MUSLIM BAN E LIBERTÀ DI RELIGIONE NEGLI STATI UNITI D'AMERICA
di Fabrizio Caposiena
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MUSLIM BAN E LIBERTÀ DI RELIGIONE NEGLI STATI UNITI D'AMERICA
di Fabrizio Caposiena
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“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli”. Mia nonna Maria usa sempre queste parole di Vittorio Alfieri per incoraggiarmi, per spingermi a perseguire i miei obiettivi. Nella mia seppur breve vita ho tanto voluto, ma soprattutto ho tanto avuto. Ho avuto un padre meraviglioso, esempio di generositàà e di bontà, un faro che mi indica il porto sicuro quando il mare è in burrasca; è un modello, un ideale a cui ambisco, una personalitàà che continua a sorprendermi e a cui avrei voluto chiedere ancora tante, tantissime cose. Spero, col mio operato, di renderlo fiero almeno un po’. Ho avuto tre nonni unici: nonno Agostino, a cui tanti dicono che assomiglio, maestro di pazienza che mi ha insegnato che non bisogna mai trascurare i particolari; nonna Concetta, alla cui assenza non mi sono ancora abituato e che oggi mi piace immaginare in prima linea a fare, ancora, il tifo per me; nonno Matteo, Professore vero, a cui mi legano così tanti momenti che non c’è giorno in cui non riaffiori alla mia mente un suo consiglio, un suo gesto, una sua dimostrazione di saggezza e umanità. Ho perso tanti cari, ma sono consapevole di essere fortunato. Non avrei mai potuto affrontare il mio cammino senza la mia famiglia. Non avrei potuto farlo senza mia madre, a cui sono legato da una simbiosi viscerale: non c’è scelta che io faccia senza consultarmi con lei; le sarò sempre riconoscente perché, pur non celando il suo dolore, mi dimostra quotidianamente che le avversità si superano reagendo alla vita e non subendo la vita; mi dà costante prova di cosa sia il vero amore, non quello smielato o retorico, bensì quell’amore che si esplica nel dare tutto se stesso, ad ogni costo. Posso affermare con certezza di avere la mamma migliore del mondo. Non sarei quel che sono senza mio fratello, Daniele, a cui troppo di rado ho detto “grazie”. Tanti ci scambiano per gemelli, ma io so quanto lui sia più grande di me (e non mi riferisco all’età). Il suo occhio attento mi segue da quella turbolenta estate del 1995. Lui c’era nel 2009, lui c’è oggi, lui sempre ci sarà. Ed io non potrei farne a meno. Gli amici sono la famiglia che ti scegli, lo dicono tutti. Non sono così d’accordo, sono loro ad aver scelto me. La vita mi ha donato più amici di quanti io ne meriti: ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato e mi accompagnano nel mio percorso di vita. .
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INDICE
Introduzione
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Parte I. La Libertà di Religione II
Libertà di religione: un cammino verso la tolleranza
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III
Il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America
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IV
Establishment Clause e Free Exercise Clause
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V
Cosa si intende per “Religione” alla luce del Primo Emendamento
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VI
“Libertà di Religione”, “Libertà Religiosa”, “Diritto di Libertà Religiosa”
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VII
In cosa consiste la “Libertà di Religione”
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VIII
La libertà religiosa nelle sentenze della Corte Suprema
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IX
La Libertà Religiosa Individuale
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X
La religione nelle scuole: principio di non coercizione e divieto di indottrinamento
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XI
Natura giuridica delle organizzazioni religiose negli Stati Uniti
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XII
La “Religione Civile” statunitense
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XIII
Immigrazione e Religione: le tre versioni del “Muslim” Ban di Trump
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XIV
Le controversie legali generate dalle tre versioni del Muslim Ban
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XV
La politica statunitense in materia di immigrazione è sempre stata “islamofobica”?
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XVI
Muslim Ban e diritto internazionale: alcune osservazioni critiche
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XVII
“Trump v. Hawaii”: la vittoria politica di Trump
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Conclusioni
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Bibliografia
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PARTE II: Il “Muslim Ban” e le diverse chiavi di lettura
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Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare, da una particolare prospettiva, il meccanismo di tutela dei diritti fondamentali attuato negli Stati Uniti d’America, alla luce dell’assetto di prerogative e competenze distribuite tra potere esecutivo, potere legislativo e potere giudiziario, ponendo l’attenzione sulla possibilità che atti normativi del Congresso o del Governo possano incidere sulle libertà contemplate nel Bill of Rights 1 e, in modo particolare, sulla Libertà di Religione, così come sancita e tutelata dal Primo Emendamento della Costituzione Federale statunitense. A tal fine, risulterà necessario, innanzitutto, fissare dei punti di partenza e chiarire il significato dei concetti giuridici che saranno posti alla base dell’analisi che seguirà. In particolare, occorrerà indagare circa la portata da conferire al concetto di “Religione” e sulle varie declinazioni della nozione di “Libertà di religione”, concentrandosi sulla sua connotazione negativa, intesa come “libertà da”, come mera immunità da turbative, e meditando circa la possibilità di individuarne anche un’accezione positiva, intesa come “libertà in” o “libertà verso” e, a quel punto, valutare la legittimità dei limiti ad essa imposta dai pubblici poteri. In questo senso, non si potrà prescindere da un’analisi della dimensione individuale della libertà di religione, riguardante la sfera della coscienza del singolo soggetto, e della sua dimensione istituzionale e sociale, relativa al ruolo svolto dalle confessioni religiose quali “corpi intermedi” tra l’individuo e lo Stato. Lo studio della libertà di religione non potrà comunque prescindere dall’adozione di un approccio sistematico: le libertà sancite dal Bill of Rights dialogano ed entrano in conflitto, si compenetrano e subiscono continue restrizioni ed estensioni, alla luce di esigenze contingenti ed interessi confliggenti. Il conflitto si estende anche al settore della complessa gerarchia delle fonti di un sistema federale quale quello statunitense ed investe i vari livelli di tutela giurisdizionale, chiamata, spesso, negli ordinamenti di Common Law, non solo ad interpretare e mediare, ma anche a creare. Ed è proprio in questo contesto di difficile interlocuzione istituzionale tra diversi organi federali ed i diversi livelli che ha assunto un ruolo cardine la Corte Suprema, che, soprattutto grazie alla sua potestà di sindacato di costituzionalità 2 , ha svolto una funzione di composizione dei conflitti tra normazione contingente e tutela di diritti ritenuti assoluti, tra necessità e libertà. Il tema della libertà religiosa negli Stati Uniti è tornato, oltretutto, alla ribalta a seguito dell’emanazione, da parte dell’attuale Presidente, Donald Trump, di provvedimenti volti a limitare l’ingresso nel Paese di cittadini stranieri provenienti da Stati a maggioranza musulmana. Non senza polemiche, tali decreti sono stati definiti “Muslim Ban”3 e sono stati visti come una sublimazione dell’atteggiamento anti-Islam palesato da Trump già in corso di campagna elettorale.
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I dieci emendamenti alla Costituzione, diventati noti in seguito come “Bill of Rights”, vennero adottati con i due terzi dei voti del primo Congresso degli Stati Uniti e ratificati, conformemente alla legge, dalle Assemblee legislative dei tre quarti degli Stati, il 15 dicembre 1791. 2 Marbury v. Madison, Marbury v. Madison, 5 U.S. (1 Cranch) 137 (1803). 3 Executive Order n. 13769, Executive Order n. 13780, Presidential Proclamation n. 9645.
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In materia di sicurezza nazionale ed immigrazione, il Presidente degli Stati Uniti ed il suo apparato amministrativo hanno tradizionalmente goduto di ampia autonomia, anche grazie ad una lettura restrittiva di certe clausole contenute nella Costituzione e ad alcune esplicite attribuzioni contenute in specifici atti4. Lungi dal volere effettuare un’analisi di carattere meramente politico, nelle pagine che seguono, dopo una disamina dei principali fattori storici, normativi, dottrinali e giurisprudenziali che hanno concorso a delineare il concetto di “Freedom of Religion” negli Stati Uniti d’America, verrà presentata una panoramica delle questioni giuridiche affrontate dalle Corti nelle controversie riguardanti le varie parti e le varie versioni del Ban, con l’obiettivo di delineare una classificazione giuridica, la più coerente possibile sia con riferimento all’assetto costituzionale della tutela dei diritti, sia con riguardo al sistema di “Checks and Balances”, volto a garantire l’equilibrio tra le attribuzioni dei diversi rami dell’ordinamento statunitense. Le politiche che, infatti, sono adottate nel tempo con l’esigenza di bilanciare la tutela della libertà religiosa con necessità derivanti dalla domanda sociale di sicurezza, fortemente sentita negli Stati Uniti a seguito degli eventi dell’11 settembre del 2001, hanno determinato l’accentuarsi del confronto, e talvolta dello scontro, tra potere legislativo ed esecutivo, da una parte, e potere giudiziario, dall’altra. Il conflitto può essere letto ed analizzato da due punti di vista: uno “di contesto”, relativo alla compatibilità con i principi costituzionali dei provvedimenti adottati; l’altro “di sistema”, relativo al concreto assetto ed alle interrelazioni tra i poteri5. Il fine ultimo sarà pertanto quello di valutare la neutralità nei confronti del fattore religioso dei provvedimenti di Trump in materia di immigrazione: siamo di fronte a Travel Ban, Muslim Ban o Travel Muslim Ban?6
4 Si veda, ad esempio, la sez. 1182(f) dell’Immigration and Nationality Act, che riconosce al Presidente
il potere di «… suspend entry of immigrants or nonimmigrants». President and Dr. Trump: La Corte Suprema Americana tra “facial neutrality” e “reasonable observer” standard. Ultima puntata della saga Travel Ban?, Casi e Questioni- DPCE on line 2018/3- p. 679. 6 Mohamed Arafa (Indiana University School of Law - Alexandria Univesity Faculty of Law), A question to the President of the United States, Donald Trump: is it a travel ban, or a Muslim ban, or a travel Muslim ban?, Revista de Investigações Constitucionais, Curitiba, vol. 5, n. 2, p. 9-33, mag/ago. 2018. 5 Simone Penasa, Mr.
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PARTE PRIMA Libertà di Religione
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II.
Libertà di religione: un cammino verso la tolleranza
Prima di addentrarci nel cuore del tema del presente studio, occorre necessariamente chiarire che con l’espressione “libertà religiosa” non ci si riferisce ad un fenomeno storicamente univoco. Il concetto di libertà religiosa ha assunto, infatti, diverse declinazioni a seconda del periodo storico che si prende in esame ed a seconda della struttura politico-sociale della collettività organizzata che si osserva. In età romana, ad esempio, sino almeno all’età di Diocleziano7, il fatto religioso veniva preso in considerazione da una duplice angolazione: da un lato vi era la sfera privata, delle credenze e dei culti professati e praticati nell’ambito della famiglia e, il più delle volte, fortemente condizionati dall’eredità antecedente alla romanizzazione dei vari popoli assoggettati; dall’altro, vi erano i cosiddetti culti pubblici, nell’ambito dei quali l’adesione ad un determinato “credo” e la sua esternazione venivano visti come strumenti di coesione sociale, come un’accettazione dell’ordine costituito. La sfera privata e, quindi, la libertà di culto in una dimensione prettamente domestica veniva rispettata a patto che non si esitasse a manifestare in pubblico la propria appartenenza e la propria fedeltà allo Stato, attraverso la totale accettazione della religione romana in tutti i momenti in cui il potere lo ritenesse necessario. A riprova di ciò intervengono le varie testimonianze che dimostrano come, quasi sicuramente sin dall’epoca di Nerone8 , i seguaci di Cristo non venissero perseguitati e condannati in quanto epigoni di un Dio “non romano”, ma in quanto rei di Crimen Maiestatis; in ossequio al loro monoteismo, infatti, spesso si rifiutavano di giurare e fare sacrifici dinanzi all’effige dell’Imperatore, disconoscendo, così, l’autorità politica che in quel tempo esigeva di esercitare legittimamente il potere. Anche con l’Editto di Milano del 313 d.C. non si decise di rendere lecito e ammesso un culto prima non ammesso, bensì si riconobbe la libertà di professare pubblicamente una religione, quella cristiana per l’appunto, che aveva vissuto, per secoli nell’ombra e in forma privata, senza alcun riconoscimento o tutela. Il processo di cristianizzazione dell’Impero subì, invece, un importante balzo in avanti nel momento in cui, attraverso l’editto di Tessalonica del 3809 d.C., la religione cristiana divenne religione di Stato, rendendo vana ogni ulteriore disamina sulla libertà religiosa all’infuori del culto cristiano che, ormai da tempo dotatosi delle strutture giuridiche romane, svolgeva una funzione pressoché totalizzante. Nel corso del Medioevo, sia in Occidente che in Oriente, il 7 Stefano Giglio, Il problema dell’iniziativa nella “cognitio” criminale – Normative e prassi da Augusto a Diocleziano, Giappichelli Editore - Torino (2009), p. 133-154. 8 V. sopra, p. 155-166. 9 Marco Canonico, I sistemi di relazione tra Stato e Chiese, Giappichelli Editore, ult. ed., p. 15-22.
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tema della libertà religiosa venne declinato, sia pur con grandi differenze, in una prospettiva unificatrice10. In Oriente l’imperatore si ergeva anche a “papa” e ad arbitro anche delle faccende spirituali, in continuità con i sovrani del tardo-impero che, proprio in tale prospettiva, furono impegnati in prima linea nella lotta alle eresie, al fine di garantire la purezza della fede e quindi l’integrità politica. In Occidente, invece, alla frammentazione politica ed ai continui tentativi di ricostruire l’unità, fungeva da contrappeso l’unità della Chiesa di Roma che, nel nome del Papato, fungeva da faro per questa parte d’Europa. Da tale breve excursus si può evincere come, storicamente, la libertà di religione, nei vari contesti sociali e politici, presenti un comune denominatore: essa si è sviluppata e si sviluppa attraverso la tensione tra Sovranità Politica e Comunità Religiose; la sua formulazione in termini di “diritto individuale”, relativo alla sfera della coscienza privata, avverrà solo in un momento successivo. In particolare, il punto di svolta si è avuto con il fenomeno della Riforma Protestante, che nel XVI secolo ruppe l’unità religiosa dell’Occidente europeo, dando vita ad annoso contrasto tra cattolici e protestanti che si tradusse in guerre civili e persecuzioni. A fronte dell’impossibilità di ricomporre le profonde lacerazioni del tessuto sociale, cagionate dalle sanguinose guerre di religione, il Trattato di Pace di Augusta del 1555 stabilì, quindi, il principio “cuius regio eius et religio”, in virtù del quale si riconosceva il diritto ad emigrare a coloro che aderissero ad una confessione religiosa diversa rispetto a quella professata dal sovrano, laddove l’immedesimazione tra il regno ed il sovrano implicava che la confessione religiosa propria di quest’ultimo divenisse automaticamente la religione del regno, con conseguente obbligo per i sudditi di aderire alla religione del re e adesione al modello dello Stato confessionale. In tale ottica, la libertà religiosa assumeva il significato di “diritto alla non persecuzione”, 11 o meglio diritto a vivere in un regno ove si era indenni dalle persecuzioni religiose, in quanto la propria religione coincideva con quella del sovrano. Il fine evidente della Pace di Augusta era proprio quello di garantire all’interno di ogni regno europeo la unità religiosa e la derivante coesione sociale, guardandosi al pluralismo religioso come ad un fattore di conflitto e disordine. Di qui la conferma dell’assunto per cui da sempre la religione veniva concepita come elemento di unificazione politica e aggregazione sociale. Detta tesi, secondo cui quindi l’omogeneità religiosa si concepiva come un mezzo di controllo politico e sociale, è per altro confermata dal contenuto dei successivi Atti di Uniformità (Acts of Uniformity), emanati dal Parlamento inglese nel 1549, 1552 e nel 1662, che miravano ad uniformare le pratiche di 10 La dottrina parla di modello “cesaropapista”, in cui si realizza la totale unione fra sfera temporale e
sfera spirituale. Nelle mani dell’imperatore si concentrano sia le prerogative civili che quelle religiose; il vertice dell’organizzazione politica si erge anche a massima autorità religiosa. Il sovrano è al tempo stesso “Cesare” e “Papa”. Le istituzioni ecclesiastiche da un lato subivano una forte ingerenza, dall’altro godevano della protezione dell’autorità civile. Il più grande esempio di modello cesaropapista si è avuto in Oriente con Giustiniano (482-565 d.C.), mentre in occidente saranno i sovrani franchi a sperimentare per primi questo sistema, raggiungendo l’apice con Carlo Magno (742-814 d.C.). 11 M. Rosenfeld, A. Sajò (ed.), The Oxford Handbook of Comparative Constitutional Law, Oxford University Press, Oxford (2012), p. 909-910.
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culto (Book of common prayer), adottando una sintesi tra la religione dominante (quella anglicana) e gli altri culti cristiani, sfociando, tuttavia, nella legittimazione delle persecuzioni di frange ritenute più estreme, tra cui parte dei c.d. Puritani. Questi ultimi, perseguitati nel proprio paese di origine, al fine di cercare una terra accogliente, vennero spinti dallo stesso Governo inglese ad emigrare verso le colonie britanniche nel nord d’America12. I primi coloni, infatti, non sono stati mossi verso il nuovo Continente sempre e solo dalla sete di conquista e dalla ricerca di nuove ricchezze, ma spesso erano spinti dal bisogno di trovare rifugio, dovendo scappare a causa delle violente persecuzioni che si perpetravano da secoli in Europa a danno delle minoranze religiose. Tuttavia, la frantumazione religiosa esistente in Europa nel XVII secolo influì, senza dubbio, sulle vicende delle stesse colonie americane. In questo senso, va precisato che in origine anche nelle singole colonie non mancarono casi di esclusivismo interno e vennero promosse politiche persecutorie analoghe a quelle perpetuate nella madrepatria inglese 13 , riproponendosi le medesime dinamiche già verificatesi in Europa. Nelle diverse colonie, infatti, era possibile individuare modelli di relazione fra Stato e confessioni religiose non omogenei e non uniformi: in alcune vennero istituite delle vere e proprie Chiese di Stato, in altre si adottarono forme di riconoscimento delle confessioni religiose senza favorire una rispetto alle altre, in altre ancora si adottò un modello più nettamente separatista14. L'evoluzione in senso liberale del diritto a professare la propria fede religiosa, nell’ottica della diffusione e dell’accoglimento del principio di separazione tra Stato e religione, passò attraverso l'apporto teorico di pensatori e filosofi che hanno gettato le basi per la nascita dello Stato moderno e che hanno avuto grande risonanza negli Stati Uniti. Si pensi a John Locke15, padre del liberalismo classico, vissuto nel XVII secolo, il quale, nell'individuare quali compiti dovessero spettare all'autorità di governo, affermava, in coerenza con la sua teoria dello Stato minimo e della cosiddetta “mano invisibile”, che il dovere dell'autorità civile di prendersi cura degli interessi civili (civil interests) non comprendesse e non potesse comprendere anche la cura dell'anima (care of the soul). Con l'Illuminismo, impegnato a fronteggiare ogni forma di assolutismo, si consolidò definitivamente l'idea che il pluralismo religioso avrebbe potuto rappresentare una ricchezza, uno strumento con cui raggiungere la pace sociale;16 Voltaire, 12 Valentina Valentini, Gli Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 14 e ss. 13 Carlo Cardia, Le sfide della laicità. Etica, multiculturalismo, islam, Cinisello Balsamo (Milano) 2007, p. 22. 14 Giuseppe Buttà, Politica e religione nell’età della formazione degli Stati Uniti d’America, Giappichelli Torino 1998, p. XVI-XVII. 15 John Locke, Letter Concerning Toleration (James Tully ed., 1983). 16 Celebre l'affermazione di Voltaire il quale, prendendo come spunto la situazione inglese, nella sesta delle sue Lettere Filosofiche sosteneva che: «Se in Inghilterra ci fosse una sola religione, ci sarebbe da temere il dispotismo; se ce ne fossero due, si scannerebbero a vicenda; ma ce n’è una trentina, e vivono felici e in pace».
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inoltre, puntava a mettere in evidenza lo stretto legame intercorrente tra tolleranza religiosa e libertà economica, che rendeva la nazione inglese portatrice di un modello di convivenza civile esemplare17. Così, in Europa il cammino verso la tolleranza è stato coadiuvato da interventi riformatori di sovrani illuminati (si pensi, ad esempio alla Patente di Tolleranza emanata per volontà di Giuseppe II d'Austria), che fecero proprie le tesi dei predetti pensatori, ma anche e soprattutto attraverso cesure molto più traumatiche che rovesciarono lo status quo. Emblematica nel contesto della Rivoluzione francese fu l'emanazione della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789. In questo documento sono contenuti i prodromi dei moderni principi di inviolabilità ed universalità dei diritti fondamentali, di uguaglianza, di legalità, di non discriminazione18; in altri termini nella consacrazione della separazione dei poteri, si manifesta l’aspirazione alla non ingerenza dello Stato nella sfera religiosa privata. Gli echi delle teorie illuministe ebbero grande riflesso negli Stati Uniti, dove anzi trovarono un terreno ancor più fertile rispetto a quello Europeo. In questo senso, assai rilevante, invece, per il percorso evolutivo degli Stati Uniti fu il contributo teorico e politico di Roger Williams, ministro puritano, che fondò la prima vera colonia imperniata sulla decisa separazione tra Stato e Chiesa e sull’idea di libertà religiosa riconosciuta e garantita a tutti indistintamente, Rhode Island; la libertà delle religioni venne declinata in termini di “right of their error”19. Il mancato predominio dell’aristocrazia e del clero favorì quindi l’affermarsi di una borghesia svincolata dai retaggi del passato; si affermarono conseguentemente ideali di libertà e tolleranza che permisero di superare il modello confessionista europeo. Le prime concrete manifestazioni di questo cammino verso il pieno riconoscimento della libertà religiosa si ebbero con l’adozione dei cosiddetti “Atti di tolleranza”20. I presupposti storici e l’eterogeneità della popolazione impedivano inoltre (ed impediscono ancora oggi) che una religione avesse completamente il predominio sulle altre. Tuttavia, il vero e proprio punto di svolta si ebbe con la Rivoluzione Americana. Durante la Rivoluzione Americana (1775-1783), il libero esercizio della propria professione religiosa venne sempre più visto come un diritto appartenente a tutti gli individui. Merita qui di essere menzionata la sez. 2 della Delaware Declaration of Rights del 177621 da cui si evince l’ assoluto divieto in capo all'autorità di interferire in ciò che deve investire esclusivamente la sfera della coscienza e delle credenze individuali, in quanto ciò che attiene 17 «Un
inglese, in quanto uomo libero, sale in Cielo seguendo la via che preferisce.».
18 All'art. 10 si statuisce che: «Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché
la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.». 19 Roger Williams, The Bloody Tenent of Persecution for Cause of Conscience (1644). 20 Si pensi, ad esempio, al Maryland’s Act Concerning Religion, che consentiva la libertà di culto a tutti i cristiani, indipendentemente dalla Chiesa di appartenenza. 21 «... all men have a natural and unalienable right to worship Almighty God according to the dictates of their own consciences and understandings; and that no man ought or of right can be compelled to attend any religious worship or maintain any ministry contrary to or against his own free will and consent, and that no authority can or ought to be vested in, or assumed by any power whatever that shall in any case interfere with, or in any manner controul the right of conscience in the free exercise of religious worship.»
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alla morale non può essere oggetto di coercizione o aggressione da parte del potere pubblico. Precorritrice della “svolta laica”, che si coronerà con l’entrata in vigore della Costituzione Federale degli Stati Uniti e con la successiva approvazione del Bill of Rights, fu il Virginia Declaration of Rights22, cui seguì l’approvazione, nel 1786, del Bill for the Establishment of Religious Freedom23, elaborato da Jefferson e ritenuto il prototipo su cui verrà costruita la Free Exercise Clause del Primo Emendamento. Nell’abbracciare il principio di separazione tra la sfera privata, in cui si esprimeva il senso religioso individuale, e sfera pubblica, il percorso che portò all’affermazione delle idee di libertà religiosa e di uguaglianza negli Stati Uniti non si tradusse, tuttavia, in anticlericalismo o addirittura in ateismo, come avvenne invece durante la Rivoluzione Francese. Anche in virtù dell’eterogeneità della loro società, gli statunitensi, infatti, pur essendo convinti della dimensione prettamente privata della fede, rimasero un popolo religioso e, oltretutto, insistettero affinché fosse mantenuta una dimensione religiosa nella loro vita nazionale24. Anche nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776, la fede nel Creatore assume una posizione centrale nell’assetto dello Stato che si andava a costruire. Con l’approvazione della Costituzione Federale del 1789, si assistette ad una battuta d’arresto del percorso verso il pieno riconoscimento della libertà religiosa: il testo, infatti, nonostante il lungo percorso su descritto di apertura verso la tolleranza religiosa e la libertà di culto, non dispone nulla a riguardo del rapporto tra Stato e religione. L’unico riferimento alla religione si ha nell’art. VI25, che introduce la cosiddetta No Religious Test Clause, per cui sono vietati test religiosi e dichiarazioni di fede obbligatorie per essere assunti per un pubblico ufficio26. Due anni dopo, nel 1791, si raggiunse un compromesso attraverso l’approvazione del Primo Emendamento, contenente l’Establishment Clause e la Free Exercise Clause. Da quel momento, anche le Costituzioni dei singoli stati membri iniziarono un percorso volto all’affermazione del modello separatista ed al pieno riconoscimento della libertà religiosa27.
