Alchimia e medicina a Napoli

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ANTONIO EMANUELE PIEDIMONTE

ALCHIMIA E MEDICINA A NAPOLI Viaggio alle origini delle arti sanitarie tra antichi ospedali, spezierie, curiositĂ e grandi personaggi



“L’ultima volta che sono andato dal medico mi ha dato tante medicine che, una volta guarito, sono stato male per un mese intero”. Groucho Marx

“Il linguaggio alchemico è una modalità di terapia; è terapeutico in sé”. James Hillman, “Psicologia alchemica”

“«O spidale ‘e Cavulisciore». Sinonimo di ospedale da frequentare o in cui ricoverarsi a soli fini utilitaristici.Trae il nome dal generoso filantropo quattrocentesco Cola Da Fiore, che realizzò un ospedale per i poveri che però era frequentato perlopiù da sanissimi perdigiorno che lo utilizzavano per mangiare e dormire comodamente e senza spese”. Tratto da Renato De Falco “Il napoletanario”



indice

preludio

Breve excursus dalla Spagiria e la Iatrochimica pag. 11 alla Medicina, e la Chimica farmaceutica Antichi racconti, libri, film, psicologia - Etimologie, origini, vecchie storie e cronache giornalistiche - Spagirica e Iatrochimica - Medicina nell’antichità: dalla Mesopotamia a Pompei - Medioevo: le immagini, i santi e i primi ospedali - Da Paracelso a Newton passando per Hieronymus Bosch - Il buio dei lumi, l’aurora del Novecento parte i

l’arte di guarire e i segreti della tradizione

pag. 43 1. Libri e alambicchi. Speziali e letterati tra accademie e conventi Filosofi e medici: Tommaso d’Aquino e Trotula de Ruggiero - Giordano Bruno e Tommaso Campanella - Le Accademie partenopee e gli altri cenacoli - Le grandi scuole: i Lincei e gli Investiganti - Spezierie e ospedali di monasteri e conventi napoletani - Il gesuita Kircher, la regina Cristina, il poeta Santinelli - Il Pulcinella alchemico, la villa massonica, il conte Cagliostro pag. 77 2. Piante, erbe, ricette e segreti. Alchimisti all’ombra del Vesuvio Arnaldo da Villanova, il grande maestro spagnolo - Giovan Battista Della Porta, il mago e lo scienziato - Ferrante Imperato e il suo famoso museo-giardino - Bartolomeo Maranta tra medicina, botanica e farmacia - Lo speziale più celebre: Fra’ Donato d’Eremita di Roccadevandro - Colantonio Stigliola, pitagorico, botanico e tipografo - Andrea Fodio Gambara e la scienza alchemico-medica - Tommaso Cornelio e l’Accademia degli Investiganti - Guarigioni, sesso ed esoterismo: il leggendario conte Cagliostro - Il principe di Sansevero: teschi, miracoli e granchi resuscitati 3. La “Teriaca”, l’incredibile farmaco pag. 117 (che si fabbricava a Napoli) più famoso della storia Curiosi ingredienti per curare quasi tutto - Scadenza, dosaggio, somministrazione e altro ‘O guarracino e Ferdinando IV - Alchemiche polemiche tra Nord e Sud 4. Finella e la medicina astrologica a Napoli, pag. 131 la dottoressa Trotula e la Schola Salernitana Diagnostica: mappe astrali come radiografie ed ecografie - Il Pontano, Luca Guarico, la Cappella Carafa, Andrea Argoli - Le stelle, le rughe, i nei, le vipere e molto altro - La grande Scuola salernitana, mille anni di medicina e farmacia - I primi docenti in Campania: Trotula e la ginecologia 7


Alchimia e medicina a Napoli parte ii

tra arte, storia e religione: gli ospedali-museo e le terme

1. La Real Casa dell’“Annunziata” e la ruota per i neonati abbandonati Dall’arte alla storia: la strage degli innocenti

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2. Santa Maria del Popolo degli “Incurabili”, l’Ospedale del Reame pag. 163 Le origini: sanità e santità sulla “collina sacra” - Il Collegio medico-cerusico nel “campus” di Caponapoli - Il gioiello più bello e famoso: la Spezieria-Farmacia del '700 - Le suoreinfermiere: ex prostitute, sante e beate - La magia dei chiostri, la chiesa cinquecentesca, le storie della “Compagnia dei bianchi” e della sua misteriosa cappella 3. Le altre istituzioni secolari pag. 183 ““San Gennaro”, l’ospedale delle catacombe - “Santa Maria della Pace”, il lazzaretto più bello del mondo - “Ospedale dei Pellegrini e dei convalescenti” - L’ospedale di Forcella: l’“Ascalesi” Da Matteo Ricci (e i cinesi) alla principessa: l’“Elena d’Aosta” - Il Pio Monte della Misericordia: la carità e l’arte - Le Case dei matti: gli antichi ospedali psichiatrici 4. Baia, Agnano, Ischia, Pozzuoli: viaggio tra i millenari segreti delle acque pag. 211 Le seduzioni erotiche della dolce Baia - Solfatara, un “purgatorio” che puzza di afrodisiaco Dentro il cratere del vulcano: il parco termale di Agnano - Spettacolare Ischia: le mitiche ninfe, il professor Iasolino, il generale Garibaldi, il jet-set del Novecento e le altre mete parte iii

le curiosità, le storie e i maestri della scuola napoletana

1. Il Rinascimento pag. 229 Santa Maria di Loreto: orfanelli, musicisti e militari - Gianfilippo Ingrassia, il maestro siciliano - Alfonso Ferri e le ferite da arma (con assai curiosi rimedi) - Giovanni Camillo Maffei, un pragmatico medico avellinese - Il Regio Protomedicato e la riscossione delle imposte La secretissima Isabella e il suo famoso best seller medico-alchemico dedicato alle signore - “San Giacomo” (ieri ospedale, oggi Municipio) e le fanciulle in cerca di marito al “San Lazzaro” 2. Il Seicento: la Napoli barocca pag. 249 Il medicar crudo di Marco Aurelio Severino, uno dei padri della chirurgia moderna - Leonardo di Capua, l’erudito sperimentalista irpino - Il conte Giuseppe Donzelli, un medico al fianco di Masaniello - Mario Zuccaro, Carlo Pignataro, Andrea Basile e gli altri 3. Il Secolo dei Lumi pag. 267 Cirillo: il medico, il botanico, l’eroe - Cotugno, dal mal sottile alla fama internazionale Bruno Amantea, una chiesa in via Foria per ricordarlo - Michele Troya, chirurgo, urologo, oculista e vaccinatore 8


Indice

4. L’Ottocento pag. 287 Piccoli pazienti: Teresa Filangieri e il “Pausilipon-Santobono” - Ferdinando Palasciano, il vero ideatore della Croce Rossa - L’evento: il grande congresso degli scienziati italiani del 1845 - Vincenzo Tiberio e la scoperta della penicillina ad Arzano - La leggenda di Antonio Cardarelli, il “salvatore” dei malati - Napoli capitale dell’Omeopatia - Pietro Castellino e il Nobel “scippato” - Dalla Campania all’Egitto: le sfide di padre Ludovico da Casoria Giuseppe Moscati: il medico e il santo appendice

Catastrofi, epidemie, emergenze “croniche”: terremoti, eruzioni, tubercolosi, vaiolo e altro ancora pag. 323 La prima vaccinazione di massa in Europa - 5 secoli di tremuoti: Napoli, Ischia, l’Irpinia - da Plinio il Vecchio a Norman Lewis: lo Sterminator Vesevo - Le mille carestie, la grande epidemia di “febbri putride” e gli studi del medico e storico Salvatore De Renzi - Lo studioso avellinese che fece (e scrisse) la storia - L’incubo della sifilide: sterco di colombi, mercurio, ferri incandescenti sulla testa e lime per sbiancare i denti - L’ecatombe del 1656, la peste a Napoli: dalla “pallida cometa segno di morte” all’esplosione del chiavicone sotto via Toledo - 5 febbraio 1783: terremoto e tsunami. La peggiore catastrofe del XVIII secolo nel Meridione - Cholera morbus: dalle stragi dell’Ottocento alla grande paura (e la guerra alle cozze) del 1973 Bibliografia Indice dei nomi e dei luoghi Ringraziamenti

pag. 371 377 391

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“I nostri antenati (...) inventarono l’arte di foggiare divinità. A questa invenzione aggiunsero una virtù soprannaturale, che trassero dalla natura materiale e mescolarono alla sostanza delle statue. Non potendo però creare anche le anime, dopo aver evocato anime di demoni o di angeli le introdussero nei loro idoli mediante riti santi e divini, in modo che questi idoli avessero il potere di fare del male e del bene (...). La natura di questi Dèi (...) che sono chiamati Terrestri (...) è costituita (...) da una composizione di erbe, di pietre e di aromi che possiedono in se stessi una innata virtù divina”. Ermete Trismegisto, “Asclepius” (III secolo)

“Gli elementi non sono malati, è il corpo a cadere malato. Così lo scorpione cura il suo scorpione; l’arsenico il suo arsenico; il mercurio il suo mercurio; il cuore il suo cuore”. Paracelso, “Opus Paragranum” (1529)

“Per la stessa strada, dove sono le mura più alte della città, si passa a Sant’Agnello o Anello… ov’era una antichissima cappella detta Santa Maria Intercede (…) Qui il santo fabricò un ospedale, e vi era una spelonchetta, che anche si vede, ove orava e morì”. Domenico Antonio Parrino, “Napoli città nobilissima, antica, e fedelissima esposta a gli occhi, et alla mente de’ curiosi” (1700)


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Breve excursus dalla Spagiria e la Iatrochimica alla Medicina, e la Chimica farmaceutica

“Così la Grand’Opera è completata (…) ed è medicina universale per tutte quante le infermità; chi può fruirne consegue rinnovazione d’anima e rinvigorimento di ogni forza mancatagli…”, scriveva l’anonimo autore dell’opera nota come “Commentatio De Pharmaco Catholico”,1 pubblicata nel 1666 come appendice a uno dei testi più affascinanti della vasta letteratura alchemica, il “Chymica Vannus”, nel quale si ribadisce proprio lo stretto rapporto tra Alchimia e Medicina. Un legame antico, un intreccio profondo, come ricorderà nel 1969 Alexander von Bernus: “Agli inizi i grandi alchimisti erano anche grandi medici, primo fra tutti Paracelso e subito dopo van Helmont, suo erede diretto, perché la pietra filosofale è anche elisir di vita”. Anche se, preciserà lo studioso, “per l’autentico alchimista la capacità di curare e di ringiovanire, come d’altronde la produzione dell’oro, o meglio la trasformazione di un metallo vile in un metallo nobile, è poco importante”.2 In Cina, in India, come in Europa, il percorso dell’alchimia è stato sempre intrecciato con quello delle arti sanitarie, anche perché, come si è detto, il “possesso della Pietra filosofale… costituiva a tutti i livelli la Medicina universale atta a guarire le malattie umane, a conservare la salute… l’elisir di lunga vita degli alchimisti orientali”.3 Oltre a trasformare i metalli, infatti, la misteriosa “Pietra dei filosofi” - il “Lapis philosophorum” al centro di tutte le ricerche e sperimentazioni alchemiche - avrebbe avuto il potere di guarire da ogni malattia e perciò di garantire agli esseri umani una vita longeva. 1.  In appendice a “Chymica Vannus”, trad. di Girolamo Moggia e Vinci Verginelli, Libreria Editrice Ibis, Bologna 1999. 2.  Alexander von Bernus, “Alchimia e Medicina - Il fuoco segreto e il mistero della guarigione”, Edizioni Mediterranee, Roma 1987. 3.  Andrea Aromatico, “Alchimie, le grand secret”, Gallimard, Paris 1996.

