Delitto ai quartieri alti

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ANTONIO LEGGIERO

DELITTO AI QUARTIERI ALTI

IL GIALLO IRRISOLTO DELLA STRAGE DI VIA CARAVAGGIO A NAPOLI

introduzione di MARGHERITA CARLINI



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PREFAZIONE

Napoli 1975. È una tranquilla serata di fine ottobre, una come tante. In un appartamento di via Caravaggio, al civico 78, una famiglia si sta preparando per la cena. I piatti sono già disposti, la mamma è in cucina che sta terminando di mettere le cose in tavola; la figlia è in camera sua perché influenzata; non ha voglia di mangiare e sta scrivendo una lettera al suo fidanzato; il papà è nello studio. All’improvviso qualcuno suona alla porta. Il padre si alza e va ad aprire. Quelli saranno i loro ultimi momenti di vita. Domenico Santangelo 54 anni, sua moglie Gemma Cenname 50 anni, Angela 19 anni, (la figlia che Domenico ha avuto dal suo primo matrimonio) ed il loro cagnolino Dick diventeranno le vittime di un’ orrida mattanza. L’assassino compirà un massacro passato alla storia come la “Strage di via Caravaggio”. Una strage destinata a restare senza un colpevole o forse no. Ma chi era la famiglia Santangelo? Cosa si nascondeva dietro tanta apparente normalità? Perché l’assassino si è accanito contro un’intera famiglia senza risparmiare nemmeno il piccolo cane? Chi è stato ad ucciderli? Un mostro sconosciuto che continua ad aggirarsi, libero ed impunito, per le vie della città partenopea o qualcuno molto vicino alla famiglia con un movente preciso?


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PREFAZIONE

All’ epoca dei fatti non esistevano le moderne e sofisticate tecniche di indagine scientifica e non erano nemmeno in auge i protocolli di intervento e di cristallizzazione della scena del crimine; saranno infatti diversi testimoni ad asserire che nelle fasi successive alla scoperta dei corpi si creò un vero e proprio andirivieni dall’appartamento dei Santangelo. Un presupposto non certo ottimale per la salvaguardia delle tracce e dei reperti presenti sul posto, reperti che avrebbero potuto fornire importantissime indicazioni circa le dinamiche del massacro e le conseguenti responsabilità. Purtroppo, è probabile che le stesse modalità vennero adottate anche nelle fasi di recupero e conservazione delle prove. Altrettanto interessante e dettagliata sarebbe potuta essere la realizzazione di un’autopsia psicologica, vale a dire una ricostruzione a posteriori del profilo di personalità delle vittime che avrebbe abbondantemente snellito la lista dei possibili colpevoli, incrociando le caratteristiche personologiche delle vittime con le dinamiche specifiche dell’azione omicidiaria. Nel libro l’autore ripercorre, con metodo analitico e dettagliato, tutte le fasi di questa orribile vicenda. Dalla ricostruzione della dinamica omicidiaria, al modus operandi, dal possibile staging della scena del crimine, all’analisi vittimologica e al movente; ricostruendo tutte le fasi delle indagini ed approfondendo anche quelle piste alternative che, all’ epoca dei fatti, vennero poste in secondo piano. Un’analisi abile ed oggettiva che arriva fino ai giorni nostri. A quarant’anni esatti dalla strage, quando i tradizionali metodi investigativi hanno potuto avvalersi del supporto delle analisi scientifiche, fornendo una risposta che sembra non riuscire ancora a dissolvere i troppi dubbi. Dott.ssa Margherita Carlini Psicologa e Criminologa Forense


