Salvatore Fodale, Su l'audaci galee de' Catalani (1327-1382)

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 106

SALVATORE FODALE

SU L’AUDACI GALEE DE’ CATALANI (1327-1382) Corona d’Aragona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO 2017


Nuovi Studi Storici collana diretta da Massimo Miglio

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone

ISSN 1593-5779 ISBN 978-88-98079-66-7 ________________________________________________________________________________ Stabilimento Tipografico ÂŤPlinianaÂť - V.le Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (Perugia) - 2017


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Ai miei maestri e ai miei studenti ed allievi


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PREMESSA

amados leyentes míos y hermanos en la comunidad de la historia (B. Pérez Galdós, La primera República)

Dopo la morte di Giacomo II, il quale aveva unito, fino al trattato di Anagni, la corona d’Aragona con quella di Sicilia, la vicenda delle relazioni tra i due regni mediterranei ha percorsi sinuosi e per certi aspetti meno noti, a volte oscuri, ma condizionanti e condizionati rispetto alle altre vicende della storia del Mediterraneo, per più di mezzo secolo, alla metà del Trecento: un cinquantennio abbondante, che esclude e presuppone le vicende della rivolta e della guerra del Vespro, ben note alla storiografia, oggetto di importanti cronache ed edizioni di fonti documentarie, che prosegue, dopo la morte di Federico IV re di Trinacria, fino alla designazione di Martino, alla cattura e deportazione della regina Maria, e si chiude con l’inizio per la Sicilia di una nuova vicenda politico-istituzionale (la sperimentazione e il perfezionamento di quattro signorie vicariali, in contemporanea ai mutamenti generati dal grande scisma, oggetto dei miei precedenti studi). Per un periodo (1327-1382) che mi è sembrato omogeneo, sebbene non ancora definitivamente concluso, ho cercato dunque di colmare un vuoto di conoscenze, soprattutto personali, e di scoprire e stabilire i nessi e l’evoluzione di un’attività anche sotterranea e segreta, di una costanza di interessamento, di una tenacia politica, i cui frutti sono raramente evidenti nel breve periodo. L’intento da parte mia è stato di rivelare il percorso carsico che legherà la Sicilia nuovamente alla Corona d’Aragona e poi all’impero spagnolo, segnando la storia. Emergono vicende e con esse protagonisti noti, meno noti, finora ignoti: non solo la regina Eleonora e il re Pietro (grandi sovrani), l’infante Pietro de Prades, Giacomo de Alafranco, Berenguer Carbonell .... In tale arco temporale, e da una prospettiva iberica, collegandomi e rinviando ad altre mie precedenti ricerche, che integrano il discorso, ma che qui non riproduco, ho cercato di definire le relazioni aragonesi con


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Federico III e i suoi discendenti, con i baroni siciliani e le loro leghe, con le città dell’isola, tenendo conto della figura evanescente di Alfonso il Benigno, dei rapporti con il temibile Roberto d’Angiò, poi con Giovanna, necessariamente anche delle relazioni con la sede apostolica, signora feudale dell’isola, nella fase avignonese e in quella dello scisma appena avviato, ma non trascurando Genova, la Francia, il Regno di Maiorca, tutti decisivamente coinvolti e influenti nel contesto delle triangolazioni mediterranee. Nella mia ricerca ho utilizzato prevalentemente, purtroppo parzialmente, sebbene organicamente, e sistematicamente per alcune serie di registri (Curie e Sigilli secreti principalmente) la gran mole di documenti della Cancelleria reale dell’Archivio della Corona d’Aragona e profittato della moderna possibilità di lettura telematica. Da altri, potranno ricavarsi ulteriori considerazioni e stimoli di studio, non solo sulla questione siciliana, gli intrecci famigliari, l’influenza pontificia, gli aspetti economici, ma anche sulla qualità delle attività diplomatiche e militari o sul ruolo della città di Barcellona, e potranno farsi nuove ricerche su fonti da me non esaminate. Quanto alla storia di Sicilia, una luce indiretta potrà illuminare un periodo oscuro, o rafforzarne le ombre. Per parte mia, ho fatto quello che ho potuto, cosciente che l’avanzare degli anni impone prospettive più limitate, soprattutto sugli orizzonti da affrontare e percorrere, compiuti ormai da qualche tempo 70 anni di vita, 47 dei quali trascorsi nella docenza, nella gestione e soprattutto nella ricerca universitaria, e dalla normativa intervenuta perentoriamente privato di diritti e aspettative e collocato a riposo, seppure con dignità di emerito. Il titolo rifà un verso dell’Orlando Furioso: non sembri audace anch’esso. Su ‘audaci galee’ catalane la regina Eleonora fuggì da Messina. Su galee catalane altrettanto audaci fu sottratta al Regno ad Augusta la regina Maria: fatti di apparente rilievo, per la storia che, per usare un verso conclusivo dalle Rime del Tasso, raccontiamo sino a l’amara ed ultima partita. Et semper aliquam fraudi speciem iuris imponitis. (Tito Livio, Ab urbe condita, IX, 11, 7)

