirato i nostri padri, ci fanno ben sperare. Il nostro compito è anche quello di prospettare loro delle possibilità di occupazione facendo conoscere ed

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amare le particolarità di questo territorio, affinché, conservandole e tramandandole, possano diventare ricchezza per il futuro. In questo siamo in totale assonanza con la nuova amministrazione comunale, composta di giovani lungimiranti e propositivi». Il concetto di legame intergenerazionale è di prioritaria importanza per voi. In che modo i giovani possono raccogliere al meglio l’eredità dei loro padri e nonni sia in termini di saggezza architettonica che di rispetto per la Terra? «Si parla comunemente di eredità ricevuta dai nostri padri, ma è un termine improprio; noi preferiamo parlare di prestito, ricordando il famoso discorso del Grande Capo Indiano Seattle risalente a più di un secolo fa: «Noi abbiamo ricevuto la Terra, e tutto ciò che ne fa parte, in prestito dai nostri Padri, affinché la possiamo custodire nel migliore dei modi, per tramandarla integra alle generazioni future». Così deve ancora essere per il paesaggio, la storia, la cultura e, perché no, anche per le antiche borgate costruite con i materiali locali centinaia di anni fa: essendo perfettamente integrate nell’ambiente


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circostante, risultano un capolavoro di inestimabile valore che abbiamo il dovere di consegnare intatto ai nostri figli. Per questo è importante che le nuove leve ne comprendano a fondo la genesi e imparino a valorizzarlo e prendersene cura. Sempre nell’ottica della trasmissione di saperi e valori tra generazioni, abbiamo pensato di avviare delle attività in cui gli anziani del paese possano tramandare le loro capacità ai giovani, insieme ad usi, costumi, leggende e tradizioni, e questi ricambino, per esempio insegnando loro l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, come Internet. Questa collaborazione attiva non potrà che giovare al raggiungimento del comune obiettivo di dare una seconda vita a Frassinetto, oltre che arricchire umanamente e culturalmente tutta la comunità». Quali sono le iniziative che Pietra su Pietra vanta in archivio e quali quelle in cantiere? «Pur essendoci costituiti da soli otto anni, abbiamo un archivio denso di attività, alcune completate con successo come la campagna “Salviamo le cappelle votive” e quella dedicata alle borgate “Salviamo quello

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che possiamo”; altre che si rinnovano ogni anno, come “La Settimana della Cultura Frassinettese” in luglio, “L’Arcobaleno per un Arco”, “La Festa degli Emigrati”, “I Seminari sull’Ambiente” e “La Giornata della memoria” dedicata alle borgate di Querio e Monteu, che si svolge ormai da diversi anni in ottobre. Teniamo molto alla manutenzione del territorio tanto da dedicare intere giornate alla pulizia dei sentieri e dei muretti a secco; abbiamo anche protetto dal crollo un affresco sul muro di una casa a Querio, messo in salvo le pietre dell’Arco di Coletto crollato nel 2004 e curato esposizioni, concorsi fotografici e di disegno, per promuovere nei partecipanti la curiosità di scoprire le eccellenze del nostro territorio. Molte iniziative culturali e didattiche si svolgono poi al Berchiotto, presso la nostra sede, che ospita anche la biblioteca. Il nostro vero fiore all’occhiello sono, però, le visite guidate alle borgate (Vi Burgiàl, Chiapinetto, Coletto, Berchiotto, Fraschietto, Monteu e Querio) con le nostre “Guide ai monumenti ed al paesaggio montano”, formate nel 2012 su tutti gli aspetti della cultura frassinettese per volontà del Presidente Pietro


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Battista Monteu Cotto e ormai richieste da molti gruppi, associazioni e scolaresche di ogni ordine e grado, compresa l’Università della Terza Età. Tutti rimangono incuriositi ed incantati sia dalla natura ancora incontaminata e selvaggia che dalla maestosità degli archi in pietra, dai monoliti che reggono grandi architravi in pietra e dai tetti coperti in lose, sostenuti da enormi travi di castagno. Nel 2014 molte delle nostre energie andranno investite nel restauro conservativo della facciata di una casa di Chiapinetto, per il quale abbiamo ottenuto un finanziamento dal GAL Valli Orco e Soana. Nel prossimo futuro riprenderemo alcuni dei nostri tradizionali appuntamenti, sperando al contempo di poter avere i supporti adeguati per occuparci finalmente della ricostruzione dell’Arco di Coletto, in lista di attesa dal 2004». Come vedete il futuro di Frassinetto e delle borgate alpine in generale? Si sta davvero profilando un’inversione di tendenza che potrebbe portare a un rilancio dell’economia in chiave turistica? «L’economia potrà risollevarsi basandosi su un turismo responsabile, rispettoso dell’ambiente, della storia e delle tradizioni, a patto che questo non sia svincolato da tutto il corollario di attività ancorate al territorio di riscoperta degli antichi saperi e mestieri, naturalmente in chiave moderna. Noi siamo convinti di non aver intrapreso una lotta contro i mulini a vento, ma di sicuro è una sfida dura, che richiede tenacia e molta pazienza. A volte siamo pervasi da un’energia creatrice incontenibile, altre ci assale lo sconforto a causa dei continui intoppi burocratici, mentre il complicato accesso a finanziamenti ci dà spesso la sensazione di remare contro corrente. Nonostante il poco seguito che abbiamo tra la popolazione locale e la consapevolezza che molti di noi non toccheranno con mano il cambiamento, il supporto e l’apprezzamento che ci giunge, oltre che dalla nostra amministrazione comunale, anche da quella di città lontane come Milano, Genova e Roma, ci riempe di fiducia e voglia di andare avanti. Per questo ogni giorno rinnoviamo


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il voto che abbiamo fatto otto anni fa, coscienti di stare, comunque, posando delle buone pietre nelle fondamenta della nuova ricostruzione».

