Jacques Le Goff e l'Italia

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

JACQUES LE GOFF E L’ITALIA

a cura di DANIELA ROMAGNOLI AMEDEO FENIELLO SALVATORE SANSONE

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI

2015


Ringraziamo Barbara e Thomas Le Goff che hanno permesso la realizzazione di questa testimonianza per Jacques Le Goff. Lo stesso ringraziamento ai quotidiani La Repubblica, La Stampa e Il Corriere della Sera che hanno concesso la loro autorizzazione per la pubblicazione degli articoli. Ringraziamo StĂŠphane Gioanni per la collaborazione.

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone

ISBN 978-88-98079-34-6

Stabilimento Tipografico Pliniana, V.le F. Nardi, 12 – 06016 Selci-Lama (Perugia)


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Nell’ottobre 2000 Jacques Le Goff compì quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio fuori di Francia. Aveva seri problemi di mobilità già da qualche tempo, ma volle ugualmente affrontare un exploit non facile, date le sue condizioni di salute. Non è casuale, e va sottolineato, il fatto che la meta sia stata l’Italia. Non solo perché l’occasione, o piuttosto le occasioni, gli furono offerte nel nostro paese, ma anche, o forse soprattutto, perché al nostro paese egli era legato da vincoli culturali e affettivi profondi. Le Goff stesso ha parlato a più riprese dell’Italia come di una seconda patria (associandola ovviamente alla Francia, e alla Polonia, alla quale era legato da vincoli familiari oltre che culturali) per i legami nati durante i soggiorni di studio, già al tempo dei suoi primi lavori, a Padova, Firenze, Siena, e in modo particolare all’École Française de Rome, e un po’ anche per la remota ascendenza ligure, segnalata dal cognome della madre (Ansaldi), il cui nonno era emigrato in Francia dalla natia Porto Maurizio ben prima che in epoca fascista venisse unita a Oneglia sotto l’unico nome di Imperia. Durante uno dei suoi soggiorni italiani, nel 1992 per l’anno Colombiano, da Genova volle andare a vedere quei luoghi in una specie di pellegrinaggio, gradito anche perché su quel Mediterraneo, a Tolone, aveva visto la sua nascita e la prima giovinezza. Le ragioni di un legame davvero eccezionale sono però anche, e forse soprattutto, di tipo storico e culturale, in particolare se si tenga presente il posto privilegiato che la città


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ha sempre occupato nell’arco della sua opera1. È un aspetto che aveva sottolineato con forza André Vauchez2, facendo riferimento all’importanza e alla continuità della vita cittadina italiana e alla funzione della città come osservatorio privilegiato del mondo mediterraneo – e sarebbe molto limitante pensare solo alle repubbliche marinare. Le Goff si appassiona ai contatti tra le civiltà, agli scambi non solo commerciali, a un mondo nel quale la vita contadina viene presto confinata a un ruolo subalterno e dove i signori feudali sono meno importanti dei mercanti e dei giuristi. Non a caso nel 1986, in una delle città italiane più amate, Parma, aveva voluto tenere la lezione introduttiva a una serie di seminari dedicati a temi di storia urbana, seguiti a breve distanza da un convegno sul tema della città murata3. Il mondo cittadino è il mondo di un Medioevo dinamico e innovatore, per il quale, nell’intervista che si pubblica qui, Le Goff conia una definizione originale e al tempo stesso problematica, capace di suscitare discussioni e approfondimenti: «un’epoca di progresso che non osa pronunciare il suo nome». Un’epoca che coincide con il «lungo Medioevo», che è il cuore delle sue riflessioni sulla periodizzazione storica, ma che non ha avuto un successo incontrastato, anche se non sono pochi i medievalisti che ormai non accettano più i confini della scansione tradizionale. Se si considera che l’intervista fu conclusa il 25 marzo 2014, una settimana prima della scomparsa di Le Goff, è difficile non essere turbati da una sorta di invocazione: «alla mia età, questo è quasi un ultimo messaggio: chiedo che si tenga in considerazione la nozione di lungo Medioevo». Quell’ultimo viaggio fuori di Francia, al quale ho accennato all’inizio, fu causato dal conferimento di tre lauree ad honorem (a coronamento di un memorabile palmarès), alle università di Roma La Sapienza, Parma e Pavia. I temi trattati nelle tre lectiones magistrales pronunciate durante le corrispondenti cerimonie accademiche, riunite in questo


