La distruzione dell'antica Roma

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RODOLFO LANCIANI

LA DISTRUZIONE DELL’ANTICA ROMA titolo originale: “The destruction of Ancient Rome A sketch of the history of the monuments” Traduzione di Antonio Di Silva Illustrazioni: “Vedute degli edifici illustri superstiti dell'antica Roma” di Giovanni Antonio Dosio e Giovan Battista Cavalieri (Firenze, 1569) isbn 9788874211395 © Edizioni Intra Moenia 2014 Il Distico Srl Via Costantinopoli 94, 80138 – Napoli www.intramoenia.it – info@intramoenia.it A cura di Ursula Salwa Progetto grafico e impaginazione di Luca Mercogliano L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare


LA

DISTRUZIONE D E L L’

ANTICA

ROMA LO SCEMPIO DEI MONUMENTI NEL CORSO DEL SECOLI RODOLFO LANCIANI 1899



I distruttori dell’antica Roma

Un giorno, non molto tempo fa, mi ero seduto alla estremità meridionale del Palatino là dove, a cinquanta metri al di sopra delle strade moderne, s’innalzano i resti del palazzo di Settimio Severo; cercavo di sondare le profondità che si aprivano ai miei piedi e di ricostruire con il pensiero il vecchio aspetto di quei luoghi. Confrontando le descrizioni e i disegni di quelli che hanno visto il Palatino meno distrutto con misure prese sul posto, ero giunto alla conclusione che proprio in questo luogo era sparito un palazzo lungo centocinquanta metri, largo centodiciotto, alto cinquanta; e tanto radicalmente, che non restava nessuna testimonianza di questa distruzione, salvo qualche frammento di mura sbriciolate, qua e là, contro le rocce della collina. Chi dunque ha demolito, tolto pezzo a pezzo, una tale montagna di costruzioni? Chi ha raso al suolo questo colosso? Il tempo? Gli elementi naturali? I barbari? Oppure qualche altra forza inesorabile, di cui gli uomini non hanno notato l’opera? Per rispondere a queste domande bisogna rendersi ben conto di quello che significhino le parole “demolire”, “sparire”, quando si tratta di monumenti dell’antica Roma. 5


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Per esempio, leggiamo che il Circo Massimo aveva 485.000 posti a sedere; e che questa cifra aumentò di cinquemila unità quando Traiano mise a disposizione del popolo la tribuna imperiale. Ammettiamo che questi calcoli siano un pò esagerati: ed infatti, Huelsen ha riportato a 150.000 il numero degli spettatori che il Circo poteva contenere. Atteniamoci a questa cifra; ecco qui 150.000 persone, sedute su banchi di pietra o di marmo a cui danno accesso le scale accuratamente predisposte. Se a ciascun posto diamo uno spazio medio di cinquanta centimetri, raggiungiamo per lo meno un totale di settantacinque chilometri di banchi di pietra o di marmo in tutto il Circo. E non ce ne rimane nemmeno un frammento! Come ha potuto scomparire una tale massa di pietra? Mistero. Vicino al Pantheon di Agrippa una volta c’era lo Stagnum, il bacino dove Nerone e Tigellino solevano divertirsi su un padiglione galleggiante. Lì vicino si innalzava un colonnato, detto dell’Eventus Bonus. Fino al maggio del 1891 si ignorava dove fosse esattamente situato; ma a quella data, vicino a Sant’Andrea della Valle, nel vicolo del Melone, fu scoperto un capitello di dimensioni così enormi che si dovette rinunziare a spostarlo; si sarebbero dovute far saltare le case vicine. Ma da dove proveniva un blocco di tali dimensioni? Intravidi la risposta nel racconto di Flaminio Vacca, sugli scavi fatti sotto il Pontificato di Pio IV (15591566). “Ponendo”, dice, “le fondamenta del palazzo Della Valle, si sono trovate delle colonne, dei frammenti, dei fregi ed altri marmi; tra i quali da notare un capitello di dimensioni enormi di cui è stato preso un frammento per scolpire lo stemma del Papa sulla Porta Pia”. Un secondo capitello era stato scoperto sot6


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to la casa Ugolini, nello stesso vicolo del Melone nel 1862; un terzo, nel 1876 sotto il Palazzo Capranica della Valle. Questi tre capitelli, insieme a quello del 1891, erano collocati su uno stesso fronte, che da un punto all’altro misurava cento e più metri; appartenevano ad un colonnato i cui fusti erano alti quattordici metri ed i capitelli due metri di altezza per quattro metri e sessanta di circonferenza. Chiunque sia architetto capirà che cosa significhino tali cifre. Vecchi documenti parlano anche di uno stadio situato dove oggi sorge Piazza Navona e dove potevano sedersi 30.088 spettatori; di un Odeon con 11.600 posti a sedere; del teatro di Balbo con 11.510 posti; del teatro di Pompeo con 17.580 posti. Di questi edifici di pietra e di marmo, non si trova più la minima traccia. Esempi dello stesso genere possono trovarsi anche molto al di fuori delle mura della città. Nella biografia dell’imperatore Gordiano il Giovane, al capitolo XXXII, leggiamo la descrizione della sua villa, situata a quattro chilometri da Porta Prenestina. Tra i due edifici c’era un colonnato di duecento colonne, di cui cinquanta di cipollino o marmo di Karystos, cinquanta di portasanta, cinquanta di pavonazzetto della Frigia e cinquanta di giallo antico della Numidia. C’erano poi tre basiliche, ciascuna lunga trenta metri; un palazzo imperiale e alcune terme che, per le loro dimensioni e magnificenza, rivaleggiavano con quelle di Roma. Oggi, colonnato, basiliche, terme, palazzo, tutto è scomparso. Soltanto avanzi di rovine nella landa deserta rimangono come un punto di riferimento visibile da molti chilometri di distanza; è la Torre degli Schiavi, luogo di ritrovo favorito dei cani da caccia della campagna romana. 7


