Le favole tra Secchia e Panaro

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Le favole tra Secchia e Panaro Il territorio modenese visto con gli occhi dei bambini.

Favole scritte dalle classi terze e quarte, A/S 2014/15 delle scuole primarie di Modena e provincia.

Le favole tra Secchia e Panaro

Illustrazioni degli allievi dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena.

Raccolta di favole realizzata da

5ÂŞ edizione


Questa raccolta di favole è stata realizzata grazie agli alunni delle classi terze e quarte delle scuole primarie di Modena e provincia (A/S 2014/15), e illustrata da allievi dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Copertina, illustrazione di: Sara Gombia Quarta di copertina, illustrazione di: Samuele Gardinali Frontespizio, illustrazione di: Martina Lossi Progetto promosso dal Centro Commerciale i Portali

grazie al sostegno di Eurocommercial Properties Italia e Coop Estense

con il contributo di CIR food

in collaborazione con Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena

e con il patrocinio del Comune di Modena, Provincia di Modena e Regione Emilia Romagna

Progetto grafico di Proxima S.p.A. - Modena La presente pubblicazione è distribuita in omaggio a fronte di una donazione che verrà devoluta alle scuole che hanno partecipato alla realizzazione di questa raccolta.


Le favole tra Secchia e Panaro Il territorio modenese visto con gli occhi dei bambini.

5ÂŞ edizione



Quando 5 anni fa fu avviato il progetto “Le Favole fra Secchia e Panaro” non si immaginava di poter arrivare fino ad una quinta edizione. Il successo è dettato dalla conferma dell’infinita fantasia dei bambini, ma soprattutto dalla dedizione professionale del personale docente che sa stimolare questa fantasia coinvolgendo le scolaresche in attività inconsuete. Infatti, oltre alla realizzazione di una favola il percorso prosegue fino alla messa in scena e rappresentazione della stessa. Per il Centro Commerciale il progetto rappresenta il modo più partecipato per: - essere vicini al mondo della scuola primaria offrendo alle classi partecipanti la possibilità di integrare il proprio bilancio economico; - dare l’opportunità agli studenti dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena di mettere in pratica le loro tecniche espressive. Nel ringraziare i patrocini della Regione, della Provincia e del Comune, è quindi doveroso riconoscere l’impegno di tutti coloro che hanno dedicato il loro tempo alla buona riuscita del progetto: dagli insegnanti agli alunni, dagli illustratori al menestrello, oltre ai coordinatori dell’agenzia Proxima ed agli sponsor.

Erio Baraldi Direttore del Centro Commerciale iPortali



Ho letto con attenzione e grande simpatia questo libro, in cui sono state pubblicate alcune delle tante favole che voi, bimbe e bimbi di terza e quarta elementare “tra Secchia e Panaro”, avete scritto, con talento, candore e fantasia. Ho pensato a come presentarlo. Non è un compito facile: voi bambini usate parole così dirette e chiare, e noi adulti spesso ci perdiamo dietro a paroloni poco comprensibili. Come dice il Piccolo Principe, “gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose”. Allora, mi sono messo nei panni di mia figlia, Emma, che ha qualche anno meno di voi, ed ama leggere ed ascoltare le favole, ed ama sognare e giocare. Ed ho pensato che sarà felice di leggere favole scritte da altre bambine ed altri bambini. Perché sono bei racconti e perché le favole sono una finestra sul mondo, e quelle pubblicate qui sono una finestra sulla provincia modenese. Sono allo stesso tempo sogni e insegnamenti, che ci aiutano a distinguere il bene dal male, il buono dal cattivo, il bello dal brutto, spesso andando oltre le apparenze. Le favole parlano di noi e in questo caso parlano della nostra terra, della gente che ci vive e ci lavora e che ogni giorno deve renderla più vicina a un sogno e a una favola. Vi ringrazio quindi per il vostro impegno, ringrazio le vostre maestre ed i vostri maestri, ed il Centro Commerciale “i Portali” che è giunto ormai alla quinta edizione di questa iniziativa. Grazie di cuore e buona lettura,

Gian Carlo Muzzarelli Sindaco di Modena Presidente della Provincia di Modena



So che leggerete con amore speciale la favola scritta da vostro figlio assieme ai suoi compagni. Sono le debolezze di noi genitori. Ma non fermatevi ad una sola, leggete tutte le favole presentate in questo libro, piccolo ma ricco di meriti. In origine le favole avevano come protagonisti gli animali, che mettevano in scena vizi e virtù degli uomini. C’è anche chi sostiene che narrare favole fosse un modo degli schiavi di raccontare ciò che i loro padroni non volevano sentirsi dire. In ogni caso, le favole avevano sempre a che fare con la realtà. Ebbene, se leggete queste narrazioni vi accorgerete facilmente che spesso traggono spunto dalla realtà quotidiana di oggi e la rielaborano con la fantasia. Talvolta, nelle favole delle edizioni passate hanno fatto la loro comparsa i racconti dei più anziani: è bello che questo lavoro serva a saldare la trasmissione di esperienze tra le generazioni. I nonni, che leggeranno i lavori dei loro nipoti con un affetto se possibile ancora superiore a quello dei genitori, sono narratori di Storia con la “esse” maiuscola e di storie della vita passata. Sono memoria viva che offre anche pensieri per tirare quella morale con la quale di solito terminava ogni favola. Quanto ai bambini, sono loro i nuovi schiavi del mondo d’oggi? I nostri figli e i nostri nipoti sono moderni schiavi del consumismo e del conformismo? Io penso che lavori come questo mostrino che i risultati si ottengono con fatica, ricerca, fantasia, libertà di pensiero e questo è un ottimo insegnamento per far capire che nulla è gratuito e nulla è dovuto, ma che le belle cose si riescono a realizzare mettendoci impegno. Certo, probabilmente nessuno di questi ragazzini diventerà uno scrittore di favole; sono sicuro che tutti, però, sapranno utilizzare la loro fantasia e la loro capacità di inventare storie per difendersi da chi li vuole schiavi delle fantasie altrui. Se tutto ciò sarà possibile sarà anche merito di progetti come questo, che hanno coinvolto decine e decine di studenti: è un lavoro capillare che dura nel tempo. Occorre seminare per avere buoni raccolti. Se tutto ciò è realtà è sicuramente merito in primo luogo anche di tutti gli educatori e gli insegnanti che hanno speso tempo e passione. Grazie a tutti. Ps: Infine, un ultimo plauso a tutti gli studenti dell’Istituto Venturi, che hanno lavorato per raccontare con segni e con disegni le favole scritte dai ragazzini più piccoli, facendo di questo libro un piccolo gioiello di parole e immagini.

Stefano Bonaccini Presidente Regione Emilia-Romagna


“Secchia e Panaro: la magia dell’amore ” Illustrazione di: Martina Lossi


“Ambrogio Magna Magna� Illustrazione di: Martina Lossi


indice

La macina rubata

pag. 14

Secchia e Panaro: la magia dell’amore

pag. 22

Il tortellino e l’ombelico di Venere

pag. 30

Le rose senza spine

pag. 36

La Strada delle mani arcobaleno

pag. 42

Scritta da: classe 3ª B (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini” - Bastiglia (MO) Illustrazioni di: Samuele Falcone

Scritta da: classe 4ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Anna Frank” - Carpi (MO) Illustrazioni di: Alessia Gandini

Scritta da: classe 3ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Palestrina 10° Circolo” - Modena Illustrazioni di: Rosanna Gibellini

Scritta da: classe 3ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Matilde di Canossa” - Montefiorino (MO) Illustrazioni di: Enrico Mancini

Scritta da: classe 3ª e 4ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Madre Imelde Ranucci” - Palagano (MO) Illustrazioni di: Noemi Andreano


Ambrogio Magna Magna

pag. 50

Obizzo e Raimondina

pag. 56

Il gigante Abetino

pag. 62

Lo gnocco rapito

pag. 70

Pigneto il ciclope

pag. 76

Scritta da: classe 3ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Saliceto Panaro” - Saliceto Panaro (MO) Illustrazioni di: Marco Rubbera

Scritta da: classe 3ª C (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Ugo Foscolo” - Pavullo nel Frignano (Mo) Illustrazioni di: Enrica Martinelli

Scritta da: classe 4ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “M. Zerbini” - Selva di Serramazzoni (MO) Illustrazioni di: Matilde Carboni

Scritta da: classe 4ª A e 4ª B (A/S 2014/15) - Scuola Primaria Paritaria “San Giuseppe” - Sassuolo (MO) Illustrazioni di: Anna Marcaccini

Scritta da: classe 3ª 4ª 5ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Don Pifferi Pigneto” - Prignano (MO) Illustrazioni di: Chiara Opallo


La macina rubata Scritta da: classe 3ª B (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini” - Bastiglia (MO) Illustrazioni di: Samuele Falcone

T

anto tempo fa a Bastia c’era un mugnaio che si chiamava Gianbrein, era bravo nel suo mestiere e la gente, anche dei paesi vicini, gli portava il grano da macinare. Il mugnaio aveva una bellissima figliola di nome Margherita che aveva la carnagione bianca come la farina che macinava suo padre, i capelli biondi come il grano maturo e gli occhi azzurri come l’acqua che muoveva la ruota del mulino.

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La fanciulla oltre a essere bella era anche brava a preparare il pane: setacciava la farina con il setaccio, la impastava con la grama e cuoceva le pagnotte nel forno a legna, nel pastificio annesso al mulino. Il mugnaio e la figlia vivevano felici e sereni del loro onesto lavoro.

All’inizio del paese, nella torre, abitava un uomo dallo sguardo minaccioso che vestiva sempre di nero; gli abitanti del borgo lo temevano e lo evitavano perché lo ritenevano un uomo cattivo e dotato di strani poteri. Un giorno quest’uomo tenebroso, dall’alto della torre, vide passare Margherita e se ne innamorò. L’indomani andò dal mugnaio a chiedere in sposa la figlia, ma Gianbrein trovò un pretesto perché non voleva che Margherita sposasse un uomo con la sua fama.

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Il signore della torre, in collera, mentre si allontanava gridò: “Mi vendicherò per questo affronto!”. Il mattino seguente Gianbrein si alzò presto per mettere in funzione il mulino, ma si accorse che la macina era sparita, si mise le mani nei capelli e iniziò a gemere: “Ahimè, come farò a macinare il grano! Il signore della torre mi ha rovinato, povero me!”. Mentre si lamentava, sopraggiunse Ernesto, un giovane contadino che spesso portava dei sacchi di grano da macinare e che gli chiese il motivo della sua disperazione. Il mugnaio raccontò ogni cosa e il giovane, che era innamorato di Margherita, si offrì di recuperare la macina trafugata dall’uomo in nero, in cambio della mano di sua figlia. Il mugnaio accettò.