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libro per la prima volta, non si presentarono certo come elementi di novità nell’ampia – sia in senso quantitativo sia in senso cronologico – riflessione di Le Goff sull’altrettanto ampio periodo indicato da lui come lungo Medioevo. In ciascuna delle tre circostanze volle piuttosto fare il punto sul cammino percorso (strumenti e sviluppi della scienza storica, il valore innovativo della storia dell’immaginario, il rapporto tra storia e memoria), ma vale la pena di sottolineare come anche in quelle circostanze riemergesse il suo amore per “la” città, giacché ebbe cura di dedicare a ciascun ateneo qualche pagina pensata espressamente per la specificità culturale delle tre sedi. È ancora Vauchez a notare che dalla metà degli anni 1970 Le Goff passa da essere uno stimato autore straniero ad assumere una figura pubblica nella vita culturale italiana. E giunge a parlare, a buon diritto, di una vera e propria naturalizzazione culturale. Carla Casagrande e Silvana Vecchio, in una testimonianza presentata durante la giornata in omaggio a Le Goff tenutasi a Parigi il 27 gennaio 2015 (i cui atti sono in corso di stampa), sottolineavano come Le Goff abbia messo a disposizione degli Italiani – ancora una volta: non solo degli specialisti – nuovi modi di riflettere sugli aspetti fondamentali della loro identità culturale. Gli esempi indicati sono molteplici, ma vengono in particolare segnalati e commentati Gli intellettuali nel Medioevo e La nascita del Purgatorio. Il primo, tradotto nel 1959 e ristampato continuamente negli anni successivi, fa conoscere lo storico innovatore che abbatte le barriere tra le diverse discipline, l’intellettuale che partecipa ai dibattiti culturali, lo scrittore che aiuta i suoi lettori a comprendere il presente attraverso la storia. Il secondo – come altre ricerche su temi religiosi intrinseci alla storia italiana: pensiamo ad esempio al suo san Francesco – presentava ai lettori di un paese a forte dominante cattolica l’indagine su una dottrina radicata in un patrimonio culturale comune, a prescindere dalle


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scelte di fede individuali. Non si può che sottoscrivere una notazione delle due Autrici, che sarebbe facile ma errato prendere come una semplice nota di colore: Le Goff conosceva a fondo tutto dell’Italia: storia, letteratura, arte, politica…ma anche le squadre di calcio e la gastronomia. Ciò che in realtà equivale a dire: una civiltà nel suo complesso. E si sono susseguite almeno dagli anni 1980 e fino a pochi giorni dalla sua morte, interviste e articoli concessi ai principali quotidiani (Il Messaggero, La Stampa, Il Corriere della Sera, La Repubblica), alcuni dei quali sono pubblicati qui, a dimostrazione della varietà dei temi trattati: dalla politica (generale, italiana, francese, ma sempre in una visione europeista) ai problemi storiografici, dalla scuola alle vicende personali, queste ultime però solo in quanto si riflettessero nell’opera dello storico, come nel caso del libro (Con Hanka) dedicato alla memoria della moglie. Oltre all’attività di condirettore del mensile divulgativo Storia e Dossier. La presenza di Le Goff in Italia aveva però fatto seguito alla tardiva scoperta della storiografia francese della prima metà del Novecento, bloccata a lungo dal provincialismo culturale dell’epoca fascista e dal peso della riforma della scuola, dovuta a Giovanni Gentile (nome dichiaratamente inviso a Le Goff, per motivi culturali e politici), che associava nell’insegnamento medio superiore la storia alla filosofia, con risultati didattici per lo più disastrosi, per l’una come per l’altra delle due discipline. Del resto basta pensare che le opere di Marc Bloch vengono tradotte in italiano a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, e pazienza per la Società feudale, che appare nel 1949, dieci anni dopo l’uscita in Francia (1939), ma un libro dalla forza innovativa come i Re taumaturghi dovrà aspettare dal 1924 al 1977. Per Le Goff, invece, il problema di ritardi nelle traduzioni ormai non si pose più; ci sono anzi state sia co-edizioni Francia-Italia, sia opere uscite in Italia prima che in Francia, o addirittura pubblicazioni


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soltanto italiane, come la scelta di saggi intitolata Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale (1983), o L’Italia nello specchio del Medioevo, che raccoglie i contributi apparsi nella Storia d’Italia Einaudi, o, ancora, il volume Il medioevo europeo di Jacques Le Goff, che sarebbe troppo riduttivo etichettare come catalogo dell’omonima mostra, realizzata a Parma (28 settembre 2003 - 6 gennaio 2004), per la quale Le Goff scelse personalmente gli oggetti da esporre e gli Autori dei ventitré saggi inerenti i temi trattati in mostra4. Senza dimenticare i suoi numerosi contributi all’Enciclopedia Einaudi, poi riuniti nelle cinquecento pagine di Storia e memoria (1982) e divenuti dei classici del suo pensiero, tradotti in più lingue. Le Goff ha avuto anche una parte importante nell’approfondimento e consolidamento dei rapporti tra storici francesi e italiani, anche attraverso i legami di amicizia e stima con molti colleghi, dai coetanei agli juniores: cito quasi a caso, e solo a mo’ di esempio, Giuseppe Galasso, Girolamo Arnaldi, Ovidio Capitani, Cesare De Seta, Umberto Eco, Chiara Frugoni, Giuseppe Sergi, Carla Casagrande, Silvana Vecchio… Questo non ha però significato acquisizione automatica del suo pensiero storiografico; gli sono stati anzi dedicati seminari e discussioni, a volte anche molto critiche, come nel caso del problema del denaro e della funzione degli Ordini mendicanti nelle innovazioni dell’economia medievale, tema sul quale in Italia si sono viste posizioni differenti, rappresentate a vari livelli per esempio dai lavori di Renato Bordone e del Centro studi sui Lombardi (Asti), o di Giacomo Todeschini sul circolo della ricchezza fra cristiani ed ebrei e di Maria Giuseppina Muzzarelli sui Monti di Pietà. Del resto non tutte le prospettive aperte da Le Goff hanno suscitato adesione convinta presso gli storici italiani. L’esempio più evidente è quello della biografia: rispetto alla radicale innovazione metodologica costituita dal