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Alchimia e medicina a Napoli

Inevitabilmente dunque, sin dalle sue origini, l’alchimia, cioè l’Ars transmutatoria, l’Arte della Trasmutazione, l’Arte Regia (o Sacra), o “Grande Opera” come pure viene indicata, divenne ricerca, studio e realizzazione di tutti quei rimedi destinati a guarire i corpi malati o feriti, sino ad assumere, nel corso del tempo, le forme di quell’articolata “Ars Operativa Medica” che sarà messa a punto nel Medioevo dal grande alchimista francescano Paolo di Taranto (a lungo confuso con Geber), dal medico Arnaldo da Villanova e soprattutto dal suo allievo più famoso, Raimondo Lullo (e dai suoi seguaci e tutti quelli che a lui faranno riferimento firmando con il suo nome i propri libri). Di quest’ultimo diremo solo che fu oggetto di un accuratissimo studio da parte di Giordano Bruno, che gli dedicherà un testo straordinario relativo proprio alle questioni di nostra competenza, ovvero il “Medicina Lulliana partim ex Mathematicis partim ex phisicis principiis educta” (“Medicina Lulliana, tratta in parte da princìpi matematici, in parte da princìpi fisici”). Questo l’esplicativo incipit dell’opera: “In questo trattato intendiamo non tanto elencare secondo una diffusa consuetudine quei princìpi della medicina che sono strettamente legati alla prassi medica, quanto applicare ad una disciplina specifica e modificare - pur restando fedeli ai suoi princìpi e alle sue intenzioni - quell’arte generale elaborata da Lullo per tutte le scienze e per tutte le occasioni, così che chiunque possa giungere facilmente alla piena conoscenza della vera medicina”.4

A Lullo dedicò un singolare libello anche uno studioso napoletano (che incontreremo più avanti) con il titolo “Glosa sopra Raimondo Lullo e sopra la turba filosofica per prodursi oro et argento mediante la natura e l’arte dilucidata dal nobile Scipione Severino Napolitano”, Venezia 1684. Ma torniamo alla ricerca delle lontane origini. Un viaggio a ritroso che, migliaia di anni prima di Jung, conduce nel tempo e nel mondo in cui chi guariva il corpo era lo stesso che guariva l’anima. Un tempo assai lontano, in cui, ad esempio, la parola-suono aveva “l’effetto di una medicina invisibile”. Ecco cosa scriverà, in epoca barocca, il medico e scienziato danese Oluf Borch più noto come Olaus Borrichius: “… dicono le Sacre Scritture, ossia i libri, che esista una certa specie di geni che fa uso di donne... Questo dunque ricordano le Vecchie e Divine Scritture, che gli Angeli attirati da desiderio di 4.  Giordano Bruno, “Medicina Lulliana”, in “Opere magiche”, Adelphi, Milano 2000.

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donne, insegnarono loro tutte le opere della Natura... Da essi, tramandano le medesime Scritture, nacquero i Giganti. Pertanto il loro primo insegnamento su quest’arte è ‘chema’: chiamarono peraltro quel libro ‘chema’: da cui anche è chiamata la stessa arte Chemia”.5 Borch colloca la nascita dell’ermetismo prima del Diluvio universale, riprendendo così l’alchimista egiziano Zosimo, che fu tra i primi a scrivere (in greco) in maniera sistematica dell’Ars. È la tradizione che vuole che Thot, il dio della sapienza (sarebbe poi stato assimilato a Ermete), abbia messo in salvo tutta la dottrina sopravvissuta al Diluvio conservandola sulle colonne nella terra di Cham, cioè l’Egitto. La ricerca dell’armonia perduta dunque era cominciata in Mesopotamia, in Egitto, in Oriente, migliaia di anni fa, sin da quando, come raccontano i più antichi testi sacri, circa duecento “angeli” erano scesi sulla Terra per accoppiarsi con le donne (la discussione sul sesso degli angeli è sempre stata un clamoroso equivoco) e, soddisfatti dell’incontro con le “belle e buone” terrestri, avevano insegnato loro alcuni preziosi segreti, tra i quali: come coltivare la terra, come far uso delle erbe che potevano guarire, come trasformare le cose. Sulla delicata questione, come è noto, si soffermerà nel 1931 Julius Evola nel suo “La tradizione ermetica” - testo essenziale per approcciare all’universo ermetico - nel quale, citando Marcellin Bertehlot (“Introduction a l’étude de la chimie des anciens et du moyen age” ), ricorderà che proprio Ermete avrebbe fatto riferimento a certi “libri antichi” che spiegavano come “certi angeli presi dalla brama per le donne” discesero sulla Terra “e insegnarono loro i segreti della Natura”. E ancora: “Sono essi (gli angeli, ndr) che hanno composto le opere ermetiche e da essi viene la tradizione prima di quest’Arte”.6 Essendo la questione delle origini di una palese rilevanza, ci verrà concesso di aprire un piccolo inciso relativo ad un aspetto preliminare: la corretta traduzione dei passi biblici di riferimento. Perché, come è emerso con nettezza grazie alla recente rilettura fatta dallo studioso Mauro Biglino (la traduzione letterale del testo masoretico), i cosiddetti “angeli”, come si è accennato, non avevano proprio niente di angelico (di etereo, di spirituale, di sacro), anzi, erano figure fin troppo concrete che oltre ad accoppiarsi sessualmente con le donne terrestri mangiavano, bevevano, si sporcavano, si 5.  Palese l’eco del profeta biblico Enoch sulla bramosia sessuale degli “angeli”: “E scesi sulla Terra si unirono con le donne terrestri e insegnarono ad esse incantesimi e magie, e i segreti di piante e radici. Ed esse rimasero incinte e generarono giganti...” (“Libro di Enoch”, II sec. a.C.). 6.  Julius Evola, “La tradizione ermetica”, Edizioni Mediterranee, Roma 2006.

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Un Caduceo in una incisione marmorea conservata nel Museo delle Arti Sanitarie di Napoli. Simbolo antichissimo raffigurato persino su una tavoletta d’argilla sumera


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stancavano e spesso terrorizzavano chi li incontrava (anche a causa dei micidiali ordigni che imbracciavano, come il “kherev”, un’arma che “bruciava e portava alla rovina” ).7 E i loro figli, quelli generati con le donne del pianeta, saranno peggio di loro, come annoterà anche lo scrittore latino Giuseppe Flavio: “Erano empi, orgogliosi, arroganti…” (tutte le caratteristiche che i Greci attribuirono ai Giganti).8 Difatti quando Yahweh si accorse di quello che avevano provocato i “Nefilìm” (traduzione testuale: “Quelli che erano scesi” ), cioè l’imbarbarimento della razza, la diffusione dei “segreti” (che avevano comunicato alle loro compagne terrestri), deciderà semplicemente di annientare tutto il genere umano: “Sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato, dall’uomo fino agli animali domestici, fino ai rettili e fino agli uccelli perché sono pentito”. Decisamente un po’ troppo irascibile e violento per essere un dio d’amore e comprensione, e anche, occorre dire, alquanto sprovveduto per essere un dio onnisciente (avrebbe dovuto sapere che creature con quelle caratteristiche si sarebbero comportate esattamente in quel modo); e per la verità pure un po’ eccessivo nella sua crudeltà: perché prendersela anche con gli animali? Per fortuna l’iracondo dio del Vecchio Testamento (non a caso chiamato anche “il guerriero”) avrà un parziale ripensamento in extremis e grazie alla famosa arca di Noè qualcuno si salverà; tuttavia appare chiaro che si tratta di evidenti “incongruenze” che si possono spiegare solo con massicce manipolazioni dei testi originari e clamorosi equivoci interpretativi. Lasciamo per ora le stranezze dei racconti antichi ma restiamo sempre in tema di remote origini per ricordare che la vicinanza tra la storia dell’alchimia e quella delle arti sanitarie si può vedere anche in un simbolo che abbiamo ancora oggi sotto gli occhi: il caduceo. Eccone l’affascinante storia. La verga sulla quale si attorcigliano simmetricamente due serpenti e che culmina in alto con due ali spiegate è un simbolo antichissimo e in diverse versioni lo si trova praticamente ovunque, tra gli Hittiti, i Babilonesi (era associato al re Gudea e al dio Ningishzida), i Fenici, gli Ebrei, gli Egiziani e anche nell’Estremo Oriente. Il simbolo dei serpenti incrociati è stato raffigurato per la prima volta sui sigilli usati nell’antica Sumeria, circa quattro-cinquemila anni prima dell’èra cristiana, ed era 7.  “Bibbia” (Cronache, cap. 21). Si veda “Il dio alieno della Bibbia - Dalla traduzione letterale degli antichi codici ebraici”, di Mauro Biglino. 8.  Nato a Gerusalemme nel 37 circa e morto a Roma intorno all’anno 100, Flavio Giuseppe (o Giuseppe Flavio) fu scrittore, storico, politico e militare romano di origine ebraica (ma scriveva in greco); le sue preziose testimonianze si trovano in “Antichità giudaiche”.