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Ernesto decise di partire e trovare un aiuto per risolvere il problema. Prese una bisaccia nella quale mise un paio di scarpe di ricambio con la suola di legno, perché prevedeva un lungo cammino; riempì una zucca d’acqua per dissetarsi durante il viaggio e passò dal mulino, dove Margherita lo aspettava per dargli alcune pagnotte che aveva cotto il giorno precedente. Ernesto partì e incontrò Salvatore, un carrettiere che si recava ad Ostiglia, gli chiese se poteva dargli un passaggio; Salvatore accettò. Appena giunti a destinazione Ernesto smontò dal carro, salutò e ringraziò il carrettiere e si incamminò. Dopo un po’ che camminava vide sul ciglio della strada, all’ombra di una quercia, una povera vecchia, scalza, che si lamentava poiché aveva delle dolorose piaghe ai piedi. Il giovane, senza indugi, tirò fuori dalla bisaccia il paio di scarpe di ricambio e gliele porse. La vecchia le accettò e per ringraziarlo gli donò un sacchetto pieno di polvere, e mentre glielo consegnava pronunciò queste parole: “Questa polvere, polverina ne basta pochina un pizzico solo e il cattivo prende il volo”. Ernesto ascoltò con attenzione le parole della vecchietta, mise il sacchetto nella bisaccia e proseguì il suo cammino finché non giunse sull’argine del Po. Qui vide arrivare un barcaiolo che navigava sul fiume diretto a Ferrara, gli chiese un passaggio e l’uomo lo fece salire. La barca avanzava ondeggiando spinta dalla corrente e quando si fermò erano già arrivati a destinazione. Ernesto sbarcò, ringraziò, salutò il barcaiolo e riprese il suo cammino.

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Dopo un po’ che camminava vide, sul ciglio della strada, all’ombra di un pesco, una vecchietta assetata che gli chiese un sorso d’acqua. Il giovane, senza esitare, prese la zucca dalla bisaccia e le diede da bere l’acqua fresca. La vecchietta dopo essersi dissetata lo ringraziò e gli diede una chiave pronunciando queste parole: “Questa chiave d’argento bella e lucente, splendente e forte apre tutte le porte”. Ernesto ascoltò con attenzione, mise la chiave nella bisaccia e continuò per la sua strada. Si ritrovò nuovamente sulla riva del Po, mentre giungeva un’imbarcazione carica di merce da portare a Venezia. Il contadino chiese se poteva salire per essere condotto nella città sul mare e il barcaiolo lo invitò ad imbarcarsi.

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Questo viaggio fu lungo, la barca raggiunse prima la foce del Po, poi entrò nel mare Adriatico e continuò lungo la costa finché non approdò a Venezia. Ernesto sbarcò, salutò, ringraziò il barcaiolo e si incamminò. Raggiunse la piazza e lì vide, all’ombra di una statua, una povera vecchia che si lamentava per la fame. Ernesto, senza pensarci due volte, tirò fuori dalla bisaccia l’ultima pagnotta rimasta, la spezzò in due parti e ne donò metà alla vecchietta. Lei per ringraziarlo gli donò un paio di guanti e mentre glieli porgeva pronunciò queste parole: “Questi guanti strabilianti forti ed eleganti, a chi li indossa portan forza ad ogni mossa”. Ernesto ascoltò con attenzione, mise i guanti nella bisaccia e decise che era giunto il momento di tornare indietro perché ormai aveva tutto ciò che gli serviva per sconfiggere il signore della torre.

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Si imbarcò sulla prima imbarcazione che tornava a Bastia. Il viaggio fu lungo perché la barca procedeva contro corrente: risalì prima il Po, poi il Panaro fino a Buonporto e da lì entrò nel canale Naviglio e raggiunse la conca nei pressi del mulino. La notte seguente Ernesto si recò alla torre e grazie alla chiave magica che gli aveva dato la vecchietta aprì il portone, entrò con passo felpato e si aggirò per le stanze e i piani per cercare la camera da letto dove riposava lo stregone. Si avvicinò al letto, prese dalla bisaccia il sacchetto di polvere fatata e gliela sparse su tutto il corpo. L’uomo malvagio iniziò a fluttuare nell’aria e scomparve in un bagliore di luce accecante. Il giovane riprese ad aggirarsi e frugare nella torre in cerca della macina rubata, scese le scale che portavano nelle segrete e lì, sotto un telo pieno di polvere e ragnatele, trovò quello che cercava. Tirò fuori dalla bisaccia i guanti portentosi, li indossò e sollevò la macina senza alcun sforzo. Era già l’alba e si recò al mulino, dove svegliò Gianbrein e insieme rimisero la macina al suo posto. Da quel giorno il mulino riprese la sua attività e dopo due settimane si celebrarono le nozze tra Margherita ed Ernesto che andarono ad abitare nella torre, dove vissero felici e contenti. “Vi è piaciuta la storia?” chiede la nonna ai nipotini. Viola e Marco rispondono di sì. Poiché non piove più la nonna propone di andare a fare una passeggiata. I tre escono di casa e raggiungono la piazza, qui la nonna si ferma davanti a una aiuola: in mezzo ai cespugli c’è una macina di pietra scolpita ben bene.

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“Questa è la macina di Gianbrein che era stata rubata” spiega la nonna “e appena riaprirà il Museo della Civiltà Contadina, chiuso a causa del terremoto e dell’alluvione, vi porterò a vedere il setaccio e la grama di Margherita, e anche la zucca e le scarpe di Ernesto”. “Evviva!” urlano i nipotini.

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Secchia e Panaro: la magia, dell amore Scritta da: classe 4ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Anna Frank” - Carpi (MO) Illustrazioni di: Alessia Gandini

C’

erano una volta, cari lettori, dei personaggi magici che tra discordie ed amori hanno per sempre cambiato i territori del nostro abitato… Tra i monti dell’Appennino modenese regnavano il re Dolo e la regina Rossena che avevano una bellissima figlia: Secchia. La famiglia reale era protetta dal buon Dragone, un fedele drago alato.

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Poco distante da lì viveva Panaro, figlio di una fata generosa e di un nano intelligente che avevano fondato il paese di Fa-nano. Poiché le famiglie di Secchia e Panaro erano in buoni rapporti di amicizia, i figli si incontravano spesso, così che, fra giochi d’acqua e passeggiate nei boschi, sbocciò tra i due giovani un profondo e sincero amore. Il loro sentimento era così forte da sprigionare un potere magico che consisteva nel rendere felici le persone tristi. Tant’è che nel vicino parco del Frìgnano, le persone che frignavano smisero magicamente di piangere, così l’intera vallata cambiò nome in Frignàno (spostando l’accento dalla “I” alla “A”). Colei che, attraverso un incantesimo malvagio, aveva seminato tristezza e indotto le persone a frignare, era la strega Discordia, la quale viveva ai confini del regno, nella bassa pianura modenese. Invidiosa del potere magico dei due innamorati, Discordia rapì Secchia e la imprigionò in una cella segreta della torre campanaria di Modena. Per evitare che qualcuno si avvicinasse alla torre, la strega la fece sorvegliare da Sassuomo, il suo guardiano personale, in grado di pietrificare le persone che passavano di lì, guardandole negli occhi.

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Panaro, preoccupato per la sorte di Secchia e dell’intero regno che sarebbe caduto nelle grinfie di Discordia, chiese a Dragone di trasportarlo sulle sue ali fino a Modena. Giunti nel cuore della città, Panaro si aggirò nelle vicinanze della torre con la massima prudenza per non farsi scoprire da Sassuomo. Lì accanto, presso il Duomo di Modena, trovò due leoni di marmo parlanti che gli rivelarono come salvare Secchia. Panaro ascoltò attentamente le loro parole avvolte in un alone di mistero: “In una città vicina ti dovrai recare, tre oggetti trovare e qui riportare. Attenzione a non sbagliare, la tradizione e la storia ti potranno aiutare. Il primo oggetto è la maglia del famoso Dorando, indossata da una statua che sta correndo. Il secondo oggetto è il cappello della Dama Bianca, che nel castello, di essere un fantasma è stanca. Il terzo oggetto è una ghirlanda di fiori misti, creata nel ricordo di visi tristi; è adornata da spini rossi, la potrai trovare in un campo tra i fossi…”. Un po’ frastornato, ma pieno di coraggio, Panaro ringraziò i due leoni e partì subito alla volta di quella città misteriosa, in sella al fedele Dragone. Sorvolando la provincia, Panaro e Dragone pensarono e ripensarono agli indizi sulla città: un castello, una statua, una maglia, un cappello, dei fiori… A Dragone vennero in mente alcuni centri abitati che aveva visto durante i suoi voli: Sestola, Vignola, Soliera, che avevano dei bei castelli… Mirandola, dove si trovava la statua del filosofo Pico, ma non stava correndo! 25


Panaro allora si ricordò di ciò che aveva imparato nell’infanzia dai propri genitori: la realizzazione di ghirlande di fiori e cappelli di paglia. La mamma fata e il papà nano avevano a loro volta imparato l’arte del truciolo e dei fiori finti in una città della pianura modenese: Carpi. Continuando sulla scia dei ricordi, Panaro pensò all’industria della maglieria e al famoso maratoneta Dorando Pietri che caratterizzavano proprio la città di Carpi. Come fulmini a ciel sereno, Panaro e Dragone raggiunsero Carpi e si diressero verso la statua in movimento di Dorando Pietri, recuperandone la maglietta. Il primo oggetto era stato trovato! Ripensando agli indizi del cappello e del castello, Panaro si ricordò di un’antica leggenda: parlava di una nobile dama di corte che morì in circostanze misteriose; si diceva che il suo spirito aleggiasse tra le mura del palazzo dei Pio. I due amici si recarono prontamente al castello di Carpi, presso il museo civico e recuperarono il secondo oggetto: il cappello della Dama Bianca. Mancava solamente un ultimo oggetto per poter salvare la povera Secchia rapita: la ghirlanda di fiori. Intorno a Carpi di campi fioriti ce n’erano tanti; ma a quale luogo preciso si riferiva il messaggio misterioso? I leoni avevano parlato di spini e visi tristi che ricordarono subito a Panaro gli avvenimenti storici della Shoah, studiati alla sua vecchia scuola di Fa-nano. In una frazione di Carpi, Fossoli, si trovava infatti un campo di rastrellamento, dove durante la seconda guerra mondiale vennero perseguitate molte persone innocenti.

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Panaro e Dragone giunsero quindi al campo di Fossoli; tra i fili spinati di quei luoghi mai dimenticati,


colsero tanti fiori colorati e realizzarono la ghirlanda richiesta dai leoni del Duomo di Modena. Dopo aver dato un ultimo sguardo a quella preziosa cittĂ che aveva regalato loro doni speciali, Panaro e Dragone fecero ritorno a Modena, dove Secchia attendeva di essere liberata.