Ne pagina accanto Nella Vita quotidiana nelle baite alpine in alta quota. Vit In alto L’alba sulle pendici della Quinzeina. L’a

Per saperne di più www.pietrasupietra.eu www.albergoduffuso.com www.alberghidiffusi.it Come contattare l’associazione Per escursioni naturalistiche da Frassinetto al Monte Quinzeina, a Verzel e al Pian delle Nere, oltre che per soggiorni al Rifugio Fornetto, contattare il CTE Monte Quinzeina: tel. 340.3572640 email: montequinzeina.cte@gmail.com

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IL REALISMO E LA BELLEZZA DISARMONICA Testi di Giulia Ricca

L’arte è quella menzogna che ci permette di scoprire la verità... Lo ha detto Pablo Picasso e lo ho ribadito Franco Fontana, il fotografo italiano che ha stravolto la storia della fotografia di paesaggio.


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INCONTRO CON FRANCO FONTANA ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO

A fianco e nelle pagine seguenti: Paesaggi di Franco Fontana, le sue fotografie sono un Pa viaggio “impossibile” nella realtà. Con le sue creazioni via ai limiti tra fotografia e pittura Franco Fontana ha inaugurato una nuova stagione del “realismo” artistico. in

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ranco Fontana non ha bisogno di presentazioni: fotografo italiano di fama internazionale – nato nel 1933 a Modena - ha segnato la storia della fotografia di paesaggio. Fontana ha fondato una vera e propria visione nuova del paesaggio, caratterizzata da colori netti, forti contrasti, assenza di profondità, essenzialità lineare. A causa di queste caratteristiche, la prima reazione di chi osserva le sue fotografie è di protesta: le immagini hanno un forte impatto, ma nessuno ha mai visto un paesaggio che nella sua normalità possa presentarsi in quel modo. In effetti, esistono o non esistono i paesaggi di Fontana? «The purpose of art is to make visible the invisible», il fine dell’arte è rendere visibile l’invisibile: questa è la parola d’ordine del manifesto che Fontana ha presentato a Basilea alla rassegna Art 41 (fiera di arte moderna e contemporanea che si svolge dal 1970). Fontana ama anche citare spesso, a questo proposito, una frase di Picasso: «l’arte è la menzogna che ci permette di scoprire la verità». Per Fontana, dunque, non esiste il realismo in senso stretto, oppure, all’opposto, qualsiasi modalità della visione, anche la più astratta, è realismo. In effetti il fotografo, per costituzione, si muove costantemente tra due poli: da una parte, la sua è l’arte realista per eccellenza (non per nulla, da noi, i veristi della letteratura – Capuana, Verga – si sperimentarono “per gioco” anche in quest’arte); dall’altra, la fotografia è innanzitutto una selezione – e, quindi, un’interpretazione, se non addirittura una mistificazione della realtà. Barthes, teorico della fotografia in Camera chiara, definiva l’immagine fotografica come «l’avvento di me stesso come altro», «dissociazione della coscienza d’identità», e, perciò, «follia profonda». La fotografia, quindi, secondo chi ha cercato di definirla, può spaziare dal puro giornalismo a una deformazione così spinta del dato oggettivo da essere potenzialmente in grado, una volta definitasi come creazione a sé stante, di mettere in crisi addirittura la realtà stessa nella sua scontata identità (il protagonista della foto-


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ritratto che vede la sua identità moltiplicarsi, o che scopre un “se stesso” prima sconosciuto nella propria fotografia, ad esempio). Il paesaggio di Fontana, come il protagonista della foto-ritratto, riconoscerebbe nella sua particolare, nuovissima, declinazione fotografica, il suo aspetto di sempre, o addirittura il suo nucleo di verità, suggerito proprio dalla focalizzazione del fotografo sull’irreale (o iperreale). Eppure, nel caso di Fontana, questa focalizzazione viene comunemente fraintesa come distorsione fine a se stessa, o addirittura distruttiva. Quando Fontana si presenta al pubblico – a Torino, l’ultima conferenza è stata a marzo, in occasione della sua presenza nella città per un interessante lavoro sulla disabilità in collaborazione con l’Università - oppure quando si sottopone a interviste, è sicuro che gli verrà fatta la solita domanda: davvero non interviene sulle sue foto in post produzione, con il computer o altri mezzi? E così, ormai le sue presentazioni anticipano automaticamente la risposta: Fontana esibisce i provini per dimostrare l’originalità dei colori nei suoi scatti. Ma al di là delle insinuazioni o curiosità del pubblico, e delle prove tecniche del fotografo, per Fontana

ARTE A TORINO

la questione non è affatto questa. Il paesaggio da lui fotografato è la campagna della Basilicata degli anni ’70: quello, e non altro, secondo la sua particolare idea di quel paesaggio, secondo la relazione unica, reale, che si instaura tra lui e quell’ambiente. Non importa, di fronte all’urgenza di rappresentare quel determinato rapporto, il mezzo o l’artificio impiegato. Quando Fontana spiega che non ha utilizzato artificio, è interessato a raccontare la storia, l’origine vera di quello scatto piuttosto che a smontare il sospetto di essere ricorso a contraffazioni. Se avesse ottenuto lo stesso risultato tramite la post-produzione, la fotografia non sarebbe stata meno apprezzabile. Infatti, non ama nemmeno parlare delle macchine che usa: il mezzo è secondario, l’unica macchina fotografica importante – dice – è quella che sta nella sua testa. Quando parla in questo modo della sua arte, Fontana è in effetti un teorico della fotografia. Una critica sulla propria forma d’arte emerge però già dalle foto stesse, che sembrano di per sé un’interpretazione e un commento sullo statuto della fotografia. I suoi paesaggi colpiscono, oltre che per i caratteristici colori, per l’es-