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indicato come l’emblema del dio EN.KI. (chiamato anche E.A.), il quale, come raccontano i testi sacri, insieme alla dea madre SHI.IM.IT. (o anche Ninhursag-Ninti) costruirà il primo Adam (l’Adamo della Bibbia), così chiamato perché con la parola “adama” si indicava la Terra, dunque il primo terrestre. Secondo diversi studiosi moderni - e stando anche alla traduzione letterale dei testi antichi - si sarebbe trattato di un esperimento di modificato genetica effettuato su una specie di Homo erectus e avrebbe dato vita all’Homo sapiens (il che spiegherebbe anche il salto evolutivo tra le due specie e anche l’esistenza di una singola “Eva mitocondriale”). Le due divinità, oltre ad aver dato vita all’uomo “geneticamente manipolato” (è stato anche fatto notare che il disegno dei serpenti incrociati ricorda la struttura elicoidale del Dna), venivano indicati come i “medici” che si occupavano degli aspetti sanitari di tutte le altre divinità che vissero tra il Tigri e l’Eufrate per lungo tempo lasciando tracce consistenti (e molto concrete) della loro esistenza. È l’emblema del leggendario Ermete Trismegisto, “tre volte grandissimo”, il padre dell’ermetismo, il cui bastone con i serpenti - che rappresenta, tra l’altro, il sommo equilibrio e la sapienza universale, compresa quella medica - in seguito sarà associato al dio greco Hermes (Mercurio per i Romani) e al semidio-terapeuta Asclepio (addestrato alle arti sanitarie dal centauro Chirone). Simbolo anche di prosperità e di pace, il caduceo ermetico negli Inni omerici (III, 529) è chiamato “aureo” e possiede una straordinaria potenza di fascinazione (attraverso gli occhi) dei mortali, al punto da poterli addormentare o svegliare, ma è in grado pure di trasformare in oro gli oggetti che tocca e di attrarre i morti dall’Oltretomba. Omero ne parlerà anche nell’“Iliade” in un passaggio invero straordinario: “La bacchetta mediante la quale il dio incanta a suo piacere gli occhi dei mortali o sveglia coloro che dormono” (canto XXIV). Il racconto mitologico, come tanti altri, fu poi assorbito dal cristianesimo ma sempre in una chiave di guarigione: “Il Signore disse a Mosè: ‘Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita’. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta. Quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita” (Numeri, 21:8-9). Per la precisione va detto che i compagni di Mosè erano stati morsicati dai serpenti per rappresaglia: il solito Yahweh li aveva puniti del fatto che si erano lamentati - nella fattispecie del vitto (solo manna) scatenandogli contro dei rettili. 16


Preludio

Nel Medioevo era detto caduceo il bastone rivestito di velluto e fiorito che era portato dagli araldi e dai re d’armi. In alchimia il caduceo viene ricondotto alla sintesi di zolfo e mercurio e nel simbolismo della guarigione fisica e della farmacopea. Ma indica anche la capacità di dominare il caos, creando armonia (spirituale e fisica) tra diverse opposte posizioni (il bene e il male) che ruotano intorno all’Axis mundi. Qualche studioso, poi, ha fatto notare il legame tra l’antico simbolo e un altrettanto remoto rimedio, ancora in uso, destinato a curare la dracunculosi, una malattia infettiva diffusa soprattutto in Africa, Medio Oriente, India e Pakistan. Il nome deriva da “Dracunculus medinensis” (il “draghetto di Medina”), un verme che si colloca nei tessuti sottocutanei degli esseri umani, i quali lo introducono nell’organismo attraverso l’ingestione di copepodi (piccoli crostacei presenti nell’acqua) infestati dalle larve del parassita. Per estrarre il micidiale verme (la femmina adulta) dal corpo si usa ancora avvolgerlo delicatamente a un bastoncino, un’operazione molto lenta e delicata, affidata a medici esperti perché se il lungo parassita si spezza non c’è modo di recuperare la parte rimasta dentro.9 Il caduceo è il simbolo delle arti e delle associazioni mediche internazionali e in Italia, in particolare, è quello dell’Ordine dei farmacisti.

Antichi racconti, libri, film, psicologia Certo, parlare di Alchimia nell’abbrivio del Terzo millennio può apparire ai più come uno spregiudicato tuffo nelle fantasiose astrusità emerse dall’oscura età del mezzo, un ingenuo sguardo rivolto all’immaginario letterario e cinematografico dell’Ottocento e del Novecento, magari pensando a libri come “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo, o “L’opera al nero” di Marguerite Yourcenar (che nella trasposizione cinematografica avrà un grande Gian Maria Volontè nei panni di Zenone), oppure “L’angelo della finestra d’occidente” di Gustav Meyrink (ispirato alla vita di John Dee); tutte opere in qualche modo figlie (e nipoti) dello Shakespeare della “Tempesta” (e del suo mago-alchimista Prospero) ma anche de “L’alchimista” di Ben Johnson (con il suo “Dottor Sottile” simbolo di tutte le ciarlatanerie, le frodi e i luoghi comuni sull’alchimia). Ma non solo. Si potrebbe tirare in ballo tanto, troppo altro, perciò ci limiteremo - per un giro d’orizzonte 9.  Nel film “Il senso di Smilla per la neve”, tratto da un romanzo di Peter Høeg del 1992, si trattava invece del dracunculus borealis.

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letterario - a quattro titoli di romanzi a loro modo significativi: “Cent’anni di solitudine” del premio Nobel Gabriel Garcia Márquez, “Il Pendolo di Foucault” di Umberto Eco, “Harry Potter” di Joanne Kathleen Rowling, “L’alchimista” di Paulo Coelho. Come si vede, poi, l’alchimia - con i suoi simboli immortali - non smette di suscitare grande attenzione (e pure di far fare un sacco di soldi a editori e produttori cinematografici e televisivi). Divagazioni culturali e altro ancora: le inevitabili imposture di bieca natura commerciale dei “soffiatori” (come in passato venivano indicati i falsi alchimisti), quasi tre secoli di ciarpame pseudo occultistico a scopo criminale (truffare le persone in difficoltà emotiva), ma anche la ricercata oscurità del linguaggio dell’Ars, nonostrante l’imbarazzante mediocrità e superficialità del periodo storico, ancora oggi suscitano ancora oggi uno spiacevole e tuttavia comprensibile atteggiamento di pregiudizievole diffidenza. Ma, come ebbe a dire il medico e chimico Georg Ernst Stahl: “Ove vi sia un dubbio, l’opinione della maggioranza è sicuramente sbagliata”. E a tal proposito ci perdonerà James Hillman se riprendiamo un’altra citazione da uno dei suoi straordinari lavori, lì dove ricorda le parole del matematico Godfrey Harold Hardy: “È sempre una perdita di tempo, per un uomo di prim’ordine, esprimere l’opinione delle maggioranze”. L’immenso allievo di Jung e il suo geniale maestro all’Ars hanno dedicato studi e scritti fondamentali, tra i quali ricorderemo solo: “Psicologia e alchimia”, “Mysterium coniunctionis” (Jung), e “Psicologia alchemica” (Hillman) dove tra l’altro si legge: “Il linguaggio alchemico è una modalità di terapia; è terapeutico in sé”. Altro che fantasie letterarie, digressioni artistiche e deliri medievali. Del resto è ben noto che il grande maestro svizzero fondatore della Psicologia analitica “pose nell’alchimia il fondamento teoretico e storico della propria opera”, e anche come abbia dedicato molti anni e molto lavoro all’elaborazione di “una base alchemica per la psicologia del profondo”.10 Ancora un brano dello psicanalista statunitense: “La tensione verso la guarigione nella vita longissima è presente dal primo giorno nella fantasia stessa della totalità e proviene dal caelum inteso come unus mundus. (…) Benché in quanto quintessenza, il caelum spesso compaia in una fase avanzata dell’opus, a volte (Paracelso, Figulus) esso è considerato requisito preliminare di qualunque operazione alchemica. (…) Il caelum, dunque, è uno stato estetico 10.  James Hillman, “Psicologia alchemica”, Adelphi, Milano 2010; Carl G. Jung, “Psicologia e alchimia”, Bollati Boringhieri, Torino 2006.

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della mente, dal quale dipende l’intero opus. Visualizzatelo come un cielo notturno disseminato dei corpi aerei degli dèi, le costellazioni astrologiche che sono a un tempo bestiario e geometria, partecipi di tutte le cose del mondo come loro terreno immaginale. Il caelum non ha luogo dentro la nostra testa, dentro la nostra mente, ma è la nostra mente che si muove nel caelum, che sfiora le costellazioni”.

Dai vertiginosi meandri della psiche e dell’anima passando per il corpo e tutto quello che può servire a garantirgli le giuste attenzioni: la biologia, la botanica, la farmaceutica e ancora prima la chimica.

Etimologie, origini, vecchie storie e cronache giornalistiche L’alchimia ha costituito uno dei primi passaggi dall’esercizio (spesso sacrale) del guarire all’arte e alla scienza medica e, come è noto, ha aperto la strada del metodo scientifico e della chimica moderna. Quest’ultimo legame è ricordato dalla stessa etimologia della parola, di derivazione araba, “al-kīmiyya” o “al-khīmiyya”, termine composto dall’articolo determinativo al- e della parola kīmiyya che significa per l’appunto “chimica” (dal greco “khymeiam”, cioè “fondere” o “colare insieme”, “saldare”, “allegare”),11 come ebbe a ricordare già Plutarco precisando che con la parola “Kémi” (“al” è l’articolo) gli Egiziani designavano originariamente la scienza ermetica, ovvero la scienza sacerdotale (“Iside e Osiride” ). Una proto-chimica, per dir così, che fu innanzitutto al servizio della creazione e produzione di composti e di farmaci sempre più sofisticati ed efficaci, come peraltro hanno recentemente ricordato nel loro libro anche due autorevoli storici della Farmacia, Leonardo Colapinto e Antonino Annetta: “Il grande merito dell’alchimia è stato quello di aver messo in pratica metodi sperimentali basati sull’osservazione e sull’applicazione elaborando cognizioni e scoperte che sono all’origine della chimica e della tecnica farmaceutica fondata sull’azione molecolare delle sostanze”.12 Un nuovo, fondamentale impulso quello che giunse dagli alchimisti, che andò ad accentuare e perfezionare l’attività dei cosiddetti “rizotomoi”, cioè quegli esperti che in epoca greca (sugli indirizzi offerti da Ippocrate) si erano specializzati nella patologia e nella botanica proprio per individuare e raccogliere e utilizzare le radici delle piante medicinali. E sempre in tema 11.  Secondo altri, l’etimologia sarebbe da collegarsi alla parola cinese “kim-iya”, che significa “succo per fare l’oro”. 12.  Leonardo Colapinto e Antonino Annetta, “La magnifica arte: dall’alchimia alla moderna tecnica farmaceutica”, Aboca edizioni, 2010.

