NAPOLETANANDO A CURA DELLA CLASSE PRIMA SECONDARIA PRIMO GRADO ISTITUTO MARIA AUSILIATRICE VOMERO-NAPOLI
L A C I T TA’ D I P U L C I N E L L A “Vedi
Napoli e poi muori!”. Recita così un vecchio proverbio sulla città che sorge maestosa ai piedi del Vesuvio. Lei che prende il nome dalla bella sirena di nome Partenope e che è conosciuta in tutto il mondo per il mare, il sole e, soprattutto, la bontà della pizza. Stiamo parlando di Napoli, capoluogo del gusto, della bellezza e dell‟arte presepiale che qui vede operare
maestri artigiani che si trasmettono il mestiere da generazioni. Ma la città di Pulcinella non è solo questo: Napoli, infatti, è anche cultura, musica, arte e tradizioni. Le melodie della canzone napoletana hanno fatto il giro del mondo e riempiono i teatri di ogni città grazie alle interpretazioni di straordinari artisti. Testi che grazie alla semplicità delle parole e alla profondità degli accordi, portano gli ascoltatori lontano dalla realtà in un mondo dove presente e passato si fondono con una magia che solo qui è possibile ritrovare. Per non parlare, poi, della bontà d‟animo dei napoletani: popolo di cuore e di estrema generosità che la domenica si riunisce davanti alla tv con la famiglia per seguire la
sua squadra. Perché a Napoli, la domenica è il giorno del calcio, del ragù e dei dolci comprati freschi in pasticceria. Il giorno dove a tavola non si è in meno di dieci e dove tutti si riuniscono per parlare, ridere e ritrovarsi. Ed è per questo che i suoi cittadini soffrono quando la loro Napoli è offesa e maltrattata perché identificata come sporca, cara e come una terra di ladri. Napoli non è affatto questo: avrà di certo i suoi problemi e difficoltà. Ma questo non autorizza nessuno a distruggerla e a limitarla nelle sue potenzialità che sono davvero tante.
Sommario: Napoli cantando
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Napoli giocando
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Napoli mangiando
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Napoli leggende e miti
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Napoli tifando
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Napoli concludendo
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N AP O L E TA N AN D O Napoli cantando tra suoni e musica Napoli, col suo bagaglio di cultura e tradizione popolare, è musica, melodia e armonia di suoni Dall‟ epoca romana sino ai giorni nostri, la musica è, ed è sempre stata, voce del popolo, espressione dei caldi colori, degli inconfondibili odori e della vitalità della città del sole, della sua gente, delle sue storie, dei suoi stretti vicoli affollati di voci e vestiti lasciati ad asciugare, dei suoi cortili antichi e delle sue storiche chiese, della sua aria di festa e della sua profonda umanità. Le origini della canzone
napoletana sono oscure, ma si può dire che questa oscurità è legata all‟ origine luminosamente leggendaria del canto di Napoli. Se è vero che Ulisse si fece legare all'albero della sua nave per non essere incantato dalla voce delle Sirene, è già da allora dunque che la Canzone aleggiava nel Golfo tra Procida e Capri, I primi canti napoletani risalgono, quindi, all‟antica Grecia Ma la vera canzone napoletana cominciò nel ‟500 con la VILLANELLA (canto popolare a tre voci ). Nello
Tramontato il Festival, la canzone napoletana si adegua alle esigenze del tempo e sarà sostituita dalla musica neomelodica (letteralmente “nuova melodia”) che ancora oggi in tutto il Sud Italia e tra gli emigranti italiani all‟estero ha un discreto successo. Nel testo in napoletano delle canzoni neomelodiche si alternano spesso espressioni in italiano, cosa che non succedeva con le canzoni napoletane classiche. Ma la storia musicale partenopea continua perché, oltre le canzoni, Napoli è stata anche culla di strumenti musicali straordinariamente semplici e creativi. Città di canti e di artisti, di maschere e di popolo, Napoli ha assorbito le usanze e il folklore dei suoi numerosi colonizzatori, passando per secoli di dominazione francese e spagnole, facendole proprie. Ne è
stesso periodo giunse a Napoli, dalla nativa Sicilia, quella canzone triste, ma bellissima che è Fenesta ca lucive. Nel '600 videro la luce Michelemmà, Cicerenella; nel primo '700, lo Guarracino Nell‟800 nacquero le prime case editrici, le quali raccolsero le musiche del popolo e le accompagnarono con i testi di poeti (Libero Bovio, Salvatore di Giacomo per ricordarne alcuni). La storia della canzone prosegue nel „900 con il Festival di Napoli, che riuscirà a imporre la sua canzone in tutta Italia.
