Le monache ribelli

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Le monache ribelli raccontate da

suor Fulvia Caracciolo a cura di

Candida Carrino immagini di

Saverio della Gatta


Le monache ribelli

raccontate da suor Fulvia Caracciolo a cura di Candida Carrino ISBN 9788874211272 © Edizioni Intra Moenia 2013 Il Distico Srl Piazza Cavour 19, 80137 – Napoli www.intramoenia.it – info@intramoenia.it Progetto grafico e impaginazione: Luca Mercogliano Foto: Ciro Borrelli I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.


breve compendio della fundatione del monistero di Santo Gregorio Armeno detto Santo Ligoro di Napoli con lo discorso dell’antica vita, costumi e regola che le moniche di quello osservavano et d’altri fatti degni di memoria soccessi in tempi dell’autrice di donna Fulvia Caracciolo, monica di quello



Alle illustri sorelle osservantissime, le molto reverende moniche di San Ligorio. Potrà forse ad alcuna di voi sorelle parere strano che io mi sia più stesa, che il mio ingegno non comporta, trasportata dal desiderio che ho di far memoria delle cose notabili accadute ai nostri tempi in questo monistero e se alcune che haveranno della mia riputazione amorevole zelo e tenerezza parrà che io l’abbi dato occasione di dolersi meco e di avertirmi del mio sciocco ardire per la poca abilità del mio ingegno che ho ne lo scrivere (che per la varietà delle cose e per gli accidenti che spesso si sono visti harrebbono di dotto scrittore havuto bisogno) abbino rispetto che io mi sono mossa a questo non solo per mia sodisfatione e per compiacere ai miei desideri, ma con isperanza anco di apportare trattenimento alle presenti sorelle e forse giovamento alle future, e così anco perchè quelle, 51


che nelli tempi futuri verranno ad abitare in questi chiostri, non habbino in tutto a dolersi della negligenza che havessero usata coloro che essendo state presenti e potendo lasciare memoria della gran mutazione, che vi è successa, non habbino curato per negligenza di farlo. Onde essendono cose veramente degne di essere sempre intese e ricordate non ho voluto cominciare ad ordire questa mia tela, né dare principio a questi miei scritti se prima non mi fossi con esse loro giustificata et in molte cose comprobata. Laonde, ringraziando primieramente Iddio e dopo quelle che pigliaranno queste mie fatiche in buona parte spero che restaranno soddisfatte della mia buona intenzione che è di compiacere a tutte per quanto le mie forze saranno bastevoli et che queste cose che a me hanno parute degne di essere notate e poste in memoria non siano in brevi giorni preda del tempo. Dico, dunque, che il mio pensiero non era da principio che io mi puosi in opra di fare altrimente un libro e mandarlo in stampa, acciò che versasse per le mani degli huomini dotti, i quali havessero potuto col sano giudizio loro meritamente riprenderlo, ma perché hora che è compita la faticha, benché imperfettamente, come si vede, considero, 52


che non mandandola in luce, l’opra saria stata di nullo momento, perciochè se per aventura, come suole accadere, si fosse perduto o dal tempo ruinato l’originale, saria il medesimo, come si niuna si fosse mossa a darvi principio. Però mi sono spronata a cavarla fuora in contezza di ciascuno, certo che non sarà molto né poco dalle persone dotte ripresa, perché se saranno di giudizio, vedendo che è opra d’ingegno feminile perdonaranno all’imperfezioni, che de le persone idiote le reprensioni mi pare che non meritino luoco. Protestandomi però che il mio pensiero non è stato di allongarmi totalmente nelle cose passate, ma solamente di annotare con quel miglior modo, che il mio ingegno ha saputo, tanto li fatti notabili appartenentino solo alla costruzione e fundazione del nostro monistero, delle quali ho potuto havere piena contezza quanto delle cose nel mio tempo soccesse per farne memoria in questi chiostri, ove versando per le mani di queste mie amorevoli sorelle servirà a farneli una semplice narrazione. Avertendo che il mio pensiero non l’have caggionato altro che una brieve risoluzione di volere quel poco di tempo che mi avanza dalle sante occupazioni dei divini uffici e claustrale osservanza, spenderlo in questo mio pensiero, il quale, quando 53