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di farmaceutica delle origini, va sottolineato che i testi sviluppati dai medici della “Schola medica salernitana” hanno costituito per molti secoli un punto di riferimento per tutti i ricettari e le farmacopee europee. A testimonianza di ciò basta ricordare che quello che oggi è considerato il primo trattato di farmacologia a uso dei farmacisti apparso nel mondo, il “Compendium Aromatorium”, realizzato dal più famoso esponente della Schola di Salerno: il medico Saladino d’Ascoli (nato in Puglia e vissuto intorno al 1450).13 Occorre rammentare che solo nel XIII secolo, esattamente nel 1233, quando l’imperatore Federico II di Sicilia promulgò l’editto noto come “L’Ordinanza Medicinale”, si ebbe una netta separazione tra la professione medica e la professione farmaceutica, e da quel momento ai medici fu vietata la preparazione dei farmaci. Alchimia e medicina, dunque, mantennero un legame antichissimo in Europa e nel bacino del Mediterraneo come nella solo apparentemente lontane India e Cina14. Scrive il professor Seyyed Hossein Nasr: “Lo studio dell’alchimia nei secoli scorsi in Occidente è stato per la maggior parte dominato da uno spirito scientifico totalmente insensibile alle dimensioni extraspaziali della realtà, e cieco al linguaggio dei simbolismi attraverso i quali gli stati più elevati dell’essere rivelano se stessi nella matrice del mondo spazio-temporale”. E aggiunge poi: “È una scienza (l’alchimia, ndr) del cosmo e dell’anima connessa allo stesso tempo alla cosmologia, al processo di realizzazione spirituale e quindi alla psicologia tradizionale, alla medicina, alla scienza dei metalli, alla chimica nonché all’arte. (…) Fin dall’inizio, c’è stato senza dubbio un rapporto tra pratiche iniziatiche e spirituali da un lato, e ‘sostanze’ esterne usate per ottenere salute, longevità e immortalità dall’altro, rapporto che si è pienamente manifestato nella storia indiana più recente. (…) la creazione di un’immagine globale di questa disciplina arcana, che è allo stesso tempo arte e scienza, e che in effetti riguarda l’uomo stesso, come sostanza che deve essere trasmutata e resa meritevole d’immortalità…”.15 Scriverà Syed Mahdihassan: “Dal Rasayana, ‘alchimia indiana’, siamo finalmente giunti alla vera ‘alchimia dell’India’: la prima era basata in origine sulle erbe, la seconda sul mercurio; ambedue preparavano sostanze medicinali per l’immortalità”.

13.  Della Scuola medica salernitana si parla più diffusamente in un altro capitolo. 14.  Il grande medico-alchimista cinese Pao-p’u-tzu scrisse: “Per ottenere l’immortalità è assolutamente necessario ingerire della medicina”. 15.  Seyyed Hossein Nasr, dalla prefazione a “Alchimia indiana”, di S. Mahdihassan, edizioni Mediterranee, Roma 1998.

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Dalle rive del Gange a quelle del Mar Morto. Non è certo un caso se il racconto di una famosa guarigione - quella del re siriano Naaman ad opera del profeta Eliseo16 - è l’episodio dal quale prende avvio l’“Aesh Mezareph” (o “Esh Metzaref ” ), ovvero l’unico trattato conosciuto di alchimia cabalistica, una preziosa opera che fonde l’esoterico insegnamento della Kabbalah ebraica con la tradizione ermetico-alchemica occidentale. Dello straordinario testo (di autore ignoto, l’originale aramaico è andato perduto) - che è stato ricostruito sulla base di vari frammenti successivamente raccolti nella monumentale opera di Knorr von Rosenroth “La Kabbala Denudata” (Sulzbach 1677) - scriverà in tempi a noi vicini anche il famoso studioso (filosofo, teologo e semitista israeliano) Gerschom Scholem: “Tre tipi di contenuto lo compongono: un contenuto puramente cabalistico, che riguarda il simbolismo mistico dei metalli nella loro connessione alle Sefirot e cita, si noti, lo Zohar non più di una sola volta; un contenuto puramente chimico, che in sostanza descrive singole operazioni e processi, senza alcun rapporto con le altre parti del testo; e infine, come a concludere ogni capitolo, una parte astrologica che descrive gli amuleti planetari corrispondenti ai vari metalli, e fornisce materiale rilevante per l’indagine sulle origini di tale scritto”.17

Il volume è stato tradotto in italiano solo qualche anno fa da Sergio Magaldi, il quale nella efficace prefazione ha scritto pure: “Per l’anonimo autore di ‘Aesh mezareph’ l’uomo è una pietra grezza che deve essere sgrossata; più ancora, collegando il corpo umano con le Sephiroth dell’Albero della vita, l’uomo deve apprendere a purificare i metalli impuri che si trovano in lui. Se riuscirà nell’impresa, non otterrà ricchezze materiali ma acquisterà in cambio longevità e saggezza”.18

Saggezza e longevità, e quindi, come si diceva, anche la guarigione da tutte le malattie, magari passando proprio attraverso quelle realizzazioni che furono al centro degli studi e delle pratiche dell’alchimia, soprattutto 16.  Il profeta Eliseo - “Colui che raccolse il manto di Elia” (quando il vecchio profeta fu portato via con un carro volante e scomparve per sempre) - è ricordato sia nell’Antico Testamento (“Libro dei Re” e “Siracide”) sia nel Nuovo Testamento (“Vangelo di Luca”). 17.  Gerschom Scholem, “Alchimia e Kabbalah”, Einaudi, Torino 1995. 18.  “Aesh mezareph (Fuoco purificatore)”, in appendice “I quadrati magici” di Federico Pignatelli, Pericle Tangerine, Roma 2004.

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quelle medievali: “Questa medicina è fatta con la sostanza dell’oro, mediante un procedimento filosofico, per quanto esso debba essere tenuto segreto per evitare che se impadroniscano i malvagi e che persone indegne possano arrivare a questo speciale dono di Dio, a quest’opera grande nell’arte della natura”, scrive nel 1384 il medico e astrologo di re Carlo V Tommaso da Bologna all’alchimista Bernardo Trevisano.19 Qualche anno prima, nel 1317, papa Giovanni XXII aveva emanato una decretale contro gli alchimisti che però non condannava l’alchimia come arte magica o diabolica o come eresia ma bensì attaccava gli alchimisti truffatori. A chiarire l’ambiguità del documento, qualche anno dopo, sarà la scoperta che il pontefice mentre ufficialmente prendeva le distanze dalla Grande Opera (come un po’ tutti nella Chiesa) in realtà dava ordine di pagare il suo medico personale (il vescovo Gaufré Isnard) affinché questi potesse acquistare degli alambicchi necessari “a delle segrete opere alchemiche”. Di segreto, in verità, c’era ben poco: nel laboratorio del palazzo di Avignone si lavorava per fabbricare delle medicine alchemiche proprio come avveniva in tutti i laboratori d’Europa. Cure che però non devono aver portato sufficiente giovamento e serenità al Papa, al secolo Jacque Duèse, che nel 1327 firmerà la tristemente nota bolla “Super illius specula”, il documento che metterà le basi della demonologia medievale e dunque dello sterminio passato alla storia come caccia alle streghe. Prima della strage di donne e bambine però, qualche anno dopo sull’Europa si abbatterà un altro e più grande flagello, efficacemente indicato con il nome di Morte Nera. I medici dibatteranno a lungo sull’efficacia del farmaco alchemico conosciuto come “quintessenza” - realizzato e descritto dal frate francescano Giovanni da Rupescissa - su quell’incubo che fu la prima pandemia abbattutasi sul continente, la peste che dal 1347 al 1353 provocherà oltre venticinque milioni di morti. “Tutte le campane avevano smesso di suonare…”, scriverà di lì a poco un cronista sopravvissuto all’ecatombe rendendo bene l’idea del “day after”. Sulla questione dell’efficacia del rimedio si era peraltro pronunciato lo stesso alchimista e religioso francese - dopo aver elencato rimedi e ricette per altre sventure sanitarie - provando a chiarire nel suo famoso scritto: “Sarebbe da pazzi e da sciocchi cercare una medicina quando la malattia è inguaribile ed è stata inviata a uccidere le genti per potente imperio di Dio (…) sarebbe troppo arduo per noi contrastare il suo pungolo”. Poi, dopo aver ricor19.  Si veda anche Eugene Canseliet, “L’Alchimia spiegata sui suoi testi classici”, Edizioni Mediterranee, Roma 1985.

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dato i vari riferimenti biblici all’ira di Dio (quello sanguinario e stragista del “Vecchio Testamento” ovviamente), Rupescissa spiegherà pure che gli esseri umani possono morire “per morte naturale nel momento stabilito da Dio”, “oppure per morte violenta”, ma anche in modo più casuale o persino occasionale “come accade a coloro che si riempiono troppo di cibo o vivono in maniera dissoluta... o cadono in preda alla disperazione…”, e solo in questi ultimi casi si può provare a porre rimedio con la medicina alchemica.20 All’alchimista francescano - va ricordato - si deve l’affermazione in Italia della cosiddetta “arte della distillazione”. Anche se già un secolo prima alcuni medici, a cominciare da Taddeo degli Alderotti, avevano trovato il modo di aggiungere alcune erbe alla “aqua ardens” (l’alcol) per curare alcune malattie, tra cui l’alopecia, la scabbia, i problemi digestivi e pure la depressione. Rupescissa indica il modo per estrarre la “quintessenza” - sostanza ricavabile dai corpi terrestri ma dotata di una virtù celeste - da vari elementi: erbe medicinali, animali, vino, mercurio, oro. La quintessenza conferisce incorruttibilità e può quindi conservare il corpo umano nello stato di salute. Un secolo dopo sarà il medico Michele Savonarola, con il suo “Libellus de aqua ardenti” (1484), a spiegare i segreti e l’efficacia terapeutica dell’aqua ardens ottenuta dopo diverse distillazioni. Lo seguirà il naturalista e chimico Pietro Andrea Mattioli, che considera migliori i farmaci ottenuti con la distillazione a base di sostanze minerali. Poi sarà il turno del napoletano Giovan Battista Della Porta, il quale nel decimo libro della celeberrima “Magia naturalis” (1568) - che nel 1609 sarà ripubblicato separatamente con il titolo “De distillazione” - offrirà un mirabile compendio dell’arte della distillazione.21 Rispetto alla possibilità di guarire i malanni fisici con la scienza alchemica, intervistato dal giornalista Giuseppe Del Bello per il quotidiano “la Repubblica”, lo studioso Massimo Marra ha spiegato: “Fino a tutto il Rinascimento, e per una buona parte del Barocco, il legame tra una concezione del cosmo sacra, quale quella neoplatonica ed ermetica (…) e la teoria e pratica della medicina rimane saldissimo. (…) Identificazione, raccolta e composizione dei diversi ingredienti dei farmaci, applicazione e posologia delle cure, tutto obbediva ad una logica che integrava il soggetto in una vasta rete di corrispondenze e simpatie universali”.22 20.  Giovanni da Rupescissa, “Liber de consideratione quintae essentiae”, (1351-‘52), Basilea 1561. 21.  Di Giovan Battista della Porta si parla più avanti. 22.  “I misteri dell’alchimia, la scienza alla base della medicina moderna”, “la Repubblica”, 24 febbraio 2015.

