Presentando l’avvio della partnership fra CITIES e la FIAF, la maggiore e più longeva realtà associativa fotografica italiana, nel numero scorso si tracciava la rotta delle nostre esplorazioni fra le declinazioni contemporanee della fotografia che si muove per strade e contesti urbani. Un percorso da dribblatori del consueto, alla ricerca di quel sussulto di meraviglia che impedisca magneticamente di scorrere oltre. E nonostante un diffuso manierismo, ingabbiato ormai nel loop delle codificazioni di genere, le nicchie del web non mancano mai di dare soddisfazione a chi è dotato della pazienza del tempo, con vitalissime sperimentazioni linguistiche in cerca di nuovi modi di interpretare e raccontare il contemporaneo. Così anche per questo numero siamo partiti da un lavoro linguisticamente più “classico”, per poi proporre delle declinazioni maggiormente concettuali, fino alla provocazione di un interrogativo in grado di disorientare quanti fanno dell’ortodossia delle regole una questione di appartenenza di genere, ancor prima di qualsiasi altra lettura. Muovendosi su quel confine fra realtà e apparenza che Debora Valentini definisce il verosimile, Thruthiness, di Bojan “Chibsterr” Nikolic, coglie gli effetti stranianti delle sovrapposizioni dei diversi piani creati da riflessi, contrapposizioni e punti di vista inusuali sulla superficie fotografica. Un illusionismo che dalla strada vale come invito esistenziale a coltivare il dubbio, antidoto sempre utile di cui fare scorta per la vita. Accanto allo scatto singolo, dove l’ambiente urbano è lo scenario di situazioni più o meno ripetibili al di là del contesto, riconoscibile genericamente nei segni che caratterizzano la metropolitanità, ci sono lavori che viceversa si concentrano proprio sulla relazione fra i luoghi e le persone, nel tentativo di cogliere le dinamiche secondo cui tendono a plasmarsi a vicenda. È un modo di raccontare che necessita ovviamente di quell’articolazione in serie che ritroviamo nei portfolio di Streetmax21 e Alain Schroeder, proposti da Antonio Desideri e Susanna Bertoni. “Le visioni fotografiche di StreetMax 21 - rileva Desideri - sono percorse da nude linee di forza, sono organizzazioni spaziali che confliggono”, e il “non avere quasi mai un orizzonte, una linea di fuga o una scappatoia verso un qualsiasi altrove accentua quel senso di superficie piatta. In definitiva, una forma sofisticata e straniante di geometria piana.” Secondo tale declinazione, che traduce lo straniamento nella sensazione di separazione e isolamento di un’umanità per altri versi iperconnessa, le città dell’Autore scozzese appaiono la propagazione surmoderna del concetto originariamente circoscritto di “non luogo”, ponendoci di fronte all’interrogativo se il superamento di quel concetto sia dovuto all’agire del tempo, che ha reso abituali quei luoghi, o se non siano piuttosto le nuove progettazioni cittadine ad avvolgerci in un “non luogo” ormai diffuso e pertanto impercettibile, che ne svuota la fortunata efficacia definitoria. Nel rapporto con il luogo c’è poi in Alain Schroeder un passaggio ulteriore, che gioca con il concetto di luogo comune e la sua retorica: se l’Upper East Side è conosciuto come “il quartiere che meglio esprime lo spirito raffinato e chic del life style newyorchese”, scrive Bertoni, “l’identità del quartiere, in realtà assai composita, è rivelata attraverso la parte meno conosciuta, ma ugualmente importante, della comunità residente”, che sfugge al ritratto stereotipato fissato nell’immaginario collettivo. Dunque, sebbene con modalità diverse rispetto a “Chibsterr”, ancora un invito ad andare oltre la superficie. Irene Vitrano ci porta infine in altri “non-luoghi”, questa volta “dal delicato tratto kafkiano”, come definisce i paesaggi immaginari di Diana Cheren Nygren, che in When the trees are gone prefigura “cosa potrebbe accadere se nelle grandi metropoli, ormai densamente edificate, la vegetazione dovesse venir meno; se quegli alberi che danno il titolo al progetto scomparissero per davvero”. A ciascuno legittimamente il suo futuro, ma ciò che a noi qui interessa è mettere in campo una riflessione sulla compatibilità della fotografia urbana con un paesaggio ricreato artificialmente. Ancor prima della diatriba fra spontaneità ed elaborazione da fine art, e dunque fra puristi e possibilisti, la questione attiene evidentemente ad un’etica di genere: a prescindere dalla platealità dichiarata dei collages della Cheren Nygren, la loro comprensione entro i confini di genere potrebbe legittimare cioè interventi meno espliciti, aprendo le porte al sospetto. Un po’ come dire che per urban & street potrebbe essere l’inizio della fine. Attilio Lauria