IL REALISMO E LA BELLEZZA DISARMONICA( 57 )

senzialità delle forme quasi geometriche. «Si tratta di cancellare per evidenziare», dice Fontana. E in effetti, la fotografia non è altro che questo: selezionare, distinguere, creare una cornice. Se si osserva dal punto di vista di ciò che resta fuori, la fotografia è una continua cancellazione, o un atteggiamento di economia nella contemplazione del mondo. Inoltre, i paesaggi di Fontana sono “piatti”. È istruttivo, da questo punto di vista, osservare le foto che sono state scartate dal maestro. Si tratta di immagini prese troppo dall’alto o dal basso, dove la posizione del fotografo rispetto all’oggetto produce un’illusione prospettica. L’azzeramento della prospettiva è al contrario l’effetto estetico fondamentale ricercato da Fontana: i suoi paesaggi, naturali ed urbani, sono del tutto bidimensionali. In questo, Fontana è concettualmente il più classico dei fotografi, del tutto fedele all’anima del mezzo artistico. L’assenza di profondità è infatti il limite costitutivo dell’immagine fotografica, ed è trasformato in quanto tale da Fontana nella maggiore potenzialità.Fontana non si è limitato al paesaggio, ma si è sperimentato anche con il ritratto, con il reportage, con il nudo

(bellissima la serie Piscina) e la fotografia commerciale. L’ultimo lavoro di Fontana esula del tutto, appunto, dalla linea paesaggistica ed è anzi un’esperienza del tutto nuova nella sua storia di fotografo. Il lavoro, svolto interamente a Torino, è una serie di scatti ad alcune persone disabili, fotografate mentre visitano Palazzo Madama. Fontana ha intitolato questo lavoro Bellezze disarmoniche: che la disarmonia sia la cifra fondamentale della bellezza, il suo non so che, è l’idea fondamentale che sta dietro a questo titolo. E in effetti, dal punto di vista estetico, non c’è nemmeno discontinuità con il pensiero del Fontana paesaggista, che vede l’alterazione della realtà come unico mezzo per raggiungerne la verità. Bellezze disarmoniche sottintende però anche una riapertura etica nel concetto di “bellezza”. L’ideale di perfezione estetica legata al corpo che domina nella nostra epoca si è capovolto in corruzione e falsità; ma la via della bellezza coincide con quella della verità, e l’unico modo per recuperarle entrambe è comprendere, e reintegrare proprio nel circuito del bello, l’apparente effetto disarmonico.


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VIAGGI SOLIDALI

IN INDIA ALLA RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI Testi di Arianna Zucco, Foto di Elisa Formento e Sunil Lucca Barbero

Alla scoperta del Delhi Council for Child Welfare, un centro di sostegno per i bambini abbandonati di Delhi.


LA CANZONE RIBELLE

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VIAGGI SOLIDALI

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uesta è la storia di un viaggio particolare, un viaggio che trent’anni dopo l’arrivo di un bambino da Delhi in Piemonte, riporta quel bambino ormai fatto uomo nella sua terra d’origine alla scoperta delle proprie radici. Sunil, cosa ti ha spinto a percorrere a ritroso quel viaggio che più di trent’anni fa ti ha portato fra le braccia di mamma Attilia e papà Luciano? «Ho sempre avuto il desiderio, la curiosità di conoscere i colori, i sapori, le tradizioni, la gente, i luoghi delle mie origini. E così, quando, insieme alla mia futura sposa, abbiamo deciso la meta della nostra luna di miele, non abbiamo avuto dubbi: saremmo volati in India. Il nostro pensiero è subito andato al centro Delhi Council for Child Welfare (DCCW), grazie al quale io stesso avevo avuto l’opportunità di una nuova vita in Italia tanti anni fa. Ci siamo messi al lavoro, abbiamo cercato informazioni sulle loro attività, siamo riusciti a contattarli e a organizzare una visita presso la loro struttura». Da questo desiderio di scoperta è quindi nato un vero e proprio progetto di aiuto. Con quali soggetti sul territorio avete collaborato nello sviluppo dell’iniziativa “Giving children a childhood”? «Abbiamo pensato di fare qualcosa di concreto per i bambini del DCCW e l’occasione si è presentata facilmente. Sia io che mia moglie facciamo infatti parte di un’associazione culturale nata a Romano Canavese che si occupa della valorizzazione della storia medievale e delle antiche tradizioni del territorio: il Gruppo Storico Nocturna. Quest’ultimo ogni anno cura un progetto a scopo benefico, quindi abbiamo raccolto facilmente l’entusiasmo di tutti i soci nell’impegnarsi in nel progetto “Giving children a childhood” che avrebbe portato i frutti del nostro lavoro a migliaia di chilometri del Canavese. E così nel 2012 abbiamo messo in piedi una raccolta fondi che ha visto il coinvolgimento del Comune di Romano, di molte associazioni attive sul territorio e di tanti privati. Saremo poi stati noi personalmente a consegnare il contributo a Delhi». Com’è stato il primo impatto con la realtà di Delhi? «Siamo partiti a metà settembre dello scorso anno,


THE REPAIRMAN

il giorno successivo al nostro matrimonio. Una volta scesi dall’aereo, siamo stati travolti dal caos di una metropoli come Delhi: il caldo opprimente, l’umidità non sono bastati ad attenuare quella sensazione di vita pulsante, di attività brulicanti, di colori e odori che cambiano ad ogni angolo. Ci siamo subito sentiti accolti da un popolo semplice e forte, gioioso nella sua estrema povertà». Che tipo di ambiente avete trovato presso il centro Delhi Council for Child Welfare? «In tutto il centro si respira un’atmosfera molto familiare, positiva. Abbiamo con piacere trovato un ambiente semplice, molto pulito, organizzato. Siamo stati accolti dagli sguardi intensi e incuriositi dei bambini, dai loro disegni di benvenuto e da una valanga di sorrisi». Avete quindi avuto modo di vedere da vicino le attività per le quali nei mesi precedenti vi eravate impegnati nella raccolta fondi? «Si, abbiamo avuto modo di toccare con mano sia i servizi medico/sanitari che quelli formativi. Siamo stati infatti coinvolti in una delle lezioni dedicate ai bambini con problemi psicomotori: li abbiamo conosciuti uno ad uno e siamo anche riusciti a farli divertire parecchio scattando loro fotografie mentre erano impegnati nei diversi esercizi.La visita al centro

