‘o vascio
BREVE STORIA DEI “BASSI” NAPOLETANI DI CONCETTA CELOTTO / FOTO DI SERGIO SIANO
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‘o vascio BREVE STORIA DEI “BASSI” NAPOLETANI DI CONCETTA CELOTTO / FOTO DI SERGIO SIANO
edizioni Intra Moenia
a mio padre e a mia madre
1. C’era
una volta...
Indagine sulle origini e il passato dei “bassi”
Breve premessa Accanto ai più famosi pizza, babà, mandolino e Vesuvio, i “bassi” sono, seppur in misura minore, anch’essi citati tra le parole simbolo di Napoli. L’immagine dei vicoli con le vecchiette sedute fuori ai “vasci” e i bimbi che vi giocano cenciosi è, d’altra parte, tutt’altro che logora e convenzionale, attestandosi tutt’oggi come fortemente emblematica e indicativa dello stato e del carattere della città e per questo inscindibile dall’altra più romantica e stucchevole, questa sì, del lungomare di via Caracciolo con sullo sfondo il Castel dell’Ovo. Insieme ai panni stesi ad asciugare al sole e ai vicoli, i “bassi” rappresentano l’altro volto di Napoli, quello che al colore della tradizione mescola il dolore della povertà, che alla proverbiale spensieratezza dei suoi abitanti unisce la durezza del vivere quotidiano. Icona di miseria e arretratezza, traccia territoriale della persistenza di un passato carico di sofferenza e di “terribile poesia”, i “bassi” si trovano nel cuore della città che tutti i 7
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giorni proclama la propria aspirazione a divenir “normale”, moderna ed europea. La storia del capoluogo partenopeo, se letta come microstoria, come racconto della sua società e dei suoi costumi e usi, è imprescindibile dal “basso”, inteso come elemento forte e caratterizzante di un intero paesaggio, come contesto abitativo e culturale di una parte importante della città. La storia dei “bassi” e le tante storie dei suoi abitanti, i così detti “vasciaioli”, si intrecciano e confluiscono nella macrostoria, ne definiscono in certa misura il carattere sociale, antropologico ed economico. Il ventre di Napoli, così come Matilde Serao definì il cuore antico della città nel suo libro omonimo, conta ancor’oggi tantissimi “bassi”, vi sono zone nei quartieri di Montesanto, della Sanità e dei Quartieri Spagnoli, dove un “basso” si succede all’altro in una impressionante e fitta rete di “case” su strada, tanto che, percorrendone le vie, pare quasi d’essere indiscreti e di invadere un luogo intimo, privato. Ma cos’è esattamente un “basso”? Per rispondere basta fare due passi in qualche vicolo della città e senza bisogno di ricorrere a definizioni troppo tecniche, si capisce che è un locale posto sul piano stradale in cui vivono delle persone. Se per curiosità invece si consulta un qualsiasi vocabolario di lingua italiana, si può leggere che il “basso” è un angusto locale di uno o al massimo due vani posti al piano terra, che affaccia direttamente su strada o che 8
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è situato all’interno degli androni e dei cortili dei palazzi, generalmente ricavato da antichi depositi e stalle e impropriamente adibito ad abitazione. Nella lingua italiana, dunque, il termine “basso”, inteso come sostantivo, definisce in ambito edilizio una tipologia abitativa solitamente precaria e ha un’origine tutta napoletana dialettale (“vasci”, “vascitielli”). I “bassi” hanno una loro storia, dicevamo, interessante e preziosa come tutte le storie, ricca di umanità e sofferenza come poche, a cui si lega un’altra storia, non meno interessante, che è quella del termine con cui designiamo tali abitazioni, il termine “basso”. Tale nome, come si legge nello studio realizzato dall’antropologa del linguaggio Alessandra Broccolini1, deriva sia dalle caratteristiche proprie della struttura, posta al pian terreno, che al basso ceto che nei secoli vi va ad abitare in seguito a quel processo di differenziazione sociale e ambientale che caratterizza l’allocazione