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Arrivati a Modena, Panaro si recò subito dai leoni che, bisbigliando, gli rivelarono come utilizzare i tre oggetti recuperati a Carpi. Dragone intanto sorvolò la zona per controllare che Sassuomo e la strega Discordia non si accorgessero di nulla. Panaro prese la maglietta di Dorando Pietri e con grande agilità e prontezza la infilò a Sassuomo, facendo attenzione a non guardarlo negli occhi. Grazie a questo gesto, Sassuomo diventò all’istante buono e si rese disponibile ad aiutare Panaro. Prima che la strega Discordia avesse il tempo di lanciare una maledizione, Sassuomo la pietrificò guardandola negli occhi. A questo punto si accorsero che Discordia aveva in mano la chiave che apriva il portone d’ingresso della torre, ma era anch’essa diventata di pietra. Panaro prese allora il secondo oggetto, il cappello della Dama Bianca, e lo posò sul capo della strega. Così facendo la chiave tornò di metallo, mentre Discordia rimase pietrificata. Panaro si apprestò ad aprire il portone correndo incontro alla propria amata. Secchia però era rinchiusa all’interno di una cella. Come fare ad aprirla? Ecco che Panaro allungò a Dragone, attraverso una finestra della torre, il terzo oggetto: la ghirlanda di fiori. In volo Dragone posizionò la ghirlanda sulla punta della torre campanaria. Magicamente la cella si aprì e i due innamorati poterono riabbracciarsi.

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Dal quel momento la torre campanaria del Duomo di Modena prese il nome “Ghirlandina”.


La notizia della liberazione di Secchia raggiunse presto ogni angolo della provincia di Modena. Re Dolo e regina Rossena, grati a Panaro per aver salvato la loro figliola, gli concessero la sua mano. Secchia e Panaro si sposarono e questo indissolubile legame d’amore riprese a diffondere felicità in ogni dove. Fu così che anche la strega Discordia, liberata dalla pietra, diventò buona e cambiò nome in Concordia. Le vicende della principessa e del suo eroe rimasero alla storia: i due fiumi che scorrevano dalle pendici appenniniche alla bassa pianura padana presero il nome di Secchia e Panaro. Da allora, come il potere magico di Secchia e Panaro dettava, tutte le genti del territorio limitrofo ai due corsi d’acqua vissero in pace e prosperità.

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Il tortellino , e l ombelico di Venere Scritta da: classe 3ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Palestrina 10° Circolo” - Modena Illustrazioni di: Rosanna Gibellini

C

i sono molte leggende sulla nascita del tortellino: si dice che l’idea sia venuta all’oste della locanda “Corona” a Castelfranco Emilia mentre sbirciava nel buco della serratura della stanza di una signora bolognese; le vide per sbaglio l’ombelico e volle riprodurlo in un piatto. Altri dicono che quello visto dall’oste fosse l’ombelico di Venere che s’era fermata a dormire nella locanda “Corona”; era lì per aiutare i modenesi a riprendersi la secchia rapita dai bolognesi alcuni secoli fa. A noi non piace pensare che ci sia davvero stata una guerra causata dal furto di un semplice pezzo di legno e siamo quasi sicuri di sapere come sia nato il tortellino.

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Alessia dice che una ragazza un giorno tornò a casa con un mazzolino di fiori per la mamma e tutt’e due, notando la strana forma di quei petali, vollero crearne di simili da mangiare. Il tortellino dunque era un fiore.



Valerio dice che suo nonno lanciò un sassolino nell’acqua, vide formarsi in quel punto piccoli cerchi non perfettissimi e affascinato da essi raccontò alla moglie lo strano fenomeno; lei creò una pasta dalla forma simile. Il tortellino quindi è stato inventato dal nonno di Valerio. Irene invece sostiene che un giorno un bambino vide una strana macchia sulle piume di un uccello che dormiva in un nido. Dunque il tortellino è una macchia sulle piume, o forse la forma del nido (Irene non lo ricorda). Demian è sicuro di sapere da dove arriva la ricetta del ripieno: in un paese lontano, un bambino scoprì quel gustoso sapore e portò gli ingredienti in un sacchetto fino all’Italia e solo ad una persona speciale regalò quello strano profumo che noi conosciamo col nome di “noce moscata”. Camilla ha sentito di un pittore che nel dipingere un bel sole, sentendo un suono alle sue spalle, si spaventò così tanto da sobbalzare, e la forma che ne uscì sulla tela venne chiamata “tortellino” da un compratore d’arte emiliano. Quindi il tortellino è lo sbaglio di un pittore. Va detto inoltre che il figlio del pittore poi produsse un’opera simile a quella del padre inventando per sbaglio la lasagna.

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Frasit però dice che la storia dell’ombelico c’entra e “tortellino” è semplicemente una parola inventata dalla maestra che alla domanda “cos’è un ombelico?” imbarazzata rispose “un tortellino”; ma Lorenzo interviene correggendo la storia così: l’ombelico non c’entra, ma la maestra sì; quando chiese ai bambini di mettersi in cerchio, loro non lo fecero perfettamente e alla strana forma che si creò diedero il nome di “tortellino”. Allora il tortellino è un gioco tra bambini.


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Marvin però, dopo aver pazientemente ascoltato tutte queste leggende e molte altre ancora che vedevano protagonisti “boa Tortellini” trovati arrotolati da qualche parte in qualche foresta, anelli nuziali dalla forma irregolare creati da gioiellieri fantasiosi, chiocciole dal guscio-tortellino e nuvole dalla golosa forma avvistate al tramonto, una volta arrivato il suo turno, ci raccontò la vera storia della nascita del tortellino: il tortellino non è un animale, un anello, una nuvola o un disegno uscito da un pennello; bisogna innanzitutto sapere che la moglie dell’oste era una pettegola e con la scusa di dover pulire le stanze della famosa locanda “Corona”, ne approfittava per origliare indisturbata dietro le porte. Chiunque passasse per i corridoi, non sfuggiva all’orecchio attento della moglie impicciona. Fu così che l’oste, sapendo della presenza di Venere nella stanza più grande al primo piano, andò a spiare dal buco della serratura per poterla vedere in tutta la sua bellezza e, invece dell’ombelico di Venere, quello che vide fu l’orecchio della moglie, che gli parve così bello, ma così bello da volerlo mettere su tutte le tavole d’Italia.

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Chissà se adesso che sappiamo la verità, i bolognesi vorrebbero litigare con i modenesi per rivendicare la paternità del famoso orecchio dell’ostessa, e neanche l’oste poteva immaginarsi che il difetto più grande di sua moglie potesse trasformarsi in un cibo tanto buono.

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Le rose senza spine Scritta da: classe 3ÂŞ (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Matilde di Canossaâ€? - Montefiorino (MO) Illustrazioni di: Enrico Mancini

T

anto tempo fa, in un bellissimo castello, viveva una principessa il cui nome era Viola. Viola era una splendida ragazza. Il suo volto era sempre solare, nei suoi grandi occhi color verde-acqua ci si poteva quasi specchiare, la bocca era grande e contornata da labbra sottili dalle quali usciva il dolce suono della sua voce simile alla melodia di un magico violino che si espandeva leggera nel regno, mettendo tutti i sudditi di buon umore.

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Viola amava affacciarsi alle finestre dell’imponente torre del castello per respirare l’aria fresca del mattino. Il suo sguardo si perdeva ad ammirare il regno le cui terre si estendevano lungo la vallata del fiume Dragone, da Monte Mondino fino a Ponte Dolo. Da lì si vedevano i boschi di querce e di castagno, dove qua e là sbucavano delle piccole costruzioni di sasso usate dai contadini per essiccare le castagne. In inverno lo sguardo si perdeva nel magico mantello bianco che avvolgeva tutte le cose, facendola sentire come in una fiaba.

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Viola amava correre lungo i corridoi del palazzo che conducevano nel cortile interno dove si poteva dissetare bevendo l’acqua di un grande pozzo. Lì spesso s’intratteneva con i soldati che si preparavano per uscire in battaglia; essi le raccontavano le favolose avventure passate fuori da quelle mura. Dal cortile si poteva accedere a un lussureggiante giardino, dove al centro c’era un’aiuola di rose bellissime e profumate senza nessuna spina: erano i fiori preferiti dalla principessa, che curava personalmente. Le rose si vantavano della loro bellezza, facendo arrabbiare gli altri fiori. Vicino alla siepe c’era un imponente salice piangente che rimproverava le rose di quell’atteggiamento poco corretto, ma queste dicevano: “Sei troppo vecchio e antiquato! Tu non puoi capire. Smettila!”. Spesso Viola invitava alcuni bambini del paese a giocare nel suo giardino e ad ammirare le sue favolose rose. Essi attraversavano le strette vie contornate dalle povere case in sasso dei contadini e dei mercanti ed entravano con passo leggero attraverso il grande portone fatto ad arco. Passavano velocemente davanti all’ingresso delle scale, la cui entrata era proibita perché portava alle segrete ai piedi della torre, dove i malfattori erano imprigionati. Si soffermavano ad annusare i profumi della selvaggina provenienti dalla cucina reale, poi correvano in silenzio lungo il cortile fino ad arrivare al giardino delle rose.

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Uno sfortunato giorno, però, un gruppo di ragazzi, invidiosi del privilegio dato solo ad alcuni, entrò di nascosto nel giardino e cominciò a prendersela con le povere rose, pestandole e strappandole. Gli altri fiori vedendo le rose in quelle condizioni, iniziarono a prenderle in giro dicendo: “È vero siete belle, ma non sapete difendervi. Ora pagherete per la vostra vanità!”. In quel momento, all’improvviso, il cielo si oscurò, il sole scomparve e ogni cosa cadde nella più completa oscurità. I fiori impauriti si nascosero sotto le foglie, i ragazzi se la diedero a gambe levate, le rose scapparono nel bosco vicino al castello. Durante la loro fuga disperata inciamparono su alcuni sassi e caddero su un mucchio di aghi di pino che si conficcarono nei loro steli. Dopo tre ore il sole ricominciò pian piano a risplendere su tutta la vallata e le rose videro lungo i loro steli delle piccole sporgenze. Ora anche loro avevano qualcosa per difendersi: le spine! Quando la principessa si svegliò, non vedendo i suoi fiori preferiti, iniziò a piangere disperatamente, il salice sentendola le raccontò ciò che era successo. Lei si precipitò fuori dal castello e vide le rose. Fece per prenderne una, ma fu fermata da una voce che le disse: “Non ci toccare, siamo pericolose! Ti potremmo fare del male!”. Viola vide le spine e capì che ora i suoi fiori potevano vivere anche fuori dalle mura, protetti dalle spine. Intorno al cocuzzolo sul quale sorgeva il castello, le rose si moltiplicarono velocemente e da allora quel luogo fu chiamato Monte Fiorito, nome che col tempo si tramutò in Montefiorito, poi in Montefiorino. 40



La Strada delle mani arcobaleno Scritta da: classe 3ª e 4ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Madre Imelde Ranucci” - Palagano (MO) Illustrazioni di: Noemi Andreano

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era una volta una strada... Sì, proprio una strada, che tagliava in orizzontale la valle del Dragone e, sulla quale, era nato e cresciuto il paese di Palagano. La via era chiamata XXIII Dicembre: un nome curioso, visto che non ricordava una battaglia, ma la data di un compleanno! Il 23 dicembre di tanti anni prima, infatti, Palagano era diventato un Comune e i suoi abitanti avevano celebrato l’avvenimento, cesellando la data in una grande insegna d’oro. Quello che rendeva speciale la via, però, era la presenza di tante botteghe: qui, le abili mani degli artigiani, con martello, lima e scalpello, facevano incontrare legno, ferro e acqua per creare oggetti che, da sempre, aiutavano l’uomo. Così, dal sorgere del sole fino a sera, la strada prendeva vita, riempiendosi di suoni e profumi, di voci laboriose e saluti scherzosi.