22 «...
can be directed only by reason and conviction, not by force or violence.» - Virginia Delcaration of Rights 1776. 23 Edwin S. Gaustad, Mark A. Noll (a cura di), A Documentary History of Religion in America, to 1877, Grand Rapids 2003, p. 229 e ss. 24 Maldwyn A. Jones, Storia degli Stati Uniti d’America. Dalle prime colonie ai giorni nostri, Bompiani Milano 2005, p. 59. 25 Al comma III si prevede che tutti coloro che lavorano per lo Stato «… shall be bound by oath or affirmation to support this Constitution, but no religious test shall ever be require as a qualification to any office or public trust under the United States». Trad. «…saranno tenuti per giuramento o per solenne affermazione a sostenere questa Costituzione; ma nessuna prova di fede religiosa potrà essere richiesta come requisito per qualsiasi ufficio o incarico pubblico alle dipendenze degli Stati Uniti.» 26 Test religiosi rimasero in vigore a lungo nei singoli Stati: il North Carolina li tolse solo nel 1868, il New Hampshire nel 1946, il Maryland nel 1961. 27 Giovanni Bognetti, Lo spirito del costituzionalismo americano. Breve profilo del diritto costituzionale degli Stati Uniti. La Costituzione liberale, Giappichelli Torino 1998, p. 158.
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È chiaro, dunque, che proprio dalla peculiare storia del momento formativo degli Stati Uniti d’America28 si possono desumere le ragioni alla base del particolare sistema di relazioni fra Stato e Chiesa sviluppatosi oltreoceano29. Infatti, mentre in Europa, con l’affermazione degli Stati nazionali, la libertà dello Stato appariva come presupposto per poter affermare la libertà dalla religione, negli Stati Uniti vi era la necessità della libertà dallo Stato per poter affermare la libertà di religione30.
28 Valentina Valentini, Gli
Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 14 e ss. 29 Giuseppe Buttà, Politica e religione nell’età della formazione degli Stati Uniti d’America, Giappichelli Torino 1998, p. XIII. 30 Gret Haller, I due occidenti, Fazi Editore (2004), p. 28.
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III.
Il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America
La Costituzione Federale del 1789, come già accennato, nulla dispose in materia di diritti fondamentali; l’unico riferimento al fenomeno religioso è per l’appunto contenuto nell’art. VI, che contempla la Non Religious Test Clause. I suoi articoli rispondevano soltanto alla necessità di disegnare la struttura della neonata forma statale, disponendo sulla divisione dei poteri, sui meccanismi di bilanciamento tra essi e sulle modalità di funzionamento dei singoli organi istituzionali. Due anni più tardi, nel 1791, gli Stati Uniti d’America si dotarono di una vera e propria Carta dei Diritti Fondamentali, attraverso l’approvazione, da parte del Congresso, del Bill of Rights, costituito dai primi dieci Emendamenti. Tali previsioni esplicano quali siano i diritti individuali che rappresentano un limite all’azione dello Stato31. Nella sistematica del Bill of Rights, assume una posizione centrale il Primo Emendamento, che elenca e protegge le libertà fondamentali degli statunitensi: libertà di espressione, di parola (Freedom of Speech), di stampa (Freedom of Press), il diritto di riunirsi pacificamente (Right to Assemble) e di inoltrare petizioni al Governo (Right to Petition). Quel che più si preme sottolineare, però, è che la presente disposizione si apre parlando di religione: si impone al Congresso il divieto di porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una determinata chiesa (Establishment Clause) o che proibiscano il libero esercizio della fede stessa (Free Exercise Clause)32. In particolare: • Estabilishment Clause: “Congress shall make no law respecting an establishment of religion...”. Tale dettame non solo vieta che sia istituita una religione ufficiale, una religione di Stato, ma impedisce, inoltre, che il governo ed il Congresso pongano in essere politiche manifestamente più favorevoli ad una religione piuttosto che ad un’altra. Allo stesso modo apparirebbe in contrasto con tale clausola una propensione netta per ciò che è religione rispetto a ciò che non lo è (non-religion), e viceversa. • Free Exercise Clause: “… or prohibiting the free exercise thereof;”. I cittadini statunitensi hanno il diritto di aderire ad una confessione religiosa e di prendere parte a riti a quest’ultima 31 Giovanni Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione del diritto, il Mulino Bologna 1989, p. 609. 32 «Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the government for a redress of grievances.» Trad. «Il Congresso non potrà emanare leggi per il riconoscimento di una religione o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma pacifica e d’inviare petizioni al governo per la riparazione dei torti subiti».
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connessi. Pertanto, non risulta protetta solamente l’affiliazione ad un determinato credo, ma anche il compimento di atti che rappresentino una sua manifestazione; si impedisce all’autorità, nella maggior parte dei casi, di sindacare le usanze religiose del singolo. L’obiettivo perseguito non era assolutamente eliminare la componente religiosa dalla società, bensì bilanciare l’esigenza dello Stato di rimanere indipendente dalle confessioni religiose e la libertà dei cittadini di manifestare il proprio credo. Le due clausole appaiono animate da due principi: l’Establishment Clause dal volontarismo, per cui la fede e la religione sono fatti privati, non delegabili allo Stato; la Free Exercise Clause dal separatismo, in ossequio alla convinzione che governo e religione debbano restare indipendenti l’uno dall’altro 33 . Tali prescrizioni vennero interpretate, inizialmente, quali dettami rivolti principalmente al legislatore supremo, e quindi al Congresso. Le due clausole vanno lette in raccordo con la Due Process Clause 34 , introdotta con l’approvazione del XIV Emendamento nel 1868. Disponendo che nessuno possa essere privato della vita, della libertà o della proprietà senza un due process of law né possa ricevere dal diritto un trattamento più sfavorevole, la norma in questione determina la vincolatività del Bill of Rights anche nei confronti dell’azione dei singoli Stati. Il procedimento che ha portato al riconoscimento, da parte della Corte Suprema, della diretta applicabilità di alcune parti della Carta dei Diritti agli Stati è detto “incorporazione”. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui. Gli Stati Uniti, difatti, sono stati il primo Paese ad introdurre, a livello costituzionale, una chiara separazione tra “chiesa” e “stato”. I principi fondamentali su cui si fonda l’assetto delineato dal Primo Emendamento della Costituzione statunitense sono quindi due:
33“What emerges from the Court’s examination of history is a pair of fundamental principles (animating) the first amendment: voluntarism and separatism. (Voluntarism means) that the advancement of a church would come only from the voluntary support of its followers and not from the political support of the state. (Separatism means) that both religion and government function best if each remains independent of the other”, Sullvian & Gunther, Constitutional Law University Casebook Series, New York 2001, p. 1436. 34 La sec. 1 stabilisce che «All persons born or naturalized in the United States, and subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of the State wherein they reside. No State shall make or enforce any law which shall abridge the privileges or immunities of citizens of the United States; nor shall any State deprive any person of life, liberty or property, without due process of law, nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws.». trad. «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro sovranità sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato porrà in essere o darà esecuzione a leggi che disconoscano i privilegi o le immunità di cui godono i cittadini degli Stati Uniti in quanto tali; e nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà o delle sue proprietà, senza un processo nelle dovute forme di legge [due process of law]; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi.»
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1) la garanzia dell’autonomia dell’ambito relativo alla cittadinanza civile e della sfera relativa all’appartenenza religiosa; 2) il riconoscimento delle chiese quali associazioni volontarie, fondate sul consenso e non su criteri ascrittivi. Le leggi religiose non possono in nessun caso sostituirsi alle (o prevalere sulle) leggi civili; deve essere sempre garantito un diritto di “free exit”. Lo Stato, a sua volta, deve tenersi il più possibile al di fuori delle questioni prettamente religiose. Le “cerimonie pubbliche” devono essere, pertanto, distinte dalle cerimonie religiose. A tal riguardo, importante appare l’apporto teorico del filosofo statunitense Michael Walzer35 il quale afferma che, affinché il regime di separazione sia effettivo è necessario che, anche quando le cerimonie civili richiamino i simboli di una particolare religione, esse risultino soggette ad una “interpretazione puramente politica”; in altri termini, “la religione civile” è e deve restare “genuinamente civile”. Alla base della teoria della libertà religiosa negli Stati Uniti vi è la consapevolezza che l’uniformità religiosa non assicurerebbe altro che un’obbedienza ipocrita, che potrebbe essere garantita soltanto con l’uso della forza dell’autorità pubblica36. La libertà di coscienza negli Stati Uniti d’America è sempre stata letta nella specifica declinazione di libertà di espressione (free speech): la libertà religiosa implica necessariamente, quindi, la libertà di esprimere la propria fede. La separazione tra stato e chiesa, negli Stati Uniti, ha fatto sì che il fattore religioso non fosse mai totalmente escluso dalla sfera pubblico-sociale, nonostante l’esaltazione della sua attinenza alla dimensione privata. Da un lato la religiosità sembra riconducibile al concetto di “spiritualità”, dall’altro, non sono rari i casi in cui i gruppi religiosi svolgono un’attività di vera e propria pressione, al fine di far pesare la loro ingerenza nello spazio politico.
35 Michael Walzer, Tracciare la linea: i confini tra religione e politica, in T. Casadei (a c. di), Il filo della politica. Democrazia, critica sociale, governo del mondo, Diabasis, Reggio Emilia 2002, p. 99. 36 Per usare le parole del già citato Williams: «Il culto reso per forza puzza sotto il naso di Dio».
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IV.
Establishment Clause e Free Exercise Clause
Gli emendamenti apportati alla Costituzione federale, con specifico riguardo al Establishment Clause ed al Free Exercise Clause, hanno da sempre attratto questioni interpretative di enorme portata, sospinte dalla laconicità della formulazione normativa, tesa alla costruzione più di un principio generale che di un precetto. La lettura che nel tempo si è data di tali norme di principio, grazie all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale soprattutto, ha di certo contribuito a chiarire il significato delle clauses menzionate, nonché la loro portata applicativa, definendone essenzialmente i contorni e le estrinsecazioni. Sarà, quindi, opportuno procedere con una se pur non esaustiva disamina delle pronunce di maggior peso della Corte Suprema sul tema, così da trarne spunti di riflessione utili al prosieguo della trattazione che siano di supporto alla comprensione della portata normativa del Establishment Clause e del Free Exercise Clause. L’Establishment Clause, oltre che nei confronti del governo federale, opera anche nei confronti dei governi locali; con la sentenza Everson v. Board of Education (1947)37, infatti, la Corte Suprema ha riconosciuto esplicitamente l’applicabilità agli Stati delle disposizioni del Primo Emendamento relative alla religione, determinando così, attraverso il filtro del XIV Emendamento, l’eliminazione delle Chiese di Stato. L’Establishment Clause consiste nel divieto, in capo al governo, di sostegno ad una religione e richiede che il governo né aiuti né stabilisca formalmente una religione. La versione pacificamente accettata oggi prevede, inoltre, che il governo non possa mostrare predilezione per il fenomeno religioso rispetto a ciò che religione non è (non-religion); pertanto, anche qualora il governo supporti in egual modo tutte le religioni, potrebbe sussistere una violazione della clausola, avendo l’obbligo di trattare le fedi e i gruppi religiosi alla stregua di quelli laici, e viceversa. In virtù di questa clausola, gli Stati Uniti possono essere generalmente definiti come un Paese separatista, il che implica un’istituzionale divisione fra Stato e Chiese, ma non fra lo Stato ed il fenomeno religioso in genere38. La clausola costituisce innanzitutto un grande limite posto
37 Everson
v. Board of Education, 330 U.S. 1 (1947). apparent remoteness of church and state is only that: an illusion, a phantom. These institutions involve us all, touch us all and possibly even change us all.”, Edwin S. Gaustad, Proclaim Liberty throughout all the Land. A History of Church and State in America, New York,Oxford University Press, 2003, p. XVI.
38 “The
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all’azione dei legislatori americani; il credo religioso è materia su cui le istituzioni non possono legiferare, diversamente da quanto fanno in altre circostanze39. Nel ricercare l’effettiva portata dell’Establishment Clause sono state individuate tre teorie, succedutesi nel tempo:
Strict Separation o No-Aid: Chiesa e Stato devono essere così separati da rendere impossibile alcun contatto tra le sfere;40 Neutralità: lo Stato deve essere “Religion blind” 41 , non potendo in nessun caso favorire atteggiamenti confessionali rispetto a quelli laici né un culto rispetto a un altro; Accomodation42: deve ricercarsi una conciliazione fra l’azione dello Stato ed il ruolo della fede nella società.
Nel corso degli anni la giurisprudenza creò dei criteri interpretativi sulla base dei quali definire l’applicabilità della clausola in questione quale parametro di costituzionalità. Nel 1963, ad esempio, nel caso Abington Township School District v, Schempp 43 , la Corte Suprema, nel dichiarare l’illegittimità di una legge della Pennsylvania con cui si imponeva agli studenti delle scuole pubbliche la lettura giornaliera di versi della Bibbia, stabilì che non deve essere intenzione (purpose) del legislatore aiutare o sanzionare una religione e che la legge non deve avere l’effetto (primary effect) di limitare o avvantaggiare una religione44. Nel 1970, la Corte Suprema, nell’ambito della controversia Lemon v. Kurtzman, sentenza in cui i giudici vietarono agli Stati di contribuire al pagamento dei salari degli insegnanti delle scuole religiose, elaborò il cosiddetto “Lemon Test” 45 . In base ad una rivisitazione dei parametri utilizzati in Abington Township School District v, Schempp, sono stati individuati tre fattori per stabilire se l’azione governativa, apparentemente neutrale in quanto non manifestamente in favore di una religione, violi comunque l’Establishment Clause.
39 “By contrast the prohibition in the Establishment Clause accords religion a very special place – it would
seem a very specially disfavoured place – in the constitutional scheme: as the sole subject in which government may not have a point of view, and certainly may not make that point of view an explicit basis for taking action”, Charles Fried, Saying what the law is. The Constitution in the Supreme Court, Cambridge, Harvard University Press, 2004, p. 145. 40 Thomas Jefferson fu il primo a parlare di “Wall of Separation”. 41 Philip Kurtland, Of Church and State and the Supreme Court, in University of Chicago Law Review, 1961, 29, p. 1. 42 Vittoria Barsotti, Nicola Fiorita, Separatismo e laicità, Giappichelli Torino, 2008, p. 21. 43 Abington Township School District v, Schempp, 374 U.S. 203 (1963). 44 I giudici spiegarono che il test «may stated as follows: what are the purpose and the primary effect of the enactment? If either is the advancement or inhibition of religion then the enactment exceeds the scope of legislative power as circumscribed by the Constitution.». 45 John E. Nowak, Ronald D. Rotunda, Constitutional Law, West Academic ed., 2009, p. 1311-1318.
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La Corte valuterà: Se la legge persegua un fine laico (secular purpose); Se l’effetto immediato (primay effect) della legge consista nell’avvantaggiare o nel reprimere una religione. Se la legge crei un eccessivo coinvolgimento (entanglement) del governo con la religione. Alla luce di tali parametri, una legge non violerebbe l’Establishment Clause laddove perseguisse un fine laico, non producesse effetti che avvantaggino o reprimano una religione e non creasse un’intersezione tra governo e religione eccessivamente fitta46. Nel 1997, in Agostini vs. Felton47, la Corte ha “riconfezionato” il test fondato su purposeeffect-entanglement. Da un lato, si è statuito che anche una “denominational deference” sia di per sé sufficiente a palesare la violazione da parte di una legge dell’Establishment Clause, a meno che il governo non dimostri che una differenza di trattamento sia giustificata alla luce di interessi impellenti; dall’altro lato, la Corte ha attratto il parametro dell’excessive entanglement nell’alveo del parametro dell’effect: per il sol fatto che la legge produce un effetto che consista nel favore o nel disfavore nei confronti di una religione, si verifica un’ingerenza eccessiva. Da una valutazione sulla base di tre parametri, si ritorna ad un Test a due: purpose – effect. Il test è stato oggetto di forti e numerose critiche. Il “fine secolare” richiesto porterebbe, infatti, all’illegittimità di molti provvedimenti adottati al fine di favorire la libertà di culto nell’interesse della società stessa. Nonostante le ambiguità, la Corte Suprema non è mai giunta ad abbandonare totalmente il Lemon Test e le sue varianti, sebbene in alcune decisioni si sia avvalsa del più elastico principio di non discriminazione o del principio di uguaglianza48. Il Primo Emendamento statuisce che il Congresso non può emanare leggi che proibiscano il libero esercizio della religione. Anche tale disposizione, come le altre garanzie contemplate nella medesima norma, si rivolge allo Stato ed ormai anche ai governi locali, attraverso il filtro del Quattordicesimo Emendamento. Infatti, previsioni analoghe sono contenute anche nelle Costituzioni dei singoli Stati49.
46 «First,
the statute must have a secular legislative purpose; second, its principal or primary effect must be one that neither advances nor inhibits religion; the statute must not foster an excessive governmental entanglement with religion», cfr. Lemon v. Kurtzman, 403 U.S. 602 (1971), 612. 47 Agostini v. Felton, 521 U.S. 203 (1997). 48 Valentina Valentini, Gli Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 38. 49 Ad esempio, nelle Costituzioni dell’Arkansas, della Pennsylvania e del Texas è previsto che tutti gli uomini abbiano “a natural and indefeasible right to worship Almighty God”; il Delaware specifica che “no power shall or ought to be vested in or assumed by any magistrate that shall in any case interfere with, or in many manner control the rights of conscience, in the free exercise of religious worship”; il
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È inevitabile che la Free Exercise Clause si ricolleghi a quanto stabilito da un’altra norma di rango costituzionale, l’Art. VI della Costituzione degli Stati Uniti d’America, sulla base del quale si prevede che nessuna professione di fede religiosa sarà mai richiesta per accedere a un ufficio pubblico degli Stati Uniti. Invero, sono stati rari i casi in cui la Corte Suprema ha determinato l’illegittimità di scelte governative sulla base della Free Exercise Clause. Ciò nonostante, la Corte è sempre stata ferma nel sostenere che il governo non può penalizzare o inibire l’esercizio di una fede religiosa; allo stesso modo, non possono essere imposti limiti o riconosciuti privilegi esclusivamente sulla base del credo religioso. Fermo restando il divieto in capo allo Stato di interferire col pensiero religioso, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile che lo Stato influisca sulla condotta religiosa del singolo. Il compito delle Corti è pertanto delimitare il campo dell’azione governativa e stabilire fin dove il legislatore possa spingersi ad interferire con le esigenze religiose. Se la “Freedom to believe” risulta intangibile, la “Freedom to act” è, difatti, limitabile5051. La posizione dei giudici statunitensi, in tal ambito, talvolta è stata profondamente garantista, al punto tale da individuare, in determinati settori, vere e proprie deroghe giustificate dalla necessità di garantire la libertà religiosa. Si pensi, ad esempio, al caso Church of the Lukumi Babalu Aye, Inc. vs. Hialeah (1993)52, in cui la Corte Suprema ha dichiarato illegittime delle ordinanze cittadine che vietavano il macello di animali, dato che i giudici hanno rilevato che tali provvedimenti fossero introdotti col solo fine di emarginare una determinata setta (Santeria) dalla comunità 53 ; infatti, le ordinanze vietavano solo il macello degli animali adottati nei riti di quel determinato culto. 54 Le leggi devono essere neutrali rispetto al fenomeno religioso; qualora una legge non rispettasse tale neutralità e non introducesse una disciplina di applicazione standard, dovrebbe essere soggetta ad un rigoroso vaglio giudiziale, al fine di valutare la sua riconducibilità ad un impellente (compelling) interesse pubblico. La Corte Suprema ha spesso tentennato nel valutare se la Free Exercise Clause tutelasse anche azioni compiute per ragioni religiose che violassero una legge di applicazione generale. Nella maggior parte dei casi, la Corte ha sostenuto che le leggi “neutrali” sul piano religioso debbano essere rispettate anche dai seguaci quei culti che imporrebbero di disobbedire alle stesse.
Mississippi prevede che “the free enjoyment of all religious sentiments and the different modes of worship shall be held sacred”. 50 Francesco Onida, Separatismo e libertà religiosa negli Stati Uniti. Dagli anni sessanta agli anni ottanta, Milano Giuffrè 1984, p. 53. 51 In Cantwell v. Connecticut, 310 U.S. 296 (1940), si sancisce la differenza tra freedom to believe e freedom to act, affermando: «the first is absolute but, in the nature of things, the second cannot be.». 52 Church of the Lukumi Babalu Aye, Inc. v. Hialeah, 508 U.S. 520 (1993). 53 John E. Nowak, Ronald D. Rotunda, Constitutional Law, West Academic ed., 2009, p. 1373-1374. 54 Nella loro motivazione, i giudici della Corte Suprema hanno sottolineato la necessità di rispettare «The Nation’s essential commitment to religious freedom».
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V.
Cosa si intende per “Religione” alla luce del Primo Emendamento
Dalla lettura dell’Establishment Clause e della Free Exercise Clause sopra effettuata, appare chiaro come il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, pur non fornendoci una definizione di ciò che debba intendersi per “religione”, porta inevitabilmente a dover cercare di distinguere ciò che è “religion” da ciò che è “non-religion”. Sul punto le Corti, federali e statali, non sempre hanno adottato soluzioni coerenti; le elaborazioni dottrinali, allo stesso modo, sono spesso sfociate in definizioni tautologiche. Le criticità sono ancor più evidenti laddove si mettano a confronto le religioni definite tali in quanto tradizionali (es. Cristianesimo, Islam, Ebraismo, Buddismo) e le nuove forme di religione. Si potrebbe, innanzitutto, valutare se condicio sine qua non per poter parlare di religione sia il credere in un essere superiore e trascendente55. Il Buddismo, oggi pacificamente annoverato tra le religioni, implica una particolare visione della vita, ma non contempla il culto di un dio; ci si potrebbe chiedere, allora, perché non poter far rientrare tra le religioni quelle filosofie che determinano l’adesione ad un determinato codice morale che non sia tuttavia riconducibile ad una divinità (ad es. il cosiddetto “Christian atheism”) 56 . Il cammino giurisprudenziale è stato, ed è tuttora, ricco di incoerenze e di cambi di rotta dettati da ragioni contingenti. In Employment Division v. Smith (1990)57, la Corte Suprema è giunta persino ad estromettere la “Free Exercise Clause” dall’ambito costituzionale, degradandola a principio derogabile dinnanzi ad un impellente interesse dello Stato e pertanto subordinata alla volontà del legislatore; ciò ha portato alcune Corti statali ad individuare, nelle loro Carte Costituzionali, una tutela del “free exercise” più forte di quella contemplata nella Costituzione degli Stati Uniti d’America. È importante sottolineare che per lungo tempo, almeno a partire dal 1890, è stata riconosciuta l’esistenza di un’equazione tra il concetto di “religione” e quello di “monoteismo”; tale legame è stato spezzato in Torcaso v. Watkins
55 L’orientamento secondo il quale il concetto di religione dovesse essere necessariamente ricondotto
all’idea di Dio è stato a lungo presente nella giurisprudenza della Corte Suprema. Nel caso Davis v. Beason, 133 U.S. 333 (1890), i giudici affermavano che il termine ‘religionÈ «has reference to onÈs views of his relations to his Creator, and to the obligations they impose of reverence for his being and character, and obedience to his will». Ad analoghe conclusion è giunta la Corte nel caso United States v. Macintosh, 283 U.S. 605 (1931): l’essenza della relgione sarebbe credere in «…a relation to God involving duties superior to those arising from any human relation.». 56 Mason Blake Binkley, A loss for Words: “Religion” in the First Amendment, University of Detroit Mercy Law Review, 2010, p.188. 57 Employment Division, Department of Human Resources of Oregon v. Smith, 494 U.S. 872 (1990).
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(1961)58 con cui, in tale equazione, è stata individuata una violazione dell’Estabilishment Clause. La Corte, tuttavia, risulta più spesso orientata ad individuare se ciò che ha di fronte sia o non sia religione piuttosto che a fornirne una definizione. Ad impostazioni eccessivamente restrittive si alternano letture onnicomprensive, senza mai giungere ad un inquadramento che esuli da un approccio esclusivamente casistico. Anche la dottrina è stata spesso impegnata a cercare di elaborare un più preciso inquadramento teorico del fenomeno, non sempre coi medesimi risultati. John Sexton di Harvard59, ad esempio, nel 1978 sposa la teoria del teologo Tillich60, il quale elabora un concetto di religione che ruota attorno ad un nucleo fondamentale: “The Ultimate Concern”; Sexton ritiene che tale nozione sia ben applicabile soprattutto alla “Free Exercise Clause”, in quanto pone l’accento sull’inviolabilità della coscienza individuale. Tuttavia, tale impostazione comporta il rischio di vanificare la funzione di tutela svolta dal Primo Emendamento, dato che il termine “Religion” avrebbe un’accezione talmente ampia da farlo risultare vuoto. Alla luce di tale orientamento, infatti, rientrerebbero nello schema della religione anche ideologiche politiche, quali il Comunismo ed il Nazismo. Sexton giunge ad affermare che un buon modo per valutare se ci si trovi di fronte ad un interesse davvero “ultimate” sarebbe prendere in considerazione se si è disposti a morire per esso. Tuttavia, tale paradigma potrebbe determinare un’oscillazione tra orientamenti onnicomprensivi ed orientamenti eccessivamente restrittivi: se da un lato, infatti, il parametro del “Martyrdom test” potrebbe portare a fornire protezione a seguaci di fenomeni difficilmente riconducibili all’idea di religione, dall’altro, invece, potrebbe costituire un parametro così rigido da sottrarre alla tutela soggetti che non risultino disposti a sacrificare la vita per i propri ideali61. Ben Clements62 dell’Università di Leicester focalizza l’attenzione, invece, sulla funzione svolta dalla religione nella vita di un uomo: un sistema di credenze tale da dare una risposta ai quesiti degli individui sul significato della vita, della morte, della natura del bene e del male e che implica dei doveri che gravano sulla coscienza (duties of conscience). La difficoltà nell’individuare una definizione univoca di religione fa sì che, inevitabilmente, giurisprudenza e dottrina adottino un metro casistico, fondato su criteri
58 Torcaso
v. Watkins, 367 U.S. 488 (1961); secondo la Corte Suprema, lo Stato non può favorire le religioni fondate sulla credenza dell’esistenza di un Dio a danno di quelle che si basano su altre convinzioni, come il Buddismo o il Taoismo. 59 John Sexton, Toward a Constitutional Definition of Religion, 91 Harv. L. Rev. 1056, 1978. 60 Paul Tillich, Dynamics of Faith 1-2, 1958. 61 Si veda, ad es., il caso Sherbert v. Verner (1963): applicando il Martyrdom Test, il rifiuto da parte dello Stato di pagare a Sherbert l’indennità di disoccupazione, dovuta in virtù della sua indisponibilità a lavorare il sabato per motivi di carattere religioso, sarebbe stato legittimo fintanto che non si fosse dimostrato che la signora Sherbert sarebbe stata disposta a sacrificare la sua vita pur di non lavorare il sabato. 62 Ben Clements, Defining “Religion” in the First Amendment: a Functional Approach, 74 Cornell L. Rev. 532, 1989.