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1. I COLD CASES

Da sempre hanno destato notevole interesse nell’ opinione pubblica i cosiddetti cold cases (letteralmente casi freddi), suggestiva locuzione d’oltreoceano con la quale vengono etichettati generalmente gli omicidi irrisolti. Per la verità, tale espressione era già da lungo tempo in auge nei freddi documenti giudiziari e forensi delle forze dell’ ordine statunitensi (e non solo), senza che quasi nessuno, se non i pochi addetti ai lavori ed esperti, ne conoscesse l’ esistenza ed il relativo significato. Soltanto con l’arrivo in Italia, all’inizio degli anni duemila, di una fortunata serie televisiva dal titolo omonimo, di produzione statunitense, le due parole in questione sono diventate di pubblico dominio e di uso quasi comune. Ma che cosa sono precisamente ed esattamente i cold cases e qual è il loro vero significato? Innanzi tutto, va precisato preliminarmente che tale espressione - contrariamente a quello che si crede - non fa riferimento soltanto agli omicidi irrisolti, ma ad ogni crimine rimasto impunito, vale a dire senza che sia stato individuato il colpevole o i colpevoli. Naturalmente, è scontato che per la maggior parte degli individui non desta nessuna attenzione ed interesse (o quasi) il fatto che vi possa essere un crimine, per così dire comune ed ordinario, rimasto impunito (come ad esempio una truffa


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ai danni di una potente holding internazionale che sentiamo distante e lontana da noi, le cui vicende economiche non ci interessano più di tanto). Per cui, quando le statistiche si riferiscono a queste tipologie di reati, aride ed impersonali, non si riscontra nessun tipo di audience in senso lato. Sia che tali reati vengano risolti, sia che non vengano risolti. Può sembrare strano ma è così. Il crimine, invece, si percepisce maggiormente nel suo disvalore, se ci sono nostri interessi economici in ballo, come dei risparmi che rischiano di scomparire. Ma questa è un’ altra storia. Quando, invece, si tratta di un omicidio, l’interesse e la curiosità, a volte quasi morbosa della gente e dell’ opinione pubblica in generale - come recenti episodi di cronaca nera avvenuti in Italia negli ultimi anni hanno dimostrato - diventano potenti e prepotenti, tanto da far inseguire freneticamente la ricerca della verità di questi delitti e la conseguente soluzione. Del resto, ciò è fondamentalmente normale e fisiologico per ogni essere umano, dal momento che l’ omicidio rappresenta il crimine più grave che un individuo possa perpetrare: l’uccisione di un proprio simile. A ciò si aggiunge l’impulso fornito da una spettacolarizzazione mediatica abnorme e feroce che calamita oltremodo, superando ogni limite (a volte anche della decenza e del buon gusto) l’attenzione di una certa fetta dell’ opinione pubblica. È, così, chiaro che alcuni delitti - maggiormente mediatici - hanno il potere di attirare intorno a sé, in modo gravitazionale, l’interesse di tutti; sebbene spesso in modo parossistico. Altri, invece, vengono consumati nell’anonimato e lì sono destinati a rimanere. In questo modo, si giunge quasi ad elaborare una sorta di categorizzazione degli omicidi, con alcuni (quelli più mediatici) costantemente illuminati dalle luci della ribalta - tanto da farli apparire più importanti - ed altri, al contrario, coperti da una sorta di oblio silenzioso, i quali sembrano non necessitare della doverosa partecipazione emotiva e della con-