dimostrazione la produzione e l‟uso di strumenti musicali di origine tipicamente iberica o mediorientale. Esempio sono le CASTAGNELLE, due piccole e cave semisfere di legno intagliato e lavorato legate a coppia con una fettuccia inforcata dal dito medio, ovvero la rivisitazione campana e popolaresca delle più nobili nacchere spagnole, che vengono schiacciate ritmicamente contro il palmo della mano producendo così un suono secco e schioppettante. Queste fanno da accompagnamento a TAMMURIATE e TARANTELLE, balli caratteristici legati a riti mariani del napoletano in cui sono utilizzate appunto le “TAMMORRE” grossi tamburi, "Ballo e canto n'copp o Tammurro" si dice, e i TAMBURELLI napoletani, molto piu piccoli delle tammorre. Altri strumenti tipici della tradizione partenopea sono lo “SCETAVAJASSE”, il
“TRICCABBALLACCHE”, la “CIARAMELLA” e il “PUTIPÙ”. Di più ampio utilizzo geografico è invece il TRICCABBALLACCHE, tipico in tutta l‟Italia Meridionale. La CIARAMELLA, invece, è un piccolo strumento a fiato con una campana svasata. Il suo nome deriva infatti dal latino calamus, cioè canna. Riguardo al PUTIPÙ era conosciuto col nome di “caccavella” in quanto in origine era formato da una pentola di coccio ampia su cui era tesa una pelle di ovino con un piccolo foro centrale. Qui è posizionata un‟asticella che, viene sfregata dall‟alto in basso e viceversa con una pezzuola o una spugnetta bagnate, dando vita ad un suono somigliante a quello di un contrabbasso. Oggi giorno sia la produzione, che la creazione di questi strumenti tipici, vengono lasciate alla abili mani di esperti artigiani che continuano questo mestiere come un‟arte, svolgendolo con cura e sapienza nonché
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NAPOLI GIOCANDO... Molti sono i giochi della tradizione napoletana che risalgono a tantissimi anni fa. Alcuni sono stati dimenticati, altri, nel corso degli anni, sono stati tramandati con delle modifiche. La memoria storica dei giochi sono, ovviamente , i nonni che per giocare avevano a disposizione spazi all‟aperto come i vicoli, i cortili, ecc. Avevano giochi poveri, ma ci hanno insegnato che per
divertirsi bastava davvero molto poco: uno spazio, un sorriso e tanta, tanta fantasia. Ne ricordiamo alcuni: - MAZZA E PIVEZ’ E‟ un gioco antico e prevalentemente maschile, perché per gli strumenti necessari al gioco, poteva essere pericoloso. Per giocare, infatti era necessario che ciascun giocatore disponesse di un bastone detto ”mazza” col quale colpire un legnetto il ”pivez” che ave-
va le due estremità appuntite in modo che colpendolo si alzava dal suolo e il giocatore di turno lo colpiva in volo con la ”mazza” cercando di farlo andare il più lontano possibile. A turno, ogni giocatore colpiva il ”pivez” per mandarlo lontano. Dopo una serie di colpi, vinceva chi mandava il ”pivez” più lontano. Oggi questo gioco (vedi foto) non viene praticato quasi più.