a tutti non aggradarà, non debbo perciò pentirmi di havere in questa mia fatica due hore il giorno speso per mia sodisfazione e di quelle che di ciò si appagaranno, acciochè conoscendosi dal variare dei tempi la mutazione delle cose del mondo con più fervore si innalzi la mente a Iddio che è solo stabile et eternamente constante e priego la grandezza di Sua Maestà che togliendoci in sua grazia da questa instabile vita si degni per sua solita misericordia condurci nei cieli; et io, senza speranza di gloria mortale e senza timore di giuste riprensioni, seguirò nel miglior modo, che da Dio e dal suo Spirito mi sarà concesso, l’opera mia. Pregando tutte che oltre quel che intenderanno delle cose accadute ai nostri tempi cavino fuori la cognitione di questa mortale et instabile vita. Incomincio, dunque, col favore di Iddio a narrare quel che ho nell’animo di dire. Naturale cosa è, amorevoli sorelle, che si amino non meno i luochi ove le persone nella loro prima età sono allevate e nodrite, che quelli ove sono nate. Quindi è che essendo io di picciola età in questi chiostri venuta et amorevolmente allevata, ho stimata essere cosa giusta e conveniente pigliare un poco di fatica per annodare et mettere in memoria de chi leggerà la varietà dei fatti che 54


nel mio tempo vi sono successi et ancorchè ci fusse occasione di dire assai per li molti accidenti, che in esso si sono visti, tutta volta io prometto solamente quel tanto che la memoria mi porge aiuto di ricordare. Hora dico, che è volgare fama, che questo nostro monistero fusse fundato dall’imperadore Constantino1, che fu in Napoli intorno agli anni 315 dopo il nascere del Signore, come si legge nel libro de le Vite degli Imperatori e che a quel tempo non solo vi havesse fundato questo monistero, sì come anco fece molti benefici et belli ordini nella chiesa cathedrale di questa fidelissima città di Napoli, di che ne ragiona un libro dove è scritta la vita et l’historia di Santa Restituta, che si conserva per li reverendi canonici in detta chiesa. Nondimeno la verità è che la regina Helena, madre del detto imperadore, l’edificò negli anni di Christo 328 e forsi con saputa e consenso di detto suo figliuolo, dal quale e dal Concilio che si fece in Nizza, d’Asia hebbe aviso della miracolosa vita e del felice transito di San Gregorio di Armenia, a sua memoria fundò questa nostra chiesa col mo1. Le notizie circa la fondazione del monastero non sono del tutto esatte per la bibliografia si veda la nota n. 1 dell’introduzione e la nota 2 della trascrizione di Zito Raffaele Maria, Breve, pp.11-17.

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nistero per le donne vergini. Comunque sia chiara et indubitata cosa è che il nostro monistero fu consacrato da San Silvestro papa, il quale venne in Napoli con l’imperadore Constantino et era come un collegio di donne vergini, che non havevano né regula né ordine di religione e si nominava Santi Gregorio e Sebastiano, giunto col quale era la cappella del Salvatore e di San Pantalione e queste erano quattro antichissime cappelle, quali poi Sergio consule, nell’anno 835, ragunò in una e fece che si chiamasse la chiesa di San Gregorio Maggiore alla piazza detta Nostriana, dove è al presente detto monistero, sincome appare per privilegi antichissimi, che appena si possono interpretare per l’antichità e diversità della lettera longobarda. E vi pose per abbadessa una sua parente nominata Stefania, la quale volle che fosse abbadessa mentre durava sua vita e che nel monistero si osservasse la Regola di San Benedetto. Concesse di più che tutti coloro che harrebbono nelle terre o ville o in altri luochi soggetti al monistero habitato, tanto essi quanto i figli e servi fossero vassalli a detta abbadessa, di che hoggi dì ne rende testimonianza casa Visconte et altre a Carvizzano, villa di questa città, che fa fede di tale vassallaggio. Et ancora queste nostre donne di matura età 56