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seguente attenzione. In altre parole, una sorta di gerarchia con omicidi di serie A ed omicidi di serie B. Nulla di più sbagliato. Ciò, dal momento che il disvalore morale, sociale, antropologico, giuridico e criminologico insito nell’azione criminosa della commissione di un omicidio, non è soggetto ad alcuna oscillazione. Soprattutto, sulla scorta della pubblicizzazione che alcuni di essi producono. Né tantomeno, in base al riscontro dell’ opinione pubblica. Au fond c’è sempre un essere umano, spesso giovane, che viene privato della vita, fra l’altro con modalità violente e, talvolta, finanche turpi e raccapriccianti. Se questo è il contesto di fondo degli omicidi irrisolti, si deve anche considerare il fattore tempo che aggiunge una sorta di valore aggiunto a tali macabre e delittuose vicende. Infatti, sembra quasi che un delitto perpetrato anni addietro (in alcuni casi decenni), desti un’ attenzione maggiore nel grosso pubblico, tanto da essere foriero di curiosità ed interesse in misura quasi proporzionalmente pari al lasso di tempo trascorso. A riprova di ciò, si constata come spesso l’ opinione pubblica segua, con maggiore costanza ed impegno, le vicende di un’ indagine riaperta su un omicidio di diversi anni prima rispetto, magari, a quelle di qualche inchiesta attuale. Eccezion fatta - come detto per i cosiddetti “delitti mediatici”, ipotesi in cui la preferenza cade su questi ultimi. La probabile spiegazione di questa sorta di maggior “interesse retroattivo”, probabilmente, è legata a spiegazioni che attengono alla psicologia inconscia dell’ essere umano, il quale è portato ad essere attirato ed attratto maggiormente da misteri del passato che da quelli attuali. Quasi come se il notevole trascorrere del tempo, che talvolta si riscontra, fosse indice di una maggiore e più intensa essenza criptica ed oscura, nonché estremamente più intricata, di quella di un evento contemporaneo. Una sorta di arcano, per così dire, di vecchia data, sedimentato e potenziato e quindi di maggior valore.


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Fra l’altro, lo stesso dato di fatto incontrovertibile che un crimine, un omicidio, non sia stato risolto a distanza di venti o trenta anni, lascia presagire l’ esistenza di uno scenario particolarmente intenso ed inquietante, denso di elementi inesplorabili, i quali sono stati tanti e tali da avvolgere nella fitta nebbia del mistero l’ evento, da renderlo imperscrutabile a tutti coloro che hanno investigato su di esso. Motivazioni, indubbiamente, da psicologia del profondo. Del resto, eguale fenomeno - mutatis mutandis - si riscontra con i grandi misteri ed enigmi del passato in generale, anche al di là dei confini della criminologia. Basti pensare alla congerie infinita e sbalorditiva di teorie che hanno accompagnato e seguono attualmente la natura e la funzione delle grandi piramidi di Giza o di famosi siti archeologici come Stonehenge. Anche in quel caso, il tempo trascorso, senza che si sia addivenuti a certezze valide per tutti, apre la stura ad interrogativi, dubbi e perplessità sempre più inverosimili, producendo, tuttavia, l’ effetto di infittire ancora di più il mistero ed al tempo stesso di scatenare ulteriori dubbi e quindi ricerche. La medesima psicodinamica, con le dovute differenze, si riscontra anche negli omicidi irrisolti, i quali, più passa il tempo, più sembrano diventare intriganti e misteriosi. Se quanto detto è vero per i singoli delitti, a maggior ragione lo è per i duplici omicidi o addirittura per le stragi. In tali ipotesi - com’è intuitivo - l’ effetto amplificativo sortisce un interesse ancora più potenziato e massiccio, con una maggiore cassa di risonanza nell’ opinione pubblica. Anche qui però, nel novero delle stragi - al di là della loro intrinseca efferatezza e dell’innegabile fisiologica tragicità - ve ne sono alcune che, a causa delle modalità commissive e realizzative, per il contorno e lo scenario nel quale vengono compiute, per eventuali fattori corollari che vi gravitano intorno in modo satellitare, catturano l’attenzione della gente particolarmente, rimanendo


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maggiormente impresse nella memoria collettiva. Tali elementi diventano un cocktail miscelato in modo ottimale ed impareggiabile. Soprattutto, se - come detto - la strage è stata compiuta con modalità particolarmente truculente ed orripilanti. Nel caso in cui, poi, il massacro rimanga impunito per anni (o addirittura per decenni), c’è un’ attenzione di gran lunga maggiore e più intensa rispetto ad eventuali sviluppi, auspicandone con forza la soluzione. Una soluzione che, sebbene tardiva, sia foriera di giustizia. Per i morti e per i vivi, parenti delle vittime. Si dice, infatti, che l’anima di un individuo assassinato non trovi pace, fino a quando non venga assicurato alla giustizia il suo assassino.