‘O STRUMMOLO „O strummolo a tiriteppola e „a funicella corta: dicevano così gli scugnizzi quando la trottolina di legno con lo spagomotore non girava come doveva sui basoli della strada. Anzi, per meglio specificare, si soleva dire così, quando una cordicella troppo corta („a funicella) non riusciva a imprimere la giusta spin-
ta per il movimento rotatorio dello strummolo che a sua volta aveva punta inclinata tale da conferire un movimento per cui la trottolina si moveva ballonzolando e producendo un suono del tipo TIRITI‟TIRITE‟ da cui il termine “a tiriteppola”. La sua forma ricorda quella di una pigna con una punta metallica; per far girare la trottolina si arrotolava strettamente la funicella e
si dava un deciso La tombola napoletana nacque strappo lanciandola nel 1734 grazie al re Carlo III di Borbone, che era deciso ad verso terra.
G I O C H I C O N L E C AR T E Il TRESSETTE è uno dei giochi con le carte napoletane più diffuso nel nostro paese. Le sue regole furono scritte in latino maccheronico da Marcello Chitarrella, sacerdote napoletano, forse monaco domenicano, nel 1750.Un'ottima traduzione fu scritta da autore ignoto in un libricino edito nel 1840 da una tipografia di Napoli.Chiare perciò le origini napoletane e non spagnole di questo
gioco che, nel corso del tempo, ha visto nascere diverse varianti. Il nome tressette, sostiene il Chitarrella, deriva dal fatto che avere tre sette in mano dava diritto (come ora per gli assi, i due e i tre) a tre punti. Nato come gioco per quattro persone, numerose sono state nel tempo le varianti che sono state
La tombola
create dalla fantasia dei giocatori. Anche nel caso della SCOPA, navigando sul web, molti vedono una discendenza da un gioco spagnolo denominato Escoba.In realtà, lo scopone, può a ragione ritenersi un gioco nato in Italia, per il riferimento, in alcuni testi scritti, di pescatori napoletani che si dilettavano in questo gioco sin dal quattrocento.
ufficializzare il gioco del lotto nel Regno, perchè se fosse rimasto clandestino avrebbe sottratto soldi alle casse dello Stato. La Chiesa era però contraria perchè riteneva il gioco del lotto un ingannevole diletto per i suoi fedeli. Alla fine riuscì a spuntarla il re, ma a patto che nella settimana delle festività natalizie il gioco venisse sospeso perchè il popolo non doveva distrarsi dalle preghiere. Il popolo che non voleva rinunciare a giocare si organizzò in un altro modo: i novanta numeri del lotto furono racchiusi in un" panariello" di vimini e furono disegnati i numeri su delle cartelle, così la fantasia popolana trasformò un gioco pubblico in un gioco a carattere familiare. Il nome tombola deriva dalla forma cilindrica del pezzo di legno dove è impresso il numero e dal rumore che questo fa nel cadere sul tavolo dal panariello, che una volta aveva la forma del tombolo. Ai novanta numeri del gioco furono dati significati diversi, che variano da regione a regione; quelli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi e talvolta scurrili.