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San Luigi – i medievalisti italiani sembrano aver recepito pochissimo, continuando a scrivere biografie tradizionali5. Molti echi hanno avuto i suoi interventi italiani sui problemi della scuola e dell’insegnamento. Un carattere distintivo del lavoro di Jacques Le Goff risiede infatti nella «convinzione che non si devono separare queste tre attività: la ricerca, l’insegnamento e la diffusione dei risultati della ricerca»6. In altri termini, il lavoro dello storico non è compiuto se non attinge diversi livelli di pubblico: da quelli che chiamiamo gli “addetti ai lavori”, ossia gli studiosi, con i quali bisogna confrontarsi e interagire, agli allievi diretti (universitari, specializzandi, dottorandi), agli studenti di tutti i gradi scolastici (e i loro insegnanti), ai cittadini in genere, giacché il fare storia può e deve essere inteso come un servizio reso alla società oltre che come il tentativo di rispondere a semplice curiosità, pur assolutamente legittima. La sua straordinaria capacità di comunicare gli è valsa nel 2008 il premio Portico d’oro, del quale è diventato eponimo (Premio Portico d’oro – Jacques Le Goff), per la diffusione della storia al di là della cerchia degli accademici. Il premio viene assegnato ogni anno a Bologna, appunto a partire dal 2008, durante la Festa internazionale della Storia: una manifestazione, giunta all’XI edizione, che vede numerose iniziative rivolte anche al grande pubblico ma soprattutto ai giovani e giovanissimi. I giovani e il futuro: un altro dei temi cari a Le Goff. Il futuro che lo storico non può predire, ma che può aiutare a costruire sulla base della conoscenza del passato e della lettura attenta e partecipe del presente. Le Goff, l’ottimista, il sempre concreto Le Goff, si serve del pensiero di Gramsci per dire che si parla troppo spesso di crisi guardando nostalgicamente a un passato in via di sparizione, mentre basta volgersi in direzione del futuro per intravvedere una mutazione generatrice di novità e di speranza. È la risposta alla “fine della storia”, di


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cui si discusse un paio di decenni orsono dopo l’omonima, provocatoria opera di Francis Fukuyama (1992): non morte, ma cambiamenti e innovazioni che permettono di andare avanti. È l’esortazione che chiude la lectio magistralis tenuta a Roma: la scienza storica è ancora nell’infanzia, dunque: au travail, al lavoro!

Note 1 Basta pensare al titolo di una sua lunga riflessione a due: Pour l’amour des villes. Entretiens avec Jean Lebrun, Paris 1997. 2 A. Vauchez, Jacques Le Goff and Italy, in The Work of Jacques Le Goff and the Challenges of medieval History, cur. M. Rubin, Woodbridge 1997. 3 J. Le Goff, Lezione introduttiva, in Storia e storie della città, cur. D. Romagnoli, Parma 1988, pp. 17-34; La città e le mura, cur. C. De Seta - J. Le Goff, Roma-Bari 1989. 4 Il Medioevo europeo di Jacques Le Goff, cur. D. Romagnoli, Milano 2003. 5 Ne parlò Luigi Provero (Le Goff e la biografia) a un seminario della Scuola di dottorato in Studi storici dell’Università di Torino: Punti di vista su Jacques Le Goff, 30 gennaio 2009. 6 J. Le Goff, Dalla ricerca all’insegnamento: il caso del Medioevo, in Ricerca e insegnamento della storia, cur. A. Santoni Rugiu, Firenze 1991, p. 17. Come sottolinea Santoni Rugiu, qualche accenno a questo aspetto Le Goff lo aveva già fatto nella sua Intervista sulla storia, cur. F. Maiello, Roma-Bari 1982. Si può vedere anche D. Romagnoli, Intervista a Jacques Le Goff sullo studio e l’insegnamento della storia medievale (ma non solo), «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 108 (2006), ripubblicata in questo volume; o ancora il quaderno didattico (con Romagnoli), Parliamo di Medioevo. Riflessioni sui secoli delle cattedrali, Milano 2007.


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