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2. NAPOLI: VIA MICHELANGELO DA CARAVAGGIO La strage oggetto della presente ricostruzione è una di quelle maggiormente terrificanti avvenute in Italia nel dopoguerra. Tuttavia, poco esplorata sia dal punto di vista dell’investigazione criminale che dal punto di vista giornalistico e mediatico. Forse, proprio per questo merita ancora più attenzione. Per la verità, non soltanto poco approfondita e conosciuta, ma che costituisce anche un tipico esempio di indagini compiute (al di là dei fisiologici ed intrinseci limiti investigativi e scientifici dell’ epoca) con disarmante superficialità. Attività investigativa che ha portato ad errori madornali, a piste seguite male o escluse, ipotesi abbandonate troppo in fretta e, per concludere, un innocente in carcere (tale è, allo stato degli atti, per la giustizia italiana) per lungo tempo. L’ eventualità peggiore che possa scaturire da un’ indagine sbagliata. Molto verosimilmente, in generale, un’ ipotesi peggiore di un delitto irrisolto è soltanto quella di un delitto risolto male, con un innocente in galera. Questa è una storia talmente orrida che non sembra nemmeno vera. Sembra soltanto il parto letterario di un eccellente scrittore di libri horror. Sarebbe stata perfetta come trama di uno dei best sellers di Stephen King, autentico maestro del genere. Invece, in questo caso, i fatti sono, purtroppo, veri e re-


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ali. C’è un intero nucleo familiare sterminato con modalità raccapriccianti. Il sangue è reale, come lo sono i corpi martoriati dal quale proviene. Una delle principali caratteristiche anomale del massacro è che il feroce e crudele evento non è accaduto nel Bronx o nelle malfamate favelas sudamericane regno di violenza e terrore, ma in Italia a Napoli, in una delle sue zone più tranquille. Per di più, non si tratta nemmeno di feroci regolamenti di conti camorristici, endemici sul territorio partenopeo, ai quali le cronache giudiziarie ci hanno sinistramente abituato in questi decenni. Qui, per quello che sembra ragionevole e verosimile ritenere, la criminalità organizzata non c’entra. Per di più, come anticipato, la strage non è stata compiuta in “quartieri caldi” come Forcella, la Sanità, Secondigliano, Scampia, nei Quartieri Spagnoli, ma, al contrario, è avvenuta in una zona dei cosiddetti “quartieri alti” partenopei. Zone dove, per convenzione e per abitudine, si ritiene che viva la Napoli bene. Quella con la puzza sotto il naso. Ambienti che - si pensa - siano immuni da tali orrori. La communis opinio ritiene che in quelle zone certi eventi non possano avvenire. Ma forse è la nostra immaginazione, il nostro modo di pensare che ci fa ritenere impossibile che si possa compiere una strage nelle zone dove abita la buona borghesia cittadina. Si tratta di un pericoloso errore da sfatare. Ed anche con forza e decisione. Il male, com’è noto, non conosce latitudini o censo, ma si annida negli anfratti più reconditi di ogni esistenza umana e di ogni relazione sociale. È qualcosa di insidioso e trasversale che entra nel sangue e nella linfa degli esseri umani (fortunatamente di una minoranza) e porta gli stessi a perpetrare dei crimini, che nemmeno l’animale più feroce penserebbe mai di compiere. Si sa che gli animali, anche quelli più selvaggi ed aggressivi, dotati di una fama sinistra quando attaccano ed uccidono, lo fanno perché spinti dai loro istinti primordiali e fisiologici quali la