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medico dedicato alla poliomielite è stata invece meno spensierata. Qui sono ospitati i piccoli che devono ricevere le cure contro una malattia che ogni anno si conferma essere una delle grandi piaghe del paese, soprattutto per le fasce economicamente più deboli. I dottori e le infermiere sono impegnati quotidianamente attraverso la chirurgia, la riabilitazione e il supporto psicologico nel cercare di offrire una qualità di vita migliore a questi bambini». Quali sono invece le iniziative che il centro porta avanti per favorire l’ingresso nella società esterna dei bambini abbandonati o provenienti dalle famiglie più povere? «Per dare un sostegno alle realtà più in difficoltà, il centro offre un servizio di asilo diurno per i più piccoli a cui si accompagna per i ragazzini il programma di formazione professionale e domestica. Ai giovani vengono trasmesse competenze ed insegnato a sviluppare le proprie capacità in modo che possano metterle a frutto nel mondo del lavoro e diventare fonte di sostentamento per le proprie famiglie. Le ragazze vengono invece educate alla gestione della casa e della famiglia e a sfruttare le risorse di cui dispongono nel modo più efficace possibile. E proprio partecipando a una delle lezioni di cucina, abbiamo avuto modo di assaggiare i piatti della tradizione preparati dalle alunne!».


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Qual è stato il programma del centro che ti ha toccato più da vicino? «Il Palna, ossia l’orfanotrofio. Palna in hindi significa culla e si riferisce alla cesta posta nel muro perimetrale della struttura, attraverso la quale i genitori potevano e possono tutt’ora portare in forma anonima i bambini al centro. Alcuni di loro arrivano qui appena nati e questa è proprio la mia storia, giunto al centro a pochi giorni di vita. Sono rimasto lì per alcuni mesi, fino al mio viaggio verso l’Italia. Negli anni ‘80 la struttura ospitava una ventina bambini, oggi sono un centinaio. Negli tempo infatti il Palna ha sviluppato notevolmente il suo programma di adozioni, con particolari collegamenti verso l’Europa e l’Italia soprattutto, senza mai perdere di vista l’idea che il destino di ogni bambino debba essere non l’istituto, ma la famiglia».

VIAGGI SOLIDALI

Rivedere negli occhi dei bambini se stessi tanti anni prima, quando ancora non si aveva la consapevolezza per capire davvero cosa si stava vivendo, quali riflessioni ha stimolato? L’emozione di vedere tutti quei bimbi, giocare con loro, sperare per il loro futuro sapendo di aver percorso la loro stessa strada è stata grande. Ho augurato a ognuno di loro la stessa immensa fortuna che ho avuto io. È stato incredibile vivere la realtà del centro e vedere con i nostri occhi tutto ciò che fanno per regalare a questi bambini una speranza di un futuro migliore, quanto impegno mettono quotidianamente e le grandi difficoltà che incontrano, dovute soprattutto alla mancanza di fondi. Sono molti i bambini ospedalizzati e quindi molti i macchinari e le risorse di cui avrebbero bisogno per migliorare la vita e gettare le basi per il loro futuro. Lo eravamo già prima di partire, ma dopo aver vissuto in prima persona la realtà del Delhi Council for Child Welfare siamo orgogliosi


SCIALPINISMO

di aver fatto qualcosa di concreto per loro, anche se la nostra è stata solo una piccola goccia in un immenso mare. E siamo felici di sapere che la nostra goccia è andata ad aiutare i bimbi del Palna». Cosa ti ha lasciato questa esperienza? «Vedere da vicino la povertà di questo meraviglioso paese è stata un’esperienza forte. L’india non la vedi, non ti accompagna. L’India ti entra nel cuore, nell’anima, ti stravolge la mente mentre la vivi, si svela un passo alla volta mentre la scopri. Ti lascia tanto, dentro… gli occhi della gente, profondi, pieni, capaci di raccontarti una storia intera con un solo sguardo, così intenso da lasciarti disarmato. E la gioia dei bimbi, che pur non avendo nulla sono felici con quello che hanno e sanno regalare dei sorrisi veri, profondi. La semplicità con cui affrontano ogni giorno che si scontra con la complicazione mentale della nostra quotidianità. Ci si rende conto veramente che le priorità della vita sono altre, più vere e profonde. Il primo desiderio sarebbe quello di avere una bacchetta magica, di potere risolvere ogni problema con una formuletta e un movimento di mano. Poi ci si rende conto che non è così, che purtroppo non si può. Ma siamo felici di aver potuto dare un piccolo, ma concreto aiuto che porteremo avanti anche a distanza».

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DELHI COUNCIL FOR CHILD WELFARE Il centro Delhi Council for Child Welfare nasce nel 1952 e fin da subito si occupa dei bambini disagiati e abbandonati. Negli anni i programmi del centro si sono ampliati e attualmente vengono offerti: assistenza medica e nutrizionale, attività di riabilitazione, sostegno psicologico, corsi di formazione professionale e percorsi di adozione. La mission del DCCW è Giving Children a Childhood, cioè dare ai bambini meno fortunati la possibilità di vivere la propria infanzia e poi di acquisire la forza e le competenze per mettere a frutto le proprie capacità e credere in un futuro migliore. Ad oggi sono circa 2500 i bambini che usufruiscono giornalmente dei servizi del centro in modo del tutto gratuito.

Contatti Delhi Council for Child Welfare Qudsia Bagh - Yamuna Marg Civil Lines - Delhi 110054 www.dccw.org


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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

LUNGO IL SENTIERO DELLE ANIME IN VALCHIUSELLA Testi e foto di Stefano Biava

Lungo il Sentiero delle Anime in Valchiusella, emozioni e gioie di un percorso attraverso sentieri che conducono verso mete inimmaginabili...


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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

Il Sentiero delle Anime (in dialetto locale Sentér dj ‘anime) rappresenta uno degli itinerari escursionistici più belli ed emozionanti percorribili in quasi tutte le stagioni in Valchiusella. Il percorso permette di entrare in contatto con un ambiente suggestivo sia per la presenza delle numerose incisioni rupestri sia sotto il profilo paesaggistico. La relativa facilità di percorrenza e la non eccessiva lunghezza, unite alla vicinanza con l’efficientissimo rifugio Bruno Piazza e con lo straordinario comprensorio della palestra di roccia di Traversella, ne fanno una delle mete più amate dagli escursionisti.