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Dal passato al futuro passando per il Terzo millennio, al cui principio la scienza e la medicina s’interrogano sempre di più sugli elisir vitae. Basti pensare all’articolo del “Corriere della Sera” dal titolo “Se i premi Nobel promuovono l’elisir di lunga vita”, nel quale si racconta di una nuova iniziativa farmacologica dagli esiti ancora incerti ma potenzialmente rivoluzionari. Eccone qualche passaggio: “La fontana dell’eterna giovinezza, l’elisir di lunga vita, il fungo dell’immortalità (il Reishi) che portò a oltre 80 anni in buona salute uno dei più importanti imperatori della Cina di qualche millennio orsono. L’umanità, tra scienza e parascienza, ha sempre cercato il segreto per arrivare a età bibliche in buona salute. Che poi significa prevenire ogni malattia che vada a minare l’integrità psico-fisica”. L’autore dell’articolo, il noto giornalista scientifico Mario Pappagallo, aggiunge poi: “Un salto di qualità, se così si può definire, si è registrato negli anni post mappatura del genoma, allorquando il «gioco» tra ambiente e geni ha delineato come esistano sostanze in grado di attivare o spegnere geni chiave. Soprattutto, quanto sia importante evitare i meccanismi infiammatori cellulari. E si è arrivati a individuare scientificamente una serie di interruttori di lunga vita attivabili dalla restrizione calorica, dal resveratrolo (un enzima del vino), dalla rapamicina (da una radice dell’isola di Pasqua, oggi potente farmaco anti-rigetto), dal Nad (nicotinamide adenin dinucleotide, molecola chiave dei processi metabolici)”.

E proprio questa molecola è al centro della sperimentazione. Un ex professore del Mit di Boston, Leonard Guarente, ha trasformato il Nad in un prodotto da banco da vendere in farmacia, un integratore di quelli che esistono solo negli Usa e si chiamano “Medical food”, e per questo ha creato una “start-up” che ha avuto la benedizione di ben cinque premi Nobel (tra cui Martin Karplus, vincitore per la Chimica nel 2013). Il costo dell’elisir? Sessanta dollari al mese all’incirca. Non tanti, ma come correttamente ricorda il giornalista si tratta di “elisir sperimentati sui topi: li hanno fatto vivere un terzo in più del naturale. E in buona salute. Poi falliti sui primati: giovinezza prolungata, ma non la vita. E sull’uomo? Ipotesi, nessun test”.23 Ma torniamo agli scienziati di nostra competenza, quelli del passato. Anche perché la ricerca di rimedi e cure anche per il corpo, nel corso del tempo ha accomunato quasi tutti i più grandi alchimisti della storia, uno 23.  “Se i premi Nobel promuovono l’elisir di lunga vita”, “Corriere della Sera”, 8 febbraio 2015.

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su tutti: Paracelso, il medico che nella prima metà del Cinquecento diede vita alla Medicina Spagirica e alla Iatrochimica, due dottrine oggi alla base dei concetti di medicina olistica e omeopatia.

Spagirica e Iatrochimica La “Spagirica” - il termine proviene da due radici greche, “spaein” (estrarre) e “ageirein” (riunire) - si basa sulla convinzione che nell’uomo sano le forze dense e sottili siano in perfetto equilibrio e che la malattia abbia luogo quando questo equilibrio viene spezzato: a quel punto il medico, dopo aver individuato la causa della malattia, può trovare il giusto percorso di guarigione (e le adeguate sostanze vegetali e minerali da adoperare) per ricondurre il paziente alla sua originaria armonia, ma la vera guarigione però non può venire che dal paziente stesso, perché, come spiega Paracelso, i sistemi terapeutici si limitano a fornire le spinte necessarie all’auto-guarigione. Benché spesso di difficile o esaustiva comprensione, le idee paracelsiane ebbero un grande seguito in tutta Europa, e in alcuni casi furono integrate dalle nuove conoscenze o si cercò di farle conciliare con i principî medici ippocratico-galenico-arabici, come nell’opera del medico Andrea Libavio, il cui lavoro fu determinante per lo sviluppo della futura chimica. Ma un cenno va fatto al lavoro di personaggi come Oswald Croll (“Basilica chymica” la sua opera capitale), Robert Fludd, Jean-Baptiste Van Helmont, Pietro Potier di Angers (autore di una “Pharmacopea spagirica” ); Giovanni Hartmann (sua la prima cattedra di Chemiatria, creata nell’università di Marburgo, autentico crogiolo di alchimisti); Raimondo Minderer (lo scopritore dell’acetato di ammonio); Lazarus Rivier (suo il calomelano sublimato); Adrian Mynsicht (che per primo descrisse il tartaro emetico), Raphael Eglinus. Fondamentale nella spagirica è la scelta delle piante e dei minerali a seconda del disturbo da riequilibrare, dal momento che per gli alchimisti tutto ciò che esiste nel macrocosmo si riflette nel microcosmo e attraverso il principio dell’analogia è possibile riconoscere le caratteristiche e le qualità delle piante e dei minerali e utilizzarle per riarmonizzare il corpo e la mente. In sintesi: le piante come i minerali hanno delle precise corrispondenze energetiche (con gli organi dell’uomo, i pianeti e altro ancora) e possiedono proprietà terapeutiche particolari, che naturalmente vanno sfruttate nelle giuste combinazioni e misure. Così, tanto per fare un esempio, la 25


Una tavola del “De humani corporis fabrica” di Vesalio, una cui copia è conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli


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forza solare dell’Iperico, pianta che fiorisce durante il solstizio d’estate, è usata come energizzante psico-fisico e antidepressivo naturale.24 Cure e farmaci che si basavano (e ancora si basano) su un lavoro di tipo chimico. Ma sul rapporto tra alchimia e chimica è d’uopo, preliminarmente, ricordare l’opinione di uno più grandi studiosi di esoterismo del Novecento, il francese René Jean-Marie-Joseph Guénon, secondo il quale il passaggio dall’una all’altra fu sostanzialmente involontario; in pratica si trattò delle conseguenze di un’incomprensione o meglio una “derivazione-deformazione”. Ecco cosa scriverà in uno dei suoi libri più fortunati: “La verità è che non si è sempre provato il bisogno di dichiarare espressamente che si trattava d’altro, che al contrario doveva proprio esser velato dal simbolismo a cui si ricorreva; e, se è successo in seguito che qualcuno l’abbia dichiarato, è stato soprattutto in presenza di degenerazioni dovute al fatto che vi erano allora persone le quali, all’oscuro del valore dei simboli, prendevano tutto alla lettera e in un senso esclusivamente materiale: erano i «soffiatori», precursori della chimica moderna”.25

Opinione che sarà condivisa da molti e ribadita anche dall’illustre studioso di alchimia (e Gran Maestro della Massoneria del Grande Oriente) Giorgio Tron. In ogni caso, a margine, possiamo dire che anche se si fosse trattato solo di un mero incidente di percorso, di un’involontaria degenerazione “tecnica”, il risultato finale è stato comunque una benedizione per la crescita dell’umanità. Tornando alle arti sanitarie, in generale va ricordato che la rivoluzione paracelsiana - che aprì la strada alla Iatrochimica (che insieme con la Iatromatematica o Iatrofisica impersonarono in gran parte le dottrine medico-scientifiche del XVII secolo) - vide tra i suoi protagonisti anche Giambattista van Helmont (che ha introdotto la parola “gas” in Chimica, il densimetro nell’analisi dell’urina, ha scoperto l’anidride carbonica e i meccanismi del succo gastrico e della bile), Joseph Duchesne detto Quercetanus (la cui “Pharmacopea” fu tradotta in italiano nel 1619), il clinico Tommaso Willis (per il trattato medico-chemiatrico “Pharmaceutica rationalis” del 1674), ma pure Luca Porzio, Luca Tozzi, Carlo Musitano, Alessandro Pascoli, Michelangelo Andriolli e sotto un certo punto di vista anche Bernardino Ramazzini. Per lungo tempo i confini tra alchimia e chi24.  Si veda anche “Le chiavi della filosofia spagirica”, di Le Breton, Edizioni Mediteranee, Roma 1983. 25.  René Guénon, “Simboli della scienza sacra”, Adelphi, Milano 1990.

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mica sono stati assai labili: la preparazione di farmaci andava di pari passo con i tentativi di trasmutazione dei metalli, alle attività di distillazione e alla produzione di tinture, tuttavia la pratica squisitamente alchemica, come è stato fatto notare, aveva delle sue peculiarità: il contesto “filosofico” nel quale si inseriva, un linguaggio simbolico che era un tutt’uno con quelle raffinate tecniche di occultamento che non si è mai smesso di usare. L’idea di base della Iatrochimica paracelsiana - dal greco iatros (ιατρός) medico e dal greco chemeía chimica) - era quella di lavorare appunto di fusione tra la medicina e la chimica, nella convinzione che la salute dell’organismo dipenda soprattutto da uno preciso equilibrio tra i componenti chimici dei fluidi corporei. Ecco dunque l’esigenza dell’interpretazione dei processi biologici (come quello fermentativo) in una visione essenzialmente chimica e la visione del corpo umano come “fornace chimica” nella quale si susseguono tutti quei processi chimici che occorre mettere in luce per poter agire sulla malattia, ovviamente attraverso preparati medicinali anch’essi di natura principalmente chimica. A questo proposito va ricordato che molti di quei rimedi individuati cinque secoli fa sono ancora in uso nella moderna farmacopea, tra cui l’acetato ammonico, il colchino, l’etere solforico (o etere dietilico), il laudano, il tartaro emetico o la tintura di ferro. Un percorso che aveva preso le mosse, secoli addietro, nei laboratori degli alchimisti del passato, basti dire che già nel 1160 l’acido nitrico veniva usato per separare l’oro dall’argento (sotto forma di lega) e l’acido solforico si produceva bruciando zolfo sotto una campana di vetro in un recipiente pieno d’acqua (per distillazione dall’allume). Fino al diciannovesimo secolo la cura delle malattie resterà affidata principalmente ai cosiddetti “semplici”, termine con il quale si indicavano sia le piante medicinali sia i farmaci, che sino al Rinascimento erano principalmente i “bolus” (dal latino, “grossa pillola”), gli elettuari (decotti o infusi), i fumenti, gli impiastri, i linimenti, i vini medicinali.