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Ammettiamo pure che le cause naturali abbiano contribuito alla rovina degli antichi edifici: incendi, terremoti, inondazioni e anche il lento ma inesorabile processo di disintegrazione dovuto a pioggia, gelo e variazioni di temperatura. Tuttavia, è giocoforza riconoscere che una così completa metamorfosi, una distruzione così totale, non può essere dovuta che alla mano dell’uomo. Da questo punto di vista, molte sono le spiegazioni avanzate da quelli che hanno scritto sulla decadenza e la caduta dell’Impero romano: tutte sono sostenibili perché contengono elementi di verità. Tuttavia, si può prima di tutto scartare quella più diffusa che attribuisce ai barbari la sparizione dei monumenti di Roma. Come si può immaginare, per esempio, che questi conquistatori, i quali passavano come un ciclone, si preoccupassero di ridurre in polvere settantacinque chilometri filati di marmo al Circo Massimo? O possenti costruzioni come quelle della villa di Gordiano? Quello che i barbari cercavano, erano gli oggetti preziosi, facilmente trasportabili; e Roma fu per lungo tempo abbastanza ricca di questo genere di cose da soddisfare la loro avidità. Più tardi, una volta esaurita la miniera, una volta spogliate di tutti i loro tesori le abitazioni dei vivi, forse i barbari rivolsero l’attenzione anche all’asilo dei morti, alle umili catacombe dei semplici fedeli come ai mausolei imperiali; ma sulle massicce costruzioni della Repubblica e dell’Impero il loro flagello passò senza lasciare tracce profonde. Come vedremo durante il nostro racconto, nel giugno del 455, il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio ed il palazzo dei Cesari offrivano ancora ai saccheggiatori 8


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una ricca preda in oggetti mobili. Nel 536 la guarnigione della Mole di Adriano (oggi Castel Sant’Angelo) da lungo tempo convertita in fortezza, poté respingere un assalto dei Goti gettando sulle loro teste le statue, i capolavori dell’arte greca che decoravano ancora il mausoleo. Un quarto di secolo più tardi, lo storico Procopio afferma che si vedevano ancora a Roma diverse statue dovute allo scalpello di Fidia e di Lisippo. Nel 630, papa Onorio I, con il consenso dell’imperatore Eraclio, asportò le tegole di bronzo dorato che coprivano il tempio di Venere e Roma, e poté ornarne il tetto di San Pietro: il tempio, dunque, era ancora intatto. Nel 663, quando Roma per sua disgrazia fu visitata per l’ultima volta da un imperatore, e un imperatore cristiano per giunta, c’era ancora moltissimo da saccheggiare. Nel breve periodo di dodici giorni che trascorse nella città, Costante II portò via molte statue di bronzo e mise le mani anche sulle tegole bronzee del Pantheon, nonostante che da molto tempo fosse stato convertito in chiesa. Lasciamo dunque in pace i barbari. I danni che essi hanno fatto a Roma sono trascurabili in confronto ai danni fattile da altri. E per “altri” intendo i Romani stessi, i Romani dei periodi imperiale e bizantino, del Medioevo e del Rinascimento.

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Teatro di Marcello


indice


I distruttori dell’antica Roma Come gli imperatori hanno trasformato

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la Roma repubblicana

L’utilizzo dei marmi degli antichi edifici

pag. 5

23

nelle costruzioni del tardo impero

Roma agli inizi del V secolo

37

Il sacco di Roma per mano dei Goti nel 410

43

e le sue conseguenze

Il sacco di Roma ad opera dei Vandali nel 455

57

Roma nel VI secolo

59

Cimiteri dentro e fuori le mura

69

Devastazione e abbandono della campagna romana

75

I monumenti del VII secolo

81

L’incursione dei saraceni nell’846

95

e l’ampliamento delle fortificazioni della città


L’inondazione dell’anno 856

105

L’itinerario di Einsiedeln

107

Gli usurpatori della Santa Sede

115

e il sacco di Roma del 1084

Roma alla fine del XII secolo

127

Marmorari e fornaciai

133

della Roma medioevale e rinascimentale

Inizio della città moderna

147

Il sacco di Roma ad opera

159

delle truppe di Carlo di Borbone nel 1527

I monumenti nella seconda metà del XVI secolo

169

Ammodernamento degli edifici medioevali

185

nel XVII e XVIII secolo

Impiego moderno di marmi antichi

191


finito di stampare nell’aprile 2014

per conto delle edizioni Intra Moenia presso GFC Stampa Srl - Napoli


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