Il mistero delle incisioni La scoperta e l’interesse nei confronti di questo sentiero hanno radici negli anni ‘70 quando Bernardo Bovis e Riccardo Petitti, appassionati e studiosi della storia locale, iniziarono a studiare le suggestive quanto misteriose incisioni rupestri visibili lungo il percorso che si sviluppa sul versante orografico sinistro del torrente Chiusella a partire dalla località Roncole, in prossimità di Traversella sino ad arrivare ai Piani di Cappia, sovrastanti l’omonima borgata. Nel 1985, su iniziativa dell’allora Comunità Montana Valchiusella, l’intero percorso viene attrezzato per mezzo di una serie di utilissimi pannelli informativi posti in corrispondenza degli 11 siti nei quali sono presenti le incisioni più significative. Ciascun pannello facilita l’individuazione dell’incisione, ne riporta graficamente il disegno e ne spiega in dettaglio il significato. A curare l’intero progetto il NOTO ricercatore Luciano Gibelli. Numerose le leggende che accompagnano il sentiero e il suo singolare nome. Tra queste, quella che vuole che per il nostro itinerario passassero le anime dei morti e che le greggi ne venissero continuamente spaventate. Un’altra leggenda, questa sembra con un fondo di verità, racconta di persone anziane che, dopo un ultimo, ricco pranzo, si lasciavano precipitare lanciandosi nel vuoto nei punti più esposti. Entrambe le leggende giustificherebbero il nome del luogo. Il sentiero sembra quindi avere tutte le caratteristiche di una via sacra caratterizzata da una quantità di incisioni rupestri, in particolare petroglifi cruciformi, che non ha eguali in tutte le Alpi.


SCIALPINISMO

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L’escursione

Nella pagina precedente e foto in alto Lungo il Sentiero delle Anime in Valchiusella. Nella pagina a fianco La palestra di roccia al Rifugio Bruno Piazza.

L’escursione ha inizio dall’area attrezzata presso il ponte Folle, in località Ex Miniere di Traversella. Per raggiungerla, prima di entrare nell’abitato di Traversella, si devono seguire le indicazioni per il l’area delle ex miniere. Da qui, attraversato il torrente Bersella, tramite un piccolo ponte in legno, si giunge in 5 minuti a Traversella (altitudine 827 metri). Giunti in Piazza Cavour si seguono i segnavia 9 o 729 posti all’inizio di via Monte Marzo che si percorre per intero. Al termine del primo tratto su asfalto il sentiero diventa una bella mulattiera, caratterizzata da bei gradoni, che si snoda in un fitto bosco di castagni, ciliegi, frassini e betulle. In breve si raggiungono i primi pannelli informativi del percorso autoguidato delle incisioni rupestri. Il primo sito (indicato col numero 00) si trova in località Ròch ëd la fornas (905 m). In questo caso l’incisione esula dal contesto archeologico vero e proprio in quanto la croce venne scolpita in ricordo di un traversellese che proprio in questo luogo perì nel 1905.


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GUIDA GU G UIDA IDA W ID WEEKEND EEK EE KE END ND S SOSTENIBILI OS O STE TEN NIIBI BILI LI


IL SENTIERO DELLE ANIME

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Da qui, in 5 minuti, si raggiunge il sito [01] in località Roncole di Sopra (945 m). Una coppella con canaletto è incisa su un gradone della mulattiera. Si svolta a destra e si risale un tratto ripido di sentiero sino alle baite in località Ceiva (945 m). Da qui, piegando in diagonale verso sinistra, si giunge al Rifugio Bruno Piazza (1050 m), nel cuore della Palestra di Roccia di Traversella. La posizione panoramica, la cordialità dei gestori e l’ottima cucina sono il segreto del successo internazionale di questa splendida struttura. Il percorso prosegue in discesa in un bel bosco di betulle e, dopo aver lambito la base di un importante settore della Palestra di Roccia, si inoltra in graduale salita ai siti [02], in località Traunt-d’alvant (1070 m) e, a poca distanza, [03], in località Ròch ëd Tòni dove sono presenti quattro cruciformi pomati da coppelle e un antropomorfo sessuato. I successivi 2 siti si trovano ad un quarto d’ora di distanza in località Traunt (1142 m). Qui il sito [05] Pian dij cros (Piano delle croci) è particolarmente interessante per la presenza di numerose incisioni. Dopo avere superato un piccolo rio, il sentiero aumenta di pendenza e anche l’ambiente si fa un po’ più aspro ma anche più panoramico. Si raggiunge l’interessantissimo sito [06] in località Mont ëd Rivelle (1175 m) e, in circa 10 minuti il sito [07] in località Ròch al Rivelle (1266 m). In poco meno di mezz’ora si raggiunge l’alpeggio Carette e il successivo e panoramico sito [08] in località Carëtte (1326 m), ubicato su di una rupe a strapiombo dove è utile prestare la massima attenzione e da dove è possibile ammirare la sottostante borgata di Cappia. Un breve tratto in discesa conduce al rio Cappia. Il sentiero lo attraversa e in ripida salita lungo un pendio erboso che conduce in breve presso i Piani di Cappia (1339 m), dove il sentiero attraversa una serie di caratteristiche baite delimitate da un lungo quanto esemplare muro a secco. Per raggiungere il sito [09], in località Bèch dël fes-cèi (1398 m) è necessario risalire per circa 10 minuti lungo il sentiero in direzione del Rifugio Chiaromonte lungo il tracciato GTA (Grande Traversata delle Alpi). Tornati ai Piani di Cappia, in prossimità di una cappella votiva, presso il sito [10] l’ultima incisione del sentiero, uno splendido quanto raro esempio di antropomorfo bisessuato.