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analogici. In Remmers v. Brewer (1973)63 il giudice Hansen ha infatti affermato: “a succint and comprehensive definition … would appear to be a judicial impossibility”. Il giudice Arlin Adams, del Terzo Circuito, in una sua concurring opinion, nell’ambito del caso Malnak v. Yogi (1979), ha messo in evidenza come i giudici in quella controversia avessero, seppur intrinsecamente, adottato un metodo analogico; Adams declina, inoltre, i principali elementi da cui poter desumere che ci si trovi di fronte ad un fenomeno religioso:
L’interesse per i problemi fondamentali relativi all’esistenza umana (il significato della vita, della morte, il ruolo dell’uomo nell’universo, un codice morale che stabilisca cosa è giusto e cosa è sbagliato); Una globale visione del mondo; L’esistenza di “segni” esterni (cerimonie, rituali, clero, un’organizzazione strutturata)64.
La prima sentenza in cui dei giudici hanno adottato all’unanimità il metodo analogico, sulla base del paradigma fissato da Adams, è stata pronunciata nell’ambito del caso Africa vs. Commonwealth of Pennsylvania (1981)65. È evidente, però, che un approccio esclusivamente casistico comporti il rischio che una religione qualificata come tale nell’ambito di una giurisdizione possa non essere definita religione nell’ambito di un’altra giurisdizione 66 . Un’eccessiva discrezionalità porterebbe inevitabilmente ad una certa disparità, soprattutto nei casi “borderline” e soprattutto in sistemi multilivello come quello federale. Si tratta di un problema che emerge ogni qualvolta si tenta di effettuare un’esatta individuazione di un discrimen, di un punto cioè che, in una determinata controversia, consenta di stabilire se si possa procedere alla qualificazione di un fenomeno quale religione o meno. È la dottrina a proporre delle soluzioni.
63 Remmers
v. Brewer, 361 F. Supp. 537 (S.D. Iowa 1973). v. Yogi (3d Cir. 1979) 592 F.2d 197, p. 203 e ss. 65 Africa v. Commonwealth of Pennsylvania (3d Cir. 1981) 662 F.2d 1025, p. 1031 e ss. 66 “…could mean that a religion in one jurisdiction may not qualify as a religion in another.”, Mason Blake Binkley, A loss for Words:“Religion” in the First Amendment, University of Detroit Mercy Law Review, 2010, p. 210. 64 Malnak
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Kent Greenawalt67, Docente presso la Columbia Law School, ad esempio, individua nove “features” riconducibili al concetto di religione e sostiene che si possa parlare inequivocabilmente di religione laddove un determinato fenomeno contempli almeno sei di queste nove caratteristiche:
Fede in Dio; Visione globale del mondo e dello scopo dell’uomo; La credenza in qualche forma di aldilà; Un sistema di rituali e di preghiere; L’obbedienza ad un codice morale; Pratiche che implicano il pentimento e il perdono dei peccati; Sentimenti di timore, colpa, adorazione; L’utilizzo di testi sacri; Un apparato che curi gli aspetti organizzativi e che consenta di favorire e di perpetuare le credenze e le pratiche annesse.
Tuttavia, anche il metodo del “six of nine” di Greenawalt non fornisce una definizione generale di cosa debba intendersi per religione e non impedisce di entrare dentro un circolo di natura tautologica, all’interno del quale la risposta al quesito “cos’è una religione?” è rappresentata dagli stessi presupposti che ci spingono a porci la domanda. All’impostazione di Greenawalt si affianca, e per certi versi di contrappone, la teoria di George Freeman68, il quale focalizza l’attenzione sul concetto di “purpose”. Lo scopo della religione è dare risposta ad interrogativi esistenziali: le cosiddette “Why questions”. Attraverso questo metodo, Freeman sostiene di poter costruire un paradigma delle religioni tradizionali occidentali e orientali. Ad ogni componente dell’elenco da lui stilato, l’autore attribuisce un “peso” (“weight”) numerico per n valore totale di 18.
67 Kent Greenawalt, Religion
as a Concept in Constitutional Law, 72 Calif. L. Rev. 753, 755 n.86, 1984.
68 «There is no single characteristic or set of characteristics that all religions have in common that makes
them religions.», George C. Freeman, III, The Misguided Search for the Constitutional Definition of “Religion”, 71 Geo. L.J. 1983, p. 1519.
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Affinché si possa parlare di religione, a suo dire, è necessario individuare un numero di componenti il cui valore complessivo sia almeno di 10.
Credere in un essere supremo Credere in una realtà trascendente
Rituali sacri e festività sacre Culti e preghiere Membri nell’organizzazione sociale che promuovano un sistema di credo religioso
4 punti
Un codice morale Una visione del mondo che definisce il ruolo dell'uomo nell'universo e attorno alla quale un individuo organizza la sua vita
30
2 punti
1 punto
Nondimeno, anche la soluzione fornita da Freeman potrebbe portare alle medesime forzature a cui si giungerebbe applicando il metodo “six of nine” di Greenawalt. Il Professor Eduardo Peñalver 69 , della Cornell Law School, individua alcuni principi che, soprattutto nei casi “borderline”, potrebbero fornire un ausilio per le Corti, in modo tale che queste non cadano in errore nel qualificare un sistema di credenze come religione: tolleranza della differenza, uguaglianza inclusiva, diversità e libertà di coscienza e di espressione. Le Corti, sostiene il Professore, con le loro decisioni sfociano spesso nel pregiudizio, costruendo un paradigma di religione che si confà specificamente alle principali forme di religione occidentali; le tre principali manifestazioni di tale atteggiamento di pregiudizio sono:
Individuare una principale caratteristica della religione nella credenza in Dio; Ritenere che le religioni debbano essere necessariamente dotate di strutture istituzionali assimilabili alle chiese cristiane; Dare per presupposto che tutte le religioni distinguano tra il naturale ed il soprannaturale.
Le costruzioni dottrinali di Freeman e Greenawalt, pertanto, cadono nell’equivoco di considerare le religioni occidentali “più religiose” di quelle non occidentali. Peñalver sottolinea, quindi, la necessità di costruire un paradigma a cui ricondurre non soltanto le religioni “teistiche” (ad esempio, Cristianesimo ed Ebraismo), ma anche quelle non-teistiche (ad esempio, il Buddismo) ed i culti panteistici (vedasi, ad esempio, Santeria, culto sincretico). Alla luce di ciò, più che fare riferimento alla “Fede in Dio”, come fa Greenawalt, o alla “Credenza in un Essere Supremo”, a cui allude Freeman, sarebbe opportuno optare per una caratterizzazione che abbracci tutti e tre i modelli di religione; in particolare, si dovrebbe fare riferimento, a Dio o a dei, alla sacralità della natura o ad una realtà trascendente; allo stesso modo, parlare solamente di “testi sacri” risulterebbe alquanto limitante; Peñalver ritiene perciò opportuno che, oltre a rivelazioni sacre incorporate in un testo scritto, siano riconducibili al concetto di religione anche quegli insegnamenti, quei dettami morali che vengano trasmessi attraverso una tradizione orale. Secondo tale impostazione, assume una rilevanza secondaria l’esistenza di un clero, di una struttura gerarchica e di un sistema di riti e preghiere, individuali o collettive, che permettano di entrare in comunicazione con la divinità. La costruzione teorica di Peñalver attribuisce un’importanza ancor minore ad un eventuale orientamento al bene ed alla carità di un’ipotetica confessione religiosa. Dalla precedente disamina si può concludere che, data l’inesistenza di una definizione legale di “religione”, il metodo analogico, seppur con i suoi limiti, risulta imprescindibile. Ogni tentativo, da parte di dottrina e giurisprudenza, di effettuare una descrizione univoca del fenomeno, è risultato vano, in quanto ha portato, inevitabilmente, o ad interpretazioni eccessivamente estensive o ad orientamenti tanto restrittivi da essere inammissibili70 . Le 69 Eduardo Peñalver, The
Concept of Religion, 107 Yale L.J. p. 791-822, 1997. loss for Words: ”Religion” in the First Amendment, University of Detroit Mercy Law Review, 2010, p. 234. 70 Mason Blake Binkley, A
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Corti statunitensi hanno ormai rinunciato a delineare un paradigma, preferendo “fotografare” 71 di volta in volta la realtà ritenendo, in tal modo, di poter applicare con maggiore flessibilità e maggiore efficienza i principi costituzionali ai casi singoli. Se è vero che, qualora lo Stato si assumesse il compito ed il potere di definire a priori cosa sia religione e cosa non lo sia, si avrebbe una prima incostituzionale limitazione della libertà religiosa, è altrettanto vero lo Stato possa pur sempre stigmatizzare concretamente alcune condotte. La verifica di legittimità di tali eventuali limitazioni spetta alle Corti72.
71 Eduardo Peñalver, The
Concept of Religion, 107 Yale L.J. p. 811, 1997. Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 42. 72 Valentina Valentini, Gli
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VI.
“Libertà di religione”, “libertà religiosa”, “diritto di libertà religiosa”: natura composita e modalità interpretative
Se è stato arduo a livello interpretativo poter individuare un concetto univoco ed universalmente condiviso di religione, altrettanto difficile è arrivare a definire in termini di nozione concettuale ciò che si intenda per “Libertà di religione”, “libertà religiosa”, “diritto di libertà religiosa”. Trattasi di tre formule apparentemente riconducibili al medesimo concetto, ma che, in realtà, comportano notevoli difficoltà interpretative. In particolare, bisogna evidenziare come le aspettative e le prerogative legate al fenomeno religioso non rappresentino delle monadi; esse sono invece immerse in un organico sistema di diritti e libertà interconnessi, in maniera tale che la compressione o l’estensione di taluni di essi possa incidere anche sugli altri73. Esaminando il contenuto del Primo Emendamento della Costituzione Federale degli Stati Uniti, che è guida imprescindibile per la trattazione in svolgimento, si può facilmente evincere tale meccanismo di interdipendenza: accanto al divieto, in capo al legislatore, di riconoscere ufficialmente una religione o di proibirne il culto, i Padri Costituenti hanno previsto che non possano essere emanate leggi che limitino la libertà di parola, di stampa, il diritto di riunione o di petizione al governo. Ci si trova di fronte ad un complesso coordinato, in cui la libertà di religione, nelle sue due accezioni, assume una posizione centrale, quale presupposto ed effetto di tutte le altre libertà, in un circolo di condizionamento reciproco. Esisterebbe, pertanto, un intimo ed indissolubile legame di solidarietà tra tutte le libertà, per il quale il pregiudizio arrecato ad una si traduca inevitabilmente in una lesione per le altre. Si pensi, ancora, alla lettura unitaria del Primo Emendamento e del Quattordicesimo, che fornisce, attraverso la Due Process Clause, protezione giurisdizionale di fronte ad ingerenze potenzialmente illegittime. Il ricorso al termine “Freedom” lascia aperto un interrogativo: è una libertà o sarebbe meglio parlare di diritto? Mentre il sostantivo “diritto” richiama una situazione giuridica soggettiva di più ampia elaborazione e di più netta definizione, la nozione di “libertà”, da un punto di vista tecnicogiuridico è caratterizzata da una maggiore vaghezza.
73 Cfr. Paolo Grossi, I
diritti di libertà ad uso di lezioni, I, 1, Torino, 1988, p.120.
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Nonostante i molteplici esiti interpretativi possibili, due appaiono le principali accezioni di libertà configurabili:
Libertà negativa: implica sia l’assenza di impedimenti, e quindi la possibilità di fare, sia l’assenza di costrizione, e quindi la possibilità di non fare; Libertà positiva: riconducibile al concetto di autonomia e di autodeterminazione, essa consente ai soggetti che operano all’interno dell’ordinamento di orientare il proprio volere senza condizionamenti esterni.74
Mentre la libertà negativa consiste in una qualifica dell’azione, la libertà positiva ha un ambito di operativa più ampio, consistendo in una qualifica della volontà. L’impostazione liberale del Bill of Rights statunitense ha portato originariamente a conferire ai principi dettati dal Primo Emendamento, ed in particolare alla Freedom of Religion, una connotazione meramente “negativa”; il credo era visto come fatto meramente privato, la libertà di credo era libertà dallo Stato, il quale doveva limitarsi ad astenersi dall’adozione di misure persecutorie o discriminatorie. Lungi dal fornire una definizione di Religione, nella visione dei Padri Costituenti l’Establishment Clause e la Free Exercise Clause avrebbero dovuto conferire una semplice protezione esterna. I cosiddetti “diritti di libertà”, tuttavia, in quanto giuridicizzazioni di fatti umani, non possono ridursi alla sola astensione da turbative da parte di uno Stato minimo o di altri consociati; alla loro enunciazione, al loro riconoscimento, deve conseguire la possibilità di esercizio attraverso la configurazione di un fascio di facoltà che rappresentino le concrete manifestazioni dei diritti astrattamente disegnati 75 . Nello Stato democratico-pluralista, epigono dello Stato sociale, risulta preminente la necessità di tradurre i diritti di libertà in libertà nello Stato 76 . I legislatori federale e statale intervengono in maniera sempre più penetrante a disciplinare le effettive modalità di esercizio delle varie libertà, in una prospettiva di contemperamento di interessi, in una società sempre più complessa.
74 Tale distinzione è principalmente opera di Norberto Bobbio, cfr. Norberto Bobbio, Eguaglianza e libertà, Giulio Einaudi Editore, 2009, p. 45-50. 75 Paolo Grossi, infatti, distingue due impostazioni del concetto di libertà: da una parte un’idea di libertà come assenza di impedimenti esterni, che configura una situazione inattiva e statica, dall’altra un’idea di libertà come potere di autodeterminarsi in relazione ai vari settori della vita, assumendo, al contrario, una posizione attiva e dinamica. Cfr. Paolo Grossi, I diritti di libertà ad uso di lezioni, I, 1, Torino, 1988, p.168. 76 «Nello Stato democratico cambia profondamente l’assetto dei diritt9 costituzionali … Accanto ai tradizionali diritti civili si affermano nuove categorie di diritti che si configurano come libertà positive, in quanto per la loro realizzazione richiedono un intervento attivo dello Stato.». Cfr. Mauro Volpi, Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo, Giappichelli Editore – Torino, Quarta edizione, p. 47.
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Ciò può avvenire sia in un’ottica di tutela più efficace sia al fine di applicare maggiori restrizioni, con una finalità di bilanciamento con valori ritenuti di pari importanza77. Negli Stati Uniti è forte la tensione tra legislatore e giudice; la dialettica tra i poteri determina il quotidiano ed effettivo meccanismo di riconoscimento e protezione dei diritti.
77 «Gli stessi diritti civili assumono caratteri parzialmente nuovi sia perché non sono più strutturati sul parametro rappresentato dal diritto di proprietà … sia perché, nel quadro di uno sviluppo completo della persona umana, essi vengono ad integrarsi con le libertà positive.” Cfr. Mauro Volpi, Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo, p. 47.
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VII.
In cosa consiste la libertà di religione?
In primis, libertà di religione vuol dire possibilità di autodeterminarsi di fronte al trascendente; l’individuo può assumere liberamente una posizione in merito alla spiritualità e può ricercare liberamente le risposte ai quesiti esistenziali che l’uomo inevitabilmente si pone78. Tuttavia, il riconoscimento della libertà religione non può sfociare in un favor nei confronti delle posizioni teiste; non esiste vera libertà “di” religione senza libertà “dalla” religione. L’azione umana deve poter essere al riparo da condizionamenti e da pressioni omologanti. La libertà di credo implica conseguentemente anche la libertà di manifestare le proprie scelte e le proprie convinzioni in materia religiosa. Inoltre, accanto ad una dimensione meramente individuale del fenomeno religioso, in cui rileva sia il rapporto verticale individuo-Stato che quello orizzontale individuo-individuo, assume rilevanza anche la dimensione collettiva ed istituzionale, della confessione religiosa in quanto gruppo, in quanto corpo intermedio. È molto raro che l’adesione ad un determinato credo si esaurisca a scelte individuali e non comporti, invece, l’attivazione di meccanismi solidaristici. Anche negli Stati Uniti, dove resiste una concezione di “Chiesa” quale mera struttura privata non dotata, se non in singoli settori, di una disciplina specifica, la distinzione tra libertà religiosa e libertà delle confessioni religiose non è netta come sembra. Se sul piano teorico può risultare reggere, da un punto di vista pratico le compenetrazioni sono inevitabili: la libertà di religione è effettivamente tutelata se vengono tutelati gli strumenti con cui il godimento di tale libertà si esplica. La libertà di religione ha una natura complessa e composita, che rende opportuna un’analisi delle sue singole declinazioni; l’utilizzo del metodo sistematico non può prescindere da un approccio casistico. Ed è quello che nell’ordinamento statunitense avviene quotidianamente79.
78 Donatella Loprieno, La
libertà religiosa, Giuffrè Editore, 2009, p. 45.
79 Anche in ambito ecclesiastico, negli Stati Uniti non è possibile prescindere dalle statuizioni dei giudici
costituzionali e dal ruolo che le loro sentenze svolgono nel disegnare l’ordinamento giuridico. Il modello statunitense, proprio della tradizione di Common Law, “vede il diritto non solo essere interpretato ma nascere e vivere essenzialmente per opera della giurisprudenza”, cfr. Vittoria Barsotti, Nicola Fiorita, Separatismo e laicità, Giappichelli Torino, 2008, p. 11.
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Il meccanismo di tutela della libertà religiosa negli Stati Uniti è stato da più parti definito “modello-guida” della civiltà occidentale.80 Come già detto, la libertà di religione negli Stati Uniti d’America è elevata a rango di First Freedom, di prima libertà. Alla luce del Primo Emendamento, si è osservato che i cittadini statunitensi sono liberi di scegliere, innanzitutto, se credere o non credere e poi, eventualmente, di scegliere in cosa credere81. La libertà di religione assume, secondo l'impianto costituzionale americano, ma soprattutto in virtù delle varie fasi che hanno segnato la formazione del Paese, una declinazione al plurale; sarebbe probabilmente più opportuno parlare di libertà di "religioni" piuttosto che di "religione". Come sottolinea Cardia, al momento dell'indipendenza, negli Stati Uniti, non vi è un papa da contrastare o una Chiesa dominante da sradicare, tanto meno vi sono beni ecclesiastici da aggredire82. Il pluralismo confessionale degli Stati Uniti si traduce nell'Establishment Clause che non solo sancisce la non preferenza di un culto o di una confessione rispetto ad un'altra, ma rinuncia persino a dare una definizione di "religione". Se si coordina la prima clausola con la Free Exercise Clause, si può facilmente configurare un'idea di libertà religiosa quale libertà negativa: nel disegno dei Padri Costituenti la libertà religiosa era vista come diritto a non subire vessazioni, discriminazioni o persecuzioni in virtù del proprio credo. Ci si domanda se oggi la libertà di religione abbia mantenuto la medesima accezione; l'evoluzione dei costumi, i mutamenti della coscienza sociale, la nascita di nuovi culti ed altre necessità contingenti hanno spesso fatto rilevare che all'elasticità delle prescrizioni contenute nel Primo Emendamento non sempre abbia fatto seguito il riconoscimento del carattere assoluto della libertà di esercitare la propria fede. Originariamente, le prescrizioni contenute nel Primo Emendamento venivano lette come limiti al potere normativo del legislatore federale, il Congresso. Dalla seconda metà del Novecento, le clausole vengono interpretate come vincolanti anche per il legislatore statale 83 ; inoltre, nello stesso periodo emerge un’importante distinzione tra la libertà di credo, ritenuta ancora assoluta, e la libertà di praticare il proprio credo, sulla quale possono essere poste delle restrizioni. La libertà dall'ingerenza statale non viene più vista come totale immunità dall'intervento statale. Alla luce di questo cambio di rotta, negli Stati Uniti è emersa la necessità di fissare limiti applicativi della libertà di religione, attraverso un’attività di bilanciamento con interessi ritenuti di pari rango.
80 Francesco del Canto,
La libertà religiosa di inizio millennio in Francesco Del Canto, Pierluigi Consorti, Saulle Panizza (a cura di), Libertà di espressione e libertà religiosa in tempi di crisi economica e di rischi per la sicurezza, Pisa University Press, 2016, p. 151. 81 Valentina Valentini, Gli Stati Uniti e la religione, Padova, Cedam, 2010, p. 59. 82 Carlo Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, Giappichelli Torino, 2015, p. 75-76. 83 Cfr. la già citata sentenza Cantwell v. Connecticut, 310 U.S. 296 (1940).
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A fronte di un’idea di libertà religiosa quale diritto universale ed inalienabile, a partire dal XX secolo negli Stati Uniti è stato adottato un approccio che Annicchino ha definito di “attenzione bilanciata”84; viene fornita protezione al diritto di libertà religiosa in un’ottica strumentale e relativa. Rientra in questo progetto politico anche l’adozione, nel 1993, del Religious Freedom Restoration Act85. Apparentemente adottata dal Congresso per arginare una giurisprudenza della Corte Suprema ritenuta poco liberale, la legge in questione non fa altro che ribadire quanto sopra affermato: il governo non può limitare l’esercizio della libertà religiosa individuale, a meno che non emerga la necessità di perseguire un interesse pubblico prevalente; la libertà religiosa va sì riconosciuta e fortemente tutelata, ma può, all’occorrenza, essere limitata86. Gli Stati Uniti, non senza critiche, si sono anche ufficialmente erti a paladini della libertà religiosa globale, attraverso il filtro della lotta al terrorismo. Con l’adozione, nel 1998, dell’International Religious Freedom Restoration Act 87 , gli USA hanno esplicitamente orientato la loro politica estera alla promozione della libertà religiosa88. Gli interventi statali limitativi della libertà religiosa possono muoversi in due direzioni:
da un lato, interventi volti a proibire determinate condotte richieste dalle confessioni religiose o assunte per motivi religiosi; dall'altro, al contrario, interventi volti ad evitare l'imposizione di condotte ritenute contrarie al credo religioso.
Gli interventi normativi rientranti nel primo punto, sono innanzitutto riconducibili al tema della libertà di manifestazione del proprio credo; a quest'ultima si ricollega la libertà di
84 Pasquale Annicchino, Esportare la libertà religiosa. Il Modello Americano nell’Arena Globale, Il Mulino 2015, p. 19 ss. 85 The Religious Freedom Restoration Act of 1993, Pub. L. No. 103-141, 107 Stat. 1488; nelle pagine che seguono, ed in particolare nelle pagg. 47-48, verranno più puntualmente esplicati i criteri introdotti da tale legge e l’orientamento della Corte Suprema in merito. 86 «In enacting the RFRA, Congress codified a constitutional rule, the compelling-interest “balancing test,” that the Supreme Court had used until 1990 to determine whether generally applicable and religiously neutral laws that incidentally place a substantial burden on a person’s religious practices are inconsistent with the free-exercise clause of the First Amendment to the U.S. Constitution (“Congress shall make no law…prohibiting the free exercise [of religion]”). According to the balancing test, such laws are unconstitutional unless they serve a compelling governmental interest.», Encyclopædia Britannica. 87 The International Religious Freedom Act 1998 (Public Law 105–292). 88 Il Presidente Bill Clinton, il giorno dopo l’approvazione della proposta di legge da parte del Congresso, affermò: “The United States was founded on the right to worship freely and on respect for the right of others to worship as they believe. My Administration has made religious freedom a central element of U.S. foreign policy. When we promote religious freedom we also promote freedom to expression, conscience, and association, and other human rights. This Act is not directed against any one country or religious faith. Indeed this Act will serve to promote the religious freedom of people of all backgrounds, whether Muslim, Christian, Jewish, Buddhist, Hindu, Taoist or any other faith.”
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diffondere il proprio credo. Il proselitismo è fortemente insito nella coscienza religiosa americana. In questa materia, la Corte Suprema ha sempre cercato di assumere un orientamento volto a garantire un bilanciamento tra il diritto di esprimere liberamente la propria fede e la necessità di prevenire pericoli o eccessi derivanti dall'attività di propaganda. A tal fine, i giudici sono spesso giunti a sancire la legittimità di controlli preventivi o autorizzazioni, purché fossero rivolti all'attività di pubblicità in quanto tale, a prescindere dalla connotazione religiosa 89 . Ugualmente, la Corte è propensa a dichiarare valide le prescrizioni che prevedano particolari permessi per riunioni pubbliche o processioni, sempre a condizione che il rilascio o il diniego dell'autorizzazione non sia dovuto alla natura religiosa dell'evento. È presente un'ampia e varia casistica in materia di libertà di culto; rilevano in modo particolare le modalità con cui la Corte Suprema è riuscita a bilanciarla con necessità di sicurezza90. Gli interventi normativi relativi al secondo punto, invece, si ricollegano principalmente al fenomeno dell'obiezione di coscienza, cioè quei comportamenti che, pur determinando un'astensione da una condotta prescritta da una disposizione vincolante, non sono sanzionati perché posti in essere per motivazioni religiose. In particolare, nelle previsioni legislative in materia, si tende a dare risalto al fatto che le motivazioni religiose vantino la particolare tutela fornita dal Primo Emendamento.
