ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO
NUOVI STUDI STORICI – 105
LE CRONACHE VOLGARI IN ITALIA Atti della VI Settimana di studi medievali (Roma, 13-15 maggio 2015) a cura di GIAMPAOLO FRANCESCONI e MASSIMO MIGLIO
ROMA
nella sede dell’istituto palazzo borromini
2017
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Nuovi Studi Storici collana diretta da Massimo Miglio
Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone Redazione: Silvia Giuliano
ISSN 1593-5779 ISBN 978-88-98079-62-9 ________________________________________________________________________________ Stabilimento Tipografico ÂŤ Pliniana Âť - V.le Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (Perugia) - 2017
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LE CRONACHE VOLGARI IN ITALIA UNA PREMESSA
Le cronache – le fonti narrative, in un’accezione più larga ma forse anche meno connotante – hanno avuto un ruolo nevralgico, quasi costituzionale, nella storia e nella vita scientifica dell’Istituto storico italiano per il medioevo. Sin dall’edizione delle Gesta di Federico I in Italia del 1887, curate da Ernesto Monaci, l’Istituto ha sempre guardato ai testi storici medievali con un interesse prioritario e caratterizzante. Un legame indissolubile, verrebbe da dire, e continuo nel tempo che ha contribuito a decretarne una ricezione ormai consolidata da parte della comunità scientifica nazionale e internazionale. Le stesse ragioni fondative dell’Istituto, con quel compito ben evidente e ripetuto come un mantra, a datare dal 1883, di «dare maggiore svolgimento, unità e sistema alla pubblicazione de’ fonti di storia nazionale», hanno spesso coinciso con una cura costante e ultrasecolare per lo studio storico e filologico dei testi cronistici. Basterebbe anche solo richiamare qualcuno degli studiosi che nell’Istituto hanno avuto incarichi direttivi o che vi si sono formati per disegnare rapidamente una storia dai tratti certi e dal profilo inconfondibile: da Ernesto Monaci a Raffaello Morghen, da Arsenio Frugoni a Ovidio Capitani, e così fino a Girolamo Arnaldi, siamo di fronte ad alcuni dei nomi che hanno segnato la storia della storiografia medievistica del Novecento. E che lo hanno fatto, in buona parte, proprio a partire dal laboratorio – ci piace definirlo così, e crediamo non a torto – di piazza dell’Orologio e dallo studio della storia intellettuale e culturale dei secoli alti e tardi del Medioevo. Di più, potremmo arrivare a dire, senza il rischio di una qualche arroganza interpretativa, che dalla koinè storiografica dell’Istituto si sono creati i presupposti di metodo e le stesse possibilità di studio e di comprensione del “fare storia” lungo il millennio medievale. Possibilità, piace ricordarlo, che hanno tratto molto alimento da quella straordinaria stagione di studi di cui sono stati motori trainanti le esperienze della scuola storico-filologica che, dallo scorcio dell’Ottocento, aveva
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GIAMPAOLO FRANCESCONI
- MASSIMO MIGLIO
messo le radici nella Società Romana di storia patria e nel nascente Istituto storico italiano e quindi, dal 1923, nella palestra di metodo ecdotico della Scuola storica nazionale e successivamente della Scuola nazionale di studi medievali. Il Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi di questa continuità di interessi e dell’enorme lavoro di ricerca sulle fonti cronistiche costituisce l’esito più eclatante e, insieme, la testimonianza più certa di un impegno che per l’Istituto non è mai venuto meno, che è stato collettivo e che ha avuto un ventaglio di collaboratori provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo. Dal primo volume del 1964 all’ultimo apparso nel 2007 l’impresa di raccolta e di censimento delle opere storiografiche medievali ha costituito uno degli sforzi più significativi che l’Istituto di piazza dell’Orologio abbia compiuto, mettendo in campo ogni forza disponibile, dai più giovani collaboratori ai corrispondenti internazionali, secondo una tensione e una profusione di risorse umane e scientifiche davvero «senza confini». Entro una stessa saldatura di interessi, di tradizioni e di eredità, pur nel costante rinnovamento dei metodi e delle sensibilità storiografiche, l’Istituto ha pensato e sentito l’esigenza di