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Delmo, il falegname, con lima e pialla, arredava le case dei compaesani, delegando allo scalpellino Giuseppe il compito di dare forma alla pietra. La fucina di Ruggero batteva arabeschi incandescenti; Gisberto sfidava con arguzia la meccanica degli ingranaggi e, dall’altra parte della strada, Maria di Ciro stava sempre dietro ai fornelli per accontentare gli avventori dell’osteria.


C’era anche la sartoria: Pasquale e Tina avevano ereditato taglio e cucito dai genitori. Randolfo, nella sua botteghina, tutto il giorno girava la manovella degli affettati e incartava ad arte grammi di cumino, mentre Rosa, con magici travasi, riempiva pentolini di latte. Nel centro del paese, nuvole di farina e aroma di pane fresco uscivano dal forno di Irene ed Eligio, ma i vecchietti proseguivano verso Gelsomina, dove, giocando a briscola, assaporavano gelati fatti in casa e, soprattutto, quartini di vino. I dolci di Palmina stregavano i passanti piÚ golosi, che poi si fermavano da Filippo il macellaio, o da Tonino che, con una semplice occhiata, stimava i prodotti di campi e pollai, barattandoli con zucchero e sale. Per i gioielli (pochi) e per gli orologi guasti (tanti) si entrava da Beppe, l’orafo; per una stanza d’albergo si scendeva ad Aravecchia, dove Paolino e Rosa accoglievano gli ospiti con squisiti tortellini.

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Poco più in là, Aldo allevava muli da soma, ferrandoli con dedizione; curare la suola e la tomaia toccava a Filippo, lo scarpolino di Casa Bogo, mentre Paolino di Monticello mandava avanti con gesti sapienti il mulino. Un giorno, però, la vita della strada venne turbata dalla visita di strani personaggi, giunti a bordo di roboanti fuoriserie che richiamarono l’attenzione degli abitanti. Una delle macchine si fermò davanti alla bottega di Ruggero: ne scese un uomo in elegante completo scuro e cappello, sigaretta e grandi occhiali neri. Il fabbro uscì sulla porta ed ammirò sbalordito quel signore di città. L’uomo gli si avvicinò con fare suasivo, quasi ipnotico, e, con un impeccabile italiano, gli ammiccò: “Vi vedo molto affaticato, avete mani sciupate, casacca vissuta! Ho io quello che fa per voi: prendete questi macchinari, (e intanto scartava strani cubi metallici, pieni di pulsanti fluorescenti) la vostra vita cambierà! Basta fatica e lentezza! Il futuro è velocità e quantità!”. Ruggero, attratto da quelle lusinghe, acquistò tutti gli aggeggi; per il loro funzionamento ebbe in dotazione un paio di guanti dal colore pallido, di finta pelle, e un barattolo di crema speciale per infilarli. Intanto, un altro uomo distinto, abito grigio, quasi metallico, occhiali a specchio e baffetti presuntuosi, si fermò davanti alla botteghina di Randolfo per rivolgergli parole melliflue: “I miei saluti Illustrissimo!”, poi continuò: “Sono qui per dare una svolta alla sua esistenza, un’accelerata ai suoi affari, lustro al negozio!” 44

Randolfo subì l’incanto di quel messaggio e, mentre fissava


lo straniero, si vide riflesso negli occhiali dietro a un banco frigo superaccessoriato, con la divisa del “Magnifico Salumiere”. Bastò quell’immagine patinata per convincerlo a consegnare i risparmi custoditi nel retrobottega. Altri signori fecero visita agli artigiani che, uno per uno, si fecero incantare da quelle proposte allettanti: tutti acquistarono le macchine, indossarono i guanti e le azionarono. Nel paese i rumori si spensero: non più Bang, Trr, Deng, Tin, Plaf, solo un ripetitivo, surreale Clic. Col tempo il lavoro diventò meno duro: si produceva di più e con meno fatica. Che fortuna il progresso, la ricchezza! Di padre in figlio non si tramandò più l’abilità del fare, ma solo il gesto monotono di un dito. I nipoti… quelli sì che diventarono esperti: il loro pollice era cento volte più veloce dell’indice dei padri! Nel giro di un decennio, però, l’ubriacatura della velocità svanì: l’offerta era più della domanda, così il ritmo dei bottoni rallentò.

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Gli artigiani intanto erano invecchiati, soli e inutili: a volte ritiravano i nipoti da scuola, per il resto, seduti sulle panchine, lo sguardo vuoto e le mani, irrigidite dall’incantesimo dei guanti, immobili sulle ginocchia. Dopo tanti, troppi giorni di noioso ticchettio digitale, però, un piccolo accadimento cambiò la quotidianità del paese, riportando la freschezza di una vita troppo a lungo sopita. Un giorno Ruggero attese invano l’uscita da scuola della nipote. Tutte le altre classi avevano lasciato l’edificio: qualcosa doveva essere successo al gruppo di Emma! La preoccupazione stava aumentando, quando all’improvviso… la bambina corse fuori e lo prese per mano. “Nonno, nonno, vieni! Il listello che sorregge la lavagna multimediale si è staccato, sta cadendo tutto! Ricordo che una volta mi avevi accennato che lavoravi il ferro e aggiustavi le cose!”. Quella stretta fiduciosa tra la mano della nipotina e quella del nonno, sciolse la morsa che da anni teneva prigioniere le mani esperte del vecchio fabbro. Ruggero andò in classe, scardinò lo schermo sghembo della lavagna e lo posò a terra: con un temperino smussò vari pezzi di matita e li utilizzò come cunei per colmare il gioco dei tasselli, riavvitò saldamente i ganci, issò il listello di metallo e vi riappese la lavagna e, ormai ritornato nel vortice delle sue abilità, con pochi gesti precisi, ripiegò le due estremità del sostegno in due mirabili fregi.

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Bambini e maestra rimasero incantati dalla precisione delle sue mani e non trattennero un fragoroso applauso. In quel momento qualcosa di grande si era innescato: i compagni di Emma tornarono a casa e presero per mano i nonni, Davide il nonno Pasquale, Francesco la bisnonna Gelsomina, Andrea, Laura e Matteo lo zio Aldo... e li invitarono a raccontare dei loro antichi mestieri. Il desiderio di imparare si propagò in tutto il paese. Tutti i nonni furono invitati a scuola, affinché la loro arte non si perdesse e venisse tramandata. In quei giorni in Via XXIII Dicembre apparve un arcobaleno, un ponte meraviglioso che avrebbe legato per sempre le mani sapienti dei nonni artigiani e le piccole mani curiose dei nipoti. C’era una volta una strada e c’è ancora: qui la fiaba antica continua lieta nel futuro!

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Ambrogio Magna Magna Scritta da: classe 3ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Saliceto Panaro” - Saliceto Panaro (MO) Illustrazioni di: Marco Rubbera

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na volta, quando Modena non era ancora una grande città, c’era già Saliceto Panaro, una piccola frazione che prendeva il nome dal vicino fiume Panaro, caratterizzata dal verde della natura che la circondava e dalla cordialità dei suoi abitanti, tutti uniti da profondi legami di amicizia. Purtroppo però, da tempo, Saliceto Panaro era tormentata da un grave problema e i cittadini avevano perduto la loro spensieratezza. Lungo l’unico sentiero che conduceva alla scuola, proprio sotto al ponte di Sant’Ambrogio, in una vecchia stamberga fatta di assi di legno, viveva una creatura che terrorizzava tutti i bambini.

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Era un omone grande e grosso con un enorme naso bitorzoluto, pochi peli su una testa bruciata dal sole, barba incolta e mani che parevano badili con unghie lunghe e “melnette” che, in modenese, vuol dire sporche che di più non si potrebbe. Questo omone, di cui nessuno sapeva il nome, ma che dalla gente di Saliceto veniva chiamato “Ambrogio Magna Magna”, non aveva avuto un passato felice, i suoi genitori non si erano mai preoccupati di mandarlo a scuola, così lui era cresciuto in completa solitudine, nell’ozio più totale e mangiando a dismisura, come unico passatempo, fino ad assumere quelle dimensioni gigantesche. Ora Ambrogio Magna Magna a cui, come abbiamo detto, per tanto tempo era stata negata la possibilità di avere un’istruzione, aveva scoperto casualmente il piacere di imparare, ma proprio per questo motivo erano cominciati tutti i guai. Alla mattina Ambrogio Magna Magna dormiva così profondamente che lo si sentiva russare da lontano e, per i bambini, era facile raggiungere a piedi la scuola. I guai cominciavano al pomeriggio quando terminavano le lezioni: Ambrogio Magna Magna sentiva i bambini uscire da scuola e si svegliava. Quando gli alunni passavano davanti alla sua capanna, li bloccava e, ad ognuno, ripeteva con voce tonante lo stesso ritornello: “Bambino che a scuola sei andato, orsù dimmi, oggi cosa hai imparato?”. Ogni bambino doveva riferire quanto aveva imparato quel giorno. C’era allora chi ripeteva le tabelline da 1 a 10, chi raccontava dell’Homo Erectus e di quello di Neanderthal, chi spiegava il ciclo dell’acqua e così via. Ambrogio Magna Magna ascoltava attentamente affamato di sapere com’era, poi lasciava che i bambini tornassero

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alle loro case, sicuro che il giorno dopo sarebbero stati pronti per insegnargli altre cose.

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Fino a qui tutto andava bene. I problemi iniziavano quando venivano interrogati bambini che stavano poco attenti o che si perdevano in chiacchiere: Ambrogio Magna Magna allora andava su tutte le furie e dopo averli terrorizzati a morte, rinchiudeva quegli sventurati nell’angolo piÚ buio e umido della sua capanna e di loro non si avevano piÚ notizie: che li mangiasse? Tutti erano disperati e nessuno sapeva come risolvere questo problema.


