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EDITOR’S LETTER

Request the English version at info@ipcm.it Sono passati solo due anni dal 2019 ma sembra di aver vissuto un salto temporale che ne ha annullato uno. Eppure abbiamo vissuto sia il 2020 sia il 2021, anche se per la maggior del tempo con assenza di certezze ma soprattutto con assenza di programmi e con una visibilità del futuro, anche immediato, ridotta al lumicino. Nello stesso lasso di tempo il digitale ha colonizzato ampie porzioni delle nostre vite, private e lavorative, diventando qualcosa di pervasivo, che percepiamo come un progresso importante ma anche come qualcosa di ineluttabile. Questa assenza di programmazione, unita all’oscillazione dei prezzi delle materie prime, alla richiesta di lavorazioni non più just-in-time ma just-in-case, alla crisi del trasporto marittimo con la penuria di container e i prezzi degli stessi schizzati alle stelle, nonché al dilagare dell’Industria 4.0 sta rafforzando una tendenza che era emersa già pre-pandemia: quella del re-shoring, ossia del ritorno delle aziende a una dimensione locale, valorizzando il proprio paese (o continente) d’origine, riportandovi un’attività economica che era stata trasferita al di fuori dei suoi confini. Il perdurare della pandemia e dell’instabilità a livello macroeconomico sta cambiando il modello della catena del valore globale. Il contrario della delocalizzazione, insomma, il goinglocal contrapposto alla globalizzazione. “Secondo gli esperti della A.T. Kearney, tra le prime società di consulenza al mondo, il re-shoring è favorito dalla rivoluzione digitale. Le aziende che vogliono raggiungere i più alti livelli tecnologici non hanno bisogno di una manodopera a basso costo specializzata in singole operazioni (elementi essenziali delle precedenti catene di montaggio), ma cercano personale qualificato e competente. L’industria 4.0, insomma, trasforma il modello di produzione, definisce nuove figure essenziali per le imprese e presenta la necessità di insediarsi in luoghi e modi diversi da passato. I paesi avanzati che hanno mantenuto un’ampia base manifatturiera, come America, Giappone, Germania e Italia, hanno chance importanti se sono in grado di sfruttarle. Si tratta di riportare in casa le produzioni a più alto valore aggiunto, puntando sulla qualità e non sulla quantità, ma continuando a lavorare per il mondo intero1” Questo breve editoriale, troppo breve per approfondire argomenti così vasti, discussi e impattanti sull’economia mondiale, vuole fornire qualche spunto di riflessione e dare una chiave di lettura per alcuni reportage e articoli che trovate all’interno di questa edizione di fine anno, come da tradizione uno dei numeri più importanti e vasti dal punto di vista dei contenuti. Il 2022 si avvicina a grandi passi, fare previsioni è impossibile perché ancora troppi sono gli elementi in gioco per stabilire come sarà dal punto di vista economico, se i parametri positivi registrati dall’inizio dell’estate saranno confermati. Ciò che mi sento di dire è che l’ottimismo e la resilienza che ci hanno condotto fin qui non dovranno mancare nemmeno nei prossimi mesi.

1 da un articolo di Stefano Cingolati, giornalista professionista specializzato in politica estera ed economia, su Il Foglio 17-18 aprile 2021

Alessia Venturi

Editor-in-chief Direttore Responsabile

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