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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

Il Rifugio Bruno Piazza Il rifugio Bruno Piazza (www.rifugiopiazza.it), ottima base di partenza per scoprire il Sentiero delle Anime, si trova nel cuore di una straordinaria area che ospita la palestra di roccia di Traversella e ne rappresenta quindi il principale e naturale punto di appoggio e di incontro per tutti gli scalatori che qui vi giungono da tutta Europa. Il rifugio si raggiunge a piedi percorrendo per circa 30 minuti, con un dislivello di 223 metri, la prima parte del Sentiero delle Anime. In oltre 22 anni di attività la struttura, da sempre gestita da Gianni Getto al quale, più recentemente si è aggiunto Andrea, è diventata un punto di riferimento imprescindibile per il turismo in Valchiusella, tant’è che molte attività, in particolare a Traversella, beneficiano della ricaduta, in termini turistici, dovuta alla presenza del rifugio stesso. Di proprietà de CAI di Ivrea, il rifugio si sviluppa su due piani. Al pian terreno sono presenti la cucina, la sala da pranzo e i servizi igienici. L’ampio cortile esterno ospita una serie di grandi tavoli in legno dove è possibile pranzare all’aperto. Al primo piano sono presenti due ampie camerate con letti a castello e soppalco, per un totale di 30 posti letto, i servizi e un locale pluriuso per corsi o stage. Tra i servizi presenti, acqua calda, doccia, internet point con connessione wireless. La struttura si avvale del Marchio di Qualità Ospitalità Italiana, merito di una proposta di grande livello e una cucina di qualità, particolarmente attenta alla scelta degli ingredienti e dei prodotti locali. La costante presenza di turisti stranieri, in particolare svizzeri e tedeschi, sono la diretta testimonianza dell’eccezionale lavoro sul campo. Il rifugio da sempre persegue una politica volta ad attirare un turismo anche di tipo famigliare con particolare attenzione verso i più giovani. Frequenti sono le collaborazioni con scuole e private per la proposta e l’organizzazione di settimane di vacanza-studio. Inoltre, presso il rifugio, sono disponibili tutte le informazioni necessarie sulle vie di arrampicata oppure acquistare l’utilissima guida della palestra.


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La palestra di roccia

Nella pagina precedente L.ungo il Sentiero delle Anime. In alto Il Rifugio Bruno Piazza.

La palestra di roccia di Traversella, rinomata per la sua roccia saldissima e rugosa, ricca di appigli, adatta anche all’arrampicata libera, è uno dei siti di arrampicata più vasti e più frequentati di tutto il Nord Italia. Oltre 500 vie di salita sono suddivise in 21 settori, tra questi il “Salto delle felci”, i classici settori delle “Placche nere”, il “Torrione degli istruttori” oppure la “Parete delle anime”. A tutti viene offerta la possibilità di cimentarsi in questo sport spettacolare ed emozionante. Tra monotiri e vie di più lunghezze e difficoltà di ogni grado, dal II grado all’ 8c+, il complesso è in grado di soddisfare e mettere alla prova chiunque, dal dilettante all’arrampicatore più esperto. Il Rifugio Bruno Piazza non organizza corsi di arrampicata per bambini o per adulti, ma la struttura ospita i vari corsi che vengono abitualmente organizzati dal CAI, dalle guide alpine o da altre associazioni. Particolare attenzione inoltre è posta alla diffusione della cultura e della pratica dell’arrampicata anche per i bambini. Nel 1998 è stata appositamente attrezzata, cosa unica in tutte le Alpi, una parete di roccia adatta alla pratica dell’arrampicata anche per i più piccoli. Il luogo, emblematicamente battezzato con il nome “Settore


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GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

delle speranze”, è infatti interamente attrezzato per far sì che bambini di tutte le età possano avvicinarsi alla pratica di questa entusiasmante pratica sportiva. In questo settore della Palestra di Roccia, raggiungibile in soli 5 minuti dal Rifugio, ben 65 vie dal II grado al 6a e da 3 metri di sviluppo a 25, ospitano ogni anno centinaia di baby cordate, anche in collaborazioni di rinomate palestre indoor. In questo settore è obbligatorio l’uso del casco, della corda, dei moschettoni, dell’imbragatura e di tutta la normale attrezzatura necessaria per scalare. Inoltre i ragazzi devono essere accompagnati da persone esperte nella pratica dell’arrampicata e che quindi ne hanno la piena responsabilità. Non è da sottovalutare infatti che, trattandosi di una parete all’aperto, è necessario valutare, di volta in volta, la solidità degli appigli. Su traversella.net, esaustivo ed aggiornatissimo sito ufficiale della Palestra di roccia di Traversella, sono disponibili tantissime informazioni sulle vie di arrampicata, arricchite graficamente dagli inconfondibili disegni in stile comix di Claudio “Caio” Getto, colui che per primo ha creduto nelle enormi potenzialità turistico-sportive di questo complesso. Indiscusso promotore e anima della Palestra di Roccia, “Caio” è anche autore dell’indispensabile guida “Arrampicare a Traversella”. Alle spalle del Rifugio Piazza è stata attrezzata una piccola area per l’arrampicata al coperto, utile per allenarsi durante le giornate piovose. Si tratta di una struttura lunga 12 metri e alta 3 metri d’altezza. Sempre in quest’ottica, il personale del Rifugio ha pulito e reso scalabili alcuni massi nei dintorni del rifugio per la pratica del bouldering.