C’è da dire che, a quei tempi, tutti i bambini uscivano da scuola da soli, sia perché fino a quel momento non c’erano mai stati pericoli da cui guardarsi, ma soprattutto perché, fortunatamente, il lavoro non mancava a nessuno, così alcuni genitori erano impegnati a mungere le mucche che davano il latte per produrre il Parmigiano Reggiano, altri, con la carne dei maiali che allevavano, facevano prosciutti e insaccavano squisiti cotechini e profumati salami, altri ancora bollivano il mosto e producevano il prezioso Aceto Balsamico. Si pensò ogni soluzione, ma invano. Furono anche interpellati tutti i più grandi potenti e studiosi del tempo, ma nessuno seppe trovare una soluzione. Un giorno, un ragazzino tanto bravo e intelligente che aveva già frequentato con ottimi risultati tutte le più difficili università del mondo, arrivò a Modena attirato dalle squisitezze di cui aveva sentito parlare, ma che, nonostante i suoi studi, non era riuscito a replicare. “So io cosa fare!” disse Alfredo. Questo era il nome del ragazzino. Alfredo propose di costruire una scuola abbastanza grande da contenere Ambrogio Magna Magna; lui gli avrebbe insegnato tutto ciò che sapeva, i modenesi in cambio gli avrebbero svelato i segreti delle loro specialità.

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Con la collaborazione di tutti gli abitanti, i papà si misero al lavoro; gli architetti fecero il progetto della scuola e i muratori la costruirono; i taglialegna procurarono del buon legno e i falegnami realizzarono un banco e una sedia di grandi dimensioni. Le mamme intanto, per far capire ad Ambrogio Magna Magna che c’erano cose da mangiare piÚ gustose dei bambini, si misero a cucinare.

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Ecco allora che, su grandissimi vassoi, gli servirono enormi pezzi di fumante gnocco fritto con prosciutto e salame, forme di Parmigiano Reggiano irrorate di Aceto Balsamico e damigiane di buon Lambrusco.

A settembre la nuova scuola fu finalmente pronta, Ambrogio Magna Magna la frequentava ogni giorno con grande interesse, diventò amico dei bambini, studiava con loro, poi si interrogavano l’un l’altro. I bambini che erano stati tenuti prigionieri e che in realtà non erano stati mangiati come si era temuto, vennero liberati e da quel giorno capirono quanto era importante stare attenti a scuola, così vissero tutti felici e sapienti!

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Obizzo e Raimondina Scritta da: classe 3ª C (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Ugo Foscolo” - Pavullo nel Frignano (Mo) Illustrazioni di: Enrica Martinelli

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anti, tanti anni fa nel territorio del Frignano si ergevano sulle alture molti castelli; nella zona di Pavullo si fronteggiavano il castello della famiglia dei Montegarullo e quello della famiglia Montecuccoli. Le due famiglie lottavano da anni per avere la supremazia su quel territorio. Un giorno Obizzo, il figlio più piccolo della nobile famiglia dei Montegarullo, stava cacciando nei boschi che circondavano i suoi possedimenti, quando vide una bellissima fanciulla che stava bevendo alla sorgente del Vescovo. Da quella sorgente sgorgava un’acqua purissima ed era stata chiamata così perché tanto tempo prima un vescovo che passava di lì per recarsi alla pieve di Renno, si era dissetato a quella fonte e ne aveva benedetto le acque.

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Obizzo si avvicinò alla fanciulla e, vedendola così bella e gentile, se ne innamorò immediatamente, ma quando le chiese il suo nome, scoprì che si chiamava Raimondina e che era la figlia del famoso condottiero Raimondo Montecuccoli, acerrimo nemico della sua famiglia.


I due ragazzi sapevano che le loro famiglie avrebbero osteggiato la loro unione e quindi decisero di fuggire lontano quella stessa notte, si diedero appuntamento e tornarono ai rispettivi castelli per non destare sospetti. Ma nel castello di Montecuccolo viveva un potentissimo mago che aveva spiato la giovane Raimondina e che raccontò le intenzioni dei due giovani a Raimondo, il quale si infuriò e ordinò al mago di ostacolare in tutti i modi la fuga. Obizzo e Raimondina si incontrarono nel luogo stabilito e fuggirono dirigendosi verso le montagne, ma il perfido mago invocò la sua amica strega, la Natura Matrigna, e le chiese di scatenare frane e terremoti nelle zone attraversate dai giovani innamorati. Sul territorio del Frignano si aprirono frane terrificanti, il terreno sotto agli zoccoli del destriero di Obizzo si sbriciolava; si udirono boati impressionanti provocati dal terremoto che la Natura Matrigna aveva scatenato; anche il fiume Panaro uscì dal suo letto e la furia devastatrice dell’acqua distrusse tutto ciò che trovava sul suo cammino.

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I due ragazzi fuggivano lasciandosi dietro morte e distruzione, il primo edificio che venne raso al suolo fu proprio il castello dei Montegarullo; sulla collina dove si ergeva quel bellissimo edificio rimase solo la campana della torre principale, che serviva per mandare alla popolazione messaggi sonori in caso di pericolo. Ancor oggi si dice che su quell’altura, da qualche parte, ci sia la campana nascosta dalla fitta vegetazione e la località si chiama Monte della Campana. Stremati dalla lunga e rocambolesca fuga, Obizzo e Raimondina si fermarono in una piccola radura per riposarsi, si addormentarono subito e al loro risveglio videro un anziano signore con i capelli candidi e completamente vestito di bianco che li osservava e sorrideva. I due ragazzi capirono subito che potevano fidarsi di lui e gli raccontarono la loro storia.

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L’uomo li rassicurò dicendo loro che li avrebbe aiutati, ma avrebbero dovuto seguirlo in un lungo viaggio fino ai confini della vegetazione. I due innamorati, senza esitare, lo seguirono e arrivarono in un luogo bellissimo tra montagne e piccoli laghetti incastonati nella fitta vegetazione. Lì sembrava che la Natura Matrigna non fosse arrivata con le sue devastazioni, l’uomo invocò Madre Natura e le chiese di proteggere la zona e i suoi abitanti.


Improvvisamente si materializzò davanti a loro una bellissima donna che teneva fra le mani uno scettro con il quale diede la sua benedizione a tutta la zona cercando di contrastare le disastrose conseguenze della furia della Natura Matrigna. I due giovani non tornarono piĂš dalle loro famiglie e vissero a lungo i quei luoghi bellissimi, mentre l’anziano signore che li aveva aiutati altri non era che il monte Cimone che aveva preso le sembianze umane per aiutarli. Il monte Cimone, che si erge maestoso e domina la catena degli Appennini, insieme a Madre Natura hanno cercato di contrastare la Natura Matrigna, ma purtroppo, a volte, la perfida strega provoca ancora terremoti, frane e inondazioni nel nostro territorio.


Il gigante Abetino Scritta da: classe 4ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “M. Zerbini” - Selva di Serramazzoni (MO) Illustrazioni di: Matilde Carboni

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elle vicinanze di Serramazzoni, su una roccia di origine vulcanica, si erge l’antico castello di Pompeano. Nessuno sa, però, che in tempi lontanissimi in questo castello viveva un gigante. Sì, proprio un gigante! Lo sappiamo che questo sembra strano, perché tutti pensano che i giganti non esistano, eppure, proprio in questo castello, viveva un uomo spaventosamente grande e spaventosamente brutto. Si vestiva in modo molto trasandato. Infatti indossava una camiciona di flanella e pantaloni, con l’orlo strappato, che gli arrivavano sopra al ginocchio, mettendo in bella mostra due gambone grasse e pelose. Quando sorrideva, dalla sua bocca spuntavano denti neri e, siccome non amava tanto lavarsi, emanava un odore molto sgradevole e questa scia maleodorante si sentiva non appena ci si avvicinava al castello.

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Gli abitanti delle zone vicine erano terrorizzati da questo strano e gigantesco personaggio e avevano vietato ai bambini di avvicinarsi al castello, perché si diceva che il gigante avesse l’abitudine di cuocere gli umani e di mangiarseli e che preferisse i bambini, per la loro carne tenera e saporita.


In realtà, il gigante non era affatto così: era timido, goffo e soprattutto... VEGETARIANO! Non aveva mai conosciuto un bambino in vita sua e rabbrividiva solo al pensiero di mangiarsene uno. Piuttosto avrebbe voluto fare amicizia con uno di loro e la solitudine in cui si trovava lo rendeva sempre più triste e malinconico. Quanto desiderava poter avere un amico con cui giocare, a cui raccontare le sue paure e quanto avrebbe voluto ascoltare quelle belle favole che le mamme raccontavano ai loro piccoli! Anche lui aveva avuto una mamma e un papà, tantissimi anni prima, ma non se li ricordava più: era passato tanto tempo da quel periodo! Nella vicina località di Selva, viveva un gruppo di bambini che amava giocare nei verdi prati del luogo. In particolare, un bambino di nome Giulio era amante del rischio e dell’avventura. A nulla servivano le raccomandazioni dei suoi genitori: lui voleva avvicinarsi al castello e spaventare quel mostruoso essere che vi abitava. Con il suo fedele cane Wisky, un pomeriggio estivo, si inoltrò nel bosco, deciso ad andare al Castello. Avrebbe catturato questo grosso gigante e tutti lo avrebbero considerato un eroe. Wisky non era tanto convinto, camminava accanto al suo padroncino, ma ogni tanto si fermava e guaiva, come volesse dire: “Fermiamoci, ti prego...!!” Giulio, come se leggesse nel pensiero del suo amico a quattro zampe, ridendo gli diceva: “Sei proprio un fifone!!! Ma che razza di cane sei? Sù, muoviti e non fare il codardo!!”.

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Erano passate alcune ore quando i due amici, attraversato l’antico borgo di Pompeano, si ritrovarono davanti alle mura del castello. Un odore nauseabondo li accolse, Wisky tirava per la camicia Giulio per farlo arretrare, ma lui si liberò, lo accarezzò e, tranquillizzandolo, gli sussurrò: “Dai amico mio, non ci succederà nulla! Ti prometto che non mi metterò in pericolo”. Scavalcarono le mura del castello e si inoltrarono nel giardino. Nessuno prima di loro aveva mai avuto il coraggio di entrare e quello che videro li lasciò a bocca aperta. Il giardino era molto curato, sembrava un posto fatato. Nelle aiuole c’erano rose, margherite e tulipani, sul grande e ben curato prato cresceva un’erbetta fresca e vi era anche un grande e profondo pozzo in cui si poteva attingere l’acqua. Vicino al roseto sedeva un omone grande e grosso che chiacchierava con le sue rose. Non si era accorto di Giulio e Wisky e loro lo osservavano pieni di stupore.

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Improvvisamente Wisky abbaiò, si precipitò accanto all’omone e cominciò a leccarlo affettuosamente. Giulio si nascose dietro un cespuglio. “Ehi, e tu chi sei?” chiese il gigante all’animaletto che lo guardava scodinzolando. Wisky rispose leccandogli una mano. In quel momento Giulio alzò la testa e il gigante lo vide. “Ah ma non sei solo? Hai un amico?”. E dalla bocca del gigante uscì una risata rauca e profonda. Giulio fece per scappare, allora lui cominciò a piangere, mormorando: “Ecco lo sapevo.. sono così brutto che nessuno mi vuole”. Giulio, nel vedere quell’omone piangere, provò una stretta al cuore, gli si avvicinò piano piano e gli chiese: “Perché piangi?”. “Soffro di solitudine, nessuno mi vuole e tutti hanno paura di me solo perché sono brutto.