si ricordano di havere inteso dai loro antecessori, come questo monistero godeva i detti vassallaggi. Et si ritrovano nei quinterni antichi le spese che si facevano a detti vassalli nel tempo che portavano il tributo, che era una gallina per testa, alli quali il monistero donava sale at alcune cose di zuccaro. Di più li concesse che qualsivoglia persona potesse seppellirsi nella chiesa di detto monistero o in altre chiese soggette ad esso e che potesse lasciarli, o tutto o parte dell’heredità, benché fusse huomo o donna, prencipe o duca, che havesse città, terre et ville et il monastero ne fosse stato legitimo herede, tanto dei vassalli quanto delle robbe. Costui anco fu che concesse l’arbusto di Santo Anastasio con alcune case, che hoggi dì si possedono, ove è una cappella chiamata San Nicola e li diede anco un molino sito alle Paduli con molte conditioni, che appaiono nelli suddetti privilegi, li quali per brevità lascio. Et per quello che si può leggere in essi privilegi, si facilmente coniectura, che questo nostro monastero era dotato di altri singolari privilegi, i quali e dalle ruine e dagli incendi et antichità di tempo sono smariti. E tra li altri appare un privilegio in una scorza di ceraso, che hoggi dì si vede ma non si basta legere per la molta antichità. 57


In questa religiosa stanza, dunque, io venni, o per dire meglio, fui condotta l’anno 1541, mentre ministrava l’officio dell’abbadessato la reverenda Camilla Spinella, la quale dicono che fu donna esemplare e cattolica, di cui non posso rendere chiara testimonianza per havere ella governato negli anni della mia fanciullezza, già che nell’entrarvi non avevo ancora finiti due anni. Visse costei anni dieceotto nel suo governo, finì la sua vita al 14 di febraro del 1542. Al 22 di detto mese fu creata abbadessa la reverenda Maria Galiota di felice memoria, figlia di Fabritio e sorella di Corone con gran sodisfazione di tutte. E per dar notizia del modo che si osservava in quei tempi nelle creazioni delle abbadesse, dico che quelle si creavano durante loro vita et in questo modo. Venivano l’ordinario et il notaro apostolico et pigliavano i voti di tutte le moniche e quella che haveva più voci era eletta per abbadessa. Erano anco presenti in detto atto quattro cavallieri di quattro famiglie nobili dei Seggi di Capuana e di Nido, che havevano all’hora in prottezione il monasterio et erano Aiossa, Latro, Rumbo e Capece, i quali portavano l’abbadessa già eletta in presenza dell’ordinario a sedere nella sedia dell’abbadessa et ivi andavano le moniche (mentre 58


cantavano il Te Deum laudamus) a due a due a dare l’ubedienza. L’abbadessa, dunque, Galeota fu donna lodatissima, cattolica et esemplare, da lei io fui recevuta e posta nella congregazione, che era di anni cinque, agli anni otto per mano sua fui monacata insieme con due altre mie sorelle, Anna et Elionora, et entrai nel felice stato della religione, nella quale sempre ho vissuto, rendendo infinite grazie a Iddio, claustralmente in questa forma di vita conventuale, sotto il governo dell’ordinario. Eravamo circa cinquanta moniche e ciascheduna di noi haveva le sue camere, ritretti, cucine, cantine et altre comodità. Tenevamo molte serve per nostro serviggi, delle quali ciascheduna di noi teneva peso dopo alcuni anni della loro servitù dotarle e collocarle honoratamente non come serve ma con molta amorevolezza. L’entrate del monastero l’essigeva tutte l’abbadessa e due donne attempate, che con antico nome erano dette l’infermarare2. A quel tempo erano le reverende 2. Il termine indica il ruolo delle monache che aiutavano la badessa nella gestione dei proventi del convento. Ha, senza dubbio, una etimologia greca e deriva dalle parole φέρμα che significa provento, prodotto, frutto e άιρω che significa prendere, scegliere, amministrare. Cfr. Rocci Lorenzo, Vocabolario greco-italiano, Città di Castello (Roma), Società editrice Dante Alighieri, 1942, ad vocem.