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MONDO COOPERATIVO

Anfiteatro Morenico di Ivrea. Guida all’Alta Via e alla Via Francigena Canavesana. Autori Matteo Antonicelli e Stefano Biava ISBN 978 88 97867 17 3 Lineadaria Editore, Biella Una dettagliatissima guida per scoprire, a piedi oppure in bicicletta, l’Anfiteatro Morenico di Ivrea e gli oltre 450 chilometri di sentieri e di antiche strade attraverso le province di Torino, Biella e Vercelli. L’Alta Via e gli oltre 70 itinerari di collegamento descritti nelle pagine del libro consentono a escursionisti e ciclisti un tuffo in un emozionante paesaggio ricco di suggestioni naturalistiche e storiche. Da Andrate a Brosso, attraverso i laghi di Viverone e Candia Canavese, attorniati da splendidi castelli, tanti sono gli spunti per mettersi in cammino e scoprire a fondo questo affascinante territorio che custodisce importanti tracce archeologiche e naturalistiche. La guida inoltre descrive i tracciati completi dell’Alta Via dei cinque laghi di Ivrea in un’area che rappresenta un vero scrigno naturalistico. Completa l’opera la descrizione del percorso canavesano della Via Francigena che da Pont St Martin conduce a Viverone. L’opera è arricchita da una serie di testi di approfondimento curati da alcuni tra i maggiori esperti nel loro campo: Franco Gianotti per la geologia, Enrico Gallo per l’archeologia e Diego Marra per gli aspetti naturalistici. Emozionanti fotografie a colori e testi curatissimi completano un’opera fondamentale per chiunque voglia conoscere a fondo un territorio che, grazie alla sua eccezionale conformazione geologica e alla straordinaria ricchezza a livello naturalistico, è unico al mondo. SCHEDA TECNICA: 224 pagine interamente a colori, oltre 200 fotografie, formato 152x210 mm E9

SETTORE 2 LA MORENA SUD ORIENTALE

IC DI CARAVINO Caravino m 261 Innesto AV Frontale Est, Masino m 392 170 m E

40 m

CARAVINO

La Via Francigena era il percorso che a partire dall’Alto Medioevo, collegava Canterbury in Inghilterra a Roma, da sempre cuore della cristianità. Un suggestivo itinerario, lungo 1900 chilometri, che i pellegrini provenienti dall’Europa del nord percorrevano per raggiungere Roma, sede del Papato. L’itinerario francigeno non costituiva però solo un tracciato devozionale ma anche una via utilizzata da mercanti, eserciti, uomini politici e artisti rappresen-

tando in tal senso un canale di scambio di merci e di idee che ha permesso il consolidamento delle basi dell’unità culturale europea avvenuta tra il X e il XIII secolo. Nel 990 d.C. l’Arcivescovo Sigerico, di ritorno da Roma a Canterbury — dopo aver ricevuto l’importante investitura da parte di Papa Giovanni XV— la percorse per intero e annotò tutte le 79 tappe, una per giorno, che lo riportarono in Gran Bretagna attraverso l’Europa.

presenta alcuna segnalazione. Un riferimento è rappresentato da un grosso albero proprio sul ciglio della via a pochi metri dal bivio. L’albero è molto più grande della media degli altri della zona ed è semiavvolto dall’edera. Superato l’albero si gira a destra e si inizia l’ascesa lungo un sentiero che a volte presenta il fondo scavato dallo scorrere irruento e rovinoso dell’acqua piovana che si raccoglie dai limitati ma ripidi versanti laterali. Oltre il tratto ripido si prosegue lungo un falsopiano seguendo una stretta traccia dal fondo inerbito che porta ad incrociare la strada provinciale SP80 che collega Caravino a Cossano Canavese. Attraversata la strada, sulla parte opposta si segue la pista forestale che entra in un folto bosco. Con ascesa moderata e uniforme si percorre un lungo trat-

Nel progetto iniziale della ATL l’IC di Caravino raggiungeva l’Alta Via AMI al castello di Masino dopo aver percorso la via conosciuta come “Strada delle 22 curve”, un lungo sterrato che risale l’appendice morenico centrale di Masino. Nel frattempo questa via, diventata privata, non è più percorribile. Il percorso descritto è dunque un’alternativa ed è stato pianificato con l’intento di mantenere gli obiettivi iniziali. Da Piazza Marconi, al centro di Caravino, si percorre Via Casale (attenzione ai sensi unici) e al primo bivio si svolta a sinistra per proseguire su Via Cavour. Dopo le strettoie nel centro del paese, in coincidenza di uno slargo con piccolo parcheggio, si lascia la strada principale che porta a Settimo Rottaro e si piega a destra su Via Roiera. Sullo sfondo si osservano le colline e il profilo del castello di Masino, meta di questo itinerario. Con le ultime abitazioni termina il tratto in asfalto e si inizia a percorrere uno sterrato nel bosco. In leggera discesa si giunge ad una biforcazione ove si prosegue diritto. Dopo un tratto pianeggiante si inizia progressivamente a salire restando costantemente in un 201 DA CAREMA A IVREAtratto di bosco con riferimenti irrilevanti. Ad un bivio118 con una marcata via che si sviluppa sulla SETTORE 3 LA MORENA SUD OCCIDENTALE sinistra, si prosegue diritto fino ad un’altra bifor- questo percorso esistevano Lungo Il Consiglio d’Europa nel 2004 ha diSTRAMBINELLO cazione. Qui si abbandona la traccia più marcata il ristoro delnumerose tappe Chper chiarato il tracciato della Via Franiusell a Ancor oggi è e si segue una pista forestale che prosegue in e del corpo. PONTE lo Spirito cigena Grande Itinerario Culturale PRETI leggera salita verso O1 destra. Subito dopo ed un incontrare una serie di A5 possibile Europeo al pari del famoso CamIl Castello di Masino. centinaio di metri più avanti si presentano testimonianze altre dell’architettura mino di Santiago de Compostela ® Foto diramazioni. In entrambi i casi si trascurano le di di Stefano Biava che ci consentono romanica in Spagna. Tra le tappe annotate PEROSA CANAVESE rivivere le suggestioni del tempo. sul diario di Sigerico, dove Ivrea inizia in Valle d’Aosta Il nostro percorso O21 risulta la quarantacinquesima tappa da O2 O20 nello splendido borgo di Pont St Martin Roma, grande importanza assume il perche custodisce numerosi gioielli architetO20 corso della Via Francigena Canavesana SAN MARTINO Casello O19 ponte romadal maestosoCANAVESE tonici, a partire TORRE La Via Fran“custodita” dall’Associazione di Scarmagno O14 CANAVESE O1 nel I secolo a.C. in onore di no edificato SILVA cigena di Sigerico, nel contesto geografico O13 San Martino di Tours, il castello Barain-O2 dell’Anfiteatro Morenico, che congiunge O18 del Castello di Pont-SaintO1 ge e le rovine VIALFRÈ il tratto valdostano a quello vercellese con SCARMAGNO BAIRO Martin detto Castellaccio, sito su di un uno sviluppo di circa 50 chilometri. O1