89 Ad es., nel caso International Society for Krishna Consciousness v. Lee, 505 U.S. 672 (1992), la Corte Suprema ha dichiarato legittime alcune limitazioni poste dalle autorità aeroportuali all’attività di proselitismo; in particolare, il caso di specie riguardava la distribuzione di letteratura religiosa in aeroporto con annessa richiesta di contributi. La richiesta di contributi viene impedita, non in virtù della natura religiosa dell’attività svolta, bensì in ragione delle peculiarità del posto in cui l’attività veniva svolta. 90 Ad es., nel 1987, la Corte Suprema, nell’ambito del caso O’Lone v. Estate of Shabazz, 482 U.S. 342, ha ritenuto legittimi due provvedimenti con cui un’organizzazione carceraria del New Jersey impediva, di fatto, ai detenuti di fede musulmana di partecipare alla tradizionale preghiera del venerdì. La struttura carceraria avrebbe dovuto predisporre un servizio di trasporto aggiuntivo e tale onere venne ritenuto troppo gravoso da un punto di vista economico e particolarmente rischioso dal punto di vista della sicurezza. Sebbene l’assistenza religiosa sia ritenuta un diritto del detenuto, perché vista come uno strumento di rieducazione dei condannati, le concrete attuazioni sono appannaggio delle amministrazioni carcerarie. Nel 2000, con il Religious Land Use and Istitutionalized Persons Act, si è sancita la necessità di sottoporre i regolamenti carcerari che limitino la libertà religiosa dei detenuti ad un rigoroso vaglio di costituzionalità.
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VIII.
La libertà religiosa nelle sentenze della Corte Suprema
Di grande interesse ai fini del presente studio è l’evoluzione giurisprudenziale in seno alla Corte Suprema sul concetto di “libertà religiosa”. La giurisprudenza, infatti, ha dovuto talvolta interpretare ed applicare l’articolo VI, comma III della Costituzione federale statunitense, per cui nessun test religioso può essere mai richiesto al fine di ricoprire un incarico pubblico negli Stati Uniti, rilevando come esso vieti che venga richiesta l’adesione ad una determinata fede religiosa o credenza al fine di rivestire un incarico pubblico, sia esso politico o di natura amministrativa. Tuttavia, da un’analisi più approfondita, si potrebbe evincere come l’articolo VI, comma III si componga di due differenti previsioni normative: la Oath Clause e la No Religious Test Clause91. La prima impone che chi ricopra cariche pubbliche sia tenuto per giuramento o per solenne affermazione a rispettare la Costituzione; la seconda, come già descritto, vieta qualsiasi prova di fede religiosa nei confronti di coloro che andranno a ricoprire un incarico pubblico. La dottrina maggioritaria riconduce tale previsione normativa all’ambito del dibattito sulla religione civile statunitense. Uno dei tratti fondamentali della religione civile statunitense è il suo professare l’inesistenza di differenze in base all’appartenenza religiosa; l’unico aspetto rilevante è rappresentato dal rispetto dei valori costituzionali92. Nella storia degli Stati Uniti si è però visto come, in alcuni periodi, il giuramento su base religiosa fosse praticato e diffuso. Prima dell’approvazione del Primo Emendamento era infatti vigente una sorta di binomio protestantesimo-cultura americana 93 . Non deve stupire dunque il fatto che, al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, ci fossero numerosi Stati che richiedessero l’espletamento di un religious test per accedere a cariche pubbliche; tale clausola veniva più che altro vista come uno strumento per arginare il fenomeno della formazione delle Chiese Nazionali, già verificatosi in Europa94. La giurisprudenza della Corte Suprema ha dimostrato uno scarso interesse per la “Non Religious Test Clause”, riconducendo tutte le controversie all’alveo del Primo Emendamento95. L’introduzione di un catalogo di diritti fondamentali da 91 Pasquale Annicchino, La religione in giudizio. Tra Corte Suprema degli Stati Uniti e Corte europea dei diritti dell’uomo, il Mulino, 2018 p. 37-38. 92 Emblematiche le parole di Justice Frankfurter nell’ambito del caso Board of Education v. Barnette, 319 U.S. 624 (1943): «as judges we are neither Jew or Gentile, neither Catholic nor agnostic. We owe equal attachement to the Constitution, and are equally bound by our judicial obligations». 93 Thomas J. Curry, The First Freedoms; Church and State in America to the Passage of the First Amendment, Oxford, Oxford University Press, 1987, p. 218. 94 Valentina Valentini, Gli Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 29. 95 Da alcuni casi, tuttavia, è possibile ricavare un’interpretazione almeno indiretta dell’art. VI comma III; vedasi ad esempio Girouard v. United States 328 U.S. 61 (1946).
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garantire ai cittadini, mediante l’approvazione del Bill of Rights, ha inevitabilmente portato ad individuare nelle Corti, nei giudizi, il luogo naturalmente più idoneo a far valere le prerogative contenute nel catalogo stesso. In particolare, con riferimento al rapporto tra diritto e religione, numerosi gruppi religiosi sono ricorsi alle Corti 96 per cercare di ottenere un riconoscimento giuridico di quei principi dapprima ritenuti meramente morali o teologici97. La collocazione della Free Exercise Clause e della Establishment Clause all’inizio del Primo Emendamento viene vista come una primazia non solo grafica, ma anche concettuale e intellettuale: la libertà religiosa sarebbe la fonte ed il fondamento di tutte le altre libertà contemplate nel Primo Emendamento 98 (libertà d’espressione, di parola, di stampa, di riunione, il diritto di fare petizioni al governo). In origine, dal riferimento al Congresso si ricavava l’applicabilità del Primo Emendamento solo a livello federale; sarà poi l’attività interpretativa della Corte Suprema ad estendere la portata del precetto anche all’attività normativa dei singoli Stati. Inoltre, è d’uopo sottolineare come il modello di protezione dei diritti negli Stati Uniti risponda ad una logica duale: da un lato una tutela nei confronti del governo federale garantita dalla Costituzione federale, dall’altro una tutela nei confronti dei governi statali garantita dalle Costituzioni statali 99 . Sebbene le minoranze religiose non abbiano sempre goduto di grandi tutele100, le due clausole del Primo Emendamento sono servite a garantire il pluralismo religioso che da sempre caratterizza la società statunitense. Le vicende della Corte Suprema mostrano come l’ordinamento statunitense abbia vissuto due fasi: la prima in cui, col fine di preservare il principio federalista ed il correlato margine di discrezionalità politica, i giudici non si sono spinti a creare un vero e proprio diritto federale a tutela della libertà religiosa; la seconda in cui la Corte Suprema si è spinta, successivamente, ad allargare il suo sindacato fino a creare un vero e proprio standard federale di tutela della libertà religiosa. Negli Stati Uniti, uno degli snodi cruciali nel dibattito dottrinale e nelle pronunce in materia di diritti fondamentali è rappresentato dal rapporto tra competenze federali e competenze statali. Al fine di sottolineare quanto fossero circoscritti i poteri trasferiti al governo federale, le Religion Clauses del Primo Emendamento vennero utilizzate, durante i primi centocinquanta anni dell’esperienza costituzionale statunitense, solo a protezione di eventuali provvedimenti del Congresso; la tutela della libertà religiosa nei confronti dei provvedimenti dei singoli Stati veniva affidata alle singole Costituzioni statali.
96 Basti pensare al caso Roe
v. Wade 410 U.S. 113 (1973), in materia di aborto. sottolineare questo fenomeno è stato, ad esempio Andrew R. Lewis in The Rights Turn in Conservative Christian Politics. How Abortion Transformed The Culture Wars, Cambridge, Cambridge University Press, 2017. 98 Michael McConnell, Why is the Religious Liberty the “First Freedom”?, in Cardozo Law Review, 21, 1999-2000, p. 1243-1265. 99 Pasquale Annicchino, Libertà religiosa e autonomie federali e regionali (Stati Uniti e Italia), in A. Morelli e L. Trucco a cura di), Diritti e territorio. Il valore delle autonomie nell’ordinamento repubblica, Torino, Giappichelli, 2015, p. 106-104. 100 David Sehat, The Myth of American Religious Freedom, New York, Oxford University Press, 2011. 97 A
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Nel 1940, finalmente, nell’ambito del caso Cantwell v. Connecticut101 la Corte Suprema ha per la prima volta applicato la Free Exercise Clause ad un’ordinanza locale; nel caso Everson v. Board of Education 102 , invece, essa ha per la prima volta sancito l’applicabilità dell’Establishment Clause alle legislazioni statali. Si apriva così la strada ad un’interpretazione pienamente federale delle due clausole. Si delineava, quindi, un diritto nazionale alla libertà religiosa gestito, a livello federale, dalla Corte Suprema103. Il fenomeno della cosiddetta “incorporazione” impedisce il ritorno ad una delineazione della tutela della libertà religiosa esclusivamente fondata su un piano statale104. Nei casi che coinvolgono tematiche etiche o religiose, è particolarmente evidente la tensione tra potere legislativo e potere giudiziario. Le Corti, spesso, con le loro decisioni, sovvertono l’esito del procedimento politico, contraddicendo la volontà della maggioranza democraticamente eletta attraverso la dichiarazione di incostituzionalità dei provvedimenti da essa adottati. Il ruolo svolto dalla Corte Suprema evidenzia in maniera forte come le decisioni dei giudici possano entrare in contrasto col “sacro” principio della sovranità popolare105. Tuttavia, un’idea di democrazia meramente maggioritaria stride con le necessità del costituzionalismo moderno, che impone anche al potere giudiziario di dare tutela alle minoranze non del tutto rappresentate nel processo politico. Uno degli argomenti principali attraverso cui approfondire il tema del rapporto tra “religione” e “spazio pubblico” è senza dubbio quello della “neutralità”. Negli anni ‘60 del Novecento, Kurland 106 , propose una lettura delle due clausole del Primo Emendamento in grado di annullare “the natural antagonism”107 tra di esse: da un lato, evitare discriminazioni su base religiosa, dall’altro, proibire l’elargizione di benefici governativi ai gruppi religiosi. Le Corti, tuttavia, rimarranno a lungo ancorate al modello separazionista del Lemon Test. Una svolta si ebbe con la nomina di Rehnquist108 a Chief Justice della Corte Suprema, nel 1986. L’attività ermeneutica della Corte sarà volta a fornire una lettura della Free Exercise Clause tale da escludere che una legge generale e non specificamente destinata a colpire una
101 Cantwell
v. Connecticut, 310 U.S. 296 (1940). v. Board of Education, 330 U.S. 1 (1947). 103 Federick Mark Gedicks, Federalismo e libertà religiosa negli Stati Uniti, p. 266. 104 Tuttavia, accanto al sistema di tutela ridisegnato dalle pronunce della Corte Suprema, restano in piedi le varie misure a favore della libertà religiosa predisposte a livello statale. Gli Stati continuano autonomamente ad adottare in varie maniere trattamenti favorevoli alle manifestazioni delle varie fedi. Cfr. Valentina Valentini, Gli Stati Uniti e la religione, Padova, Cedam, 2010, p. 24. 105 Cesare Pinelli, Il dibattito sulla legittimazione della Corte Suprema, www.associazionedeicostituzionalisti.it, p. 6. 106 Philip Kurland, Religion and the Law: Of Church and State and the Supreme Court, Chicago, Aldine Publishing Company (1962). 107 John E. Nowak, Ronald D. Rotunda, Constitutional Law, West Academic ed., 2009, p. 1307-1310. 108 Secondo Kent Greenawalt la giurisprudenza della Corte Rehnquist ha addirittura: «turned the constitutional law of religion nearly upside down», cfr. Kent Greenawalt, Religion and the Rehnquist Court, in «Northwestern University Law Review», 99, 2004, p.145. 102Everson
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pratica religiosa garantisca esenzioni religiosamente motivate 109 . Allo stesso modo, verrà fornita una lettura dell’Establishment Clause basata su un concetto di neutralità tale da evitare una discriminazione fra religione e non religione. La lettura espansiva della Free Speech Clause ha altresì consentito di mettere i discorsi religiosi sullo stesso piano di quelli non religiosi, garantendo una più penetrante presenza del fenomeno religioso nella sfera pubblica. Non una neutralità meramente astratta, come quella delineata nella fase del legal secularism, quanto piuttosto un approccio casistico. La più recente giurisprudenza della Corte Suprema persegue l’obiettivo di reintrodurre nel dibattito pubblico la religione, superando quindi quell’atteggiamento di assoluta indifferenza proprio dell’ideologia separazionista 110 . Nonostante alcune critiche, prevalentemente orientate a sottolineare come l’interesse per la natura individuale sia stato soppiantato da una nozione di libertà religiosa di natura collettiva e comunitaria, è indubbio che la dottrina della neutralità, così come interpretata dalla Corte Suprema, abbia il merito di garantire una maggiore attenzione della sfera pubblica per il fattore religioso.
109 Valentina Valentini, Gli
Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 45. 110 Alex Schulman, Kulturkampf and Spite: The Rehnquist Court and American «Theoconservatorism», in «Law & Literature», 22, 1, 2010, p. 48-75.
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IX.
Libertà Religiosa Individuale
La giurisprudenza della Corte Suprema ha più volte messo in evidenza come sia la libertà religiosa individuale a possedere un carattere assoluto, mentre le condotte poste in essere in base a considerazioni religiose hanno invece carattere relativo; in quasi tutti i casi in cui è stata applicata la Free Exercise Clause, la Corte è stata chiamata a valutare gli eventuali limiti opponibili all’esercizio di tale libertà individuale. A partire dal 1963, e fino agli inizi degli anni ‘90 la giurisprudenza, nell’applicare la Free Exercise Clause, predilesse un approccio volto a dare maggiore tutela alla libertà religiosa individuale; si pensi, ad esempio, al caso Sherbert v. Verner (1963)111, in cui la Corte ritenne contraria alla Free Exercise Clause l’azione opposta da un’amministrazione pubblica nei confronti di una donna che si era rifiutata di lavorare di sabato, in quanto contrario alle prescrizioni imposte dalla propria religione. In virtù del cosiddetto Banalcing Test, la libertà religiosa per cedere dovrebbe scontrarsi con un diritto dello stesso rango ad essa antitetico, la cui tutela dovrebbe essere ritenuta dall’ordinamento così importante da sacrificare una fondamentale libertà dei cittadini112. Agli inizi degli anni ‘90 si riapriva il dibattito circa i limiti in cui avrebbe potuto incorrere la libertà religiosa individuale, ed ancora assunse una posizione centrale il concetto di “neutralità”. L’interrogativo principale verteva sull’estensione di eventuali esenzioni attribuibili ai singoli, al fine di valutare la compatibilità di comportamenti religiosamente motivati che fossero in contrasto con leggi di carattere generale. Emblematico in tal senso fu il caso Employment Division v. Smith (1990)113, riguardante una legge che sanzionava l’uso di droghe allucinogene utilizzate dai nativi americani durante le loro cerimonie religiose: a due indiani venne negato il sussidio di disoccupazione proprio per aver assunto tali sostanze. La Corte Suprema sostenne il carattere generale ed astratto della normativa federale, la quale non era stata dettata per colpire una specifica religione, e quindi in assoluto ossequio all’impianto costituzionale114. La ricaduta sul fenomeno religioso fu valutata come meramente incidentale: con la valorizzazione del principio di uguaglianza formale i giudici, di fatto, rinvigorirono la capacità dello Stato di incidere su comportamenti
111 Sherbert
v. Verner, 374 U.S. 398 (1963). Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 43. 113 Employment Division, Department of Human Resources of Oregon v. Smith, 494 U.S. 872 (1990). 114 Secondo la Corte Suprema: «An individual’s religion belifs do not excuse him for compliance with an otherwise valid law, prohibiting conduct that the State is free to regulate»., cfr. Employment Division v. Smith, 494 U.S. (1990), 878-879. 112 Valentina Valentini, Gli
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e fattispecie a carattere religioso. Una legge neutrale ed applicabile alla generalità dei cittadini non poteva essere ritenuta contraria alla Free Exercise Clause e non sarebbe stata dichiarata incostituzionale, a meno che non si fosse trattato di una legge che fosse rivolta a sanzionare una particolare condotta religiosa e il cui scopo primario fosse interferire con la religione. Si ammettevano, quindi, anche incidentali limitazioni alla libertà di culto. L’impostazione restrittiva adottata dalla Corte Suprema suscitò la reazione del Congresso il quale, con l’adozione del Religious Freedom Restoration Act (RFRA)115, tentò di limitare la possibilità degli Stati di intervenire sul tema della libertà religiosa. In tale provvedimento era previsto che, per valutare la legittimità delle misure legislative restrittive della libertà religiosa, fosse necessario esperire un giudizio di proporzionalità e valutare la rispondenza del provvedimento ad un “compelling state interest”. La Corte Suprema, nel 1997, ritenne di dover sancire l’illegittimità costituzionale della suddetta legge 116 . La dichiarazione di incostituzionalità del Religious Freedom Restoration Act non ha però impedito ai singoli Stati di approvare mini-RFRA, che vietino ai governi di imporre vincoli al libero esercizio della religione al solo scopo di limitarla. La Corte, negli ultimi anni, ha determinato una svolta, superando la cosiddetta dottrina Smith, valorizzando la portata del diritto di libertà religiosa 117 . Tuttavia, tale revirement sembra essere giustificato più su leggi speciali a tutela della libertà religiosa e sulle costituzioni statali piuttosto che sul Primo Emendamento della Costituzione federale118.
115 Religious
Freedom Restoration Act, U.S. CODE, Title 42, Chapter 21b, §2000 bb e ss.: «(a) In General: Government shall not substantially burden a person's exercise of religion even if the burden results from a rule of general applicability, except as provided in subsection (b). (b) Exception: Government may substantially burden a person's exercise of religion only if it demonstrates that application of the burden to the person (1) is in furtherance of a compelling governmental interest; and (2) is the least restrictive means of furthering that compelling governmental interest.». Inoltre: «Nothing in this Act shall be construed to affect, interpret, or in any way address that portion of the First Amendment prohibiting laws respecting the establishment of religion (referred to in this section as the 'Establishment ClausÈ). Granting government funding, benefits, or exemptions, to the extent permissible under the Establishment Clause, shall not constitute a violation of this Act . As used in this section, the term 'granting', used with respect to government funding, benefits, or exemptions, does not include the denial of government funding, benefits, or exemptions». 116 City of Boerne v. Flores, 521 U.S. 507 (1997). 117 Si pensi, ad es. al caso Gonzales v. O’Centro Espirita Beneficiente Uniao Do Vegetal, 546 U.S. 418 (2006), in cui la Corte Suprema, all’unanimità, ha dichiarato incompatibile con il Religious Freedom Restoration Act la legislazione federale che vietava l’importazione di un’erba allucinogena utilizzata per i riti della confessione religiosa coinvolta nella decisione. 118 In due casi recenti, Holt v. Hobbs, 574 U.S. (2015) e EEOC v. Abercrombie & Fitch Stores Inc., 575 U.S. (2015), relativi rispettivamente al porto del velo sul luogo di lavoro e alla possibilità per un detenuto musulmano di farsi crescere la barba, la Corte Suprema ha fatto prevalere il diritto di libertà religiosa sulla base di leggi speciali e non sulla base del testo costituzionale.
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Accanto alla dimensione individuale, la libertà religiosa può essere letta anche dal punto di vista della sua dimensione collettiva. Il tema si ricollega alla valutazione dei limiti all’autonomia riconosciuta ai gruppi religiosi119. Sulla base della Free Exercise Clause, i gruppi religiosi vennero individuati quali organic entities 120 , come autonomi centri di imputazione di diritti. Storica è la sentenza Kedroff vs. Saint Nicholas Cathedral del 1952121, con cui la Corte Suprema dichiarò l’illegittimità costituzionale di una legge dello Stato di New York che proibiva al patriarcato di Mosca la nomina di vescovi della locale Chiesa Ortodossa; in questa decisione, i giudici sottolinearono l’esistenza di una sfera di intangibilità entro la quale non è possibile interferire con le organizzazioni religiose122. Anche in materia di impiego, le istituzioni religiose godono di particolare autonomia. Ad esempio, nella sentenza Hosanna Tabor Evangelical Lutheran Church vs. Equal Employment Oppotunity Commission (2012)123, la Corte Suprema ha statuito che l’autonomia dei gruppi religiosi nello scegliere i ministri con cui intraprendere un rapporto di lavoro prevalga anche sul principio di non discriminazione. La cosiddetta ministerial exception124 esonererebbe, quindi, le organizzazioni religiose dall’applicare il diritto comune nei confronti dei loro ministri. La Corte Suprema, nel 2014, è arrivata a riconoscere persino l’esercizio del diritto di libertà religiosa ad un’impresa. Nel caso Burwell v. Hobby Lobby 125 , infatti, si è stabilito che l’obbligo di fornire agli impiegati una copertura assicurativa per farmaci anticoncezionali, gravante sui datori di lavoro, non dovesse essere applicato alle società a scopo di lucro che avessero posto un’obiezione religiosamente fondata126.
119 Gerhard Robbers,
Church Autonomy: A Comparative Survey, New York, Peter Lang Publishing, 2001. Il conflitto tra il principio di autonomia dei gruppi religiosi ed altri diritti fondamentali: recenti pronunce della Corte Suprema degli Stati Uniti e della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, in «Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica», 1, 2013, p. 55-69. 121 Kedroff v. Saint Nicholas Cathedral, 344 U.S. 94 (1952). 122 Cfr. anche Presbyterian Church of the United States v. Hull Presbyterian Church, 393 U.S. 449 (1969), in cui la Corte ha stabilito che non spetta ai poteri secolari risolvere dispute teologiche. 123 Hosanna-Tabor Evangelical Lutheran Church and School v. Equal Employment Opportunity Commission, 565 U.S. 171 (2012). 124 Pamela Slotte, Helge Arsheim, The Ministerial Exception-Comparative Perspectives, in «Oxford Journal of Law and Religion», 4, 2, 2015. 125 Burwell v. Hobby Lobby, 573 U.S. (2014). 126 Cfr. Susanna Mancini, Tra obiezione di coscienza e complicità: Hobby Lobby e Conestoga Wood, in P. Annicchino (a cura di), La Corte Roberts e la tutela della libertà religiosa negli Stati Uniti d’America, European University Institute 2017 p. 83-89. 120 Pasquale Annicchino,
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X.
La Religione nelle scuole: principio di non coercizione e divieto di indottrinamento
La giurisprudenza della Corte Suprema relativa al settore dell’insegnamento è stata molto prolifica ed ha determinato la fissazione di principi cardine nell’assetto costituzionale statunitense. Nel caso McCollum v. Board of Education (1948) 127 , la Corte Suprema sottolineò l’importanza di garantire l’insegnamento della religione nella scuola pubblica, fino a giungere a rilevare la violazione del Primo Emendamento laddove non fosse possibile impartire un’educazione religiosa. Ancora, in molte sentenze la Corte ha individuato una violazione del Primo Emendamento nell’introduzione di obblighi di preghiera nella scuola pubblica, di lettura obbligatoria di passi della Bibbia o nell’esposizione di simboli sacri128. Interessante è il caso Wallace vs. Jaffree (1985)129, in cui la Corte Suprema ha rilevato una violazione dell’Establishment Clause in una legge dell’Alabama che introduceva un minuto di silenzio al fine di preghiera o di meditazione all’inizio delle lezioni; l’incostituzionalità era insita nella preferenza per le posizioni religiose rispetto a quelle non religiose130. Se da un lato, quindi, l’Establishment Clause impone alla Corte Suprema di osteggiare le pratiche che sfocino in una coercizione rispetto all’adesione degli studenti ad una determinata religione nel contesto scolastico, dall’altro, la Free Speach Clause, sempre desumibile dal Primo Emendamento, impone di riconoscere e tutelare la libertà di espressione religiosa anche all’interno della scuola. L’atteggiamento neutrale non deve sfociare, tuttavia, in un osteggiamento delle posizioni in materia religiosa (viewpoint discrimination).131
127 McCollum
v. Board of Education, 333 U.S. 203 (1948). Township School District v. Schempp, 371 U.S. 203 (1963). 129 Wallace v. Jaffree, 472 U.S. 38 (1985). 130 Secondo Justice Stevens, autore dell’opinione di maggioranza: «the State intended to characterize the prayer as a favourite practice. Such an endorsement is not consistent with the established principle that Government must pursue a course of complete neutrality toward religion». 131 Cfr. Lamb’s Chapel v. Center Moriches Union Free, 508 U.S. 394 (1993), caso in cui un gruppo studentesco chiedeva di poter utilizzare locali scolastici per proiettare un film religioso. Justice White, autore dell’opinione di maggioranza, scrisse: «The principle that has emerged from our case law is that the First Amendment forbids the government to regulate speech in ways that favour some viewpoints or ideas at the expense of others». 128 Cfr. Abington
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XI.