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sopravvivenza, la difesa del proprio territorio, della loro prole, la paura, il freddo, il caldo ed altre condizioni di stress. Ma è qualcosa di ancestrale e consustanziale alla loro stessa natura. Non ha secondi fini. Non è mirato al conseguimento di un vantaggio secondario. E soprattutto non esiste in loro il senso della malvagità, così come esiste in alcuni esseri umani. Nessun animale penserebbe mai di catturare un suo simile, di tenerlo segregato, di torturarlo con raffinata crudeltà, di sottoporlo ad inenarrabili vessazioni e torture, per poi ucciderlo e conservarne parti del corpo come trofei. È qualcosa di estraneo alla bestia, ma che è presente in alcuni esseri umani. In altri termini, non esistono serial killers fra gli animali! Conclusa questa breve ma doverosa digressione a carattere antropologico e criminologico, si può ritornare ai fatti oggetto della narrazione: la strage. Il macabro scenario del massacro è sito in via Michelangelo da Caravaggio, nell’ estrema propaggine settentrionale di Napoli. Settentrionale, per chi non conosce Napoli, in termini di altitudine. Via Caravaggio è una tipica strada partenopea. Una come tante. I palazzi e le abitudini sono uguali dappertutto. La gente, in fondo, agisce sempre allo stesso modo. E, purtroppo, uccide anche allo stesso modo. È una delle tante arterie cittadine intasate dal traffico a diverse ore del giorno. Si tratta di una strada normalissima, a tratti sinuosa, che non sembra avere nulla di anomalo. È un luogo tutto sommato tranquillo, dove - come detto - nessuno si azzarderebbe nemmeno ad ipotizzare che certi eventi possano mai accadere. Ed invece succedono. Anche lì, anche in quel contesto dove non si penserebbe mai ad un eccidio così terrificante. A dimostrazione che il crimine ed il criminale sono dappertutto, non conoscendo zone franche e non avendo preferenze né di latitudine, né di longitudine. Dimostrando ancora una volta che spesso il “mostro”, omicida o


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pluriomicida, è in mezzo a noi, vive la nostra stessa quotidianità e si mimetizza con gli esseri umani, (per convenzione considerati normali), con la stessa destrezza e la medesima capacità di un camaleonte in una foresta. A ben pensarci, tuttavia, un elemento sinistro premonitore questa strada, apparentemente normale, ce l’ha: il nome. I romani solevano dire “nomen omen”, in sostanza “il destino è nel nome”. In qualche modo, ciò è vero, dal momento che Michelangelo da Caravaggio, è stato sì uno dei più grandi geni che la storia dell’ arte italiana abbia mai avuto, ma, al tempo stesso, anche un individuo collerico e violento, autore di un brutale omicidio, che (corsi e ricorsi storici) è rimasto anche esso - come la strage avvenuta nella strada che porta il suo nome - impunito. Seppure per motivi diversi, alcuni secoli or sono. Infatti, nel caso del nostro artista, l’impunità fu provocata dalla sua tempestiva fuga; nell’ipotesi dell’ eccidio il fatto che non sia stato punito nessuno, dipende esclusivamente dalla circostanza che non si è individuato nessun colpevole, al di là di ogni ragionevole dubbio. Pertanto, ancora oggi, a distanza di 40 anni esatti dai tragici e luttuosi eventi, non si sa (con certezza giudiziaria al di là di ogni ragionevole dubbio) chi abbia sterminato un’ intera famiglia in uno dei quartieri apparentemente più tranquilli di Napoli. Fra l’altro, questa strage ha avuto, per i casi inspiegabili della vita, la sfortuna di non essere mai stata fagocitata dal circo mediatico. Personalmente, ricordo una sola trasmissione in tema andata in onda il 23/12/1988 nel corso della fortunata ed eccellente trasmissione televisiva Telefono giallo. Quella trasmissione - per chi viaggia a cavallo degli anta come chi scrive - fu un po’ l’antesignana delle trasmissioni sui delitti che oggi furoreggiano. Ma di tutt’altra pasta e levatura. Il programma brillava per correttezza e non aveva nulla a che fare con quelle attuali, che spopolano nelle varie emittenti, con i soliti noti perennemente dimoranti nei salotti delle varie rubriche anche in