Abbreviazioni ACA = Archivio della Corona d’Aragona, Barcellona ASP = Archivio di Stato di Palermo ASV = Archivio Segreto Vaticano


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Quando Giacomo morì1, hora tarda il 2 novembre 1327 in crepusculo noctis, erano in corso trattative matrimoniali sia con Federico III che con Roberto d’Angiò. Le prime, per le nozze dell’infante Pietro d’Aragona, conte de Ribagorza e d’Empúries, con Costanza, regina vedova di Cipro, primogenita del re di Trinacria, proseguirono durante il regno di Alfonso il Benigno in connessione con l’intermediazione aragonese per la soluzione della questione siciliana, ma senza successo per la drastica opposizione di Giovanni XXII. Inutilmente il re d’Aragona tentò di favorire per i cugini siciliani soluzioni matrimoniali alternative, politicamente convenienti, che ne rompessero l’isolamento internazionale2. Fu celebrato con la dispensa pontificia solo il connubio tra Isabella, figlia naturale del re siciliano e vedova di Malgaulino conte d’Empúries3, e Raimondo de Saluzzo dictus de Peralta il 19 luglio 1332, a Corleone nella chiesa di San Martino dal vescovo di Agrigento Filippo Ombaldi4. La

1 Cfr. J.E. MARTÍNEZ FERRANDO, Jaime II de Aragón. Su vida familiar, Barcelona 1948, I, p. 131. 2 Cfr. S. FODALE, Alfonso il Benigno e il matrimonio dei figli di Federico III, in La Corona catalanoaragonesa, l’Islam i el món mediterrani. Estudis d’història medieval en homenatge a la doctora Maria Teresa Ferrer i Mallol, cur. J. MUTGÉ I VIVES - R. SALICRÚ I LLUCH - C. VELA AULESA, Barcelona 2013, pp. 249-257. 3 Ugo d’Empúries, padre di Ponç Ugo detto Malgaulino, aveva combattuto in Sicilia accanto a Federico, al quale era stato particolarmente legato (M. AMARI, La guerra del Vespro Siciliano, cur. F. GIUNTA, Palermo 1969, I, pp. 484, 493, 526, 541s., 553s., 579, 591, 595, 606, 610, 615; II, pp. 350-352). Isabella, uxor di Ponç Ugo, nel novembre 1319 aveva ottenuto da Giovanni XXII l’esenzione giurisdizionale dalla chiesa parrocchiale di San Giovanni Le Biderga, nella diocesi di Gerona, per la cappella, dotata per otto preti, costruita dai conti d’Empúries e dal defunto suocero nel castello di Belcayru (Jean XXII, Lettres communes, ed. G. MOLLAT, Paris 1904-1947, n. 10614). 4 M.A. RUSSO, I Peralta e il Val di Mazara nel XIV e XV secolo. Sistema di potere, strategie familiari e controllo territoriale, Caltanissetta-Roma 2003, pp. 41, 67-72, 343, 351-361.


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dispensa, che alleviava il duro diniego per il matrimonio della regina di Cipro5, fu concessa dal papa per delega al patriarca Alessandrino, Giovanni infante d’Aragona, fratello di re Alfonso e amministratore dell’arcidiocesi di Tarragona, il quale pure aveva propugnato personalmente le nozze di Costanza con l’altro fratello Pietro. Fu condizionata la dispensa matrimoniale dall’impegno di non sostenere Federico, obbligo al quale sia Alfonso che Pietro sarebbero stati disponibili anche per quell’altra ipotesi matrimoniale. Sentiti vescovi e prelati riuniti in concilio, il patriarca impose che il Peralta rientrasse ab offensa et rebellione contro la Chiesa e non rimanesse quindi in Sicilia al servizio del re, dove era uno dei tramiti principali con la corte aragonese. L’aveva informata nel 1326 sulle relazioni con Ludovico il Bavaro e l’arrivo a Palermo il 27 settembre degli ambasciatori imperiali, assicurando che l’alleanza avrebbe escluso qualsiasi intervento militare siciliano contro l’Aragona6.