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NAPOLETANANDO
N AP O L I M A N G I AN D O LE TRADIZIONI GASTRONOMICHE PARTENOPEE Antichissime sono le radici storiche della cucina napoletana che si fanno risalire al periodo greco-romano arricchite nei secoli con l'influsso delle varie dominazioni della città e del territorio circostante. Naturalmente grande è stato l'apporto della creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura culinaria partenopea. in quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha acquisito anche gran parte delle tradizioni culinarie dell'intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi).A seguito delle dominazioni francese e di quella spagnola, aumentò la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare. La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e fagioli.Andiamo ora alla ricerca di qualche traccia dell'influenza greco-romana nella cucinanapoletana. In diversi piatti di fattura greca compaiono pesci e molluschi, segno del consumo di piatti di mare in quell'epoca. In diversi affreschi pompeiani sono, infatti, rappresentati sopratutto pesci, ma anche cesti di frutta (fichi, melograni ) . Si fa risalire agli antichi romani l'uso di condire diversi piatti salati con l'uva passa, come nella pizza di scarole, o le braciole al ragù. Dal latino potrebbe provenire il termine scapece, un modo tipico di preparare le zucchine con aceto e menta. Anche l'impiego del grano nella PASTIERA, dolce tipico di Pasqua, potrebbe avere un valore simbolico legato ai culti di Cerere ed ai riti pagani di fertilità celebrati nel periodo dell'equinozio di primavera. Dal vocabolo greco στρόγγσλος, stróngylos, che significa "di forma tondeggiante" prendono il nome gli STRUFFOLI natalizi. Ed il nome della PIZZA, infine, deriva probabilmente da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere, che vuol dire schiacciare. Lucullo aveva una splendida villa a Napoli, tra il monte Echia, oggi Pizzofalcone, e l'isolotto di Megaride, dove oggi si trova il castel dell'Ovo. La villa era circondata dal mare, e nelle sue adiacenze Lucullo vi aveva fatto costruire vasche per l'allevamento di pesci, in particolare murene, che erano ingredienti per i sontuosi banchetti organizzati dal padrone di casa che resero la villa celebre. Proprio da questi banchetti ebbe origine l'aggettivo luculliano, per indicare una cena deliziosa e ricca.
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UN PO’ DI STORI A DELL A NOSTRA CUCINA Nel '600 la fame affligge la plebe e L'ALBERO DELLA CUCCAGNA, con premi in pane, formaggio, salumi e carne, diventa l'evento più importante delle feste che la nobiltà concede al popolo più povero: festa farina e forca erano gli elementi principali su cui si fondava il governo dell'epoca. Tra il Cinquecento ed il Seicento i gusti culinari cambiano con il diffondersi dei prodotti importati dall'America: pomodoro, patate, peperoni, cacao, il tacchino e si va via via perdendo il gusto per i piatti agrodolci. L'espansione demografica della città rende più pratico l'approvvigionamento di ingredienti che possono essere conservarti a lungo, come la pasta, rispetto al tradizionale consumo di verdure in foglia. In questo periodo i napoletani, precedentemente detti appuntomangiafoglie, divengono mangiamaccheroni. La pasta viene lavorata in diverse trafilature che danno origine ai formati più popolari, come i vermicelli, iperciatelli,i pàccari, gli ziti. Nel '700 diviene sempre più importante l'influsso della cultura francese in tutt'Europa, anche nelle tendenze culinarie. Alla corte dei Borbone arrivano i monzù(napoletanizzazione di monsieurs). Prendono nomi francesi molti piatti napoletani tipici, quali il ragù (da ragout), il gattò (da gateau), i crocchè (da croquettes).
L A R E G I N A D E L L E TAV O L E I TAL I A N E : L A PA S TA Il primo pastificio industriale viene inaugurato da Ferdinando II di Borbone nel 1833, e la produzione della pasta diventa importante a Portici, Torre del Greco, Torre Annunziata e Gragnano, zone dove il clima favorisce l'essiccazione naturale della pasta. Nella Cucina compare la ricetta del tradizionale ragù napoletano. Matilde Serao ci fornisce le prime informazioni sulle ricette della classe napoletana più povera.Nel suo “Ventre di Napoli “descrive alcune ricette popolari, tra le quali la zuppa di maruzze e la zuppa di freselle con il brodo di polpo. Infatti, la cucina napoletana, così solare, fantasiosa, spettacolare,è entrata anche lei nella letteratura: scrittori come Matilde Serao (appena citata), Giuseppe Marotta, Eduardo De Filippo, poeti come Salvatore Di
Giacomo ne hanno immortalato piatti e invenzioni, protagonisti e carattere. Così, parlare della cucina napoletana (che riassume quella dell'intera regione) senza citare questi nomi illustri è quasi impossibile; cosa dire del «ragù» dopo che Marotta gli ha dedicato uno dei capitoli più memorabili dell'Oro di Napoli? Preparazione tradizionale, domenicale o comunque festiva, questa salsa che, insieme alla pizza, è all'apice della gastronomia partenopea, esige innanzitutto interminabile cottura. «Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili essenze il rametto di basilico appena colto sul davanzale». Così inizia il poemetto
in prosa che GIUSEPPE MAROTTA, celebre scrittore napoletano, dedica all'impareggiabile salsa che condirà quello che è a Napoli il vero cuore di qualunque pasto: la pastasciutta. Perché il risultato sia quello che deve essere e non della comune carne col pomodoro, il ragù non deve mai essere abbandonato a se stesso in alcuna fase della cottura, perché «un ragù negletto cessa di essere un ragù e anzi perde ogni possibilità di diventarlo». Scelto con cura il pezzo di carne - né magro né grasso che sta alla base della ricetta, lo si mette nel tegame sorvegliando dapprima la rosolatura e poi spalmando il primo strato di conserva. Ne seguono altri «a scientifici intervalli», entrano quindi in gioco il fuoco e il cucchiaio: lentissimo il primo, esperto il secondo, sensibile a capire il momento in cui intervenire. E finalmente ecco la zuppiera fumante pronta, sulla tavola e il ragù. Un rito da condividere con gli altri specialmente di domenica.