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contemporanea, ostentando l’immagine di una misteriosa ubiquità. Soprattutto, non si occupava di delitti sui quali erano in corso delle indagini, per non alterare la fisiologica imparzialità ed efficienza delle stesse. Era una deontologia eccellente, di cui oggi si è persa traccia. In ogni caso, dopo quella trasmissione, passata un po’ sotto silenzio nel fervore dei preparativi natalizi (era l’antivigilia di Natale) sono state scarse le attenzioni giornalistiche sul terribile crimine. Quindi, il silenzio, per lunghi decenni. Soltanto recentemente, in una nuova trasmissione in tema, è andata in onda una seria ed oculata ricostruzione del massacro con la presenza di ospiti molto qualificati, ridestando in qualche modo l’interesse degli appassionati di cold cases sull’ evento in questione. Personalmente, nonostante abbia letto di decine di stragi in tutto il mondo ed analizzate le stesse da un punto di vista scientifico-criminologico, ho avuto sempre un interesse marcato e spiccato per la “strage di via Caravaggio”. I motivi sono diversi. Il primo - ed il più ovvio - è legato ad una sorta di prossimità geografica con il luogo del delitto, dal momento che lo stesso dista da dove vivo non più di un’ ora di auto (traffico partenopeo permettendo), essendo campano. Il secondo è l’anomalia che definisco estrinseca, nel senso che in una città ed in un territorio dove purtroppo si sono consumate efferate stragi, questa presenta dei caratteri diversi già a livello macroscopico, nel senso che non è il solito, triste e macabro regolamento di conti della malavita organizzata. Il terzo è legato ad argomentazioni intrinseche dal punto di vista criminologico e criminalistico. In effetti, la strage in questione per le sue componenti di psicocriminodinamica e per i suoi risvolti esecutivi di tipo pratico, presenta delle indiscutibili peculiarità che non possono non interessare ogni criminologo o appassionato di storie noir. In effetti, il teatro della strage ed il corredo dei dettagli, che formano una cornice ancora più truce e macabra dell’ orri-


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do, che già di per sé ogni strage emana, ne fanno un thriller ideale, se non fosse che lì, in quel grosso appartamento anonimo di un tranquillo quartiere napoletano, i morti ci sono stati davvero e le modalità omicidiarie sono state tali da far inorridire chiunque, a vario titolo, si sia avvicinato ed interessato all’ eccidio. Il quarto elemento è legato all’ineludibile e sconcertante dato di fatto che l’autore o gli autori di quella orrenda macelleria non sono stati mai individuati e probabilmente mai lo saranno. Infatti, come sanno tutti gli esperti di tali fenomeni criminosi, la possibilità di risoluzione di un caso di omicidio o addirittura di una strage si può concretizzare, in genere, soltanto nelle prime 24-48 ore dagli eventi. Dopodiché più il tempo passa e minori sono le possibilità di scoperta dell’autore. In altri termini, il trascorrere del tempo gioca a favore dell’assassino o degli assassini. È noto al riguardo che con i giorni che passano, che poi diventano settimane e poi mesi, l’impressione reale e genuina della valutazione e dell’analisi di una scena del crimine si alterano; le stesse tracce del reato e gli elementi raccolti possono andare incontro a deterioramento fisiologico o accidentale o comunque non essere più in grado di fornire un’ utilità alle indagini; i testimoni diventano meno attendibili; possono intervenire pressioni e depistaggi; può accadere che le persone informate sui fatti, in maniera consapevole o inconsapevole, si sottraggano al loro obbligo di fornire notizie ed in ultimo può subentrare (essendo sempre dietro l’angolo) l’ errore umano di chi svolge le indagini e tutto si complica in maniera estrema, rendendo sempre più complessa e complicata l’indagine. Del resto, nonostante oggi la tecnologia e le tecniche di investigazioni forensi siano arrivate ad un livello eccellente (fino a pochi anni or sono impensabile) di efficienza e di proficuità, fornendo in tempo rapido riscontri celeri e certi, tuttavia non si deve dimenticare che l’azione investigativa deve essere