5 Il 7 settembre 1330 fra’ Domenico Turpini e Berenguer de Sort furono incaricati di riferire a Federico III sull’attività svolta ad Avignone da Ferrer de Canet per ottenere la dispensa e sulla risposta adirata di Giovanni XXII: «Quines diablies eren aquestes, que tornas hom demanar la dispensacio, la qual personalment era estada denegada al dit infant e encara al rey d’Arago e al rey de França?». Il pontefice aveva aggiunto che certo non avrebbe fatto tan gran traycio a Roberto d’Angiò: si rivolgessero direttamente a lui e, se il re fosse stato d’accordo, il papa avrebbe concesso la dispensa matrimoniale. In seguito Giovanni XXII aveva chiesto al Canet copia dei capitoli dell’ambasceria, che Ferrer gli aveva consegnato nel testo ufficiale in latino, e aveva detto di volerli trasmettere a Roberto prima di rispondere al re d’Aragona. Le ultime parole, comunicate da Ferrer ad Alfonso, avevano indotto a sperare. Dopo alcuni giorni, arrivato a Marsiglia il re di Francia, Ferrer de Canet era andato a trovarlo, come aveva riferito compiutamente. Sicché Filippo VI aveva parlato col papa ad Avignone sia della tregua, sia della dispensa. Giovanni XXII anche a lui aveva risposto che si meravigliava che volesse procurare un così grande danno a re Roberto, quale gli avrebbe arrecato la dispensa. Aveva replicato il re di Francia che avrebbe invece prodotto la pace e aveva insistito perché il papa concedesse la dispensa almeno alla conclusione della tregua, in maniera che l’infante Pietro non potesse farne uso prima di allora. Tuttavia Giovanni XXII aveva concluso dichiarando esplicitamente che non avrebbe fatto nulla di tutto ciò. Successivamente, il Canet aveva voluto parlare nuovamente col papa, il quale appena lo vide lo apostrofò: «que demanava? que ja li devia haver respost lo rey de França de ça intencio». Il nunzio replicò che la risposta non era quella attesa dai suoi signori e insistette perché il pontefice desse la bolla della dispensa nelle mani di Filippo VI o di altri, in modo che l’infante non potesse farne uso fino alla conclusione della tregua o della pace. Giovanni XXII molt cruament gli rispose che non lo avrebbe fatto e di non parlar più della dispensa, perché non poteva concederla in nessun modo: se l’avesse fatto mettendola nelle mani di un terzo, l’infante avrebbe avuto diritto di usarla anche prima della conclusione della tregua o della pace. Ferrer de Canet pronunciò allora parole anche più dure di quelle che gli erano state ordinate, come i due nunzi avrebbero dovuto riferire a voce a Federico III (ACA, Canc. 562, ff. 169r-170r, 171v-178r). 6 H. FINKE, Acta Aragonensia. Quellen zur deutschen, italienischen, französischen, spa-


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Alfonso garantì davanti al concilio di Tarragona che Raimondo entro Natale avrebbe lasciato l’isola per trasferirsi nei suoi regni e che entro quella data con giuramento e omaggio prestati al patriarca avrebbe promesso al papa di rimanere nelle terre della Corona e di non dare mai auxilium vel iuvamen al re di Trinacria, finché Federico fosse rimasto hostis vel rebellis alla Chiesa di Roma. Senza nessun esborso, dette una cauzione di 100.000 soldi barcellonesi, trattenuti dal sussidio dell’episcopato e del clero catalano concesso dal concilio, che in caso di inattuazione avrebbero costituito la penalità a favore della Camera apostolica. Dichiarò per atto pubblico il 14 marzo del ’32 di avere concordato col patriarca l’estinzione della garanzia dopo il giuramento del Peralta7. Chiesta insistentemente la ‘restituzione’ della cauzione8, ottenne nel gennaio del ’34 uno speciale rescriptum, con cui il papa dispose che il patriarca versasse i 100.000 soldi (ossia le 5.000 lire) trattenuti sul sussidio del clero, ma previo rinnovo dell’obbligazione assunta per la dispensa matrimoniale9. Tornando al tempo della morte di re Giacomo, nel 1327 erano in corso trattative alla corte aragonese anche per il matrimonio dell’infanta Violante10, sia come abbiamo detto con gli inviati di Roberto d’Angiò, che del re di Francia, che il secondo avrebbe voluto concludere per Charles d’Évreux, ma che il primo riuscì a far contrarre a Filippo despota di Romania11, primogenito del principe di Taranto12. Informato che le nozze col despota erano quasi concluse 13, per rispettare la volontà paterna e