Natura giuridica delle organizzazioni religiose negli Stati Uniti
Espressione evidentemente emblematica della separazione tra religione (sfera privata) e Stato (sfera pubblica), in una dinamica di reciproca non interferenza, nonché quale concretizzazione della libertà religiosa quale libertà negativa, è di sicuro il modello organizzativo delle confessioni religiose negli Stati Uniti e dal regime giuridico applicato alle stesse. Nonostante l'importante ruolo svolto dalla religione (o meglio, dalle religioni) nella società statunitense, in materia di libertà religiosa collettiva non vi è un'apposita legislazione che disciplini specificamente la veste giuridica delle confessioni religiose. Il fenomeno associativo religioso è fatto meramente privato, privo di una sua specificità dal punto di vista normativo. Pur non potendo riprodursi, negli ordinamenti di Common Law, la stessa distinzione soggetto pubblico-soggetto privato elaborata negli ordinamenti di Civil Law, le confessioni religiose, negli Stati Uniti, possono essere definite "soggetti privati" per esclusione, in quanto non pubblici: su di esse non gravano i vincoli che sono posti a carico dello Stato e degli Enti ad esso connessi. La mancanza di una confessione nettamente prevalente sulle altre ed il pluralismo predisposto ad accogliere ulteriori credenze hanno fatto consolidare l’opinione per cui le confessioni religiose non siano così diverse dalle altre organizzazioni private che operano nel campo del sociale. La mancanza di una definizione legislativa di religione, dovuta alla connotazione multietnica e multirazziale degli Stati Uniti ed alla forte eterogeneità della sua popolazione sin dagli inizi, ha portato alla nascita ed all'affermazione di tanti modelli di chiese differenti, tanto che spesso risulta difficile distinguere l'ambito di operatività della più specifica Free Exercise Clause rispetto ai casi in cui operi il più generale Right to association132. L'unico settore dal quale potrebbe desumersi una più specifica disciplina federale per le confessioni religiose è quello fiscale. Nella sezione 501 (c) (3) dell'Internal Revenue Code, infatti, sono inserite disposizioni che consentono esenzioni fiscali e deduzioni per corporations, community chest, fund, fundation, purché svolgano determinate attività, tra cui rientrano anche le finalità religiose 133 . Inoltre, è necessario che il carattere commerciale delle attività svolte non sia prevalente. Nell'atto, si compie un'ulteriore distinzione tra Churches e religious organizations; le prime non necessitano di un previo riconoscimento amministrativo per essere considerate tax exempt.
132 Valentina Valentini, Gli
Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, Padova Cedam, 2010, p. 79 e ss. 133 Accanto agli enti che perseguono finalità religiose, sono contemplati quelli con scopi caritatevoli, di sicurezza sociale, scientifici, letterari, educativi, sportivi a livello amatoriale o impegnati nella lotta agli abusi su bambini o animali.
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Sempre in materia fiscale, un glossario pubblicato annualmente134 elenca dei requisiti che, pur non essendo esclusivi o tassativi, possano rendere più agevole individuare una Chiesa: -
Esistenza legale autonoma; Un proprio credo e proprie forme di culto; Un definito e distinto governo ecclesiastico; Un proprio codice di dottrina ed una propria letteratura; Una propria storia religiosa; Un insieme stabile di fedeli; Scuole predisposte alla formazione dei ministri di culto; Scuole per la formazione dei giovani135.
Proprio l’assenza di categorie giuridiche analoghe a quelle previste dal Civil Law costringe le confessioni religiose negli Stati Uniti, per ottenere riconoscimento giuridico, ad assumere la veste di corporation; tuttavia, non esiste una disciplina conforme per tutti gli Stati. Solo in alcuni Stati, invero, è prevista una specifica disciplina delle religious corporation, nettamente distinta da quella delle no-profit corporation 136 . È importante sottolineare che la forma giuridica della corporation risulti comunque ontologicamente distinta dalla “chiesa” in senso stretto: la forma associativa assolve ad una funzione organizzativa, non incidendo sul piano spirituale e disciplinare o sulle questioni di culto. Pur non essendo del tutto assimilabile alla figura della persona giuridica, tale struttura dota la confessione religiosa di una soggettività giuridica molto simile, consentendo ad essa di avere capacità processuale attiva e passiva, di stipulare contratti, di alienare, donare, acquistare. Ad ulteriore dimostrazione della non totale intangibilità della libertà religiosa, è opportuno sottolineare che il rilascio del cosiddetto ceritificate of incorporation da parte della Segreteria dello Stato è subordinato ad un controllo di conformità dello Statuto della confessione religiosa alla luce delle prescrizioni di legge.
134 Tax
Guide for Churches and religious Organizations. Benefit and responsibility under federal tax law. characteristics are generally attributed to churches. These attributes of a church have been developed by the IRS and by court decisions. They include: Distinct legal existence; Recognized creed and form of worship; Definite and distinct ecclesiastical government; Formal code of doctrine and discipline; Distinct religious history; Membership not associated with any other church or denomination; Organization of ordained ministers; Ordained ministers selected after completing prescribed courses of study; Literature of its own; Established places of worship; Regular congregations; Regular religious services; Sunday schools for the religious instruction of the young; Schools for the preparation of its members.», “Church” Defined, www.irs.gov/charities-non-profits/churches-religiousorganizations/churches-defined. 136 In California e nello Stato di New York, ad esempio, vengono esplicitamente riconosciute le corporazioni religiose; il Texas e il Delaware non prevedono alcuna distinzione; in Virginia è espressamente vietata la costituzione di corporation religiose, fermo restando che le corporation noprofit possano perseguire anche fini religiosi. 135 «Certain
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Il principio di No-Aid, desumibile dall’Establishment Clause, prevede come suo corollario il No-Financial Aid. A maggior ragione in virtù della soggettività giuridica privata delle confessioni religiose, ogni forma di finanziamento diretto da parte dello Stato risulterebbe illegittima. Tuttavia, nulla vieta alle confessioni religiose di accedere ai cosiddetti “finanziamenti indiretti”, destinati a soggetti che poi scelgano di destinare i fondi a fini religiosi. Il principio di non discriminazione impedisce all’apparato pubblico di preferire organizzazioni secolari ad organizzazioni religiose, e viceversa; il principio di neutralità, invece, impedisce al Governo di controllare l’effettivo destinatario dei fondi 137 . Restano tassativamente vietate quelle forme di finanziamento che possano rappresentare una forma di sostegno pubblico ad un determinato credo o una forma di indottrinamento. Nel sistema di finanziamento delle confessioni religiose negli Stati Uniti, pertanto, rilevano le attività sociali svolte dalle stesse e non la loro mera esistenza. Nel 2002 è stato approvato il Charity Aid, Recovey and Empowerment Act, attraverso cui si consente che tutte le organizzazioni che operino nel sociale possano accedere ai fondi federali, a prescindere da un’eventuale identità religiosa. L’ambito in cui le confessioni religiose godono di particolare rilievo è quello delle esenzioni fiscali: sono previste esenzioni dalle tasse di proprietà138 per i beni utilizzati a fini di culto, esenzioni in favore di attività caritatevoli, deduzioni per i contribuenti che effettuino donazioni in loro favore. Non esiste, però, un diritto all’esenzione dalle tasse per motivi religiosi; si tratta di concessioni legislative legate alla rilevanza sociale dell’attività svolte dalle confessioni religiose139.
137 «…the
neutrality of the program, neither favouring nor disfavouring religion, and the interventing affect of individual choice in determining which institution will be benefited». Durham, W. Cole, Jr., and Christine G. Scott., Public Finance and the Religious Sector in the United States: Expanding Cooperation in a Separationist State, Il Diritto Ecclesiastico (2006), p. 373. 138 Cfr. Sentenza Waltz v. Tax Commission of the City of New York, 397 U.S. 664 (1990). I giudici hanno sancito la legittimità dell’esenzione fiscale dalla tassa di proprietà per gli edifici di culto anche alla luce dell’Establishment Clause. Secondo la Corte Suprema, tale regime fiscale, lungi dal determinare una chiesa od una religione di Stato, ha contribuito ad assicurare la libertà e la parità di tutte le confessioni religiose. 139 «The religion clauses leave government substantial discretion to accomodate the concerns and interest of religious organizations – even when the free exercise guarantee does not require such accomodations – without bumping up against-establishment concerns.», Peter K. Rofes, The religion guarantees. A reference guide to the United States Constitutions, Westport 2005, p. 105.
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XII.
La “Religione Civile” statunitense
Ancora oggi, dunque, la fede svolge un ruolo importantissimo nella società statunitense, non solo grazie all’attivismo delle confessioni religiose, ma anche, e soprattutto, grazie all’operato dei singoli credenti. La fede occupa una posizione centrale nella vita comune, dando vita a quella che viene chiamata “religione civile americana”. All’interno dello Stato, le aspettative di carattere prettamente religioso non vengono ignorate140; il principio di laicità, a cui le istituzioni si ispirano, non impedisce alla fede di penetrare nella dimensione pubblica, facendo emergere così la necessità di trovare un equilibrio tra la volontà di mantenere separati Chiesa e Stato e l’esigenza dare piena tutela alla libertà religiosa. Il separatismo, negli Stati Uniti, non è visto come uno strumento per affermare una sorta di “agnosticismo di Stato”141, bensì è considerato il modello migliore per realizzare quell’equidistanza che possa garantire in modo effettivo l’uguaglianza e la libertà dei cittadini e delle confessioni religiose. Lungi dall’essere respinti, i valori religiosi esercitano una fortissima influenza nello sviluppo civile ed economico del Paese; si pensi, ad esempio, al rilevante peso politico delle lobby religiose. Senza dubbio, gli Stati Uniti rappresentano un contesto peculiare, uno dei pochi in cui convivono e collaborano civilmente soggetti delle più disparate religioni ed in cui vi è una forte vivacità religiosa, testimoniata dalla continua nascita e morte di confessioni religiose le più varie142. Il cittadino statunitense, nel suo rapportarsi con la dimensione pubblica, è circondato da simbologia religiosa “civile”: si pensi, ad esempio, alle manifestazioni organizzate in occasione del National Day of Prayer, giornata in cui tutti gli americani sono invitati a pregare per la nazione143; si pensi ancora alla cattedrale di San Pietro e Paolo, a Washington, nota come National Cathedral, in cui si celebrano tutte le più importanti cerimonie dello Stato e ritenuta il centro della vita spirituale del Paese144. È opportuno ricordare che il motto
140 Alessandro Ferrari, Laicità
e religione civile tra stato e società: ‘modello americano’ e ‘modello europeo’ a confronto, in G. Paganini, E. Tortarolo (a cura di), Pluralismo e religione civile. Una prospettiva storica e filosofica, Milano Mondadori 2004, p. 270. 141 Francesco Onida, Uguaglianza e libertà religiosa nel separatismo statunitense, p. 19. 142 I dati del U.S. Religious Landscape Survey del The Pew Forum on Religion & Public Life rivelano come, ancora oggi, gli americani siano un popolo altamente religioso e come la religione occupi un ruolo importante nella vita pubblica. Negli ultimi anni è andato sempre più crescendo il numero di persone che cambiano, accolgono o abbandonano una religione, determinando il movimento, la nascita e la morte di nuove confessioni religiose, l’incidenza di alcune lobby o la perdita di potere di altre. 143 Valentina Valentini, Gli Stati Uniti e la Religione. Separatismo e libertà religiosa nella democrazia americana, CEDAM, 2010, p. 53. 144Al suo interno, ad esempio, venne celebrato un servizio religioso in commemorazione delle vittime dell’11 settembre tre giorni dopo l’attentato, a cui presero parte ministri di diverse confessioni religiose.
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degli Stati Uniti, riportato anche sui dollari, è “In God We Trust”145; il giuramento di fedeltà alla bandiera contempla la formula “one nation under God”146. Anche l’ambiente giudiziario è ricco di simbologia religiosa: non deve stupire che le udienze della Corte Suprema si aprano con la formula “God save the honorable Court” e che nell’edificio della Corte ci siano immagini raffiguranti Gesù, Buddha, Maometto o Mosè nell’atto di ricevere le tavole dei Dieci Comandamenti. Nessuno si stupisce del fatto che sul seggio dello Speaker della Camera dei Rappresentanti vi sia una targa con inciso “In God We Trust”. È assolutamente pacifico che i Presidenti, i deputati ed i senatori prestino giuramento alla Repubblica ed alla Costituzione posando la mano su un testo sacro che solitamente è la Bibbia, ma non sempre; nel 2007, ad esempio, il primo deputato dichiaratamente musulmano, Keith Maurice Ellison, ha giurato sul Corano. Non pochi Presidenti ostentarono, o almeno resero nota, la propria fede; si pensi a Kennedy, fervente cattolico, a Clinton, che affermava di pregare quotidianamente e che organizzò gruppi di studio della Bibbia, a Nixon, che predispose servizi religiosi all’interno della Casa Bianca, ad Eisenhower, che si definiva intensamente religioso. Non furono rari i casi in cui i Presidenti, nei loro discorsi pubblici, invocarono Dio; George W. Bush affermò, ad esempio, che il suo mandato sarebbe stato ispirato dalla sua fede religiosa. Mentre in Europa il fenomeno religioso è riconducibile prevalentemente all’operato delle istituzioni religiose, delle Chiese, negli Stati Uniti il rapporto religione-società deve essere valutato sulla base del comportamento degli individui147. Negli Stati Uniti è ben netta la consapevolezza dell’imprescindibilità del fattore religioso e dell’esistenza di aree in cui il separatismo non può essere assoluto o in cui la libertà religiosa può essere bilanciata o addirittura sacrificata in favore di altri interessi; nelle cosiddette twilight zones148, lo Stato non può rinunciare a legiferare anche su questioni ecclesiastiche.
145 Numerose polemiche emersero quando, nel 1907, tali parole vennero rimosse dai dollari per ragioni
puramente tecniche, per poi essere reintrodotte poco dopo. 146 Nel 2002, la Corte d’Appello degli Stati dell’Ovest dichiarò illegittima la recita a scuola del giuramento
alla bandiera, in quanto contenente le parole ‘under God’. La Corte Suprema evitò di entrare nel merito della questione, limitandosi a rilevare l’incapacità del proponente di promuovere il giudizio. Elk Grove School District v. Newdow, 542 U.S. 1 (2004). 147 Massimo Teodori, Raccontare l’America, Mondadori 2005, p. 67. 148 Quelle materie che “creano dei campi di attrito non evitando allo Stato la necessità di legiferare su questioni ecclesiastiche”. Cfr. Mario Tedeschi, Alle radici del separatismo americano, p. 113.
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PARTE SECONDA Il “Muslim Ban” e le diverse chiavi di lettura
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XIII.
Immigrazione e Religione: le tre versioni del “Muslim” Ban di Trump
La politica migratoria ha rappresentato un tema centrale e spinoso della presidenza Trump. L’immigrazione è stata al centro della campagna elettorale ed è stata inserita in agenda sin dal momento immediatamente successivo all’insediamento di Trump nella Casa Bianca149. Il suo approccio è apparso sin da subito fortemente restrittivo-repressivo, in ossequio al principio della “tolleranza zero”. Rafforzare i controlli alle frontiere, rilasciare meno visti e permessi di soggiorno, costruire un muro per separare USA e Messico, rendere più difficile l’ottenimento dell’asilo politico, rafforzare i controlli alle dogane, accelerare le procedure di espulsione: queste alcune delle finalità definite prioritarie da Trump150. A rendere ancor più acceso il dibattito attorno alle misure in materia di immigrazione adottate dall’Amministrazione Trump vi sono le accuse di discriminazione su base razziale e religiosa. Nelle pagine che seguiranno, verrà analizzato il contenuto delle varie versioni del Muslim Ban, chiamato così in tono polemico proprio perché destinato a ridurre gli ingressi ed i flussi migratori di individui provenienti da Paesi quasi tutti con popolazione a maggioranza musulmana. Dottrina e giurisprudenza si sono ampiamente interrogate circa la legittimità costituzionale di tali norme, soprattutto alla luce dell’Establishment Clause del Primo Emendamento e della Nondiscrimination Clause 151 contenuta nell’Immigration and Nationality Act. Il 27 gennaio 2017 viene emanato da Trump l’Executive Order n. 13780 152 , intitolato “Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States”. Le disposizioni centrali, e al tempo stesso maggiormente discusse, prevedono la sospensione, per un periodo di novanta giorni, dell'ingresso di cittadini stranieri provenienti da sette Paesi: Iran, Iraq, Libia, Sudan, Somalia, Yemen e Siria. Inoltre viene sospeso, per centoventi giorni, il programma di ammissione dei rifugiati degli Stati Uniti USRAP (U.S. Refugee Admission
149 Giorgia Costabile, Il
“Muslim Ban” – primo esempio della politica migratoria del Presidente Trump – alla prova dei check and balances costituzionali. La risposta della Corte Suprema in Trump v. Hawaii contraddice la natura contro-maggioritaria del controllo di costituzionalità?, Federalismi.it 22 maggio 2019. 150 Si rammenti che lo slogan principale della campagna elettorale di Trump fu “America First”. 151 “…no person shall receive any preference or priority or be discriminated against in the issuance of an immigrant visa because of the person's race, sex, nationality, place of birth, or place of residence.”; 8 U.S.C. §1152. 152 Exec. Order No. 13769, 82 Fed. Reg. 8977 (Jan. 27, 2017).
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Program)153 ; il numero dei rifugiati viene ridotto da 110mila a 55mila; il programma di ammissione dei rifugiati siriani viene sospeso a tempo indeterminato. Le istanze dei rifugiati vengono vagliate da varie agenzie federali; i richiedenti asilo vengono intervistati dagli ufficiali del Dipartimento di Sicurezza Nazionale prima della loro ammissione. In aggiunta all'intervista da parte di un ufficiale dell'USCIS (United States Citizenship and Immigration Services), le informazioni di base dei richiedenti vengono controllate alla luce dei vari database delle agenzie federali; segue, infine, un controllo medico ed un esame del livello culturale del soggetto.154 L'emanazione di tale Executive Order blocca il Paese per alcuni giorni e genera un acceso dibattito sulla conformità del provvedimento alla Costituzione degli Stati Uniti. I primi viaggiatori colpiti dal Travel Ban, tra cui molti in possesso di regolare permesso di soggiorno permanente (Green Card-holders o lawful permanent residents) o temporaneo (visaholders) 155 , che al momento della firma del Decreto si trovavano fuori dal territorio statunitense, vengono bloccati in diversi porti d'ingresso negli Stati Uniti; in molti aeroporti vengono organizzati sit-in da parte della popolazione civile, gruppi di avvocati offrono tutela legale gratuita. La polemica si riversa persino all'interno della nuova squadra di governo, e culmina con il licenziamento dell'allora Attorney General ad interim, Sally Yates, che si era opposta all'applicazione delle misure. In seguito alla revoca del primo provvedimento, immediatamente contestato in sede giudiziaria, il 6 marzo 2017 viene emanato un secondo Executive Order, il n. 13769156. Con esso si sospende, per un periodo di novanta giorni, l'ingresso di cittadini stranieri provenienti da sei Paesi: Iran, Libia, Sudan, Somalia, Yemen e Siria; viene ulteriormente sospeso il programma di ammissione dei rifugiati per ulteriori centoventi giorni. Viene tuttavia eliminata la sospensione, a tempo indeterminato, dell'ammissione dei rifugiati siriani e viene eliminato il divieto di ingresso dei cittadini iracheni. La data di effettiva entrata in vigore del provvedimento viene posticipata di dieci giorni. Con questa seconda versione vengono meglio esplicati i casi in cui l'E.O. non opera, ovvero le cosiddette eccezioni 157 . Il provvedimento difatti non si applica a: residenti a carattere permanente in possesso della cosiddetta "carta verde", coloro già accolti o ammessi negli Stati Uniti, coloro autorizzati a viaggiare, coloro in possesso di doppia nazionalità e/o di visto diplomatico e coloro a cui sia già stato concesso un permesso per rifugiati. 153 Mohamed Arafa (Indiana University School of Law – Alexandria Univesity Faculty of Law),
A question to the President of the United States, Donald Trump: is it a travel ban, or a Muslim ban, or a travel Muslim ban?, Revista de Investigações Constitucionais, Curitiba, vol. 5, n. 2, p. 19, mag/ago. 2018. 154 Shoba Sivaprasad Wadhia, National Security, Immigration and the Muslim Bans, 75 Wash. & Lee L. Rev. 1475 (2018), p. 1483-1484. 155 Andrew Hammond, The Immigration-Welfare Nexus in a New Era, 22 Lewis & Clark L. Rev. 501 (2018), p. 521-528. 156 Exec. Order No. 13870, 82 Fed. Reg. 13209 (Mar. 6, 2017). 157 Shoba Sivaprasad Wadhia, National Security, Immigration and the Muslim Bans, 75 Wash. & Lee L. Rev. 1475 (2018), p. 1486.
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Il provvedimento, inoltre, non opera qualora i soggetti colpiti da esso dimostrino che: -
Negare l'ingresso causerebbe un indebito disagio allo straniero (“undue hardship”); L'ingresso non costituirebbe una minaccia per la salute e la sicurezza degli Stati Uniti; L'ingresso verrebbe effettuato nell'interesse dello Stato.158
Tuttavia, le espressioni "undue hardship", "national security" e "national interest", restano prive di una puntuale definizione159. Il testo del provvedimento contiene una lista di dieci profili di soggetti che potrebbero evitare l'applicazione del bando nei loro confronti, con la precisazione che, però, non si potrà prescindere da una valutazione caso per caso ("case-bycase basis")160. Questi esempi includono: -
Cittadini stranieri legati agli Stati Uniti per ragioni di studio, di lavoro o altro; Coloro i quali cercano di entrare negli Stati Uniti per affari o per impegni professionali; Gli appartenenti a ristretti nuclei familiari i cui membri siano già residenti negli USA.
Dopo la revoca anche della seconda versione, effettuata per scansare una possibile sentenza sfavorevole della Corte Suprema, il 24 settembre 2017 viene adottata una terza versione del “Muslim” Ban, con una veste formale differente: un Proclama Presidenziale (Proclamation n. 9645)161. I Paesi colpiti divengono otto: Iran, Libia, Ciad, Siria, Somalia, Yemen, Corea del Nord e Venezuela.162 Le restrizioni in capo ai cittadini provenienti da tali Paesi hanno una durata indefinita. Come la versione precedente, anche questo provvedimento contempla eccezioni in favore di coloro che sono legittimamente residenti, rifugiati, richiedenti asilo od in possesso di doppia cittadinanza; è reiterato il programma di deroghe generalizzato sopra descritto. I "Muslim” Ban di Trump si inseriscono nell'alveo di quei provvedimenti che, pur apparentemente giustificati da ragioni di sicurezza nazionale, hanno dato adito a numerose polemiche, spesso sfociate in dibattiti dottrinali e controversie giudiziali, a causa della presunta compressione di diritti costituzionalmente garantiti che essi comportano. In particolare, in questo caso, le perplessità sono emerse in riferimento alla supposta violazione del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America. Non raramente l'opinione pubblica, anche in tempi recenti, si è dovuta interrogare sulla sussistenza di un limite tra opportunità e legittimità, tra sicurezza e libertà, di fronte a 158 Exec. Order No. 13870, 82 Fed. Reg. 13209 (Mar. 6, 2017) 13, 214-215. 159 Shoba
Sivaprasad Wadhia, Penn St. L. for Immigrants’ Rts., Untangling the Waiver Scheme in Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into The United States 1-3 (2017). 160 Exec. Order No. 13870, 82 Fed. Reg. 13209 (Mar. 6, 2017) 13, 209. 161 Proclamation No. 9645, 82 Fed. Reg. 45,161, 45,163 (2017). 162 Gli oppositori di Trump ritengono che l’inserimento di due Paesi le cui popolazioni non siano prevalentemente di fede islamica costituisca un espediente per occultare la vera ratio del Ban: discriminare i musulmani. Cfr. Oliver Laughland, Trump travel ban extended to blocks on North Korea, Venezuela and Chad, The Guardian (25/09/2017).
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provvedimenti particolarmente ingerenti. Si pensi, ad esempio, all' “USA Patriot Act”163 ed al “Presidential Military Order”164, fatti approvare, per volere del presidente George W. Bush, all'indomani dell'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001165. La temporanea sospensione dei diritti civili, così come declinati dal Bill of Rights, costituito dai primi dieci emendamenti della Costituzione Americana, viene presentata come imprescindibile strumento per preservare la sicurezza degli Stati Uniti in ragione di circostanze contingenti166. L'Amministrazione Bush fa passare il messaggio che indirizzare specifici controlli a membri di determinati gruppi etnici o comunità ritenute potenzialmente pericolose sia una questione di puro buon senso. I critici di tale tesi hanno visto nella delineazione delle figure del "suspected terrorist" e dell' "enemy alien" un programma volto a colpire nello specifico le comunità islamiche 167 , determinando una pericolosa sovrapposizione tra la figura del terrorista e quella dell'appartenente a determinate comunità. Il rischio è risultato, sin da subito, abbastanza evidente: disegnare un profilo del terrorista ideale come appartenente ad uno specifico gruppo etnico o religioso, potrebbe portare ad una ghettizzazione dei membri della comunità in toto. Anche durante l'amministrazione Obama vennero messe in atto delle politiche che suscitarono qualche perplessità: a seguito dell'arresto nel 2011, a Bowling Green, di due rifugiati iracheni accusati di aver utilizzato, in Iraq, degli ordigni artigianali contro soldati statunitensi e di aver inviato soldi ed armi ad Al-Qaida, il Presidente degli Stati Uniti fece adottare un provvedimento che prevedeva la sospensione, per sei mesi, della valutazione delle richieste d'asilo provenienti dall'Iraq ed ordinava il riesame di tutte le istanze dei rifugiati iracheni già sul suolo dello Stato168. Dopo gli attentati di Parigi del novembre del 2015, l'amministrazione Obama rese più difficile l'entrata negli Stati Uniti dei cittadini di Paesi inclusi nel Visa Waiver Program che avessero doppia cittadinanza iraniana, irachena, sudanese o siriana, o che avessero visitato questi Paesi nei cinque anni precedenti alla
163 Acronimo di Uniting
and strengthening America by providing appropriate tools required to intercept and obstruct terrorism Act of 2001. 164 Federal Register: November 16, 2001 (Volume 66, Number 222)-Presidential Documents- Page 57831-57836: Military Order of November 13, 2001 "Detention, Treatment, and Trial of Certain NonCitizens in the War Against Terrorism". 165 Carla Bassu, La legislazione antiterrorismo e la limitazione della libertà personale in Canada e negli Stati Uniti, pubblicato in: Tania Groppi, Democrazia e terrorismo. Diritti fondamentali e sicurezza dopo l’11 settembre 2001, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006. 166 Si v. R. Dworkin, Terror and the Attack on Civil Liberties, in The New York Review del 6 novembre 2003, 15-17. Si v. altresì D. Cole, J.X. Dempsey, Terrorism and Constitution. Sacrificing Civil Liberties in the Name of National Security, New York, The New Press, 2002; R.C. Leone e G. Anrig jr., The war on Our Freedom: Civil Liberties in an Age of Terrorism, Washington, The Century Foundation, 2003. 167 Bruno Maltoni e Giorgio Osti, L’impatto dell’11 settembre sulle politiche migratorie statunitensi, in Maurizio Scaini, Dopo l’11 settembre: nuovi scenari internazionali, Atti del Convegno 11-14-15 dicembre 2001 e 18-19 gennaio 2002, Sala del Consiglio Provinciale di Gorizia, Università degli Studi di Trieste, 2002. 168 Presidential Determination No. 2011-2 “Refugee Admissions”.