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NAPOLETANANDO
Castelldell’Ovo
NAPOLI: LEGGENDE E MITI Napoli con il suo fascino ammaliante, intreccia il racconto delle sue origini con la storia omerica di Ulisse e le Sirene. Gli scogli delle Sirene, dei quali parla l‟Odissea, sarebbero infatti le isolette di fronte a Positano, Li Galli La maga Circe, conoscendo la grande curiosità di Ulisse, aveva messo in guardia l‟eroe che, passando davanti li Galli si era otturato le orecchie con la cera per non rima-
nere ammaliato dal canto delle Sirene. Costoro, per non essere riuscite ad incantare nessuno, si uccisero, precipitandosi dall‟alto delle rocce. Una di queste fu trascinata tra gli scogli di Megaride dove fu trovata dagli abitanti del villaggio che, dopo averla sepolta, la venerarono come una dea. Era PARTENOPE. Da lei prende nome una delle città più belle del mondo: Napoli.
O MUNACIELLO era il folletto domestico dispettoso e generoso, amato e temuto, allegro e vendicativo che abitava come un intruso, le vecchie case di Napoli. Alto poco più di mezzo metro, tondo, panciuto, ma agilissimo, vestito da frate o da prete, in testa una scazzetta, cioè uno zucchetto il cui colore variava a seconda delle intenzioni dello spiritello verso chi lo vedeva: se era rosso annunciava fortuna e ricchezza, ma se era nero erano guai!
Munaciello con scazzetta rossa: fortuna e ricchezza!
LA BELLA ‘MBRIANA era il genio, l‟anima della casa anzi la personificazione della casa, la fata del focolare. Viene immaginata come una giovane donna dal viso dolce, sereno e solare, come del resto dice il suo nome che significa meridiana, bella come l‟ora più luminosa del giorno. E‟ una presenza benevola, ma temuta a cui è collegato il geco, l‟animaletto simile alla lucertola, che i napoletani si guardano bene dal cacciare via, perché è lui la bella „mbriana! Nei momenti di difficoltà basta dire “Bella „mbriana, scetate!” e lei porterà fortuna alla casa!
Ancora un’altra leggenda lega Napoli ad uno dei protagonisti dell’antichità. E’il grande poeta romano Virgilio che per molto tempo aveva soggiornato nella città, attratto dal suo clima mite. Qualche secolo dopo, nel Medioevo, molti legarono la figura del grande poeta romano ad un mago che, tornando a Napoli e vedendo in costruzione un grande castello sull’isoletta di Megaride, decise di proteggerlo con un incantesimo: prese il primo uovo deposto da una gallina, lo mise in una caraffa di vetro dentro una gabbia di ferro e la sospese ad una trave in una stanzetta segreta. Il castello da allora fu detto DELL’OVO e sarebbe durato finchè l’uovo fosse rimasto intatto.