DA MAZZÈ A PONTE PRETI

IL TERRITORIO NOME ITINERARIO

SETTORE 6 LA VIA FRANCIGENA

La Via Francigena

20’ andata

pista forestale, sterrato

NOME ITINERARIO

ESCURSIONISMO 200

4,1 km

1h andata

TC (tratto MC)

IL TERRITORIO

Matteo Antonicelli nato a Gioia del Colle, si è formato alpinisticamente nel Canavese ove risiede. È stato coordinatore dell’attività escursionistica della sezione di Ivrea del CAI e tra i primi in Italia a conseguire la qualifica CAI di “Accompagnatore di Escursionismo”. Per conto della Regione Piemonte è “Rilevatore di Sentieri” della Rete regionale dei Percorsi Escursionistici per la costituzione del Catasto regionale. È autore di altre guide escursionistiche.

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DA VIVERONE A MAZZÈ

vie laterali e si prosegue diritto con la vegetazione che è costantemente compatta, ad eccezione di un’area, dopo un tratto di salita più marcato, dalla quale si possono osservare le montagne del Biellese, il gruppo della Colma di Mombarone, La Serra e le montagne della Valchiusella. Ripreso il cammino si raggiunge un bivio poco marcato ove si cambia direzione. Fino a questo punto la progressione di massima è stata verso est, sud-est e con un profilo altimetrico ondulato, ma poco significativo. Ora cambia sia la direzione (ci si dirige dapprima verso sud e poi verso ovest) sia l’ascesa, che diviene molto marcata, con alcuni tratti non ciclabili a causa della pendenza e del relativo fondo non omogeneo. Il bivio ove si lascia il fondovalle e si inizia la risalita del versante morenico è poco evidente e non

to fino ai ruderi della chiesa di Sant’Eusebio. Da segnalare a metà circa di questa ascesa, un varco nella vegetazione verso valle, che consente di osservare da buona posizione uno spicchio della piana all’interno dell’Anfiteatro con il paese di Azeglio e il profilo de La Serra. Superato l’edificio si costeggia per alcune decine di metri il muro di sostegno di una strada asfaltata fino al punto in cui il sentiero va ad esaurirsi sull’asfalto. Qui si gira a destra e si rientra nel bosco, costeggiando stabilmente un muro a secco, fino ad un prato presso il cimitero di Masino. Proseguendo ancora diritto si raggiunge la chiesa di San Rocco ad un incrocio. Di fronte una palina AMI, con la targhetta LGS di Masino, segnala l’Alta Via che sulla destra, costeggia le case di Masino e conduce al castello.

CARAVINO NOME ITINERARIO

46

119

Dora Baltea

A4/5

Chiusella

Casello di Albiano d’Ivrea

ROMANO CANAVESE

CARAVINO

O21 MASINO VESTIGNÈ

O21 STRAMBINO

Dora Bal

tea

AGLIÈ O17

VILLATE

O15

O10

O11

CUCEGLIO

NOME ITINERARIO NOME ITINERARIO

110

L’autore

O8 MERCENASCO

SAN GIORGIO O16 CANAVESE

MONTALENGHE O12 A

CANDIA CANAVESE

O9 Casello o di San Giorgio G Canavese e

ORIO CANAVESE

VISCHE

Parco Naturale del Lago di Candia

O4

O6 Lago di Candia

O7 BARONE CANAVESE

SAN GIUSTO CANAVESE PONTE SULLA DORA BALTEA

CALUSO O5

O1 MAZZÈ O3 A5

® Foto di Stefano Biava

Dora Baltea


Da oggi c’è un nuovo modo di comunicare la lettura del tuo contatore gas ad AEG Coop: via SMS!* Puoi farlo secondo il calendario previsto per la tua zona** e il tipo della tua utenza*** in 3 semplici mosse: 1 digita il tuo codice utenza (rilevabile dalla tua bolletta in alto a destra)

2 digita i numeri neri che hai rilevato dal tuo contatore

e lascia uno spazio

3 invia al numero

ESEMPIO DI SMS

340 111 8346 che AEG Coop ha attivato appositamente

Fatto!

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*** ,Q DVVHQ]D GL OHWWXUD UHDOH $(* &RRS SURFHGH D XQD VWLPD GHL YROXPL XWLOL]]DQGR L SURÀOL GL SUHOLHYR VWDELOLWL GDOO·$((* (Autorità per O·(QHUJLD (OHWWULFD H LO *DV) e il consumo storico del cliente. Le letture dei misuratori Gas da parte delle imprese di distribuzione vengono HIIHWWXDWH FRQ FDGHQ]D SUHYLVWD GDOO·$((* GHOLEHUD DUW ): - Tutti i mesi per i clienti grandi con consumi superiori a 5.000 mc/anno - YROWH O·DQQR (L SHULRGL QRQ VRQR VSHFLÀFDWL LQ TXDQWR GLSHQGH GDO GLVWULEXWRUH) per i clienti medi con consumi da 500 5.000 mc/anno - YROWD O·DQQR (L SHULRGL QRQ VRQR VSHFLÀFDWL LQ TXDQWR GLSHQGH GDO GLVWULEXWRUH) per i clienti piccoli FRQ FRQVXPL ÀQR D PF DQQR 9L LQYLWLDPR DG HIIHWWXDUH O·DXWROHWWXUD QHJOL XOWLPL JLRUQL GHO PHVH FRQ ULIHULPHQWR DOOD SHULRGLFLWj GHOOH IDWWXUH LQ PRGR GD HVVHUH LQ OLQHD tra le quantità consumate realmente e le quantità fatturate.


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SEDE AEG COOP Via dei Cappuccini, 22/A - Ivrea PUNTO SOCI Via Palestro, 35 - Ivrea www.aegcoop.it


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