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richiesta di ingresso; in seguito il provvedimento venne esteso anche alla Libia, alla Somalia e allo Yemen169. Con Trump, Dio torna, almeno apparentemente, al centro della politica presidenziale statunitense, grazie al discorso del Segretario di Stato americano, pronunciato il 26 luglio 2018 170 , a Washington, a termine dei tre giorni della “Ministerial Advance Religious Freedom”. Davanti a centinaia fra capi di Stato e di Governo, ministri, esperti, ma soprattutto dinanzi alle ottanta delegazioni che raggruppavano persone scampate alla persecuzione religiosa, Mike Pompeo ha sottolineato come l'impegno dell'Amministrazione Trump a difendere la libertà religiosa sia “irremovibile”. Quello che viene definito il primo dei diritti umani va tutelato e protetto da qualsivoglia potere pubblico o privato che intenda limitarlo. La libertà religiosa non è delineata come un diritto esclusivo degli statunitensi, bensì come un diritto universale dato “da Dio a tutto il genere umano”. Una vera e propria svolta politica che i commentatori non hanno esitato a definire “costantiniana”. Di fronte alle numerose critiche sopraggiunte a seguito dell’emanazione del primo Executive Order, Trump si è giustificato affermando che le sue politiche fossero del tutto analoghe a quelle attuate da Obama171, il quale, a dire del Presidente, nel 2011 bloccò il rilascio dei visti per i rifugiati iracheni per sei mesi e nel 2015 identificò, come fonte di terrorismo, gli stessi sette Paesi colpiti successivamente dal “Muslim” Ban. Tuttavia, i commentatori non hanno esitato a rilevare come le differenze tra Trump e Obama fossero notevoli. Obama, nel 2011, decise di rallentare (e non bloccare) l’accettazione delle richieste d’asilo di cittadini provenienti da un solo Paese, l’Iraq, a seguito di una minaccia concreta e specifica172. Trump, invece, ha bloccato per 120 giorni l’accoglienza dei richiedenti asilo provenienti da qualsiasi Paese ed ha sospeso l’ingresso dei rifugiati siriani a tempo indeterminato. Inoltre, le politiche di Trump non sono state adottate in vista di una minaccia concreta; il provvedimento è stato adottato senza che venissero consultate le agenzie di sicurezza ed è entrato in vigore senza che venisse lasciato il tempo necessario affinché le regole fossero recepite e così applicate uniformemente.
169 Sarah
Begley, Obama Administration: U.S. Will Continue to Accept Syrian Refugees, da TIME November 15, 2015. 170 Marco Respinti, La svolta americana per difendere la libertà religiosa, La Bussola Quotidiana (28/07/2018). 171 È vero che Trump ha fatto come Obama?, Il Post (31 gennaio 2017). 172 È stata rilevata, infatti una differenza tra la natura “Reactive” dei provvedimenti di Obama e la natura “Proactive” di quelli di Trump. Cfr. Mohamed Arafa (Indiana University School of Law – Alexandria Univesity Faculty of Law), A question to the President of the United States, Donald Trump: is it a travel ban, or a Muslim ban, or a travel Muslim ban?, Revista de Investigações Constitucionais, Curitiba, vol. 5, n. 2, p. 15, mag/ago. 2018.
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Anche le misure adottate da Obama nel 2015 differiscono dalle scelte dell’amministrazione Trump in molti punti; è vero che i sette Paesi individuati da Obama erano gli stessi poi colpiti dal Muslim Ban, ma è anche vero che Obama, diversamente da Trump, non bloccò mai indiscriminatamente l’entrata di tutti i cittadini di quegli Stati e non incluse coloro già in possesso di green card. Invero, l’amministrazione Trump sarà poi costretta a ritornare sui suoi passi, introducendo una valutazione “case-by-case”173. Inoltre, a pesare sull’attuale Presidente degli Stati Uniti sono le numerose dichiarazioni da lui rilasciate, in campagna elettorale e non, con cui ha sostenuto, senza troppi giri di parole, che l’Islam ed i musulmani costituiscono una minaccia per il Paese. I provvedimenti di Trump in materia di immigrazione richiamano alla memoria anche politiche adottate nel corso di mandati presidenziali più risalenti nel tempo. Carter, ad esempio, bloccò l'ingresso di cittadini iraniani in occasione di una crisi diplomatica 174 ; Reagan fece lo stesso nei confronti di Cuba, di Panama e, ancor prima, emanò anche un Proclama attraverso cui contrastare l'immigrazione illegale via mare verso le coste sudorientali degli Stati Uniti175; Clinton limitò, invece, gli ingressi dal Sudan176. Le prime due versioni del Ban sono state emanate nella forma di Executive Order, mentre la terza sotto forma di Presidential Proclamation177 . Tali strumenti sono fonti del diritto di emanazione presidenziale che, pur non essendo espressamente contemplati nella Costituzione degli Stati Uniti, hanno ricevuto riconoscimento e legittimazione nella costante prassi. Mancando una vera e propria definizione, risulta spesso difficile distinguere i due diversi tipi di atti; tale operazione risulta ancora più complessa se si prende in considerazione il fatto che essi convivono con altri strumenti legislativi presidenziali di dubbia classificazione, se non in base al “nomen”: presidential finding, national security instrument, presidential directive, presidential proclamation, presidential memorandum. Inizialmente utilizzati per finalità meramente amministrative, vennero ben presto utilizzati anche per portare avanti più celermente le politiche promosse dall’Amministrazione presidenziale. La Costituzione statunitense delinea una rigida separazione dei poteri, stemperata da un sistema di pesi e contrappesi (“Check and Balances”). In particolare, la funzione legislativa è affidata, ai sensi dell’art. 1 della Costituzione, al Congresso formato dal Senato e dalla Camera dei Rappresentanti178. Alla luce di tale riserva di competenza, bisognerebbe indagare 173 Si v. Jon Finer, Sorry, Mr. President: the Obama Administration did nothing similar to your Immigration
Ban, Foreign Policy, January 30, 2017. 174 Executive Order No. 12170, 44 F.R. 65729 (1979). 175 Presidential Proclamation No. 4865, 3 CFR 50-51 (1981); Presidential Proclamation No. 5829, 3 CFR 88 (1988). 176 Presidential Proclamation No. 6958, 3 CFR 133 (1996). 177 Elena Militello, I recenti Executive Order in tema di immigrazione nella gerarchia delle fonti del sistema federale statuinitense, Cassazione Penale, Fasc.6, 1 giugno 2017, p. 2489B. 178 Section I: «All legislative powers herein granted shall be vested in a Congress of the United States, which shall consist of a Senate and House of Representatives.». Trad. «Tutte le competenze legislative
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sulla natura giuridica degli atti “legislativi” adottati dal Potere Esecutivo. Inoltre, si è a lungo dibattuto circa l’estensibilità del sindacato di costituzionalità diffuso, riconosciuto a tutti i giudici, anche agli atti con valore di legge, ed in particolare agli Executive Order ed ai Presidential Proclamation. In tale materia, è stata elaborata la dottrina della “Deference”: in materia di politica estera e di sicurezza nazionale, il Presidente godrebbe di un’ampia discrezionalità, non solo nei confronti del Congresso, ma anche nei confronti del potere giudiziario. Negli anni, sono state elaborate diverse teorie per giustificare la limitazione del potere dei giudici in determinati settori particolarmente delicati; si tratta delle cosiddette dottrine di non-justiciability: non tutte le controversie possono essere sottoposte al controllo giudiziario, o perché la questione è politica e deve quindi essere mantenuta nell'alveo della discrezionalità dell'esecutivo (political question doctrine), o perché i soggetti instanti non dimostrano la loro legittimazione ad agire (standing doctrine) o perché la questione non è ritenuta matura o concreta (ripeness doctrine). Tuttavia, è stato chiarito che in nessun caso il ricorso alla political question doctrine può giustificare la sottrazione dal controllo giurisdizionale (rewieability) di interventi che incidano su diritti costituzionalmente garantiti. Per quanto riguarda i poteri Presidenziali in materia di sicurezza nazionale, questi si possono ricavare dall’art. 2 sec. I della Costituzione Statunitense179, che introduce la cosiddetta vesting clause: il potere esecutivo è affidato totalmente al Presidente. Storicamente, i Presidenti hanno individuato una fonte di legittimazione all’esercizio del potere in materia di sicurezza nazionale anche in deleghe espresse conferite dal Congresso o rifacendosi alla presunta volontà tacita del Congresso. La clausola contenuta nella parte iniziale dell’art. 2 è stata talvolta interpretata come attribuzione residuale al Presidente di tutti i poteri relativi agli affari esteri che non siano specificamente conferiti ad altri organi. Secondo tale impostazione, il Presidente godrebbe di una vera e propria sfera di intangibilità e di discrezionalità, soprattutto in casi emergenziali. Gli Executive Order e le Proclamation rientrano nelle cosiddette direttive unilaterali: atti con efficacia e forza di legge rivolti alle Amministrazioni pubbliche e con effetti indiretti sugli individui, emanati senza che sia necessario rispettare l’iter legislativo camerale; si tratta di uno strumento poliedrico nelle mani del Presidente, utilizzabile sia per regolamentare aspetti meramente formali sia, come in questo caso, per adottare misure strategiche in materia di sicurezza ed immigrazione che investano anche diritti costituzionalmente garantiti. Si tratta di provvedimenti intrinsecamente precari: sono facilmente revocabili o modificabili, anche da parte del Congresso, qualora investano sfere di sua competenza.
qui previste saranno conferite a un Congresso degli Stati Uniti, composto da un Senato e da una Camera dei rappresentanti.». 179
«The executive power shall be vested in a President of the United States of America. He shall hold his office during the term of four years …» Trad. «Il potere esecutivo sarà conferito a un Presidente degli Stati Uniti d'America. Egli rimarrà in carica per un periodo di quattro anni …».
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Gli strumenti utilizzati in sede cautelare dai giudici per inibire gli effetti dei Travel Ban sono stati prevalentemente i TRO (Temporary Restraining Order), ingiunzioni sospensive temporanee previste dal regolamento di procedura civile180. Secondo l’impostazione tradizionale del diritto statunitense, le decisioni politco-istituzionali in materia di ammissione, permanenza ed espulsione degli stranieri rientrano in un ambito in cui la Costituzione non troverebbe diretta applicazione181. È stato fatto notare, infatti, come la Costituzione si limiti, all’art. 1 sez. 8, a riconoscere al Congresso solo una competenza nell’emanare norme generali sulla naturalizzazione degli stranieri 182 . Il potere federale sull’immigrazione è stato ricondotto, invece, nel contesto della politica estera e della sicurezza nazionale; da ciò è stata ricavata la sostanziale sottrazione di quest’ambito al controllo di legittimità costituzionale. Dal concetto di sovranità nazionale, si è ricavata, pertanto la dottrina del Plenary Power, un illimitato potere federale in materia di immigrazione. In modo particolare, in tale settore non si sarebbe applicato il principio di uguaglianza né garanzie di cui al quinto e quattordicesimo emendamento. Il leading case è Chae Chang vs. United States (1889)183. La teoria del Plenary Power viene elaborata in un periodo storico caratterizzato da importanti trasformazioni negli Stati Uniti: all’indomani della Guerra Civile, ci si rese conto per la prima volta come gli Stati Uniti non fossero un Paese dalle risorse illimitate; gli immigrati non provenivano più solamente dal nord Europa. Appariva dunque necessario ricostruire il legame sociale e tale obiettivo venne perseguito anche attraverso l’elaborazione di una nozione di cittadinanza fondata sull’appartenenza razziale concepita in termini sia fisici che culturali184. Inoltre, intervenne sul piano politico una trasposizione dell’ideale liberale del laissez-faire: nelle relazioni internazionali, lo Stato era tenuto a rispettare solo quegli obblighi che liberamente decideva di assumere. Lo Stato, nei suoi rapporti con gli stranieri, assumeva una posizione analoga a quella del proprietario di un terreno nei confronti di chi voglia attraversarlo185.
180 Il tema sarà poi affrontato anche dalla Corte Suprema nella sentenza Trump
v. Hawaii No. 17-965 585 U.S. (2018) (cfr. pag. 3) di cui si parlerà ampiamente in seguito. 181 Laurence Henry Tribe, American constitutional law, New York, The Foundation Press, 2000. 182 «1. The Congress shall have power… 4. To establish an uniform rule of naturalization». Trad. «1. Il Congresso avrà il potere … 4. Di stabilire una disciplina uniforme della Naturalizzazione…». 183 Chae Chan Ping v. United States, 130 U.S. 581 (1889), meglio noto come Chinese Exclusion Case. 184 Saverio Regasto, Gli Stati Uniti e il problema dell’immigrazione nella giurisprudenza della Corte Suprema – Contributo destinato agli Studi in onore di Aldo Loiodice, Brescia, 29 novembre 2011. 185 Sara Volterra, Corte Suprema e assetti sociali negli Stati Uniti d’America, Giappichelli Torino 2004, p. 131.
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La deferenza delle Corti al potere esecutivo in tema di immigrazione trova fondamento anche in un’altra nota dottrina formulata dai giudici: la teoria delle “Political Questions” 186 ; l’obiettivo non risulterebbe tanto definire i diritti degli stranieri, quanto piuttosto individuare quali soggetti debbano concorrere a definire tali diritti. La questione immigrazione, essendo preminentemente politica, implicherebbe che non si contraddicano le determinazioni assunte dagli organi politici di governo. L’assenza di un qualsiasi vincolo costituzionale incoraggiò l’adozione di alcune politiche particolarmente repressive: si pensi, ad esempio, ai provvedimenti adottati durante il periodo del Terrore Rosso, alla segregazione delle persone di origine giapponese voluta da Roosvelt dopo l’attacco di Pearl Harbor, al maccartismo. Interessante è anche la definizione elaborata nell’ambito del caso Knauff del 1950, in cui i giudici qualificarono il potere di escludere uno straniero come “fondamentale atto di sovranità”187. La stessa deferenza venne mostrata anche di fronte a procedure di espulsione di persone residenti da molto tempo. L’impostazione frutto di tali orientamenti giurisprudenziali è stata fatta propria anche dalla legislazione: si pensi all’Immigration and Nationality Act, che riconosce al Presidente ampi poteri in materia di sicurezza nazionale ed immigrazione. La Plenary Power Doctrine subì dei temperamenti, senza però essere mai definitivamente superata, a partire dagli anni ‘50 del XX secolo. I membri della Corte suprema iniziarono a mostrare perplessità riguardo all’assoluto diniego di controllo di costituzionalità, in particolare nelle questioni concernenti le persone residenti da lungo tempo negli Stati Uniti; nonostante ciò, i giudici hanno sempre evitato di individuare precisi fondamenti costituzionali per i diritti che vennero progressivamente estesi agli immigrati, applicando la Costituzione senza mai invocarla apertamente188. Di fronte a tale prassi, si parlò di “phantom constitutional norms”. Le rigide categorie giurisprudenziali elaborate nel XIX secolo vennero, negli anni ‘70, parzialmente superate in materia di lavoro e prestazioni sociali in favore di stranieri permanentemente residenti, riguardo cui i giudici parlavano di Equal Protection. Nel 1977, nel caso Fiallo vs. Bell, i giudici accettarono di esercitare un controllo limitato a valutare se le politiche federali si ispirassero al vago parametro della Bona Fide189. Nel caso Plasencia del 1982190, i giudici, al fine di effettuare un bilanciamento tra gli interessi del Governo e quelli dello straniero residente, giunsero a sostenere che una volta che uno 186 La dottrina in questione è volta ad individuare cosa possa costituire oggetto delle decisioni delle Corti
federali. Cfr. Vittoria Barsotti, L’arte di tacere. Strumenti e tecniche di non decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, Giappicchelli Torino 1999. 187 Knauff v. Shaughnessy, 338 U.S. 537 (1950). 188 Rowoldt v. Perfetto, 355 U.S. 115, 1957. 189 Fiallo v. Bell, 430 U.S. 787, 1977. 190 Landon v. Plasencia, 459 U.S. 21, 1982. Il caso riguardava Maria Plasencia, una cittadina salvadoregna regolarmente residente negli Usa e sposata con un cittadino americano. Durante un breve viaggio in Messico, accettò di favorire l’ingresso illegale di alcuni connazionali e per questo fu arrestata ed espulsa dal paese dai funzionari dell’ufficio immigrazione. La Corte Suprema accettò di esaminare il ricorso contro il provvedimento di espulsione,
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straniero venisse ammesso negli Stati Uniti e sviluppasse legami tipici di residenza permanente, anche il suo status costituzionale sarebbe cambiato di conseguenza. La dottrina del Plenary Power subì una forte erosione in materia di cittadinanza, dove iniziò a farsi strada l’idea che la deferenza del potere giudiziario in materia di immigrazione riguardasse esclusivamente gli stranieri. In materia di sicurezza nazionale e politica estera, la Corte Suprema ha praticamente sempre ritenuto di non avere sufficienti elementi di “legittimazione” e di “sovranità”. La deferenza nei confronti del legislatore e dell’esecutivo, più che essere giustificata sulla base di parametri giuridici, è stata fondata sulla prudenza che i giudici hanno sempre ritenuto di dover osservare nelle decisioni di controversie in grado di incidere sulle politiche federali. Con la sentenza Kleindienst vs. Mandel (1972)191 è stata effettuata una prima inversione logica del ragionamento effettuato dalla Corte: l’opportunità di non contraddire le determinazioni ufficiali assunte dal Governo in materia di immigrazione, dettata da circostanze contingenti, rappresenta l’eccezione e non più la regola. Tale eccezione operò, ad esempio, a seguito dell’emanazione della legislazione antiterrorismo voluta da Bush dopo l’11 settembre. Dopo oltre un secolo di giurisprudenza, il Plenary Power smetteva di essere insindacabile.
nonostante la signora si trovasse fuori dal territorio statunitense, ma negò che potesse vantare un diritto costituzionale a rientrare negli Usa. La sentenza si limitò, quindi, a stabilire un riesame della procedura di espulsione. 191 Kleindienst vs. Mandel, 408 U. S. 753, 1972. Il caso fu generato dalle proteste di alcuni accademici che videro frustrata la propria intenzione in invitare negli Stati Uniti un “rivoluzionario marxista” pe un confronto diretto. La conferenza fu tenuta per via telefonica.
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XIV.
Le controversie legali generate dalle tre versioni del Muslim Ban
La maggior parte dei Paesi colpiti dalle prescrizioni contenute nelle tre versioni del Ban hanno una popolazione per il 90% di fede musulmana192. Ogni versione del “Muslim” Ban è stata contestata in sede giudiziale, dinanzi a Corti Federali di tutto il Paese. Parti di tali procedimenti non sono stati solamente singoli individui, come i membri delle famiglie dei soggetti colpiti dai provvedimenti, ma anche moschee, Stati e organizzazioni che si occupano del reinsediamento dei rifugiati; numerosi e vari sono stati i soggetti che si sono costituiti "amicus curiae" nelle varie controversie: esperti di diritto costituzionale, professori universitari, ex funzionari responsabili della pubblica sicurezza, organizzazioni che rappresentano comunità di musulmani, di arabi o di persone provenienti da altre zone dell'Asia, nonché organizzazioni che condividono i contenuti dei Ban193. Il Governo ha sempre eccepito, come argomento preliminare, l'incompetenza dei tribunali a sindacare il contenuto dei succitati provvedimenti. Il precedente usato a sostegno di tale tesi è rinvenuto in Kleindienst v. Mandel (1972); il cosiddetto "Mandel Test"194 determina che, laddove l'Esecutivo eserciti il potere di escludere gli stranieri sulla base di una ratio a prima vista legittima e di buona fede, le Corti non dovrebbero entrare nel merito dell'esercizio di tale discrezionalità e dovrebbero astenersi dal compiere una valutazione comparativa delle motivazioni alla base del provvedimento alla luce del Primo Emendamento. Il Governo, ad esempio, in Trump v. Washington (2017), proprio sulla base del “Mandel Test”, ha sostenuto, dinanzi alla Corte d'Appello del Nono Circuito, che i giudici non possono colpire quello che rappresenta un potere discrezionale dell'Esecutivo in materia di immigrazione, laddove il suo esercizio risulti giustificato "on the basis of a facially legitimate and bona fide reason"195. I giudici hanno risposto che, sebbene la giurisprudenza abbia a lungo dimostrato deferenza di fronte alle scelte politiche in materia di immigrazione e sicurezza nazionale, né la Corte Suprema né la succitata Corte sono mai giunte ad affermare
192 V. Shoba Sivaprasad Wadhia, National Security, Immigration and the Muslim Bans, 75 Wash. & Lee L. Rev. 1475 (2018), p. 1483 e Mohamed Arafa (Indiana University School of Law - Alexandria Univesity Faculty of Law), A question to the President of the United States, Donald Trump: is it a travel ban, or a Muslim ban, or a travel Muslim ban?, Revista de Investigações Constitucionais, Curitiba, vol. 5, n. 2, p. 25, mag/ago. 2018. 193 V. Shoba Sivaprasad Wadhia, National Security, Immigration and the Muslim Bans, 75 Wash. & Lee L. Rev. 1475 (2018), p. 1488-1499. 194 Mohamed Arafa, A question to the President of the United States, Donald Trump: is it a travel ban, or a Muslim ban, or a travel Muslim ban?, p. 29. 195 Cfr. Washington v. Trump, 847 F. 3d 1151, 1162 (9th Cir. 2017); il Governo ha sostenuto: “when the Executive exercises’ immigration authority on the basis of a facially legitimate and bona fide reason, the courts will [not] look behind the exercise of that discretion.”
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che i tribunali non abbiano l'autorità per sindacare l'azione esecutiva in ossequio alla Costituzione. Il Governo ha inoltre individuato una fonte per legittimare il proprio potere di escludere dei soggetti dall'ingresso nel Paese nella Sez. 1182(f) dell'"Immigration and Nazionality Act" del 2012196. Le controversie sorte a seguito dell'emanazione del primo Executive Order furono numerose, tanto che i procuratori iniziarono a passare in rassegna tutte le possibili ragioni di reclamo sulla base delle quali si sarebbe potuto contestare il provvedimento, in modo tale che le Corti potessero dare risposta alle varie istanze in maniera più rapida197. Probabilmente, proprio a causa dell'elevato numero di cause, il “Muslim” Ban 1.0 venne rescisso. Tuttavia, seguì una lunga serie di contestazioni aventi ad oggetto la seconda e la terza versione del medesimo provvedimento. I casi più importanti che hanno investito il “Muslim” Ban 2.0 sono stati presentati dinanzi alle Corti del Maryland e delle Hawaii. Entrambe le Corti emanarono delle ingiunzioni198 che bloccarono le parti più ambigue del provvedimento; le due ingiunzioni vennero impugnate dal Governo dinanzi alle rispettive Corti d'Appello. Il Governo adì anche la Corte Suprema, la quale si pronunciò il 26 giugno 2017199, proponendo una soluzione tanto articolata quanto discussa. La Corte Suprema sintetizzò, innanzitutto, i principali argomenti addotti dai giudici federali per sostenere l'illegittimità del provvedimento:
Violazione dell'Estabilishment Clause del Primo Emendamento; Violazione della Sez. 1152(a) dell'Immigration e Nationality Act, in cui si stabilisce che nessuna persona può ricevere un miglior trattamento o essere discriminata, in materia di rilascio di visti per immigrati, sulla base della razza, del sesso, della nazionalità, del luogo di nascita o di residenza200.
196 “Whenever
the President finds that the entry of any aliens or of any class of aliens into the United States, he may by proclamation, and for such period as he shall deem necessary, suspend the entry of all aliens or any class of aliens as immigrants or nonimmigrants, or impose on the entry of aliens any restrictions he may deem to be appropriate.”. 197 v. Special Collection: Civil Rights Challenges to Trump Refugee/Visa Orders, U. MICH. L. SCH’S C.R. LITIG. CLEARINGHOUSE, https://www.clearinghouse.net/results.php?%20searchSpecialCollection=44. 198 Hawaii v. Trump, 878 F.3d, 701; Int’l Refugee Assistance Project, 857 f.3d, 604. 199 Trump v. International Refugee Assistance Program 137 S., p. 2080 (2017). 200 “No person shall receive any preference or priority or be discriminated against the issuance of an immigrant visa because of the person’s race, sex, nationality, place of birth, or place of residence.”.
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I giudici della Corte Suprema ricorsero al cosiddetto Bona Fide Test: è legittimo bloccare l'ingresso dei soggetti individuati dal Ban e dei rifugiati, qualora essi non abbiano una "bona fide relationship"201 con una persona o con un'organizzazione presente negli Stati Uniti. Tale relazione deve essere formale, documentata e genuina, non costruita ad hoc per eludere l'Executive Order. Soddisfano tale requisito, ad esempio, coloro che abbiano intenzione di ricongiungersi con membri del loro ristretto nucleo familiare, gli studenti ammessi nelle università statunitensi o coloro che accettino una proposta di lavoro da parte di una società statunitense (“sufficient connection”). Tuttavia, è stato rilevato come un approccio meramente casistico e l'indeterminatezza del concetto di "bona fide" contribuiscano ad alimentare l'incertezza. Il secondo Executive Order introduce un sistema di deroghe all’applicazione del divieto di ingresso fondato su una valutazione da compiersi “caso per caso”; il meccanismo elaborato dai giudici è pensato proprio con l’obiettivo di rendere effettivamente operativo tale sistema. Dopo questa pronuncia, che difatti ha dato il via libera ed ha perfezionato la seconda versione dell’Executive Order 202 , il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato che il provvedimento sarebbe stato applicato dopo settantadue ore; contestualmente, il Governo ha anche emanato una guida che esponesse in maniera dettagliata cosa dovesse intendersi per “bona fide relationship”203. In particolare, in tale guida si esplica cosa sia ricompreso nel concetto di “close family relationship”:
Genitori e suoceri; Coniuge; Figli e Figlie, sia bambini che adulti; Fidanzato o Fidanzata; Generi e Nuore; Fratelli e Fratellastri.