Medicina nell’antichità: dalla Mesopotamia a Pompei Per inquadrare meglio questo nostro percorso storiografico è forse il caso di fare qualche passo indietro e tornare a Epidauro, nel tempio di uno primi medici in assoluto: Asclepio (figlio di Apollo), che fu allievo di Chirone, il centauro esperto nelle arti sanitarie (fu lui che curò Achille sostituendogli la caviglia danneggiata con quella di un gigante morto, un certo Damiso che era un gran corridore, e da lì il “piè veloce” dell’eroe della 28


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guerra di Troia). Superbo medico fu pure un figlio di Asclepio, quel Macaone che, come racconta Omero, fu tra i protagonisti della guerra di Troia: curava le ferite degli Achei ma al tempo stesso combatteva comunque nelle battaglie, e guarì la ferita di Menelao causatagli dalla freccia scoccata da Pandaro, episodio quest’ultimo raffigurato in diverse opere d’arte.26 Dall’universo mitologico - sempre fortemente simbolico e archetipico ci giunge notizia anche di un altro dio della medicina, Shadrapa, colui che insegnò i segreti delle cure del corpo ai Fenici, e in seguito viene annoverato tra gli Elohìm, gli esseri che caratterizzano i testi della più remota antichità, compreso il Vecchio Testamento, come ha spiegato bene il biblista e traduttore Mauro Biglino. A proposito di cristianesimo, nella tradizione biblica l’angelo della medicina è Raphael, e al suo nome s’ispirerà per uno dei suoi pseudonimi l’alchimista seicentesco Raphael Eglinus Iconius: “Angelus Medicus”, il quale scriverà di Paracelso e di medicina ermetica. La medicina delle origini, quella che ereditava il pensiero del mondo greco-romano, aveva messo al centro l’idea del connubio di quattro elementi - fuoco, aria, terra e acqua. Essa viene descritta da Anassimene di Mileto (586-528 a.C.) e ripresa e sviluppata dal filosofo di Agrigento Empedocle (480-430 a.C.), che la inserì in un ambito mitologico (Fuoco-Zeus-caldo e secco; Aria-Era-calda e umida; Terra-Edoneo-fredda e secca; Acqua-Nesti-fredda e umida) e immaginò un equilibrio dinamico retto dalla forza cosmica e divina dell’Amore (filotas) e osteggiato dalla Discordia (neikos). È nella Magna Grecia che la téchne medica si sviluppa all’interno della epistéme aristotelica. Saranno i medici ellenistici, dal III secolo a.C., soprattutto Erofilo e Erasistrato, entrambi della Scuola di Alessandria, a modificare strutturalmente la scienza medica mettendo in primo luogo al centro di essa il problema della salute, e cioè la comprensione dello stato naturale, normale dei corpi, invece di privilegiare lo studio della malattia. Il riferimento era quello che oggi è considerato il padre della Medicina: Ippocrate di Kos (460-377 a.C.), che riuscirà a sganciare la medicina dall’originario impianto magico-religioso sviluppando un’articolata teoria degli elementi e definendo l’esistenza dei cosiddetti quattro “umori” di base (bile gialla, sangue, bile nera o atrabile, e flegma o pituita), corrispondenti agli elementi cosmici universali (già indicati dai 26.  Un esempio importante è visibile nella Farmacia storica degli “Incurabili” dove, sul soffitto della Gran Sala, si può ammirare l’imponente dipinto a olio realizzato nel 1750 dal pittore napoletano Pietro Bardellino.

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predecessori) e cioè fuoco, aria, terra e acqua (e i loro attributi).27 Dall’equilibrio di questi umori-elementi si origina la salute (e quindi la malattia in caso di squilibrio), ma anche il temperamento degli uomini: collerico, sanguigno, malinconico o flemmatico. Le teorie ippocratiche rimarranno in vigore per molti secoli e saranno riprese anche dal medico e filosofo romano Galeno di Pergamo (130-200 d.C.), il quale svilupperà anche una concezione anatomica e fisiologica dell’uomo - basata su una physis (natura) armonica nel mondo - che dominerà per tredici secoli la medicina europea fino al Rinascimento, e in particolare all’opera di Vesalio.28 La saggezza greca si rivelò di estrema importanza anche per gli aspetti per così dire botanico-farmaceutici, la base cioè dei rimedi naturali alle malattie: dopo Ippocrate si occuperanno di botanica officinale sia l’allievo prediletto di Aritotele, il famoso Teofrasto (che per primo affronterà il problema della definizione delle classificazione delle piante nel “De historia plantarum” ) sia il medico e farmacista Pedanio Dioscoride, il quale, grazie al fatto di aver vissuto anche in Asia minore, ebbe modo di elencare nel suo celebre libro oltre quattrocento piante con proprietà medicinali (una rara copia della sua opera, nota come “Dioscoride napoletano”, è conservata alla Biblioteca nazionale di Napoli). Dalle dolcezze delle cure floreali alla cruenta pratica della chirurgia, le cui prime tracce si ritrovano addirittura nel “Codice di Hammurabi” e nei più antichi papiri egiziani (per restare in un’area geografica culturalmente a noi vicina); in seguito ne parlerà il grande Ippocrate (che però non l’amava, presumibilmente per le atroci sofferenze che provocava e la morte che spesso seguiva a causa delle infezioni). Nell’antica Grecia chi la praticava doveva rigorosamente indossare abiti corti per essere meglio identificato e distinto dai medici veri e propri (che invece vestivano lunghe tuniche drappeggiate). E tanto per restare nella Campania dell’antichità - come è noto, terra di Greci e di molti altri - ricorderemo gli strumenti chirurgici rinvenuti negli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, che confermano quanto la pratica della chirurgia fosse molto avanzata già in epoca romana. Tra gli strumenti chirurgici ritrovati: specilli (sonde), bisturi (compresi quelli detti “panciuti”), divaricatori; tutti oggetti che peraltro, come altri strumenti di epoca greco-romana, nella loro forma e funzione sono pressoché identici a quelli usati ancora oggi. Conoscenze 27.  Ippocrate ebbe anche il merito di elaborare una sorta di codice deontologico che è rappresentato nel giuramento che prestano ancora oggi i medici. 28.  “De humani corporis fabrica” (Venezia 1543).

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e capacità confermate sia da Aulo Cornelio Celso nell’ultimo volume del suo “De Medicina” (nel quale descrive interventi per la cataratta, tonsillectomie, craniotomie, incisioni degli ascessi, litotomie, cura delle fratture e manovre ostetriche complesse) e sia, un secolo dopo, dal medico dei gladiatori Galeno, che aggiunse importanti nozioni di anatomia grazie alle autopsie effettuate sui cadaveri dei morti nell’arena (ma pure alle vivisezioni sui maiali),29 come sull’uso degli oppiacei per lenire il dolore fisico, e sulle norme igieniche generali. Dettaglio quest’ultimo affatto secondario, come dimostra efficacemente l’attenzione del mondo romano per la cura del corpo (mens sana in corpore sano) che prese la forma di varie iniziative dedicate proprio a questo tipo: si pensi solo all’estrema diffusione di terme, acquedotti e bagni pubblici (curiosamente privi di distinzione tra uomini e donne), ai sistemi fognari, ma anche alla creazione dei “Valetudinaria”, che possono essere considerati una sorta di pronto-soccorso del tempo, e infine degli ospedali da campo che erano al servizio dei chirurghi militari al seguito delle Legioni (Giulio Cesare fu il primo a strutturare una vera e propria sanità militare degna di questo nome).30 E a proposito dei tempi più antichi, scrive Elémire Zolla: “Non a caso arsenico e mercurio, imbalsamanti come sono, hanno sì vasta parte nell’elisir d’immortalità della tradizione taoista, come notò Sivin. Il culto delle mummie in Egitto potè essere anche un ingenuo tentativo di conferire a tutti (dapprima ai soli capi) la prerogativa dei «liberati». Come lo spirito aurifico dall’oro quando ha compiuto l’opera sua, così lo spirito si stacca dalla mummia del suo corpo. Il corpo di resurrezione o di gloria come metafora spoglia il corpo del santo stillante balsami, come la pietra filosofale il lingotto d’oro”.31

Medioevo: le immagini, i santi e i primi ospedali Nel Medioevo anche la cura dei malanni del corpo - oltre a quelli dell’anima - diventa una questione di competenza della Chiesa, che all’inizio li considera semplicemente una punizione divina. Dunque la guarigione non può giungere dalle medicine - che ovviamente al tempo erano poche e in 29.  Analoghe esperienze avvenivano in Campania, soprattutto a Pompei e nell’antica Capua, l’attuale Santa Maria Capua Vetere (in provincia di Caserta), nel cui anfiteatro, ancora parzialmente in piedi, nacquero prima la storia e poi la leggenda di Spartacus. 30.  Per gli antichi romani, la regola in guerra era che un medico vale più di cento soldati. 31.  Elémire Zolla, “Le meraviglie della natura. Introduzione all’alchimia”, (introduzione di Grazia Marchianò), Marsilio, Venezia 2005.

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genere di incerta efficacia - ma innanzitutto dalla preghiera, magari rivolta al santo per così dire “specializzato” in quel particolare disturbo fisico (in genere in base alle sue vicissitudini terrene): San Rocco per la peste, San Biagio per gola, santa Lucia per gli occhi, sant’Agata per il seno, sant’Antonio per la lebbra e le malattie della pelle (soprattutto l’herpes); per il mal di testa poi si poteva scegliere per uno dei santi decollati (a Napoli, ad esempio c’era sant’Aspreno, la cui cappella è stata meta di sofferenti di mal di testa fino a pochi decenni fa).32 Mentre i santi “medici”, Cosma e Damiano, furono inevitabilmente individuati come protettori di chirurghi, speziali e barbieri-cerusici. Da una Medicina teurgica si passerà dunque a una Medicina monastica, ovvero a un’assistenza basata sulla pietas cristiana che veniva esercitata nei complessi religiosi. Sin dall’Alto Medioevo nei chiostri dei conventi non manca mai un “Hortus sanitatis”, il “giardino dei semplici”, destinato alle piante medicinali, che era affidato a un monaco-infermiere (il cosiddetto “monachus infirmarius” ), il quale, con l’ausilio di altri religiosi, svolgeva le funzioni di erborista, speziale e terapeuta (e il pensiero va al “Nome della Rosa” di Umberto Eco). Ma oltre alla medicheria per i monaci, le abbazie e conventi si arricchiranno presto di una vera e propria struttura sanitaria aperta a tutti: era l’Hospitale pauperum et pelegrinum, che in genere veniva realizzato a una certa distanza dalla chiesa e dalle celle. Una tendenza ufficializzata e ulteriormente incentivata dal Concilio di Aquisgrana, nell’817, nel quale i vescovi confermeranno la massima: “Ogni convento un ospizio”. Nelle strutture religiose, va ricordato, c’erano anche le poche biblioteche dove si conservano gelosamente i manoscritti greci e latini sopravvissuti ai barbari o appena tradotti dagli arabi (che a loro volta li avevano ereditati da egiziani e greci), in primis quelli relativi all’alchimia, alla farmaceutica, alla botanica e ovviamente alla medicina. Un incontro non casuale che darà vita a grandi sviluppi nelle varie discipline e alla formazione di studiosi di respiro internazionale. La Medicina e la Scuola medica monastica saranno poi quasi stroncate (ma non i fermenti che erano stati messi in moto) dalla stessa Chiesa con le ferree disposizioni decise in diversi Concili, a cominciare da quello di Reims nel 1131, che vietava a monaci e canonici di studiare ed esercitare medicina traendone un guadagno (evidentemente c’era chi faceva business sulla sofferenza già allora). La cura per le anime insieme con quelle per il corpo. Per molto tempo l’attività chirurgica fu delegata ai cosiddetti “cerusici” (“cheir-cheiros”: 32.  La struttura ipogea - che conserva l’altare con il buco dove i malati infilavano la testa - è ancora visibile nel palazzo della Borsa.