Quanto mi piacerebbe avere qualcuno con cui passare un po’ di tempo! Sai? Io, oltre al giardinaggio, mi occupo di cucina e mi piace moltissimo preparare succulenti piatti a base di...” Giulio rabbrividì, ricordando quello che si diceva a Selva di questo gigante “mangia-bambini”, e pensò: “Ecco sono spacciato… finirò in spezzatino”. “... a base di verdure!”, finì di dire il gigante. Giulio tirò un sospiro di sollievo. “Verdure?” chiese meravigliato il bambino “Allora non mangi gli uomini?” “Bleee!”, rispose lui, “ma che dici? A proposito mi chiamo Abetino, per gli amici Tino, e vivo in questo castello da tantissimi anni. Sono vittima di un incantesimo. Un grande mago, che abita alle sorgenti delle Cascate del Bucamante, mi ha rinchiuso qui, dopo avere ucciso i miei genitori. Mi ha proibito di parlare con voi umani, altrimenti avrebbe ucciso anche me. Io, però, sono stanco di stare da solo, vorrei tanto avere degli amici”. Giulio capì che questo gigante, così brutto e spaventoso, in realtà non era altro che un uomo buono e generoso. Diventarono amici e, tutti i giorni, con una scusa, lui usciva di casa e raggiungeva il suo amico Tino per giocare a scacchi con lui. L’estate finì e a settembre iniziò la scuola. Giulio, che frequentava la quarta classe della scuola Primaria di Selva, ricominciò ad avere tanti impegni. I compiti e gli allenamenti di calcio non gli permettevano di andare a trovare spesso il suo nuovo amico.

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Abetino soffriva di nostalgia, aveva voglia di vedere il suo amico, gli mancavano le loro chiacchierate e le partite a scacchi. Ormai che aveva provato cosa voleva dire avere compagnia, non riusciva più a stare solo.


Allora, senza riflettere, uscì dal castello: voleva a tutti costi vedere la scuola di Giulio, di cui aveva tanto sentito parlare! Le persone che lo incontravano lungo la strada scappavano e si nascondevano urlando dalla paura. A lui non importava la reazione della gente, voleva vedere Giulio. Arrivò davanti alla scuola. Abetino non ne aveva mai vista una e rimase a bocca aperta. Era il momento dell’intervallo, i bambini stavano giocando nel cortile e non si accorsero di lui. Il gigante pianse di gioia nel vedere tutti quei bei fanciulli spensierati e desiderò di poter stare lì per sempre. Le loro risate gli riempivano il cuore! In quel momento Giulio, che stava giocando a calcio, lo vide e lo chiamò, ma i suoi compagni, appena videro Tino, si misero a gridare dallo spavento. Le maestre si affrettarono a radunare i loro bambini e riportarli al sicuro nella classe.


Queste grida richiamarono il mago delle Cascate del Bucamante che accorse subito a Selva. Capì subito che Abetino gli aveva disubbidito e, per questo motivo, doveva punirlo. Decise, però, di non ucciderlo e, con un incantesimo, lo trasformò in un grosso albero. Da allora, nel giardino della scuola di Selva, c’è un maestoso e bellissimo abete. Sembra un albero come tutti gli altri, ma noi sappiamo, invece, la verità...!

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Ora il buon gigante è felice! Senza volere, il mago del Bucamante aveva esaudito il suo desiderio: vivere circondato da tanti bambini, che chiacchierano, ridono e giocano accanto a lui.



Lo gnocco rapito Scritta da: classe 4ª A e 4ª B (A/S 2014/15) - Scuola Primaria Paritaria “San Giuseppe” - Sassuolo (MO) Illustrazioni di: Anna Marcaccini

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n un caldo pomeriggio, la duchessa Tessa tentava di ingannare il tempo passeggiando lungo i vialetti del suo giardino. Il castello era avvolto nel silenzio, come raramente accadeva durante le prime ore pomeridiane: gli uomini che lavoravano alla costruzione della torre dell’orologio erano fermi a causa dell’intensa afa, tipica di quei luoghi. Era il 1410 e la giovane apparteneva alla nobile famiglia dei Pio, da pochi anni trasferitasi dalla Lombardia. Le piaceva Formigine, quel piccolo paese, ricco di viuzze dai caratteristici odori e sapori, e, dotata di straordinaria bellezza, aveva conquistato i popolani con i suoi modi gentili ed eleganti. Indossava sempre una catenina d’oro con all’estremità un rubino rosso, appartenente alla sua famiglia da generazioni, che faceva risaltare i suoi biondi capelli e gli occhi scuri.

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Erano famosi i banchetti nel giardino del castello. Tutti i nobili si recavano ad assaggiare le nuove specialità del cuoco Nello, un uomo eccentrico: canticchiando esclamava “Rucolin rucoletta, non sei più nella cassetta! Prima o poi ti troverò e nel piatto ti ficcherò!”. Tessa sapeva che l’indomani si sarebbe tenuto un importante pranzo, ed era curiosa di sapere cos’avesse preparato il cuoco.



La mattina seguente fu svegliata da un invitante profumino proveniente dalla cucina e si recò subito a controllare. Nello, contento della sua creazione e cosparso di farina fin dentro le orecchie, fece assaggiare il nuovo piatto alla giovane. “Sono rimasto in piedi tutta la notte a scervellarmi, mia signora, ed eccovi il risultato! Croccante e morbido, si scioglierà in bocca!”. Tessa ne rimase estasiata! Tutto il ducato avrebbe amato quello strano piatto: lo gnocco fritto. Persino il padre, il Duca Goffredo, dai gusti difficili, gradì la nuova ricetta, e con orgoglio la presentò al banchetto. Abituati a zamponi, cotechini, tortelli e tortellini, lo gnocco fritto appassionò tutta Formigine e i villaggi vicini. Servito con prosciutto, salame, ciccioli, stracchino e coppa, si accompagnava bene anche alle marmellate di duroni e con il Lambrusco.

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Al banchetto era presente il duca Guglielmo Rangoni, dal castello di Levizzano, acerrimo nemico dei Pio per la conquista dei feudi vicini. Guglielmo, rapito dalla bontà di quel piatto, ne nascose qualche pezzo nella manica per portarlo al suo cuoco, che il giorno seguente si rinchiuse nelle cucine per tentare di ricreare la ricetta. Ma nonostante i numerosi tentativi essa rimaneva un mistero. Il duca Guglielmo non poteva tollerare un’altra vittoria da parte del suo nemico. Quella stessa notte il castello di Formigine fu svegliato da alcuni rumori provenienti dalla cucina. Il cuoco Nello, che dormiva nelle vicinanze, corse a controllare: pentole, mestoli e coltelli erano sparpagliati sul pavimento, i barattoli con le spezie rotti a terra, aceto balsamico e vino colavano dalle dispense. Nello, con indosso solo la vestaglia e la cuffia da notte, rimase impietrito quando si accorse che i sacchi di farina erano stati aperti e svuotati. Era sicuro di aver scelto un nascondiglio perfetto per la sua ricetta! Corse nel cortile del castello appena in tempo per scorgere un cavallo che si allontanava nel buio della notte. Si diresse alle scuderie, prese il destriero più veloce e si lanciò al suo inseguimento. Dopo aver galoppato tutta la notte, giunse davanti al castello di Levizzano, sorvegliato da guardie armate di spade e scudi. Sfinito, si appoggiò al muro di cinta: non aveva idea di come sarebbe entrato. Ma non ebbe il tempo di disperarsi: all’improvviso non sentì più il muro dietro di sé e, cadendo all’indietro rotolando come una polpetta, sbucò da una botola e atterrò sul pavimento della cucina. Ancora scombussolato dalla caduta, udì dei rumori e si nascose dietro ad un’alta pila di pentole. Nello stesso momento, Tessa fu svegliata da un intenso bruciore che proveniva dalla sua collana: emanava un bagliore

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di colore rosso fuoco. Non sapendo cosa significasse consultò il saggio di corte Amedeo, che le consigliò: “Segui le indicazioni del ciondolo, ti mostrerà la via giusta”. La duchessa si mise in viaggio e giunse nella piazza principale dove notò un’enorme statua di un giovane guerriero, agghindato con l’armatura da battaglia; la targa ai suoi piedi recitava “Bernardo Pio”. Man mano che Tessa si avvicinava alla statua il rubino pulsava sempre di più. Notò che il cavaliere indossava una catena senza ciondolo. Incuriosita, si sfilò la collana e provò a incastrare il rubino. Ad un tratto la statua prese vita e cadde a terra con un assordante tonfo metallico. “Ohi Ohi!! Come sono indolenzite le mie ossa! Saranno due secoli che non mi muovo da qui!”. Tessa, esterrefatta, disse: “Il ciondolo mi ha guidato fino a te, ma non so il motivo. Chi sei tu? Come fai ad essere vivo?”.

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“Io sono un tuo antico antenato. Il ciondolo che indossi è stato creato da un potente mago che lo ha reso speciale: ogni volta che qualcuno della nostra famiglia ha bisogno di aiuto viene condotto fino a me”. Fiduciosa, la giovane gli raccontò della lunga lotta con la famiglia Rangone e del furto nelle cucine. Bernardo decise di mettersi subito in viaggio.


Nel frattempo, al castello di Levizzano, Nello era rimasto nascosto per molte ore, impaurito. Come gli era venuto in mente di seguire il ladro? Lui era un uomo da tavola, vino e cucina, mica da battaglia! Anzi! Aveva iniziato a sentire un certo languorino, vedendo tutti quei salumi appesi. Spinto dalla fame, uscì dal nascondiglio, ma proprio in quel momento entrò il cuoco Orlando, che afferrò una pentola piena di polenta scottante e gliela tirò in faccia. Nello fece in tempo ad abbassarsi e a vedere la polenta finire contro il muro; afferrò una pentola di ragù e la scaraventò addosso al rivale. Volarono salami, ricotta, tortellini, persino aceto e vino. Ad un tratto la porta si aprì e Tessa e Bernardo si trovarono di fronte i due cuochi completamente inzuppati di cibo. Il guerriero tirò fuori la spada e immobilizzò Orlando in un angolo. Tessa corse ad aiutare Nello ad alzarsi e, proprio in quel momento, arrivò il duca Guglielmo: “Che succede? Cosa volete voi nemici?”. Bernardo con un rapido gesto immobilizzò anche il duca. “Voi Rangone non potete continuare a infastidire la mia famiglia! Sono generazioni che ci scontriamo, e per cosa? Per i terreni? Non dobbiamo affermare la nostra gloria con la forza, ma con la bontà delle nostre azioni! Possibile che ancora non l’abbiate capito, Duca?”. Nello intervenne: “Dobbiamo smetterla di farci la guerra. Che ne dite di rinnovare le promesse di pace con un banchetto? Orlando, vi darò la mia ricetta, in cambio della vostra parola”. Accettarono: erano stanchi di far la guerra. Fu indetto un banchetto dove tutti mangiarono e brindarono con fiumi di Lambrusco alla nuova alleanza. Bernardo tornò ad aspettare che qualcuno avesse bisogno per essere svegliato. Da quel giorno per onorare i giorni di festa del mese di settembre, gli abitanti del ducato friggono gnocco a volontà.