dei diversi spazi abitativi della città. Inizialmente il termine “vascio” appare nella letteratura dialettale napoletana del Seicento e sempre nello stesso secolo compare nel linguaggio notarile, in lingua italiana, come “basso”, senza connotazioni sociali. Nel secolo successivo, compare nei registri medicosanitari relativi all’epidemia di colera del 1764 con un significato, questa volta, di denuncia sociale. Ad un più ampio livello nazionale, ci informa ancora la Broccolini, il vocabolo compare intorno alla metà dell’Ottocento in vari registri, in quelli tecnici dei risanatori della città, poi 9
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nelle relazioni delle commissioni igieniche e infine nella letteratura giornalistica, dove diventa simbolo di indignata protesta sociale. In questi registri, tre sono i nomi ricorrenti che costituiscono la terminologia dell’habitat napoletano degradato: fondaco, grotta e “basso”. Di questi, “basso” sarà il più usato a causa della forte diffusione che questa modalità abitativa ha avuto e ancora oggi ha nel territorio urbano. Il termine, si legge ancora nella relazione, entra anche nel linguaggio letterario e di denuncia sociale: dieci anni dopo la pubblicazione de Il ventre di Napoli scritto da Matilde Serao nel 1894, il nome “basso” è già entrato nella letteratura e nei registri giornalistici sulla città anche a livello europeo, tanto da essere usato in un testo francese dal giornalista Marcellin Pellet, che nel suo Naples contemporaine 2, dedica un capitolo a Les quartiers pauvre - “bassi” et “fondaci” - la misère, la salubrité: «dans Naples, les “bassi” ne sont éclairés autrement que par la porte, et huit ou dix personnes y vivent, mangent et dorment dans un espace confiné de 70 à 80 mètres cubes en moyenne»3. Bisogna però aspettare gli anni Cinquanta dello stesso secolo per veder comparire il termine nei dizionari italiani. Nel Dizionario delle Parole Moderne che non si trovano nei Dizionari Comuni 4 compare, infatti, come vocabolo appunto moderno non ancora in uso nei comuni dizionari: «A Napoli sono così chiamate le misere stanze d’abitazione al piano terreno, antigieniche, perciò abolite dal regime fascista». È interessante poi notare come 10
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per tutto il Novecento, la parola “basso” venga usata diffusamente nei giornali, nella letteratura, e poi anche nei dizionari, con un significato di denuncia sociale, nonostante non sia raro trovare nel linguaggio letterario un uso pittoresco del termine, legato ad un’idea di napoletanità folklorica, come nel caso della produzione in vernacolo legata al teatro e alla canzone. Quest’uso, che piaccia o meno, non solo è ancora oggi molto diffuso, ma a volte trascende la specifica tipologia abitativa e il territorio urbano dal quale il termine deriva, per estendersi ad un particolare stile di vita comunitario, secondo stereotipi napoletani consolidati. L’ex sindaco di Roma Walter Veltroni, ad esempio, dopo la vittoria politica del maggio 2001, per definire l’atmosfera di festeggiamenti seguita alla vittoria, dichiara che «sembrava di essere nei “bassi” napoletani». I dizionari italiani, tuttavia, non hanno incorporato questo significato pittoresco del termine, ma hanno privilegiato esclusivamente un significato sociale, legato alle condizioni di vita delle abitazioni in questione. Il vocabolo, poi, non è mai entrato nel linguaggio tecnicostatistico dei censimenti, dove la distinzione tra abitazioni è fatta sulla base del numero dei vani; il termine “basso” si guadagna quindi un suo posto nella lingua italiana, a partire da una tipologia abitativa precaria, che diventa simbolo di una città, uscendo dall’ambito di origine per “colonizzare” nei suoi usi folklorizzanti e pittoreschi altri luoghi. 11
Finito di stampare per conto delle edizioni Intra Moenia nel mese di settembre 2012 presso Cangiano Grafica S.r.l. di Napoli