nischen, zur Kirchen- und Kulturgeschichte aus der diplomatischen Korrespondenz Jaymes II. (1291-1327), Berlin-Leipzig 1908-1922, I, doc. 289, pp. 432s. 7 ACA, Canc. 544, f. 8r-v. Tre giorni prima il re aveva assicurato Raimondo Peralta di aver provveduto «meliori modo quo potuimus» a quanto richiesto «super facto matrimonii» (ACA, Canc. 526, f. 179v; 11 marzo 1332). 8 Il 10 maggio del 1333 Alfonso ordinò a fra’ Bernat Oliver di insistere presso la curia avignonese per la restituzione della cauzione, incarico che gli rinnovò il 25 agosto, perché continuasse a supplicare Giovanni XXII, insieme con Bernat de Boxadors e gli altri ambasciatori aragonesi (ACA, Canc. 544, ff. 7v-8r, 9r). 9 Jean XXII, Lettres communes, n. 62506. 10 MARTÍNEZ FERRANDO, Jaime II, I, pp. 183-189, 271s. 11 A. BON, La Morée franque, Paris 1969, pp. 207ss. 12 ACA, Canc. 519, ff. 7r-8v. 13 Pochi giorni prima di morire Giacomo II era alla ricerca di sussidi «pro dote matrimonii contracti» con il nipote del re di Sicilia. Come scriveva all’abate di Poblet il 29 ottobre 1327, occorreva dare «validissimas securitates et obligaciones» ai nunzi inviati dallo sposo e da suo padre Filippo I, «ita quod terminis statutis dicta dos prelibato despoto infallibiliter persolvatur» (ACA, Canc. 329, f. 282r; cfr. J.M. DEL ESTAL, Itinerario de Jaime II


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stringere ulteriormente i vincoli di sangue e di affetto tra le due famiglie regnanti Alfonso firmò il contratto, i cui capitula erano già stati concordati e redatti in scriptis. Lo comunicò il 24 novembre tanto alla famiglia reale angioina quanto al papa14. Predispose la partenza per Napoli della sorella diciassettenne in una maniera che dovette sembrargli la più conveniente. Dall’inviato napoletano che faceva la spola pro subnexis negociis (Raimondo de Turri) aveva saputo che stavano arrivando a Nizza le galee angioine con l’infanta Bianca, altra figlia del principe di Taranto, sposa a sua volta dell’infante Raimondo Berengario15, in un combinato intreccio matrimoniale tra le due case reali. Mentre si completavano i preparativi nuziali le navi, non ancora arrivate l’8 maggio del ’28, avrebbero potuto attendere in porto per tutto il mese di giugno Violante, che sarebbe andata a ricevere ad Avignone la benedizione apostolica16. Le notizie sulla preparazione di un hostilem stoleum galearum fecero però temere eventi bellici e nascere il dubbio che le galee non sarebbero più state inviate a Nizza nel periodo previsto17. Nell’estate l’infanta arrivò comunque a Napoli, ma il matrimonio con il despota, dopo un parto prematuro, si sciolse in breve tempo senza discendenti perché, durante la spedizione per conquistare i territori di cui era titolare, Filippo fu assassinato18. Con le congratulazioni per l’ascesa al trono, era giunta da Roberto d’Angiò, tramite Angelo Baraballo di Gaeta, una proposta di matrimonio per Alfonso, il quale il 15 novembre del ’28 rispose di avere già contratto con Eleonora di Castiglia per verba de presenti delle nozze che avrebbero contribuito «ad quietacionem tocius Ispanie». Espresso turbamento per l’ingresso di Ludovico il Bavaro a Roma e gioia per la partenza, manifestò compiacimento per l’adiutorium apportato da Raimondo Berengario al re de Aragón (1291-1327), Zaragoza 2009, p. 743). Nel suo testamento re Giacomo aveva lasciato l’infanta «ordinacioni et provisioni heredis nostri universalis ut eam matrimonio honorifice sicut decet debeat collocare» (ACA, Canc. 548, f. 7r). 14 ACA, Canc. 519, ff. 7r-8v. Alfonso scrisse sia a re Roberto che alla regina Sancia, al primogenito Carlo e a Filippo principe di Taranto. 15 MARTÍNEZ FERRANDO, Jaime II, I, pp. 178-183. 16 ACA, Canc. 519, f. 98r-v. Il re d’Aragona scrisse al pontefice e si raccomandò al Villanova, maestro di san Giovanni gerosolimitano, e al miles angioino Giovanni de Cabassola. 17 ACA, Canc. 519, f. 107r-v (16 maggio 1328). Alfonso chiese al papa di essere informato a tempo opportuno sull’arrivo delle galee napoletane. 18 Secondo A. KIESEWETTER, Filippo I d’Angiò, imperatore nominale di Costantinopoli, in Dizionario Biografico degli Italiani, 47, Roma 1997, pp. 717-723, la morte del despota avvenne nel giugno 1331.