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mano, ed “ergon”: lavoro), perlopiù dei barbieri che erano tuttavia subordinati a un medico, un doctor phisicus, la cui figura professionale sarà a lungo distinta da quella del chirurgo (che per molto tempo fu ritenuta di basso profilo). I barbieri oltre a tagliare o tingere barbe e capelli, infatti, praticavano regolarmente i salassi (uno degli interventi più frequenti e diffusi) e le estrazioni dentali, incidevano gli ascessi, cercavano di acconciare le ossa rotte e spesso si lanciavano pure nell’esame dei “segni” corporei (odore della pelle, alito, aspetto della pelle). Oltre ai cerusici, categoria comunque regolamentata, vanno poi ricordati gli altri operatori sanitari del tempo, ovvero quelle particolari figure di “ambulanti” che si occupavano di una chirurgia e di una medicina che potremmo definire “on the road”: erano perlopiù degli strampalati praticoni o, più spesso, degli improbabili quanto micidiali ciarlatani-truffatori. Del resto era facile approfittare della sofferenza dei tanti, tantissimi malati, vittime della denutrizione o della cattiva alimentazione (per le carestie), del costante imperversare di morbi ed epidemie, e dell’assenza di rimedi efficaci (come gli antibiotici ad esempio). In un certo senso si può tranquillamente dire che erano più i malati che i sani, oltre al fatto che per morire era sufficiente un banale raffreddore o una piccola infezione. Inevitabile, dunque, una certa fragilità psicologica che accentuava la disposizione a cedere alle suggestioni degli imbonitori di piazza pronti a vendere pozioni miracolose.33 Nel Medioevo, per secoli, la medicina fu praticamente tutt’uno con l’astrologia e la filosofia. Le stelle tornavano a essere un fattore decisivo per la salute. I medici, anche quelli più apprezzati e famosi, non si mettevano all’opera e non profferivano verbo senza aver prima preso atto della situazione astrale. Il famoso medico e filosofo Avicenna (980-1037 d.C.), nel suo celebre trattato “Canone della Medicina” (il “Quanum” ), spiegherà che “le prescrizioni mediche dipendono direttamente dall’Astronomia…”. Il medico e astrologo Pietro d’Abano, nei primi anni del Trecento, spiega con le congiunzioni astrali i mutamenti della qualità dell’aria e del cibo necessari a prevenire le malattie prima ancora che a curarle. La Scuola medica salernitana, come vedremo, inaugura il genere letterario dei “regimina sanitatis”, ovvero degli agili manuali divulgativi scritti in latino e in volgare e destinati praticamente a tutti quelli che sapevano leggere, arricchiti di elenchi di ricette e consigli relativi in particolare all’igiene e alla dietetica. 33.  Ancora oggi, nel Terzo millennio, in Italia ogni anno migliaia di persone si rivolgono a “maghi” e “guaritrici” magari provviste di un pedigree televisivo.

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Stelle e pianeti; una questione storicamente molto meno strampalata e astrusa di quanto possa apparire oggi, come ha evidenziato anche un articolo apparso qualche anno fa su un autorevole quotidiano nazionale, il cui titolo recitava “Medicina e astrologia: l’ascendente della salute”.34 Nel testo, tra l’altro si legge: “Può succedere però che la vera scienza concordi con l’astrologia: uno studio dell’Università di Modena appena pubblicato sulla rivista ‘Human Reproduction’ sembrerebbe confermare inaspettatamente credenze vecchie di secoli”. Seguono esempi sulle donne scorpione “femmine fatali, difficili e tempestose, ma comunque affascinanti, con una sessualità che cova sempre come un fuoco sotto la cenere” o sulle “dolcissime pesci” che “invece, sono sospese fra cielo e terra, tutte prese da sogni metafisici e, sempre più attratte dal mondo dello spirito”.35

Sempre nell’Età di Mezzo, poi, il sapere teorico-pratico dei medici-alchimisti si era arricchito di nuove indagini e di più raffinate tecniche destinate a rendere ancor più profondo il legame con le arti mediche e molto altro. Nei laboratori alchemici infatti si usavano sempre più spesso le cosiddette “acque”, ovvero gli acidi minerali prodotti con articolati sistemi di sublimazione e distillazione che peraltro rimandavano all’alchimia pratica delle origini. Come quella tecnica oggi conosciuta e usata da tutti (in cucina) che si chiama “bagnomaria” (da “Balneum Mariae”, in latino medievale), che prende il nome da una leggendaria donna alchimista: Maria la Giudea, la quale mise a punto il metodo per imitare le condizioni naturali e riscaldare lentamente (e distillare) miscele di varie sostanze per ottenere l’elisir. Tecniche che entreranno ben presto nella preparazione dei medicinali, si pensi solo ai farmaci a base di “acqua di rose” descritti nei ricettari salernitani del XII secolo e quelli a base di “aqua vitae” o “aqua ardens”. Come avrà modo di ricordare Louis Figuier, è in questo periodo (dal XIV secolo) che l’alchimia diventa una presenza molto importante in tutta Europa: “I medici, in ragione delle loro conoscenze più estese, provavano per l’alchimia una predilezione tutta speciale, e le loro idee sotto questo riguardo sono sufficientemente caratterizzate dal voto ch’espresse nel secolo XI il dotto medico Joackim 34. Cesare Peccarisi, “Corriere - Salute”, inserto del “Corriere della Sera” del 26 giugno 2005. 35.  Le scoperte di questo tipo - in particolare sull’influenza del luogo di nascita - sono sempre più frequenti in diversi campi delle scienze.

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Tancke di creare in tutte le università una cattedra di alchimia…”.36 Una richiesta quest’ultima che non deve meravigliare, perché prima di essere stretta dalle gabbie mentali del positivismo e segnata dal “marchio” dell’irrazionalità, l’alchimia fu annoverata tra le scienze ufficiali - anche se per la sua difficile collocazione nelle classificazioni medievali rimase sempre estranea ai curricula universitari - e dunque venne regolarmente studiata insieme a materie come l’aritmetica, la cosmologia, la fisica o la musica. Di pari passo con le altre scoperte scientifiche, o persino in anticipo, già prima del Rinascimento dai laboratori alchemici erano stati messi a punto diversi composti chimici largamente usati per le preparazioni mediche.37 In arcaiche formule e particolari alambicchi si cercava la trasmutazione dei metalli ma pure la fabbricazione dell’elisir della vita eterna, una complessa esplorazione che, come si è detto, darà vita a composti, ricette e soluzioni terapeutiche che nel corso del tempo finiranno per porre le basi delle future scienze sanitarie. È il tempo in cui le spezierie-farmacie cominciano a diventare luoghi d’incontro per le élite. Ricerca e sperimentazione ma anche molte riflessioni filosofiche e studi che inevitabilmente alimentavano la discussione sulle misteriose origini dell’Arte Sacra. Ecco, ad esempio, cosa scriverà il frate francescano Simone da Colonia: “Ermete disse: l’Alchimia è una sostanza corporea da uno e per uno, composta con preziosa sottigliezza per decorazione alternata, raggiungente l’effetto nella stessa miscela naturale, convertente in genere migliore. Un altro dice: è una scienza che insegna a trasformare ogni genere di metallo in un altro, per mezzo di una medicina propria, come appare da molti libri filosofi. Perciò è da sapersi che è una certa qual scienza così chiamata da un filosofo di nome Alchimo e quest’Arte insegna a fare una medicina chiamata Elixir…” (“Speculum minus alchimiae”).

Da Paracelso a Newton passando per Hieronymus Bosch Caratteristiche precipue del Rinascimento furono la curiosità e il recupero dall’oblio delle arti e delle lettere. Anche l’alchimia e la medicina ne godranno appieno, grazie all’ingegno di Paracelso. Nella prima metà del Cinquecento le sue teorie si abbattono come un ciclone su entrambe le discipline e fanno volare per aria sia le parrucche degli accademici sia gli 36.  Louis Figuier, “L’alchimia svelata”, Basaia, Roma 1988. 37.  Ivi.

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alambicchi dei “metallurgici”. Il suo pensiero impose una svolta epocale: “Qualcuno ha scritto a proposito dell’alchimia che essa serve a fabbricare l’oro e l’argento - dice Paracelso - ma il vero scopo per me non è questo, ma lo studio delle doti e delle proprietà medicinali”. E ancora: “Trattiamo ora del terzo fondamento vale a dire l’Alchimia, su cui riposa la Medicina. Se il medico non è sommamente esperto in essa, tutta la sua arte è inutile. (…) Se un medico deve dunque sapere queste cose, conviene anche che egli sappia che cos’è il calcinare, che cosa il sublimare, non soltanto con la mano, ma anche con la trasformazione interna che è più importante dell’altra. (…) E il medico deve possedere l’arte della maturazione, giacché egli è l’autunno, l’estate, e l’astro che deve portarla a compimento”.38

Dopo Paracelso niente sarà più come prima. E per ancora molto altro tempo l’alchimia - che con geniale intuizione Canseliet definirà “una metafisica sperimentale” - fece parte del patrimonio scientifico di ogni uomo di cultura degno di questo nome, compresi alcuni santi e padri della Chiesa (nonché filosofi di levatura planetaria) come Tommaso d’Aquino e il suo maestro Alberto Magno, ma anche colui che si può tranquillamente definire uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi: sir Isaac Newton. “Newton non fu il primo scienziato dell’età della ragione. Piuttosto fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei Babilonesi e dei Sumeri, l’ultima grande mente capace di vedere con gli occhi di coloro che cominciarono a costruire il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa”, così dirà nel 1942 il grande economista di fama mondiale John Maynard Keynes, dopo aver studiato le carte contenute in un baule venduto ad un’asta di Sotheby’s. Documenti che dimostrano inoppugnabilmente (anche se c’era chi lo sapeva già) che il Newton presunto razionalista si era occupato di alchimia per quasi tutta la vita, scrivendo migliaia di pagine; un interesse profondo - tenuto nascosto anche per evitare le ire degli inquisitori - che avrebbe segnato tutta l’attività dello scopritore della teoria della gravità.39 Dalla lettura delle carte autografe del matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo e alchimista inglese emergono due fatti incontrovertibili: il 38.  Paracelso, “Paragrano, ovvero le quattro colonne dell’arte medica”, Francoforte 1565. Edizione italiana ES (tratta dalla Sudhoff) a cura di Ferruccio Masini, Milano 1988. 39.  Si veda anche Cesare Medail, “Newton: la via alchemica alla legge di gravità”, “Corriere della Sera”, 23 febbraio 2001.