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svolta dall’ essere umano. Non può venire delegata alla tecnologia. Infatti, le scienze forensi sono, da sempre e per definizione, serventi e funzionali all’indagine criminale, ma non possono assolutamente sostituirsi ad esse. Alla fine è sempre l’uomo a dirigere e guidare la tecnologia e le varie tecniche scientifiche, che - si ripete - debbono avere un ruolo esclusivamente strumentale al buon esito di un’ indagine. Non è assolutamente possibile lasciare a briglia sciolta le varie branche della criminalistica. Purtroppo, va detto, con dispiacere, che questo è il principale errore di metodo che attualmente sta contagiando i nostri inquirenti istituzionali: l’ eccessiva fiducia nei mezzi a discapito delle proprie capacità professionali, del proprio intuito e della propria esperienza. Una sorta di delega in bianco ai miracoli della criminalistica, in una specie di spersonalizzazione dell’indagine. Ed anche a causa di ciò, i risultati purtroppo a volte non arrivano o sono insoddisfacenti. Per non parlare della possibilità - tremenda - che venga commesso un errore giudiziario con un innocente dato in pasto ai media (oggi onnipotenti) ed all’ opinione pubblica. Proprio come accadde per la strage in questione, diversi anni or sono.


INDICE Prefazione di Margherita Carlini 1. I cold cases 2. Napoli: via Michelangelo da Caravaggio 3. Il mistero del silenzio 4. La scena del crimine 5. Domenico Santangelo: 50 anni di vita oscura 6. Gemma Cenname: una donna forte 7. Angela: il vero obiettivo del mostro di via Caravaggio 8. Iniziano le indagini 9. Via Mario Fiore e la vendetta per Eleonora 10. Eugenio Laudicino: il sarto 11. Domenico Zarrelli 12. Il calvario giudiziario di Domenico 13. La battaglia giudiziaria continua 14. La fine di un incubo 15. La prima pista alternativa: quella del casolare di campagna 16. La pista del medico dell’Inam 17. Elementi di riflessione 18. I quartieri alti oggi 19. A volte ritornano… di nuovo Zarrelli! Appendice. Un madornale errore nel campo del DNA: il caso del “fantasma di Heilbroon”

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Antonio Leggiero è un Criminologo investigativo e forense operante sull’intero territorio nazionale, soprattutto nel settore della formazione post-laurea, essendo Direttore e Coordinatore di diversi Masters in Criminologia. Svolge, inoltre, attività di docenza in Criminologia nell’ambito universitario ed in quello della specializzazione. Si occupa, fra l’altro, di consulenze forensi nell’ambito di processi penali per omicidio ed indagini penali in vicende di notevole spessore criminologico. Ha all’attivo diverse pubblicazioni di taglio storico e criminologico. Segnatamente: una raccolta di brevi racconti “Storie di paese” ed. Editrice Italia Letteraria, 2005; un saggio storico di memorialistica “Per amor di Patria” ed. Ma.Ro. 2007; una monografia sulle indagini difensive nel processo penale “Indagine difensive nel processo penale” Ed. Direkta, 2010; un volume di ricerca storico-criminologica sui cold cases italiani del dopoguerra “Quattordici assassini senza volto”, ed. Siciliano; un’e-book di disamina scientifica di tipo monografico “La pedofilia” ed. Filodiritto, 2012; un saggio storico-militare, di ampio respiro, sulla tragedia della campagna di Russia del 1941-1943, “Apocalisse nella steppa” ed. Odoya, 2013.



finito di stampare per conto delle edizioni Intra Moenia nel mese di ottobre 2015 presso Vulcanica Print - Torre del Greco (NA)


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