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di Sicilia cum comitiva decenti, ma per la concessione a quello scopo della decima all’infante in tutti i regni e terre della Corona d’Aragona affidò all’inviato solo una risposta verbale alla richiesta19. Trattenuta da Roberto nel castello di Napoli, Violante domandò al fratello di farla tornare in Catalogna, per «compassio de la pobre vidua»20. Quando per ricondurla Alfonso nominò un inviato, l’arcidiacono di Santa Engracia Guglielmo Richer, Raimondo Berengario e la contessa Bianca lo incaricarono anche per loro conto dell’ambasceria «racione dispotatus Romanie», sicché protestarono per la sua sostituzione con Guglielmo de Gallinariis, ma il re, con la motivazione che aveva già ricevuto sia le istruzioni scritte21 che la provisione, si limitò a consentire che il nuovo nunzio, nonostante la sua difficoltà a lasciare Barcellona22, ricevesse eventualmente l’incarico pure dall’infante, se era disposto a far partire con lui entro luglio anche il Richer23. La doppia ambasceria complicò e ritardò il ritorno di Violante, come il re spiegò a metà agosto ai reali angioini, giustificando il ritardo nell’invio degli ambasciatori con l’attesa che il fratello e la cognata nominassero i loro nunzi24. Profittando del ritorno nel regno napoletano di Berardo de San Fluviano, il quale come procuratore della contessa Margherita di Lauria25 ne aveva amministrato a lungo i beni, Alfonso dette notizie alla sorella, rammaricandosi il 25 agosto di non poterlo ancora fare presencia corporali. Dopo un colloquio sulla ambasceria con Raimondo Berengario e la convocazione il 7 settembre del Gallinariis, poiché Violante aveva chiesto l’invio degli instrumenta dotium e delle cautelas pro coniugio il re il 5 ottobre decise di mandare subito a Napoli un nuncium specialem con i documenti. Nelle lettere ai reali angioini e al principe di Taranto si rallegrò per la notizia da loro ricevuta del matrimonio di Margherita, figlia del principe, con Gualtiero di Brienne, duca d’Atene, il quale «cum strenua milicia et 19

ACA, Canc. 562, f. 35r-v, parzialmente edito in H. FINKE, Acta Aragonensia, III, doc. 255, pp. 543 s.; MARTÍNEZ FERRANDO, Jaime II, I, pp. 179s. 20 F.C. CASULA, Carte reali diplomatiche di Alfonso III il Benigno, re d’Aragona, riguardanti l’Italia, Padova 1971, doc. 66, p. 86; doc. 241, pp. 167s. 21 Il 16 giugno 1331 Alfonso aveva scritto delle lettere de statu per Roberto d’Angiò, la regina Sancia, la despina Violante e Giovanni d’Angiò principe d’Acaia (ACA, Canc. 525, f. 2r-v). 22 ACA, Canc. 525, ff. 10v-11r (18 giugno 1331). Guglielmo de Gallinariis si era obbligato come hostagium per la dote della moglie di Pere Queralt. 23 ACA, Canc. 525, f. 32r-v (21 luglio 1331). 24 ACA, Canc. 525, ff. 46v-47r (18 agosto 1331). 25 Cfr. S. FODALE, Nicolò de Iamvilla: un vassallo di Roberto d’Angiò alla corte di Pietro il Cerimonioso, in ‘Quei maledetti normanni’. Studi offerti a Errico Cuozzo per i suoi settant’anni da colleghi, allievi, amici, cur. J.M. MARTIN - R. ALAGGIO, Ariano Irpino - Napoli 2016, I, pp. 455-468.


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