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Pigneto il ciclope Scritta da: classe 3ª 4ª 5ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Don Pifferi Pigneto” - Prignano (MO) Illustrazioni di: Chiara Opallo

C’

era una volta un bellissimo bambino di nome Matteo, i suoi capelli erano neri come il carbone e i suoi occhi azzurri come il cielo. Matteo era solito scorrazzare per i boschi perché amava tantissimo la natura, adorava osservare e annotare sul suo taccuino tutto ciò che vedeva. Come ogni pomeriggio il bambino correva nel suo amato bosco, quel giorno decise di avventurarsi un po’ di più nella foresta, fino ad arrivare in una radura, sedutosi su di un grosso sasso, cominciò ad osservare. Era una bellissima e limpidissima giornata di primavera, vide la natura che si stava risvegliando; gli alberi avevano ancora piccoli boccioli e germogli, ma si respirava il profumo della rinascita. Qualche timido filo d’erba iniziava a fare capolino tra le zolle bagnate e qualche rondine, di ritorno dai paesi caldi, si aggirava nel cielo.

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Mentre Matteo era assorto tra le sue annotazioni, scoppiò un temporale ed enormi goccioloni iniziarono a cadere sulla sua testa. Decise così di cercare un riparo, scorse in lontananza una grotta e corse in quella direzione.




Si infilò svelto dentro la caverna, era angusta, simile ad un lungo corridoio, completamente buia, ma, se prestava attenzione, si poteva scorgere in lontananza una debole lucina. Matteo era molto spaventato, ma la curiosità vinse sulla paura e si avventurò verso quella fiammella sul fondo della grotta. Mentre esplorava quel sinistro luogo, il bagliore si faceva sempre più intenso e, insieme con lui, aumentavano stani rumori e una discreta puzza. Arrivato quasi al termine di quel lungo corridoio, si rese conto che quella era la dimora di un ciclope. Il bambino era terrorizzato, davanti a lui c’era un gigantesco omone, sporco, vestito di stracci, con un solo enorme occhio al centro della fronte, ma con un sorriso da bambino che mostrava tutta la sua tenerezza. Con un filo di voce il bambino si presentò: “Ciao, sono Matteo! Tu chi sei?”. L’omone perplesso rispose: “Ma non hai paura di me? Comunque io mi chiamo Pigneto e sono un ciclope!”. “Non ho paura di te perché la tua faccia è buona, nonostante il tuo aspetto! Perché vivi qui tutto solo?” chiese Matteo. Il ciclope, udite queste parole, si emozionò e dal suo enorme occhio cadde una grossa lacrima. Con la voce rotta dalla commozione, disse: “Sei il primo che, dopo tanti anni, capisce che sono una creatura buona, diventa mio amico, ti prego!”.

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Il bambino non sapeva cosa fare, ma alla fine accettò. Ogni giorno Matteo non vedeva l’ora di correre dal suo amico per raccontargli la sua giornata e insegnargli le buone maniere. Quando il ciclope fu sufficientemente educato, Matteo decise di presentarlo al paese. Il bambino organizzò una vera e propria festa e, quando tutti furono riuniti nella piazza centrale presentò Pigneto. Non vi dico la confusione che si creò! Un intero paese era letteralmente terrorizzato! Matteo calmò gli animi a fatica, spiegando loro che quel bestione era la creatura più buona che lui avesse mai incontrato. Da quel giorno il ciclope visse in armonia con tutti gli abitanti del luogo, difendendoli da tutto e da tutti. Fu così che alla sua morte il Sindaco decise di chiamare il paese Pigneto, in onore del ciclope buono.

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“Il gigante Abetino�

Illustrazioni di: Yordanka Naddeo



Gli autori delle favole

in ordine alfabetico

“La macina rubata” Scritta da: classe 3ª B (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Giuseppe Mazzini” - Bastiglia (MO) Insegnanti: Anna Maria Ferrari, Paola D’Amico, Silvia Maria Michelini Alessandra Mogliazza Amir Abdallah Andrea Accorsi Andrea D’Angiolella Cristian Pallotta Davide Nunziata Davide Melotti Domenico Valente Emma Giovanardi Federica Barontini Giorgia Venturi Ilenia Pirri Iman Nassine Laura Manfredini Luca Sghedoni Lucia Garuti Martina Rossetti Massimo Fasano Matteo Bergonzini Sara Caruso Silvia Malaguti Siwar Nouisser Vera Firimpong

“Secchia e Panaro: la magia dell’amore ” Scritta da: classe 4ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Anna Frank” - Carpi (MO) Insegnanti: Cristina Baraldi, Paola Vincenzi Alessandro Piccolo Andrea Baraldi Antonio Diana Antonio Emanuele Strazzulli Carmen D’Alise Ester Zanotti Filippo Martinelli Giuseppe Alexander Spada Ilaria Francesca Ribbisi Mattia Bortolazzi Mirko Schiavone Rebecca Iemmi Rebecca Zaldini Sofia Lugli Stefania Donkor Valentina Maretti

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“Il tortellino e l’ombelico di Venere” Scritta da: classe 3ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Palestrina 10° Circolo” Modena Insegnante: Teresa Laganà

Alessia De Vita Alice Vecchi Alpha Oumar Diaby Angelica Galati Anya Noemi Grimaldi Aurora Trevisan Camilla D‘Amico Chiara Bergonzini Chiara Corriero

Damian Agbeko Farasat Mehmood Francesca Abimelech Francesca Chiara D’Elia Gabriele Digiesi Gloria Rosolia Irene Bernardoni Leo Boni Lorenzo Balzamo

Lorenzo Boldrini Martino Carrieri Matteo Mormile Mattia Lucchese Nicole Anne Tadeo Marino Rayen Hammouda Sofia Buffagni

“Le rose senza spine” Scritta da: classe 3ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Matilde di Canossa” Montefiorino (MO) Insegnanti: Alessandra Galvani, Orianna Reggi Alessia Anceschi Alessia Zanni Cristian Ferrarini Dorian Lombardi Elisa Paglia Giorgia Gazzani Luca Buffignani Luca Lucenti Luca Paraschiv Lucia Camerini Michael Martelli Samuele Serradimigni Serena Albergucci Tommaso Fontanini

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“La Strada delle mani arcobaleno” Scritta da: classe 3ª e 4ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Madre Imelde Ranucci” Palagano (MO) Insegnanti: Luisa Piacentini, Oriana Ortonovi Classe 3ª

Andrea Calicetti Andreea Toader Camilla Galvani Davide Piacentini Demetra Vona

Emma Contri Elettra Sabatini Kevin Sassatelli Laura Anceschi Livia Benciu

Loris Ago Mihaela Larisa Zait Noemi Ventura

Laura Tosi Lorenzo Giannini Luca Martelli Manuele Remitti Matteo Anceschi Mirko Bettuzzi Nicola Casini

Samuel Gemmellaro Sebastiano Casini Stefano Montanari Vera Caminati Ylenia Reggi

Classe 4ª

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Andrea Scarciglia Davide Ferrarini Denisa Cotan Erika Ferrari Fabio Guigli Filippo Palladini Francesco Ruggi


“Ambrogio Magna Magna” Scritta da: classe 3ª A (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Saliceto Panaro” Saliceto Panaro (MO) Insegnante: Paola Bonan

Alessandro Malavasi Alexandru Onaka Florin Bianca Chilet Celine Ziti Davide Diamantini Edoardo Curreli Eleonora Bevini Federico Morra Filippo Lorenzi

Filomena Catena Francesco Borghi Giorgia Natali Huaman Changanaqui Giulia Poppi Ilaria Carnevali Leonardo Regoti Marco Franchini Maria Sara Piccinini Martina Neri

Penelope Scheri Sara Nolè Sara Poletti Sebastian Abatini Sebastiano Rota Valentina Ferrari Vittoria Celloni

“Obizzo e Raimondina” Scritta da: classe 3ª C (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Ugo Foscolo” Pavullo nel Frignano (Mo) Insegnanti: Francesca Benedetti, Ida Campece, Paola Giovanelli, Rosmira Formichella

Anna Flandi Alessia Cinquina Antonio Casadei Asia Monticelli Benedetta Ferrari Cecilia Manelli Diego Adani

Doaa Jabrane Emma Colombini Federico Paci Francesco Bosi Francesco Rey Pattarozzi Giovanni Miglioli Giulia Colombini

Giulio Peli Gledion Laska Lorenzo Bernardini Marco Maria Teresa Auricchio Matteo Romani Michael Monticelli

Mimoza Syla Othman Chhaiba Ramadan Luzha Sharon Bononi Sofia Calderone Tommaso Ricci

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“Il gigante Abetino” Scritta da: classe 4ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “M. Zerbini” Selva di Serramazzoni (MO) Insegnanti: Maria Teresa Uguzzoni, Monica Venturelli Andrea Baisi Andrea Borelli Alessio Pini Alice Schianchi Elena Carnevali Ettore Ferrari Francesca Franchini Luca Iseppi Luca Zampolli Lucia Meneghel Martina Gavazzoni Mattia Iseppi Nicolò Sichi Noemy Andrea De Rosa Simone Iacconi Sofia Verucchi Tommaso D’Alcamo Valentina Albertini

“Lo gnocco rapito” Scritta da: classe 4ª A e 4ª B (A/S 2014/15) Scuola Primaria Paritaria “San Giuseppe” - Sassuolo (MO) Insegnanti: Antonello Zurlo, Irene Giannini, Letizia Casolari, Paola Tincani

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Abelardo Gil Altun Agnese Berselli Alessia Lindiri Annalisa Bertoni Asia Belli Camilla Pezzoli Carlotta Corbelli Caterina Bocedi Cristiano Orlando Davide Frigieri Davide Piva Denys Goncharov Elena Cimorelli

Emma Giacopini Federico Festi Filippo Forghieri Filippo Minieri Filippo Ravazzini Francesco Lancia Gabriele Riccò Malpeli Gianluca Rovatti Gianmarco Carnevali Giovanni Munari Giulia Lamandini Giulia Severi Leonardo Morelli

Ludovica Iadicola Martina Fontana Martina Zoboli Martino Bertagnoli Matteo Bonini Michele Ruini Nicolò Pozzi Niccolò Fiandri Riccardo Mammi Valentina Muratori Casali Valentina Picchietti Veronica Silingardi Vittoria Torreggiani


“Pigneto il ciclope” Scritta da: classe 3ª, 4ª e 5ª (A/S 2014/15) - Scuola Primaria “Don Pifferi Pigneto” Prignano (MO) Insegnanti: Cristiana Rossi, Giuseppe Ciadamidaro, Maria Bussoli

AlessandroPellati Alessandro Tassinari Chiara Pellesi Federico Pellesi Giada Manelli Marcello Parisi Marco Baroni Marco Sghedoni Martin Mancini Nicol Casini Nicolò Tollari Simone Sghedoni Tommaso Tollari

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“Obizzo e Raimondina�

Illustrazioni di: Samuele Gardinali


“Obizzo e Raimondina”

Illustrazione di: Francesco Misceo


Gli illustratori della scuola...