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primo è che lo scienziato passava la maggior parte del suo tempo a indagare la Grande Opera, il secondo è che proprio lo studio e le ricerche sull’Ars esercitarono un influsso fondamentale sulle sue scoperte scientifiche.40 Fu, insomma, un unico percorso - come del resto era avvenuto anche per altri scienziati come il chimico Boyle - dentro il quale tutto fluiva nella stessa direzione. Altro che mela sulla testa: a ispirare Newton furono gli insegnamenti di Ermete e di Pitagora e dei grandi alchimisti del passato - come il Sendivogius (per la teoria dell’attrazione) - e la cosmogonia alchemica (il Tempio di Salomone) per la gravitazione. Del resto, con la modestia e la tranquillità dei veri grandi, lo stesso Newton ammetterà: “Se io ho visto più lontano è perché mi sono levato sulle spalle di Giganti”. Tornando in ambito strettamente sanitario, va detto che il recupero delle tradizioni antiche fece sì che sino a tutto il XVII secolo non vi fosse una reale differenza terminologica tra alchimia e chimica, anzi, i due termini erano considerati sinonimi anche in latino. Per avere una prima distinzione bisognerà attendere la fine del Seicento e i primi del Settecento. Sono anche gli anni in cui l’alchimia fu ormai di casa un po’ ovunque ma pur sempre in un vertiginoso tutt’uno con il mondo della terra e quello delle stelle, macrocosmo e microcosmo, e magico punto d’incontro tra diversi mondi che sedurrà profondamente alcuni tra i più grandi artisti della storia. Tra il Quattrocento e il Cinquecento, infatti, vedranno la luce alcune tra le più sensazionali opere d’arte di ispirazione alchemica di tutti i tempi, capolavori firmati da autentici giganti della pittura. Il primo dei quali è senza ombra di dubbio l’immenso Hieronymus Bosch, del quale un monaco secentesco dirà: “… gli altri (pittori, ndr) cercano di dipingere gli uomini quali appaiono all’esterno, mentre soltanto costui ha l’audacia di dipingerli quali sono all’interno”. Nei suoi impressionanti simbolismi visionari il maestro olandese (il suo nome era Jeroen Anthoniszoon van Aken) non mancò di raffigurare la malattia e anche il tentativo di curarla, come nel caso de “La cura della follia” (oggi al Museo del Prado di Madrid). O come nel “Regno Millenario”, laddove, seguendo le analisi di Wilhelm Fraenger, nella caverna di Pitagora tra il creatore e la donna (Eva-Sibilla) si riverbera “la tradizione antica del medico-sacerdote”, ovvero l’ideale di “un essere che si prende cura nello stesso tempo delle necessità fisiche e di quelle spirituali”.41 Tra le altre celebri opere di Bosch - che 40.  Si vedano anche: M. White, “Newton l’ultimo mago” (Rizzoli, Milano 2001) e Betty J. T. Dobbs, “Isaac Newton scienziato e alchimista. Il doppio volto del genio” (Edizioni Mediterranee, Roma 2002). 41.  Wilhelm Fraenger, “Hieronymus Bosch: il Regno Millenario”, Abscondita, Milano 2006.

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continuano a sconvolgere l’osservatore - ricorderemo il trittico “La tentazione di sant’Antonio” (a Lisbona), “La nave dei folli” (al Louvre) e il celeberrimo “Giardino delle delizie” (a Madrid), la cui prima documentazione storica risale al 1517, quando un canonico di Molfetta (Bari), tale Antonio De Beatis, ne scriverà nel suo “Diario di viaggio” (ancora inedito in Italia).42 Altre opere di grande importanza e bellezza sono quelle di David Teniers il Giovane (“L’alchimista” ), di Albrecht Dürer, a cominciare dallo strepitoso “Melancolia I”; di Francken Hieronymus Elder (“Magica alchimia”; di Thomas Wyck (“L’alchimista e il suo laboratorio” ); e naturalmente i lavori di Brueghel e Van Eyck. Ma non si può chiudere la parentesi sull’arte alchemica senza una sia pur fugace citazione di André Breton: “Comunque, il capolavoro dell’alchimia è la tela, in apparenza pienamente ortodossa, di Valdés Leal, la celebre Finis gloriae mundi della cattedrale di Siviglia, trionfante immobilizzazione della corruzione universale, dove perfino il Nulla è costretto a mutarsi in trompe-l’oeil, e dove l’arte non ha ormai altra funzione che ripercuotere la sinfonia di una valle di Giosafat interiore. ‘L’Ermes ignoto’ invocato da Baudelaire è qui, per costruire, alle soglie della materia stellata, i ‘grandi sarcofagi’ dove l’uomo completa la sua scomparsa in quanto uomo”.43

Il buio dei lumi, l’aurora del Novecento “Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius”: nel diciottesimo secolo l’esigenza dell’occultamento che ha sempre accompagnato gli alchimisti diventa quasi una sfida allo spirito dell’Illuminismo. Così, nel vivace tourbillon scientifico del Settecento, quando ormai gli alambicchi e i crogioli erano guardati con sempre maggior sospetto, con il drastico imporsi della “ragion pura” l’Alchimia verrà definitivamente relegata al di fuori dei circuiti ufficiali, associata agli oscuri retaggi dei secoli bui, incatenata all’universo “irrazionale” delle primitive superstizioni. Tra i pochi a scriverne senza timori ci sarà Louis Grassot, nel 1784: “La Grande Opera dei Saggi è al primo posto tra tutte le cose belle. La Natura senza l’Arte non può realizzarla, e l’Arte senza la Natura non può intraprenderla. È un capolavoro che completa e corona la potenza di entrambe. I suoi effetti sono 42.  Dalmazio Frau, “L’Arte Ermetica: Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck”, Edizioni Arkeios, Roma 2014. 43.  André Breton, “L’arte magica”, Adelphi, Milano 1991.

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tanto miracolosi che la salute che essa procura e conserva ai viventi, la perfezione che essa conferisce a tutti i composti della natura, le grandi ricchezze che essa produce in modo del tutto chimico, rappresentano solo una parte, e non certo la più bella, delle sue meraviglie. Dio l’ha creata quale agente perfetto della Natura, ed Essa ha ricevuto lo stesso potere dal Cielo per la Morale. Se si purificano i corpi si illuminano gli Spiriti (…) L’Alchimia produce meraviglie nella Natura introducendo nei corpi la purezza assoluta, ed opera miracoli nella Morale illuminando gli Spiriti di Luce perfetta” (“La filosofia celeste”).

“Se si purificano i corpi si illuminano gli spiriti”, scriveva il medico di Montpellier, ma il secolo dei lumi, come è noto, produrrà inevitabilmente molte ombre e altrettanti chiaroscuri. Un secolo dopo, poi, la “notte dei lunghi coltelli” delle camicie brune del positivismo d’assalto rinchiuderà studiosi e adepti dell’Ars dentro biblioteche e laboratori. E, tranne l’eccezione di qualche rara avis, bisognerà attendere il conturbante Novecento perché qualcuno si alzi tra le macerie e nuove autorevoli voci comincino ad abbattere i muri del fondamentalismo scientista consentendo di riaprire riflessioni e dibattiti liberi e profondi su vasta scala. Eccone qualche schematico esempio in una sintetica panoramica. Julius Evola: “Nella sua profondità l’universo figurativo dell’alchimia non è accessibile al pensiero astratto che domina al giorno d’oggi. Bisogna smettere per una volta gli strilli del pensiero speculativo e ascoltare con gli ‘orecchi del cuore’ se in noi non vibrino corde affini a questo simbolismo. Siamo all’incontro di due mondi: uno che si trova fuori dal tempo, al di là del pensiero, prima e oltre la dimensione storica, e l’altro temporale, storico e vincolato al pensiero dialettico”.44 Carl Gustav Jung: “Oggigiorno siamo effettivamente in grado di scorgere in che modo l’alchimia abbia preparato la strada alla psicologia dell’inconscio: da un lato lasciando in eredità, senza volerlo, nella messe dei suoi simboli, un insieme di rappresentazioni simboliche che si rivela di inestimabile valore per i metodi di interpretazione moderni; e, dall’altro, indicando con l’intenzionale ricerca di una sintesi procedimenti simbolici che riscopriamo nei sogni dei nostri pazienti. Oggi possiamo vedere come l’intero processo alchemico volto all’unificazione degli opposti può rappresentare anche l’itinerario di un singolo uomo verso l’individuazione, con la differenza non trascurabile che un indivi44.  J. Evola, “La tradizione...”, op. cit.

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duo non potrà mai uguagliare, nella sua produzione simbolica, la ricchezza e l’ampiezza dei simboli dell’alchimia”.45 Elémire Zolla: “Come riacquistare la sensibilità e le arti alchemiche? Guardandoci d’attorno con esultanza. Soltanto a questo patto, sollevando una gleba odorosa, spiccando un frutto, contemplando le iridescenze di gioielli o di cascate, lo splendore d’un incarnato umano o d’una liscia pelliccia o d’una folgorante colata di metalli, forse si saprà sentire la presenza animatrice che ha plasmato e va plasmando queste materie, e ora le stringe e indurisce nel pugno, ora le sbriciola o fa scorrere liquidamente tra le dita, ora le accarezza e fa brillare. Il segreto dell’arte alchemica e d’ogni sapienza sta nella capacità di intuire con esaltazione questa mano solerte, invisibile ai distratti e ai tristi”.46 James Hillman: “Per la psiche, l’oscurità di espressione è naturale. Prova ne siano i nostri sogni: meri bagliori. Per salvare i fenomeni della psiche occorre il metodo alchemico del caos, un metodo che lascia libero corso alla sorprendente bellezza e libertà di invenzione dell’anima e che sa parlare della psiche in modo psicologico e parlare alla psiche in modo immaginativo (…) Il linguaggio alchemico è una modalità di terapia; è terapeutico in sé”.47 Andrea De Pascalis e Massimo Marra: “Materia nomade, erratica, dai contorni identitari incerti, è ancora oggi difficile dare una definizione dell’alchimia all’interno della storia culturale dell’Occidente, definirne un territorio, una lingua. Terreno ibrido tra tecnica manipolatoria della materia e tensione soteriologica ad una rigenerazione microcosmica e macrocosmica, l’alchimia, con la sua natura anfibia, sfugge anche nella modernità, nonostante i molteplici tentativi ermeneutici epistemologici, storici, psicoanalitici, ad ogni tentativo di classificazione. Un altrove assoluto, una scienza degli imponderabili (secondo una nota definizione coniata da Elémire Zolla) in cui è assai complesso riconoscere radici e nozioni note, rassicuranti”.48

45.  Carl Gustav Jung, “Psicologia e alchimia”, op. cit 46.  Elémire Zolla, “Le meraviglie della natura. Introduzione all’alchimia”, (introduzione di Grazia Marchianò), Marsilio, Venezia 2005. 47.  J.Hillman, “Psicologia...”, op. cit. 48.  Da “Alchimia”, a cura di Andrea De Pascalis e Massimo Marra, edizioni Mimesis, Milano 2007.

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