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di San Gennaro delle Povere • dell'ordine della mercede


Violante Brancazza e Giulia Caracciola, le quali havevano il peso insieme con l’abbadessa di ripartire dette entrate a ciascheduna delle moniche la sua parte, così di fromento, come di vino e denari, talchè bastava per lo vitto cotidiano. Queste spese erano fatte con la benedizione della abbadessa e, quando occorreva alcuna spesa di momento o vero straordinaria, si dimandava nuova licenza all’abbadessa, acciò similmente con la sua benedictione si fusse posto in effetto. Intorno poi al vestire che noi usavamo, dirò che andavamo vestite di bianco, però le tuniche a modo di un sacco, a punto come sono quelli che portano hoggi dì le donne vidue, ma di panni fini et bianchissimi, in testa portavamo una legatura greca ornata con molta modestia, leggevamo ai libri longobardi e perciò la maggior parte de la vita spendevamo nei divini uffici per esserno in quei tempi assai lunghi e da noi con molta sollennità celebrati. Le moniche che entravano in questa religione in tre diverse giornate usavano tre modi di cerimonie. Primieramente si monacavano per mano dell’abbadessa. Un giorno dopo dette le vespere, ove ne troncavano le trezze a curto. Dopo alcuni mesi o anni, secondo l’età, pigliavano il secondo 61


ordine che erano alcune dignità nel coro. Il terzo ordine si pigliava nell’età perfetta da quindici anni in su e, nel pigliare quest’ordine, si diceva primieramente la messa dello Spirito Sancto e, mentre quella si celebrava, di nuovo ne tornavano a tagliare li capelli. In questa guisa cavavamo nella fronte una ghirlanda de capelli, la quale spartita in sette fiocchi, nell’estremo di ciascheduno di quelli l’abbadessa poneva una ballotta di cera bianca e così stavamo finchè si celebrava. Ma poi, finita la messa, la medesma madre tagliava i fiocchi detti et copriva la fronte di un bianco velo e ne ponevamo una veste negra sopra la bianca, che fino a quel tempo portavamo, e la negra era più corta della bianca mezo palmo3, senza la quale non era lecito a veruna di comparire nel coro nei giorni festivi. Questa vesta, adunque, era la prerogativa che ne donava la voce attiva et passiva e ci faceva partecipe dei beni del monastero. Questa medesima veste ne vestivamo nei giorni estremi di nostra vita, con la quale si moriva et si andava alla sepoltura. 3. È un’unità di misura lineare in uso nel Regno di Napoli, si divideva in 12 once, l’oncia in 12 linee, la linea in 12 punti ed equivaleva a m. 0,26455. Cfr. Visconti Ferdinando, Del sistema metrico della città di Napoli e della uniformità de’ pesi e delle misure che meglio si conviene a’ reali dominj di qua del faro, Napoli, Stamperia Reale, 1838, p. 160.

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I giorni feriali si ufficiava nel coro con un manto nero, senza di cui non si poteva dire un picciolo verso in quel loco; e questo si osservava tra noi in quel tempo. Ma quanto appartiene di fuori del monistero ero anco una antica cerimonia, che il giorno di San Biaso venivano i maestri de la chiesa di detto glorioso santo, come hoggi dì anco vengono, e con solenne processione con trenta o quaranta torchi accesi, accompagnati da diverse sorte di suoni et da infinito numero di genti, entravano nella nostra chiesa et andavano insino all’altare maggiore e dalla nostra abbadessa et anco dalle sacristane li era consegnata la testa di detto glorioso San Biaso per spazio di due hore e si mandavano dieci o dodici preti di casa acciò l’accompagnassero et guardassero, come cosa propria del monistero et la riponevano sopra l’altare di San Gennarello, finchè fosse fornita la messa solenne; fra questo tempo dimoravano le nostre genti, accio chè, finita la messa, la riportassero con la medesima processione. Quando venivano costoro, le moniche si richiudevano nei luoghi dove non erano viste, accio chè ognuna potesse essere presente a tanta sollennità.

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indice

Introduzione Breve compendio della fundatione del monistero di Santo Gregorio Armeno detto Santo Ligoro di Napoli

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Bibliografia 139 Ringraziamenti 147


finito di stampare nel mese di gennaio 2013 per conto delle edizioni Intra Moenia presso Tipolitogiglio Srl


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