Nata nel 1997 a Castellarano, frequenta l’ultimo anno dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Ha partecipato alla mostra di disegni in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere e alla mostra di pittura per l’evento “Incontro tra arte e artigianato” presso il centro occupazionale il Quinterno. Ha illustrato delle poesie scritte dai bambini delle scuole elementari di Modena per il concorso “Gemme Preziose”. Da sempre le sue passioni sono il disegno e la moda.

Alessia Gandini

Nato a Correggio nel 1998, frequenta il 4° anno dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena indirizzo Arti Figurative. Il disegno e l’arte sono una passione che lo accompagnano fin da piccolo. È affascinato dalla natura, che nei suoi quotidiani allenamenti in bici osserva. Ama lavorare la terra e la vigna di suo nonno, dove ha coltivato questa passione. Nel 2015 ha partecipato al progetto dell’Agenzia Proxima per la realizzazione di campagne pubblicitarie, ha partecipato alla esposizione di quadri in occasione di “Cantine Aperte” a Formigine e alla realizzazione di una copertina per questo libro.

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Nata a Modena nel 1998, frequenta attualmente il quarto anno dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena nell’indirizzo Arti Figurative. Cresciuta tra arte, musica e libri, partecipa a varie attività scolastiche ed esterne. Ha vinto il concorso letterario per ragazzi “Il Giovane Holden” edizione 2014, ha illustrato il libro “Favole tra Secchia e Panaro” edizione 2015 e ha collaborato insieme ad altri studenti con l’Agenzia Proxima a progetti grafici pubblicitari tra il 2014 e il 2015. Amante dell’arte in tutte le sue forme, spera in un futuro di lavorare nel campo cinematografico e teatrale, come scenografa o costumista, oppure regista.

Samuele Falcone

Sara Gombia

Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi


Nata a Sassuolo nel 1998, risiede a Formigine. Frequenta il 4° anno dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena, con indirizzo Arti Figurative. Concluso il biennio ha scelto l’indirizzo figurativo perché più consono ai suoi progetti futuri. Nel 2013 ha partecipato come illustratrice per la copertina del concorso di “Le favole tra Secchia e Panaro”. Ha illustrato le poesie dei bambini delle scuole elementari di Modena e provincia. Alla fine dell’anno scolastico 2013/2014 ha partecipato alla mostra di disegni in occasione di “Cantine Aperte” a Formigine. Le piacerebbe fare un’università di restauro e lavorare come apprendista in una bottega di restauro vicino casa.

Marco Rubbera

Rosanna Gibellini

Nato a Modena nel 1998, frequenta il 4° anno all’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena con indirizzo Arti Figurative. Fin da piccolo ha sempre avuto la passione per la pittura e la scultura. Lo scorso anno scolastico ha partecipato alla mostra di disegni in occasione dell’evento “Cantine Aperte” a Formigine. Ha partecipato come illustratore al concorso di poesia “Gemme preziose”. Frequenta corsi di danza e attualmente è dedito alle arti circensi, in particolare danze aeree con specializzazioni in tessuti e corda. Dopo l’università spera di diventare scultore o ballerino.

Noemi Andreano

Enrico Mancini

Nata a Modena nel 1997, frequenta il 4° anno nell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Ama il disegno da quando frequentava la quinta elementare. L’anno scorso ha illustrato alcune delle poesie scritte da bambini per il concorso “Gemme Preziose”. Ama il Cosplay e le rievocazioni storiche, come passatempo costruisce armi e costumi per fiere o rievocazioni. Vorrebbe diventare una Game Design per la Square Enix o creare Cosplay su commissione.

Nato a Modena nel 1998, frequenta il 4° anno del’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Nel 2012 ha partecipato come illustratore al concorso “Racconti fuori classe” a cura dell’Associazione Editori Modenesi, l’anno successivo per il medesimo concorso viene scelta la sua copertina. Ha illustrato per “Le favole tra Secchia e Panaro” nelle edizioni dal 2012 al 2015. Nell’estate del 2014 partecipa alla fiera di Spilamberto, esponendo disegni in via Obici e nel 2015 espone magliette dipinte a mano. Ha realizzato anche il logo per il gruppo di “AcroYoga Shanti”. Partecipa alla realizzazione di alcune campagne pubblicitarie per il Centro Commeciale “I Portali”. Riporta le sue doti artistiche in tutto ciò che ama, con i bambini, gli adulti, il cibo, il ballo e con i suoi compagni di pallavolo ai quali ha realizzato divise per tornei di beachvolley. Le sue passioni oltre all’arte sono lo sport ed il mondo dell’animazione. Sogna di poter avere un futuro contenente tutte queste passioni.

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Anna Marcaccini

Nata a Modena nel 1998, attualmente frequenta il 4° anno all’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Sin da piccola ha avuto una grande passione per il disegno e ora cerca di approfondire il più possibile le sue conoscenze. Lo scorso anno scolastico ha partecipato alla mostra di disegni in occasione dell’evento “Cantine Aperte” a Formigine. Ama i videogiochi, i film e le serie TV ed ha una passione per il cosplay. Spera un giorno di poter lavorare per la Disney Pixar.

Nata nel 1999, frequenta il 4° anno nell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Ha partecipato a vari progetti tra cui quello dell’Agenzia Proxima per la realizzazione della copertina di un libro lo scorso anno. Ama viaggiare, disegnare e imparare nuove lingue. Le piacerebbe lavorare come guida turistica nei musei in modo da concretizzare le proprie passioni.

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Matilde Carboni

Nata a Carpi nel 1997, vive a Soliera. Frequenta il quinto anno dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena, corso di Grafica. Tramite la scuola ha collaborato a vari progetti tra cui “Scarti A Parte”, finanziato dalla regione Emilia-Romagna per la sostenibilità ambientale e il riuso creativo degli scarti aziendali, la realizzazione del logo “Acif” per l’Associazione Culturale Italo-Francese, ha collaborato al progetto “Graziosi Around” occupandosi delle grafiche coordinate per i taxi Cotamo. Inoltre ha realizzato alcune matrici per la stampa di t-shirt per “Grace D”, progetto svolto in collaborazione con l’Istituto Professionale Cattaneo-Deledda. Ama disegnare illustrazioni a tema fantastico e nel futuro vorrebbe continuare a seguire dei corsi d’arte grafica.

Chiara Opallo

Enrica Martinelli

Nata a Carpi nel 1998, sta frequentando il quarto anno del corso di arti figurative, dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. Ha partecipato alle due scorse edizioni di “Le favole tra Secchia e Panaro” e come illustratrice al concorso di poesia “Gemme preziose”. Le sue passioni sono stare all’aria aperta e leggere. Ha amato fin da piccola disegnare e dipingere. Spera un giorno di diventare restauratrice.


Samuele Gardinali

Yordanka Naddeo

Nata nel 1998 a Sofia in Bulgaria, frequenta il 4° anno dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena con indirizzo Arti Figurative. Nel 2015 ha partecipato alla mostra “Cantine Aperte’’ a Formigine e ha illustrato poesie per una scuola elementare di Modena. Ama la musica, i viaggi e la natura. Le piace sperimentare nuove tecniche artistiche. Appassionata di libri e serie TV, sogna di ricevere la lettera da Hogwarts e lasciare la contea per diventare uno jedi.

Nato a Mirandola il 2 febbraio del 1998, vive a Cavezzo fin da piccolo. Per i primi 11 anni della sua vita vive in una casa di campagna appena fuori dal paese, per poi, nel 2009, trasferirsi in un condominio sul limitare opposto del territorio Cavezzese. Nel 2012, a causa del terremoto, è costretto a passare coi suoi genitori e nonni i tre mesi estivi e quello successivo in una casa a Portile, relativamente vicino a Modena, per poi tornare fortunatamente nel “paese del mercato”. Ciò però non gli ha impedito di frequentare la scuola in cui voleva andare fin dai suoi sette anni, l’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena che frequenta ancora ora e luogo dove sia la sua passione per il disegno che per il manga sono esponenzialmente cresciuti.

Francesco Misceo ha 18 anni e frequenta l’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi, con indirizzo Grafica. Il significato che attribuisce alle illustrazioni è quello di cercare sempre di trasmettere un messaggio e di dare al lettore la possibilità di interpretarlo in modo personale. Esprime la sua identità e la sua creatività attraverso un atteggiamento positivo e fluido, dovuto soprattutto alla sua passione per la danza urbana sperimentale. È un ballerino professionista e gli piace intrecciare e fondere le sue passioni, alla ricerca di emozioni, da dare e da ricevere. È un ragazzo solare, che ama cercare il senso della vita in ogni piccolo istante e nell’incontro con gli altri.

Francesco Misceo

Martina Lossi

Nata a Sassuolo nel 1997, frequenta l’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena. L’arte l’ha sempre affascinata, soprattutto la fotografia: “la macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità” (cit. Henri Cartier Bresson). Il suo sogno è andare sulla Luna e vedere la Terra da essa. La fotografia per lei è un mezzo per aiutarla ad arrivare al suo vero obbiettivo, la cinepresa. Il cinema è un pilastro forte nella sua vita. Si spera che un giorno le sue nuvole si sbiadiscano e che ciò a cui crede si realizzi.

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Questa pubblicazione raccoglie solo 10 delle tante fiabe giunte alla Direzione del Centro Commerciale i Portali. Cogliamo questa occasione per porgere un ringraziamento speciale a tutte le classi delle scuole primarie di Modena e provincia che hanno preso parte all'iniziativa. Solo grazie a loro la 5ÂŞ edizione di "Le favole tra Secchia e Panaro" ha preso vita con entusiasmo, fantasia e grande creativitĂ .


Le favole tra Secchia e Panaro Il territorio modenese visto con gli occhi dei bambini.

Favole scritte dalle classi terze e quarte, A/S 2014/15 delle scuole primarie di Modena e provincia.

Le favole tra Secchia e Panaro

Illustrazioni degli allievi dell’Istituto Superiore d’Arte Adolfo Venturi di Modena.

Raccolta di favole realizzata da

5ÂŞ edizione


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