201 «For
individuals, a close familial relationship is required. A foreign national who wishes to enter the United States to live with or visit a family member, like DoÈs wife or Dr. Elshikh’s mother-in-law, clearly has such a relationship. As for entities, the relationship must be formal, documented, and formed in the ordinary course, rather than for the purpose of evading EO–2. The students from the designated countries who have been admitted to the University of Hawaii have such a relationship with an American entity. So too would a worker who accepted an offer of employment from an American company or a lecturer invited to address an American audience.»; Trump v. International Refugee Assistance Program 137 S., p. 2088-89. 202 Oliver Laughland, Trump travel ban: US supreme court partially lifts block on order, The Guardian (27/06/2017). 203 Frequently Asked Questions on Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States (June 29, 2017), U.S. Department of Homeland Security. https://www.dhs.gov/news/2017/06/29/frequently-asked-questions-protecting-nation-foreignterrorist-entry-united-states-0; guida poi sostituita il 21 luglio 2017: tps://www.dhs.gov/news/2017/06/29/frequently-asked-questions-protecting-nation-foreign-terroristentry-united-states.
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Tale elencazione comprende anche i rapporti di parentela sorti a seguito di adozione, mentre non include nonni, zii e zie, nipoti, cugini e cugine, cognate e cognati ed ogni altro membro della famiglia che non sia contemplato nell’elencazione della guida. Il 13 Luglio 2017, la Corte Distrettuale delle Hawaii ha bocciato la definizione di “bona fide relationship” fornita dal Governo, stabilendo che gli altri parenti, ed in modo particolare i nonni, non possono essere esclusi a priori; ciò costituirebbe un’antitesi rispetto al comune sentire204. Il Governo è poi ritornato sui suoi passi fornendo un’elencazione più estesa. Anche la terza versione del Muslim Ban è stata spesso al centro di azioni legali dinnanzi alle Corti Federali di Hawaii e Maryland. Anche in questi casi, le principali censure riguardavano il contrasto con la Costituzione degli Stati Uniti e con la normativa in materia di immigrazione (INA). Il Governo ha ancora una volta deciso di proporre appello contro le decisioni con cui le Corti bloccavano gli effetti del provvedimento e si è rivolto alla Corte Suprema. Il 4 dicembre la Corte Suprema acconsentiva che il Muslim Ban 3.0 producesse i suoi effetti in attesa delle sentenze d’appello. Il 22 Dicembre 2017205, una sentenza della Corte d’Appello del Nono Circuito ha confermato l’applicabilità del Muslim Ban a soggetti privi di una “bona fide relationship”; il Proclama Presidenziale, così come i due precedenti Executive Order, si fonda sugli ampi poteri riconosciuti al Presidente, anche attraverso l’Immigration and Nationality Act, in materia di regolamentazione dell’ingresso degli stranieri. La Corte ha sottolineato, tuttavia, come tali poteri, pur essendo vasti, non sono privi di limiti. In particolare, l’emanazione del Proclama in questione, da parte del Presidente, va oltre le prerogative riconosciutegli. Ancora una volta, i giudici rilevano un contrasto con la “Nondiscrimination Clause” contenuta nell’Immigration and Nationality Act. Ci troviamo di fronte ad una pronuncia che fonda l’illegittimità della terza versione del Muslim Ban prevalentemente sulla base di parametri legislativi. Con la sentenza del 15 Febbraio 2018206, emessa dalla Corte d’Appello del Quarto Circuito, si rilevava, invece, l’illegittimità del Muslim Ban 3.0, prevalentemente sulla base del parametro costituzionale: il Proclama di Trump è censurabile perché specificamente destinato a spiegare i suoi effetti nei confronti dei musulmani207. La Corte, a sostegno della sua tesi, ha fatto riferimento alle numerose dichiarazioni di Trump contro l’Islam ed i musulmani208;
204 «Common
sense, for instance, dictates that close family members be defined to include granparents. Indeed, grandparents are the epitome of close family members. The Government’s definition excludes them. That simply cannot be»; Hawaii v. Trump, 263 F. Supp. 3d 1049, 1054-63 (D. Haw. 2017). 205 Hawaii v. Trump, 878 F. 3d 662 (9th Cir. 2017). 206 Int’l Refugee Assistance Project v. Trump, 883 F.3d 233 (4th Cir. 2018). 207 «President Trump issued EO-1, which banned the entry of citizens of six Muslim majority countries, provided exemptions for Christians, and lacked any asserted evidence indicating a genuine national security purpose. The very next day, January 28, 2017, Rudy Giuliani, an advisor to President Trump, explained that EO-1’s purpose was to discriminate against Muslims.»; Int’l Refugee Assistance Project v. Trump, 883 F.3d 233 (4th Cir. 2018), p. 266. 208 Jenna Johnson & Abigail Hauslohner, ‘I think Islam hate us’: A timeline of Trump’s comments about Islam and Muslims, Washington Post (20 maggio 2017).
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inoltre, la specifica previsione, nella prima versione dell’Executive Order, di eccezioni in favore dei cristiani, è stata presa in considerazione quale indice del fatto che l’intento perseguito col provvedimento non fosse solo e semplicemente la sicurezza nazionale. Il modo in cui le Corti federali inferiori si sono regolate nel risolvere controversie aventi ad oggetto i Travel Ban dell’Amministrazione Trump è stato definito straordinario209. Prima dell’emanazione dei provvedimenti in questione, la Corte Suprema non era mai giunta a sostenere che limitazioni all’ingresso di stranieri negli Stati Uniti violassero la Costituzione. Ciò nonostante, di fronte alle politiche di sicurezza nazionale adottate da Trump, molti giudici di Corti Federali hanno affermato che le azioni dell’attuale amministrazione presidenziale sono incostituzionali e hanno emanato ingiunzioni che bloccassero gli effetti delle varie versioni del Ban. È emersa una tendenza a mettere in discussione il concetto di “Judicial Deference” 210 e ad intervenire in questioni che fino a poco tempo prima erano affidate esclusivamente ad altri poteri.
209 Earl M. Maltz, The Constitution and the Trump Travel Ban, Lewis & Clark Law Review, (March 23, 2018)
p. 410-411. James R. Rogers (Texas A&M University), Why Judicial Deference?, Law & Liberty.
210
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XV.
La politica statunitense in materia di immigrazione è sempre stata “islamofobica”?
Le dichiarazioni rilasciate da Trump in campagna elettorale211 ed i suoi provvedimenti in materia di immigrazione, che hanno colpito prevalentemente Paesi e cittadini di fede musulmana, hanno prepotentemente riacceso i riflettori sul dibattito relativo ad una valutazione circa la necessaria correlazione tra “Islam” e “pericolosità sociale”, tra “Islam” e “fondamentalismo”212. Alcuni analisti, tra cui Khaled A. Beydoun213 della Detroit Mercy School of Law, hanno rilevato come i “Muslim” Ban non siano senza precedenti, ma rientrino in una tradizione durata 154 anni (dal 1790 al 1944), durante la quale la legislazione in materia di immigrazione ha impedito la naturalizzazione degli stranieri di fede islamica. Si pensi che già Thomas Jefferson, Padre Fondatore degli Stati Uniti, sottolineò l’importanza del neonato Stato americano nel contrastare l“unbridled depotism” del mondo islamico214. Quella che viene definita “retorica anti-islamica” ha acquisito una nuova veste a seguito degli attacchi dell’11 settembre 2001; ad un originario “bigottismo” si sostituisce un più concreto timore di nuovi attentati terroristici. Non a caso, è stata ed è utilizzata per giustificare la cosiddetta “Guerra al Terrore”215. L’Islamofobia può essere definita come la presunzione che l’Islam sia intrinsecamente violento, alieno, inassimilabile, a cui si aggiunge la convinzione che le manifestazioni dell’identità islamica siano naturalmente inclini a sfociare nel terrorismo: l’Islam è una religione ostile216. Beydoun sottolinea come tale atteggiamento si traduca inevitabilmente in una politica del sospetto, promossa sia con leggi che con decisioni giudiziali. Il primo “Muslim” Ban della storia statunitense viene individuato nel Naturalization Act del 1790 che limitava la naturalizzazione a “persone bianche libere di buona moralità”; la
211 Ad es., “I call for a total and complete shutdown of Muslims entering the United States.”, Donald Trump (7/12/2015); cfr. Jenna Johnson, Trump calls for ‘total and complete shutdown of Muslims entering the United States’, Washington Post (Dec. 7, 2015). 212 Importante fu l’apporto teorico di Edward W. Said, autore di Orientalism (Vintage Books ed. 1979). 213 Khaled Beydoun, Acting Muslim (March 1, 2017). Harvard Civil Rights-Civil Liberties Law Review (CRCL), Vol. 53, 2018. 214 Robert Allison, The crescent obscured: the United States and the Muslim World 1776-1815, University of Chicago Press (1995), p. 46. 215 Susan M. Akram & Kevin R. Johnson, Race, Civil Rights, and Immigration Law after September 11, 2001: The targeting of Arabs and Muslims, 58 N.Y.U. Annual Surv. Of Amer. L. 295 (2002). 216 Khaled Beydoun, “Muslim Bans” and the (Re)making of political islamophobia, University of Illinois Law Review, Vol. 2017, p. 1733-1774.
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cittadinanza era pertanto preclusa ai soggetti riconducibili ai caratteri dell’identità islamica217. Le Corti, nell’esaminare il concetto di “whiteness” nei confronti di musulmani, sono giunte a valorizzare, appunto, l’elemento religioso, puntando l’accento sul contrasto tra Oriente ed Occidente, tra musulmani e cristiani218. Il primo immigrato musulmano ad ottenere la cittadinanza americana fu Mohammed Mohriez, nel 1944. In epoca più recente, dopo l’11 settembre, è stata messa in atto una politica che ha fortemente colpito i cittadini e le comunità islamiche. Sono stati ideati sistemi di monitoraggio: si pensi ad esempio al CVE (Countering Violent Extremism), programma volto ad evitare che nelle comunità di musulmani si verificasse una radicalizzazione; si pensi ancora all’USA Patriot Act, fortemente voluto da Bush all’indomani degli attentati. Si ricollegano alle medesime finalità anche le leggi “anti-Sharia”; la Sharia veniva definita “un’ideologia totalitaria”, una dottrina quasi di stampo militare in grado di annientare l’Occidente. Sulla scia della Louisiana e del Tennessee, in oltre venti Stati si fece strada l’idea di adottare provvedimenti che bandissero il ricorso alla legge islamica. Sebbene fossero state sollevate perplessità circa la compatibilità di tali previsioni con l’Establishment Clause e con la Free Exercise Clause del Primo Emendamento, provvedimenti del genere entrarono in vigore in Arizona ed Oklahoma219. Il clima di diffidenza seguito dell’attentato alle Torri Gemelle ha contribuito ad un forte incremento degli episodi di violenza a danno di persone originarie del Medio-Oriente, del Sud-Est Asiatico, Sikh e chiunque fosse anche solo scambiato per musulmano. Nel corso dell’ultimo decennio, l’Islam è stato spesso strumentalizzato per fini di campagna elettorale. Sono risuonate molto dure le parole di Ben Carson, ministro dell’Amministrazione Trump, il quale non ha esitato a definire “schizofrenici” gli americani musulmani, seguaci, a suo dire, di due filosofie di vita antitetiche220; lo stesso Obama, se da un lato sottolineava la necessità di dar voce all’Islam “sano” affinché si potesse condannare l’estremismo 221 , dall’altro ha sempre temuto che le illazioni sulla sua fede islamica, avanzate da parte dei suoi
217 L’atto illustrava i parametri legali e razziali per la naturalizzazione come cittadino americano: «That
any alien, being a free white person, who shall have resided within the limits and under the jurisdiction of the United States for the term of two years, may be admitted to become a citizen thereof, on application to any common law court of record in any one of the States wherein he shall have resided for the term of one year at least…»; Naturalization Act (1790), Act of Mar. 26, 1790, ch. 3, 1 Stat. 103. 218 Ian F. Haney Lopez, White by law; the legal construction of race, New York University Press 1996, 4977. 219 Asma T. Uddin & Dave Pantzer, A First Amendment analysis of Anti-Sharia initiatives, 10 First Amend. L. Rev., p. 363-370. 220 Mollie Reilly, Ben Carson: Muslims Only Embrace American Democracy ‘If They’re Schizophrenic’, HuffPost (16/02/2016). 221 “Muslims… have a responsibility to reject extremist ideologies. Those voices are there, we just have to amplify them more.”, Obama, Baltimora, Maryland (3/02/2016).
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detrattori, fossero ritenute fondate 222 . Anche Hillary Clinton, durante la sua campagna elettorale, ha dimostrato una sorta di islamofobia latente223, pur cercando di sottolineare in ogni caso la necessità di una distinzione concettuale tra Islam e Terrore. Assai diversa è stata la posizione di Sanders, rivale di Clinton durante le primarie democratiche, il quale ha evidenziato che bisogna evitare di cedere all’islamofobia224. Sul fronte repubblicano, oltre alle posizioni di Cruz, hanno suscitato grande scalpore le parole di Trump, il quale non ha mai perso occasione, durante la sua campagna elettorale, per sottolineare i pericoli, a suo dire, provenienti dall’Islam, fino a giungere ad affermare “Islam hate us” e a sostenere l’opportunità di evitare l’ingresso di ulteriori musulmani al fine di evitare un secondo 11 Settembre; celebre fu anche il suo attacco ad Obama a seguito del discorso da quest’ultimo tenuto presso la Moschea di Baltimora225. Il timore per le posizioni di Trump e degli altri candidati repubblicani spinse la maggior parte dei cittadini musulmani a votare alle primarie del Partito Democratico. Si stima che il 67% dei cittadini musulmani che abbiano affermato di voler andare a votare alle primarie abbia optato per i candidati democratici226. Alla luce di tale excursus, si può concludere che l’“Islamofobia” non è né mera retorica politica né una mera scelta legislativa contingente227. Piuttosto, essa appare come un circolo vizioso: i timori della popolazione, che orientano le scelte politiche e le decisioni giudiziali, trovano conferma e nuovo vigore proprio negli atteggiamenti assunti dai pubblici poteri.
222 Chris Moody & Kristen Holmes, Donald
Trump’s history of suggesting Obama is a Muslim, CNN (18/09/2015). 223 Khaled Beydoun, Muslim voters beetween Hillary Clinton and a Hard Place, Al Jazeera English (25/07/2016). 224 “We will not allow ourselves to be divided and succumb to Islamophobia” (16/11/2015). 225 Trump a Obama, in moschea a suo agio, ANSA New York 4 Febbraio 2016. 226 Tashkeel Ahmed Farooqi, Islamophobia driving American Muslims to polling booths in 2016, The Express Trbune (4/02/2016). 227 Khaled Beydoun, “Muslim Bans” and the (Re)making of political islamophobia, University of Illinois Law Review, Vol. 2017, p. 1773-1774.
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XVI.
Muslim Ban e diritto internazionale: alcune osservazioni critiche
Già a seguito dell’emanazione della prima versione dell’Executive Order, sono sopraggiunte numerose critiche circa la compatibilità del provvedimento con il diritto internazionale; tali rilievi sono stati effettuati dalla dottrina, da alcuni Paesi e persino da organizzazioni ed istituzioni internazionali. In primis, l’Alto Commissario per i diritti umani Zeid bin Ra’ad Zeid al-Hussein ha rilevato che le discriminazioni fondate sulla sola nazionalità sono vietate dalle norme sui diritti umani; inoltre, non ha esitato a definire “meschino” (“mean-spirited”) il Ban, che ha arrecato un danno all’effettiva lotta al terrorismo228. Reazioni più diplomatiche sono giunte dall’UNHCR che, in una nota congiunta con l’IOM (International Organization for Migration), ha auspicato che gli Stati Uniti non vengano meno all’impegno ad accogliere i rifugiati229. Gli UN Special Rapporteurs on migrants, on racism, on human rights and counter-terrorism, on torture, on freedom of religion hanno denunciato, in termini alquanto perentori, la violazione dell’obbligo di non refoulement230, gravante sugli Stati, e quindi anche sugli Stati Uniti.231 Una presa di posizione altrettanto chiara è stata quella della Commissione interamericana dei diritti dell’uomo232. 228 Il 30 gennaio 2017 ha dichiarato su Twitter:
«discrimination on nationality alone is forbidden under human rights law…the US ban is also mean-spirited, and wastes resources needed for proper counterterrorism». 229 «Refugees should receive equal treatment for protection and assistance, and opportunities for resettlement.»., 28 gennaio 2017. 230 «Ai sensi dell’art.33 della Convenzione di Ginevra a un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio né può esso essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Per effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento. Il refoulement consiste, in sostanza, in qualsiasi forma di allontanamento forzato verso un paese non sicuro.»; www.openmigration.org/glossary-term/principio-di-non-refoulement/. 231 «The US recent policy on immigration [...] risks people being returned, without proper individual assessments and asylum procedures, to places in which they risk being subjected to torture and other cruel, inhuman or degrading treatment, in direct contravention of international humanitarian and human rights laws which uphold the principle of non-refoulement», 1° febbraio 2017. 232 «The implementation of these executive orders puts migrants and refugees at grave risk of violation of their rights to non-discrimination, personal liberty, due process, judicial protection, special protection for families and children, the right to seek and receive asylum, the principle of non-refoulement, the prohibition of cruel, inhuman and degrading treatment, and the right to freedom of movement, among others», 25 gennaio 2017.
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La dottrina riconduce l’obbligo di non refoulement al diritto internazionale consuetudinario e rileva come tale obbligo sia contenuto in vari trattati di cui gli Stati Uniti sono parte, tra cui la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951. I contestatori 233 dei provvedimenti di Trump sottolineano come essi introducano una “presunzione di pericolosità” a carico di tutti gli stranieri provenienti dai Paesi colpiti, in violazione dell’art. 32.2 della suddetta Convenzione, che prevede, invece, che l’obbligo di non refoulement possa essere disatteso solo in caso di un pericolo serio e specifico, ma soprattutto in violazione dell’art. 3, che introduce il divieto di discriminazione in base a razza, paese d’origine e religione. Inoltre, sempre la dottrina internazionalistica ha rilevato come l’esplicita preferenza, contenuta nel Ban, nei riguardi degli stranieri soggetti a persecuzione per motivi religiosi, e quindi seguaci di una religione minoritaria, possa determinare una discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri di religione musulmana. Rilevanti in tal senso sono il Patto sui diritti civili e politici, la Convenzione contro ogni forma di discriminazione, la Convenzione contro la tortura ed in modo particolare la General Recomandation No. 30 on discrimination against non-citizens adottata dal Comitato per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale234. Già nel 2008 il comitato aveva condannato il NEERS (National Entry and Exit System) degli Stati Uniti dopo aver individuato delle forme di discriminazione contro Arabi, Musulmani ed Asiatici. Anche a seguito delle modifiche apportate alla prima versione dell’Executive Order, attraverso le quali è stato introdotto un meccanismo di esenzioni “caso per caso” e sono state eliminate le specifiche eccezioni a favore di minoranze religiose, alcuni commentatori hanno rilevato che il vero intento del bando emergerebbe da alcune dichiarazioni di Trump e dei suoi collaboratori, che ne rivelerebbero la natura discriminatoria. Nonostante il richiamo ad esigenze di sicurezza nazionale, alla base del provvedimento ci sarebbero ancora finalità di discriminazione religiosa. Un maggiore ossequio al diritto internazionale potrebbe derivare dalla previsione, inserita nella seconda e terza versione del Ban, che stabilisce la non applicazione del bando nei riguardi dei rifugiati già ammessi negli Stati Uniti e di coloro che abbiano ricevuto protezione in virtù della Convenzione contro la tortura. Tuttavia, suscitano ancora perplessità gli ampi poteri riconosciuti ai funzionari di frontiera in un settore in cui probabilmente sarebbe necessario l’intervento giurisdizionale, come anche la previsione della pubblicazione di determinate informazioni, relative a condanne o espulsioni per attività terroristiche o violenze di genere, solo se inerenti a non-cittadini, come se costoro fossero più inclini a compiere determinati crimini, in violazione dell’art. 26 del Patto sui diritti civili e
233 Ad es. J. Hafetz, J. C. Hataway, A. Aleinikoff, M. Satterthwaite, A. Zetes. 234
I punti 6 e 10 dispongono che gli Stati «ensure that legislative guarantees against racial discrimination apply to noncitizens regardless of their immigration status, and that the implementation of legislation does not have a discriminatory effect on non-citizens» and «ensure that any measures taken in the fight against terrorism do not discriminate, in purpose or effect, on the grounds of race, colour, descent, or national or ethnic origin and that non-citizens are not subjected to racial or ethnic profiling or stereotyping».
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politici 235 e degli artt. 2 e 4 della Convenzione contro ogni forma di discriminazione razziale236. Nei giudizi avverso i provvedimenti presidenziali, l’incompatibilità di diritto internazionale non ha assunto un ruolo centrale. In merito alla presunta violazione della Convenzione di Ginevra237, potrebbe essere adita la Corte Internazionale di Giustizia, la cui attivazione è tuttavia subordinata ad un ricorso statale che difficilmente perverrà. Inoltre, le statuizioni dei Comitati delle Nazioni Unite istituiti nell’ambito dei trattati sui diritti umani e della Commissione interamericana non sono vincolanti. La dottrina si è anche interrogata circa la configurabilità di una sorta di “complicità” degli Stati nei cui aeroporti le compagnie aeree abbiano impedito le partenze verso gli Stati Uniti; ci si è rifatti alla teoria degli obblighi positivi238, che imporrebbe agli Stati di impedire, prevenire o reprimere la violazione di diritti umani da parte di privati nell’ambito della propria giurisdizione. In particolare, nel caso in cui l’imbarco fosse impedito in uno Stato europeo parte della Convenzione Europea sui diritti umani (CEDU), potrebbe essere adita la Corte EDU che, a differenza dei Comitati delle Nazioni Unite, può pronunciare sentenze vincolanti; qualora il divieto di imbarco comporti una violazione dei diritti previsti dalla Convenzione, lo Stato potrebbe essere ritenuto responsabile di non aver impedito, in virtù della teoria degli obblighi positivi, la violazione dei diritti stabiliti dalla CEDU da parte di privati soggetti alla propria giurisdizione239.
235
«Tutti gli individui sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. A questo riguardo, la legge deve proibire qualsiasi discriminazione e garantire a tutti gli individui una tutela eguale ed effettiva contro ogni discriminazione, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione.» 236 Anna Liguori, Il Muslim Ban alla luce del diritto internazionale, Diritti umani e diritto internazionale, vol. 11, 2017 n. 1, 173-188, p. 16. 237 V. art. 38 della Convenzione; titolo IV Protocollo 1967. 238 «foreign intelligence information that previously could have been shared with U.S. authorities may need to be withheld, given the significant risk that the Trump Administration would use that information to discriminate against Muslim and/or Arab immigrants», Jay Shooster (Center for Human Rights and Global Justice at the NYU School of Law). 239 How the European Convention on Human Rights Limits Cooperation with the Trump Administration, Just Security, 25 gennaio 2017, disponibile su www.justsecurity.org.
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XVII.
“Trump v. Hawaii”: la vittoria politica di Trump
L'Amministrazione Trump, attraverso un Writ of Certiorari240, si rivolse alla Corte Suprema, affinché questa fosse messa a conoscenza della controversia che vedeva contrapposti lo Stato delle Hawaii (insieme a tre individui con familiari colpiti dal blocco e Muslim Association of Hawaii) e la suddetta Amministrazione e che era giunta dinnanzi alla Corte d'Appello del Nono Circuito la quale, accogliendo il ricorso, aveva rilasciato una nationwide preliminary injunction con cui si impediva che il Proclama N.9645 producesse i suoi effetti. Il 19 gennaio 2018, la Corte Suprema acconsentì ad esaminare il caso e chiese alle parti di dare risposta ai seguenti quesiti:
Se il Proclama Presidenziale in questione fosse contestabile in giudizio; Se la terza versione del Ban costituisse legittimo esercizio del potere esecutivo; Se la decisione pronunciata dalla Corte Distrettuale delle Hawaii e confermata dalla Corte d'Appello del Nono Circuito fosse esagerata; Se tale provvedimento violasse l'Estabilishment Clause desumibile dal Primo Emendamento241.
Il 25 aprile 2018 si svolse l'udienza nel corso della quale i giudici della Corte ascoltarono le argomentazioni delle parti. In rappresentanza dell'Amministrazione Trump, il Procuratore Generale Noel Francisco sostenne che la "Suspension Clause" contenuta nell'International and Nationality Act attribuisse al Presidente il potere di introdurre restrizioni ulteriori rispetto a quelle descritte nel succitato atto. A nome dello Stato delle Hawaii, invece, Neal Katyal sostenne che il proclama presidenziale fosse illegittimo per più di una ragione242:
Costituisce un'ingerenza nei confronti dei poteri del Congresso; È in contrasto con la "Nondiscrimination Clause" contenuta nella Sez. 1152(a) dell'Immigration and Nationality Act; Viola il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.
240 Con una legge del 27 giugno 1988, il Congresso ha reso la richiesta del Writ
of certiorari l’unica procedura possibile per un appello davanti alla Corte Suprema; quest’ultima può scegliere discrezionalmente quali casi affrontare, privilegiando normalmente quelli di evidente interesse nazionale che generalmente interessano diritti fondamentali. 241 V. Grant of Writ of Certiorari, Trump v. Hawaii, 138 S. Ct. 923 (2018) (No. 17-965). 242 Transcription of Oral Argument 38-39, Trump v. Hawaii, 138 S. Ct. 2392 (2018), (No. 17-965).