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N AP O L I T R A T I F O E S P O R T Corri, tira… gol !!!! Un‟unica voce, un unico palpito che batte nel cuore dei napoletani. Ogni domenica sono queste le parole che si rincorrono tra le migliaia di tifosi che accompagnano la loro squadra, il Napoli. Proprio così, perché questa è il cuore pulsante della città, del suo popolo. Basta affacciarsi nel mitico stadio San Paolo durante gli incontri domenicali per poter capire il particolare rapporto che lega la città e la sua squadra, un rapporto fatto di passione e anche di sofferenza…
Anime della squadra sono state i mister, veri trascinatori, figure carismatiche. Da Pesaola a Vinicio, da Bianchi a Bigon fino al nostro Mazzarri sportivi che hanno segnato il percorso calcistico della nostra squadra che, quando gioca, è l‟unica ad avere in campo non 11, bensì 12 giocatori!! Undici rappresentano il corpo, il dodicesimo è l‟anima della squadra: il
E già, perché questa squadra ha spesso ondeggiato tra la polvere e gli allori,tra le sconfitte e le vittorie. Due gli scudetti conquistati, qualche Coppa Italia e una Coppa Uefa nel suo Palmares, ma sicuramente l‟unica squadra che ha visto giocare tra le sue fila il più grande calciatore di tutti i tempi, il numero 10 per antonomasia: Maradona. Molti sono gli aneddoti legati a lui e alla sua permanenza a Napoli, alcuni edificanti, altri meno, ma ciò non diminuisce il valore di questo grandissimo asso del pallone che ha impresso a lettere cubitali il suo
suo Pubblico. Il tifoso napoletano segue la sua squadra con il suo colore e calore. Come dimenticare i suoi striscioni, mai volgari e sempre umoristici, talvolta ai limiti del sarcastico, come quella scritta comparsa all‟indomani del primo scudetto sui muri del cimitero di Poggioreale a firma di un tifoso partenopeo “Che vi siete persi!!”. Di lì a qualche giorno la
nome in quello della storia calcistica di Napoli, storia che ha le sue origini nel lontano 1926 quando fu fondato il club. Entrare nei dettagli diventerebbe un po‟ noioso per voi piccoli lettori, per cui percorreremo un po‟ di storia calcistica citando solo qualche allenatore del club e il rapporto straordinario che lega la squadra al suo pubblico. Pochi elementi, solo il necessario per ricordare il cuore blu della città che ama la pizza.
pronta risposta, sempre anonima, “ E chi ve l‟ha detto?”. Episodi emblematici di una passione e di un trasporto caloroso tipici di un popolo con un‟unica fede calcistica nel cuore. Non ci resta che aggiungere: FORZA NAPOLI. Non semplice tifo, ma una vera e propria passione che non conosce distinzioni di sesso o di età, perché a Napoli l‟importante è l‟essere di sangue blu.
Napoli …..concludendo Napule è Napoli è questo e tanto altro ancora, le sue chiese, i suoi palazzi, i suoi monumenti, la sua cultura, l‟ arte dei suoi artigiani, gli odori dei suoi vicoli, i colori delle sue bellezze naturali, le atmosfere delle sue strade, il calore del suo popolo, i suoni della sua lingua e tanto altro ancora ed è anche ciò che meglio dice il celebre testo di una canzone, le cui parole descrivono una fotografia in musica della città
Napule è mille culure Napule è mille paure Napule è a voce de' criature che saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sulo. Napule è nu sole amaro Napule è addore 'e mare Napule è 'na carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a' ciorta. Napule è 'na cammenata inte viche miezo all'ato Napule è tutto 'nu suonno e 'a sape tutti o' munno ma nun sanno a verità. Napule è mille culure (Napule è mille paure) Napule è 'nu sole amaro (Napule è addore e' mare) Napule è 'na carta sporca (e nisciuno se ne importa) Napule è 'na camminata (inte viche miezo all'ato) Napule è tutto nu suonno (e a' sape tutti o' munno)