impostare un’ampia riflessione su una parte cospicua della tradizione cronistica medievale italiana, quella in volgare: e non si dovrà dimenticare che nel 1890, nel quinto volume delle Fonti per la storia d’Italia venne pubblicato, primo testo in volgare, quel Diario della città di Roma di Stefano Infessura scribasenato (sec. XV) a cura di Oreste Tommasini, che era espressione forte dell’intensa collaborazione tra Istituto e Società Romana e dell’altrettanto forte presenza di Monaci nelle scelte editoriali dell’Istituto. Da quella stessa esigenza hanno avuto origine le tre giornate di studio – dal 13 al 15 maggio 20151 – di cui pubblichiamo gli atti. La scelta di dedicare una particolare attenzione a un settore specifico della produzione storiografica medievale è stato imposto dalla necessità di indagare una tradizione scrittoria e culturale con codici ecdotici propri, con problemi metodologici ben connotati e, tuttavia, con un’alterna e variegata fortuna sia da un punto di vista degli studi filologici e linguistici, sia nella prospettiva degli studi più strettamente storici. Sono state queste le esigenze che hanno
1 La «VI Settimana di studi medievali» prevedeva, in realtà, tre giornate delle quali l'ultima, quella del 15 maggio, era dedicata a Dante nel tempo di Dante, con contributi di Giorgio Inglese, Davide Cappi, Luca Carlo Rossi, Anna Maria Cabrini, Sonia Gentili, Paolo Falzone e Gennaro Sasso.
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PREMESSA
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consigliato e spinto a impostare un incontro di studio che potesse costituire insieme un bilancio delle ricerche su base geografica, che contribuisse a raccogliere le istanze più recenti della filologia dei testi volgari e che, dunque, potesse proporsi come un momento significativo di confronto tematico e di incentivo metodologico per la ricerca su questo ambito ristretto, ma decisivo, della cronistica italiana. La ripartizione delle giornate in quattro contenitori ben distinti – Testo, codice, ecdotica; Geografie; Contatti e ambienti di produzione; Incroci di genere – era sembrata promettente sin dalla preparazione del Convegno e sembra ancora più convincente e apportatrice di risultati adesso che le diciassette relazioni sono state raccolte in questo volume. La convinzione che ci ha animato è stata quella di sciogliere alcuni luoghi comuni legati a questa tipologia di fonti, alcuni anacronismi, non scevri da un uso spesso più strumentale che funzionale di testi che rispondevano invece a importanti condizionamenti ideologici e a finalità compositive fortemente orientate. La stessa costruzione di un testo cronistico, con la fluidità tipica di manufatti dalla tradizione sfuggente e stratificata e dalla debole autorialità, i caratteri dei supporti materiali, la costituzionale e ancora non normata matrice linguistica sono solo alcune delle questioni cruciali che sono state dibattute nella loro, talvolta, ancora pronunciata problematicità. Un tratto quest’ultimo, del non definitivo e del cantiere ‘sempre aperto’, che auspichiamo, attraverso le pagine di questo volume, possa costituire un motivo di stimolo per rinnovate discussioni e per un’ulteriore linfa metodologica. La ricchezza degli ambiti disciplinari coinvolti – filologi, linguisti, medievisti e esperti dell’umanesimo e del Rinascimento – può costituire, del resto, uno dei punti di forza di un atteggiamento scientifico che deve essere plurale e aperto di fronte a testi che sono, allo stesso tempo, il nerbo originario della prosa italiana dei primi secoli e il patrimonio di storie cittadine e universali delle realtà politiche della nostra penisola, fossero le città comunali dell’Italia centrosettentrionale o le città del Regno angioino e aragonese. È con questo spirito di confronto sui temi, sugli incroci di genere e sulle procedure ecdotiche che si è inteso guardare a quell’«urgenza della memoria storica» che si impose, come ha scritto Giuseppe Porta, nei secoli finali del Medioevo italiano, quelli in cui il volgare si andava affermando come lingua letteraria e gli stessi in cui le autorità pubbliche e i privati, il mondo ecclesiastico e quello delle professioni scrivevano con sempre maggiore e sorprendente continuità. Giampaolo Francesconi - Massimo Miglio