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Il 26 giugno 2018, con una risicata maggioranza di cinque giudici contro quattro, la Corte Suprema ha confermato la legittimità della terza versione del “Muslim” Ban di Trump. L'opinion adottata dalla maggioranza è stata redatta dal giudice Roberts ed adottata col voto favorevole dei giudici Kennedy, Thomas, Alito e Gorsuch. Si tratta di una sentenza dalla portata indubbiamente storica, attraverso cui la maggioranza dei giudici della Corte Suprema ha stabilito come il Presidente Trump abbia legittimamente esercitato l'ampia discrezionalità riconosciutagli in materia di immigrazione e sicurezza nazionale. Il Proclama Presidenziale non solo non contrasta con la nondiscrimination clause, prevista dalla sez. 1152(a) dell’INA, ma risponde anche alle medesime finalità del provvedimento. Roberts scrive, infatti, che è l'INA stesso, nella sez. 1182(f) a riconoscere al Presidente l'ampio potere di imporre restrizioni agli ingressi ulteriori rispetto a quelle già contemplate nella legge, purché l'ingresso degli stranieri sia da considerarsi dannoso per gli interessi degli Stati Uniti 243 . Inoltre, il “detriment” non va individuato necessariamente in virtù di un episodio specifico. Le due parti del medesimo atto rispondono a due finalità diverse ed operano in ambiti distinti: mentre la sez. 1182(f) consente al Presidente di sospendere l’ingresso di “immigrants” e “nonimmigrants”, contribuendo a definire il complessivo quadro di stranieri che possono essere ammessi negli Stati Uniti, la sez. 1152(a) vieta che, nell’assegnare i visti agli immigrati (e solo a questi), si pongano in essere delle discriminazioni fondate sulla nazionalità o su altri fattori244. Attraverso una rigida interpretazione letterale, i giudici della maggioranza sono riusciti a superare il teorico scoglio rappresentato dal divieto di discriminare sulla base della nazionalità i richiedenti un visto di ingresso. Infatti, secondo la Corte, le garanzie previste dalla sez. 1152(a) non si applicherebbero alle condizioni generali di ammissibilità (fase di elegibility), ma solo nella successiva fase di valutazione delle concrete condizioni di ammissibilità (fase di admissibility)245.
243 «In
short, the language of §1182(f) is clear, and the Proclamation does not exceed any textual limit on the President’s authority» v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 14-15. 244 Sections 1182(f) and 1152(a)(1)(A) thus operate in different spheres: Section 1182 defines the universe of aliens who are admissible into the United States (and therefore eligible to receive a visa). Once §1182 sets the boundaries of admissibility into the United States, §1152(a)(1)(A) prohibits discrimination in the allocation of immigrant visas based on nationality and other traits. The distinction between admissibility—to which §1152(a)(1)(A) does not apply—and visa issuance—to which it does— is apparent from the text of the provision, which specifies only that its protections apply to the “issuance” of “immigrant visas”, without mentioning admissibility or entry. Had Congress instead intended in §1152(a)(1)(A) to constrain the President’s power to determine who may enter the country, it could easily have chosen language directed to that end. .» v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 22. 245 Simone Penasa, Mr. President and Dr. Trump: La Corte Suprema Americana tra “facial neutrality” e “reasonable observer” standard. Ultima puntata della saga Travel Ban?, Casi e Questioni- DPCE on line 2018/3- p. 684.
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Secondo l'opinione della maggioranza, il Presidente ha rispettato i limiti della delega in questione; si è sottolineato, infatti, come il Proclama sia stato emanato sulla base di una valutazione compiuta dalle varie agenzie circa la conformità dei singoli Paesi agli standard di informazione e di valutazione dei rischi 246 . I limiti all'ingresso di stranieri, che non potrebbero essere controllati a causa di carenza di informazioni, vengono introdotti, pertanto, nell'interesse nazionale. Viene inoltre ribadito come i Paesi inseriti nel bando siano stati previamente individuati dal Congresso o da precedenti amministrazioni247; questa operazione impedisce alla Corte di sostituire la propria autonoma valutazione al lavoro effettuato dall’esecutivo, con il contributo del Congresso, delle agenzie federali e di altri soggetti istituzionali. Si evidenzia, inoltre, come le 12 pagine del Proclama Presidenziale dettino una disciplina più dettagliata rispetto ai precedenti ordini esecutivi248; il Proclama a cui la Corte dà il via libera definitivo è quello opportunamente emendato per ben tre volte e più attentamente calibrato nei suoi contenuti. Nella sentenza si sottolinea come tradizionalmente, nell'ambito della sicurezza nazionale e dell'immigrazione, ci sia sempre stata una grande deferenza nei confronti delle prerogative presidenziali; tale impostazione sarebbe confermata anche dal comune sentire e dalla consolidata prassi249. In queste materie, il giudizio della Corte deve limitarsi a valutare se la politica in oggetto sia facially legitimate ed abbia bona fide reason, applicando il rational basis review, lo standard di controllo giudiziario più basso, meno rigoroso e severo. La Corte, in tali casi, dovrebbe limitarsi a giudicare se l’atto trovi fondamento in un legitimate state interest, reale o ipotetico che sia, non potendo entrare nel merito della ragionevolezza o fondatezza dell’interesse governativo formalmente enunciato250. La Corte, aderisce, quindi, alla political question doctrine251, ritenendo di non
246 «The
Proclamation, moreover, reflects the results of a worldwide review process undertaken by multiple Cabinet officials and their agencies.» v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 34. 247 «the policy covers just 8% of the world’s Muslim population and is limited to countries that were previously designated by Congress or prior administrations as posing national security risks». V. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 34. 248 V. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 12 e Syllabus, p. 3. 249 «Common sense and historical practice confirm as much. Section 1152(a)(1)(A) has never been treated as a constraint on the criteria for admissibility in §1182. Presidents have repeatedly exercised their authority to suspend entry on the basis of nationality.», V. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 23. 250 «The Proclamation does not fit this pattern. It cannot be said that it is impossible to “discern a relationship to legitimate state interests” or that the policy is “inexplicable by anything but animus.” Indeed, the dissent can only attempt to argue otherwise by refusing to apply anything resembling rational basis review. But because there is persuasive evidence that the entry suspension has a legitimate grounding in national security concerns, quite apart from any religious hostility, we must accept that independent justification.», v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 33-34. 251 Giorgia Costabile, Il “Muslim Ban” – primo esempio della politica migratoria del Presidente Trump – alla prova dei check and balances costituzionali. La risposta della Corte Suprema in Trump v. Hawaii contraddice la natura contromaggioritaria del controllo di costituzionalità?, Federalismi.it 22 maggio 2019, p. 10.
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essere legittimata a svolgere un controllo di adeguatezza e di proporzionalità delle misure oggetto della pronuncia252. Nella sentenza si pone l'accento sul fatto che nel Proclama Presidenziale si disponga una "sospensione", un differimento temporaneo, sebbene non sia fissato un termine. Secondo tale orientamento, il “Muslim” Ban 3.0 avrebbe disposto chiaramente che le restrizioni sarebbero rimaste in vigore fintanto che sarebbero persistiti i rischi provenienti dai Paesi investiti dal provvedimento253; a riprova di ciò, la Corte evidenzia come alcuni Paesi contemplati nelle precedenti versioni del Ban, tra cui il Ciad, siano stati rimossi nel momento in cui hanno dimostrato di aver migliorato il proprio sistema di gestione delle informazioni. Nondimeno, il Proclama fa riferimento a "class of aliens" e non a tutti i cittadini stranieri incondizionatamente considerati254. Riguardo alle contestazioni circa la conformità al Primo Emendamento, la Corte Suprema ha sottolineato come, sebbene il potere esecutivo non sia totalmente immune da un sindacato giurisdizionale, i giudici non possano sostituirsi in toto alle valutazioni compiute dall'Amministrazione; nelle motivazioni si è sostenuto come l'ultima versione del Ban rispondesse ad almeno tre ragioni che lo rendessero conforme all'interesse nazionale e non rispondente a mere logiche discriminatorie: 1) Tre Paesi a maggioranza musulmana, inizialmente inseriti tra i destinatari, sono stati rimossi (Iraq, Sudan e Ciad). Se è vero che il provvedimento colpisce prevalentemente Paesi la cui popolazione è per la stragrande maggioranza di religione musulmana, è altrettanto vero che tali Stati ricomprendano solo l’8% della popolazione mondiale di fede islamica; in più, la sua portata risulta circoscritta a Paesi che il Congresso o le precedenti amministrazioni avevano già individuato come fonti di rischi per la sicurezza nazionale. Inoltre, nel Proclama, ancor più che nelle precedenti versioni dell’Executive Order, è esplicato che l’inserimento di ogni singolo Paese nel provvedimento sia stato giustificato sulla base di specifiche e distinte ragioni e condizioni. Le misure sarebbero pertanto il risultato di un’inchiesta svolta a livello mondiale da una pluralità di agenzie governative che ha riguardato Paesi “sospetti” alla luce di parametri precedentemente fissati dall’amministrazione Trump. Le misure prese riguardo ai diversi Stati risulterebbero proporzionate, pertanto, al livello di compliance di ciascuno di essi rispetto agli standard di trasparenza, collaborazione e sicurezza predisposti255.
252 «…But
we cannot substitute our own assessment for the ExecutivÈs predictive judgments on such matters, all of which “are delicate, complex, and involve large elements of prophecy.”», v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 35. 253 La Corte sottolinea come la Sezione 1182(f) autorizzi il Presidente a sospendere l’ingresso negli Stati Uniti “for such period as he shall deem necessary”. , v. p. 13. 254 Come sopra, v. p. 14. 255 «First, since the President introduced entry restrictions in January 2017, three Muslim-majority countries—Iraq, Sudan, and Chad—have been removed from the list of covered countries. The Proclamation emphasizes that its “conditional restrictions” will remain in force only so long as necessary
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I contestatori del cosiddetto Muslim Ban hanno individuato nelle dichiarazioni rilasciate da Trump durante la campagna elettorale ed all’inizio del suo mandato presidenziale, in cui non ha esitato a mostrare ostilità nei confronti dell’Islam, un indice rivelatore del “religious animous” alla base della sua politica sull’immigrazione. La Corte sottolinea, tuttavia, come i giudici non possano e non debbano limitarsi a prendere in considerazione le dichiarazioni di un singolo Presidente, dovendo, invece, valutare l’autorità della carica di Presidente stessa256. L’opinion di maggioranza opta per una rigida distinzione tra dichiarazioni effettuate da uno specifico Presidente e l’autorità esercitata dalla Presidenza-istituzione; il modo di porsi di un Presidente costituirebbe una questione meramente “morale” priva di rilievo all’interno di del controllo di costituzionalità. La maggioranza, concentrandosi sul tenore oggettivo del Proclama, sottolinea come il provvedimento risulti “facially neutral” nei confronti della religione257. 2) Nel Proclama sono state inserite numerose e rilevanti eccezioni in favore di varie categorie di cittadini stranieri258. Si pensi, ad esempio, all’assenza di restrizioni per gli studenti provenienti dall’Iran o per coloro che vogliano entrare dalla Somalia, ma non come immigrati. Oltretutto, il Proclama esenta dai divieti coloro i quali siano già residenti permanenti e coloro a cui sia stato già concesso il diritto d’asilo. 3) Il Provvedimento prevede un meccanismo di deroghe rivolto a tutti cittadini stranieri coinvolti, sia che vogliano entrare nel Paese come immigrati sia che vogliano entrare con altro titolo. Si pensi al caso in cui il diniego della possibilità di entrare costituirebbe una privazione indebita, al caso in cui l’ingresso non costituirebbe un pericolo per la sicurezza nazionale, o ancora all’eventualità che l’ingresso dello straniero avvenga proprio nell’interesse degli Stati Uniti.259
to “address” the identified “inadequacies and risks,”…» v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. ___ (2018), p. 36. 256 «In doing so, we must consider not only the statements of a particular President, but also the authority of the Presidency itself.», p. 29. 257 «The Proclamation, moreover, is facially neutral toward religion.»… «The Proclamation is expressly premised on legitimate purposes: preventing entry of nationals who cannot be adequately vetted and inducing other nations to improve their practices. The text says nothing about religion». v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 29 e 34. 258 «the Proclamation includes significant exceptions for various categories of foreign nationals», p. 36. 259 «whether the alien demonstrates that (1)denying entry would cause undue hardship; (2) entry would not pose a threat to public safety; and (3) entry would be in the interest of the United States.», p.37.
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Il giudice Roberts ha quindi concluso che il Travel Ban supera con successo il sindacato di costituzionalità perché il governo è riuscito a fornire una “sufficient national justification” alla base dell’emanazione del provvedimento. Nella sentenza sono presenti anche due concurring opinion, rispettivamente di Kennedy e Thomas. Kennedy260 si è dichiarato d'accordo con la maggioranza nel constatare come il Presidente abbia l'autorità di emettere il divieto, ma ha sottolineato quanto sia importante ribadire che, anche laddove le dichiarazioni e gli atti dei funzionari governativi non siano soggetti a controllo giudiziario, i funzionari non sono liberi di ignorare la Costituzione ed i diritti che essa riconosce e protegge; anzi, proprio il fatto che i funzionari godano di una così ampia discrezionalità rende ancora più categorico l’imperativo di aderire alla Costituzione, al suo significato ed alla sua promessa261. Thomas262 ha messo in discussione la necessità di emanare un'ingiunzione nazionale contro l'Executive Order, come fece, ad esempio, la Corte Distrettuale delle Hawaii, e la capacità stessa di un Tribunale Distrettuale di emettere un provvedimento del genere263. Le due dissenting opinion della minoranza sono state proposte rispettivamente dai giudici Breyer (con Kagan) e Sotomayor (con Ginsburg). Breyer264 ho sottolineato, principalmente, come il sistema di deroghe ed eccezioni previsto dal Proclama fosse una mera operazione di facciata (window-dressing); la concreta operatività del meccanismo di esenzioni sarebbe minato dall’effettiva prassi applicativa, caratterizzata da un’eccessiva discrezionalità dei funzionari di frontiera. Sotomayor265, invece, si è prevalentemente concentrato sulle varie dichiarazioni fatte da Trump contro i musulmani, le quali rappresenterebbero un indice rivelatore dell'effettiva ratio alla base del Ban, in assoluto contrasto con l'Estabilishment Clause del Primo Emendamento. Non sarebbe quindi percorribile una netta distinzione tra valore meramente “morale” delle dichiarazioni di un Presidente e autorità rappresentata dalla Presidenza. L’opinion di Sotomayor sottolinea come gli Stati Uniti d’America siano una nazione fondata sulla promessa della libertà, anche religiosa; il principio di neutralità sarebbe, inoltre, insito nel Primo Emendamento266. La Corte avrebbe, pertanto, ciecamente approvato una politica palesemente ostile nei confronti dei musulmani, trincerandosi dietro nebulose
260 J. Kennedy, concurring
opinion in Trump v. Hawaii (585 U.S., 2018), p. 1-2. Il “Muslim Ban” – primo esempio della politica migratoria del Presidente Trump – alla prova dei check and balances costituzionali. La risposta della Corte Suprema in Trump v. Hawaii contraddice la natura contromaggioritaria del controllo di costituzionalità?, Federalismi.it 22 maggio 2019, p. 17. 262 J. Thomas, concurring opinion in Trump v. Hawaii (585 U.S., 2018), p. 1-10. 263 «In sum, universal injunctions are legally and historically dubious. If federal courts continue to issue them, this Court is duty bound to adjudicate their authority to do so.», p. 10. 264 J. Breyer, dissenting opinion in Trump v. Hawaii (585 U.S., 2018), p. 1-8. 265 J. Sotomayor, dissenting opinion in Trump v. Hawaii (585 U.S., 2018), p. 1-28. 266 «The First Amendment stands as a bulwark against official religious prejudice and embodies our Nation’s deep commitment to religious plurality and tolerance.», p. 25. 261 Giorgia Costabile,
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ragioni di sicurezza nazionale ed optando per un’inaccettabile mera interpretazione letterale267. Nonostante la stretta maggioranza (cinque giudici conservatori contro quattro liberal) con cui la Corte Suprema ha stabilito che il Presidente degli Stati Uniti abbia agito nel rispetto della Costituzione, la sentenza Trump v. Hawaii è stata una vera e propria boccata d’ossigeno per Trump, di cui aveva assolutamente bisogno in un periodo di forte difficoltà sul piano politico a causa delle criticità legate alla gestione dei migranti al confine268. Per i giudici, il Presidente non ha fatto altro che esercitare un ampio potere che la stessa Costituzione gli riconosce: fissare i principi della sicurezza nazionale. Di fronte all’esercizio di tali prerogative, la Corte Suprema ha scelto di applicare lo standard di giudizio più debole, il “rational basis review”. Nonostante il “placet”, il Presidente della Corte Suprema ha sottolineato l’importanza del principio di non discriminazione e la necessità che il Presidente degli Stati Uniti utilizzi il suo potere di parlare ai cittadini e a loro nome per esporre i principi di libertà religiosa e di tolleranza su cui gli Stati Uniti si fondano269.
267 «Although
national security is unquestionably an issue of paramount public importance, it is not “a talisman” that the Government can use “to ward off inconvenient claims—a ‘label’ used to ‘cover a multitude of sins.’”», p. 24. 268 Il commento di Trump su Twitter non tardò: «SUPREME COURT UPHOLDS TRUMP TRAVEL BAN. Wow!», 26 giugno 2018. 269 «The President of the United States possesses an extraordinary power to speak to his fellow citizens and on their behalf. Our Presidents have frequently used that power to espouse the principles of religious freedom and tolerance on which this Nation was founded.», v. Trump v. Hawaii No. 17-965, 585 U.S. (2018), p. 28.
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XVIII. Conclusioni
Dalle pagine precedenti, si è innanzitutto desunto che non si possa non riconoscere al fattore religioso un ruolo cruciale nel processo di formazione ed affermazione degli Stati Uniti d’America. Come una nuova “terra promessa”, l’America accolse tantissimi coloni vittime, nel Vecchio continente, di persecuzioni religiose. Nella costruzione della nuova nazione, lo spirito di religione e lo spirito di libertà hanno visto un’intima unione; non deve stupire, pertanto, se tra i due concetti sia stata elaborata una sintesi, che può essere descritta in termini di “libertà religiosa”. Nella sistematica della tutela costituzionale dei diritti (culminata nell’adozione della Bill of Rights) la libertà di religione appare come un incipit da un punto di vista grafico ed un presupposto dal punto di vista logico per il riconoscimento delle altre libertà contemplate nel Primo Emendamento. Mentre in Europa il processo di secolarizzazione appare ormai inarrestabile, negli Stati Uniti persiste una forte presenza dell’elemento religioso. Non mancano, tuttavia, le contraddizioni: da una parte vi è la religione quale fatto privato, da tutelare contro ogni possibile intromissione pubblica; dall’altra vi è la costante presenza di Dio nel dibattito pubblico. La storia, la sociologia, ma soprattutto la giurisprudenza, ci dimostrano quanto sia difficile sostenere che negli USA la religione sia un fatto meramente privato. Ad una lettura superficiale del Primo Emendamento potrebbe sembrare che gli Stati Uniti abbiano aderito ad un modello squisitamente separatista; tuttavia, da un’analisi più approfondita, si evince che il “wall of separation” fra Stato e chiese costruito negli Stati Uniti non abbia niente a che vedere con l’idea di “laicità” propria della tradizione dei Paesi di Civil Law. Piuttosto, nel mondo anglosassone, si preferisce parlare di “separation”, di “secularism”; alla divisione tra Stato e Chiesta, tra Stato e religione, non corrisponde un antagonismo nella società. Nel contesto statunitense è radicata la convinzione che, sebbene la libertà religiosa individuale ed istituzionale possa essere meglio tutelata in presenza di un governo privo di poteri di interferenza, non debba essere trascurato il ruolo che la fede e le confessioni religiose rivestano nella società. Gli Stati Uniti d’America sono una federazione di cinquanta Stati, ciascuno con le proprie assemblee legislative, con la propria Costituzione e, soprattutto, con i propri giudici. Dal punto di vista del rapporto con la religione, nonostante le inevitabili differenze, il cuore dell’impianto costruito dalla Costituzione federale e dal Primo Emendamento è riprodotto sostanzialmente anche nelle Carte Costituzionali dei singoli Stati. Dalla disamina delle controversie giudiziarie in materia di libertà religiosa, è emersa chiaramente l’importanza del ruolo svolto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in quanto argine a fronte di una possibile
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eccessiva frammentazione. L’intero diritto statunitense relativo al fenomeno religioso ed alla libertà religiosa è frutto della giurisprudenza della Corte Suprema la quale rivela come il muro di separazione non sia sempre invalicabile ed un certo minimo contatto tra Stato e religione risulti ineliminabile. Le sentenze della Corte Suprema hanno segnato, e segnano tuttora, le tappe del percorso verso la vera libertà religiosa, svolgendo un’imprescindibile attività di bilanciamento tra le varie libertà costituzionali e tra queste e le altre branche dell’ordinamento. Anche recentemente, i giudici si sono dovuti misurare con la questione della separazione dei poteri, tanto importante quanto controversa quando investe politiche che incidono su diritti costituzionalmente garantiti. In particolare, in questa tesi ci si è interrogati sull’estensione del potere discrezionale dell’esecutivo in materia di sicurezza nazionale ed immigrazione, alla luce dei discussi provvedimenti adottati dall’Amministrazione Trump, noti alle cronache come Muslim Ban. Il presunto carattere discriminatorio dei Muslim Ban è stato valutato, principalmente, in riferimento all’Immigration and Nationality Act ed all’Establishment Clause del Primo Emendamento della Costituzione federale; i contestatori dei decreti in questione hanno individuato un ulteriore motivo di illegittimità nell’abuso di potere posto in essere da Trump nell’attuare politiche ritenute in contrasto con le prerogative del Congresso. Travagliati iter giudiziari e forti proteste hanno portato il Governo a rivedere e ad emendare più volte l’originario Executive Order. Le Corti Distrettuali del Maryland e delle Hawaii sono giunte persino a bloccare il provvedimento attraverso delle ingiunzioni operanti a livello nazionale. Come già descritto, il 26 giugno 2018 sopraggiungeva la sentenza Trump v. Hawaii con cui la Corte Suprema ha ribaltato gli orientamenti dei giudici statali, sancendo la legittimità della terza versione del bando presidenziale. In ossequio alla political question doctrine, non è stato rilevato alcun sintomo di eccesso di potere, essendosi la Corte limitata a valutare se le misure apparissero legittime già a prima vista; non sussisterebbe alcuna violazione della Nondiscrimination Clause contenuta nella sez. 1152(a) dell’INA che, a dire della Corte, opererebbe non nella fase di regolamentazione dei flussi migratori, ma solo nella successiva fase di rilascio dei visti. Quel che più conta, ai fini di questo studio, è che la Corte Suprema non abbia dato alcun peso alle numerose dichiarazioni anti-Islam di Trump, dando rilievo solo alla “facial neutrality” dei provvedimenti nei confronti della religione. La Corte ha ritenuto di non dover entrare nel merito delle singole misure adottate dall’Amministrazione Trump, limitandosi ad una visione di insieme. Proprio alla luce degli ampi poteri riconosciuti all’esecutivo in materia di sicurezza nazionale ed immigrazione, la maggioranza dei giudici ha infatti optato per una lettura “di superficie”, circoscrivendo il suo sindacato ad una lettura generale e sommaria, al sol fine di valutare se le disposizioni si mostrassero manifestamente discriminatorie. Il principio di non discriminazione risulta quindi maggiormente elastico di fronte ai non cittadini, anche qualora vengano lambite sfere relative a diritti sanciti dalla Bill of Rights. La
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libertà di religione appare, pertanto, operante in uno step successivo: viene intesa come assenza di turbative o di trattamenti impari in relazione all’acquisizione ed alla professione della propria coscienza religiosa e come possibilità di organizzazione per le confessioni religiose: tutto ciò, tuttavia, non senza deroghe o eccezioni giustificate da operazioni di bilanciamento con altri interessi. Ancora una volta, il vertice della giurisdizione statunitense è stato chiamato ad attuare un intervento dirimente, il quale ha suscitato non poche perplessità: si è parlato di deriva maggioritaria, di tirannia della maggioranza, di asservimento dei giudici alla volontà dell’esecutivo, di svilimento della funzione contromaggioritaria della Corte Suprema. Nella sua dissenting opinion, Sotomayor ha persino lamentato un contrasto con i valori e le finalità su cui si fondano gli Stati Uniti. La scarsità di risorse, dovuta alla crisi economica, ed il bisogno di sicurezza, rendono maggiormente tollerabili, da parte dei cittadini, le restrizioni dei diritti. In particolare, la lotta al terrorismo, al cui vertice vi è la guida militare e spirituale degli Stati Uniti, viene sempre più adoperata come ratio giustificatrice delle torsioni costituzionali o delle compressioni, sospensioni e violazioni del tessuto costituzionale. A suon di "più sicurezza, meno diritti", in un'ottica securitaria, si giunge all'adozione di politiche ritenute spesso derogatorie rispetto ai principi fondanti l'ordinamento statunitense. La questione “Muslim Ban” è ancora aperta; ulteriori controversie potranno riguardare episodi di concreta attuazione delle misure. Per ora ha vinto la linea di Trump e la parola “Muslim” può essere cancellata. La vicenda ha dimostrato le contraddizioni di un modello che, nonostante tutto, si regge ancora in piedi. Le conflittualità e le disfunzionalità emerse, più che rappresentare delle anomalie, sono delle conseguenze che possono derivare dalla concreta attuazione dei meccanismi di “Checks and Balances”.
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